0774BvS n.4 Luglio-agostoOK.qxd - Biblioteca di via Senato

la Biblioteca di via Senato 

mensile 

Milano 

anno I 

n.4 – luglio/agosto 2009 

Vent’anni 

di Scapigliatura 

in lettere 

giuseppe farinelli 

Sommaruga 

e Carducci, 

amici di penna 

matteo noja 

L’IFLA a Milano 

e una nostra 

mostra ad hoc 

eugenio canone 

e annette popel pozzo

The only sensible thing to do with 

is to them. 

Sir Richard Branson, entrepreneur extraordinaire and adventurer. 

His never ending quest for the next big idea brings 

him to the inspirational solace of Necker, his island. 

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la Biblioteca di via Senato - Milano 

MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO I – N.4 – MILANO, LUGLIO/AGOSTO 2009 

Sommario 

5 

11 

20 

25 

42 

46 

Scapigliatura e satira 

FARE COLLA PENNA 

UN PO’ DI GUERRA* 

di Annie-Paule Quinsac 

Scapigliatura e lettere 

QUEI VENT’ANNI DELLA 

BOHÈME MENEGHINA* 

di Giuseppe Farinelli 

Da un amichevole carteggio 

ANGELO SOMMARUGA 

E GIOSUÈ CARDUCCI 

di Matteo Noja 

inSEDICESIMO – Le rubriche 

CONGRESSO IFLA, EVENTI, 

ANASTATICHE, CATALOGHI, 

MOSTRE E RECENSIONI 

La mostra di Sala Campanella 

GIORDANO BRUNO E 

TOMMASO CAMPANELLA: 

OPERA OMNIA 

di Eugenio Canone 

e Annette Popel Pozzo 

Libri in scena 

TEATRO DI VERDURA, 

SEMPRE APERTO 

di Sonia Corain 

54 

56 

58 

60 

62 

Chicche in collezione 

LA CENSURA E 

I LIBRI ESPURGATI 

di Annette Popel Pozzo 

Libri ritrovati 

SICILIA E GRAND TOUR 

di Chiara Bonfatti 

La Fiera letteraria 

I “FORMATI”: RICHIAMI, 

SEGNATURE, REGISTRO 

di R. Obredi 

L’intervista d’autore 

IL DIVINO ANDREOTTI 

VISTO DA VICINO 

di Luigi Mascheroni 

Novità in collezione 

UNA RACCOLTA 

SEMPRE PIÙ RICCA, 

OGNI MESE 

di Chiara Bonfatti, Giacomo 

Corvaglia e Annette Popel Pozzo 

* tratto dal catalogo BvS della mostra 

“La Scapigliatura e Angelo Sommaruga”

Consiglio di amministrazione della 

Fondazione Biblioteca di via Senato 

Marcello Dell’Utri (presidente) 

Giuliano Adreani, Carlo Carena, 

Fedele Confalonieri, Maurizio Costa, 

Ennio Doris, Paolo Andrea Mettel, 

Fabio Perotti Cei, Fulvio Pravadelli, 

Carlo Tognoli 

Segretario Generale 

Angelo De Tomasi 

Collegio dei Revisori dei conti 

Achille Frattini (presidente) 

Gianfranco Polerani, 

Francesco Antonio Giampaolo 

Fondazione Biblioteca di via Senato 

Elena Bellini segreteria mostre 

Chiara Bonfatti sala Campanella 

Sonia Corain segreteria teatro 

Giacomo Corvaglia sala consultazione 

Claudio Ferri direttore 

Luciano Ghirelli servizi generali 

Matteo Noja conservatore della 

Biblioteca 

Donatella Oggioni responsabile teatro 

e ufficio stampa 

Annette Popel Pozzo responsabile 

del Fondo Antico 

Gaudio Saracino servizi generali 

Stampato in Italia 

© 2009 – Biblioteca di via Senato 

Edizioni 

Tutti i diritti riservati 

Direttore responsabile 

Angelo Crespi 

Ufficio di redazione 

Matteo Tosi e Gianluca Montinaro 

Progetto grafico e impaginazione 

Elena Buffa 

Fotolito e stampa 

Galli Thierry, Milano 

Referenze fotografiche 

Saporetti Immagini d’Arte Snc, 

Milano 

L’editore si dichiara disponibile 

a regolare eventuali diritti 

per immagini o testi di cui 

non sia stato possibile reperire 

la fonte 

Immagine in copertina: 

Camillo Cima, V. Ottolini, 

da Album di caricature milanesi, 

Milano, coll. privata 

Questo periodico è associato alla 

Unione Stampa Periodica Italiana 

Direzione e redazione 

Via Senato, 14 – 20121 Milano 

Tel. 02 76215318 

Fax 02 782387 

segreteria@bibliotecadiviasenato.it 

www.bibliotecadiviasenato.it 

Bollettino mensile della 

Biblioteca di via Senato Milano 

distribuito gratuitamente 

Reg. Trib. di Milano n. 104 del 

11/03/2009

MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO I – N.4 – MILANO, LUGLIO/AGOSTO 2009 

Editoriale 

la Biblioteca di via Senato - Milano 

Dal 23 al 27 agosto prossimo si terrà 

a Milano il convegno annuale 

della IFLA dedicato a “Libraries create 

futures: building on cultural heritage”. 

In questa occasione la Fondazione 

Biblioteca di via Senato presenterà una mostra 

su “Giordano Bruno e Tommaso Campanella: 

Opera omnia”, che oltre a riunire un numero 

notevole delle rarissime prime edizioni 

di Giordano Bruno e l’opera pressoché completa 

di Tommaso Campanella in prima edizione 

proporrà anche la sentenza di condanna 

di Giordano Bruno, documento unico, oggi 

custodito nell’Archivio della Congregazione 

per la Dottrina della Fede (Città del Vaticano). 

L’appuntamento con l’International 

Federation of Library Associations 

and Institutions sarà senza dubbio un momento 

di attenta riflessione sul ruolo della biblioteca 

come istituzione che, inserita in un mondo 

mai come adesso in continua e rapida 

evoluzione, deve trovare nuove idee e stimoli 

per poter meglio conservare e valorizzare 

la cultura intesa nel suo insieme, in funzione 

di una programmazione e costruzione del futuro. 

Saranno coinvolti tutti i tipi di biblioteche 

(nazionali, universitarie e di ricerca, cittadine, 

scolastiche, speciali e private) nel tentativo 

comune di garantire un continuo e sicuro 

accesso alle eredità del passato. 

Il confronto di realtà ed esperienze tra loro 

diverse è necessario per cercare nuove 

e opportune modalità operative, auspicando una 

sintesi tra le varie funzioni assunte nel tempo 

dalle biblioteche: da quella, per esempio, ormai 

consueta di mediazione e di promozione 

culturale a quella tradizionale di preservazione 

e conservazione dei beni culturali. 

Tutto ciò con l’obiettivo di andare incontro 

alla gente, proiettandosi all’esterno grazie anche 

alle nuove tecnologie – che sono sempre più 

necessarie in questo settore e possono aiutare 

ad aggirare ostacoli e barriere – e grazie alla 

collaborazione con altre istituzioni sul territorio, 

come musei e archivi, in uno scambio proficuo 

con la realtà circostante; tutto ciò per soddisfare 

le esigenze di una società che nello sforzo 

di fondare nuovi valori e di crescere 

culturalmente non può assolutamente 

prescindere dalla presenza delle biblioteche.

luglio/agosto 2009 – la Biblioteca di via Senato Milano 5 

Tra il 1856 e il 1857 l’Austria tenta una conciliazione 

con i suoi domini lombardo-veneti, giocando 

anche la carta del viaggio in Italia dell’arciduca 

Massimiliano. A Milano si approfitta della contingenza 

per ridare fiato alla pubblicistica di stampo politico e patriottico 

che, se pur non del tutto, era stata ulteriormente 

zittita da misure censorie come la legge del 7 marzo 1852, 

che delegava a polizia e commissioni ad hocla facoltà di sospensione 

e, nei casi recidivi, di soppressione (o peggio 

dopo il fallimentare “mazziniano” del 6 febbraio 1853). 

Escono così, fra il 1856 e il 1857, appunto, i settimanali 

“L’Uomo di Pietra” e “Il Pungolo”, intorno ai quali, 

come cenacoli, si compatterà la prima Scapigliatura. 

L’Uomo di Pietra, “giornale letterario, umoristicocritico 

con caricature” dal motto “io non piangeva, sì 

dentro impietrai”, è fondato il 15 novembre 1856 da Antonio 

Ghislanzoni – letterato, baritono e librettista (Aida) 

– e diretto da Cletto Arrighi, nom de plume in anagramma 

di Carlo Righetti. Prende il titolo 

dalla statua del romano antico, originale 

del III secolo d.C. – un tempo in 

via San Pietro all’Orto, poi appoggiata 

a una colonna di corso Vittorio 

Emanuele n. 13 –, sorta di meneghin-Pasquino, 

al cui piedistallo i 

milanesi appendono commenti e 

sberleffi contro gli austriaci. 

Una BVS scapigliata 

 

FARE COLLA PENNA 

UN PO’ DI GUERRA 

Satira e vignette: testo e immagini, prove di arte “totale” 

Camillo Cima, da Album caricature 

milanesi, Il conte Emilio Visconti 

Venosta (a sinistra) e Il sindaco 

Antonio Beretta (a destra) 

ANNIE-PAULE QUINSAC 

Il Pungolo nasce il 7 marzo 1857, per iniziativa dello 

scrittore e drammaturgo Leone Fortis, sulle ceneri fumanti 

del soppresso giornale veneziano “Quel che si vede 

e quel che non si vede”. Sulla testata il diavolo zoppo e volante 

Asmodeo che con il pungolo tormenta i dannati e il 

motto, opportunamente ribaltato, “flectar non flangar”. 

In entrambi, a corredo dei testi, vignette e caricature. 

Gli scopi sono comuni e, oltre al «fare colla penna 

un po’ di guerra...» di Arrighi, spiegherà nel 1886 Camillo 

Cima (1827-1906), uno dei più geniali vignettisti del 

secondo Ottocento lombardo, : «... lottando di sottintesi, 

e di allusioni... per dire ciò che fosse compreso dal pubblico, 

non dai croati di Santa Margherita che minacciavano 

fulmini ad ogni numero». Le due redazioni sono praticamente 

intercambiabili, ed è sull’Almanacco del Pungolo per 

il 1858, datato al dicembre 1857, che Cletto Arrighi chiama 

Scapigliatura il nascente fermento esistenzial-ideologico 

in atto a Milano, pubblicando quello che in pratica 

ne è il primo manifesto, oltre che la 

presentazione del romanzo che andava 

scrivendo e che vedrà la luce 

presso Francesco Sanvito nel 1862, 

La Scapigliatura e il 6 febbraio (Un 

dramma in famiglia). È un battesimo 

che sancisce l’indissolubile legame 

fra Scapigliatura, satira e caricatura, 

politica e cronaca, giornalisti, letterati 

e artisti, anche nelle sopravvenienti 

nuove problematiche portate 

dalla raggiunta unità nazionale. 

Invero, negli anni Sessanta, 

Milano già possiede una radicata cultura 

della satira, di retaggio risorgi-

6 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio/agosto 2009 

mentale. Sul finire del ’40, le immagini più feroci si disegnavano 

ai tavoli del Caffè Martini e durante le Cinque 

Giornate gli acquerelli caricaturali del pittore-patriota 

Sebastiano De Albertis (1828-1897) su Radetzky, Ferdinando 

di Borbone o sul famigerato conte Bolza erano affissi 

ai muri delle case, con quelli del torinese Casimiro 

Teja (1830-1897) e di Camillo Cima (1827-1906). 

Quanto alla stampa e alla riproducibilità seriale, sarà 

ancora Cima ad affermare: «Il solenne ingresso della 

caricatura in Milano avvenne il primo maggio 1848 colla 

comparsa del primo numero dello Spirito Folletto». 

Va ricordato che la fortuna della pubblicistica satirica 

illustrata, a Milano come a Firenze, Torino o Napoli – 

le capitali dove c’erano condizioni e pubblico – si associa 

allo sviluppo della litografia. La prima caricatura litografica 

prodotta in Italia apparve a Torino nel 1824, opera del 

conte Cesare della Chiesa Benevello (“promotore” della 

Promotrice nel 1842), ma il procedimento deve l’effettivo 

lancio alla moglie di Urbano Rattazzi, Maria de Solms, 

che lo applica sistematicamente per le sue velenose vignette. 

Molto più duttile, la litografia sostituisce presto 

l’incisione su legno, contribuendo non poco alla diffusione 

dell’editoria illustrata. Da qui, l’Italia post-risorgimentale 

assiste al rifiorire di un’espressione artistica che 

pareva sopita se non sepolta con l’ultimo Settecento. A 

Milano in specie è un dilagare, alimentato dalla straordinaria 

esplosione dei periodici (186 nel ventennio ’60-’70) 

che regala alla caricatura una vera e propria età dell’oro, 

coincidente con le migliori stagioni della Scapigliatura. 

E non a caso, perché molta di questa fortuna è dovuta 

allo spirito stesso degli Scapigliati, intolleranti verso la 

retorica post-unitaria, le cui premesse di sinergia delle arti 

trovano conferma nelle diversificate esperienze dei 

protagonisti, alcuni totalmente autodidatti nella grafica e


magari dediti allo scrivere, come il citato Cima, drammaturgo 

dialettale e poeta. Ma si tratta di colpire con più 

mezzi la società traditrice dei valori e delle attese risorgimentali, 

mirando a togliere credibilità, e quindi potere, ai 

suoi notabili. D’altronde, il miraggio di fondere arte e vita, 

che è alla base della Scapigliatura, individua nella 

stampa un veicolo privilegiato per immediatezza e potenzialità 

di influire sul quotidiano. Che il mondo e il modo 

stiano cambiando, lo testimoniano le prime due edicole 

milanesi, aperte nel 1861, l’una dietro l’abside del Duomo, 

l’altra in piazza della Scala. 

 

Seguendo l’input di Cima, una storia della caricatura 

milanese si potrebbe imbastire seguendo le complesse 

vicende de Lo Spirito Folletto, “giornale diabolico, politico, 

umoristico, comico, critico, satirico, pittoresco”, 

creato dal poeta e commediografo Tebaldo Ciconi (1824- 

1863) il 1° maggio 1848 e stampato dal tipografo repubblicano 

Radaelli. Diretto dallo scrittore Antonio Caccianiga, 

ha come illustratore, oltre al solito Cima, ventenne, 

il mitico Antonio Greppi (1823-1867), mantovano, appassionato 

litografo e, disgraziatamente per lui, socialista 

convinto. Sospeso dopo Novara e il rientro degli austriaci, 

Lo Spirito Folletto riprende le pubblicazioni il 6 giugno 

1861, grazie a Edoardo Sonzogno (1835-1921), editore 

che, come Treves, si sarebbe affermato in campo internazionale, 

tant’è che dà vita anche a un’edizione francese, 

Esprit Follet. Da imprenditore illuminato, Sonzogno diverrà 

uno dei mecenati degli artisti 

scapigliati. Oltre a puntare sugli affermati 

caricaturisti piemontesi – 

Teja (che si firma Puff), Francesco e 

Guido Gonin (padre e figlio; 1808- 

1889; 1833-1906), Camillo Marietti 

(Camillo; 1839-1920), celeberrimo 

ritrattista caricaturale, Giorgio Ansaldi 

(Dalsani, Sancio, Don Sancio, 

1844-1922), inventore del rebus-vignetta 

– la nuova gestione arruola future 

glorie dell’illustrazione milane- 

A sinistra: Casimiro Teja, Zii e nipoti, 

litografia tratta da Il Pasquino, 1866; 

a destra: Sebastiano De Albertis, 

Album di caricature, Conte Giulio 

Litta-Conte Beretta indaco, 1861 

se – Luigi Borgomainerio (Ciccio, Don Ciccio, Nemo; 

1834-1876), comasco stabilitosi a Milano per amor di bohème 

e il cremonese Giulio Gorra (1832-1884) – e alcuni 

esordienti allievi dell’Accademia di Brera, che entreranno 

in sodalizi scapigliati, frequentatori della fatidica 

Osteria del Polpetta in via Vivajo: lo scultore Francesco 

Fontana (Frik o Frick; 1841-1876), milanese di nascita 

ma di origini svizzere, morto giovane di tifo, e i pittori Vespasiano 

Bignami (Vespa, 1841-1929), cremonese appena 

arrivato a Milano con l’intenzione di dedicarsi soprattutto 

alla caricatura e fondatore nel 1873 della Famiglia 

Artistica, e Tranquillo Cremona (Tranquillo, 1837- 

1878), padre nobile della Scapigliatura e illustratore dagli 

esordi sino alla fine precoce. 

Per essere sicuro che il suo Folletto rimanga fedele ai 

nobili trascorsi, Sonzogno richiama anche Greppi da Parigi, 

dove si è affermato al Journal Amusant, al Triboulet e 

al Rabelais (oltre che al londinese Punch). Rientrato, 

Greppi pretende di realizzare vignette apertamente socialiste, 

provocando l’ira della questura e, ancor peggio, 

le dimissioni in tronco di tutti gli altri colleghi, meno impegnati 

in politica o semplicemente più codardi, Cremona 

in testa. Incrollabile, Greppi preferisce tornarsene a 

Parigi, morendo poco dopo in maniera misteriosa. 

Anche Borgomainerio non sopravvive alla prima 

ondata della Scapigliatura. Nonostante abbia fondato e 

diretto il Mefistofele, resistito ventitre numeri a partire dal 

dicembre 1865, nell’ottobre del ’74 decide di lasciare Milano 

per dirigere il foglio satirico Vida Fluminense a Rio de 

Janeiro; un anno e muore di febbre 

gialla. Alla mancata vocazione socialista 

dello Spirito Folletto pensano i 

“perduti” de Il Gazzettino Rosa di 

Achille Bizzoni e Felice Cavallotti 

(23 gennaio ’68 – 15 novembre ’73) o 

altri organi della sinistra impegnata, 

guardati a vista dall’autorità: La Plebe, 

La Folla, La Cicala Politica, Il Diavolo a 

Quattro, per citare solo i più “longevi” 

e tralasciare i fogli di effimera durata, 

per imposta chiusura o mancanza di 

mezzi. Tutti, comunque, puntano sul 

connubio testo-immagine. La vignetta 

– di un grafismo d’immediata 

fruizione, semplificato nella forma e 

nei piani – deve attrarre il lettore e alleggerire 

con il riso gli articoli, che in-


Strenna de “La cicala Politica” per 1864, 1863. 

Doppia pagina Piazza delle Idee (Napoleone III) - via della 

Realtà (Garibaldi), la lettura, firmata P. 

vece adempiono al compito educativo di formare le masse 

a un pensiero laico e non allineato, in una concertata propaganda 

di opposizione anticlericale, repubblicana e internazionalista. 

In ciò distinguendosi da chi conta quasi 

esclusivamente sull’immagine. Ad esempio, si pensi per la 

causticità delle caricature politiche, sempre con fine anticlericale 

e repubblicano, ai paginoni o doppie pagine istoriate 

che negli anni Sessanta caratterizzano Semper su rotaj. 

Strenna con caricatura del giornale El Tramway. 

Lo Spirito Folletto, cui va anche il merito di aver introdotto 

in Italia la prima tavola in sequenza, sopravvive 

oltre vent’anni. Nei primi Ottanta ne escono alcuni numeri 

a colori, ma ormai sono troppe le firme scomparse e 

si deve chiudere, non senza un estremo tentativo di Sonzogno, 

che spera di salvarlo con una fusione. Sospeso “per 

arruolamento collettivo dei suoi collaboratori”, anche 

L’Uomo di Pietra era risorto nel 1859 con Camillo Cima, 

che sostituisce Cletto Arrighi alla direzione. Ma anche 

qui la linfa non è sufficiente e l’eredità dei due giornali 

viene raccolta dal Guerin Meschino, per cui Cremona fa 

ancora schizza al tavolo di un caffè l’immagine della testata 

che sarà poi realizzata da Luigi Conconi, con Amero 

Cagnoni uno dei caricaturisti più costanti. Il Guerin, voluto 

dai fratelli Giovanni e Francesco Pozza, che lo condurranno 

per quasi un trentennio, ha la divertente particolarità 

di comparire il 12 febbraio 1882 con il “secondo 

numero”, dando a intendere che il primo, in effetti mai 

esistito per ritardo nei tempi, fosse andato esaurito. 

Certo la caricatura non fu solo politica: ci sono vignette 

di costume con scene di genere, alla Daumier se 

vogliamo, e “reinterpretazioni” delle opere esposte alle 

mostre importanti, contraltare figurato, litografico o inciso, 

del dibattito critico scritto, e garanzia di vendita del 

giornale presso il pubblico colto che frequenta le esposizioni 

delle associazioni artistiche e le annuali di Brera. 

Nel numero, i caricaturisti di professione sono pochi 

rispetto ai pittori, scultori e letterati che rinvengono 

per questa via l’opportunità di esprimere un’idea, una 

reazione emotiva davanti alle sollecitazioni della realtà 

urbana, ma anche una gratificazione economica, esigua 

ma necessaria. L’editoria diventa un banco di prova per 

pittori giovani come Cremona e meno giovani come De 

Albertis, Eleuterio Pagliano e numerosi altri che, svezzati 

alla satira dalla battaglia risorgimentale, possono contare 

sui parchi finanziamenti di imprenditori come Sonzogno 

e Treves, decisi a rivoluzionare la pubblicistica. 

Entrambi di modestissime origini, e quindi sensibili alla 

provocazione antiborghese, incoraggiano i nuovi arrivati 

sulla ribalta milanese a produrre quelle caratteristiche 

macchiette che ci hanno trasmesso, con sorriso non sempre 

benevolo, scene di vita e quotidianità milanesi, compresa 

l’ufficialità delle giunte amministrative durante l’era 

di Giulio Belinzaghi, sindaco per 19 anni, di cui 16 consecutivi, 

tra il ’68 e il 28 agosto ’92, quando muore. 

Un occhio diverso, invece, per l’epoca di Antonio 

Beretta (1860-1867), suo predecessore e primo sindaco al 

posto del podestà, nominato da Vittorio Emanuele dopo 

che per la prima volta i cittadini aventi diritto erano andati 

a votarsi il Consiglio. Le immagini illustrano quello che 

nel 1928 racconterà Otto Cima circa le vacche grasse di 

Beretta e le vacche magre del sciur Giuli, conosciuto come 

l’erba bettonega, visto che «non vi era un’istituzione di 

pubblica utilità di Milano della quale non fosse almeno 

presidente o consigliere». Il sindaco equilibrista, “trampolino” 

lo chiamavano quelli del Gazzettino Rosa, ispirando 

tutta una serie di rappresentazioni della figura in bilico 

su un birillo, da affiancare a quella che, su infinite variazioni, 

lo riprende con i calzoni rimboccati, dopo la risposta 

del “fare come faccio io” a un consigliere che, in un 

giorno di poggia torrenziale, si lamentava del cattivo stato 

delle strade. Attraverso questi fogli, originalissimi nell’impaginato 

spesso più che nel tratto, frutto d’ingegni 

diversi per formazione e talento, rivivono nella loro complessità 

e ricchezza, quarant’anni della Milano post-unitaria 

e l’intera parabola scapigliata.


Milano e la Bohème italiana 

in vent’anni di “fogli” e tomi 

Dall’Arrighi a Sommaruga: manifesti, letteratura e riviste 

La Scapigliatura, che nella seconda metà dell’Ottocento 

si nutrì di valori associativi necessari 

per sostenere e diffondere le intenzioni e i manifesti 

di un rinnovamento letterario, culturale e sociale 

che incarnò attraverso una straordinaria fioritura 

pubblicistica le aspirazioni e i rancori di una giovane 

generazione di ideologi e artisti delusi per il rapido avvilimento 

degli ideali risorgimentali in seguito alla costituzione 

dello Stato unitario, fu per sua natura un fenomeno 

cittadino o meglio metropolitano; e infatti più 

la città era grande e dinamica e più il movimento scapigliato 

si radicava e si diffondeva. 

Per questo, parlando di Scapigliatura, non c’è critico 

che non sottolinei come Milano sia stata il suo naturale 

centro, perfettamente in grado di richiamare intellettuali 

e scrittori da altre città. Esiste altresì una scapigliatura 

torinese, vivacissima per le figure di Bersezio, 

attivo direttore della Gazzetta Letteraria, Sacchetti, 

Cagna, Faldella e Camerana. Ed esiste ancora una 

Scapigliatura genovese, napoletana, palermitana e padovana. 

Ma è a Milano, con la sua intricata dimensione 

orizzontale (dai palazzi alle baracche) e verticale (dagli 

uomini degli apparati e delle consorterie ai locchi e ai 

barabba), che si possono rintracciare la maggior parte 

dei suoi fondamenti teorici, dei suoi punti di osservazione 

e di commento, delle sue manifestazioni. Milano 

che si afferma come la città più moderna ed europea 

dell’Italia appena unita, la più sensibile ai mutamenti e 

A sinistra: Camillo Cima, V. Ottolini, da Album caricature 

milanesi, tecnica mista, Milano, collezione privata 

UNA BVS SCAPIGLIATA 

 

GIUSEPPE FARINELLI 

alle contraddizioni della società di allora. La Scapigliatura, 

anche se questo fatto finora è stato scarsamente rilevato 

nelle storie letterarie e nei repertori scolastici, 

precorre poi alcune istanze e posizioni delle avanguardie 

del primo Novecento, che proprio dalla città meneghina 

si irradieranno nel resto del Paese. 

 

Ora finalmente sappiamo che la Scapigliatura si 

inserì a pieno titolo nel processo di trasformazione culturale 

e sociale in atto nel nostro Paese e che, rafforzando 

le strutture dell’editoria libraria e del giornalismo, 

contribuì a modificare profondamente la concezione 

del letterato e dell’artista. Da tempo i termini “scapigliatura” 

e “scapigliato” sono oggetto di attenzione per 

i vari significati che hanno avuto attraverso i secoli e per 

quello più propriamente storico-letterario che hanno 

acquisito a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. 

Non è affatto il caso di ripetere quanto è già stato esposto 

da autorevoli studiosi con in testa Gaetano Mariani, 

le cui ricerche sull’uso di “scapigliatura” e “scapigliato” 

sono partite da Dante e Boccaccio per allargarsi ad 

Alessandro Allegri, a Michelangelo Buonarroti il giovane, 

a Carlo Dati e a Leonardo Magalotti. 

L’attuale disponibilità delle concordanze della 

Letteratura italiana Zanichelli ha vanificato questo tipo 

di ricerche, perché si scopre con facilità che i due termini 

sono all’occorrenza presenti, senza nominarli tutti, 

in Nievo, Berchet, Parini, Tassoni, Boccalini, Boiardo, 

Villani, Machiavelli, Ariosto, Pulci e Sacchetti (Svevo 

nella Coscienza adopera “scapigliatura” nel senso di goliardia). 

Se però tutti questi autori li hanno pressoché


unanimamente intesi sul piano metaforico, come sinonimo 

di costumi dissoluti, libertini e licenziosi e quindi 

di gente disordinata, ridanciana e poco raccomandabile, 

Cletto Arrighi per primo li arricchì di ben altre valenze 

e di ben altri concetti, tanto da smarrire il significato 

originario e da eleggerli a simboli di un’epoca. 

E fu precisamente in questo momento che “scapigliatura” 

e “scapigliato” divennero una specie di lessico 

onomastico che coadunò sotto la propria protezione 

uomini e cose, e li riconsegnò etichettati all’esame della 

storia. Arrighi, che era un generoso arruffone intelligente, 

propose sull’Almanacco del pungolo per il 1858 i 

due termini, dopo aver scoperto le affinità tra ciò che 

aveva in mente e ciò che di fatto era la Bohème; dopo 

aver indagato nella tradizione linguistica e nei vocabolari 

italiani e milanesi e dopo aver prestato attenzione 

alla Scapigliatura torinese ante litteram. 

Abbastanza esperto a livello giornalistico di cose 

francesi, Arrighi sottolineò l’analogia di portamenti e 

Daniele Ranzoni, Ritratto di Ettore Nicò, olio su tela, 1875- 

1876, Milano, Studio Paul Nicholls 

caratteri tra la sua Scapigliatura e la Bohème, soprattutto 

quella parigina che oscillava tra romantiche galanterie 

e folli baldorie, avvolta nel mantello della sua santa 

miseria. Oltre a Murger con le sue Scènes de la vie de Bohème 

del 1851 (data dell’ edizione in volume) si individuano 

altre indiscutibili fonti in Balzac con Un prince de la 

bohème e Un grand homme de province à Paris, e in Champfleury 

(Jules Husson) con Les aventures de mademoiselle 

Mariette del 1854. Tanto per fare un esempio, «La Bohème 

n’a rie net vit de ce qu’elle a. L’Espérance est sa religion, la 

Foi en soi-même est son code, la Charité passe pour être son 

budget » è un periodo di Balzac che Arrighi parafrasò così: 

«La speranza è la sua religione; la fierezza è la sua divisa; 

la povertà il suo carattere essenziale». 

«Dove [Arrighi] avrà cercato la parola? Nel Dizionario 

bolognese del Costa e del Cardinali o nel Tramater? 

Nel più lontano Alberti o nel Cesari? Forse in 

questi e altri; ma penso che le maggiori probabilità volgano 

verso il Gherardini, più vicino a lui e più incisivo 

nella sua definizione», annotava Marino Parenti in Ancora 

Ottocento sconosciuto o quasi. Mariani dà un ragionevole 

credito a quello di Cherubini, in cui l’aggettivo 

francese débauché (vizioso, dissoluto), provincializzato 

in debosgé, deboscé o debòsg, e il sintagma “compagnia 

brusca” – accolti da Arrighi rispettivamente nel primo 

frammento Presentazione, pubblicato sull’Almanacco del 

Pungolo per il 1858 sotto il titolo La Scapigliatura milanese, 

e nel romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio – sono 

nell’ordine tradotti con “scapigliato” e “scapigliatura”. 

Un altro lessema equivalente a “scapigliato” in milanese 

è, stando a Cherubini, scapùsc, correlato solitamente 

all’espressione fà el scapùsc, cioè “darsi alla scapigliatura”. 

Che tale voce fosse ben radicata nella parlata quotidiana, 

lo testimonia la commedia di Camillo Cima On 

pret scapùsc, che comparve a Milano nell’estate del 1869 

e che Filippi definì «bella». Inoltre, stando ancora a débauché, 

la sua equivalenza con scapùsc è facilmente verificabile, 

sebbene provenga da una fonte rimasta inedita: 

il Vocabolario milanese-italiano- francese di Cappelletti, 

edito a Milano nel 1848, muta appunto scapùsc in quel 

débauché del noto “Almanacco” che, con un successivo 

passaggio affidato alla mediazione di Cherubini, ha per 

corrispettivo “scapigliato”. Dal succo di questo discorso 

si arguisce che Arrighi si mosse su due piani: consultò 

da un lato i vocabolari milanesi per esigenze di «color 

locale», e dall’altro, per esplicita sua ammissione, i 

vocabolari italiani per avallare la serietà di un’opera-


Federico Faruffini, La Lettrice, acquaforte 1865, collezione privata 

zione che non tracimava dalla tradizione linguistica per 

ignoranza o per presunzione. Lo scrittore lombardo si 

premunì contro ogni diceria con il rimarcare espressamente, 

a consultazione avvenuta, che “scapigliatura” 

era parola «prettamente italiana», quasi volesse ripararsi 

da eventuali accuse di superficialità lessicale e insieme 

assolversi in anticipo dalla prevedibile condanna 

dei pedanti e dei puristi. 

Si sostiene che essa è dapprincipio «parola torinese 

», ancorando la congettura alle corrispondenze letterarie 

che Eugenio Camerini inviava dal Piemonte al 

Crepuscolo di Carlo Tenca, dove si ragionava di «quella 

particolare Bohème» che era nata e che si era sviluppata 

«a Torino nel decennio 1849-59, specie nell’ambiente 

degli intellettuali emigrati dalle varie parti d’Italia». Effettivamente 

questi intellettuali bohèmiens erano ridotti 

a «faticare in impieghi, in cure al tutto discordi dai propri 

studi» (13 gennaio 1856) o al massimo ad arrabattarsi 

nell’ambiente giornalistico, in cui Vittorio Bersezio 

era «uno de’ suoi lumi» (15 aprile 1855). Ma se ciò è vero 

– e nessun dubbio sorge circa la conoscenza di Arrighi 

di queste corrispondenze letterarie, anche perché Il 

Crepuscolo (che il 26 luglio ’57 dedicò agli Ultimi coriandoli 

l’intero Bollettino bibliografico italiano) era all’avanguardia 

nel giornalismo letterario “liberale” –, è altrettanto 

vero che “scapigliatura” rimase in Camerini grosso 

modo a significare un’esistenza sregolata o qualcosa 

di strano o fantasioso; e quando egli si accollò il compito 

più vasto di definire con il termine una data letteratura 

non fu in grado di abbandonare interamente, sia pure in 

traslato, l’antica nozione, sempre rifiutata da Arrighi 

che nel manifesto la ritenne lontana «le mille miglia» 

dalle sue intenzionalità espressive. 

 

Il manifesto di Cletto Arrighi (nelle sue tre redazioni: 

come lacerto sull’Almanacco del Pungolo – 1857 – e 

poi come Introduzione alle due edizioni – 1862 e 1880 – 

del suo romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio) è tuttora il 

mezzo più valido per fissare il palinsesto cronologico e 

per determinare le prospettive teoriche e storiche del 

movimento. Tra le proccupazioni di Arrighi non va taciuta 

quella di universalizzare la Scapigliatura. Egli infatti, 

dopo aver assorbito in qualche maniera la lezione


Ernesto Bazzaro, Busto di Giuseppe Marcora, bronzo, 1920 

circa, Milano, Museo del Risorgimento 

della Bohème francese e torinese ed essersi ritirato tra le 

mura di Milano, non durò molta fatica a rivedere la sua 

posizione campanilistica e ad allargare conseguentemente 

il suo orizzonte. La redazione del 1857 aveva in 

dotazione gli aggettivi «milanese» e «mia», che nelle 

successive scomparvero progressivamente. Ma c’è di 

più: nel 1880 lo scrittore, evidentemente con sguardo retrospettivo, 

perfezionò nel manifesto il concetto di coesistenza, 

se non di equipollenza, tra Scapigliatura e Bohème, 

giungendo a infastidirsi che gli scapigliati fossero 

da alcuni chiamati «boemi con orribile gallicismo». 

La peculiarità originaria della Scapigliatura arrighiana, 

distinta all’inizio dalla Bohème per una contingenza 

italiana, va scovata nelle sue radici risorgimentali 

e nel suo «spirito d’indipendenza», sintagma questo 

presente soltanto nella redazione del 1857, e caduto 

quando il regno d’Italia era già stato proclamato. Hanno 

domicilio in terra scapigliata secondo l’Arrighi (parole, 

immagini e pareri figurano pressoché identici nelle tre 

redazioni) uomini e donne «fra i venti e i trentacinque 

anni», poveri, ingegnosi, progressisti e liberali, «pronti 

al bene quanto al male», «irrequieti, e travagliati» e 

«turbolenti», che per cause interne o esterne, individuali 

o sociali si raggruppano in «una casta sui generis, 

distinta da tutte le altre». Tale «casta», «pandemonio 

del secolo», «personificazione della follia» e «serbatoio 

del disordine, della imprevidenza, dello spirito di rivolta 

e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti», è la Scapigliatura. 

Al manifesto arrighiano negli anni Sessanta e 

Settanta, in cui la Scapigliatura si fece fenomeno e seppe 

conquistarsi il diritto alla storicizzazione, si aggiunsero 

con intenzionalità di collegamento, di precisazione o di 

distinzione altri manifesti. 

Al di là di inevitabili rampogne di giornali meno 

intemperanti e più inclini all’ordine, alla quiete e alla 

buona amministrazione, si può arguire che la Scapigliatura, 

ormai adulta, camminava sulla principale linea 

arrighiana coerentemente investita di una sua qualità 

politica e democratica, che era ben salda e già in piena 

attività di propaganda antigovernativa. Il 21 giugno 

1868 Arrighi sulla sua Cronaca grigia, dopo aver ribadito 

quasi alla lettera le sue “vecchie” idee, proclamò e 

consacrò i redattori del Gazzettino Rosa, che si ritenevano 

giornalisti consapevoli di svolgere un’attività onesta, 

archetipi viventi della Scapigliatura. E i redattori 

gli risposero per bocca di Achille Bizzoni, il quale superati 

i diverbi sull’essere o non essere «casta» e sull’appartenervi, 

redasse il 26 luglio un secondo vero e autonomo 

manifesto della Scapigliatura, sintetizzabile nell’orgoglio 

di esserci («Noi ci siamo accesi da noi») e di 

essere «gli imperteriti lavoratori dell’avvenire », liberi 

da condizionamenti, perché liberi dalle catene del passato, 

e con le carte morali in regola per unificare «le 

aspirazioni della gioventù italiana». 

Nel 1873 Felice Cameroni sul Gazzettino (14 novembre), 

in un articolo-manifesto redatto in modo assai 

più articolato e appassionato, definì sul piano democratico 

e culturale la Bohème della stampa, cioè la Scapigliatura 

più impegnata e di frontiera: «Nella loro pretenziosa 

ingenuità credono i sedicenti uomini seri deridere 

i perduti della stampa repubblicana, qualificandoli 

“la Scapigliatura del giornalismo, la Bohème della penna”. 

Or bene, quella ch’eglino reputano una definizione 

punto lusinghiera, noi l’accettiamo con orgoglio. Anche 

noi, repubblicani scarlatti, possediamo un albero 

genealogico; in mancanza di corone da conte o da marchese, 

vantiamo immortali corone di spine; in mancanza 

di principi del sangue, noveriamo principi dell’intelligenza. 

Da Alcibiade […] a Cellini […], da Tasso a Foscolo, 

da Rabelais a Murger, da Gilbert a Moreau, da 

Desmoulins a Rochefort, da Musset a Vallès, da Tarchetti 

a Pinchetti, quante celebrità della mente, del cuore, 

delle sventure comprende il libro d’oro della Bohème


sempre al verde! […] Con Murger facciamo orge di 

paradossi contro le pedanterie dell’arte e della vita. Con 

Musset inneggiamo alla sola immortalità che esista, 

quella della materia. Con Gilbert e Moreau troviamo un 

sorriso anche nei più angosciosi momenti della nostra 

esistenza spostata, salvo a troncarla d’un colpo come 

Pinchetti. Con Vallès consacriamo i nostri deboli sforzi 

a raggiungere quella meta, che si personifica in Lei! 

Sempre Lei! […] La Scapigliatura prepara la mina rivoluzionaria 

col giornale, la carica di polvere coll’agitazione, 

la fa scoppiare con le barricate. La Bohème ha il diritto 

di ridere fra le pazzie della vita, perché non la spaventano 

la miseria, il carcere, l’ospitale, il supplizio. La Bohème 

ride di sé, come degli altri. Ama con il cervello il 

giusto, col cuore il bello, coll’uno e coll’altro la donna. 

[…] La Bohème novera a migliaia i martiri ed a dozzine i 

vincitori. Che importa? Si finisce nelle fosse comuni del 

cimitero, vagheggiando il Pantheon. La vita non si conta 

dai giorni trascorsi, ma dalle emozioni provate. Lusso 

di desideri e povertà di mezzi, immaginazione ardente e 

stomaco a freddo, sogni di gloria e realtà di miserie: ecco 

l’antitesi in cui s’agita la spostatura. […] La Bohème è ad 

un tempo la quaresima ed il carnevale degli artisti: lo 

stomaco digiuna e l’immaginazione gavazza nell’allegria. 

Non è vero che la Bohème si getti nel difficile arringo 

dell’arte senza patrimonio. […] Nella Bohème l’artista 

comanda all’uomo. Alle fantasticherie del primo, 

quante volte il secondo deve sacrificare i suoi bisogni? 

L’indifferenza del pubblico è il lenzuolo funebre della 

Bohème artistica». 

 

Attraverso i manifesti di Arrighi, Bizzoni e Cameroni, 

ben prolifici di postille e rincalzi di vari seguaci, la 

linfa della Scapigliatura produsse insomma abbondanti 

frutti saturi di polpa ideologica. La pars construens fu qui 

in primis la Scapigliatura democratica; ma essa, alla luce 

delle ricerche più agguerrite, non fu storicamente separata 

in maniera netta né tanto meno antitetica rispetto 

alla Scapigliatura letteraria (chi lo fa volatilizza le ragioni 

di un movimento che si ridurrebbe a firme), perché 

nella letteratura scovò il modello più duttile per preparare 

nel vero il frutto, e di concerto contribuì a dare a sua 

volta il modello a una letteratura che fosse in sé studio e 

scrutinio dell’uomo e del suo ambiente in sintonia con 

l’evoluzione dei tempi. Sul periodizzamento della Scapigliatura 

come fenomeno storico non è opportuno es- 

Eugenio Pellini, Pagine d’album, gesso, 1894, Milano, 

Studio Pellini 

sere vaghi. Pur con la prudenza necessaria in casi del genere, 

va collocata tra il 1856, data della fondazione 

dell’Uomo di Pietra (giornale che alla nascita nascose 

sotto la satira gli articoli a sfondo patriottico e che vide 

tra i primi collaboratori Ippolito Nievo, Giulio Uberti, 

Cletto Arrighi e Antonio Ghislanzoni), e il 1880, data 

della riedizione del famoso romanzo (che venne ridotto 

nel titolo a La Scapigliatura, forse per sottacere ogni superato 

riferimento a vicende risorgimentali e dare più 

vasta significazione al movimento di cui Arrighi non 

smise mai di reclamare la paternità) e della indiscutibile 

disponibilità di resoconti memorativi. 

Come ha scritto Moestrup nel suo La Scapigliatura. 

Un capitolo della storia del Risorgimento (Munksgaard, 

Copenhagen, 1966) «a volte si è voluto spostare il limite 

cronologico della Scapigliatura, anzi, liberandola da 

qualsiasi cronologia, farvi entrare il futurista o prefuturista 

Lucini, autoproclamatosi intorno al Novecento 

erede di Praga, Boito e Dossi, e magari anche il Linati. 

Con un simile modo di vedere si potranno riscontrare, 

eventualmente, atteggiamenti più o meno somiglianti 

in qualche caso, sempre comunque a confronto con una 

realtà diversa, e va perduta la possibilità di vedere la Scapigliatura 

in un’unica prospettiva storica ». 

Meglio dunque restringere «il limite cronologico 

della Scapigliatura» tra i due noti episodi editoriali o,


con più accorto profitto critico e eguale parabola ventennale, 

tra il manifesto arrighiano del 1857 e La Farfalla, 

pensata e diretta all’inizio da Angelo Sommaruga, 

che si affacciò sulla scena milanese il 30 settembre ’77. 

La Farfalla sommarughiana, pur recuperando tra i 

suoi collaboratori coloro che ebbero con più o meno 

omogenee funzioni diretta esperienza della Scapigliatura 

(da Cesare Tronconi a Felice Cameroni, da Francesco 

Giarelli a Carlo Dossi, da Antonio Ghislanzoni a 

Cletto Arrighi, da Vespasiano Bignami a Felice Cavallotti, 

da Arrigo Boito a Ulisse Barbieri, da Ferdinando 

Fontana a Paolo Valera, da Giacinto Stiavelli a Girolamo 

Ragusa Moleti), non ebbe più il mordente e la tenacia 

del primitivo progetto. Anche questi personaggi, 

quando parlano di Scapigliatura, guardano al passato. 

Più che una tendenza letteraria il romanticismo fu 

nella Scapigliatura un’eredità, un pedaggio e a volte un 

incidente sul lavoro e come tale severamente giudicato. 

La diatriba verista che intorno al 1870 ebbe punte di eccezionale 

effervescenza testimonia quanto il romanticismo 

seguitasse a calpestare e a percorrere, sia pure zoppicando, 

la scena culturale scapigliata, anche perché 

persisteva, tra rimozioni e battibecchi, la lezione manzoniana 

e del romanzo storico, che in specie nella tradizione 

lombarda era solidamente radicata. Nell’ambito 

della Scapigliatura scrissero romanzi storici Rovani 

(Lamberto Malatesta, Valenzia Candiano e Manfredo Palavicino), 

Cletto Arrighi (La giornata di Tagliacozzo, poi diventto 

Il Diavolo Rosso, un dichiarato sequel della Battaglia 

di Benevento di Guerrazzi), Bersezio (Domenico Santorno) 

e Ambrogio Bazzero (Ugo). 

 

A eccezione dei romanzi di Rovani , che hanno 

una loro dignità letteraria, i restanti non mascherarono 

nemmeno più la povertà dell’ispirazione romantica a 

segno che il romanzo storico perse vigore al tramonto 

degli ideali risorgimentali: e perse valore come genere 

normato, nel quale la storia era romanticamente un tema 

dialettico. La tendenza letteraria più diffusa nella 

Scapigliatura, specie se democratica, fu quella verista o 

realista o fisiologica. In tale tendenza letteraria, a cui 

presiedeva l’accettazione sinonimica dei nomi che la 

definivano, si osserva una triplice prospettiva: quella 

che ha per riferimento, dopo Balzac e Flaubert, Sue e 

Zola, tutt’altro che supinamente esaltato; quella che si 

cala nella storia letteraria e individua con una procedu- 

A sinistra: Paolo Troubetzkoy, ritratto di Giacomo Puccini, 

olio su tela, s.d., collezione privata; sopra: Guido Tallone, 

Ritratto di Angelo Sommaruga, olio su tela,1930-40 circa, 

Alpignano (Torino), collezione Enrico Tallone Editore 

ra non priva di irrisione il vero e il reale come denominatori 

comuni dei nostri autori a cominciare da Dante e 

Boccaccio (in antinomia di fronte a una presunta consociazione 

ideologica tra il verismo-realismo e le questioni 

sociali e politiche e di fronte a un avversato modo 

di concepire l’arte); quella più propriamente autoctona, 

milanese, che va con l’addobbo di molteplici varianti 

per poi procedere imbrigliata dall’intelligenza linguisticamente 

speculativa di Dossi o del primo Lucini. 

Ma fu una triplice prospettiva confusa da una miriade 

di interventi, ora rabbiosamente inconcludenti o 

donchisciotteschi e ora autorevoli, culturalmente non 

estranei all’imonente dibattito sul verismo, assunto a 

sorta di querelle nazionale, che coinvolse per molto 

tempo e con protocolli critici non concordati Carduc-


ci, Bersezio, Betteloni, Verga, Capuana, Scarfoglio, 

Serao, Stecchetti e Stiavelli. 

Il verismo ebbe il suo dominio nel romanzo contemporaneo 

sociale, ma non mancò di contaminare il 

romanzo domestico, di costume e psicologico. Nel caso 

del romanzo psicologico si fece però sempre più evidente, 

con il passare degli anni e il moltiplicarsi delle 

scuole, l’autonomia personalistica del protagonista. Il 

quale, sorvolando sia pure a fatica e con lo scotto di deformazioni 

e di perplessità culturali sui problemi della 

società italiana appartenenti alla letteratura, diveniva 

man mano fecondo interprete, con un’indagine conoscitiva 

non completamente sganciata dal metodo positivista 

della medicina, del suo stesso smarrimento esistenziale 

e conteneva i limiti spaziali e temporali di ciò 

che narrava all’interno della sua esperienza biografica. 

E proprio con questa operazione Tarchetti, Praga e 

Gualdo condussero il romanzo in clima decadentistico. 

 

Molti scapigliati, se non tutti, trovarono nella 

pubblicistica il mezzo più importante per diffondere le 

loro idee di rinnovamento sociale e letterario; e questa 

pubblicistica certifica ancora alla critica la rigogliosa vitalità 

del momento storico (Ghislanzoni, Arrighi, Cameroni 

e Giarelli furono giornalisti, per così dire, professionisti). 

Ci furono giornali organizzati e stabili, disorganizzati 

ed effimeri, nati dall’esigenza di sostenere o 

di affiancare un’ideologia o di guidare l’opinione pubblica 

e di addomesticarne il consenso. 

Ci furono giornali monarchici e repubblicani, 

costituzionali e libertari, pugnaci, 

sguaiati e reazionari, politici e artistici, 

di spettacolo e di moda. La 

mentalità deontologica del giornalismo 

ottocentesco, meno camaleontica 

di quella odierna, era tale che 

bastavano un articolo di fondo, un 

elzeviro, un’appendice per intuire 

gli intenti editoriali; ma non di rado, 

per stare alla letteratura, la linea ufficiale 

della prima pagina, dove ad 

esempio l’eccesso di verismo era dot- 

Tranquillo Cremona, Ritratto del 

signor Deschamps, olio su tela, 

1875, collezione privata 

tamente e compositamente stigmatizzato, veniva sistematicamente 

smentita nelle altre pagine dal gusto macabro 

di resoconti giudiziari o di cronaca nera, spicce 

violenze verbali per cose di poco conto, annunci di banchetti, 

feste di carnevale e duelli. Milano offriva in quegli 

anni la più alta concentrazione di testate giornalistiche 

d’Italia e lo spoglio dei giornali della Scapigliatura 

dà ancora la possibilità di una carrellata sulla città, vagando 

dagli abbaini ai piani nobili, dai salotti ai caffè, dal 

centro ai sobborghi e ai bassifondi, in cui formicolavano 

locchi, canaglie e barabba – termini che negli scrittori 

del tempo subirono profonde alterazioni di significato 

rispetto alla tradizione –, messi lì a contrasto con i borghesi, 

i nobili, gli amministratori, il clero e i politicanti; 

il tutto in un’atmosfera di società parlante, iniquamente 

divisa tra benessere e privilegi e povertà sofferente, sulla 

quale incise assai poco l’avventura del Risorgimento. 

Dal Sole alla Perseveranza, dal Corriere della Sera al 

Pungolo ogni testata offriva agli scapigliati ospitalità; 

tra quelle più pertinenti al movimento si possono citare 

La Cronaca Grigia, il Figaro, la Rivista Minima, La Farfalla 

e il Gazzettino Rosa, che nacque da una lite di Achille 

Bizzoni e Felice Cavallotti con Pietro Grassi, proprietario 

del Gazzettino al quale i due collaboravano; 

dal Gazzettino prese il sottotitolo “Giornale politicoletterario 

del buon genere milanese, monitore della 

Società, delle corse dei cavalli in Lombardia”; quotidiano, 

uscì per la prima volta nel gennaio del 1868 e 

continuò le pubblicazioni sino al 1873. Fu vivace strumento 

di polemiche politiche e letterarie e fu 

tra i fogli scapigliati più importanti. 

La Cronaca Grigia, spesso violentemente 

antiborghese e non priva di un 

estremismo ideale, fu la più importante 

impresa giornalistica di Cletto Arrighi 

che la compilò quasi certamente da 

solo dal 1860 al 1880. Fu settimanale, 

per qualche periodo quotidiano e per 

qualche altro trisettimanale. Imitava 

Les Guêpes di Alphonse Karr ed era 

dedicata agli operai, alle donne e a chi 

era deluso «della futilità delle cose 

scritte sugli altri giornali». Il Figaro 

nacque il 7 gennaio 1864 per iniziativa di 

Arrigo Boito (che spesso firmò i suoi articoli 

con lo pseudonimo Almaviva) ed Emilio 

Praga, ai quali si unirono come collaboratori


Camillo Boito e Bernardino Zendrini. Il settimanale si 

propose di essere divertente, «allegro, festivo, di buon 

umore», ma nel medesimo tempo «fermissimo nel proponimento 

di non contraffare giammai per ragione alcuna 

alle leggi del decoro e della dignità, nel senso più severo 

di queste due parole». Un giornale che idoleggiava 

l’arte giovane, che castigava ridendo mores, che faceva, libero 

da consorterie e da chiesuole, critica e non diffamazione, 

satira e non querela, polemica e non pugilato, che 

accettava scrittori e poeti «classici e romantici, accademici 

e non accademici», grandi e piccoli, noti e ignoti, 

anche perché i piccoli e gli ignoti non avevano pretese, né 

esigevano favori. Il Figaro durò appena tre mesi ma è 

molto utile per perimetrare le idee dei redattori (Boito e 

Praga avevano poco più di vent’anni) riguardo il teatro 

italiano, la narrativa e la poesia. 

Rivista Minima, poi Rivista Minima di Scienze, Lettere 

ed Arti venne fondata da Antonio Ghislanzoni nel 

1865 con il proposito di essere «nulla di grave, nulla di 

dotto, nulla di pensato», di fare critica semplice e comprensibile 

e di centellinare di tanto in tanto questioni 

politiche e sociali. Di indirizzo anticlericale, fu interrotta 

nel ’66 e riprese nel’71 in fascicoli quindicinali, 

mantenendo la stessa struttura fino al ’78. Con il 1879 

Salvatore Farina, che già si era affiancato a Ghislanzoni, 

lo sostituì nella direzione del giornale che si spense nel 

Luigi Conconi, Incisione e studi 

preparatori per un manifesto della 

Famiglia Artistica, tecnica mista, 

1912, Milano, collezione Marcello 

Dell’Utri 

1883. Su Rivista Minima, che non disdegnò toni umoristici 

e satirici, scrissero oltre a Ghislanzoni e a Farina, gli 

scapigliati più solleciti nelle cose letterarie, da Praga a 

Tarchetti, da Antonio Picozzi ad Arrigo Boito, da Giovanni 

Faldella a Cesare Molineri, da Giovanni Camerana 

a Vittorio Bersezio e a Roberto Sacchetti, da Raffaello 

Barbiera a Francesco Giarelli, da Giacinto Stiavelli a 

Girolamo Ragusa Moleti e a Luigi Gualdo. 

Della Farfalla di Angelo Sommaruga abbiamo già 

detto. Di Sommaruga bisogna altresì dire che chiuse l’epoca 

scapigliata non solo con la cessione della Farfalla all’editore 

Bignami, ma anche con il tentativo di spostare 

l’asse editoriale-giornalistico da Milano alla nuova capitale, 

intendendo questo trasferimento un’ulteriore possibilità 

espressiva, quasi un gesto artistico; la conseguente 

apertura della Cronaca Bizantina, originale e raffinato 

quindicinale che vide tra i maggiori collaboratori scrittori 

che avevano frequentato le colonne della Farfalla e 

di altri giornali di epoca scapigliata (oltre al da più parti 

acclamato Poeta nazionale, Carducci, e a un giovane ma 

già agguerrito d’Annunzio); nella Bizantina, pur perpetuando 

e prolungando temi e modi che si palesavano come 

un’indiscutibile eredità dall’esperienza scapigliata, 

Sommaruga andava inconsciamente ma incontestabilmente 

sciogliendo questi stessi modi e temi in nuove e 

più moderne correnti letterarie.


Angelo Sommaruga e Giosuè Carducci 

La fortuna editoriale di Angelo Sommaruga è 

legata al nome di Giosuè Carducci. Lo testimoniano 

le lettere superstiti ora conservate presso la 

Biblioteca di via Senato, alcune delle tante che il Poeta inviò 

al giovane editore. La corrispondenza inizia con la 

collaborazione al primo numero di Cronaca Bizantina, ma 

dura ben oltre l’avventura editoriale di Sommaruga; l’ultima 

lettera di Carducci è infatti del 23 agosto 1903: non 

scritta dal Poeta, «ma la firma tracciata con mano tremante 

è la sua» (A. Sommaruga, Cronaca Bizantina, Milano, 

Mondadori 1941) e si chiude con una frase commovente, 

«Spero di vivere ancora tanto da rivederti». In 

realtà i due non si vedranno più. 

 

La famiglia di Angelo Sommaruga aveva immaginato 

per lui una vita da impiegato, lontano dai turbamenti 

della letteratura e dell’arte; il padre lo mandò a lavorare 

negli uffici di una miniera vicino a Cagliari. L’impiego fu 

di breve durata e non impedì al ragazzo di mantenere i 

contatti con gli scapigliati amici scrittori e pittori. L’aria 

della bohème milanese aveva su di lui una forte attrattiva. 

La rivista La Farfalla, che fece sbozzare tra Cagliari e Milano, 

fu un punto di riferimento per alcuni dei vecchi ma 

soprattutto per i nuovi scapigliati che in quegli anni muovevano 

i primi passi nel mondo delle lettere. Enrico Onufrio, 

che la diresse con lui, Cesario Testa, meglio noto come 

Papiliunculus, Remigio Zena, Primo Levi, Cletto Arrighi, 

Felice Uda, Antonio Ghislanzoni, Felice Cavallotti, 

Ferdinando Fontana, Lorenzo Stecchetti, Ottone 

Baccaredda scrissero per quelle pagine, che in copertina 

recavano un disegno di Tranquillo Cremona. Durò dal 

1876 al ’78, più delle altre fondate e dirette da Sommaru- 

 

Cronaca di un’amicizia 

attraverso le lettere 

MATTEO NOJA 

ga in quegli anni, come il Brougham e la Rivista Paglierina 

(dove molto scrisse Carlo Dossi); causa della loro fine repentina, 

la vita dispendiosa del giovane editore. 

La famiglia, preoccupata per gli esiti disastrosi dell’attività 

giornalistica, insisteva perché tornasse a un impiego 

sicuro, magari ancora in Sardegna, anche per tenerlo 

lontano dalle osterie e dal Caffè Hagy dove gli amici 

artisti si ritrovavano a discutere. Ne riferisce Davide 

Besana nel suo Sommaruga occulto, Sommaruga palese (Roma, 

presso Giovanni Bracco 1885), perfido atto di accusa 

contro l’amico che per anni lo aveva aiutato e sostenuto. 

Besana, giornalista e scrittore, era noto negli ambienti 

della Scapigliatura per essere una “spia di Questura”, come 

lo definisce in una gustosa caricatura Camillo Cima. 

Angelo comunque convinse i genitori a lasciarlo andare 

a Bologna, dove cominciò a fare davvero il giornalista, 

collaborando più attivamente al Preludio, diretto da 

Luigi Lodi. Quest’ultimo, allievo di Carducci lo presentò 

al Professore e alla cerchia dei suoi amici letterati che avevano 

eletto come luogo di incontro la famosa bottiglieria 

Cillario. Fu qui, tra un bicchiere e l’altro e sotto lo sguardo 

benevolo di Carducci, che verosimilmente nacque nel 

giovane l’idea di creare una nuova casa editrice sostenuta 

da una rivista letteraria di grande diffusione. 

Al Poeta piacquero le spavalde idee del giovane e si 

fece convincere a collaborare con lui. Fu lo stesso Lodi a 

comunicarlo all’amico: « Ti scrivo, ho l’onore di scriverti 

per incarico del Professor Carducci. Egli è molto contento 

che tu vada a Roma per mettervi casa editrice, tanto 

contento che, per quanto può lui, t’aiuterà, e sai che può 

molto». Nella primavera del 1881, giunse a Roma con 

una lettera di presentazione del Poeta a Ferdinando Martini, 

pochi biglietti da mille e tanta voglia di lavorare.


In breve tempo, Sommaruga e Papiliunculus 

(il fido Testa, che tanta parte ebbe 

nella creazione e nella conduzione di 

rivista e casa editrice) approntarono il 

primo numero di Cronaca Bizantina 

che uscì il 15 giugno ’81: già nel titolo 

del quindicinale «letterario, sociale e 

artistico» v’era l’eco dei versi del Vate, 

che così concludeva un epòdo: «Impronta 

Italia domandava Roma – Bisanzio 

essi le han dato»; poi al centro 

della prima pagina, incorniciata da fregi, 

la poesia di Carducci Ragioni metriche, 

menzionata in una lettera dell’8 dello stesso 

mese [Fondo Sommaruga, BvS – VI.9.b]. 

Il giornale piacque molto a Carducci che nel 

giorno stesso dell’uscita scriveva all’editore «Il fascicolo 

primo della Bizantina è bellissimo». Nella stessa lettera 

proseguiva: «Sono dispiacente di dover ripetere no per la 

prefazione al Leopardi. Non è question di denari. Non ho 

tempo (devo passar tutto il luglio a Napoli a far gli esami 

all’Istituto tecnico, e ora ho da far gli esami qui) e ho troppi 

impegni. Non sono una macchina da scrivere, e se anche 

avessi tempo e niuno impegno, non farei una prefazione 

al Leopardi. Troppi ne hanno scritto e ne scrivono. 

Sarebbe cosa volgare» [idem – VI.9.a]. Le Poesie di Leopardi 

furono edite dalla Tipografia Elzeviriana della vedova 

Pateras e dei fratelli Centenari, a cura e con prefazione 

di Ruggero Bonghi; Sommaruga acquistò l’intera tiratura 

annettendola alle sue edizioni e le pubblicizzò sulla 

Cronaca a più riprese, anche come premio agli abbonati. 

I temi del poco tempo del Poeta, dell’insistenza dell’editore 

nel chiedere pezzi per la rivista e per la casa editrice 

e dell’insofferenza di Carducci per questa insistenza 

ricorrono in quasi tutte le lettere, anche se sempre mitigati 

dall’affetto che legava autore ed editore. «A basso 

quel birbante di Sommaruga!», «Legnano? Come vuol 

che gliela faccia per maggio se Ella […] o tutti non mi lasciano 

un po’ di pace», «Faccia la ristampa, mi lasci un po’ 

di quiete, accomodiamo i nostri conti; e poi, non con furia, 

ma poco per volta faremo», «Perfido Angelino, non 

ho voglia di scrivere. Ho voglia di dormire», scriveva ad 

esempio Carducci. E Sommaruga riconoscerà nel libro di 

memorie Cronaca Bizantina: «Io veramente non gli davo 

pace […] Io la accomodavo chiedendo sempre, con lettere 

e telegrammi, implacabilmente i suoi scritti, e finivo 

sempre coll’ottenerli. Nel suo epistolario si trovan fre- 

Autore sconosciuto, 

Ritratto di Angelo Sommaruga 

da giovane, pastello su cartone, 1873, 

Savona, collezione Tiscione 

quenti proteste contro la mia richiesta 

di nuovi lavori; ma le proteste contro la 

mia richiesta di nuovi lavori non valevano 

ad attenuare la mia insistenza». 

In una lettera al Chiarini del 13 dicembre 

1883, il Maestro scrive: «In questo 

mese ho lavorato tanto che se non sono 

ammalato è un miracolo. Sommaruga vuole 

la mia pelle e non me la paga». Molti i progetti 

carducciani sollecitati da Sommaruga e descritti nelle 

lettere: alcuni non vedranno la luce, altri saranno pubblicati 

altrove. Dei tanti che non ebbero seguito, l’editore 

scrive: «Gli chiedevo sempre un’ode sugli emigranti di 

cui mi aveva detto lo spunto un giorno a Roma: e me la 

prometteva ancora dopo la mia caduta, mentre io ero all’estero, 

il 27 agosto ’87 da Courmayeur: “Farò gli Emigranti 

e manderò”». 

Nel marzo dell’82, la Bizantina pubblicò questa entusiastica 

dichiarazione: «Noi lo amiamo Giosue Carducci. 

Perché la sua parola ci scalda, e gli occhi suoi fulgidi 

ci fanno tremare. Perché il suo verso è là, in quella bocca 

degna di Aristofane, e in quel fronte degno dell’Olimpo. 

Perché Roma, quando ospita Carducci, è più Roma, e 

l’Italia, più Italia. Perché il poeta d’Italia è desso. Perché il 

suo sorriso è dolce e il suo cuore è grande. Ecco perché 

amiamo Giosue Carducci, noi perduti, noi senza ingegno, 

ma incorrotti e credenti ancora nell’ideale». 

 

Quando era a Roma, Carducci soggiornava presso 

un quartierino annesso agli uffici della Bizantina: si trovava 

bene tra quei giovani che lo adoravano, si trovava bene 

in una rivista che lo metteva in risalto e accentrava su di lui 

l’attenzione di gran parte della Nazione. E provava affetto 

per quell’editore coraggioso, ancora scapigliato nella 

vita e nel lavoro, che però aveva gran fiuto negli affari e 

che scoprì il grande potere della pubblicità. Il solito Besana, 

insinuò che invece Carducci fosse attratto solo dalla 

bella compagna di Sommaruga, Adele Mai, e che solo per 

lei si facesse vedere alla Bizantina. In realtà era l’atmosfera 

che vi si respirava, i personaggi che la popolavano – da


Papiliunculus a Scarfoglio, al giovane d’Annunzio, alla Serao 

– i temi che vi si dibattevano, e pure il vino che non 

mancava mai e il gin, liquore preferito dal Professore. In 

varie lettere vi sono accenni al vino («Ricevei la vernaccia 

e La ringrazio», «Quel barolo in viaggio fu compagno 

dolcissimo e allegro. Ne feci bere anche a Lessona e poi 

gittai la bottiglia nelle onde del padre Tevere, mandando 

un evoè di ringraziamento alla signora Adele. Da una ruina 

d’antico edificio che era su un colle ferruginoso le ombre 

antiche si compiansero, che non potevano più bere né 

veder la bellezza. Le due stupide inglesi che erano lì accanto 

in carrozza non capirono nulla, e guardarono scioccamente»), 

mentre sul gin rimangono due terzine scritte 

il 5 ottobre 1881 davanti a varie bottiglie vuote («Quanto 

azzurro d’amori e di ricordi/Gin, infido liquor, veggo ondeggiare/Nel 

breve cerchio onde il mio giusto mordi; | O 

dolci selve di ginepri, rare,/A cui fischian nel grigio ottobre 

i tordi/lungo il patrio, selvaggio, urlante mare!»). 

Le lettere sono interessanti perché oltre ai commenti 

sul proprio lavoro contengono «apprezzamenti e 

severi giudizi» di Carducci sui contemporanei e sulla politica 

(in alcune, sapendo la contiguità di Angelino con alcuni 

ministri e uomini politici, il Poeta chiede raccomandazioni 

per gli amici, mai per sé, e un’unica volta si spinge 

a chiedere riparazione ai torti subiti dal fratello Valfredo 

da parte dell’Amministrazione centrale) e sono piene della 

generosità, della confidenza e dell’affetto che, ricambiato, 

il Poeta provava per Angelino. 

E testimoniano la perplessità che per primo Carducci 

cercò di esprimergli intorno a Pietro Sbarbaro e alle 

Forche Caudine: il 13 luglio ’84, a un mese dall’uscita del 

primo numero, scriveva «Veggo le Forche Caudine e so del 

grande spaccio. Ma dubito possa durare gran tempo. Il 

pazzo [Sbarbaro] s’inganna della benevolenza di Brioschi, 

Villari e uno o due altri»; il 4 ottobre ancora «Sommaruga 

ruga… ruga… ruga… e ruga di qui e ruga di là, e 

Messaggero illustrato e Forche Caudine e il diavolo che li 

porti… come son tutti buffi e come tutto è stupido a un 

modo! Capisco che le Forche Caudine non sono mica una 

bella istituzione. Ma il profitto che danno è scusa e accusa. 

Se non che durare non possono», e dopo una settimana 

«Ciò che mi rimane difficile a digerire è le Forche Caudine 

che più volte sono un vero libello: parrebbe di ricatti, se 

non fosse facile a capire che ricatti in quel modo lì non se 

ne possono fare. Quello Sbarbaro si rende sempre più impossibile, 

senza neanche la speranza di riuscir deputato. 

Anche l’allettativa dello scandalo, con l’uso, finirà». 

A sinistra: Claude-Émile Schuffenecker, Ritratto di Angelo 

Sommaruga, olio su tela, 1890, Savona, collezione Tiscione. 

Sopra: Luigi Conconi, Il poeta (ritratto di Carducci), 

olio su tela, s.d., collezione privata 

A Sommaruga il Poeta fu vicino anche durante il 

processo, nel quale depose come teste (« quando venivo a 

Roma, abitavo in casa sua. Lo sentivo accusare spesso, ma 

dalle accuse sempre si rilevava migliore. È di grandissimo 

ingegno e operosissimo. Fa fatti non frasi») e nella fuga: 

lo aspetta sotto la neve alla stazione di Bologna – dove Angelino 

è di passaggio tornando a Milano, prima di andare 

a Genova e imbarcarsi per l’Argentina – solo per salutarlo 

e dirgli «Si ricordi che le voglio sempre un po’ di bene». 

Oltre ai sentimenti, le lettere di Carducci testimoniano 

la stima che il Poeta nutrì per Sommaruga come 

editore e uomo di cultura. Gli riconosceva di saper scegliere 

autori e testi. Chiusa l’epoca romantica con la morte 

di Manzoni, persi gli ideali risorgimentali e ormai delusa 

per un’Unità che non sortisce gli effetti sperati, la letteratura 

italiana scopre nuovi modi e nuovi temi. Angelo 

Sommaruga è tra i primi a cogliere il cambiamento, quasi 

a favorirlo: la Scapigliatura dei giorni gloriosi si sciolse 

nel romanzo verista e nel romanzo sociale dove Verga e 

Capuana grandeggiarono, d’Annunzio e Pascoli trasfusero 

i ritmi carducciani in musiche diverse e fino ad allora 

inaudite. Si preparava la letteratura della Nuova Italia.

LE COSE SUCCEDONO. 

QUEL CHE CONTA 

È AVERE 

LE IDEE CHIARE 

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inSEDICESIMO 

APPUNTAMENTI, CATALOGHI DI BIBLIOFILIA, SCAPIGLIATURA, 

MOSTRE, SAGGI, RECENSIONI, ANASTATICHE 

I GIORNI DELL’IFLA. A MILANO 

Il programma del congresso e una relazione 

accademica in anteprima per i nostri lettori 

A cura di Laura Balestra e Piero Cavaleri, 

Biblioteca Mario Rostoni, Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo 

INFORMATION LITERACY 

NELLE BIBLIOTECHE ITALIANE: 

IMPARARE A IMPARARE! 

Essere Information literate significa 

aver acquisito la capacità di ricerca 

e uso dell’informazione, significa 

aver sviluppato quelle competenze 

che consentono di imparare a imparare, 

di trovarsi di fronte a un problema 

risolubile attraverso la ricerca 

di informazione e di riuscire a individuare 

le fonti migliori per risolverlo (libri, risorse 

in Internet, altri media). 

La biblioteca è il luogo ideale 

per “allenare” questo tipo di competenze, 

perché in biblioteca le diverse risorse 

si integrano senza perdere la complessità 

(film, cd, siti web, libri), perché in 

biblioteca le fonti sono diversificate 

in base alle diverse esigenze (si va 

dall’enciclopedia specialistica al manuale 

per principianti) e perché in biblioteca 

esistono i bibliotecari, il cui compito 

non è quello di custodire i libri, 

ma di aiutare le persone che cercano 

l’informazione a farlo meglio. 

Il concetto di information literacy 

viene da lontano, nasce negli anni 

Settanta e nel contesto lavorativo, 

professionale, strettamente connesso 

alla necessità che gli adulti hanno 

di non smettere di aggiornarsi nelle 

proprie conoscenze durante la fase 

lavorativa, e quindi di cercare 

informazioni. 

Si tratta di un’idea che precede la 

diffusione della Rete, ma che con Internet 

ha trovato una nuova articolazione. 

La Rete ha infatti accresciuto le 

possibilità teoriche di favorire 

per i cittadini un aggiornamento 

continuo, ma questa possibilità spesso 

si vanifica perché cercare informazioni 

non banali è compito non facile. 

IFLA (International 

Federation of Library 

Associations and 

Institutions), è la sigla 

che riunisce circa 1.700 

associazioni professionali 

nazionali, infinite 

istituzioni bibliotecarie e 

singoli professionisti per 

dare voce mondiale alla 

professione bibliotecaria 

e dell’informazione. 

Dal 23 al 27 

agosto, il suo 75° 

Congresso Mondiale si 

svolge a Milano (Fiera), 

dove oltre 4.000 

delegati da tutto 

il mondo si sono dati 

appuntamento per 

discutere del proprio 

presente (e soprattutto 

del futuro) grazie a una 

serie di dibattiti, tavole 

Dopo anni di attenzione ai temi 

del digital divide, oggi la conoscenza 

del mezzo tecnologico nei Paesi 

occidentali si sta progressivamente 

trasformando in un’attività routinaria. 

Purtroppo la generazione degli 

attuali decisori, cresciuta in un mondo 

in cui le tecniche tradizionali di ricerca 

e valutazione di informazioni 

e documenti erano abbastanza solide 

per chi frequentava corsi di istruzione 

superiore, tendono a proiettare sulle 

nuove generazioni queste loro 

caratteristiche, senza rendersi conto 

che per queste i problemi sono opposti: 

i giovani non hanno nessun problema 

con l’informatica o con Internet, 

ma ne hanno tanti con le informazioni 

e con la selezione delle informazioni 

quando le informazioni devono servire 

a risolvere un problema. Questo porta 

alla creazione di un information divide 

tra chi sa distinguere tra le diverse fonti, 

analizzare, comprendere e chi invece 

A MILANO, IL 75° CONGRESSO MONDIALE DELL’IFLA RIFLETTE 

SUL FUTURO PROSSIMO DELLE BIBLIOTECHE. NESSUNA ESCLUSA 

rotonde, mostre ed 

eventi culturali riuniti 

sotto il titolo “Libraries 

create futures: building 

on cultural heritage”. 

Archivi digitali, tutela 

del copyright, rinnovo 

degli spazi, open access 

e multiculturalità sono 

tra i temi più scottanti 

all’ordine del giorno. 

Info: www.ifla2009.it


naviga in Rete (ma sarebbe meglio dire 

tra le informazioni, siano esse 

elettroniche o cartacee) in modo più 

o meno casuale e inefficace. 

Si può migliorare le capacità di 

ricerca e uso dell’informazione? 

Certamente sì, acquisendo un metodo. La 

Rete e le sue potenzialità rappresentano 

per i cittadini una grandissima risorsa, ma 

esattamente come per l’universo cartaceo 

per riuscire a cogliere le differenze 

bisogna appunto “allenarsi” a frequentare 

e a utilizzare diverse fonti informative e a 

capirne le differenze di qualità, valore, 

rilevanza e per poter quindi scegliere la 

più adatta in base al diverso fine. La 

biblioteca lavora per questo. 

COME SI IMPARA L’INFORMATION 

LITERACY NELLE BIBLIOTECHE 

La biblioteca di pubblica lettura, 

che esiste già e ha una diffusione 

capillare nel terrritorio, non è solo il 

luogo dove trovare l’ultimo romanzo di 

Harry Potter, ma è ovviamente il punto 

naturale in cui i cittadini adulti possono 

trovare stimoli per arricchire le loro 

conoscenze, anche professionali, e fare 

domande. È per definizione un luogo 

di apprendimento, o meglio 

di auto-apprendimento. 

Quando i bibliotecari parlano 

ai cittadini lo fanno proponendo non solo 

le letture per le vacanze, ma anche 

incontri in cui si ragiona 

sull’informazione, su come cercala e 

come valutarla. Può essere che si tratti 

di scoprire come decidere in modo 

consapevole conoscendo i dati statistici 

che Istat mette gratis in Internet, oppure 

cercare leggi in Rete senza cadere nelle 

trappole di testi non aggiornati, o come 

partire sicuri per le vacanze conoscendo 

i siti migliori per valutare i rischi dei 

paesi, tutte le occasioni sono buone per 

innalzare in chi frequenta le biblioteche la 

consapevolezza di quanto l’informazione 

sia complessa, e la capacità di analizzarla 

necessaria per risolvere anche i problemi 

di tutti i giorni. 

Va da sé che cominciare da giovani 

rende la cosa più semplice, 

ed è per questo che l’ambito educativo 

italiano ha accolto gli stimoli 

dell’information literacy e ha attuato 

attività di didattica all’uso della Rete 

e delle fonti informative tutte, anche 

cartacee, nelle varie discipline. 

La rete delle biblioteche scolastiche 

ha dato prova da subito di una forte 

consapevolezza del problema, grazie 

ai suoi bibliotecari che da sempre 

cercano, nonostante le risorse limitate, 

di presentare la biblioteca come 

laboratorio che integra la didattica d’aula, 

fornendo agli studenti la possibilità 

di muoversi sì in autonomia di fronte 

a un problema di ricerca, ma con 

un metodo che si può imparare. 

UNESCO , che ha indicato 

l’information literacy come uno degli 

obiettivi essenziali per «[…] capire, 

partecipare attivamente e poter trarre 

un beneficio pieno delle risorse offerte 

dalla società dell’informazione», 

ha individuato gli insegnanti come 

un importante elemento di azione 

in questo specifico ambito e ha 

suggerito che potessero inserire percorsi 

di information literacy nell’attività 

didattica. La tradizione scolastica 

italiana, poco avvezza rispetto a quella 

anglosassone a una didattica 

non frontale, non avvantaggia certo. 

Per ottenere buoni risultati i bibliotecari 

devono poter collaborare con i docenti, 

che devono essere aperti ad inserire 

nella didattica esperienze laboratoriali. 

Le biblioteche universitarie italiane 

da diversi anni hanno aggiunto 

tra i propri servizi di reference un’offerta 

di corsi di istruzione alla ricerca e all’uso 

dell’informazione per studenti 

(information literacy instruction). 

Non si tratta solo di raccontare agli 

utenti come usare un catalogo online 

(questi strumenti sono per certi versi 

sempre più semplici da usare), 

ma di spiegare quali siano le tipologie 

informative per ogni disciplina. 

La proposta agli studenti 

non riguarda singole discipline lette 

dal punto di vista dei contenuti, ma le 

fonti su cui tali contenuti si trovano, 

la loro qualità, i diversi scopi 

cui rispondono. Paradossalmente uno 

studente di economia potrebbe sapere 

cos’è l’inflazione, ma non riuscire 

a individuare la fonte adatta per trovare 

delle serie storiche sull’inflazione 

in Italia. Il dato c’è, è gratuito in Rete, 

ma la fonte migliore non si recupera 

affidandosi al lancio delle parole 

in un motore di ricerca. 

L’idea centrale è che se una 

persona è information literate saprà 

avere, rispetto alle informazioni 

ricercate, delle attese ragionevoli, 

non cercherà in Rete quello che in rete 

non c’è e prima di eseguire una ricerca 

avrà un metodo, la capacità di agire 

razionalmente e non quella di affidarsi 

sempre sistematicamente all’amicoesperto, 

che magari non è poi così 

esperto. Imparare a imparare, questo 

insegna l’information literacy.


APPUNTAMENTI A TUTTO VOLUME 

PER UN’ESTATE DA “RACCONTARE” 

L’universo libro e il mondo della scrittura 

tra incontri, mostre, e reading poetici 

di matteo tosi 

SCRITTORI D’ALTA QUOTA 

TRA LE VETTE DOLOMITICHE 

Per il sesto anno consecutivo, 

Gianna Schelotto porta in Alta Badia 

il suo “Un libro un rifugio”, e cioè alcuni 

dei migliori scrittori italiani 

del momento che, accompagnati 

da ospiti e relatori, discutono 

con il pubblico del loro ultimo libro. 

Tra i tanti appuntamenti, si segnalano 

quello con Margaret Mazzantini (1° 

agosto), Sergio Romano (4), Riccardo 

Chiaberge (5), Mauro Corona (6) e 

Antonio Caprarica (12), oltre a qualche 

inedito incontro con “lettori 

d’eccezione” che parleranno del libro 

che hanno amato di più e che ha avuto 

più influenza nella loro vita 

(tra cui Massimo Cacciari il 7 agosto 

e Catherine Spaak il 14). Ma la novità di 

quest’anno è un vero e proprio corso di 

scrittura in due puntate, tenuto da 

Beppe Severgnini (l’11 e 12 agosto) nei 

rifugi della valle. Per questo e per gli 

altri eventi in programma, sono già 

aperte le iscrizioni 

www.altabadia.org 

NOBILI LEGATURE IN MOSTRA. 

AL CASTELLO, NATURALMENTE 

C’è aria di cataloghi tra i corridoi 

della Biblioteca Trivulziana. Federico 

Macchi, infatti, ha avuto l’incarico 

di studiare l’intero corpus dei suoi 

volumi più importanti per catalogare 

stili, decori, luoghi ed epoche d’origine 

delle preziose legature collezionate. 

In attesa di un possibile grande volume 

documentario, comunque, questo 

paziente lavoro di schedatura ha dato 

vita a una prima sorpendente 

esposizione antologica, ospitata al 

Castello Sforzesco di Milano, nella Sala 

del Tesoro (“Sei secoli di legature”, fino 

al 18 ottobre, info: 02/88463814). 

In mostra, esemplari dal 

Quattrocento al XX secolo, provenienti 

dai quattro angoli d’Europa e, 

soprattutto, da tutte le più prestigiose 

“botteghe” italiane. Manufatti di grande 

prestigio tra cui si fanno notare 

numerosi frutti della scuola milanese 

e veneziana, ma anche l’opera 

del capitolino Luigi de Grada e del 

libraio vaticano Marcantonio Guillery. 

O, ancora, i lavori di una “squadra” 

parigina che va da Jean Picard 

ai Dubuisson, da Nicolas-Denis Derome 

a Bozerian il Giovane e Paul Gruel. 

www.comune.milano.it 

O SELENE, PALLIDA LUNA... 

POESIE PER QUESTI 40 ANNI 

Martedì 21 luglio 2009 alle ore 

21.15, nel cortile di Palazzo Luigi 

Einaudi a Chivasso, il Museo Clizia 

festeggia i quarant’anni dall’allunaggio 

con I mile volti della Luna - 1969-2009. 

Un evento che ha cambiato la storia. 

Si inizia, sotto un bel cielo 

stellato, con “Lo sbarco sulla luna”, la 

proiezione del filmato originale 

(commentato da Tito Stagno) in cui Neil 

Armstrong, comandante della missione 

Apollo 11, mosse i primi passi sulla 

superficie lunare; e si prosegue con 

“Letture sulla luna”, grazie a Mauro 

Avogadro che legge e interpreta alcuni 

brani tratti dai grandi capolavori della 

letteratura classica: partendo dal 

Cinquecento con Argomenti vari sulla 

luna di Galileo Galilei, per passare alla 

commedia secentesca di William 

Shakespeare, Sogno di una notte di 

mezza estate, e ancora Ludovico Ariosto 

con L’Orlando Furioso, Perelà uomo di 

fumo di Palazzeschi e Guicciardini, 

Woyzeck di Buchner e, naturalmente, il 

mitico Cirano de Bergerac. 

La serata è un “evento speciale” 

organizzato in concomitanza della 

mostra fotografica The World At Night 

(fino al 6 settembre; info: 011/9103591), 

con un centinaio di straordinarie 

immagini del cielo stellato e dei più 

affascinanti fenomeni celesti. 

www.luoghidellacultura.it

28 

IL CATALOGO 

DEGLI ANTICHI 

Libri da leggere 

per comprare libri 

di annette popel pozzo 

UN “TUTTO ERASMO” A SUA 

STESSA CURA E ITALICHE COSE 

Erasmushaus 

Intermezzo 35 

La nota libreria antiquaria svizzera 

che deve il nome “Casa d’Erasmo” proprio 

al fatto che l’umanista trascorse in quel 

luogo il suo ultimo anno di vita, dal 1535 

al 1536, come ospite del tipografo 

Hieronymus Froben – fra l’altro editore di 

numerose edizioni erasmiane – ha 

abitualmente belle opere d’Erasmo nelle 

sue offerte. Questa volta si tratta del 

rarissimo Catalogus omnium Erasmi 

Roterodami lucubrationum, ipso autore, 

Basilea: Froben, aprile 1523, in legatura 

coeva (CHF 16.800), primo esempio di 

autobibliografia pubblicata separatamente. 

Si trovano anche numerosi titoli 

di argomento italico in prime edizioni, 

provenienti dalla collezione 

dell’economista e bibliofilo viennese Franz 

Pollack-Parnau che nel 1938 per sfuggire 

ai nazisti si rifugiò in Svizzera. Tra questi, 

Le Lettere del cavalier Marino, Venezia: 

Baba, 1627 (CHF 700), l’opera Dei discorsi 

toscani di Antonio Cocchi, Firenze, 

Bonducci, 1761-1762 (CHF 650), Giuliano 

Goselini, Vita del prencipe Don Ferrando 

Gonzaga, Milano, Pontio, 1574 (CHF 950) 

e Tommaso Porcacchi, Paralleli ò essempi 

simili, Venezia, Giolito de Ferrari, 1566 

(CHF 1.200). 

Erasmushaus 

Bäumleingasse 18 - 4051 Basel (CH) 

www.erasmushaus.ch 

I VENT’ANNI DELLA “KAISER” 

IN ALTRETTANTI CAPOLAVORI 

Tusculum Rare Books 

Catalogue XIV: WJK – XX Years The 

Book Beautiful – A Quest 

Il catalogo giubilare di Wolfgang 

Kaiser che celebra i vent’anni di attività 

dell’azienda presenta “20 prestigious 

books and manuscripts in fine bindings”. 

La politica di Aristotile di Antonio Scaino 

(Roma: nella case del popolo romano, 

1578) in una strepitosa legatura coeva 

romana alle armi di Giacomo 

Boncompagni, figlio naturale del papa 

Gregorio XIII (¤7.500), viene affiancata 

della raffinata edizione bodoniana 

in quarto delle Stanze di Angelo 

Poliziano (Parma: 1792; Brooks 451) 

in una splendida legatura neoclassica 

eseguita per il duca Albert von Sachsen- 

Teschen, probabilmente opera del noto 

legatore viennese Georg Friedrich 

Krauss (¤12.000). L’esemplare 

di La Metropolitana di Milano 

di Gioachino D’Adda (Milano: Bocca 

e Rusconi, 1824) fu la copia personale 

la Biblioteca di via Senato Milano – luglio/agosto 2009 

dell’arciduca Rainier, vicerè della 

Lombardia e del Veneto, in una bella 

legatura firmata da Luigi Lodigiani 

(¤14.500). 

Tusculum Rare Books Limited 

34-36 Maddox Street 

GB London W1S 1PD 

tusculum@tiscali.co.uk 

DALL’INTERNET ALLA STAMPA: 

UN CATALOGO PER QUASI 90 

Gemeinschaftskatalog 

der Antiquare 2009 

“Bücher, Bücher, Bücher, Bücher …“ 

Interessante iniziativa questa, di 

circa novanta antiquari presenti 

prevalentemente on-line, che scelgono 

di pubblicare un catalogo collettivo 

a stampa che contrariamente alla sola 

presenza dei libri virtuali in rete cerca 

di dare più continuità e reperibilità 

al collezionsita e al bibliofilo. 

La pubblicazione di più di 300 pagine 

invita alla lettura, oltremodo facilitata 

da un indice di autori e artisti. 

Una rara prima edizione del matematico 

bergamasco Giuseppe Unicorno (1523- 

1610), De admiranda vi proportionis 

eiusque necessaria, Venezia, Andrea 

Arrivabene, 1552 (¤1.000) viene censita 

in soltanto 3 biblioteche italiane. Da 

segnalare anche De re militari libri di 

Flavius Renatus Vegetius (Leida, 1607), 

illustrato da più di sessanta xilografie, 

nella prima edizione a cura di Pieter 

Schrijver (1576-1660) con la sua dedica 

manoscritta (¤1.200). 

Gemeinschaftskatalog 

der Antiquare 2009 

Genossenschaft 

der Internet-Antiquare eG 

Luxemburger Str. 31 

D 13353 Berlin 

service@prolibri.de


IL CATALOGO 

DEI MODERNI 

Libri da leggere 

per comprare libri 

di matteo noja 

I “REALISTI” DEI SESSANTA 

Studio Bibliografico Marini 

Nouveau Realisme - Catalogo 

online giugno 2009 

Il 16 Aprile 1960, in vista di 

un’esposizione collettiva che avrebbe 

avuto luogo nel mese successivo alla 

galleria Apollinaire di Milano, il giovane 

e brillante critico Pierre Restany scrisse 

un breve saggio, pubblicato in un 

fascicolo di otto pagine, dal titolo 

Les Nouveaux Réalistes: i giovani ma già 

affermati artisti radunati sotto questa 

etichetta sono Fernandez Arman, François 

Dufrêne, Raymond Hains, Yves Klein, Jean 

Tinguely e Jacques de la Villeglé. 

Lo studio bibliografico Marini propone 

una quarantina di libri – monografie e 

cataloghi di mostre – su questo 

movimento artistico che proponeva una 

nuova visione della realtà basata sulla 

constatazione di una natura moderna e 

oggettiva, «sull’appropriazione del reale 

contemporaneo, reale che nell’immediato 

Dopoguerra è rappresentato dalla 

produzione seriale, dai mass media, dalla 

pubblicità, dallo sviluppo tecnologico e 

dalla trasformazione dei rapporti sociali». 

Il catalogo raccoglie alcune 

testimonianze di questo gruppo e 

di questo periodo e, pur non proponendo 

il testo fondante di Restany sopra 

ricordato, offre il catalogo della mostra 

organizzata alla Rotonda della Besana a 

Milano sempre dal critico francese, oltre a 

una serie di cataloghi di varie epoche di 

Rotella, Spoerri e Tinguely, tra gli altri. 

Studio Bibliografico Marini 

Via Capozzi, 25 - 70010 - Valenzano (BA) 

tel. 0804/673670; www.libreriamarini.it 

PER UN PO’ DI ESERCIZIO 

Studio Bibliografico L’Arengario 

Due cataloghi: Arte tipografica - 

Giochi e sport 

La proposta dell’Arengario 

per l’estate si divide tra arte tipografica 

e attività ludico-agonistiche. 

Ventotto libri segnano il percorso 

dell’evoluzione tipografica nel secolo 

scorso da Raffaello Bertieri (1875-1941), 

col suo classico Il libro italiano nel 

Novecento [Milano - Roma, Società 

Linotype Italiana, (1928); ¤250] a 

Cassandre (Adolphe Jean-Marie Mouron, 

1901-1968) e al suo coloratissimo 

Le Bifur [Paris, Fonderies Deberny Peignot, 

18 rue Ferrus, 1929; ¤2.400], fascicolo 

interamente illustrato con alfabeti e 

composizioni tipografiche del carattere 

Bifur: «il Bifur (...) fu uno dei primi 

esperimenti di Cassandre con i caratteri, 

in cui seppe mettere a frutto il proprio 

talento di cartellonista combinando il 

materiale tipografico con il dinamismo 

dell’impaginazione». 

Dopo dieci anni, poi, un nuovo 

catalogo dedicato allo sport e ai giochi in 

genere. Si possono trovare alcuni volumi 

sulla danza, evidentemente intesa come 

movimento fisico [dal libro L’Arte della 

Danza e dell’Arte di Cia Fornaroli, Milano, 

s. ed., 1922; ¤130; ai libri dedicati 

al celebre ballerino e coreografo ucraino 

Serge Lifar (Sergej Mihailovič Lifarienko, 

1905-1986), Danse (s.l., Ror, 1946; ¤130) 

e Serge Lifar rénovateur du ballet français. 

16 hors-texte (Paris, Buchet/Chastel - 

Corrêa, 1960; euro 150)]. Molti anche 

i volumi sui giochi di prestigio e di 

illusionismo tra cui: Nelson T. Downs 

Modern coin manipulation… [New York, 

George Routledge & Sons, s.d. (1900); 

¤450], The Great Wizard’s Handbook of 

Magic, or Parlour Entertainment. The art 

of Lecedermain [(London), s.e., (1850); 

¤450], Professor Louis Hoffmann Tricks 

with cards. A complete manual of card 

conjuring (...) with original illustration and 

diagrams [London - New York, Frederick 

Warne and Co., 1889; ¤300]. 

Tra gli sport, il nuoto con un 

classico come M. Thevenot L’art de nager 

demontré par figures, avec des avis pour 

se baigner utilement [Paris, Chez Thomas 

Moette, 1696; ¤3.000], la boxe con un 

accattivante Ned (Edward) Donnelly The 

manly art of self-defence [New York, 

Excelsior Publishing House, 1886; ¤250], 

il calcio fiorentino con due pubblicazioni: 

Stefano di Francesco Sterponi, Il giuoco 

del calcio. Lettera del Filipono a Francesco 

Onesti [Firenze, Tip. G. Carnesecchi e figli, 

1898; ¤150] Presagj di vittoria a’ giocatori 

del calcio della divisa cremisi contro la 

divisa bianca. Ode all’illustrissima Signora 

Maria Luisa Orsetti [Lucca, per P. Frediani, 

1709; ¤650]; e ancora cricket, ginnastica, 

pattinaggio, tiro con l’arco e cinegetica. 

Da ultimo il curioso libro del 

celebre umanista fiammingo Justus 

Lipsius [1547-1606] sui gladiatori 

Saturnalium sermonum libri duo, qui de 

Gladiatoribus. Editio ultima, auctior & 

ornatior… [Lugduni Batavorum, Ex 

officina Plantiniana, apud Franciscum 

Raphelengium, 1590; ¤650]. 

L’Arengario Studio Bibliografico 

Via Pratolungo 192 - 25064 - Gussago 

(Franciacorta) (BS); www.arengario.it


MILANO E QUELLA SCAPIGLIATA 

RIVOLUZIONE FATTA A PENNELLO 

La grande mostra di Palazzo Reale 


Mentre alla Biblioteca di via 

Senato va in scena l’omaggio 

ai grandi testi, alle riviste 

e alle opera grafiche della Scapigliatura 

(La Scapigliatura e Angelo Sommaruga. 

Dalla bohème milanese alla Roma 

bizantina, fino al 22 novembre, mostra 

dal cui catalogo sono tratti i saggi 

di Annie-Paule Quinsac e Giuseppe 

Farinelli presentati in questo stesso 

numero), anche Palazzo Reale ricorda 

quella rivoluzione dell’estetica 

e dei costumi che proprio a Milano ebbe 

il suo epicentro con una grande 

esposizione di arte e pittura raccolte 

sotto il titolo Scapigliatura. Un 

pandemonio per cambiare l’arte (fino 

al 22 novembre; info: tel. 02/54915; 

catalogo Marsilio). 

«Basta la parola», recitava qualche 

anno fa il claim di una notissima 

pubblicità televisiva. E questo è proprio 

il caso, perché nonostante l’assenza 

di una precisa classificazione 

accademica (in particolare nel campo 

delle arti figurative), l’incertezza 

delle datazioni e i dubbi sulle “scuole” 

o sulle correnti coinvolgibili nell’ambito 

della Scapigliatura, nonostante tutto 

insomma, basta il suono di quel “nome”, 

lemma così onomatopeico 

e immaginifico insieme, a trasmettere 

il senso e la portata della sua spinta 

rivoluzionaria. 

E allora non si può che dare 

ragione a Cletto Arrighi (milanese, 1828- 

1906, al secolo Carlo Righetti) 

che nel 1858 scriveva sull’Almanacco 

del Pungolo: «Quando una parola nuova 

o sconosciuta risponde perfettamente 

ad un’idea, ad una condizione, 

ad un caso qualunque della vita sociale, 

che non si potrebbe esprimere altrimenti 

che con una perifrasi, la fortuna di 

questa parola dovrebbe essere certa». 

Si riferiva proprio a “Scapigliatura” 

l’Arrighi, lui che ne stilò il manifesto 

sotto forma di romanzo 

(La Scapigliatura e il 6 febbraio [1862]) 

e che, all’interno di quelle stesse pagine, 

ne disegnò perfettamente origini, modi 

e finalità: «In tutte le grandi e ricche 

città del mondo incivilito esiste una 

certa quantità di individui di ambo 

i sessi, fra i venti e i trentacinque 

anni (...) pieni d’ingegno quasi sempre, 

più avanzati del loro tempo (...) 

irrequieti, travagliati, turbolenti (..) 

personificazione della follia che sta fuori 

dai manicomii; serbatoio del disordine, 

della imprevidenza, dello spirito 

di rivolta e di opposizione a tutti 

gli ordini stabili...». 

Il fenomeno fu, dunque, 

prevalemtemente cittadino, e Milano, 

capitale economica e morale del nuovo 

regno unificato, fu la città che meglio

luglio/agosto 2009 – la Biblioteca di via Senato Milano 

seppe far convergere su di sé quegli 

animi “scontenti e ribelli” che, delusi 

per aver visto sfiorire in un lampo 

gli ideali risorgimentali per cui avevano 

combattuto, si diedero a rinnovare 

il senso estetico e il costume del loro 

Paese, sperimentando istanze che poi 

furono delle avanguardie novecentesche 

e anticipando l’idea di un’arte “totale” 

a cui potessero aderire artisti 

e intellettuali eterogenei e che fosse 

sempre aperta al contaminarsi continuo 

tra pittura, scultura, letteratura, poesia, 

musica e architettura. 

Un’atmosfera perfettamente 

ricreata in questa estate milanese, 

e quindi in pieno centenario futurista, 

dal duplice appuntamento studiato per 

rendere omaggio a questi spiriti liberi 

che scelsero di chiamarsi anche bohéme 

SCAPIGLIATURA. UN PANDEMONIO 

PER CAMBIARE L’ARTE 

MILANO, PALAZZO REALE, 

FINO AL 22 NOVEMBRE, 

INFO: TEL. 02/54915, 

CATALOGO: MARSILIO 

Nell’altra pagina: 

Daniele Ranzoni, 

Giovinetta inglese, 

olio su tela, e (sotto) 

Tranquillo Cremona , 

La visita al collegio, 

olio su tela 

A lato: Camillo 

Rapetti, I curiosi 

(o Al balcone), 

acquerello su carta 

In basso: Paolo 

Troubetzkoy, Ritratto 

di Daniele Ranzoni, 

gesso, cm.59x43x37 

o “avveniristi”, come se già intuissero 

la sublime portata della loro rivolta. 

Per farla breve, si potrebbe dire 

che la loro anima figurativa, pittorica e 

scultorea insieme, viene oggi omaggiata 

dalla grande mostra di Palazzo Reale, 

mentre alla Biblioteca di via Senato 

è spettato l’onere (e onore) di mettere 

in risalto l’enorme produzione 

pubblicistica, teorica e letteraria 

(ma anche vignettistica) nata dalle 

penne di Giuseppe Rovani (considerato 

con l’Arrighi il padre della Scapigliatura), 

Arrigo e Camillo Boito, Emilio Praga, 

Iginio Ugo Tarchetti e Carlo Dossi. 

Ma così semplice non è né 

potrebbe essere, visto l’eclettismo spinto 

del movimento tutto. Ed ecco 

che ai testi e ai disegni esposti 

in via Senato già si affiancano alcune 

sculture e una serie di ritratti pittorici, 

oltre ai “segni” della vita e del lavoro 

di Angelo Sommaruga, editore chiave 

dell’intera parabola di questa grande 

ondata creativa, come della sua 

successiva “romanizzazione” e del suo 

imborghesimento. 

Una varietà di opere, linguaggi 

e stili che riverbera esattamente quella 

33 

della grande mostra “gemella” a Palazzo 

Reale. Perché pittura e scultura, 

nonostante il volume del corpus esposto 

(250 opere tra dipinti, sculture, grafiche 

e incisioni) non sarebbero bastate 

a raccontare il fervore artistico 

e culturale che animò i “nostri” 

(da Giovanni Carnovali detto Il Piccio 

a Daniele Ranzoni, da Tranquillo 

Cremona a Giuseppe Grandi, da 

Gaetano Previati a Medardo Rosso 

e a Pierre Troubetzkoy)e i loro intenti. 

Ed ecco, allora, anche qui altri 

testi, fotografie, disegni, documenti 

autografi, sceneggiature, prospetti 

architettonici e spartiti, presentati, 

come tutto, secondo una rigorosa 

disposizione cronologica, per provare 

a mettere almeno un po’ di ordine in 

tutto questo “pandemonio” creativo. 

Subbuglio artistico subito 

rinverdito, però, da una serie di itinerari 

attraverso i loro caffé, i loro atelier 

e le loro osterie, oltre che da un 

cartellone di proiezioni e performance 

musicali, liriche e attoriali che 

coinvolgeranno l’intera città per tutta 

la durata delle due mostre.

34 

ANDANDO PER MOSTRE 

Nobili “fogli”, stampe d’artista 

e volumi ricchi di tradizione 


IL LOUVRE RISCOPRE IL RINASCIMENTO ITALIANO 

ATTRAVERSO I FOGLI DI LEONARDO E NON SOLO 

Sembra impossibile, ma il nostro 

Rinascimento non ha ancora 

finito di stupire l’Europa 

e il mondo intero con l’incredibile 

qualità e quantità delle sue meraviglie. 

Le ultime eccezionali scoperte, infatti, 

provengono dai recentissimi studi 

condotti dagli specialisti 

del “Département des Arts Graphiques” 

del Museo del Louvre sulla sterminata 

collezione grafica (circa tremila disegni 

e trentamila incisioni) donata 

da Edmond de Rothschild al museo 

parigino negli anni trenta del ’900. 

Ricerche che hanno permesso 

di individuare un numero notevole 

di opere riguardanti proprio quel 

magico periodo storico-culturale 

della nostra Italia, oggi riunite 

in un prestigioso catalogo edito dai tipi 

di Mandragora, a cura di Catherine 

Loisel, direttrice del Département des 

Arts Graphiques, e Pascal Torres, 

responsabile della Collezione Rothschild 

del Louvre. 

I due studiosi, poi, hanno 

selezionato 95 pezzi quasi tutti inediti 

per dare vita a un’affascinante mostra, 

DISEGNI DAL LOUVRE. 

IL RINASCIMENTO ITALIANO 

NELLA COLLEZIONE ROTHSCHILD 

DEL MUSEO DEL LOUVRE 

FIRENZE, CASA BUONARROTI, 

FINO AL 14 SETTEMBRE, 

INFO: TEL. 055/2654384 

CATALOGO MANDRAGORA 

la Biblioteca di via Senato Milano – luglio/agosto 2009 

Sopra: Raffaello, Ritratto di giovane, matita nera e (a destra) Corte interna di un palazzo con 

pavone e falcone che attacca un’anatra, dall’album Bonfiglioli-Sagredo-Rothschild Sotto: Seguace 

di Leonardo, Studi di teste di vecchio e di giovane, penna e inchiostro bruno incollato su cartone 

oggi a Firenze, che si apre all’insegna 

dell’incanto e del fantastico, e cioè con 

un corpus di 21 disegni di un gotico 

internazionale di eccezionale eleganza, 

tutti esposti recto/verso: favolose 

immagini di antichi castelli e disegni 

architettonici o “di figura” di grande 

perizia, che svariano da un Angelo che 

sconfigge i vizi a un San Giorgio e il 

drago e da un Crocifisso con Dio Padre 

e la Maddalena a un’Architettura 

con pavone e uccelli in volo. 

Il fulcro dell’esposizione, però, 

è costituito da circa 65 fogli, tra cui 

spiccano disegni di Pisanello, Jacopo 

Salimbeni, Leonardo, Raffaello, 

Perugino, Fra’ Bartolomeo, Benozzo 

Gozzoli, Maso Finiguerra, Niccolò 

dell’Abate, Perin del Vaga, Girolamo 

Bedoli, Battista Franco, Cavalier 

d’Arpino, e altri protagonisti dell’arte 

italiana tra Quattro e Cinquecento.


I TESORI DI CASA REMONDINI 

TRA FOGLI E CAPOLAVORI 

Rinato a Bassano del Grappa (VI) 

nel settembre di due anni fa, 

il Museo Remondini si è subito 

imposto all’attenzione generale come 

la più importante istituzione museale 

italiana dedicata alla stampa, anche 

grazie a una serie di esposizioni 

di indubbio prestigio. 

Una tradizione che continua senza 

tema di smentite, visto che oggi i suoi 

antichi armadi-espositori allestiti 

nella Sala del Tesoro ospitano uno 

spettacolare squarcio della Collezione 

di famiglia (fino al 4 ottobre; info: tel. 

0424/524933) raccolta, generazione 

dopo generazione, dalla celebre dinastia 

di stampatori bassanesi. 

I SERBI DI TRIESTE SI RICONOSCONO NELLA 

LORO CHIESA MA ANCHE NELLA BIBLIOTECA 

Genti di San Spiridione 

è il titolo 

della mostra con 

cui la comunità serba di 

Trieste, a 140 anni dalla 

consacrazione della chiesa 

di San Spiridione e a 

240 dalla prima messa in 

antico slavo ecclesiastico 

celebrata in città, rac- 

Pezzi d'eccezione che i Remondini 

hanno acquistato in tutta Europa 

per farne modello della loro produzione 

e soprattutto per passione e che oggi 

“regalano” al grande pubblico a partire 

da alcuni capolavori opere di Dürer, 

Schongauer, Sadeler, Carpioni, 

Rembrandt, Tiepolo, Ricci e Canaletto, 

insieme ad altri tesori del patrimonio 

remondiano custodito nelle raccolte 

non esposte dei Musei Civici di Bassano. 

Alcuni dei capolavori esposti, 

inoltre, sono affiancati da riprese 

degli originali della stessa stamperia 

bassanese, esemplari che hanno 

CORAGGIO LIBERTÀ E SBERLEFFO, DECLINATI DA UN GRANDE 

UMORISTA CONTEMPORANEO. PER “RINFRESCARE” MILANO 

Ifatti e i misfatti della 

politica italiana e internazionale 

dai primi 

anni Settanta ai giorni 

nostri sono i protagonisti 

di quella sorta di “sussidiario” 

per immagini redatto 

da Giorgio Forattini 

in una vita di satira, caricature 

e vignette. Una luminosa 

carriera che oggi 

riceve l’omaggio meneghino 

di Palazzo Reale 

(Forattini - Coraggio libertà 

sberleffo, fino al 27 

settembre; info: www. 

comune.milano.it) attraverso 

un’antologica di 

opere selezionate tra oltre 

2.000 disegni e i 45 

volumi pubblicati dal 

1973 al 2008. 

Undici legislature, 

33 governi e centinaia di 

fatti in 36 anni di politica 

italiana e internazionale 

raccontati anche nelle oltre 

300 pagine del bel catalogo 

Electa che accompagna 

la mostra. 

conta la propria storia attraverso 

ritratti, fotografie, 

progetti, libri e documenti 

d'archivio (Castello 

di San Giusto, fino al 4 

novembre, info: www. 

triestecultura.it). 

Ampio spazio alle 

vicende architettoniche 

di San Spiridione e alle 

loro testimonianze pittoriche, 

ma una sezione è 

dedicata anche alla Biblioteca 

cittadina della 

Comunità Religiosa Serbo-Ortodossa. 

contribuito a diffondere quelle immagini 

nei cinque continenti. In taluni casi, 

poi, alle opere a stampa vengono 

affiancate anche le matrici (in legno 

o in rame), utilizzate per realizzarle, 

tra cui alcune sopravvissute a incisioni 

di cui si è invece persa la memoria. 

O ancora matrici di capi d'opera della 

Stamperia come quelle de I miracoli 

di Sant'Antonio da Padova e matrici 

lignee e stampe originali di altre 

incisioni che grazie ai Remondini 

divennero oggetto di culto in molte 

famiglie: la Pentecoste di Tiziano incisa 

da John Baptist Jackson, La resurrezione 

di Lazzaro del fiammingo Abram 

Blomaert incisa da Sebastiano Lovison 

e La Crocefissione di Charles le Brun 

incisa da Giuseppe Bortignoni. 

Non poteva mancare l’omaggio 

ad alcuni dei best seller Remondinini, 

opere che trovarono diffusione mondiale 

e che ancora oggi richiamano 

immediatamente la memoria della 

Stamperia (come Il Paese della cuccagna, 

dove meno si lavora piu' si guadagna 

o l'Africa della serie dei “Continenti”. 

E poi, numerosi esempi 

delle loro tipiche creazioni “popolari”, di 

ambito religioso e profano: santini, fogli 

da preghiera, giochi, ventole e vedute 

ottiche. E un’interessante selezione 

di raffinatissime carte da parati.


UNA PROPOSTA PER IL DOMANI 

Il futuro delle biblioteche si scrive adesso: 

nuove tecnologie e competenze per vincere 

di matteo noja 

Profonda e acuta riflessione sul 

ruolo della biblioteca nella nostra 

società e sul suo significato nel 

continuo mutamento tecnologico e 

sociale, il libro di Antonella Agnoli (che ha 

progettato e avviato la biblioteca San 

Giovanni di Pesaro e ha collaborato al 

restyling degli Idea Store di Londra e a 

numerosi altri progetti bibliotecari) è una 

piccola miniera di stimoli e suggerimenti, 

di possibili scenari futuri che fanno ben 

sperare per l’avvenire del libro. 

In una società in continua e veloce 

trasformazione, è difficile capire che cosa 

debba essere una biblioteca: non solo un 

generico luogo di aggregazione culturale, 

studiando il comportamento dei 

frequentatori e soprattutto dei non 

frequentatori, dovrà ricoprire una vasta 

gamma di ruoli e servizi che finora non si 

pensava le fossero pertinenti. 

Molti addetti ai lavori obiettano 

che le biblioteche non siano consultori, 

né uffici postali, né sale giochi, né rifugio 

per i senza tetto: in realtà, per essere 

frequentate e mantenere una loro 

necessità, dovranno interpretare questi 

e altri ruoli, per soddisfare i bisogni della 

collettività nella quale si trovano. 

Finora le biblioteche sono sempre 

state ospitate in edifici storici imponenti, 

a volte costruiti sul modello di templi 

antichi, con scalinate impervie, soffitti 

altissimi, lampadari giganteschi e tavoli 

massicci, fatte in modo che i visitatori 

occasionali se ne sentissero respinti 

invece che invogliati a fermarsi: barriere 

simboliche che onorano la maestà del 

libro ma non ne favoriscono la diffusione. 

In un periodo caratterizzato da un 

individualismo di massa, in cui l’accesso 

all’informazione garantito da internet è 

possibile tutti i giorni e in tutti i luoghi, è 

opportuno ripensare la funzione di quelle 

strutture di intermediazione culturale 

come scuole, giornali e biblioteche. 

Bisogna aprirsi sulla strada non 

solo metaforicamente, entrare in quella 

accelerazione tecnologica che governa e 

condiziona le nostre scelte operative, 

accettare una competitività che non ha 

come scopo il profitto ma la crescita 

culturale della comunità in cui ci si trova, 

tenendo conto delle esigenze e dei timori 

che la struttura di una biblioteca può 

generare nel pubblico: modello sono 

i grandi esercizi commerciali, che 

non sono solo superfici per la vendita 

ma anche centri di aggregazione. 

In conclusione, la Agnoli vuole 

sottolineare che la biblioteca è un servizio 

necessario per il territorio e che i cittadini 

vanno coinvolti per far sentire la loro 

voce nelle amministrazioni locali, perché 

la biblioteca non può astrarsi dalle 

caratteristiche del luogo in cui è inserita. 

Per questo, non si può improvvisare, ma 

bisogna affidarsi ad analisi e studi 

approfonditi sugli utenti, sulla loro 

instabile frequentazione e sul perché sia 

difficile conquistarne di nuovi. 

L’osservazione di come le persone 

si muovono e si comportano può far 

migliorare spazi, servizi e collocazione dei 

materiali, mentre il layout dei locali e 

il comportamento del personale deve 

esprimere un forte senso di accoglienza: 

i cittadini si devono sentire bene come 

in qualsiasi altro luogo o negozio del 

quartiere. La comunicazione destinata al 

pubblico deve essere coordinata 

con il resto della biblioteca, anche con le 

regole, gli orari e il personale, rendendo 

comprensibili a tutti le varie indicazioni. 

L’ordine artificiale della biblioteca – 

il tanto ostico “catalogo” – deve essere 

accessibile in maniera semplice come 

la maggior parte delle piattaforme 

di ricerca su internet. 

Per lavorare nella biblioteca di 

domani si dovrà essere anticonformisti, 

provenire da ambiti differenti e avere 

competenze le più disparate, modellate 

sui bisogni di un centro di incontro fra i 

cittadini, che possa essere anche un 

luogo culturalmente attivo nel territorio. 

Proiettarsi all’esterno, raggiungendo 

coloro che hanno limiti nella libertà di 

spostamento, gli ospedali, le case di cura, 

le carceri; mettere a disposizione i propri 

spazi, aperti a ogni tipo di associazione: 

«la biblioteca è un pezzo di città, dove per 

caso ci sono anche dei libri»; coinvolgere 

gli internauti con il suggerimento e la 

creazione di nuovi blog nel portale della 

biblioteca, diventando un reale spazio 

di sperimentazione e di sollecitazione. 

Tutto per fare diventare 

la biblioteca la “piazza” del futuro, luogo 

di incontro culturale e sociale per la polis 

del domani, rispolverando il ruolo che la 

piazza aveva nelle città greche e romane. 

Antonella Agnoli, Le piazze del 

sapere. Biblioteche e libertà, Editori 

Laterza, Roma-Bari, 2009, pp.XII, 

172, ¤18,00


LIBRI CHE PARLANO DI LIBRI 

Omaggi d’autore alle pagine scritte 

e storie dove i volumi prendono vita 

di gianluca montinaro e matteo tosi 

TUTTO QUELLO CHE C’È SULLE 

CINQUECENTINE MANTOVANE 

Quarto volume della collana 

Biblioteca Mantovana, Le cinquecentine 

mantovane della Biblioteca Comunale di 

Mantova (a cura di Francesca Ferrari) 

presenta e descrive le 168 edizioni 

del XVI secolo conservate presso 

la Biblioteca Comunale Teresiana 

di Mantova e propone per ogni edizione 

la trascrizione del frontespizio con 

analisi bibliologica dei 334 esemplari 

esaminati. La premessa metodologica 

espone i criteri utilizzati per 

il rilevamento delle informazioni 

e propone alcune note sul complesso 

del fondo, soffermandosi su alcune 

tematiche specifiche: tipologia delle 

edizioni, apparato iconografico, marche 

tipografiche, legature e filigrane. 

Tre saggi introduttivi, a firma di 

Arnaldo Ganda, Cesare Guerra e Angela 

Nuovo, illustrano lo scenario storico 

mantovano del XVI secolo, a confronto 

con il panorama tipografico italiano 

coevo, e delineano attraverso alcune 

tracce documentarie i percorsi 

costitutivi del fondo della Biblioteca 

Teresiana. Il volume, corredato da ampio 

apparato iconografico, presenta anche 

la ristampa anastatica del libello 

di Benedetto Osanna Informatione vera 

di quanto sin’hora è occorso fra 

Giacomo, e Tomaso Ruffinelli, 

et Francesco Osanna intorno alla 

stampa, piccola edizione locale del 1598 

che ripercorre il contenzioso insorto tra 

i più importanti stampatori della città 

sul finire del XVI secolo. Il volume si 

completa con utili indici: cronologico, 

degli stampatori, dei dedicatari, dei 

possessori e da una sezione dedicata 

alle cinquecentine ebraiche. 

Le cinquecentine mantovane della 

Biblioteca Comunale di Mantova, 

a cura di Francesca Ferrari, Olschki, 

Firenze, 2008, pp.218, ¤32 

CI VOLEVA UN PO’ DI ORDINE 

NEGLI ARCHIVI LETTERARI 

Alle spalle di ogni grande scrittore 

esiste un grande archivio. 

L’affermazione è più che mai vera 

se si pensa alla letteratura e agli autori 

del XIX e XX secolo. Se parlare di archivi 

letterari prima dell’Ottocento è cosa 

difficile è invece certo che quasi tutti 

gli autori “recenti”, oltre e al di là delle 

loro opere, hanno accumulato e quindi 

lasciato ai posteri moli più o meno 

grandi (spesso di dimensioni 

ragguardevoli, se non immense) di 

appunti, suggestioni e carte varie. Tali 

archivi, accresciuti durante tutto il corso 

della vita, raccolgono materiali relativi 

alla propria attività creativa (carte 

private, libri, riviste, corrispondenze con 

altri autori), conservati e ordinati per un 

utilizzo futuro, attribuendo loro, così, un 

valore di testimonianza e di memoria. 

Esemplare, giusto per citarne uno, è 

il caso di Gabriele d’Annunzio il cui 

archivio invade tutto il Vittoriale. 

Sembra anzi che sia lo stesso fare 

letteratura contemporanea a rendere 

necessaria la presenza, alle spalle 

dell’autore, di un archivio, luogo 

sfuggente alla massa, camera 

di compensazione fra la vita e l’arte, 

strumento privilegiato di conoscenza 

e di intuizione. Sebbene in ogni epoca 

siano state raccolte carte che attestano 

l’attività dei singoli, solo recentemente 

gli archivi letterari sono stati 

riconosciuti a pieno titolo come 

tipologia archivistica e come fonte negli 

studi letterari. Il testo di Myriam 

Trevisan, Gli archivi letterari, nel 

proporre una lettura dell’archivio come 

narrazione autobiografica, analizza 

la tipologia dei materiali conservati, i 

criteri di ordinamento e inventariazione, 

i luoghi adibiti alla conservazione e 

gli strumenti di ricerca sull’argomento. 

Myriam Trevisan, Gli archivi letterari, 

Carocci, Firenze, 2009, pp.128, ¤10 

UN SAGGIO DEDICATO ALLA 

PRATICA DELLE “DEDICHE” 

Giovanni Fratta, nel 1590, dà alle 

stampe un’opera intitolata Della 

dedicatione de’ libri per i tipi di Giorgio 

Angelieri: un dialogo incentrato sul 

tema delle “dediche”, che dalla metà del 

Cinquecento in poi, acquista visibilità e 

importanza. È proprio con questo breve


trattato che si ha una prima 

formulazione di una embrionale teoria 

della dedica, in cui la complessa 

tematica (inerente formule, valenze e 

procedure di destinazione) beneficia 

di una prima sistematica e articolata 

focalizzazione. Con l’ingresso della 

stampa nel mondo del libro, il costume 

di dedicare le stampe a uomini insigni 

“per dottrina o dignità” diventa sempre 

più diffuso: dediche indirizzate 

principalmente a principi, re, nobili, papi 

e uomini potenti, con l’intento 

di ottenere una ricompensa, per lo più 

in denaro, per il dono pubblico elargito. 

A mano a mano l’importanza delle 

dediche si consolida: si configura così 

una sorta di genere letterario che 

prevede una struttura sempre più 

articolata e codificata. Marco Paoli, nel 

volume La dedica. Storia di una strategia 

editoriale, analizza, partendo proprio 

dal trattato di Fratta, la questione 

della dedica con grande lucidità 

e articolazione di argomenti, a conferma 

di quanto il problema fosse presente 

nella coscienza dell’uomo di lettere. 

Un viaggio che, dal Cinquecento fino 

alla metà dell’Ottocento, ripercorre 

un sistema che ha consentito a scrittori 

e uomini di scienza di ricavare vantaggi 

dalla pubblicazione delle proprie opere 

dedicandole a un potente. 

Marco Paoli, La dedica. Storia di una 

strategia editoriale, Pacini Fazzi, 

Lucca, 2009, pp.411, ¤40 

SISINO E QUEL VIZIO GRAFICO 

DI UN GRANDE GIORNALISTA 

Il ricco focus che Milano 

e la Biblioteca di Via Senato stanno 

dedicando all’epopea della Scapigliatura 

ha riportato in auge l’importanza, anche 

letteraria, della satira e della caricatura. 

Per gli appassionati del genere, allora, 

ecco una chicca tutta “toscanaccia” 

dedicata al lavoro (caricature e vignette, 

illustrazioni e bozzetti) di Tommaso 

Paloscia (1918 - 2005), giornalista e 

critico d'arte, protagonista della stampa 

fiorentina dal Dopoguerra ai giorni 

nostri. Il volume, curato da Simonetta 

Paloscia e Vincenzo Crescente, raccoglie 

una sessantina di sue grafiche inedite o 

poco note (scelte lungo un arco 

temporale che va dagli anni Quaranta 

agli Ottanta), suddivise tra “grafica e 

vignette”, “caricature” e “dipinti, disegni 

e illustrazioni”. Tutte le opere pubblicate, 

inoltre, mai prima riprodotte o studiate 

a causa del riserbo dell’autore, sono 

state oggetto di una piccola ma 

raffinata esposizione, tra il 18 e il 25 

aprile, presso la Compagnia del Paiolo di 

Firenze, in piazza della Signoria. Una 

mostra che ha superbamente evidenziato 

l’urgenza e la forza del suo “tratto”. 

Tommaso Paloscia, L’immaginario 

grafico di Sisino (a cura di Simonetta 

Paloscia e Vincenzo Crescente), 

Polistampa, Firenze, 2009, pp.72, ¤8 

Sposato a soli 18 

anni il già sommo 

Lev Tolstoj (ben 

più anziano di lei), da 

cui ebbe 13 figli, Sof’ja 

abbandonò subito le 

proprie velleità 

di autrice, nonostante 

avesse impressionato 

il marito per la «forza 

di verità e semplicità» 

della sua prima novella. 

Cinquant’anni dopo, 

però, ossia nel 1893, 

tornò a scrivere e fu 

subito Amore colpevole, 

un romanzo in risposta 

alla feroce analisi del 

matrimonio contenuta 

nella celebre Sonata a 

L’ALFABETO DEL DRAGONE 

IN TUTTE LE SUE FORME 

Amare i libri e amare la pratica 

nobile della scrittura è cosa poco 

differente, e non pochi bibliomani, 

infatti, si lasciano incantare dal fascino 

della calligrafia orientale e dalla magia 

di quei “segni” misteriosi. Perché 

ognuno di essi nasconde un segreto 

affascinante, che oggi Antonio Cianci, 

ingegnere ed esperto di processi 

innovativi, prova a svelarci grazie a 

questa inedita antologia di ideogrammi 

e pittogrammi suddivisa in sette 

capitoli: Persona, Natura, Spazio, 

Attività dell’uomo, Corpo 

e Alimentazione, Casa e Ospitalità, 

Numeri e Colori. Un libro, raccomanda 

l’autore, da «sfogliare casualmente, in 

modo da soffermare l’attenzione su uno 

o più caratteri alla volta» per imparare a 

riconoscerne gli elementi costitutivi. 

Antonio Cianci, Il libro dei caratteri 

cinesi, De Agostini, Novara, 2009, 

pp.336, ¤12 

A 90 ANNI DALLA MORTE, ARRIVA IN ITALIA SOF’JA TOLSTAJA, 

MOGLIE DI LEV, CON UN ROMANZO CHE È UN’AUTOBIOGRAFIA 

Kreutzer “composta” dal 

marito. Una storia 

schiettamente 

autobiografica (dall’età 

dei protagonisti al loro 

amore difficile finito in 

abbandono), incentrata 

sul “dramma” della 

gelosia, che oggi arriva 

anche in Italia grazie ai 

tipi di Baldini Castoldi 

Dalai (Milano, 2009, 

pp.200, ¤16,50), con 

tutto il suo carico di 

finezza psicologica.


ANASTATICHE E FAC-SIMILI 

PER VIAGGIARE NEL PASSATO 

I fatti della storia e la storia del pensiero 

secondo due illustri italiani dell’Ottocento 

di gianluca montinaro 

IL S. GAUDENZIO TRIONFANTE 

DI GIROLAMO ANTONIO PRINA 

Uno dei capitoli più importanti 

della storia di Novara riguarda il patrono 

san Gaudenzio (327-418). Primo vescovo 

della città, amico e confidente di 

Sant’Ambrogio, questi contribuì in modo 

determinante all’affermazione del 

cristianesimo nell’Italia del nord durante 

l’ultimo scorcio dell’Impero romano. A lui 

è legata una delle cerimonie più solenni 

mai tenutesi a Novara: il trasporto delle 

sue reliquie nello scurolo della nuova 

Basilica, a lui intitolata. Il fatto avvenne 

il 14 giugno 1711, data in cui l’intera città 

divenne sfondo (e protagonista) di una 

grande festa, il Trionfo di San Gaudenzio. 

Con questo stesso titolo, qualche mese 

dopo l’evento, Girolamo Antonio Prina 

pubblicò un’opera di eccezionale valore 

documentario sulla città e su questo 

avvenimento, con la riproduzione di 

grandi tavole a illustrare la processione, 

l’interno della Basilica, lo scurolo e altre 

opere che tuttora costituiscono uno dei 

più significativi patrimoni storici, artistici 

e religiosi della città. Il volume di Prina 

divenne subito celebre, specie per la 

qualità delle incisioni contenute. Oggi 

l’opera viene riconsegnata alla 

contemporaneità grazie a una preziosa 

anastatica della prima edizione del 1711, 

creata con procedimenti tipograficoartigianali 

e contenente le celebri incisioni. 

Girolamo A. Prina, Il trionfo di San 

Gaudenzio (rist. anastatica 1711), ediz. 

numerata in 150 copie, Interlinea, 

Novara, 2009, pp.168, ¤100,00 

ALLA SCOPERTA DEL BASOLI 

E DI QUEI SUOI SCENICI TRATTI 

Il pittore romagnolo Antonio Basoli 

(1774-1843), esponente di punta del 

neoclassicimo bolognese è noto agli 

storici dell’arte e agli appassionati non 

solo come pittore e decoratore d’interni, 

ma anche come incisore e membro 

dell’Accademia delle Arti di Bologna. 

Formatosi attraverso lo studio dell’arte e 

della letteratura classica, dei repertori, 

delle decorazioni e delle incisioni di 

Piranesi, Basoli operò come scenografo e 

disegnatore di sipari per vari teatri 

dell’area bolognese, il Marsigli Rossi, il 

Comunale e soprattutto il Contavalli 

(1814). Restano ormai poche tracce di 

queste sue opere, documentate però dalla 

ricca produzione di disegni, acquerelli e 

incisioni, tra cui le acquatinte della 

Collezione di varie scene teatrali, 

realizzate dal 1821. Negli anni fra il 1818 

e il 1825 Basoli raggiunge la massima 

maturità artistica. Diviso fra la 

decorazione di palazzi nobiliari e palchi 

teatraki, nel 1819 compie un viaggio a 

Milano ove visita la “sala di Sanquirico”, 

ossia lo studio del principale scenografo 

della Scala (cui Basoli si ispirò per la 

scenografia dell’Edipo Re al Contavalli nel 

1822). Suggestioni che si ritrovano nelle 

scene create per la rappresentazione di 

Semiramide riconosciuta (1820) e nelle 

pitture delle scene e del teatro dei 

Cavalieri dell’Unione di Santarcangelo di 

Romagna. La Bononia University Press, 

per promuovere e meglio comprendere il 

percorso artistico e creativo di Basoli, 

promuove una vera chicca, rara quanto 

preziosa: la ristampa anastatica, in tre 

volumi, dei taccuini del pittore di Castel 

Guelfo. Un modo per entrare nell’intimo 

creativo di uno dei massimi esponenti 

del nostro neoclassicismo. 

Basoli dal vero. Ristampa anastatica 

dei taccuini di Antonio Basoli (3 voll.), 

Bononia University Press, Bologna, 

2009, ¤150,00 

LA LETTERATURA “SOCIALE” 

DI GIUSEPPE PISANELLI 

Giuseppe Pisanelli (1812-1879), 

patriota, giurista e ministro di Grazia e 

Giustizia nei primi governi dell’Italia 

postunitaria, non fu solo uno dei primi 

uomini del Meridione impegnati in 

politica ad alto livello, ma anche (e, per 

sua stessa ammissione, soprattutto) 

intellettuale e scrittore. Molte delle sue 

opere rimangono tutt’oggi di grande 

interesse: non solo gli scritti tecnici sulla 

pena di morte, sul diritto civile o sulla 

corte di cassazione, ma anche - nell’ormai 

generale apprezzamento - quelli più 

teorici, soprattutto dedicati all’analisi dei 

problemi del Mezzogiorno e delle loro 

possibili soluzioni. E anche un’altra vena 

percorre la sua attività di scrittore, quella 

della letteratura tout court (ma sempre 

contestualizzata in problematici ambienti 

del Sud Italia). E’ il caso di questo 

Passatempi di una onesta brigata nel 

tempo del colera nell’anno 1827, 

un’operetta giovanile (1837), dedicata alla 

pestilenza che aveva decimato le 

popolazioni del Regno delle Due Sicilie 

nel 1827. Una agile edizione anastatica 

ne consente la lettura, aprendo a 

numerosi percorsi di riflessione sulla 

questione Meridionale, incredibilmente 

irrisolta a tutt’oggi. 

Giuseppe Pisanelli, Passatempi di una 

onesta brigata nel tempo del colera 

nell’anno 1827 (rist. anastatica ed. 

1837), Edizioni dell’Iride, Casarano, 

2009, pp.96, ¤10,00


UNA MOSTRA IN OCCASIONE DELL’IFLA 

Giordano Bruno e Tommaso 

Campanella: Opera omnia 

I due grandi filosofi tra persecuzione ed esilio 

Roma, 7 agosto 1603: quella mattina, alle porte della 

Cancelleria Apostolica, il cursore Laerzio Cecchetti 

affiggeva un editto del Maestro del Sacro 

Palazzo, Giovanni Maria Guanzelli da Brisighella, che 

notificava la proibizione di una sessantina di libri. Per alcuni 

di questi, si stabiliva una necessaria emendatio ed expurgatio, 

come previsto dalla Instructio dell’edizione dello 

Index librorum prohibitorum promulgata da Clemente VIII 

nel 1596, ma per una decina di autori la condanna era senza 

appello: opera omnia omnino prohibentur. Accanto ai nomi 

degli eretici e degli eresiarchi che dall’edizione dell’Index 

nel 1559 (il primo Indice romano ad avere effettiva diffusione, 

giusto 450 anni orsono) avevano determinato, 

con la lacerazione dell’unità religiosa in Europa, la più 

grave crisi nella storia della Chiesa, figuravano i due più 

grandi filosofi italiani tra Cinquecento e Seicento: Giordano 

Bruno (1548-1600) e Tommaso Campanella (1568- 

1639), i più emblematici per il comune 

destino di ribellione, fuga, persecuzione 

e censura. 

 

Il percorso della Mostra “Giordano 

Bruno e Tommaso Campanella: 

Opera omnia” prende spunto 

dall’Editto del Maestro del Sacro Palazzo, 

dove la condanna di Bruno e 

Campanella è perentoria: “Iordani 

Bruni Nolani libri & scripta omnino 

prohibentur”; “Thomae Campanellae 

opera omnia omnino tolluntur”. 

Nell’Editto si intimava pertanto: “di 

provedere con diligenza, e sollecitudine, 

che in quest’Alma Città di Ro- 

 

di Eugenio Canone e Annette Popel Pozzo 

ma non si stampi, vendi, ò in qualsivoglia modo tratti e 

maneggi libro alcuno prohibito, ò sospeso”. 

L’importanza e il fascino della Mostra consistono 

nel riunire un numero notevole delle rarissime prime edizioni 

delle opere di Giordano Bruno con l’opera in prima 

edizione pressoché completa di Tommaso Campanella, 

affiancata in molti casi dalle non meno rare seconde e terze 

edizioni o contraffazioni, il tutto proveniente dal Fondo 

antico della Biblioteca di via Senato. Un ulteriore fattore 

d’interesse deriva da provenienze illustri, talune di 

amici dei due filosofi, che fanno rivivere l’atmosfera dell’epoca. 

Il prezioso volume in cui sono uniti De la causa, 

principio, et uno (1584) e De l’infinito universo et mondi 

(1584) di Bruno porta la nota manoscritta “ex dono Joannis 

Florio”. Giovanni Florio (1553-1625) fu amico caro di 

Bruno e fine letterato dell’Inghilterra elisabettiana. Il De 

monade numero et figura (1591) di Bruno rivela la provenienza 

del filosofo tedesco Luderus 

Kulenkamp (1724-1794) che possedeva 

anche manoscritti del filosofo 

nolano. Il Prodromus philosophiae instaurandae(1617) 

di Campanella mostra 

una dedica autografa del curatore 

dell’edizione Tobias Adami (1581- 

1643): “Adami à Rosenano Floren”. 

Per la prima volta in assoluto in 

una mostra fuori Roma anche la sentenza 

di condanna di Giordano Bruno 

(8 febbraio 1600), documento 

Un cinquecentesco Ritratto di 

Tommaso Campanella e la princeps 

dell’Apologia pro Galileo (1622) 

di Tommaso Campanella.

luglio/agosto 2009 – la Biblioteca di via Senato Milano 43


unico e di valore inestimabile, oggi custodito nell’Archivio 

della Congregazione per la Dottrina della Fede 

(Città del Vaticano). 

Divisa in due parti ordinate cronologicamente e 

dedicate rispettivamente al Nolano e allo Stilese, la 

Mostra presenta anche stampe di vedute e il ritratto a 

olio di Campanella eseguito a Parigi nel 1639, che dà il 

nome alla Sala della Biblioteca di via Senato. 

Il destino comune di persecuzione ed esilio dei 

due filosofi ha avuto come conseguenza che i luoghi 

della loro vita e peregrinatio europea così come quelli di 

stampa dei loro scritti sono i più diversi. L’idea guida 

della Mostra consiste nel presentare vedute di libri e 

luoghi di entrambi gli autori: Giordano Bruno che 

viaggia per tutta l’Europa da Nola a Napoli, Roma, Ginevra, 

Parigi, Londra, Wittenberg, Praga, Helmstedt, 

Francoforte, Zurigo, Padova, Venezia fino al ritorno a 

Roma, non più come uomo libero; Tommaso Campanella 

che pur rimanendo in Italia fino al 1634, quando è 

costretto a fuggire in Francia dove potrà finalmente curare 

la pubblicazione delle proprie opere, ha tra il 1617 

e il 1630 numerosi scritti editi a Francoforte, grazie all’interessamento 

dell’amico Tobias Adami. 

Rome, August 7, 1603: In the morning the Master of 

the Sacred Palace posted an edict on the portal of the 

Apostolic Chancery, which mentioned some sixty books. 

With the very damaging prohibition of the whole opera omnia 

(all printed books and manuscripts), the edict carried the 

names of Italy’s most emblematic sixteenth- and seventeenthcentury 

philosophers: Giordano Bruno (1548-1600) and Tommaso 

Campanella (1568-1639). 

Starting with the 1603 edict itself, the show presents a 

great number of Giordano Bruno’s extremely rare works together 

with the almost complete oeuvreof Tommaso Campanella 

in first edition. All volumes of Bruno and Campanella on exhibit 

belong to the Fondo antico of the Biblioteca di via Senato. 

The show is divided in two sections and proceeds chronologically. 

Giordano Bruno travelled all over Europe: from No- 

Affidati a Eugenio Canone per la parte filosofica e 

ad Annette Popel Pozzo per quella catalografica, i pezzi 

scelti si pongono l’obiettivo di fornire non solo un’esposizione 

ragionata del rilievo che hanno avuto i singoli testi 

(che di per sé sarebbe già un grande risultato), ma anche 

informazioni sull’epoca. 

Il tempo passato sui libri secondo Bruno procura 

amabilità e stimola tolleranza, indica la via per una compiuta 

riforma dell’animo: controllo degli umori, beatitudine 

interiore e, insieme, rispetto per il passato, attenzione 

per il presente e apertura verso il futuro; quindi, cura 

per le espressioni di una tradizione che unisce ed eleva gli 

animi: più sollecitudine che ozio. Nello Spaccio de la bestia 

trionfante, il personaggio principale, Sofia, fa un’accalorata 

difesa dei libri e di una biblioteca pubblica libera e senza 

censure: “non è lezzione, non è libro che non sia essaminato 

da dèi, e che se non è a fatto senza sale non sia maneggiato 

da dèi; e che se non è tutto balordesco non sia approvato, 

e messo con le catene nella biblioteca commune: 

perché pigliano piacere nella moltiforme representazione 

di tutte cose, e frutti moltiformi de tutti ingegni” (ed. 

Biblioteca dell’Utopia, vol. 10, 2000, p. 139). I libri, con i 

loro innumerevoli mondi speculativi, morali ed estetici 

A SHOW IN THE SALA CAMPANELLA OF THE “BVS” WELCOMING THE 2009 IFLA CONGRESS 

Giordano Bruno and Tommaso Campanella 

Opera omnia of two Italian Masters of philosophy between persecution and exile 

la to Naples, Rome, Geneva, Paris, London, Wittenberg, 

Prague, Helmstedt, Frankfurt, Zurich, Padua, Venice, and 

again in Rome, where on February 17, 1600 he was burned as 

an heretic on the stake. 

On exhibit for the first time outside of Rome, Giordano 

Bruno’s February 8, 1600 death-sentence, a unique document 

of great historical value, which is preserved in the Archive of the 

Congregazione per la Dottrina della Fede at Vatican City. Although 

Tommaso Campanella spent most of his life in Italy, between 

1617 and 1630 a substantial part of his writings was 

printed in Frankfurt under the charge of his German friend 

Tobias Adami. When forced to escape to France in 1634, Campanella 

was eventually able to take care himself of the publication 

of his works in Paris. The destiny of persecution and exile 

the two philosophers shared had the consequence that their


Atheismus triumphatus (1631) di Tommaso Campanella 

e De imaginum, signorum, & idearum compositione (1591) 

di Giordano Bruno 

sono gli amici preziosi nelle dinamiche di comprensione e 

invenzione per le quali l’uomo, facendo interagire l’intelletto 

e la mano, riesce con l’arte a spingersi oltre la natura. 

Tanto amò i libri Campanella che a proposito delle 

regole da seguire per filosofare in modo adeguato, raccomanda 

di leggere “i libri di tutti gli uomini, e non respingere 

a prima vista tutto ciò che non si accorda con il tuo intelletto”. 

D’altra parte, non si stanca di sottolineare che 

“Dio solo è verace” e che colui che vuole indagare la verità 

deve cessare di “voltar libri” nelle biblioteche e rivolgersi 

invece alla lettura del codice di Dio, il libro della natura, 

“il libro dove il Senno Eterno scrisse i propri concetti”. 

Risultato della passione caratterizzante la Biblioteca 

di via Senato per i Maestri dell’Utopia, la Mostra interviene 

con originalità nell’anniversario della prima edizione 

dell’Index romano dei libri proibiti, presentando i duplici 

opera omnia di Bruno e Campanella, condannati dall’editto 

dell’agosto 1603. Senza ambire a essere una com- 

places of activity within their European peregrination and the 

printing sites of their works are among the most diverse. The 

leading idea of the show consists in juxtaposing the volumes 

with contemporary renderings of the places. 

The years Bruno spent in Paris and Frankfurt, which 

saw in 1582 the publication of his first four works (De umbris 

idearum together with the Ars memoriae, Cantus Circaeus, 

De compendiosa architectura, and Candelaio) and of his last 

three in 1591 before his return to Italy (De triplici minimo et 

mensura, De monade numero et figura together with De innumerabilibus, 

immenso et infigurabili and De imaginum, 

signorum, & idearum compositione) are completely represented. 

They are enriched with editions dating from Bruno’s 

years in London, Prague, Helmstedt and Zurich. The first 

editions bound together of De la causa, principio, et uno and 

De l’infinito universo et mondi, both published 1584, in London 

carry the handwritten notice: “ex dono Joannis Florio”. 

Giovanni Florio (1553-1625) was a dear friend of Bruno 

and a great spirit of Elizabethan England. Among Campanella’s 

nearly complete works in first editions is a copy of his 

Prodromus philosophiae instaurandae (Frankfurt, 1617) 

piuta presentazione dell’intero materiale bibliografico 

bruniano e campanelliano: essa si presenta piuttosto come 

un invito ad apprezzare il valore, l’unicità, l’aura che si 

sprigiona dai libri dei due autori e che ha un riflesso nell’attenzione 

amorevole delle descrizioni relative agli 

esemplari esposti. Si tratta di un punto di partenza per 

l’ulteriore sviluppo di strumenti di carattere bibliografico 

e iconografico relativi al Rinascimento. 

edited by Campanella’s friend Tobias Adami (1581-1643), 

which also carries handwritten dedication of the editor: 

“Adami à Rosenano Floren”. 

Entrusted to Eugenio Canone for the philosophical descriptions 

and to Annette Popel Pozzo for the catalogue entries, 

the exhibits aim at giving a well documented exposition of the 

impact of the individual texts (which in itself would already be a 

grand achievement) together with information of the epoch. 

The result of the Biblioteca di via Senato’s definining 

mission towards collecting the Masters of Utopia, the Bruno 

and Campanella show celebrates in a very original manner the 

four-hundred-fiftieth anniversary of the first issue of the Index 

librorum prohibitorum by exhibiting the twofold opera 

omnia of Bruno and Campanella, which were together condemned 

by the 1603 edict. The show does not aim at a complete 

presentation of the two philosophers whole bibliography. It aims 

instead at soliciting attention for the value, the uniqueness, the 

aura that emanate from their books, which is reflected in the 

extreme care put into the description of each item. The show is a 

starting point for the future development of the iconographic 

and bibliographic approaches to the Renaissance.


Mentre i teatri di Milano 

chiudono per il “riposo” 

estivo, il Teatro di Verdura 

prosegue la propria intensa 

stagione con sempre nuovi appuntamenti 

culturali per tutti coloro 

che passano l’estate in città. 

Nelle calde serate milanesi, il 

Teatro di Verdura quest’anno rende 

un particolare omaggio alla Sicilia e 

ai suoi miti, agli scrittori e agli interpreti 

che hanno reso grande l’Isola, in un gemellaggio 

che unisce l’Italia dal nord al più estremo sud, sotto 

il segno dell’arte e della cultura senza tempo. 

 

Il primo omaggio alla Sicilia è di Alessandro Quasimodo 

e Mario Cei, che giovedì 2 luglio interpretano 

La terra impareggiabile, omaggio a Salvatore Quasimodo 

a 50 anni dal premio Nobel. Con l’accompagnamento 

musicale di Flavio Minardo, la serata vuole ridonare 

una Sicilia tra mito e letteratura: quasi con un’unica 

voce, autori da Verga a Pirandello, da Vittorini a 

Brancati, da Bufalino a Sciascia, parlano della loro isola 

con accorato rimpianto, con struggente amarezza o radicato 

fatalismo, ma mai con rassegnata accettazione, e 

sempre con appassionato amore. 

L’isola è, dunque, il luogo dell’incanto, della luce 

e dei colori intensi, terra degli affetti, dei legami familiari, 

del recupero dell’infanzia, ma anche il luogo dell’alienazione 

di chi è e si fa isola a sé, è la prigione da cui 

si sfugge per cercare nuove certezze, per poi struggersi 

I nostri “libri in scena” 

 

TEATRO DI VERDURA, 

SEMPRE APERTO 

La bella estate milanese e gli spettacoli di settembre 

di Sonia Corain 

nell’angosciante impossibilità del 

ritorno. 

Il filo che unisce e dà senso a 

tutti questi mille volti, mille aspetti, 

di una Sicilia sempre nuova, è l’intensa 

poesia di Salvatore Quasimodo, 

nell’anniversario del Premio 

Nobel. 

 

La programmazione prosegue 

instancabile, nella stessa settimana, 

venerdì 3 e sabato 4 luglio, con gli allievi della 

Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi: il secondo 

Corso Attori, per la regia di Marco Plini con la collaborazione 

di Alberto Cavecchi, porta in scena L’impresario 

delle Smirne di Carlo Goldoni: un classico che parla 

del mondo del teatro. Definita da Goldoni stesso 

«critica vastissima, completissima dell’insolenza degli 

attori e dell’indolenza dei capocomici», questa commedia 

sagace mostra cantanti che non vediamo mai 

cantare ma che non fanno altro che celebrare le glorie 

della propria voce, vantarsi dei propri ingaggi e poi correre 

in ginocchio dal potente di turno per procurarsi 

una scrittura… insomma, il teatro del Settecento. 

Partendo dal mondo ristretto e chiassoso del teatro, 

popolato di cantanti e primedonne capricciose, impresari 

profittatori, sensali ruffiani, Goldoni rivolge 

un’aspra e lucida critica a una società decadente che 

sprofonda in una povertà che subito diventa anche miseria 

di valori e sentimenti. 

Per gli allievi della Paolo Grassi questo spettacolo 

diventa dunque anche un singolare incontro con loro


stessi come attori e con tutte quelle piccole idiosincrasie 

connesse al mestiere che hanno scelto di “studiare” e 

intraprendere. 

 

Il 7 luglio è la volta di una serata legata alla mostra 

“La Scapigliatura e Angelo Sommaruga – Dalla bohème 

milanese alla Roma bizantina”, inaugurata presso lo 

spazio espositivo della Biblioteca di via Senato il 26 giugno, 

e che intende essere un omaggio al movimento artistico 

e letterario di grande successo a fine Ottocento, 

e che ebbe in Angelo Sommaruga uno dei principali 

editori dell’epoca, ingiustamente dimenticato dai posteri. 

La Fucina Ghislanzoni, a cura di Filippo Crivelli, 

con Riccardo Peroni e Sonia Grandis, il Maestro Gabiele 

Rota e il baritono Demetrio Colaci e con la partecipazione 

di Ermanno Paccagnini, docente di Letteratura 

italiana contemporanea all’Università Cattolica di 

Milano, è una serata che attraverso immagini, parole e 

musiche di tempi ormai lontani intende celebrare un 

cosiddetto “minore”, che in sé racchiude lo spirito di libertà 

e di trasgressione che fu il più distintivo seme 

poetico degli scapigliati. Poeta lirico e satirico, romanziere, 

saggista e critico, musicista, promotore di iniziative 

editoriali e giornalistiche, Antonio Ghislanzoni 

verrà ricordato nella sua instancabile creatività, attraverso 

le numerose pubblicazioni che gli dedica la “Fucina” 

Ghislanzoni di Caprino Bergamasco. 

 

Il 9 luglio è tempo di un secondo omaggio alla Sicilia: 

Fabrizio Catalano, a vent’anni dalla morte del 

nonno, ricorda il grande Leonardo Sciascia attraverso 

aneddoti di vita personale e portando in scena uno dei 

suoi più grandi capolavori, Todo Modo – Nessuna vittima, 

tutti colpevoli. Un giallo senza soluzione, come i 

problemi che denuncia: l’irrisolvibile intreccio tra potere-politica-religione-economia, 

la corruzione e la 

decadenza morale della classe dirigente, l’omertà dilagante 

e l’inarrestabile mancanza di idee in una società 

in cui tutto sembra rimanere fisso in una immobilità 

che tutto distrugge. Il delitto è, dunque, come un vaso 

di Pandora dal quale fuoriesce l’ingiustizia che permea 

l’intera società. È per questa ragione che non è possibile 

individuare un colpevole: il crimine appartiene alla 

società malata che l’uomo ha creato. Dunque tutti (forse) 

sono colpevoli. 

 

La Stagione prosegue con una serata dedicata alla 

Il Teatro di Verdura nel giardino della Biblioteca di via Senato. Nella pagina accanto Leonardo Sciascia con il giovane 

nipote Fabrizio Catalano


grande produzione letteraria internazionale il 14 luglio, 

quando Pandemoniumteatro, con la regia di Lisa 

Ferrari, porta in scena un’inedita versione dell’Assassinio 

nella cattedrale di T. S. Eliot. La musicalità evocativa 

della parola dà voce al dramma dell’Arcivescovo di 

Canterbury, in lotta non solo coi suoi antagonisti esterni, 

ma soprattutto con la lacerazione interiore derivante 

dal dubbio che la sua sete di martirio e la sua affermazione 

eroica non vengano dal proprio amore per Dio, 

ma dalla tentazione dell’ambizione e del peccato. Nei 

cinque quadri che compongono il dramma, lo scandagliamento 

della parola e la lettura ad alta voce vivificano 

il potenziale evocativo ed emotivo della parola scritta: 

un concerto di voci e musica, al servizio della poesia 

e della parola. 

 

Il 15 luglio è la volta di un omaggio a uno dei più 

grandi poeti francesi di tutti i tempi: il “maledetto”, 

nonché amatissimo Charles Baudelaire. A rendere 

questo Omaggio a Baudelaire uno dei poeti italiani 

contemporanei più apprezzati, Davide Rondoni, che 

ne curò la traduzione 15 anni fa e che lo sta ritraducendo 

anche oggi. Una serata accompagnata dal blues dei 

Mancalaradio, con la voce intensa di Raffaella Boscolo 

a leggere i testi più e meno noti del poeta, e il commento 

di Davide Rondoni, per donare al pubblico una nuova 

ed entusiasmante lettura del primo bohème teorizzatore 

del «mistico e teso sregolamento di tutti i sensi» 

Gli allievi della Scuola d’Arte 

Drammatica Paolo Grassi interpretano 

L’impresario delle Smirne. Tiziano 

Manzini è l’arcivescovo di Canterbury 

in Assassinio nella Cattedrale. 

Nella pagina accanto Leo Gullotta 

in Minnazza. 

come forma artistica creatrice, e poeta della sinestesia 

come espressione dello spleen, il male di vivere cui non 

si riesce a sfuggire. 

 

Si cambia completamente tono il 17 luglio, con 

Mumble Mumble, ovvero confessioni di un orfano 

d’arte. Lo spettacolo si potrebbe riassumere nelle poche 

parole del proprio protagonista: «Sono figlio di un 

uomo di spettacolo. Regista, attore, umorista. Ha fatto 

cinema, teatro, televisione, radio; ha scritto libri, commedie, 

sceneggiature. Ha fatto un po’ tutto quello che 

c’era da fare. Me compreso… e fra le molte altre cose 

che ha fatto, un bel giorno è morto…». Queste le parole 

di Emanuele Salce, figlio di Luciano Salce, figliastro 

di Vittorio Gassman e fratellastro di Alessandro Gassman, 

col quale spesso condivide anche il palcoscenico. 

Insieme a Paolo Giommarelli, Emanuele porta in scena 

la propria vita di figlio d’arte tra teatro e realtà, tra ricordi 

d’infanzia, squarci interiori, divertenti aneddoti, 

nell’eterna ricerca del senso ultimo dell’arte, della vita, 

della libertà… e anche un po’ di se stesso. 

 

Il 22 luglio è la volta del secondo grande appuntamento 

con la musica. Dopo l’omaggio a Felix Mendelssohn 

da parte dei Cameristi della Scala in giugno, è ora 

la volta del grande jazz della Civica Jazz Band diretta 

dal maestro Enrico Intra. Morricone, Rota, Trovajoli –


Musica per film. Tre omaggi in jazz è una serata che 

ridona pagine famosissime della produzione per film, 

dalla forte caratterizzazione melodica, che dunque ben 

si prestano a una rivisitazione in chiave jazz. Un omaggio 

a tre grandi musicisti italiani, tre autori che hanno 

saputo coniugare i loro mondi sonori con le immagini 

dei film di grandi registi, che sono entrati nella storia 

del Cinema mondiale. Un incontro che riunisce i prodigiosi 

docenti dei Civici Corsi di jazz con i migliori 

studenti ed ex-studenti della scuola, sotto il segno della 

grande musica. 

Il Teatro di Verdura, da sempre attento agli anniversari, 

festeggia quest’anno i 300 anni dalla nascita del 

più grande amante e seduttore di tutti i tempi: il Don 

Giovanni di Molière. Il 24 luglio la nobile passione e audacia 

del celebre amatore è portata in scena dalla Compagnia 

Teatri Possibili, con lo stile unico e visionario che 

contraddistingue la regia di Corrado d’Elia: l’eterna sfida 

con l’impossibile, l’eterno Inferno di Don Giovanni che 

non riesce a liberarsi di un susseguirsi di storie che si ripetono 

ossessivamente tutte uguali, un insieme di donne 

sempre diverse che diventano una sola, sempre la stessa, 

sintesi unica di comuni destini. In uno spazio asettico, 

fredda scatola d’acciaio riflettente, riemergono ricordi, 

ossessioni, conquiste, duelli, come brandelli di memoria 

che formano una prigione mentale dalla quale Don Giovanni, 

moderno uomo del nostro tempo, non può uscire. 

 

Il terzo omaggio alla Sicilia è reso da un attore che 

questa terra la conosce bene, perché 

è la sua terra natìa. Leo Gullotta 

regala ben due serate al Teatro di 

Verdura, il 27 e 28 luglio, che intendono 

essere un omaggio alla sua 

bellissima terra-madre: Minnazza. 

Partendo proprio dalla figura della 

Madre Terra, la Grande Madre, 

Gullotta propone un racconto sonoro 

in cui la musica e un’unica voce 

scandiscono un viaggio nella letteratura 

italiana, attraverso le penne 

siciliane dalle origini delle liriche 

dell’Isola dei Ciclopi fino ai 

giorni nostri. La musica espressamente 

composta per la serata dal 

maestro Germano Mazzocchetti 

scandisce i capitoli di questo viaggio che si snoda tra le 

parole di Giovanni Meli, Tomasi di Lampedusa, Luigi 

Pirandello, Pippo Fava, Luigi Capuana, Ignazio Buttitta, 

Andrea Camilleri e molti altri; in un viaggio unico 

e appassionato nella Sicilia più bella. 

 

Le serate del Teatro di Verdura, come di consueto, 

proseguono anche per l’intero mese di agosto, tenendo 

compagnia a chi resterà a Milano quando la città si sarà 

svuotata e sarà diversa dal resto dell’anno: meno caotica, 

meno frenetica, più a misura d’uomo. I quattro appuntamenti 

agostani del Teatro di Verdura sono adeguatamente 

freschi e frizzanti, ma lasciano anche spazio alla 

riflessione e a tematiche e testi forse ancora poco noti. 

Il 3 agosto il TeatroZeta dell’Aquila porta in scena 

Masaniello l’uomo, l’eroe, il mito. La storia di questo 

giovane eroe partenopeo (che in soli dieci giorni fa la rivoluzione, 

sale al potere, ne viene corrotto e decade miseramente 

nell’abisso della follia, del tradimento e dell’assassinio) 

diventa momento per una riflessione sulla 

situazione dei giorni nostri: in un contesto storico dominato 

dal qualunquismo e dalla stupida e banale devozione 

alle apparenze del consumismo di massa che si insinua 

anche nell’universo dell’arte, giovani artisti che faticano 

a esprimersi hanno ancora voglia di una ribellione salvifica. 

Questa serata assume, però, una duplice valenza “rivoluzionaria”: 

è la volontà di una giovane compagnia 

teatrale di risorgere dalle macerie di una città duramente 

colpita dal terremoto. Il teatro di questi giovani artisti, 

dopo il sisma che ha piegato l’Aquila 

il 6 aprile scorso non esiste più, ma i 

giovani attori non si rassegnano a veder 

svanire il sogno di portare in scena 

la propria arte e proprio attraverso 

l’arte vogliono lanciare un messaggio 

di speranza: con un aiuto da 

parte di tutti e tanta buona volontà 

l’Aquila tornerà a volare. 

 

Quest’anno anche il Dottor 

Marcello Dell’Utri, presidente della 

Biblioteca di via Senato, vuole dare 

il proprio contributo alla stagione 

del Teatro di Verdura, regalando due 

serate di lettura degli inediti e con-


troversi Diari di Mussolini (1935 – 1939), il 6 e 12 agosto. 

Con gli appunti del giornalista e opinionista Ugo Finetti, 

il senatore intende mostrare un Mussolini poco 

conosciuto, non tanto il politico di cui si sono scritti fiumi 

d’inchiostro, quanto il Mussolini uomo, quello che 

nel suo diario personale e privato scrive «[…] quanto mi 

appare più chiarificatore nel corso della giornata, esprimo i 

miei pensieri, racconto brevi episodi di ogni giorno – le mie considerazioni 

sui vari fenomeni della Natura. […] Non rivelo 

segreti (che non ho) né retroscena politici né intrighi diplomatici 

né particolari sconosciuti sui tanti personaggi che si orientano 

sulle mie giornate dei quali pochissimi adamantini – pochissimi 

fidati – e quasi tutti mossi da interessi come vuole la 

regola della vita umana». 

 

Il 20 agosto, poi, è la volta di una grande signora 

del teatro italiano: Rosalina Neri, la “Marylin dei navigli”, 

che regala alla sua Milano la propria “vita da palcoscenico”, 

tra teatro e realtà, ne La Milano di Rosalina 

Neri. Un pot-pourri di aneddoti della sua incredibile 

vita da diva: dall’amore con Hilton all’appartamento 

londinese dove i Beatles suonarono il loro celeberrimo 

Monica Guerritore interprete 

di Amore e Psiche andato in scena 

il 16 giugno. 

Alessio Boni darà voce alla poetica 

di Pasolini il 7 settembre. 

concerto sul tetto e dal cappotto col collo di volpe rossa 

regalatole da Valentina Cortese alla sua incredibile carriera 

artistica, ripercorsa dalla Gilda del Mac Mahon di 

Testori a Carlo Porta, dalle Canzoni di Fiorenzo Carpi a 

Roberto Negri, dalle interpretazioni alla Scala alle serate 

dirette da Strehler, e poi ancora il cinema e la tv, in 

un turbinio di vita e arte che l’ha portata da Varese a Parigi 

a Londra, in un susseguirsi di interpretazioni sempre 

più intense e memorabili. 

 

Ma non è tutto, perché il Teatro di Verdura non abbandonerà 

il suo pubblico neppure a settembre. Quando 

ritornerà per chiudere in bellezza con tre grandi appuntamenti 

assolutamente da non perdere, a partire da Realtà e 

Verità – una serata per Pasolini, con Alessio Boni e Marcello 

Prayer, il 7 settembre. Un omaggio a colui che è riconosciuto 

a livello internazionale quale uno dei maggiori 

intellettuali italiani del XX secolo: figura poliedrica e 

controversa, poeta, romanziere, linguista, giornalista, cineasta, 

Pasolini sfugge ad ogni definizione possibile. Le 

voci di due giovani attori che non hanno scordato quanto 

la poetica di Pasolini è stata profetica, si intrecciano, ca-


denzando la ritmicità del verso, lasciando 

che sia la parola a parlare, ridando 

in maniera semplice e schietta 

la profondità di un poeta e un uomo 

la cui poesia, da sola, dice tutto. 

 

Il 10 settembre, poi, vedrà il 

ritorno di Corrado d’Elia, che da alcuni 

anni ormai omaggia il Teatro di 

Verdura di una lettura scenica di 

grandi classici della letteratura italiana 

e internazionale. Quest’anno 

darà voce a Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij, la 

struggente e malinconica storia d’amore di due giovani 

anime sognatrici, alla pallida luce delle notti estive di 

Russia. Una favola triste, vissuta con struggente intensità 

da una donna dal cuore spezzato e un giovane sognatore, 

perso nel proprio mondo fantastico. Due anime che, 

incontratesi casualmente, sembrano “riconoscersi” e 

per le quali si potrebbe profilare un nuovo inizio. Ma il 

sogno è destinato a svanire velocemente, come le magiche 

notti bianche, nel romanzo sentimentale giovanile 

del più grande romanziere russo dell’Ottocento. 

Chiuderà la XII Stagione del Teatro di Verdura Io 

me ne frego! di Quelli di Grock, il 16 settembre. Uno 

spettacolo sul bullismo con protagonisti due interpreti 

TUTTI GLI SPETTACOLI 

DEL TEATRO DI VERDURA 

sono a INGRESSO LIBERO con 

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA 

ai numeri 

02.76020794 02.76318893 

a partire dal giorno 

precedente lo spettacolo 

Le Serate del mese di agosto, 

invece, sono 

SENZA PRENOTAZIONE 

giovanissimi, che intendono portare 

sulla scena la vita vera, nella quale 

gli adolescenti possono riconoscersi: 

un’amicizia che dura fin dall’infanzia, 

un rapporto che nel tempo 

diventa oppressione di uno nei confronti 

dell’altro, un’amicizia che si 

trasforma in prevaricazione. E infine 

il coraggio di dire basta. Triste 

cronaca di tutti i giorni, il fenomeno 

del bullismo dilaga ormai in tutti 

gli strati della società: a scuola, per 

le strade, nei centri d’aggregazione 

giovanile. È violenza verbale e fisica, che a volte finisce in 

tragedia, spesso tra l’omertà dei coetanei e l’indifferenza 

degli adulti. Questo spettacolo ha volutamente una funzione 

sociale, quella di parlare ai ragazzi in maniera chiara, 

diretta, senza facile retorica e senza moralismi, di una 

piaga che va guardata in faccia e combattuta. 

 

Il Teatro di Verdura mette in scena volutamente 

questo spettacolo a ridosso dell’inizio del nuovo anno 

scolastico, per dare un messaggio di fiducia ai ragazzi 

che, dopo le vacanze, tornano alla loro realtà di tutti i 

giorni: il bullismo si può e si deve affrontare, che la si può 

e ce la si deve fare. 

Immagini delle serate Canta canta cantastorie del Teatro della Tosse, Morricone, Rota, Trovajoli della Civica Jazz Band 

diretta dal maestro Intra, e Io me ne frego! di Quelli di Grock, che chiuderà la XII Stagione del Teatro di Verdura.

COMUNICAZIONE 

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della stampa a 

caratteri mobili poco dopo 

L’invenzione 

la metà del Quattrocento, 

combinata con la possibilità di diffondere 

nuove idee a un grande 

pubblico in breve tempo, assieme al 

dilagare delle idee della Riforma 

protestante (soprattutto di quella 

luterana), sono – come è noto – alla 

base della richiesta di controllo e 

censura da parte della Chiesa di testi 

potenzialmente pericolosi, immorali 

o sconvenienti. 

Gli organi ufficiali fondati per 

soddisfare questo bisogno di controllo 

furono il Maestro di Sacro 

Palazzo, il Sant’Uffizio o Inquisizione 

(creato nel 1542) e la Congregazione 

dell’Indice (istituita nel 

1571). Soprattutto l’ultima aveva il 

doppio compito di individuare i testi 

da mettere all’indice (che veniva 

aggiornato e inviato periodicamente 

alle sedi periferiche dell’Inquisizione) 

ovvero di espurgare dai testi 

le parti non desiderate. 

L’azione espurgatoria porta 

però al libro censurato delle vere e 

proprie ferite fisiche. L’obiettivo di 

sopprimere nomi di autori scomodi, 

illustrazioni o parti di testo licenziose 

ha come conseguenza che 

il libro subisca ritagli a forbici, cancellature 

a penna, abrasioni o incollature 

per nascondere le parti indesiderate. 

CAPOLAVORI IN COLLEZIONE 

 

Censura e libri espurgati 

A 450 anni dal primo ufficiale Index Librorum Prohibitorum 

di Annette Popel Pozzo 

Nel Fondo antico della Biblioteca 

di via Senato, che dedica 

particolare attenzione all’argomento 

della Riforma e Controriforma, 

vi sono vari esempi di queste 

censure fisiche. 

 

Già nel primo Index Librorum 

Prohibitorum ufficiale del 1559 il nome 

di Erasmo da Rotterdam compare 

nella prima classe dei libri proibiti, 

il che significa, appunto, che tutte 

le sue opere, anche di argomento 

non religioso, erano state condannate. 

Di consequenza, numerosi titoli 

che contengono anche soltanto 

interventi di Erasmo in forma di traduzione 

o commento subiscono 

censure. Un esemplare delle tragedie 

di Euripide, Hecuba, & Iphigenia 

in Aulide (Venezia: Aldo Manuzio il 

vecchio, 1507) trova il nome di Erasmo 

in quanto traduttore abraso in 

più luoghi e aggiunto in forma manoscritta 

in un secondo momento. 

Nel caso delle Latinae historiae principis 

di Tito Livio (Basilea: Episcopius, 

Froben e Herwagen, 1531), il 

nome di Erasmo viene cancellato in 

numerose parti dell’opera e, di nuovo, 

aggiunto in un altro momento su 

un cartiglio incollato. 

 

La censura effettuata su Erasmo 

riguarda anche altri autori o tipografi 

considerati eretici. Una copia 

di Officiorum libri III di Cicerone 

(Venezia: eredi di Aldo Manuzio, 

1548/1549) mostra i nomi di Erasmo 

e Melantone cancellati a penna 

e porta una lunga nota di condanna 

dei due eretici nel margine bianco: 

«Erasmi, et Philippi Melanchtonis. 

Eruditio, enim et Philologiae notitia, 

qua celebres extiterunt Desiderius Erasmus 

Vir Summus et plane Catholicus et 

Melanchthon licet Lutherana fuligine 

Antiporta espurgata nel titolo 

Della saviezza libri tre


aspersus quonam Jure inter haereses recensendae 

sint alii viderint. Deleta sunt 

horum Virorum nomina ex regula Indicis 

quae damnat Libros in odium Auctorum 

quae Sapientissimi Benedicti 

XIV. P.M. Decreto ad ingenuorum libertatem, 

et studiosorum Utilitatem 

tandem deleta et abrogata fuit». 

Idem per una copia dell’Opera 

di Demostene (Venezia: Gualtiero 

Scoto, 1550) con i nomi degli eretici 

Erasmo e Hieronymus Wolf cancellati 

a penna. Wolf (1516-1580) fu un 

noto storico, umanista e bibliotecario 

presso la biblioteca di Augusta, 

ma il fatto di essere stato allievo di 

Melantone, bastò per censurarlo. 

Una copia della Syntaxis linguae 

graecae di Iohannes Varennius (Venezia, 

Melchiorre Sessa, ca. 1537) 

nella traduzione di Joachim Camerarius 

(1500-1574) mostra il nome 

di Camerarius, filologo tedesco 

amico di Melantone, abraso in maniera 

violenta nella supposizione 

d’essere anche lui eretico. La copia 

degli Exemplaria literarum quibus & 

christianissimus Galliarum rex Franciscus 

che contiene le lettere politiche 

di Francesco I di Francia, stampata 

nel 1537 a Parigi da Robert 

Estienne (1503-1559) mostra il nome 

del tipografo cancellato sia sul 

frontespizio sia sul colophon, visto 

che i teologi della Sorbona l’avevano 

accusato di eresia per aver tradotto i 

testi biblici in modo non ortodosso. 

 

Altri interventi consistono in 

lacune lasciate bianche, parti sconvenienti 

coperti da cartigli o semplicemente 

cancellate a penna. L’esemplare 

delle Storie fiorentine di 

messer Bernardo Segni (Augusta: 

Mertz e Meyer, 1723) che normalmente 

reca sulla p. 304 una lacuna di 

Officiorum libri III di Cicerone con censura e nota di condanna dei due eretici 

Paragrafi espurgati in De conservanda bona valetudine 

più righe per omissione delle vicende 

del turpe eccesso del duca di Parma 

Pier Luigi Farnese (1503-1574) 

contro il vescovo di Fano, reca un 

cartiglio stampato e incollato in un 

secondo momento. La copia del titolo 

Sicuti antiquarum lectionum 

commentarios di Ludovico Ricchieri 

(Venezia: eredi di Aldo Manuzio e 

Andrea Torresano, 1516) ha diverse 

righe alle pagine 372-373 e 402-403 

censurate. Anche la copia di De conservanda 

bona valetudine del Pseudo- 

Arnoldus de Villa Nova (Venezia: 

Pietro Marinelli, 1587) ha tracce di 

censura nel testo e nell’indice, essendo 

stati cancellati a penna interi 

paragrafi sconvenienti. 

 

Un ultimo approccio riguarda 

le illustrazioni licenziose. L’antiporta 

raffigurante un satiro in Delle 

frascherie di Antonio Abati (Venezia: 

Matteo Leni, 1651) venne parzialmente 

abrasa e foderata sul verso 

della carta. La figura femminile nell’antiporta 

di Della saviezza libri tre 

di Pietro Charron (Colonia: Johann 

Wilhelm Friessem, 1698) fu censurata 

anch’essa abradendo le parti licenziose 

e lasciando proprio un foro 

sulle carte seguenti a causa dell’inchiostro 

ferroso. Porta tracce di 

censura addirittura la famosa bordura 

xilografica con figure allegoriche 

e veduta che era stata usata dal 

tipografo fiorentino Lorenzo Torrentino 

per la sua stampa dell’Architettura 

di Leon Battista Alberti (Firenze: 

Torrentino, 1550). Infine, 

sempre della Biblioteca di via Senato, 

come del resto tutti i libri descritti 

sopra, il De symbolis heroicis libri 

IX di Silvestro Pietrasanta (Anversa: 

Officina Plantinana, 1639) 

con le illustrazione di Cornelis Galle 

su disegno di Pieter Paul Rubens 

mostra tentativi di espurgazione in 

forma di cancellatura a penna sul 

frontespizio e in forma di abrasione 

sull’illustrazione a pagina 273.


La Sicilia del Grand Tour 

Il fascino della letteratura odeporica 

e scrittore tedesco 

Friedrich Hessemer scrisse 

L’architetto 

nelle sue Lettere dalla Sicilia 

che l’isola era «il puntino sulla i» dell’Italia 

e che il resto d’Italia pareva 

semplicemente «un gambo posto a 

sorreggere un simil fiore». 

Dopo che Winkelmann riportò 

alla luce nel 1700 le città sepolte di 

Ercolano e Pompei, ebbe seguito un 

rinnovato interesse per l’arte classica 

e da quel momento tantissimi intellettuali, 

naturalisti, scrittori, artisti, 

diplomatici e rampolli aristocratici 

resero la Sicilia una tappa fondamentale 

del Grand Tour e vinsero 

ogni remora che li trattenesse dallo 

spingersi oltre la già lontana Napoli. 

Il viaggio divenne allora un viaggio 

di formazione alla riscoperta delle 

UN LIBRO RITROVATO 

 

di Chiara Bonfatti 

rovine della Sicilia, della diversità di 

usi e costumi, degli strani fenomeni 

geologici, delle esotiche piante. 

I viaggiatori giungevano dunque 

a Messina e Palermo per poi proseguire 

verso le mete più ambite a cavallo, 

su muli o portantine. Gli itinerari 

più ambiti erano quelli che conducevano 

da Messina a Taormina e 

Catania ove era poi d’obbligo una visita 

al Museo del Principe Biscari e 

un’ascesa all’Etna. Divennero tradizione 

la vista del cratere e l’attesa 

dell’alba sulla cima del vulcano. Le 

mete siracusane erano invece il teatro 

greco e l’Orecchio di Dionisio. 

Da qui si era soliti fare un’escursione 

a Malta per poi sbarcare di nuovo a 

Gela o Licata e proseguire per Agrigento, 

Selinunte, Segesta e Palermo. 

Il notevole fondo antico di edizioni 

siciliane della Sala Campanella 

della Fondazione Biblioteca di Via 

Senato raccoglie moltissime relazioni 

e racconti di viaggi intrapresi nel 

XVIII e XIX secolo da artisti, letterati 

e scienziati che lasciarono la loro 

testimonianza grafica e letteraria di 

quanto osservato nei loro “pellegrinaggi” 

dando vita a pregevoli opere 

di letteratura odeporica. 

Il precettore scozzese Patrick 

Brydone (1743-1818) descrisse mirabilmente 

l’ascesa all’Etna e la festa 

di Santa Rosalia a Palermo nella sua 

unica opera letteraria A tour through 

Sicily and Malta di cui si possiede la 

seconda edizione corretta (Londra, 

William Strahan; Thomas Cadell, 

1774, 2 v.) e la prima edizione francese 

(Amsterdam; Parigi, Noël Jacques 

Pissot; Charles-Joseph Panckoucke, 

1775). L’opera contiene 38 lettere 

sulla Sicilia e Malta inviate dal 14 

maggio al 1° agosto 1770 con molteplici 

informazioni riguardanti i principali 

centri delle due isole. 

Nel 1770 Brydon intraprese il 

suo viaggio in Sicilia assieme a William 

Beckford e altri due amici (Ful- 

Raffigurazione dell’Orecchio di 

Dionisio tratta da: George Russell, A 

tour through Sicily in the year 1815, 

Londra, Sherwood, Neely and Jones 

(T. Davidson), 1819. Tav. 7, post p.160


larton e Glover) e potè fornire un resoconto 

di grande importanza storica 

essendo testimone della cruciale 

transizione attraversata dal Regno di 

Napoli per l’ascesa al trono di Ferdinando 

I di Borbone e per il governo 

di John Acton. Delle pietre miliari 

della letteratura odeporica si possiedono 

inoltre i coevi Voyagesredatti da 

Johann Hermann von Riedesel, 

George Russell, William Light ed 

Henry Swinburne. 

George Russell nel suo A tour 

through Sicily in the year 1815 (Londra, 

Sherwood, Neely and Jones, 

1819, prima edizione) racconta due 

mesi di viaggio attraverso l’isola e accompagna 

la sua relazione con 18 litografie 

all’acquatinta raffiguranti 

paesaggi e monumenti della Sicilia. 

Il maggiore William Light fu autore 

del testo e dei disegni su cui verranno 

realizzate le 62 incisioni per l’opera 

Sicilian scenery from drawings by P. De 

Wint the original sketches by Major 

Light (Londra, Rodwell & Martin, 

1823). Aspetto di diario giornaliero 

ebbe il resoconto ricco di sfumature 

del viaggio in Sicilia di Henry Swinburne 

che per i suoi Travels in the Two 

Sicilies, in the years 1777, 1778, 1779, 

and 1780 (Londra, P. Elmsly, 1783- 

1785, prima edizione) realizzò anche 

i disegni per le incisioni di Peter Mazel, 

Sparrow e J. Taylor. Swinburne e 

la moglie attraversarono la Sicilia a 

cavallo in pieno inverno e si stupirono 

dell’arretratezza e della mancanza 

di un valido sistema fiscale, mentre 

furono piacevolmente colpiti 

dalla calda ospitalità dei siciliani e 

dalla socievolezza di molte donne. 

A questi si potrebbero aggiungere 

moltissimi altri viaggi: da quello 

prettamente scientifico del vulcanologo 

emiliano Lazzaro Spallanzani 

(1729-1799) descritto in Viaggi alle 

Veduta di Monreale incisa da Sparrow su disegno di Henry Swinburne tratta da 

Henry Swinburne Travels in the Two Sicilies, in the years 1777, 1778, 1779, and 

1780, London, P. Elmsly, 1783 – 1785, vol. II, tavola [4], post p. 218 

Due Sicilie e in alcuni parti dell’Appennino 

(Pavia, Baldassarre Comini, 

1792 – 1793, 4 v., prima ed.) ai Souvenirs 

de la Sicile (Parigi, Simon-César 

Delaunay, 1823, prima ed.) di Louis 

Nicolas Philippe Auguste comte de 

Forbin (1777-1841), dal Voyage critique 

à l’Etna en 1819 (Parigi, Pierre 

Mongie, 1820, prima ed.) di Joseph- 

Antoine de Gourbillon al viaggio di 

Gaston Vuillier (1845-1915) descritto 

in La Sicile impressions du présent 

et du passé illustrées par l’auteur. 

In quest’opera, corredata da 

255 incisioni dello stesso Vuillier, 

viene data un sintesi della natura, 

della storia, dei monumenti e dell’attualità 

dell’isola. Si possiedono la 

prima edizione francese e la prima 

traduzione italiana. Nella prefazione 

all’edizione italiana (Milano, fratelli 

Treves, 1897) l’autore rivela il 

suo mal di Sicilia: «Sono passati due 

anni dal mio ritorno, ma anch’io, come 

il vecchio incisore, vivo ancora 

dei ricordi riportati dalla Sicilia. Il 

fulgore di quel cielo, lo splendore di 

quei templi, la nobiltà della sua po- 

polazione seguitano a esercitare su 

me un gran fascino». Gaston Vuillier 

arrivò in Sicilia salpando da Tunisi e 

giungendo a Pantelleria: «come in 

un sogno, mi appare la Sicilia, dove 

sbarcherò domani; la terra fascinatrice, 

che fin dall’antichità fu sognata 

e agognata da tutti i popoli». 

Assai più lungo sarebbe l’elenco 

delle “vittime” della divina Trinacria 

che si trovano in Sala Campanella: 

l’abate Paolo Balsamo, l’archivista 

e paleografo Felix Bourquelot, i 

poeti romantici Augustin François 

Creuzé de Lesser e Charles Didier, 

l’orientalista Joseph Hager, il politico 

Marie-Louis Auguste de Martin 

du Tyrac de Marcellus, il maresciallo 

Auguste-Frédéric-Louis Wiesse de 

Marmont e molti altri. 

BIBLIOGRAFIA: 

Museo dei Viaggiatori in Sicilia. Guida all’esposizione 

a cura di Francesca Gringeri Pantano. 

Palazzolo Acreide, Palazzo Vaccaro. 

Centro Studi Jean Houdel, 2008. 

Viaggiatori in Sicilia nel secondo Ottocento a 

cura di Carlo Ruta. Palermo, Edi.bi.si., 2004.


INFORMARE SUI FORMATI 

Richiami, segnature, registro 

Gli antichi stampatori per 

facilitare e regolare la 

messa insieme e la 

rilegatura dei libri si servivano 

dei Richiami, delle Segnature 

e del Registro. 

 

Il Richiamo (litterae reclamantes), 

già in uso nei manoscritti, si poneva 

sotto l’ultima linea, a destra 

dell’ultima pagina verso di ciascun 

fascicolo che componeva il volume, 

e consisteva nella stessa parola, o 

parte di essa, che incominciava il fascicolo 

seguente. Se il richiamo e la 

prima parola non corrispondono, è 

segno che il fascicolo manca o è spostato. 

Alle volte il richiamo si poneva 

A.B.C. 

Incominciamo oggi nelle 

note un A.B.C. 

bibliografico. 

Una succinta esposizione 

delle conoscenze più 

elementari indispensabili 

a chi si accinge allo studio 

del libro. I bibliofili maggiori 

ne sorrideranno. Abbiano 

pazienza. Noi ci rivolgiamo 

ai minori che, se dobbiamo 

credere alle lettere 

che ci giungono per la 

corrispondenza, sono la 

grande maggioranza. 

La Fiera del bibliofilo 

 

a ciascun foglio e persino, con abuso 

inutile, non solo a tutte le pagine, ma 

anche tra il retto e il verso. I primi richiami 

si usarono in Italia intorno al 

1472 e in Francia al principio del secolo 

seguente. Si dice verso la pagina 

a sinistra del lettore, o seconda facciata; 

retto la pagina a destra, o prima 

facciata. 

 

Le Segnature sono più antiche 

dei Richiami e se ne trovano anche 

nelle silografie anteriori alla stampa. 

Consistono in lettere dell’alfabeto 

maiuscole e minuscole, cifre, stellette, 

cuocine e altri segni che servono 

a raggruppare in fascicoli i diversi 

fogli e a distinguere i fascicoli tra lo- 

L’ottanta per cento non 

distingue ancora il formato e 

misura i volumi col doppio 

centimetro come se certi in 

folio a grandissimi margini 

non si potessero ridurre con 

una feroce trinciatura alle 

dimensioni di un in 8º e 

anche meno. 

Non enumero tutte le altre 

deficienze. Nos canimus 

parvis e crediamo di fare 

opera utile. Il modesto 

curioso di oggi sarà l’abile e 

occhiuto raccoglitore di 

domani. Tutto sta 

nell’aiutarlo ad acquistare 

quel tanto di pratica e di 

cognizione che basti a farlo 

camminare da sé e a dargli le 

prime soddisfazioni, le prime 

compiacenze de placido 

amore per il libro. Non è vero 

che bibliofili si nasce. Lo si 

diventa quando si incomincia 

a capire il libro come corpo e 

come spirito. L’amore nasce e 

cresce colla conoscenza. C’è 

tanta vita, tanto pensiero, 

tanta anima, tanto mistero 

ro. Si pongono sotto l’ultima riga 

del retto e solo per la prima metà del 

fascicolo, cioè fino alla cucitura. 

Si capisce che al numero delle 

segnature della prima metà devono 

corrispondere tanti retti bianchi 

nella seconda. Se il numero dei fascicoli 

è uguale o minore al numero 

delle lettere dell’alfabeto si usano 

per lo più le maiuscole e bastano. Se i 

fascicoli sono di più si doppiano le 

maiuscole o si accoppia una maiuscola 

colla sua minuscola, e se ancora 

non bastano si pongono due minuscole 

accanto alla corrispondente 

maiuscola e così via. Si usano anche 

tutte minuscole. La stessa lettera, 

semplice o ripetuta lo stesso numero 

di volte, indica il fascicolo; una cifra 

nell’immensa congerie di libri 

che attendono la nostra 

mano, la nostra curiosità e il 

nostro esame, che chi vi 

fruga una volta con trepido 

cuore e ne trae una più 

piccola gioia di scoperta, ne è 

preso per sempre, e può dire 

di aver fatto un grande 

acquisto. 

Ma perché uno veda e trovi è 

necessario che sappia almeno 

cosa deve vedere e trovare. 

L’A.B.C. è l’introibo. Il resto 

viene da sé.


UNA RUBRICA AD HOC 

La Fiera Letteraria, rivista 

di lettere, scienze e arti, 

venne fondata nel 1925 

da Umberto Fracchia e continuò 

le sue pubblicazioni fino al 1977. 

Fra i suoi più illustri direttori, 

Gian Battista Angioletti, 

Curzio Malaparte, Vincenzo 

Cardarelli e Manlio Cancogni. 

Fra le sue rubriche fisse, questa 

“Fiera del bibliofilo” che, 

di numero in numero, proponeva 

svariate notizie letterarie 

ed editoriali sul variegato mondo 

delle edizioni antiche, 

illustrate, d’autore. 

vicina indica la successione dei fogli. 

Se i fascicoli sono di quattro fogli, o 

quaderni, avremo: A, A2, A3, A4, indi 

quattro fogli senza segnatura, poi: 

B, B2, B3, B4e altri quattro fogli senza 

segnatura e così via. 

Se sono quinterni le cifre arriveranno 

fino al 5, se sono duerni al 2 

e i fogli corrispondenti senza segnatura 

saranno o 5 o 2. 

Le tavole, gli indici, le vite o altro 

fuori testo portano sovente segnature 

a parte. Avviene anche di 

trovare opere che nel principio non 

hanno segnature iniziali. Questo 

vuol dire che erano state stampate 

per far seguito ad altre dello stesso 

autore, o dello stesso genere, e poi, 

per opportunità editoriali o per altre 

cause, furono divise e fatte volume a 

sé. Ne abbiamo un esempio nelle 

opere di F. Villon del 1540 che furono 

stampate per far seguito a quelle 

di Marot e poi staccate. 

Qualche volta, principalmente 

nei primi fogli, invece delle cifre 

arabiche si ripete una virgoletta o un 

i così: a, aii, aiii, aiiii. Marolle asse- 

gnò al primo uso delle cifre la data 

1475, Chervillier il 1477, Arnold 

ther Hoernen di Colonia le ha impiegate 

nel libro De remediis utriusque 

fortunae, che però non è quello 

del Petrarca ma di Adrien le Charteux. 

Il numero progressivo delle 

pagine, se si voleva, si segnava a penna 

e ci sono dei libri che in indici o 

note rimandano a numeri di pagine 

che a stampa non sono segnati. 

 

Il Registro posto qualche volta 

in principio, ma più spesso in fine 

del libro, designa la specie, il numero 

e l’ordine delle segnature e serve 

di controllo per l’unione dei fascicoli. 

Registrum si chiamò in principio 

anche una tavola delle prime parole 

dei capitoli, o dei fascicoli, i quali recavano 

a piè di pagina la lettera e a 

volte anche la cifra. Questa parte di 

registro 

* 

Incipiunt 

Simpliciter 

A 

Prima pars 

Necessariis 

Quid sui 

dicit in libro 

indica che il fascicolo con segnatura 

speciale “*” è duerno e che 

la prima parola del primo retto è: incipiunt, 

e la prima del secondo retto 

è: simpliciter. Il fascicolo con segnatura 

A è quaderno e si controlla come 

il precedente. 

Nell’esempio di registro a lettere 

minuscole che diamo in riproduzione, 

oltre all’alfabeto, si sono 

usati una crece e tre altri segni tipografici. 

Da esso si rileva che l’opera 

è di 82 fascicoli ben distinti per la 

collocazione, e la nota dice che tutti 

sono quaderni meno il primo che è 

duerno. 

 

Queste brevi notizie insieme 

ad altre sulla carta, che daremo, serviranno 

a meglio comprendere e determinare 

il formato.


IL DIVINO ANDREOTTI 

VISTO DA VICINO 

Eterno politico, sognava una famosa “Storia dei Papi”... 

Ma Andreotti è anche un 

(meno) noto bibliofilo: 

è, innanzitutto, uno 

dei pochi “eletti” ammessi 

al prestigioso Aldus Club, 

l’Associazione Internazionale di 

Bibliofilia presieduta da Umberto 

Eco. Un collezionista 

«estemporaneo», ma metodico: 

«Non ho libri di particolare pregio 

– si schernisce - ma sono molto 

affezionato a essi». 

Nella biblioteca, accanto ai 

molti libri a sua firma scritti in 

oltre sessant’anni di meticoloso 

lavoro mattutino – da “Teneteli su 

e altri racconti”, che raccoglie 

i suoi primissimi tentativi di 

autore, alla fortunatissima serie 

L’INTERVISTA D’AUTORE 

Giulio Andreotti, 90 anni il 14 gennaio 

scorso, è noto come politico di lungo corso, 

più volte Presidente del Consiglio e per 24 

volte ministro, una pagina vivente di storia 

del nostro Paese, fin dai tempi in cui 

lavorava a stretto contatto con De Gasperi: 

il 2 giugno del 1946, data del referendum 

nel quale la Repubblica prevalse sulla 

Monarchia, aveva 27 anni, era laureato in 

Giurisprudenza (poi specializzatosi in Diritto 

canonico) e già presidente della Fuci... 

 

DI LUIGI MASCHERONI 

“Visti da vicino”, fino alle opere politiche e storiche, 

e naturalmente ai famosi diari pubblicati anno 

per anno – il senatore a vita Andreotti “custodisce” 

con malcelato orgoglio, gli uni accanto agli altri, 

i (tanti) libri che ha amato da lettore, le centinaia 

e centinaia di volumi ricevuti in dono da eminenti 

personalità del mondo politico e culturale, italiane 

e internazionali, nel corso di una vita intera trascorsa 

a braccetto col potere – fra i più curiosi, 

probabilmente, il libro Patrie galere dell’ex brigatista 

Valerio Morucci, regalatogli con tanto di dedica in un 

incontro pubblico nel 2008, 

trent’anni dopo l’assassinio di Aldo 

Moro - e poi la (sterminata) 

collezione di titoli sulla storia della 

religione cattolica, il suo campo 

prediletto, anche come bibliofilo. 

Quando nel 1986 uscì “La Papessa 

Giovanna” del Boccaccio, curata 

da Armando Torno per 

Philobyblon in un’edizione 

limitata a 70 copie, stampate in 

torchio da Luigi Maestri, 

Andreotti – all’epoca potentissimo 

Ministro degli Affari Esteri nel 

secondo governo Craxi - non 

lesinò telefonate “interessate” pur 

di procurarsene un esemplare. 

Difficile dire se Andreotti si 

sia innamorato prima della politica 

o dei libri. Del resto conobbe il


suo “maestro” Alcide De Gasperi, 

del quale poi divenne segretario personale iniziando 

così la sua lunga “passeggiata” nei palazzi del potere, 

negli anni della Seconda guerra mondiale, alla 

Biblioteca Vaticana, dove lo statista trentino si era 

rifugiato grazie alla extraterritorialità mentre il 

giovane Giulio stava cercando dei testi sulla Marina 

Pontificia per la sua tesi di laurea. Narra la leggenda 

che il fondatore della Democrazia cristiana gli abbia 

bruscamente domandato: «Ma Lei non ha proprio 

niente di meglio di cui occuparsi?». 

Senatore Andreotti, si ricorda il primo 

volume acquistato per il puro piacere 

di “possesso” più che per interesse di lettura? 

Sognavo di mettere le mani sulla famosa “Storia 

dei Papi” di Ludwig von Pastor, un’opera 

straordinaria che uscì in sedici volumi, dal 1886 

all’ultimo, postumo, nel 1933. E fui gratissimo verso 

una zia che me ne fece dono. 

Fu come una promozione, e ancora oggi consulto 

quei libri con interesse. 

Oltre alla storia e alla politica - e ai gialli, 

per i quali si conosce una sua particolare 

predilezione - quale sono le sue letture preferite? 

Non ci crederà, ma da piccolo fui un fedelissimo 

delle avventure di Tarzan. Ed è strano perché sono 

molto pigro e sedentario. 

Nel suo leggendario “archivio segreto”, 

oggi ospitato nella sede dell’Istituto don Sturzo 

a Palazzo Baldassini, a Roma, sono conservati 

documenti, lettere, biglietti, centinaia di buste 

e faldoni. E anche libri, tra i quali una curiosa 

collana… 

Si tratta di piccole biografie di aspiranti-santi, 

il cui iter di canonizzazione è ancora in marcia. Uno 

strano “campionato” ideale. 

Tra le decine di libri scritti da lei, 

e le decine di libri scritti su di lei, qual è quello 

a cui è più affezionato? 

Di sicuro il mio primo vero libro, “Concerto 

a sei voci”, che scrissi nel 1945, appena ventiseienne. 

All’epoca fu pubblicato dalle Edizioni della Bussola 

di Roma. Un’opera che precorre il passaggio 

di consegne dal primo ministro Ivanoe Bonomi 

a Ferruccio Parri, e da questa analisi affiorano diversi 

elementi particolari e caratteristici della politica 

italiana che ricorreranno poi in tutta la Prima 

Repubblica… 

Le capita di frequentare bancarelle, 

mercatini o librerie antiquarie? Cosa cerca 

di solito? 

Adesso un po’ meno, ma prima sì, molto. 

Andavo tutti i mercoledì a Campo dei fiori, tra i 

carrettini di libri. Mi attraggono soprattutto le 

curiosità - e anche i pettegolezzi a dire il vero - 

su Roma, la mia città. 

C’è un libro al quale ha dato a liungo 

la caccia ma sul quale non è ancora riuscito 

a mettere le mani? 

Ormai mi occupo d’altro. Da tempo mi sono 

convertito a dare valore alle biblioteche, quella 

della Fondazione Besso a Largo Argentina, qui 

a Roma, ad esempio, la considero un successo.


Acquisizioni recenti della Biblioteca di via Senato 

Bougeant, Guillaume Hyacinthe 

(1690-1743). Trattenimento 

filosofico sopra il linguaggio delle bestie 

tradotto dalla franzese nell’italiana 

favella. Rovereto, Francesco Antonio 

Marchesani, 1752. 

Rara prima edizione della traduzione 

italiana di quest’opera satirica 

sulla follia umana, che fu in 

grado di creare un tale scandalo cui 

conseguì l’esilio dell’Autore, gesuita 

e storico francese che fu dunque 

allontanato da Parigi. 

Carena, Cesare; Peña, Francisco 

(1540-1612). Tractatus de officio 

sanctissimae Inquisitionis, et modo 

procedendi in causis fidei. In tres partes 

divisus ... Bologna, Giacomo Monti, 

1668. 

L’opera di Carena è uno dei 

principali manuali inquisitoriali. 

Costantini, Toldo (1576- 

1651). Il giudicio estremo poema di 

Toldo Costantini proton. ... Ad imitatione 

di Dante dedicato alla 

sereniss.ma repub. di Venezia. Padova, 

Paolo Frambotto, 1642. Prima 

edizione. “L’imitazione dantesca è 

nel contenuto, non nella forma. 

L’A. finge che il suo angelo custode 

lo porti nella valle di Giosafatte, 

 

Una raccolta sempre più 

ricca, mese dopo mese 

dai trattati “bestiali” di bougeant alle rime di stampa 

di Chiara Bonfatti, Giacomo 

Corvaglia e Annette Popel Pozzo 

ove egli appare Dante che lo guida. 

Quivi trova molti personaggi storici 

ed assiste al giudizio di Cristo. A 

Dante succede, come guida, S. 

Tommaso, che gli chiarisce molti 

dubbi teologici” (Vinciana 2759). 

Crispolti, Tullio (1510- 

1573); Zini, Pietro Francesco (n. 

1520 ca.). Tullii Crispoldi Reatini viri 

optimi atque doctissimi in D. N. Iesu 

Christi Passionem, & mortem commentarij, 

maxima tum eruditione, 

tum pietate insignes. Petro Francisco 

Zino interprete. Venezia (Venezia, 

Pietro Nicolini da Sabbio, 1547). 

Prima edizione dell’opera devozionale. 

L’autore, teologo, fece 

parte del circolo di dotti intorno al 

vescovo Giberti. 

Fondazione Luigi Firpo (a 

cura di). Catalogo del fondo antico (I: 

A-C; II: D-L). Firenze, Olschki, 

2005 e 2007. 

Primi due volumi dei cinque 

che formeranno il catalogo dell’importante 

collezione raccolta dal 

professor Luigi Firpo (1915-1989). 

Gioia, Melchiorre (1767- 

1829). Riflessioni sul trattato d’alleanza 

tra le repubbliche cisalpina e 

francese. Italia [i.e. Lecco], 2. germinale 

an. VI [i.e. 22 marzo 1798]. 

Guasti, Cesare (1822-1889). 

Bibliografia pratese compilata per un 

da Prato. Prato, Giuseppe Pontecchi, 

1844. 

Prima edizione di questa bibliografia 

che contiene 323 schede 

bibliografiche con notizie sulla vita 

e le opere di ciascun autore, cui si 

aggiungono in appendice oltre 50 

schede. 

Grazzini, Antonfrancesco, 

detto il Lasca (1503-1584). La prima 

e la seconda cena novelle di Antonfrancesco 

Grazzini detto il Lasca alle 

quali si aggiunge una novella che ci resta 

della terza cena. Leida, G. Vander-Bet, 

1790 (Firenze, Giovanni 

Betti). 

22 novelle dalla struttura narrativa 

di ascendenza boccacciana 

specchio della vita sociale nella Firenze 

dell’epoca ricca di burle ai 

danni di uomini di chiesa e di lettere. 

Pregevole esemplare in carta azzurrina, 

nella tiratura con l’errata 

corrige. 

Mengs, Anton Raphael 

(1728-1779). Opere di Antonio Raf-


faello Mengs primo pittore della maestà 

di Carlo III re di Spagna ec. ec. ec. 

pubblicate da D. Giuseppe Niccola 

d’Azara. Parma, Stamperia Reale e 

Giambattista Bodoni, 1780. 

Prima edizione italiana del 

trattato Gedanken über die Schönheit 

und über den Geschmack in der Malerei, 

in cui l’Autore teorizza l’imitazione 

dei grandi maestri come l’unico 

strumento in grado di raggiungere 

la bellezza ideale. (Brooks 

153). 

Montesquieu, Charles Louis 

de (1689-1755). Le temple de Gnide. 

Parma, Giambattista Bodoni, 

1799. 

Edizione nella traduzione 

dell’amico abate cortonese Filippo 

Venuti, archeologo ed enciclopedista 

italiano. (Brooks 738; De Lama 

II, p. 133). 

Paoli, Sebastiano (1684- 

1751); Nencetti, Clemente. Prediche 

sacro-politiche del padre Sebastiano 

Paoli della Congregazione della 

Madre di Dio, teologo, e predicatore 

caesareo, e storico del sacro militar ordine 

gerosolimitano. Opera postuma 

coll’aggiunta di alcune orazioni inedite, 

e colla vita dell’autore. Venezia, 

Tommaso Bettinelli, 1754. 

Prima edizione di questa raccolta 

di orazioni, prediche e ragionamenti 

di argomento teologico e 

politico, con una tavola con ritratto 

calcografico di Sebastiano Paoli 

non facente parte dell’edizione, incisa 

dal Pitteri su disegno di Filippo 

Falciatore. 

Proudhon, Pierre Joseph 

(1809-1865). Idée générale de la révolution 

au XIX.e siècle, (Choix d’ 

études sur la pratique révolutionnaire 

et industrielle), par P. J. Proudhon. 

Parigi, Garnier frères (veuve Dondey-Dupré), 

1851. 

Prima edizione. 

Proudhon, Pierre Joseph 

(1809-1865). Système des contradictions 

économiques, ou Philosophie de la 

misère, par P. J. Proudhon. Deuxième 

édition. Tome I [- II]. Parigi, Garnier 

frères (veuve Dondey-Dupré), 

1850. 

Seconda edizione, dopo la 

prima impressa da Guillaumin a 

Parigi nel 1846. 

Rabelais, François (ca.1494 - 

1553). Les horribles et espovantables 

faictz et prouesses du très renommé 

Pantagruel roy des dipsodes fils du 

grand géant Gargantua. Composé 

nouvellement par maitre Alcofrybas 

Nasier. Orné de bois en couleurs dessinés 

et gravés par André Derain. Ginevra, 

Edito-Service S.A., 1970? 

Nota ristampa anastatica dell’edizione 

di Parigi, Skira, 1943 in 

edizione limitata. 

Sainte-Beuve, Charles Augustin 

de (1804-1869). Alessandro 

Manzoni. Frammento biografico del 

signor Sainte-Beuve traduzione con 

prefazione e note del Conte Camillo 

Laderchi. Ferrara, Domenico Taddei, 

1846. 

Pubblicazione per le nozze 

Avogli Trotti e Fochessati. 

Sassatelli, Manfredo; Rossi, 

Giuseppe Luigi; Rivalta, Giuseppe 

Maria; et al. Componimenti degli arcadi 

imolesi e di altri celebri poeti d’Italia 

in morte del signor conte Cammillo 

Zampieri nobile imolese fra gli 

arcadi Alceta Eseno e primo vice-custode 

della Colonia Vatrenia. Faenza, 

Gioseffantonio Archi, 1784. 

Pubblicazione necrologica in 

prima edizione. 

Scaglia, Luigi (m. 1914). Palermo 

esposizione nazionale 1891-92. 

Ricordo della Sicilia. Palermo (Milano), 

Luigi Scaglia (Stab. Gualassini 

e Bertarelli), [1891 - 1892?] 

Album contenente 82 riproduzioni 

fotografiche seppiate su 

cartoncino che ritraggono la Sicilia 

alla fine dell’Ottocento. 

Servanzi-Collio, Severino 

(1796 - 1891). Serie dei vescovi di 

Sanseverino nella Marca dopo la restituzione 

fatta dal Pontefice Sisto V. a 

questa città dell’antica sede vescovile 

settempedana ed alcune notizie raccolte 

dal Comm. Severino conte Servanzi- 

Collio cavaliere di Malta. Camerino, 

tipografia di G. Borgarelli, 1874. 

Alla fine del volume 17 carte 

contenenti gli stemmi dei vescovi 

stampati con la parte centrale disegnata 

a mano. 

Stampa, Gaspara (1523- 

1554); Stampa, Baldassarre; Collalto, 

Collatino; et al. Rime di madonna 

Gaspara Stampa; con alcune altre 

di Collaltino, e di Vinciguerra conti 

di Collalto: e di Baldassare Stampa. 

Giuntovi diversi componimenti di varj 

autori in lode della medesima. Venezia, 

Francesco Piacentini, 1738. 

Seconda edizione dopo la prima 

del 1554 delle rime della poetessa 

italiana. 

Zanetta, Antonio. Manuale tipografico 

compilato per le scuole salesiane 

di arti e mestieri da Antonio Zanetta. 

Composizione. Edizione seconda. 

Torino, tipografia e libreria Salesiana, 

1900.


Seconda edizione, con numerose 

illustrazioni raffiguranti apparecchi 

e macchine per la composizione 

e la stampa e diversi campioni 

di stampa. 

Balzac, Honoré de (1799- 

1850). Revue parisienne dirigée par 

M. de Balzac. Parigi, La Revue Parisienne 

e Garnier frères (imp. de C. 

Bajat e Imprimerie Lange Lévy et 

comp. e imprimerie Schneider), 

1840. 

Unici 3 fascicoli pubblicati di 

questa rivista mensile letteraria e 

politica fondata da Balzac, che uscì 

nei mesi di luglio, agosto e settembre 

1840. Balzac vi pubblicò Z. 

Marcas (25 luglio 1840) che nell’agosto 

1846 fu poi integrato alla sua 

Comédie humaine, vi criticò Sainte-Beuve 

e rese omaggio alla Chartreuse 

de Parme di Stendhal. 

Botteri, Bernardino (1735- 

1819). Orazione funebre in lode di don 

Carlo III re delle Spagne e dell'Indie 

recitata nella chiesa de' RR. PP. cappuccini 

il dì 8 di gennaio 1789 in occasione 

delle solenni esequie fatte celebrare 

dal real infante di Spagna don Ferdinando 

I duca di Parma, Piacenza, 

Guastalla, ec. ec. ec. dall'abate d. Bernardino 

Botteri proposto dell'insigne 

collegiata del battistero di Parma. 

Parma, Stamperia Reale e Giambattista 

Bodoni, 1789. (Brooks, 

377). 

A Don Bernardino Botteri, 

preposto della Collegiata del Battistero 

di Parma, venne commissionata 

un'orazione funebre, tale "che 

rammemori le preclare cattoliche 

virtuose gesta dell'accennato monarca", 

e che fu recitata nella Chiesa 

dei Padri Cappuccini di Parma. 

Cellini, Benvenuto (1500- 

1571); Carpani, Giovanni Palame- 

de (1764-1858). Vita di Benvenuto 

Cellini orefice e scultore fiorentino da 

lui medesimo scritta ridotta a buona lezione 

ed illustrata da Gio. Palamede 

Carpani volume primo [- terzo]. 

Milano, Nicolò Bettoni, 1821. 

Edizione in tre volumi della 

collana Vite di uomini illustri scritte 

da loro medesimi, con note e aggiunte 

rispetto all’edizione del 1806 

della "Tipografia dei classici", con 

la dedica manoscritta del curatore 

Carpani all’abate e scrittore ligure 

Giuseppe Luigi Biamonti. 

Monti, Vincenzo (1754- 

1828). I pittagorici dramma del cavaliere 

Vincenzo Monti. Milano, Giovanni 

Giuseppe Destefanis; Nicolò 

Bettoni, 1808. 

Pubblicazione contenente un 

dramma di un atto rappresentato in 

Napoli nel Reale Teatro di San 

Carlo il giorno 19 marzo 1808. 

Edizione contemporanea alla prima 

edizione della Stamperia Reale 

di Napoli. 

Symmachus, Quintus Aurelius 

(ca. 320-402); Tedeschi, Giovanni 

Antonio. Lettere di Q. Aurelio 

Simmaco fatte di latine volgari e dedicate 

all'illustrissimo ed eccellentissimo 

signore d. Marcantonio Borghese principe 

di Sulmona, Grande di Spagna di 

Prima Classe, intimo ed attual Consigliere 

di Stato per S.M.C.C. dal canonico 

Gio. Antonio Tedeschi e trà gli Arcadi 

Orticolo Elèo. Roma, Girolamo 

Mainardi, 1724. 

Prima traduzione in una lingua 

moderna di questo celebre epistolario, 

in dieci libri contenenti 

lettere ufficiali e private, del periodo 

della decadenza dell'Impero. Il 

senatore e grande oratore Quinto 

Aurelio Simmaco fu il più importante 

rappresentante della società 

tardo romana a sostenere il culto 

dello Stato rispetto a quello del cristianesimo. 

Varillas, Antoine de (1624- 

1696). Istoria delle rivoluzioni accadute 

in Europa in materia di religione 

del sig. di Varillas: dalla lingua francese 

trasportata nuouamente all'italiana. 

Tomo primo [-secondo]. Venezia, 

Nicolò Pezzana, 1710. 

Prima edizione italiana. Nell'Avvertimento 

al Lettore al recto 

della p. 9 l'Autore informa: "Il mio 

disegno è d'attaccare l'eresia nel 

punto della politica; e di mostrare, 

che tutti quelli, che si sono ingeriti 

da trecent'anni in quà ad insegnare, 

ò predicare contro l'antica religione, 

hanno operato per motivi puramente 

umani, e sovente colpevoli; e 

che quelli, che li hanno assistiti e 

col credito, e con le arme loro, l'hanno 

fatto per svegliare in tutte le 

parti dell'Europa delle rivoluzioni, 

che loro somministrassero occasione, 

ò pretesto da usurparle”. 

[Anonimo]. La courtoisie francoise, 

enrichie de plusieurs belles et rares 

lettres de compliment, et d'un bouquet 

de marguerites, et fleurs d'élite, 

choisies dans leur jardin. Finalement 

un recit des reliques qui sont dedans le 

thresor de la Royale Abbaye de S. Denis 

en France, & des sepultures royales d'icelle 

eglise. Nouvellement mis en lumiere. 

Heidelberg, Samuel Brun, 

1660 (1658). 

Calenzio, Generoso (1831- 

1915). Esame critico-letterario delle 

opere riguardanti la storia del Concilio 

di Trento per Generoso Calenzio prete 

dell'oratorio di Roma. Roma e Torino, 

Tipografia Sinimberghi e tipografia 

pontificia Pietro di G. Marietti, 

1869. 

Esemplare arricchito da una 

dedica manoscritta dell’Autore.

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0774BvS n.4 Luglio-agostoOK.qxd - Biblioteca di via Senato

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