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Fonologia

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Cos’è l’indoeuropeo<br />

L’indoeuropeo è una lingua, parlata forse cinquemila anni fa in un’area non<br />

precisamente collocabile (le ipotesi spaziano dall’odierna Ucraina al<br />

Caucaso), che si è gradualmente differenziata attraverso la comparsa di<br />

isoglosse di innovazione in una serie di lingue, come l’indo-ario, il greco,<br />

l’armeno, l’italico, il balto-slavo, il germanico comune, che a loro volta hanno<br />

dato origine a molte lingue parlate tra l’Europa e l’Asia.<br />

La popolazione che parlava indoeuropeo difficilmente sarà stata etnicamente<br />

e culturalmente omogenea. Questo punto, come già la sua collocazione<br />

precisa, resta un enigma, anche perché, dopo le manipolazioni nazi-fasciste,<br />

è stata sempre sottoposta al nazionalismo dei paesi moderni.<br />

La prima differenziazione dell’indoeuropeo: centum e satem<br />

La prima grande isoglossa che rompe il continuum indoeuropeo è l’esito delle<br />

consonanti occlusive velari; sappiamo che l’indoeuropeo aveva due, forse tre<br />

serie di occlusive velari: le velari pure (del tipo *[k]*[g]*[g h<br />

]) le labio-velari (del<br />

tipo *[k w ]*[g w<br />

]*[gw h<br />

]) e forse le velari "palatali" (del tipo *[k j ]*[g j<br />

]*[g jh<br />

]; ma<br />

secondo un’altra ricostruzione, erano velari seguite da una vocale palatale [i]<br />

o [e]).<br />

Ad un certo punto, una parte delle popolazioni che parlavano indoeuropeo<br />

cominciarono a "palatalizzare" (cioè spostare in avanti, verso il palato,<br />

l'articolazione) le occlusive velari "palatali", che si trasformarono in fricative<br />

post-alveolari o alveolari; questo gruppo di popolazioni dette origine ai gruppi<br />

linguistici indo-ario (le lingue dell’India, prima fra tutte il sanscrito, e dell’antica<br />

Persia), armeno e balto-slavo, che dunque condividono un’innovazione forte<br />

che li oppone alle altre lingue indoeuropee. Per indicare i due gruppi si è<br />

scelto l’esito della parola “cento”, che in indoeuropeo era *[k j n̥ˈtom] (o[kn̥ˈtom],<br />

per chi ritiene che la palatalizzazione sia dovuta alla vocale successiva): il<br />

1


gruppo delle lingue che hanno condiviso l’innovazione è rappresentato<br />

dall’iranico antico satem (o dal sanscrito śatám), mentre il gruppo<br />

conservativo (che ovviamente è molto meno omogeneo, e che comprende il<br />

germanico comune) è rappresentato dal latino centum, pronunciato [ˈkentum],<br />

come era in origine.<br />

Nel gruppo satem, le labiovelari perdono l’appendice labiovelare, diventando<br />

velari pure ([k w ] > [k]); nel gruppo centum, le labiovelari si mantengono<br />

separate dalle velari pure, mentre le velari palatali si assimilano alle velari<br />

pure (oppure, se si tratta di un influsso di vocali palatali successive, non lo<br />

subiscono). Il germanico segue queste lingue: la [k] di [kn̥ˈtom], dunque,<br />

evolverà regolarmente in [x] (e a [kn̥ˈtom] corrisponderà [ˈxunðan], da cui<br />

l’inglese hund-red e il tedesco hund-ert, che originariamente sono composti<br />

con una parola che voleva dire “numero”), mentre la [k w ] di [k w is] “chi”<br />

diventerà la [x w ] di [x w iz], da cui tm. wer, isl. hwer (l’inglese moderno who<br />

deriva dall’ags. hwa, con una differente desinenza, analoga al tm. wo).<br />

La particolarità del germanico nel gruppo indoeuropeo<br />

Le radici delle parole indoeuropee erano riconoscibili in base alle consonanti<br />

piuttosto che sulle vocali; questa situazione si conserva ancora nell’it. ved-o,<br />

ved-i, ved-a, vid-i, dove le consonanti della radice v.d- restano identiche e<br />

indicano la nozione del “vedere”, mentre le vocali (sia della radice, sia delle<br />

desinenze) danno informazioni morfologiche, cioè grammaticali (in questo<br />

caso, riguardo al tempo, la persona, il modo del verbo).<br />

Il germanico comune si distingue nel gruppo indoeuropeo, dunque, non tanto<br />

per i pochi fenomeni di evoluzione dei suoni vocalici, quanto per il suo<br />

trattamento particolare delle consonati occlusive, che cambia drasticamente<br />

l'aspetto delle radici.<br />

Inoltre, il germanico subisce una forte riduzione delle sillabe desinenziali,<br />

2


forse perché a differenza dell’indoeuropeo aveva un forte accento sulla<br />

radice. Una conseguenza importante sarà l’evoluzione delle lingue<br />

germaniche, che tenderanno nel corso della loro storia a passare dal tipo<br />

linguistico flessivo, in cui le parti nominali del discorso contengono molte<br />

informazioni nella desinenza, tra cui il ruolo sintattico (come nel latino amor<br />

Dei o Petrus Paulam amat) a quello analitico, in cui le relazioni tra parti<br />

nominali del discorso vengono indicate da preposizioni, come nell’italiano<br />

“amor di Dio” o dall'ordine delle parole nella frase (come in "Pietro ama<br />

Paola", dove il latino poteva cambiare solo le desinenze e non l'ordine delle<br />

parole, per cambiare il significato: Petrum Paula amat "Paola ama Pietro").<br />

Il sistema fonologico dell'indoeuropeo<br />

L'indoeuropeo ricostruito (o almeno, la sua versione più vicina al germanico<br />

comune, che aveva già creato un buon numero di isoglosse di innovazione)<br />

aveva un sistema fonologico piuttosto semplice, ma con delle differenze<br />

profonde dalle lingue germaniche moderne, alcune delle quali risalgono ad<br />

una serie di isoglosse che si verificarono presso i germani, modificando la<br />

lingua al punto da crearne una differente, che appunto chiamiamo<br />

convenzionalmente germanico comune.<br />

L'indoeuropeo ragionava per radici consonantiche in cui le vocali davano<br />

essenzialmente indicazioni morfologiche, sia pure in modo assai meno<br />

regolare che nelle lingue semitiche. Un esempio sono i preteriti italiani del<br />

tipo vid-i (presente ved-o).<br />

Accento<br />

L'accento dell'indoeuropeo era libero e tonale.<br />

"Libero" vuol dire che non si trovava sempre in una determinata sillaba della<br />

parola, dando origine a differenze di significato: una situazione simile anche<br />

3


all'italiano, dove esistono coppie minime distinte solo dall'accento come<br />

l'italiano péri [ˈpe:ri] (plurale di pero) vs. perì [pe:ˈri] (voce del verbo perire).<br />

Molte lingue indoeuropee, invece, oggi pongono l'accento in una posizione<br />

fissa: per esempio il francese, che ha l'accento regolarmente sull'ultima<br />

sillaba della parola. Ciò è avvenuto anche in germanico comune, dove<br />

l'accento di norma si fissa sulla radice della parola (nel caso di radici<br />

plurisillabiche, sulla prima sillaba), una regola cui poi la storia avrebbe dato<br />

numerose eccezioni (in tedesco quelle apparenti dei prefissi atoni come in be<br />

ˈginnen, verˈlieren e dei verbi divisibili del tipo ˈüberˌsetzen "trasporre " vs.<br />

ˌüberˈsetzen "tradurre", in inglese molte di più, a causa del gran numero di<br />

parole francesi che entrarono nella lingua successivamente, come tradition).<br />

Ciò che distingueva fortemente l'accento indoeuropeo delle lingue europee<br />

moderne, compreso l'italiano, è la sua natura di accento tonale (o " ad<br />

intonazione"): la sillaba colpita da accento aveva un'intonazione differente<br />

dalle altre, ma non era pronunciata con più forza. L'italiano è invece una<br />

lingua ad accento "espiratorio" o "di intensità", in cui la sillaba accentata<br />

viene pronunciata con più energia espiratoria rispetto alle altre. Tuttavia, in<br />

greco (e, per influsso di questo, nei dialetti pugliesi), si mantiene un residuo<br />

di intensità sulla sillaba accentata, che conferisce al parlato un andamento<br />

che i parlanti italiano standard avvertono come "altalenante".<br />

Vocali e semivocali<br />

L'indoeuropeo possedeva undici o quindici vocali, a seconda del modo di<br />

classificarle: infatti aveva [a][e][i][o][u] con le corrispondenti forme lunghe [a:]<br />

[e:][i:][o:][u:], 1<br />

oltre ad una vocale centrale solo breve [ə], chiamata anche<br />

1 L'origine di queste ultime è ancora controversa: è verosimile che l'allungamento sia<br />

dovuto all'assimilazione di suoni consonantici, verosimilmente fricativi, caduti molto presto<br />

in indoeuropeo. La ricostruzione di questi suoni, chiamati "laringali" (ma che fossero<br />

4


"schwa indoeuropeo".<br />

L'indoeuropeo aveva poi le approssimanti [j] e [w], che nella fonetica<br />

dell'italiano sono spesso chiamate "semivocali", ponendo l'accento sulla<br />

corrispondenza tra questi suoni consonantici e le vocali articolate nella stessa<br />

posizione, cioè rispettivamente [i] e [u]. 2<br />

In realtà, in indoeuropeo possiamo ricostruire che anche le nasali [m] [n], la<br />

vibrante [r] e la laterale approssimante [l] come semivocali, perché avevano<br />

delle vocali corrispondenti [l̥][m̥̥][n̥][r̥̥].<br />

Queste forme vocaliche si chiamano<br />

tradizionalmente "sonanti" ed erano destinate a scomparire in quasi tutte le<br />

lingue europee (ma alcune si conservano tuttora; per esempio nel croato<br />

smrt "morte", la [r] è considerata vocale).<br />

In indoeuropeo possiamo poi ricostruire almeno sei dittonghi discendenti,<br />

composti di una vocale breve seguita da una semivocale, formati dalle tre<br />

vocali brevi [a] [e] [o] seguite da [j] o da [w]: [aj] [ej] [oj] [aw] [ew] [ow].<br />

Consonanti<br />

L'indoeuropeo possedeva dodici consonanti occlusive, divise per tre luoghi di<br />

articolazione semplici (bilabiale, alveolare e velare) e uno complesso (labio-<br />

velare: consonanti velari seguite da una appendice labiovelare, come la [k w<br />

]<br />

di quando o la [g w<br />

] di guerra). Queste articolazioni davano consonanti<br />

differenti, distinte in base al grado di sonorità (sordo o sonoro) e, nel caso<br />

delle sonore, anche per l'eventuale presenza di una appendice glottidale (le<br />

cosiddette "aspirate", che vanno pronunciate con i due elementi staccati: b-h,<br />

effettivamente fricative laringali è un dato controverso) occupa gli storici della lingua da<br />

decenni, ma non ha grandi conseguenze sulla nostra ricostruzione, dato che questi suoni<br />

scomparvero dall'indoeuropeo molto prima del suo passaggio al germanico.<br />

2 L'italiano non distingue neanche graficamente le vocali dalle approssimanti<br />

corrispondenti, scrivendo in ira come in ieri, in uno come in uomo. Le grafie IPA<br />

mostrano invece la differenza di articolazione: [ˈi:ra] vs. [ˈjɛ:ri], [ˈu:no] vs. [ˈwɔ:mo].<br />

5


d-h, g-h, g w<br />

-h; così va pronunciata, oggi la di Gandhi), secondo il<br />

seguente schema:<br />

bilabial<br />

e<br />

alveolare<br />

(dentale)<br />

velare labiovelare<br />

sorda semplice p t k k w<br />

sonora semplice b d g g w<br />

sonora aspirata b h<br />

d h<br />

Di fronte a questa abbondanza di occlusive, la lingua possedeva una sola<br />

consonante fricativa, l'alveolare sorda [s].<br />

Inoltre, come si è già detto in precedenza, l'indoeuropeo aveva altre sei<br />

consonanti, tutte sonore, che fungevano da semivocali: [j] (approssimante<br />

palatale) e [w] (approssimante labiovelare), [m] (nasale bilabiale), [n] (nasale<br />

alveolare), r (vibrante alveolare) [l] (approssimante laterale alveolare).<br />

Le principali isoglosse del germanico comune<br />

1. Vocali<br />

a) Il passaggio a-o<br />

Sembra probabile che le vocali lunghe fossero più tese delle brevi<br />

corrispondenti, e dunque suonassero più chiuse: quindi [ɛ] vs. [e:], [ɔ] vs.<br />

[o:]. 3<br />

3 Ancor oggi, rispetto alle vocali lunghe e brevi del latino, l'italiano standard ha di norma [ɛ]<br />

[ɔ] in corrispondenza di e, o brevi del latino, ed [e] [o] in corrispondenza di e, o lunghe del<br />

g h<br />

g wh<br />

6


Questa caratteristica si accentuò in germanico, dove la o breve e la [ə] si<br />

aprirono tanto da confondersi con [a], mentre la [a:] si chiuse fino a<br />

confondersi con [o:].<br />

b) La mutazione dei dittonghi<br />

Dal momento che i dittonghi dell'indoeuropeo avevano tutti la vocale breve,<br />

[oj] ed [ow] si confusero con [aj] e [aw]. Inoltre, per un fenomeno di<br />

assimilazione abbastanza intuitivo, il primo elemento del dittongo ej si<br />

assimilò al secondo, finendo per fondersi ad esso in una vocale lunga: ie.<br />

*[ej] > [ij] > g.c. *[i:].<br />

Il risultato fu che in germanico comune rimasero solo tre dittonghi: *[aj] [aw]<br />

[ew].<br />

c) L'esito delle sonanti<br />

Le semivocali [l̥][m̥̥][n̥][r̥̥]<br />

svilupparono una vocale breve "di appoggio" di<br />

timbro [u], e così si trasformarono:<br />

ie. * [l̥][m̥̥][n̥][r̥]<br />

> g.c. * [ul][um][un][ur]<br />

per es. i.e. *[kn̥ˈtom] "cento" > g.c. *[xunˈðam] (cioè il primo elemento di<br />

hundred; cfr. lat. centum).<br />

2. Consonanti<br />

a) Mutazione consonantica germanica (o "Prima Legge di Grimm")<br />

In germanico il sistema delle occlusive indoeuropee si ristruttura sulla base di<br />

principi di economia fonetica:<br />

1) le occlusive sorde perdono l'occlusione, trasformandosi nelle fricative dello<br />

stesso luogo di articolazione: [p] [t] [k] [k w<br />

] > [ɸ] [θ] [x] [x w<br />

]<br />

molto presto la [ɸ] passò a [f] per una elementare adeguamento<br />

(l'articolazione labiodentale sorda è più facile da pronunciare e più nitida,<br />

latino.<br />

7


dunque più economica in termini di energia articolatoria); molto più tardi, alla<br />

fine del periodo comune, anche la [x] non seguita da consonante subì un<br />

indebolimento in [h], passando dall'articolazione velare a quella glottidale.<br />

2) Una volta scomparse le consonanti occlusive sorde, le consonanti<br />

occlusive sonore semplici non avevano più bisogno della sonorità e persero<br />

la vibrazione delle corde vocali, trasformandosi nelle sorde corrispondenti: [b]<br />

[d] [g] [g w<br />

] > [p][t][k][k w<br />

].<br />

3) Infine, a questo punto le consonanti occlusive sonore aspirate non<br />

avevano più bisogno dell'aspirazione per opporsi alle sonore semplici,<br />

dunque si trasformarono in occlusive pure: [b h<br />

] [d h<br />

][g h<br />

][g wh<br />

] > [b][d][g][g w<br />

].<br />

per es. ie. *[ˈb h<br />

ra:te:r] > g.c. *[ˈbro:θe:r]<br />

Inoltre, quando si trovavano in posizione interna, soprattutto tra vocali, si<br />

indebolirono fino a trasformarsi nelle fricative corrispondenti (in modo analogo<br />

a quello che è successo al latino rubus nel passaggio all'italiano rovo):<br />

[b h<br />

] [d h<br />

][g h<br />

][g wh<br />

] > [b][d][g][g w<br />

] > [β] [ð][ɣ][ɣ w<br />

]<br />

per es. ie. *[dhrejbh-] > g.c. *[dri:β-] (im. drive).<br />

b) Eccezioni alla mutazione consonantica germanica<br />

Il germanico comune non consentiva gruppi di due consonanti fricative, per<br />

cui i gruppi con [s] + [p][t][k] non potevano mutare in **[sɸ][sθ][sx].<br />

Conseguentemente, rimangono invariati: per questo l'inglese stay e il tedesco<br />

stehen corrispondono all'italiano stare.<br />

Per lo stesso motivo, nei gruppi consonantici [pt] [kt] non potevano mutare<br />

entrambi gli elementi; quando il primo si fu trasformato, il secondo rimase<br />

bloccato.<br />

8


Quindi ie. *[pt] [kt] > g.c. *[ɸt][xt] (e non **[ɸθ] [xθ]).<br />

ie. *[kapt-] > g.c. *[xaɸt] (da cui ted. mod. ver-haften)<br />

ie. *[nokt-] > g.c. * [naxt-] (da cui ted. mod. Nacht)<br />

c) La Legge di Verner<br />

Il linguista danese Karl Verner scoperse poi un altro correttivo alla mutazione<br />

consonantica germanica; le consonanti fricative sorde del germanico comune<br />

si sono trasformate in sonore quando si trovavano 1) all'interno di parola, 2)<br />

in contesto sonoro (tra vocali e/o semivocali) e 3) l'accento della parola non<br />

cadeva sulla sillaba precedente, per un semplice processo di assimilazione<br />

(le corde vocali dovevano vibrare prima e dopo il suono in questione, quindi<br />

tendevano a restare in vibrazione). Questo fenomeno interessò tanto le<br />

consonanti fricative prodotte dalla mutazione consonantica germanica,<br />

quanto l'unica fricativa indoeuropea; dunque non solo ie. *[ɸ] [θ] [x] [x w<br />

] > g.c.<br />

*[β] [ð] [ɣ] [ɣ w<br />

], ma nelle stesse condizioni anche ie. *[s] > g.c. *[z].<br />

d) La fissazione dell'accento<br />

Sappiamo che in germanico comune mutò il sistema accentuativo<br />

dell'indoeuropeo, fissando l'accento sulla sillaba radicale (rizotonia) e<br />

trasformandolo da tonale in espiratorio. Ma il fatto che la posizione<br />

dell'accento fosse fondamentale nella legge di Verner indica che quando<br />

avvennero la mutazione consonantica germanica e poi la Legge di Verner il<br />

germanico manteneva ancora l'accento libero indoeuropeo. Quindi possiamo<br />

stabilire una cronologia relativa tra questi tre fenomeni.<br />

Meno certo è quando l'accento germanico divenne espiratorio, ma è un fatto<br />

che in tutte le lingue germaniche, anche il gotico che è la più anticamente<br />

attestata, notiamo la tendenza a ridurre le vocali delle sillabe atone (got.<br />

9


wulfs < ie. *[ˈwl̥pos]). Tradizionalmente, questo fenomeno sembra potersi<br />

spiegare con la fissazione di un forte accento espiratorio sulla sillaba<br />

radicale, che ha portato ad articolare con sempre minore forza le sillabe<br />

atone. 4<br />

La prima divisione del germanico: il germanico nordoccidentale<br />

Il germanico nordoccidentale si distingue da quello orientale per una serie di<br />

isoglosse di innovazione, sia fonetiche sia morfologiche.<br />

1) Apertura di *[e:] indoeuropea e creazione di *[e:] germanica<br />

Tra le prime, la più importante è sicuramente l'evoluzione del g.c. *[e:].<br />

Questo fonema si era gradualmente aperto in [ɛ:] e poi in [æ:], dato che non<br />

aveva più bisogno di distinguersi dalla [a:] come in indoeuropeo (quest'ultima,<br />

infatti, si era trasformata in [o:] con il passaggio a-o). Per es., il verbo g.c.<br />

*[ˈle:tan] "lasciare" si trova in gotico come letan, ma nelle lingue germaniche<br />

nordoccidentali come *[ˈla:tan] (cfr. ted. mod. lassen, isl. láta; l'inglese let è un<br />

caso a parte, perché la [a] è passata ad [e]).<br />

Il gruppo nordoccidentale si sarebbe creato successivamente una nuova [e:],<br />

più chiusa della precedente, nel preterito di alcuni verbi (per esempio, lo<br />

stesso *[ˈle:tan], che in gotico era un verbo con preterito raddoppiato [ˈlɛlo:t] e<br />

che nelle lingue nordoccidentali ottiene un preterito [ˈle:t] da cui liess del<br />

tedesco, let dell'inglese e lét dell'islandese) e in alcuni prestiti dal latino (lat.<br />

volg. *spegulum > g.occ. [ˈspe:gul]).<br />

Per brevità, le due e lunghe sono spesso indicate come e 1<br />

2) Alternanza grammaticale<br />

ed e 2<br />

.<br />

Nel solo gruppo nord-occidentale resta una traccia della Legge di Verner<br />

4 Una tendenza simile, sia pure meno marcata, si ritrova nelle lingue romanze; nell'italiano<br />

standard è stata meno violenta che nei dialetti pugliesi, dove la parola [ftɛnd] può<br />

diventare monosillabo, rispetto al trisillabo italiano fetente.<br />

10


all’interno del paradigma dei verbi: infatti nei verbi si alternavano forme con<br />

accento radicale (del tipo amo) ad altre ad accento desinenziale (del tipo<br />

amò). Dunque nei verbi che hanno una fricativa sorda nella radice del<br />

germanico comune, questa fricativa tende a sonorizzarsi nelle forme ad<br />

accento desinenziale.<br />

Questo sviluppo doveva essere comune a tutte le lingue germaniche, ma in<br />

gotico non ne resta traccia: evidentemente fu livellato dall’analogia, come poi<br />

è successo nelle lingue germaniche moderne. Le lingue antiche del gruppo<br />

germanico nordoccidentale, avevano ancora la differenza tra [ɸ] [θ] [x] [s]<br />

nelle forme con accento originario radicale e [β] [ð] [ɣ] [z] nelle forme con<br />

accento originario desinenziale, per cui uno stessa radice verbale ie. *w.rt-<br />

aveva nel germanico nordoccidentale la forma di infinito *[werθan] e di<br />

preterito singolare *[warθ] la forma di preterito plurale *[wurðun].<br />

3) Rotacismo<br />

Il germanico nordoccidentale trasforma le fricative alveolari sonore [z] esito di<br />

Legge di Verner in [r]. Laddove, dunque, nei verbi esisteva un'alternanza<br />

grammaticale tra forme con accento radicale fin dall'indoeuropeo e forme che<br />

prima avevano avuto l'accento desinenziale, l'alternanza nelle lingue<br />

germaniche nordoccidentali antiche fu tra [r] e [s]: per esempio, le due forme<br />

del preterito moderno del verbo "essere" in inglese, was e were (< wezun)<br />

derivano entrambe da una radice *wes- ancora conservata nel tedesco<br />

wesen, con g.c. [z] > [r]. Lo stesso fenomeno si è conservato in nl. was -<br />

waren, mentre tm. war al singolare è rifatto per analogia sul plurale waren:<br />

prima di Lutero, il preterito singolare del verbo era comunemente was anche<br />

in tedesco.<br />

Allo stesso modo, im. loose "perdere" e forlorn "smarrito (in senso<br />

metaforico)" derivano dallo stesso verbo, con radice g.c. * [lews-]. Anche in<br />

questo caso, il tedesco ha regolarizzato le forme nel paradigma: oggi il verbo<br />

11


"perdere" è verlieren, participio verloren. Ma si veda l'infinito aat. furliosan,<br />

participio furloran.<br />

Questo succede anche per parole isolate, come il g.c. *[majz-a] “maggiore, di<br />

più”, g.nord-occ. *[majr-], da cui isl. meir, ags. mār (oggi more) e aat. mēr<br />

(oggi mehr).<br />

In nordico, questo succede anche per le desinenze: per esempio il g.c.<br />

*[daɣaz] si trasforma in isl. dagr, mentre ags. dæg e aat. tag sono derivati da<br />

una forma g.occ. *[daɣ] in cui la z era già caduta.<br />

4) Metafonie<br />

Si tratta di processi assimilativi avvenuti in tutte le lingue nordoccidentali ma<br />

con modalità differenti, in base ai quali la vocale della sillaba radicale si<br />

assimila parzialmente o totalmente ad una vocale "estrema" (i, u, a) o<br />

semivocale (j, w) di una sillaba successiva. La metafonia da i/j viene anche<br />

detta "palatale" (perché questi suoni si pronunciano al livello del palato duro),<br />

mentre la metafonia da u/w è detta "velare" (perché sono articolati nel palato<br />

molle, o velo). La metafonia da [a], che apre le vocali, è quella meno<br />

regolare, eppure si ritrova in alcuni casi antichi come la parola g.c. *[ˈwiraz] ><br />

g.c. *[ˈweraz] "uomo" (cfr. latino vir "uomo", da cui italiano "virile"; la parola è<br />

scomparsa nelle lingue moderne, anche se sopravvive in molti nomi di luogo:<br />

per esempio il nome antico di Canterbury era ags. Cant-wera-burg "<br />

roccaforte degli uomini del Kent"), dove [i] si apre in [e], o in molti participi del<br />

tipo g.c. *[gabuˈranaz] da cui isl. borinn, im. born e tm. geboren, dove [u] si<br />

apre in [o].<br />

Per esempi di metafonia palatale: la parola g.c. *[ˈgro:ni] "verde" > ags. grøn<br />

e poi gr e n; in un primo momento la vocale posteriore semichiusa<br />

arrotondata [o:] subisce l'influsso dell'anteriore [i], spostando la sua<br />

articolazione verso il palato (per questo la metafonia da i o da j viene<br />

chiamata palatale), diventa così una anteriore semichiusa arrotondata [ø:],<br />

12


ma perde presto l'arrotondamento, diventando una anteriore semichiusa non<br />

arrotondata [e:] (da cui inglese moderno green). Anche in nordico antico<br />

succede la stessa cosa, e la forma diventa grœn (pronunciato [grø:n]). In<br />

tedesco antico questa metafonia non è ancora avvenuta; avverrà solo nella<br />

fase media, dopo che la [o:] si era trasformata nel dittongo [wo]; aat. gruoni<br />

diventerà dunque grüen(e), da cui tm. grün. Il tedesco antico ha solo la<br />

metafonia palatale (cioè da i) di [a] in vocale breve, in plurali del tipo aat. hant<br />

- henti, dove il plurale è derivato dal g.c. *[ˈxand-iz] (cfr. tm. Hand, pl. Hände).<br />

La parola g.c. [ˈkuningaz] "re" > ags. cyning [ˈkyning], in cui la posteriore<br />

chiusa arrotondata [u] subisce l'influsso della successiva anteriore chiusa non<br />

arrotondata [i] e diventa anch'essa anteriore, ma conservando<br />

l'arrotondamento almeno in un primo momento (ma poi esso scompare nella<br />

fase media kining > im. king). La forma dei manoscritti in tedesco antico è<br />

ancora aat. kuning, ma la pronuncia doveva essere già [køning], altrimenti<br />

non si spiegherebbe il tm. könig.<br />

La divisione del germanico occidentale da quello settentrionale è ancora più<br />

netta nel caso della metafonia palatale, che in nordico ha una diffusione<br />

molto maggiore. Per esempio i femminili in - ō , che in nordico era evoluta in -<br />

u prima di scomparire, rispondono regolarmente chiudendo e/o arrotondando<br />

le vocali della radice: isl. för "viaggio" (pronunciato originariamente forse<br />

prima [fɞr], poi [fœr]) dal germanico settentrionale *far-u. Stessa cosa per la<br />

semivocale: il verbo g.c. *[ˈsingwan] "cantare" diventa il nordico syngva,<br />

mentre in im. sing e in tm. singen la [w] scompare senza lasciare traccia.<br />

Il germanico occidentale<br />

L'ambito germanico che a noi interessa di più è chiaramente quello<br />

occidentale, perché ne derivano inglese e il tedesco (ma anche il<br />

nederlandese e frisone) moderni.<br />

Condivide alcuni tratti comuni: per esempio, un ulteriore indebolimento<br />

13


delle desinenze. In particolare delle vocali desinenziali; è lecito pensare che<br />

le vocali non radicali intorno al 1000 si fossero per lo più ridotte a [ə], infatti<br />

nella grafia si confondevano l'una con l'altra (il tedesco opporrà più resistenza<br />

dell'inglese e del frisone a questa tendenza generalizzata). Le principali<br />

isoglosse tuttavia sono le seguenti:<br />

1) Esito di g.c. *ð > d<br />

In germanico occidentale, la fricativa dentale sonora del germanico<br />

comune si rafforza e torna occlusiva, mentre in germanico settentrionale<br />

resta fricativa. Per es., g.c. *[ˈgo:ð-az] dà isl. góðr e ags. god. In alcuni casi,<br />

questo rafforzamento si è poi perso in inglese, per esempio ags. fæder,<br />

moder > father, mother con [ð]. Gli esiti del tedesco antico (per mutazione<br />

consonantica tedesca) fatar, muotar (da cui vater, mutter) sono invece esiti<br />

regolari della [d]. Le altre fricative sonore del germanico comune restano<br />

invariate e sono alla base della differenza, ad esempio, tra l'inglese seven e il<br />

tedesco sieben, entrambi dal g.c.*[seˈβun], ma in cui il secondo rafforza<br />

sempre le fricative in occlusiva.<br />

2) Geminazione consonantica<br />

Il germanico occidentale tende a raddoppiare una consonante seguita<br />

da una semivocale; questo spiega per esempio la geminazione dell'inglese<br />

apple, cui in islandese corrisponde la forma epli, o nel tedesco Acker, rispetto<br />

al lat. ager.<br />

Questo sviluppo è particolarmente regolare davanti a [j], e visto che<br />

moltissimi verbi avevano la desinenza -jan, essi cambiano la forma radicale.<br />

Per cui abbiamo uno stesso verbo in gotico come satjan (praticamente<br />

identico al tardo germanico comune), in nordico antico setja (con metafonia<br />

palatale di [a]), in ags. settan (con metafonia e geminazione, da cui moderno<br />

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set). La forma tedesca antica sezzan [ˈsetsan] (da cui moderno setzen) deriva<br />

anch'essa da geminazione, ma la [t:] ha seguito la mutazione consonantica<br />

tedesca.<br />

Anglo-frisone<br />

1) Vocali<br />

Le vocali dell'anglo-frisone cambiano molto rispetto all'indoeuropeo.<br />

a) Innanzi tutto, i gruppi di vocale + nasale + fricativa sorda ([f, θ, x, s]) si<br />

semplificano in vocale lunga nasalizzata + fricativa sorda (in realtà, a + n + x<br />

si era probabilmente semplificato fin dal germanico comune).<br />

b) La [a] tende a chiudersi in [æ] o addirittura in [ɛ]: g.c. *[faˈðe:r] > ags.<br />

fæder. Questa fenomeno non avviene per al [a] nasalizzata ([a]), che le fonti<br />

inglesi addirittura tendono a scrivere : per es. ags. lond, mon (moderno<br />

land, man). Questa [o] si conserva quando era atona (per es. nella<br />

preposizione on, cfr. tedesco an) o quando era lunga, esito di una<br />

semplificazione di un gruppo come a + n + x, un fenomeno antichissimo,<br />

avvenuto già in germanico comune (come in alcuni preteriti quali θanxta, da<br />

cui moderno thought, cfr. isl. þótti; il tedesco qui ha perso la nasalizzazione:<br />

dachte) o da fenomeni più recenti (cfr. ingl. antico gos, moderno goose, da<br />

g.c. *[ˈgans-iz]; la forma del tedesco Gans è molto più conservativa).<br />

c) I dittonghi germanici con primo elemento [a], vale a dire [aj] e [aw], si<br />

modificano drasticamente. Il primo subisce la cosidetta monottongazione: [aj]<br />

> [a:], che resiste alla palatalizzazione (g.c. *[ˈstain-az] > g. occ. [ˈstain] > ags.<br />

stān “pietra”, cfr. inglese stone e tedesco stein), mentre [aw] > [æɒ]/[æɑ],<br />

scritto (g.c./g.occ. *[kaup-] > ags. ceap- “comprare”, cfr. inglese cheap<br />

"economico", originariamente "acquisto a buon mercato, affare" e tedesco<br />

kaufen). L'altro dittongo [eu] si trasforma in [eʊ], scritto : g.c. *[ˈlewsan] ><br />

ags. leosan “perdere” (loose, cfr. tedesco moderno ver-lieren con rotacismo).<br />

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Questi dittonghi si monottongheranno alla fine del medioevo in modo non<br />

regolare (deop > dep > deep [di:p], ma leosan > losen > loose [lu:s]; heah ><br />

hieh > hih [hɑj], ma ags. ear > er > ear [i:ɐ]).<br />

d) Le vocali dell'inglese moderno non corrispondono quasi mai a quelle<br />

dell'inglese del periodo anglosassone, perché all'inizio dell'età moderna è<br />

avvenuta una trasformazione completa delle vocali (Grande spostamento<br />

vocalico o Great Vowel Shift) per cui le vocali lunghe [i:] e [u:] si sono<br />

trasformate in dittonghi (per es. ags. wīs, mus > im. wise, mouse), le vocali<br />

lunghe [e:] ed [o:] si sono chiuse in [i:] [u:] (per es. ags. scep, son > im.<br />

sheep, soon), e la [a:] a seconda del contesto fonetico si è chiusa in [e:] o in<br />

[o:], che si potevano poi ulteriormente dittongare (per es. ags. walas, stan ><br />

im. Wales, stone). La grafia dell'inglese moderno, però, in gran parte risale a<br />

prima dello spostamento vocalico e non si è mai adattata.<br />

2) Consonanti<br />

L'innovazione più evidente nell'inglese antico è la palatalizzazione delle<br />

consonanti velari in contiguità di un suono palatale, un fenomeno simile a<br />

quello per cui il latino centum – pronunciato [ˈkɛntum] – diventa l'italiano<br />

cento. Così nell'ags. cin “mento” la pronuncia passa da [kɪn] a [tʃɪn] (cfr.<br />

tedesco Kinn). A differenza dell'italiano, un simile fenomeno avviene anche<br />

quando il suono palatale precede la velare: così, nell'ags. rīc “ricco”, la<br />

pronuncia passa da [ri:k] a [ri:tʃ]. Inoltre la palatalizzazione avviene sempre<br />

nel gruppo consonantico [sk] > [ʃ] (g.c. *skīr-az > ags. *scīr > sheer; qui il<br />

tedesco ha lo stesso sviluppo, come si vede dalla parola schier).<br />

Mentre la palatalizzazione di [k] si ferma a [tʃ], quella di [g] (che poi<br />

spesso era la fricativa [ɣ], dunque articolata con minor forza) deve essere<br />

passata assai presto da [dʒ] a [ʒ] e poi [j]. La pronuncia 'storica' di <br />

palatale in inglese antico infatti è [j]: l'ags. dæg si pronunciava già [dæj] (già<br />

16


alla fine del periodo anglosassone può essere scritto anche dei; la grafia<br />

moderna è parzialmente etimologica). Si noti che questo indebolimento non<br />

si verifica per consonante intensa: la [g] di g.occ. *leggjan > licgan (dove<br />

è la grafia normale di [dʒ]).<br />

Tra le nuove consonanti esito di palatalizzazione e le vocali palatali<br />

successive si inseriscono vocali di transizione, chiamate 'glide': per cui g.occ.<br />

*geldan > *gieldan pronunciato [jiɛldan] “pagare, offrire” (yeld), che<br />

ovviamente viene dalla stessa radice di gold “oro” (questi glides si trovano<br />

anche davanti a [j] originaria: si veda inglese moderno year < ags. gear <<br />

anglo-frisone *[jæ:r], mentre in tedesco la forma Jahr conserva la vocale del<br />

germanico nordoccidentale, corrispondente al g.c. *[je:r]).<br />

b) Le fricative sonore<br />

Già in inglese antico la fricativa bilabiale sonora del germanico occidentale [β]<br />

poteva essere scritta (ags. sefon > im. seven), confondendosi con la<br />

pronuncia sonora che [f] aveva assunto tra vocali (il tipo wulfas > im. wolves).<br />

Nel periodo medio anche la [ɣ] si trasforma, facendosi assorbire dalla vocale<br />

precedente, per es. ags. brohte [bro:xt] > im. brought [browt], ags., niht [nixt]<br />

> im. night [nɑjt] (attraverso una fase intermedia [ni:t]).<br />

Tedesco<br />

Vocali<br />

a) Tendenza alla monottongazione di [aj] [aw]<br />

Il gruppo del tedesco tende a mantenere la [a] del germanico occidentale. Nei<br />

dittonghi [aj] ed [aw], i due elementi tendono ad avvicinarsi.<br />

Nel gruppo basso-tedesco subiscono regolarmente monottongazione in<br />

vocale lunga [e:] [o:] (g.occ. * [stajn] > nederlandese moderno steen "pietra",<br />

g.occ. *[bawm] "tronco, albero" > nederlandese boom). In alto-tedesco questo<br />

fenomeno avviene solo in determinati contesti.<br />

17


In alto-tedesco, il dittongo [aw] viene scritto (pronunciato [ow] o forse<br />

[ɔw]), ma nella fase media della lingua i due elementi torneranno distinti [aw],<br />

andandosi a confondere con gli esiti (moderni) di [u:] (g.occ. *[awɣ-on] > aat.<br />

ouga, tm. Auge, con [aw] come tm. Haus < g.occ./aat. [hu:s]). Laddove<br />

seguono alcune consonanti, il gruppo [aw] tuttavia si monottonga. Per es. g.<br />

occ. *[awz-on] > aat. ora, tm. Ohr, identico nella pronuncia al nl. oor.<br />

Il dittongo [aj] diventa solo [ej], scritto e si ferma così: g.occ. [stajn] > aat.<br />

stein, mod. Stein, che nella pronuncia (ma non nella notazione) evolve in [aj]<br />

andandosi a confondere con gli esiti (moderni) di [i:] (tm. weise < aat. wîs <<br />

g.occ. [wi:s], cfr. im. wise). Di nuovo, esistono alcuni casi di assimilazione in<br />

determinati contesti fonetici: g.occ. *[ajr-ist] > aat. ērist "il più avanti; il<br />

primo" (nl. eerst).<br />

b) Dittongazione di [e:], [u:]<br />

Le vocali lunghe [o:] e [e:] si dittongano in tedesco in [wo] ([wɔ]? spesso<br />

scritto ) e [jɛ] ([jæ]? spesso scritto ). Poi questi dittonghi si<br />

monottongheranno di nuovo in età moderna, in [u:], [i:] (il primo di norma<br />

scritto , come in bruder da aat. bruodar < g.c./g.occ. *[ˈbroθer], il secondo<br />

come in aat. spiegal < g.occ. *[ˈspe:gul].<br />

Consonanti: la mutazione consonantica alto-tedesca<br />

Nel gruppo tedesco notiamo il rafforzamento della pronuncia di tutte le<br />

consonanti. Questo rafforzamento, che comporta una esplosione maggiore<br />

dei suoni sordi (che però ne vengono intaccati, diventando affricate laddove<br />

erano articolate con maggior forza, e fricative intense dove erano più deboli)<br />

porta ad una nuova mutazione consonantica, che parte dai dialetti meridionali<br />

del tedesco e tocca l'area centrale solo in parte. Nel basso-tedesco non<br />

arriverà mai.<br />

Questa mutazione consonantica, chiamata alto-tedesca o "Seconda Legge di<br />

18


Grimm", stabilisce che le occlusive sorde del germanico occidentale cambino<br />

in questo modo:<br />

germanico<br />

occidental<br />

e<br />

esito in posizione iniziale,<br />

postconsonantica<br />

(postnasale)<br />

o intensa<br />

p pf ff<br />

esito in posizione interna (tra vocali)<br />

o in finale postvocalica<br />

t ts (grafia: ) ss (grafia: )<br />

k kx (grafia: ) xx (grafia: )<br />

Questo fenomeno è regolare in alto-tedesco superiore, ma non in alto-<br />

tedesco medio (o centrale): qui infatti la [k] non muta in posizione forte, ma<br />

solo in posizione debole.<br />

Naturalmente, le consonanti dei nessi *[sp] [st] [sk] [ft] [xt] nella seconda<br />

mutazione non mutano per non creare combinazioni impronunciabili come<br />

**[spf], [sts] [skx] [fts] [xts]. La stessa cosa succede anche al nesso *[tr], per<br />

gli stessi motivi. Per es. g.occ. [trew] "fedele" > aat. treu (cfr. im. true "vero",<br />

che ha conservato il significato originario nel sintagma true to one's word).<br />

Ess.<br />

lat. papa "prete, papa" > aat. pfaffe "prete, parroco"; g.occ. [stump] "zoppo" ><br />

aat. stumpf (cfr. im. stump) g.occ. *[appul] "mela" > aat. apfel; g.occ. *[twaj]<br />

"due" > aat. zwei; g.occ. *[sattjan] > aat. sezzan [setsan] (im. set); g.occ.<br />

[etan] > aat. ezzan [essan] (im. eat); g.occ. [wurt] > aat. wurz "pianta, radice"<br />

(cfr. im. wort); g.occ. [ko:ni] > aat. kuoni (ma aat. superiore *chuoni [kxuoni])<br />

> mod. kühn "prode" (cfr. im. keen "acuto"); g.occ. [bo:k] "libro" > aat. buoh ><br />

tm. Buch (cfr. im. book).<br />

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Le occlusive sonore del germanico occidentale, come nella precedente<br />

mutazione, non trovando più sorde a cui opporsi, tendono a perdere la<br />

sonorità:<br />

[b] > [p]<br />

[d] > [t]<br />

[g] > [k]<br />

Tuttavia, questo fenomeno avviene regolarmente solo per la [d] (unica tra le<br />

consonanti sonore a non avere più un corrispettivo fricativo), mentre [b] e [g]<br />

mutano solo in alto-tedesco superiore e quando avevano subito la<br />

geminazione; comunque il tedesco rafforza sempre in occlusiva [β][ɣ] > [b][g].<br />

Per es.<br />

g.occ. [bard] "barba" > aat. bart (im. beard), aat. superiore part;<br />

g.occ. [seβun] "sette" > aat. sibun (im. seven), aat. superiore sipun;<br />

g.occ. [daɣ] "giorno" > aat. tag (im. day), aat. superiore tac;<br />

g.occ. [god] "dio" > aat. got > tm. Gott (im. God), aat. superiore kuot;<br />

g.c. *[seβjo] > g.occ. *[seββjo] > aat. sippa "clan, famiglia allargata" (dall'ags.<br />

sibb[e] deriva il moderno sibling "fratello e/o sorella").<br />

g.c. *[aɣjo] "spigolo, margine" > g.occ. *[aɣɣjo] > aat. ekka > tm. Ecke<br />

"angolo" (im. edge "margine").<br />

Una volta che g.occ. *[d] > [t], l'alto-tedesco trasforma in occlusiva anche la<br />

fricativa g.occ. *[θ] > [d], un fenomeno dunque conseguente alla mutazione<br />

consonantica tedesca.<br />

per es. g.occ. *[θat] > aat. daz > tm. dass (im. that).<br />

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