Allonsanfàn. Storie da un'altra sinistra - Fondazione Nesi

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Riccardo Orioles Allonsanfàn storie di un'altra sinistra 1999 mardiponente

Riccardo Orioles<br />

<strong>Allonsanfàn</strong><br />

storie di <strong>un'altra</strong> <strong>sinistra</strong><br />

1999<br />

mardiponente


mardiponente


Riccardo Orioles<br />

ALLONSANFÀN<br />

storie <strong>da</strong> <strong>un'altra</strong> <strong>sinistra</strong><br />

mardiponente


Riccardo Orioles, <strong>Allonsanfàn</strong><br />

settembre 1999<br />

riccardoorioles@gmail.com


A L L O N S A N F A N<br />

__________________________________________________


INTRODUZIONE<br />

estate 1999<br />

Si è fatto tardi, ed è tempo di cominciare a lasciare qualcosa. Qualcosa a<br />

chi? Mah. Forse a Giorgio di Lovere (in provincia di Bergamo: Giorgio era<br />

un ragazzo dei Siciliani) che è venuto a trovarmi l'altro giorno, tornando<br />

<strong>da</strong>ll'Albania (volontario cattolico) e prima di partire per Tijuana, sempre <strong>da</strong><br />

volontario della pace.<br />

Non credo che Giorgio non dorma la notte pensando alla crisi della<br />

<strong>sinistra</strong> perbene (lui "è" la <strong>sinistra</strong>, quella vera). Ma forse prima o poi avrà<br />

bisogno di sapere come sono an<strong>da</strong>te, nel suo Paese, le cose. Così, queste<br />

storie successe per lo più in Sicilia, nel corso d'un quindici anni, sono in<br />

realtà successe <strong>da</strong>ppertutto: una guerra feroce, senza mezze misure, dei<br />

compiti <strong>da</strong> affrontare, i compagni che crescono, una <strong>sinistra</strong> che a poco a<br />

poco si forma. Una <strong>sinistra</strong> seria, a differenza di altre, perché fin troppo<br />

seria era - nel caso nostro - la situazione.<br />

Una <strong>sinistra</strong> sconfitta, anche, alla fine del ciclo. Come i garibaldini di una<br />

volta, come i partigiani. Sconfitta, ma non perdente: le cose di questo<br />

genere restano vive molto a lungo, è ad esse che si ricorre quando<br />

l'alternativa "realistica" - il Regio Governo dei notabili, la democrazia<br />

cristiana o la "<strong>sinistra</strong>" di mercato d'oggigiorno - termina (di solito,<br />

lasciando il Paese in braghe di tela) il ciclo suo e c'è <strong>da</strong> ricominciare tutto<br />

<strong>da</strong>ccapo. Allora le vecchie carte possono servire.<br />

Così, vale la pena di lasciare qualcosa a Giorgio e agli altri che stanno<br />

crescendo dopo di lui. Verrà il momento in cui per loro sarà fon<strong>da</strong>mentale<br />

sapere che nella storia della <strong>sinistra</strong> non c'era solo quello che dicono i<br />

notabili ma anche - per esempio - cose come quelle che sono successe ai<br />

Siciliani. Se si riesce a lasciargli queste cose, a quei ragazzi, si può avere<br />

tranquillamente fiducia in loro.<br />

E ora basta così, perché faccio una fatica del diavolo a scrivere anche<br />

queste poche righe d'introduzione. E' molto bello perdere insieme con la<br />

propria gente, condividerne la sconfitta senza trucchi e fino in fondo. Ma ti<br />

lascia, come dire, un po' spossato. Comunque caro Giorgio e cari gli altri<br />

che non conosco ma che sicuramente ci siete, comunque fino a qui ci siamo<br />

arrivati. Prima o poi toccherà a voi continuare, anche se ora non lo sapete.<br />

R.O.


I COMPAGNI<br />

Ma uno dopo l'altro, ancora impietriti <strong>da</strong>ll'orrore,<br />

Li risvegliava l'affetto e li faceva parlare<br />

Sapendo, in quella pena, che c'era molto <strong>da</strong> fare<br />

Perchè non fosse inutile Perchè vivesse ancora<br />

Dieci creature sole, senza dei a portar doni<br />

Di genio o d'eroismo nella notte feroce:<br />

E una dopo l'altra prendono la parola<br />

Consigliando i compagni, inghiottendo il dolore,<br />

Decidendo con calma ciò che faranno insieme<br />

Sapendo che lo faranno, fra dieci anni o domani<br />

E che in questo se stessi resta un uomo e il suo dono


UN UOMO<br />

I Siciliani, gennaio 1984<br />

Pippo Fava ha scritto un sacco di libri, e cose di teatro anche. Però Pippo<br />

Fava non è mica uno importante. Per esempio, arriva una centoventiquattro<br />

scassata, <strong>da</strong>lla centoventiquattro esce uno con la faccia <strong>da</strong> saraceno e<br />

un'Esportazione che gli pende <strong>da</strong> un angolo della bocca e ride e quello è<br />

Pippo Fava.<br />

Bene, un giorno a Pippo Fava gli dicono di fare un giornale, è una<br />

faccen<strong>da</strong> strana affi<strong>da</strong>re un giornale a Fava che, dice la gente perbene, è uno<br />

che non si sa mai che scherzi ti combina: comunque il giornale c'è, si<br />

chiama il Giornale del Sud e subito Pippo Fava lo riempie di ragazzi senza<br />

molta carriera ma in compenso mezzi matti come lui. "Tu, come ti chiami?".<br />

"Così e cosà". "E cosa vorresti fare?". "Mah, politica estera...". "Ok, cronaca<br />

nera". La cronaca, al Giornale del Sud, la si fa all'avventura. Non si conosce<br />

nessuno, si parte proprio <strong>da</strong> zero. Ci sono storie divertenti, tipo quella del<br />

povero emarginato napoletano che arriva in re<strong>da</strong>zione e tutti fanno i pezzi<br />

commoventi sul povero emarginato e poi arriva Lizzio <strong>da</strong>lla questura per un<br />

paio di stupri... Si chiude alle tre di notte; non si "buca" una notizia. Con<br />

grande stupore, i catanesi apprendono che a Catania c'è una cosa che si<br />

chiama mafia. E che Catania è divenuta un centro del traffico di droga.<br />

Dopo qualche mese, un attentato: un chilo di tritolo. Ma si va avanti.<br />

La faccen<strong>da</strong> dura un anno. Poi succedono tre cose. La prima è che gli<br />

americani decidono che la Sicilia va bene per coltivarci missili. E questo a<br />

Fava non va bene, e lo scrive. La secon<strong>da</strong> che a Milano acchiappano un<br />

grosso mafioso, Ferlito, parente di un assessore e uomo di molto rispetto; e<br />

anche qua, Fava si comporta piuttosto - come dire - maleducatamente. La<br />

terza è che nella proprietà del giornale arrivano amici nuovi, uno dei quali è<br />

- ok, avvocato, niente nomi - un importante imprenditore catanese coinvolto<br />

nel caso Sindona e un altro un importante politico catanese coinvolto<br />

nell'assessorato all'agricoltura. Telegramma all'illustrissimo dottor Fava:<br />

"Comunichiamo con rincrescimento a vossignoria illustrissima che il<br />

giornale ora ha un altro direttore". I matti, i ragazzi della re<strong>da</strong>zione<br />

vogliamo dire, occupano il giornale. L'occupazione dura una settimana,<br />

durante la quale gli occupanti ricevono la soli<strong>da</strong>rietà di alcuni tipografi, di<br />

una telefonista, di un guardiano notturno e di un ragazzino dell'Ansa (a<br />

pensarci, anche un giornalista ha telefonato, allora). Poi arriva il sin<strong>da</strong>cato<br />

e, molto ragionevolmente, l'occupazione finisce.<br />

Senza Fava finisce anche, e alla svelta, il Giornale del Sud (perché nonleggere<br />

le stesse notizie su un giornale nuovo, se puoi già non-leggerle su


quello vecchio?). Ma Fava nel frattempo non s'è stato con le mani in mano.<br />

Ha raccolto una decina dei "suoi" matti: "Si fa un giornale". Come, quando<br />

e se si farà non lo sa nessuno. Ma intanto si mette su una bella re<strong>da</strong>zione,<br />

con le sue brave "lettera ventidue" scassate.<br />

Chi è disposto a investire qualche centinaio di milioni su due "lettera<br />

ventidue" scassate, dieci matti fra i venti e i venticinque anni e uno di<br />

sessanta? Ovviamente, nessuno. D'altra parte dopo l'esperienza del GdS<br />

Fava e i suoi, a sentir parlare di padroni, si mettono a bestemmiare. Allora si<br />

mette su una bella cooperativa - "Ra<strong>da</strong>r!". "E che vuol dire?". "Suona<br />

bene!" - si disegna un bellissimo stemmino per la cooperativa e si firmano<br />

alcune tonnellate di cambiali. Due mesi dopo arrivano due bellissime<br />

Roland di secon<strong>da</strong> mano, offset bicolori settanta/cento, e Fava se le cova<br />

con lo sguardo che se invece di essere due offset fossero due turiste svedesi<br />

lo denuncerebbero per stupro.<br />

A fine novembre, Pippo Fava arriva in re<strong>da</strong>zione, schiaccia l'Esportazione<br />

nel portacenere e fa: "Ragazzi, si fa il giornale". "Quando?" "Con quali<br />

soldi?" "Io faccio il pezzo sulla Procura!" "Come lo chiamiamo?" "Io ho<br />

un'idea per il pezzo di colore" "Ma i soldi...". La vigilia di Natale, le Roland<br />

sputano una cosa rettangolare con scritto su "I Siciliani". Anno uno, numero<br />

uno, i cavalieri di Catania e la mafia, la donna e l'amore nel sud. Un<br />

tipografo porta il pupo in re<strong>da</strong>zione. "Be', potrebbe anche an<strong>da</strong>re" fa uno dei<br />

re<strong>da</strong>ttori con nonchalanche, e subito dopo si mette a ballare.<br />

Il giornale arriva in edicola alle nove di mattina. A mezzogiorno non ce<br />

n'è più (a piazza della Guardia, dicono, due fanno a cazzotti per l'ultima<br />

copia: ma onestamente non ne abbiamo le prove). Si brin<strong>da</strong> nei bicchieri di<br />

plastica, e si prepara il numero due; nel cassetto i mazzi di cambiali<br />

sembrano meno minacciosi.<br />

Ed è passato un anno. La mafia, a Catania, c'è o non c'è? "Ma no... al<br />

massimo un po' di delinquenza..." (il signor Prefetto). "Cristo se c'è! E<br />

sbrigatevi a fare qualcosa che qui finisce peggio di Napoli" (I Siciliani). E<br />

quel signore, come si chiama quel signore là? "Noto pregiudicato..." (la<br />

stampa per bene). "Santapaola Benedetto, detto Nitto, MAFIOSO!" (I<br />

Siciliani). E i missili, dite un po', vi dispiace se lascio un paio di missili nel<br />

sottoscala? "Ma prego, si figuri, come fosse a casa sua!". "Ahò! Ca quali<br />

méssili e méssili! I cutid<strong>da</strong>ti a' casa vostra, si vvi l'aviti a ddàri!" E i<br />

cavalieri, vediamo un po'; anzi, i Cavalieri? "Ecco dunque cioè nella misura<br />

in cui ma però... AIUTO diffamano Catania!" "I cavalieri catanesi alla<br />

conquista di Palermo con la tolleranza della mafia. Firmato Dalla Chiesa.<br />

Noi stiamo con Dalla Chiesa". Ed è passato un anno.<br />

C'è un ragazzino, a Montepò, che ancora non sa bene se andrà a fare il suo


primo scippo o no. C'è una vecchia, in via della Concordia, che è rimasta<br />

fuori <strong>da</strong>ll'ospe<strong>da</strong>le perché non c'era posto. C'è una tizia, a viale Regione<br />

Siciliana, che costa ventimila lire ed ha quattordici anni. C'è un manovale,<br />

alla zona industriale, che ci ha rimesso una mano e dicono che la colpa è<br />

sua. C'è uno sbirro, in viale Giafaar, che ha una bambina a casa ma va di<br />

pattuglia lo stesso. C'è una bambina, <strong>da</strong> qualche parte allo Zen, che forse<br />

diventerà una puttana e forse una donna felice. E c'è <strong>un'altra</strong> bambina, in un<br />

cortile pieno di sole, e ora Pippo Fava prende in braccio la bambina e la<br />

bambina ride. "Nonno, nonno, ora faccio l'attrice".<br />

"Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdìo. Tanto, lo sai<br />

come finisce una volta o l'altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e<br />

quello ti aspetta sotto casa... Beh, te lo prendi un caffé? E l'occhiello, vedi<br />

che dieci righe per un occhiello a una colonna sono troppe".<br />

Forse mezzo milione, forse di più: il tizio, con l'altro tizio e quello che<br />

doveva <strong>da</strong>re il segnale, era là ad aspettare e ha alzato la 7,65 e ha sparato.<br />

Professionale. Certo, in una villa di Catania, s'è brin<strong>da</strong>to, quella notte. Forse<br />

ha avuto il tempo di guar<strong>da</strong>rlo negli occhi. Non pensiamo spaventato. Forse,<br />

impietosito. Sapendo benissimo che il tizio pagato - uscito forse <strong>da</strong> un<br />

miserabile quartiere, uno di quelli che lui non era riuscito a salvare - sparava<br />

anche contro se stesso, contro la propria eventuale speranza. Forse ha<br />

pensato che un giorno o l'altro quelli che venivano dopo di lui ci sarebbero<br />

riusciti a farli smettere di sparare, a... Ma forse non gliene hanno <strong>da</strong>to il<br />

tempo.<br />

* * *<br />

E questo è tutto. Ok, ringraziamo tutti quanti, grazie di cuore a tutti.<br />

Adesso dobbiamo ricominciare a lavorare, c'è ancora un sacco di lavoro <strong>da</strong><br />

fare per i prossimi dieci anni. Mica possiamo tirarci indietro con la scusa<br />

che è morto uno di noi. Se qualcuno vuole <strong>da</strong>re una mano ok, è il<br />

benvenuto, altrimenti facciamo <strong>da</strong> soli, tanto per cambiare.<br />

Va bene così, direttore?<br />

Elena Brancati, Cettina Centamore, Santo Cultrera, Claudio Fava,<br />

Agrippino Gagliano, Miki Gambino, Giovanni Iozzia, Rosario Lanza, Nanni<br />

Maione, Riccardo Orioles, Nello Pappalardo, Tiziana Pizzo, Giovanna<br />

Quasimodo, Antonio Roccuzzo, Fabio Tracuzzi, Lillo Venezia<br />

Ancora una volta la mafia ha colpito un uomo che lottava per il bene di


tutti. Noi non sappiamo ancora quali specifici settori di essa e quali specifici<br />

interessi si siano sentiti più direttamente minacciati <strong>da</strong>l lavoro che Giuseppe<br />

Fava portava avanti alla testa di questo giornale. Sappiamo però quali<br />

argomenti non sono mai mancati <strong>da</strong>lle pagine de "I Siciliani": la crescente e<br />

troppo a lungo sottovalutata potenza delle famiglie mafiose catanesi; il<br />

flusso di denaro pubblico <strong>da</strong>lle casse delle istituzioni siciliane a quelle dei<br />

soggetti equivoci o addirittura mafiosi; il pericolo, non solo di guerra ma<br />

anche di rafforzamento della presenza mafiosa, portato <strong>da</strong>ll'introduzione<br />

delle basi nucleari; la necessità, segnalata a suo tempo <strong>da</strong>l genrale Dalla<br />

Chiesa, di far luce sulle fortune dei principali imprenditori catanesi; le<br />

connessioni, ormai ben più che occasionali, fra mafia e politica. Su tutti<br />

questi argomenti, a nostro avviso, non mancheranno d'investigare i<br />

responsabili delle in<strong>da</strong>gini su questo delitto; quanto a noi, continueremo a<br />

porli al centro del nostro lavoro, che proseguirà regolarmente.<br />

Ringraziamo tutti coloro che hanno voluto esprimere la loro soli<strong>da</strong>rietà in<br />

questo momento; e soprattutto coloro la cui soli<strong>da</strong>rietà vorrà tradursi, nel<br />

tempo a venire, in concreta mobilitazione e lotta contro la mafia. La Sicilia<br />

non attenderà il duemila per abbattere la mafia. La Sicilia dei lavoratori, dei<br />

giovani, delle donne, delle persone oneste combatte già <strong>da</strong> ora la sua<br />

battaglia. Il nostro direttore non ha avuto paura di esserne la voce, di<br />

raccogliere e <strong>da</strong>re espressione a ciò che ogni siciliano sa e troppo spesso<br />

non può dire.<br />

E' una ben esigua minoranza, nel mondo del giornalismo siciliano, quella<br />

che realmente e senza compromessi tiene testa alla mafia: esigua, ma capace<br />

tuttavia di esprimenre i Mauro De Mauro, i Mario Francese, i Peppino<br />

Impastato, i Giuseppe Fava. Su questa minoranza il popolo siciliano potrà<br />

sempre contare, in qualunque circostanza e a qualunque prezzo.<br />

I re<strong>da</strong>ttori de "I Siciliani"


APPUNTI<br />

promemoria interno, gennaio 1984<br />

1) La cosa più difficile è di renderci veramente conto che nulla potrà<br />

essere più come prima, soprattutto non noi. Questo non è più un giornale<br />

(solo un giornale), e noi non siamo più giornalisti (solo giornalisti).<br />

Abbiamo una responsabilità che prima non avevamo; verso altri esseri<br />

umani, non verso un'idea. E siamo cambiati. Ci pare tutto assurdo ed irreale.<br />

Ma è così. (La tentazione più grande sarà quella di illuderci, di "essere come<br />

prima"). Dobbiamo fare scelte molto più grandi di noi; anche non farle<br />

sarebbe una scelta. Affrontare problemi molto più grandi di noi; nessuno<br />

può farlo al nostro posto; e risolverli, altrimenti sarebbe tutto inutile.<br />

2) Soprattutto, imparare a contare sugli altri. Contare "istintivamente" su<br />

Pertini come sullo Spe<strong>da</strong>lieri. Da soli, non ce la faremo mai. Capire di volta<br />

in volta perché e come essi possono - o "debbono"- aiutarci. Essere molto<br />

"superbi", capire fino in fondo che abbiamo il diritto (e il dovere: perché<br />

solo così potremo funzionare) di chiedere; e contemporaneamente non<br />

montarsi la testa, capire che è toccata a noi per caso (non migliori degli altri,<br />

né peggiori). Abbiamo moltissimo <strong>da</strong> imparare per essere all'altezza di<br />

quello che dobbiamo fare, e dobbiamo imparare ad analizzare spietatamente<br />

i nostri punti deboli, l'uno con l'altro e ognuno di noi <strong>da</strong> solo. Ed anche<br />

essere freddi, oggettivi in qualunque circostanza (e ci possono essere ancora<br />

circostanze molto dure) il nostro gruppo deve sempre "ragionare". E poi<br />

decidere speditamente, senza rinviare le decisioni.<br />

Ci saranno cose molto difficili, per ciascuno di noi: per esempio, accettare<br />

che un altro debba rischiare - per ora - più di te. Ma occorrerà accettare<br />

anche questo, se ce ne sarà bisogno: perché non sarà facile arrivare fino in<br />

fondo (ma ci arriveremo).<br />

3) Non dobbiamo molto mischiarci con la "vecchia" politica, e<br />

contemporaneamente dobbiamo saperla sfruttare per quanto si può. Ma<br />

dev'essere chiaro a tutti, e soprattutto a noi, che quello che vogliamo è una<br />

cosa diversa e molto più profon<strong>da</strong>; e chiamarla politica è inadeguato.<br />

Dobbiamo essere, molto semplicemente e profon<strong>da</strong>mente, l'immagine della<br />

"Sicilia onesta". E poi, "molti fatti e poche parole". Questo, possono capirlo<br />

tutti.<br />

4) Rivista più linea editoriale più settimanale: tre cose non separabili, <strong>da</strong><br />

articolare. La rivista deve continuare sulla stessa linea di prima: questo<br />

significa, fra l'altro, tornare già ora su argomenti "duri". Tenere alto il livello<br />

di qualità (due "firme" esterne al mese, molti collaboratori, ecc.); puntare<br />

molto sulla rete degli abbonati, scatanesizzarci; aprire tutto un versante


nuovo di ecologia, vita moderna, ecc.; essere l'organo della cultura militante<br />

siciliana; ma anche mantenere un tono non intellettualistico, "popolare".<br />

Stile concreto, senza grandi parole; al limite "piemontese".<br />

5) Siciliani Editori può diventare anche più "importante" della rivista;<br />

l'Einaudi del Sud. Cominciare <strong>da</strong>i titoli già previsti (già a loro volta<br />

articolati in sezioni...); ma affiancare al più presto una collana "politecnica"<br />

a buon livello, una collana di stampa d'arte ed una, infine di pamphlets<br />

molto scarni ed a bassissimo prezzo (uno strumento tecnico che fa capolino<br />

qua e là nella storia del giornalismo; e mai casualmente...).<br />

6) Il settimanale - il foglio dei Siciliani - dev'essere, probabilmente,<br />

"povero"; comunque, militante (il "partito" della Sicilia onesta: contro la<br />

mafia, i missili, l'incultura; ma anche "per" un modo diverso di vivere,<br />

riscoprire se stessi individualmente e collettivamente, ragionare...). Uno<br />

stile "giovane" (non giovanilistico!), coinvolgente; un giornale di massa,<br />

non solo per lettori "evoluti e coscienti"; battere la stampa dei mafiosi, non<br />

semplicemente ritagliarsi uno spazio!<br />

Ed è possibile. Possiamo, e quindi dobbiamo, mettere in piedi entro<br />

l'autunno una rete articolatissima di collaboratori, corrispondenti, anche<br />

re<strong>da</strong>ttori locali; e partire in autunno con una sottoscrizione popolare <strong>da</strong><br />

mantenere come caratteristica politica del giornale. E spiegare sempre tutto<br />

ai lettori: dire quali sono i problemi, come affrontarli, contare - e dirlo - su<br />

di loro. Forse nessun altro, come noi, può farlo.<br />

7) Intanto, cominciare subito (metà febbraio) con i fogli volanti (giustizia,<br />

banche; ma anche sport, satira) monografici, i tabloid. dei quali, il primo -<br />

ma non paternalistico, né celebrativo: sarà difficilissimo trovare il tono! -<br />

per gli studenti. E dire proprio qui cosa vogliamo fare, e fare esempi<br />

concreti e chiedere (intanto, agli studenti) una serie di interventi specifici.<br />

Se ogni scuola siciliana fosse una sezione del partito-che-non-è-unpartito,<br />

e contemporaneamente un ufficio di corrispondenza dei Siciliani; se<br />

ogni scuola ricevesse le sue copie, e le diffondesse, e curasse la<br />

sottoscrizione, e contattasse il corrispondente <strong>da</strong> noi designato per aiutarlo<br />

nella scelta delle notizie; e se poi cominciasse magari a lavorare (senza<br />

fretta, coi tempi necessari) su un argomento specifico della propria zona - se<br />

tutto questo avvenisse, sarebbe indubbiamente poco "professionale", ma<br />

sarebbe bellissimo. E perché non provarci?<br />

8) E poi, non restare ma più isolati. L'associazione degli amici dei<br />

Siciliani (convegni, organizzazione, finanziamento d'emergenza) ma anche<br />

tante piccole e grandi iniziative "spontanee", "risorgimentali", negli<br />

ambienti più diversi, nelle forme più disparate; tutti insieme, probabilmente,<br />

non siamo in grado di immaginarne la decima parte, ma grazie al cielo non


abbiamo bisogno d'immaginarne solo noi. Essere al centro di mille idee, di<br />

mille iniziative che, magari slegate fra di loro e "occasionali", concorrano<br />

però a formare una trama molto netta e molto forte. E anche questo è<br />

possibile.<br />

9) Contare sulle nostre forze non esclude (anzi richiede) contare anche su<br />

molte altre. Sapere che non siamo all'altezza non esclude (anzi rafforza) la<br />

possibilità di riuscire. E noi siamo determinati e compatti, e molta gente s'è<br />

mossa; molta di più ha cominciato a muoversi, e il nemico è diviso. Se<br />

restiamo uniti - ma basta uno a dividere - e pensiamo in termini di dieci<br />

anni, niente è impossibile; bisogna solo trovare - di volta in volta - come<br />

utilizzare tutte le forze potenziali, e ragionando ci si può certamente<br />

riuscire. Ci sarà <strong>da</strong> stare molto attenti e <strong>da</strong> fare "politica" anche; ma<br />

dovremo sempre ricor<strong>da</strong>re, in ultima analisi, che gli amici sono solo ed<br />

esclusivamente quelli di quella notte. Ed anche i nemici. E non dimenticarlo<br />

mai.


"MILITARMENTE OCCUPATA"<br />

febbraio 1984<br />

Care compagne e compagni, per noi è molto importante che in una<br />

giornata come questa, al di là di tutte le divisioni che ci possono essere e<br />

che noi speriamo vengano superate al più presto, la Sicilia onesta sappia<br />

ritrovarsi insieme, unita e compatta, per lottare contro la mafia. La mafia<br />

non è fatta solo <strong>da</strong> quelli che sparano, <strong>da</strong>i killers mafiosi, ma anche e<br />

soprattutto <strong>da</strong>i boss mafiosi, <strong>da</strong>i politici mafiosi e <strong>da</strong>gli imprenditori<br />

mafiosi. Anche qui a Catania, anche se certa stampa, qui, non ha il coraggio<br />

di parlarne.<br />

Il nostro direttore questo coraggio ce l'ha avuto. Per questo l'hanno<br />

ucciso. Ma il nostro giornale, I Siciliani, vive e continuerà a vivere e<br />

continuerà a lottare, senza fermarsi, contro tutti costoro. Noi non ci tireremo<br />

indietro!<br />

E noi non chiederemo certo aiuto, come non lo abbiamo fatto in passato,<br />

ai vari cavalieri, ai pezzi grossi, ai potenti. Noi fideremo solo ed<br />

esclusivamente nell'aiuto e nella soli<strong>da</strong>rietà concreta dei siciliani onesti, e<br />

dei lavoratori in primo luogo. E questo aiuto e questa soli<strong>da</strong>rietà verremo<br />

fiduciosamente a chiedervi di qui a qualche settimana.<br />

Al Nord alcuni giornali, quelli stessi che gri<strong>da</strong>no al lupo appena vedono<br />

operai, quelli stessi che non esitano a mettersi d'accordo coi Ciancio e coi<br />

Rendo, dicono, in sostanza, che noi siciliani siamo tutti mafiosi. Certo,<br />

qualcuno di più, qualcuno di meno; ma secondo loro, alla fine, è tutta la<br />

Sicilia che è mafiosa.<br />

Questo non è vero, questa è una menzogna. La Sicilia non è mafiosa. La<br />

Sicilia è una terra militarmente occupata <strong>da</strong>lla mafia; come una volta<br />

c'erano i tedeschi, ora ci sono i mafiosi. Ma la grandissima maggioranza dei<br />

siciliani è nemica della mafia, è nemica dei politici mafiosi, e nemica degli<br />

imprenditori mafiosi e di tutti i loro collaborazionisti e servitori.<br />

Anche qui a Catania, la Sicilia antimafiosa si va organizzando. In questi<br />

ultimi mesi ci sono state molte iniziative spontanee di studenti, di operai, di<br />

intellettuali, di donne. Tanta gente ha preso coscienza della situazione; e<br />

alcuni hanno già cominciato a muoversi; ma ognuno nel suo settore, ognuno<br />

per conto suo, separatamente.<br />

Noi, re<strong>da</strong>zione dei Siciliani, pensiamo che è il momento di cominciare a<br />

muoverci tutti insieme, di organizzarci. Una buona idea sarebbe quella di<br />

formare un movimento popolare che abbia come punto di riferimento il<br />

nostro giornale, e che potremmo chiamare, per esempio, Associazione<br />

Amici dei Siciliani. Un'organizzazione aperta, senza etichette e bandiere;


un'organizzazione di cui possano far parte veramente tutti coloro, <strong>da</strong><br />

qualunque parte provengano, che vogliono fare qualche cosa, nelle<br />

fabbriche, nelle scuole, nei quartieri; e, in primo luogo, i lavoratori e i loro<br />

rappresentanti. Un'organizzazione viva, forte e combattiva, che possa<br />

cominciare ad essere, oggi a Catania quello che in altri tempi e in altri<br />

luoghi, ma sempre contro una barbarie come questa, erano i Comitati di<br />

liberazione. Non contro i tedeschi, questa volta, ma contro l'occupante<br />

mafioso, contro i boss mafiosi, contro i politici mafiosi, contro gli<br />

imprenditori mafiosi, contro tutti coloro che stanno ammazzando Catania e<br />

la Sicilia. Oggi come allora, resistenza: per cacciare la mafia, per liberare la<br />

città.


CARO LETTORE<br />

I Siciliani, febbraio 1984<br />

Caro lettore, probabilmente hai già sentito parlare del nostro giornale e sai<br />

che esso è, in questo momento, una delle poche cose che permettono a tutti<br />

noi siciliani di an<strong>da</strong>re a testa alta di fronte a chiunque. Sono in tanti, oggi,<br />

ad accusare la Sicilia di essere mafiosa: noi, che combattiamo la mafia in<br />

prima fila, diciamo invece che essa è una terra ricca di tradizioni, storia,<br />

civiltà e cultura, tiranneggiata <strong>da</strong>lla mafia ma non rassegnata ad essa.<br />

Questo, però, bisogna dimostrarlo con i fatti: è un preciso dovere di tutti noi<br />

siciliani, prima che di chiunque altro; di fronte ad esso noi non ci siamo<br />

tirati indietro.<br />

Se sei siciliano, ti chiediamo francamente di aiutarci, non con le parole<br />

ma coi fatti. Abbiamo bisogno di lettori, di abbonamenti, di soli<strong>da</strong>rietà.<br />

Perciò ti abbiamo man<strong>da</strong>to questa lettera: tu sai che dietro di essa non ci<br />

sono oscure manovre e misteriosi centri di potere, ma semplicemente dei<br />

siciliani che lottano per la loro terra. Se non sei siciliano, siamo del tuo<br />

stesso Paese: la mafia, che oggi attacca noi, domani travolgerà anche te.<br />

Abbiamo bisogno di sostegno, le nostre sole forze non bastano. Perciò<br />

chiediamo la soli<strong>da</strong>rietà di tutti i siciliani onesti e di tutti coloro che<br />

vogliono lottare insieme a loro. Se non l'avremo, andremo avanti lo stesso:<br />

ma sarà tutto più difficile.


ALCUNE RISPOSTE DA TROVARE INSIEME<br />

I Siciliani, settembre 1984<br />

Sono passati sette mesi. Sette mesi senza alibi, per i siciliani onesti e per i<br />

mafiosi. Per i mafiosi, perché adesso non è più questione di "Sicilia<br />

diffamata" e di "campagna per difendere Catania" ma semplicemente di dire<br />

se si è con la mafia o contro. Per noi antimafiosi, perché adesso non<br />

abbiamo più l'alibi della solitudine e del popolo che non ci comprende. Se<br />

una cosa s'è vista, in questi mesi, è che la nuova generazione dei siciliani è<br />

nella sua grande maggioranza nettamente antimafiosa; e che ce n'è una<br />

parte, ancora minoritaria ma già abbastanza numerosa, pronta a tradurre<br />

subito in azione concreta questa prima elementare intuizione.<br />

"Car Siciliani: sono una ragazza di diciassette anni e vi scrivo per dirvi<br />

che anch'io...". "Adesso però vorrei dire un fatto che è successo al mio<br />

paese e che secondo me è pure un fatto mafioso...". "Nella nostra scuola si<br />

sono vendute settantacinque copie comunque non eravamo un granché<br />

organizzati ma la prossima volta...". Ecco: cosa dobbiamo rispondere a<br />

lettere come queste e a interventi come questi, a questi messaggi? Perché ce<br />

ne sono stati tanti, molti di più di quanto avremmo potuto credere - questo,<br />

gli assassini non l'avevano messo nel conto.<br />

Noi non possiamo riman<strong>da</strong>re questi ragazzi con risposte di generica<br />

soli<strong>da</strong>rietà. Noi - noi di questo giornale, intendiamo; ma anche tutti coloro<br />

che in una qualunque maniera si sono schierati su questo fronte - abbiamo<br />

un dovere preciso nei confronti di tutti loro. Ci scrivono fiduciosamente,<br />

avendo finalmente trovato una bandiera; e fiduciosamente lavorano, ogni<br />

volta che gliene si dà l'occasione, a quel poco che osiamo loro affi<strong>da</strong>re. E<br />

questa sarebbe la generazione senza ideali, di quelli che non credono più a<br />

niente, dei ragazzi del riflusso...<br />

Abbiamo attraversato questi mesi sostanzialmente <strong>da</strong> soli. Non nei<br />

confronti - tutt'altro! - dei ragazzi delle scuole, dei magistrati onesti, della<br />

gente "comune", ma rispetto a buona parte delle forze politiche, del mondo<br />

giornalistico, delle categorie istituzionali, di tutti coloro insomma che<br />

avrebbero potuto materialmente aiutarci, qui ed ora, a continuare il nostro<br />

lavoro. Quasi con le nostre sole forze, abbiamo dovuto affrontare difficoltà<br />

e ostacoli che sembravano, ragionevolmente, insuperabili; e ce l'abbiamo<br />

fatta. Al feroce messaggio della mafia, abbiamo risposto con venti articoli<br />

nuovi contro di essa. Tutto quello che hanno potuto ottenere <strong>da</strong> noi, è stato<br />

di fermarci per quattro ore, <strong>da</strong>lle 22,30 del cinque gennaio alle due e mezza<br />

del sei. Un attimo dopo, abbiamo ricominciato. In sette mesi abbiamo<br />

prodotto sei nuovi numeri della rivista mensile e tre del tabloid


sperimentale; neanche una pagina, crediamo, ne è an<strong>da</strong>ta sprecata.<br />

Ma tutto questo non basta. Ci sono cose che non siamo riusciti a fare, ed<br />

altre che non abbiamo nemmeno provato a fare: bisogna ragionare anche su<br />

questo, avere il coraggio di criticarci.<br />

Non siamo riusciti, nella maggior parte dei casi, a contattare<br />

adeguatamente le centinaia di luoghi in cui il nostro giornale non era mai<br />

stato ma aveva già, per sola forza d'immagine, i suoi amici e i suoi lettori;<br />

non siamo riusciti a far partire prima dell'estate tutto il piano editoriale che<br />

avevamo previsto; non siamo riusciti a <strong>da</strong>re a tutti i nostri amici nel mondo<br />

politico e nel sin<strong>da</strong>cato un'immagine del nostro lavoro che li aiutasse a<br />

superare la miopia con cui, non per sua colpa, la democrazia "settentrionale"<br />

tradizionalmente percepisce le lotte del Sud. Queste cose non siamo riusciti<br />

a farle - non era cosa facile, d'altronde - finora, e cercheremo dunque di<br />

riuscirci nei mesi che verranno.<br />

Per altre cose, il discorso è più complesso. Per esempio: abbiamo prodotto<br />

e diffuso un foglio speciale per le scuole, e non l'abbiamo fatto <strong>da</strong> soli ma<br />

con l'aiuto di decine di ragazzi che col giornale, in teoria, non c'entrano per<br />

niente. Questo è ancora "soltanto" un fatto giornalistico, o è già, nel suo<br />

piccolo, qualcosa di più? E se un caso come questo indicasse (e ce ne sono<br />

altri più minuti) che esiste una richiesta crescente, fra i giovani siciliani, non<br />

solo di informazione ma anche, in modo del tutto nuovo, di organizzazione?<br />

Ma: cosa significa parlare di organizzazione nel 1984? E soprattutto: chi<br />

deve parlarne, che deve fare le proposte concrete per <strong>da</strong>re un senso a questa<br />

parola? Noi, i ragazzi che hanno lavorato con noi, i nostri "lettori", tutti<br />

quanti insieme? E ancora: organizzarsi per fare cosa? Solo per diffondere un<br />

giornale, o per qualcosa di più? E "come" organizzarsi? Ha ancora un senso<br />

pensare a un centro che spieghi le cose e una periferia che le esegua, o è già<br />

possibile lavorare insieme in maniera più collettiva? E, in fondo a tutte<br />

queste domande: è <strong>da</strong>vvero possibile sapere già ora cosa vogliamo costruire<br />

e dove arriveremo, o è meglio partire con pochi e concreti obbiettivi per<br />

scoprire insieme, stra<strong>da</strong> facendo, tutti gli altri?<br />

Tutto ciò non ha niente a che vedere, evidentemente, con la "politica" dei<br />

candi<strong>da</strong>ti e dei partiti; forse, con quella più profon<strong>da</strong> e civile - ed anche più<br />

soli<strong>da</strong> e reale - che, nei momenti di crisi, emerge direttamente <strong>da</strong>l crescere<br />

delle esperienze individuali e collettive. Noi attraversiamo, riteniamo, uno<br />

di questi momenti e non possiamo venir meno a nessuno dei nostri compiti<br />

rispetto ad esso, nemmeno a quelli talmente nuovi <strong>da</strong> richiederci uno sforzo<br />

di fantasia già solo per percepirli. Solo in questo quadro, fra l'altro, è<br />

possibile <strong>da</strong>re un senso reale alla nostra stessa funzione "tecnica" e<br />

professionale, che rischia diversamente di diventare una umanissima ma


isolata testimonianza e non uno strumento di effettivo cambiamento della<br />

realtà esistente.<br />

Proposte concrete? Non ancora: piuttosto, due campi di ricerca su cui<br />

bisognerà ragionare, tutti insieme, nei prossimi mesi. Primo: come può<br />

essere un giornale popolare siciliano, chi può mettersi insieme per farlo, che<br />

iniziative concrete possono aggregarsi attorno ad esso? Secondo: come<br />

utilizzare fino in fondo, in questa prospettiva, un luogo d'incontro come<br />

l'Associazione dei Siciliani di cui s'è parlato nei mesi scorsi; come far sì che<br />

a raccogliersi in essa non siano solo gl'intellettuali già impegnati ma<br />

un'intera generazione di siciliani onesti?<br />

Su questi due punti sarebbe utile aprire subito -- e questo vuol esserne<br />

semplicemente un inizio - un dibattito ampio e concreto, non solo fra noi<br />

"addetti ai lavori" ma con tutti i nostri amici e lettori. Di questi tempi, la<br />

cosa più importante per chi vuole <strong>da</strong>vvero cambiare le cose, è sapere<br />

imparare: le cose che non sappiamo ancora sono <strong>da</strong>vvero tante, e non è<br />

detto che debbano sempre essere le "persone importanti" a spiegarcele.


A CAVALLO DELLA TIGRE<br />

I Siciliani, settembre 1984<br />

E' difficile, per coloro che non sono siciliani, rendersi conto dell'aspetto<br />

più propriamente "politico" della mafia. Non parliamo qui, s'intende, dei<br />

legami sempre più stretti che la mafia ha via via potuto stringere con il<br />

mondo politico ufficiale, ma della presenza quotidiana, continua, infine -<br />

per l'appunto - "politica" con cui essa ha pesato in ogni aspetto della vita<br />

associativa siciliana: fino a diventarvi in larga misura egemone,<br />

imponendovi con la violenza un proprio modello di società e dei propri<br />

modelli di comportamento individuali e collettivi. La mafia ha <strong>da</strong>to luogo,<br />

negli ultimi quarant'anni e per la maggior parte dell'Isola, ad una vera e<br />

propria occupazione militare del territorio: con i suoi editti e i suoi bandi, le<br />

sue esecuzioni sommarie, la sua dose quotidiana di prepotenze spicciole;<br />

con i suoi corpi militari, ma anche il suo personale politico, i suoi<br />

amministratori, i suoi kapò. Immaginate una repubblica di Salò che duri per<br />

quarant'anni ed avrete un'idea di che cos'è la mafia, in linguaggio<br />

"milanese".<br />

In queste condizioni storiche, si è verificato in Sicilia un fenomeno non<br />

dissimile <strong>da</strong> quella che in altri tempi e luoghi d'Europa è stata la resistenza<br />

"politica" e clandestina contro i regimi nazifascisti. La nostra Resistenza è<br />

durata quarant'anni; ed ha avuto centinaia di morti. Ogni singolo diritto<br />

civile è stato conquistato - quando si è riusciti a conquistarlo - a prezzo di<br />

sangue. Ogni nostra sconfitta è stata pagata con la decimazione dei resistenti<br />

e la deportazione delle masse. Un quarto della popolazione attiva della<br />

nostra isola vive e lavora all'estero: le grandi on<strong>da</strong>te migratorie seguono la<br />

sconfitta della lotta sui feudi, quella della riforma agraria, quella delle lotte<br />

per l'acqua. Eppure, la Sicilia non si è mai arresa: quarant'anni fa le bandiere<br />

rosse dei braccianti, oggi le assemblee degli studenti, in nessun altro paese<br />

d'Europa tanta ostinazione e tanta disperata fierezza hanno tenuto campo<br />

così a lungo.<br />

E i pochi uomini nostri - generalmente, e non a caso, percepiti altrove più<br />

come capipopolo che come veri dirigenti politici - che hanno saputo<br />

esprimere la coscienza popolare vengono ricor<strong>da</strong>ti in Sicilia, assai più che<br />

nella loro qualificazione ideologica, come capi di questa lotta; i Miraglia, i<br />

Li Causi, i La Torre sono innanzitutto, nella memoria popolare, i nemici<br />

della mafia; la stessa <strong>sinistra</strong> politica e sin<strong>da</strong>cale, nei suoi momenti alti nelle<br />

zone più aspre della Sicilia, è vista anzitutto come organizzazione di lotta<br />

contro il potere mafioso, e solo secon<strong>da</strong>riamente in rapporto alle questioni<br />

"politiche" tradizionali. Interclassismo generico, qualunquismo? Basta


guar<strong>da</strong>re la piazza di un qualunque paesino dell'interno siciliano - la chiesa<br />

e il circolo dei civili su un lato della piazza; il punto di ritrovo dei braccianti<br />

e la lega contadina sull'altro - per comprendere come proprio la questione<br />

mafiosa sia la più profon<strong>da</strong>mente politica che oggi possa <strong>da</strong>rsi nel Paese,<br />

quella che con maggiore verticalità e nettezza separa le classi, i<br />

comportamenti collettivi, i diversi modi di vivere e le diverse visioni del<br />

mondo, la società insomma.


UN VOLANTINO<br />

primavera 1984<br />

Nonostante tutto, il potere della mafia comincia a mostrare le prime crepe.<br />

Sempre più spesso il lavoro dei magistrati onesti ottiene risultati un tempo<br />

impensabili; sempre più chiaramente il cittadino comune prende coscienza<br />

della necessità di far pulizia non solo nella malavita ma anche nel Palazzo.<br />

Adesso, bisogna an<strong>da</strong>re avanti.<br />

Costringere lo Stato a sostenere i suoi uomini non solo coi bei discorsi ma<br />

con mezzi concreti; smascherare gli interessi degli appalti e della droga, a<br />

cominciare <strong>da</strong> quelli indicati <strong>da</strong> Fava, Dalla Chiesa e Chinnici; cacciare<br />

<strong>da</strong>lla politica i compromessi e i corrotti, a partire <strong>da</strong> quelli che dicono che<br />

"qui la mafia non esiste"; cominciare a confiscare sul serio i patrimoni<br />

mafiosi, e affi<strong>da</strong>rne la gestione - emen<strong>da</strong>ndo la legge La Torre - ai lavoratori<br />

ricattati con la disoccupazione: questi sono gli obiettivi che oggi possono<br />

far fare un salto di qualità alla lotta contro la mafia. Perché oggi non si tratta<br />

più solo di far celebrazioni, ma di organizzarsi per vincere. E questo oggi è<br />

possibile.<br />

Noi proponiamo a tutti i militanti e i gruppi impegnati nella nostra stessa<br />

lotta, a Palermo come a Catania come altrove:<br />

1° - di esaminare con noi la possibilità di <strong>da</strong>re vita ad una Associazione<br />

che in maniera unitaria, organizzata e capillare raccolga in tutte le città e i<br />

paesi della Sicilia i militanti antimafiosi e ne coordini la lotta, sia attraverso<br />

momenti di mobilitazione generale su obbiettivi specifici che attraverso una<br />

rete diffusa d'iniziative locali;<br />

2° - di esaminare con noi la possibilità di <strong>da</strong>r vita nei prossimi mesi ad un<br />

settimanale popolare, diffuso <strong>da</strong>ppertutto e sostenuto <strong>da</strong> tutte le forze<br />

antimafiose, che spezzi il monopolio dell'informazione esistente e si ponga<br />

in tutta la Sicilia e fuori come la voce di tutti i siciliani antimafiosi.<br />

I Siciliani


UN VOLANTINO<br />

primavera 1984<br />

Anche se non ti promettiamo ricchi premi e cotillons vale ugualmente la<br />

pena che tu legga questo volantino e per dei motivi, ne converrai, più che<br />

seri: tanto per cominciare è gratis e non è un pretesto per venderti<br />

un'enciclopedia; poi perché è stato fatto per te, e <strong>da</strong> ragazzi uguali a te, più o<br />

meno belli, più o meno intelligenti, più o meno incavolati, insomma gente<br />

come te.<br />

Vogliamo proporti una nuova idea <strong>da</strong> realizzare insieme:<br />

Siciliani/Giovani, un mezzo di espressione libero e moderno a disposizione<br />

di chiunque voglia dire qualcosa, non il primo della classe, né quelli che<br />

salgono sempre in cattedra. Infatti non ci interessa il letterato, l'artista, il<br />

politicante, ma tutti quelli che vogliono scrivere, raccontare, disegnare,<br />

fotografare anche solo partecipare a qualcosa, esserci, sentirsi vivi e<br />

protagonisti, non solo complici della propria vita. E' una possibilità di<br />

opporci a un'esistenza grigia che scorre per inerzia, alla solitudine, alla<br />

rassegnazione inutile (ci dicono di non rompere le scatole e starci zitti, e noi<br />

ci stiamo? No).<br />

Non dormirci su ancora, vieni se hai qualcosa <strong>da</strong> dire, <strong>da</strong> raccontare.<br />

Fabio<br />

Via Reclusorio del Lume (vicino piazza S. Domenico), Facoltà di scienze<br />

politiche, Aula "A" a piano terra.


IL CORAGGIO DI LOTTARE<br />

SicilianiGiovani, 1984<br />

Caro Salvatore (o Antonio o Vincenzo o Roberto, o come diavolo ti<br />

chiami), come vedi, io non so nemmeno il tuo nome (forse ci saremo visti<br />

qualche volta, in un treno di pendolari o in una discoteca, ma naturalmente<br />

senza farci caso) e non so nemmeno che tipo sei, se tipo "ragazzino<br />

perbene" oppure tipo punk (a me personalmente piacerebbe di più così, ma<br />

questo è solo una cosa mia personale). Non so neppure che cosa stai<br />

facendo in questo momento, forse hai trovato il giornale per caso e siccome<br />

ora c'è una lezione noiosa te lo leggi sottobanco tanto per passare il tempo;<br />

o forse sei sull'autobus o forse <strong>da</strong> qualche parte con i tuoi amici (neanche tu<br />

sai granché di me: bene, sono un giornalista dei Siciliani, ho qualche anno<br />

più di te ma non molti, sono triste perché mi hanno ammazzato un amico,<br />

ho anche la paranoia che lo facciano pure a me e ne ho paura perché non<br />

sono particolarmente coraggioso. Non sono affatto un grande giornalista<br />

anzi sono alle prese con problemi molto più grandi di me). L'importante<br />

comunque è che tu capisca che io in questo momento non sto parlando al<br />

Ragazzo Impegnato, non sto facendo il discorso "simbolico" per dire che in<br />

realtà faccio appello a tutti quelli che ecc. ecc. No, io sto parlando proprio a<br />

te personalmente, perché ho bisogno di aiuto e non mi fido delle persone<br />

importanti. Ho bisogno invece della gente "comune", quella come te (e<br />

come me). Parliamoci chiaro: io non credo affatto che tu sia particolarmente<br />

interessato a tutte queste cose. L'altra volta, anzi, quando c'è stata<br />

l'assemblea Contro-La-Mafia (ci sarà stata anche nella tua scuola) tu per un<br />

po' sei stato ad ascoltare tutto quello che dicevano i professori e i tuoi<br />

compagni più "politici" poi, semplicemente, ti sei annoiato e te ne sei<br />

an<strong>da</strong>to. Siccome era una bella giornata, spero che tu te ne sia anche an<strong>da</strong>to<br />

in villa con la tua ragazza. Tutto questo mi va benissimo. Io non credo<br />

molto alle parole, e credo che ognuno debba fare ciò che sente e non quello<br />

che dicono gli altri.<br />

Però. vedi, c'è un trucco. Gli altri - cioè le persone importanti, i<br />

professori, i "politici" - partono <strong>da</strong> un punto di vista, e cioè che loro sanno<br />

tutto mentre tu non sai un cazzo. E che quindi debbono essere loro a dirti<br />

cosa fare. Tanto, tu sei "qualunquista", uno che se ne frega delle Cose Serie,<br />

che pensa solo a farsi la canna e ad an<strong>da</strong>re in discoteca (i giornalisti come<br />

me, invece, sono "i ragazzi di Fava", bravi ragazzi certo, ma un po' troppo<br />

incazzati e un po' coglioni...). Invece non è così. Tu sai un sacco di cose,<br />

solo che non le dici nel loro linguaggio, o non lo dici affatto. Però le sai. Per<br />

esempio sai che la tua vita non è affatto una gran bella vita, che ti annoi:


questo non è affatto qualunquismo, è la tua vita. Non c'è bisogno di parole<br />

difficili per dirlo. E sai pure che non ti va di continuare così e che intanto<br />

devi continuare lo stesso perché non c'è altro <strong>da</strong> fare, Sai che, nonostante<br />

tutte le belle parole, nessuno ti può aiutare a far qualcosa perché in realtà a<br />

nessuno gliene frega veramente molto di te: Sai anche altre cose, per<br />

esempio che fra un paio d'anni resterai disoccupato come il novanta per<br />

cento dei tuoi amici, che fra i tuoi amici ce n'è sicuramente qualcuno che si<br />

buca, che tu ancora sei fra i più fortunati perché sei - probabilmente - uno<br />

studente e non uno scippatore o un marchettaro (e se lo sei, il discorso vale<br />

anche per te). Sai un sacco di cose serie, insomma, ma tu stesso non ti<br />

accorgi nemmeno di saperle (non solo gli altri ti considerano un<br />

"qualunquista": sono riusciti a convincere anche te che lo sei), e perciò non<br />

contano niente, non pesano. E perciò quelli che sanno parlare continuano a<br />

coman<strong>da</strong>re loro, indisturbati: tanto, tu non conti...<br />

Questo è il trucco. Se tu ti rendessi conto di quanto sia importante - e, ma<br />

in una maniera del tutto nuova, anche "politico" - anche an<strong>da</strong>re in villa con<br />

la ragazza, cercare di fare quello che ti piace, vivere la tua vita come<br />

vorresti tu, tutto quanto cambierebbe. C'è stato un onorevole che, poche ore<br />

dopo che hanno ammazzato quel mio amico, è venuto fuori con aria<br />

arrogante - "la mafia non c'è, ha detto in sostanza, fatevi gli affari vostri!" -<br />

a minacciarci. Bene, quell'onorevole in realtà è un debole, è un isolato,<br />

perché non ha nessunissima idea della vita reale, della gente vera: al<br />

massimo, può fare qualche <strong>da</strong>nno ora, per il potere che ha. Noi invece - tu<br />

ed io - siamo molto forti e gli possiamo ridere in faccia perché la vita (la<br />

vita di ogni giorno, quella normale, la nostra) la conosciamo, ci siamo<br />

dentro, sappiamo che cos'è; ci mancano solo le parole, ma le troveremo (e<br />

non saranno mai grandi parole, grandi ideali, faccende <strong>da</strong> politici: ma parole<br />

comuni, normali, quelle della vita di ogni giorno).<br />

Allora, adesso ti faccio la mia proposta. Lasciamo perdere se hai la<br />

cravatta o l'orecchino (io, ripeto, preferirei l'orecchino: ma è questione di<br />

gusti, ognuno ha i suoi). Queste sono cose secon<strong>da</strong>rie. La cosa importante è<br />

che tu vuoi vivere la tua vita, e che ti sei scocciato di quella che ti <strong>da</strong>nno.<br />

Come me. Allora <strong>da</strong>mmi una mano. Parole non me ne servono, mi servono<br />

poche cose <strong>da</strong> fare. Poche, ma <strong>da</strong> farle sul serio, perché noi due - tu, ed io -<br />

siamo gente seria, non politicanti. An<strong>da</strong>re in villa con la ragazza è una cosa<br />

seria, e anche fare questo giornale è una cosa seria. Solo i bei discorsi non<br />

sono una cosa seria.


ALCUNE COSE DA FARE<br />

SicilianiGiovani, 1984<br />

Allora, cosa si può fare per <strong>da</strong>re concretamente una mano a questo<br />

giornale? Facciamo un esempio: l'istituto tecnico industriale di Piazza<br />

Armerina.<br />

Intanto, ci si organizza a scuola in modo tale che ci siano sempre quattrocinque<br />

ragazzi, a turno, che tengano i contatti col giornale e si occupino<br />

della varie cose <strong>da</strong> fare. Dopodiché, le cose <strong>da</strong> fare sono più o meno le<br />

seguenti:<br />

1) Notizie. Ovviamente, il discorso "notizie" in senso stretto è roba <strong>da</strong><br />

professionisti: stiamo mettendo in piedi una rete capillare di corrispondenti,<br />

quindi ci sarà semmai <strong>da</strong> an<strong>da</strong>re <strong>da</strong>l corrispondente di Piazza Armerina e<br />

non direttamente al giornale. Però noi per "notizia" non intendiamo lo<br />

scoop, la novità clamorosa: intendiamo semplicemente sapere come vive la<br />

gente in un determinato posto. Quindi, se per esempio la III C<br />

dell'industriale di Piazza si organizza per fare una ricerca seria, poniamo,<br />

sulla distribuzione dell'acqua ai contadini della zona, questa per noi è una<br />

notizia, e c'interessa. Questo vale anche per le città più grandi, dove ci sono<br />

un sacco di situazioni (la vita nei quartieri periferici, i ragazzi dei ghetti,<br />

ecc. ) di cui nessuno mai parla e che noi non riusciremo mai a seguire con le<br />

nostre forze, perché ci vorrebbero decine di persone. Allora, se invece di<br />

Piazza Armerina si parlasse, poniamo, di Catania, una cosa buona <strong>da</strong> fare<br />

sarebbe di organizzarsi in classe e fare un lavoro di cinque o sei mesi a<br />

Montepò o a Goretti; sarebbe un lavoro utile soprattutto per chi lo fa, perché<br />

ci sarebbero anche <strong>da</strong> imparare moltissime cose che dentro la scuola non<br />

arriverebbero mai (uno studente ha molte cose <strong>da</strong> insegnare a uno<br />

scippatore: ma anche viceversa!).<br />

2) Diffusione del giornale. Per "giornale" non intendiamo la rivista<br />

mensile, ma il settimanale che faremo in autunno e che sarà, grosso modo,<br />

come questo foglio che state leggendo, solo con più pagine e un po' più<br />

curato. Dev'essere il giornale dei Siciliani. Vogliamo diffonderlo per metà in<br />

edicola, e per metà di mano in mano. La "diffusione militante" vorremmo<br />

affi<strong>da</strong>rla prevalentemente agli studenti delle superiori, che sono quelli che si<br />

possono organizzare più facilmente per farlo (non c'è paese che non abbia la<br />

sua scuola). In ogni scuola, dunque, ci dovrà essere almeno uno, a turno, al<br />

quale faremmo arrivare le dieci, venti o cento copie <strong>da</strong> distribuire: abbiamo<br />

tutta la primavera e l'estate per organizzarci.<br />

3) Sottoscrizione. Noi, come forse oramai si è capito, non abbiamo<br />

nessuno alle spalle. Perciò siamo sempre con, diciamo così, qualche


problema finanziario. Non vogliamo an<strong>da</strong>re <strong>da</strong> nessun centro di potere, e<br />

quindi dobbiamo affi<strong>da</strong>rci alle mille lire dell'operaio e dello studente. Non<br />

abbiamo parlato finora di sottoscrizione perché non ci piaceva mischiare<br />

discorsi di soldi a tutto ciò che stiamo vivendo. Ma è un problema serio. E<br />

va affrontato seriamente, in modo organizzato capillare: anche qui, se ne<br />

potrebbe occupare uno, a turno per ogni scuola; anche qui, abbiamo la<br />

primavera e l'estate per organizzarsi bene.<br />

4) In generale, noi pensiamo che sia giusto che gli studenti siciliani -<br />

tranne quelli proprio fighetti o proprio fatti - ci aiutino. Pensiamo però che<br />

sia anche giusto che noi aiutiamo loro, per quanto possiamo col nostro<br />

mestiere, e cercheremo di farlo. Noi non sappiamo quanti presidi<br />

provveditori e professori appoggeranno questa iniziativa e quanti la<br />

boicotteranno; ma, sia chiaro, noi ci stiamo rivolgendo in primo luogo agli<br />

studenti. Stiamo parlando di studenti perché la maggior parte dei ragazzi va<br />

a scuola: ma in effetti stiamo chiedendo - e offrendo - aiuto a tutti i ragazzi<br />

siciliani in generale; la scuola non è un posto più serio degli altri, è<br />

semplicemente un posto dove si sta più insieme.<br />

5) Col mensile, con i libri dei "Siciliani editori" e col settimanale noi<br />

continueremo ovviamente ad occuparci prima di tutto di mafia e di missili,<br />

ma non solo di questo; cercheremo anche di parlare di storie quotidiane, di<br />

ecologia, di natura, di problemi "comuni", di sport, spettacolo e cultura, del<br />

tempo libero e di quello <strong>da</strong> liberare - in una parola, della nostra vita. Noi,<br />

come tutti i giovani siciliani, non siamo solo "contro" qualcosa, siamo anche<br />

"per" qualcos'altro che ancora non sappiamo esattamente cosa sia ma che<br />

sicuramente esiste e che vogliamo trovare a poco a poco, senza idee<br />

preconcette e senza credere d'avere la verità in tasca (di mafia, forse, ne<br />

sappiamo più di altri; ma su tutto il resto, abbiamo moltissimo <strong>da</strong> imparare,<br />

<strong>da</strong> tutti e soprattutto <strong>da</strong> voi altri).<br />

Ci rendiamo conto - infine - che i nostri collegi giornalisti <strong>da</strong>vanti all'idea<br />

di un giornale come questo affi<strong>da</strong>to, praticamente, agli studenti siciliani<br />

storcerano il naso e diranno: ma è pazzesco! Ma non s'è mai fatto! Ma non è<br />

professionale!<br />

Beh, che sia pazzesco non è detto, perché abbiamo visto che in giro, <strong>da</strong> un<br />

anno a questa parte, la volontà di fare qualcosa c'è e forse mancava solo<br />

l'occasione e un minimo di organizzazione. Che qualcosa del genere non sia<br />

mai stata fatta prima è vero, ma qualcuno doveva pur cominciare. Che non<br />

sia "professionale" è, decisamente, sbagliato: <strong>da</strong> oggi in poi, in Italia, c'è<br />

anche quest'altro modo di fare un giornale.


LA MAFIA DI OGNI GIORNO<br />

SicilianiGiovani, 1984<br />

La mafia, per noi, non è un argomento <strong>da</strong> comizio o <strong>da</strong> tavola roton<strong>da</strong>, ma<br />

semplicemente un pezzo della nostra vita quotidiana. Per alcuni di noi, per<br />

esempio quelli che sono costretti a gua<strong>da</strong>gnarsi <strong>da</strong> vivere alla meglio, il<br />

fatto di vivere in una società composta anche <strong>da</strong>lla mafia si fa sentire in<br />

maniera fisica e immediata, per altri in maniera fisica e immediata, per altri<br />

in maniera meno diretta ma in realtà altrettanto decisiva. Perciò abbiamo<br />

voluto mettere al centro di questo nostro primo giornale alcune storie di vita<br />

che a prima vista sembrerebbero non aver molto a che fare con la mafia ma<br />

che in realtà sono frutto di una società "mafiosa" (società mafiosa non vuol<br />

dite che tutti siano mafiosi ma semplicemente che la mafia vi è accettata<br />

come un componente "normale": certo, non la mafia che fa gli attentati ma<br />

quella che fa gli investimenti bancari...). La cosa più importante, infatti, è<br />

sapere dove vanno a finire tutti i discorsi che facciamo su questo e su altri<br />

argomenti, qual'è il loro risultato pratico. Pensiamo a mafiosi come<br />

Santapaola e Ba<strong>da</strong>lamenti: cosa significa, in termini di vite quotidiane di<br />

ragazze qualunque, il fatto che essi abbiano potuto operare indisturbati per<br />

tanti anni? Il ragazzo Antonino, per esempio, che adesso è in carcere per<br />

furto aggravato e spaccio, e la ragazza Primula, che probabilmente non<br />

sopravviverà a un altro anno di eroina, quando esattamente hanno<br />

cominciato ad essere ammazzati <strong>da</strong> Santapaola, Ba<strong>da</strong>lamenti e gli altri? E<br />

qual'è stato, in ciascun singolo caso, per ognuna delle loro vite quotidiane, il<br />

momento che ha deciso tutto. Ba<strong>da</strong>lamenti era stato denunciato molti anni<br />

fa, <strong>da</strong>lla radio di Giuseppe Impastato: <strong>da</strong> tempo si parlava di Santapaola sul<br />

giornale di Pippo Fava. Ma questo non è bastato per salvare Primula e<br />

Antonino: il tempo per rovinare anche loro i mafiosi l'hanno avuto...<br />

L'hanno avuto <strong>da</strong> chi? I giornalisti che hanno coperto Ba<strong>da</strong>lamenti, che<br />

responsabilità hanno, personalmente, rispetto alla sorte del ragazzo<br />

Antonino? E le autorità che "non "sapevano" che Santapaola era un<br />

mafioso, che con<strong>da</strong>nna hanno avuto per aver lasciato distruggere la vita<br />

quotidiana della ragazza Primula?<br />

Tutti parlano, ormai, dei mafiosi che uccidono e che spacciano eroina.<br />

Prima, bisognava parlarne. Adesso, bisogna parlare di coloro che non<br />

uccidono e non spacciano eroina, perché non hanno più bisogno di farlo: i<br />

miliardi se li sono fatti, la loro parte di potere se la sono conquistata, ad<br />

Antonino e a Primula non hanno più nulla <strong>da</strong> portar via. Sono gente perbene<br />

oramai: perché prendersela proprio con loro?


VIVERE CON LA MAFIA O VIVERE PER DAVVERO?<br />

SicilianiGiovani, 1984<br />

Di mafia si continua a morire, e soprattutto si continua a vivere. Non sono<br />

gli otto morti di Palermo che ci spaventano - quelli, in un altro paese,<br />

potrebbero essere un episodio particolarmente feroce di "criminalità", in un<br />

certo senso un'eccezione. E' la vita quotidiana che qui fa paura: il fatto che a<br />

Palermo, alla Kalsa o al Capo, lo spaccio di eroina sia un mestiere<br />

riconosciuto fra i quindicenni; il fatto che a Monte Po, a Catania, la gente<br />

sia costretta a vivere in condizioni identiche a quelle di una città del Terzo<br />

Mondo; il fatto che, tanto a Catania quanto a Palermo, la classe dirigente sia<br />

esattamente la stessa che con la speculazione edilizia ha ghettizzato la<br />

Kalsa, il Capo e Monte Po, e che ora continua a gestire i frutti di questa<br />

ghettizzazione sulla pelle della gente e soprattutto dei giovani. Altro che gli<br />

otto omicidi di un "San Valentino" qualunque! E' un assassinio lento e<br />

quotidiano, di cui nessuno si accorge, la silenziosa strage di migliaia e<br />

migliaia di esseri umani, l'immiserimento della vita di milioni di altri.<br />

Leggete le statistiche delle overdosi a Palermo, della mortalità infantile in<br />

provincia di Agrigento, della criminalità minorile a Catania: il Cile e la<br />

Polonia, in confronto, sono niente.<br />

Questa è la mafia. L'emarginazione dei quartieri, il ricatto della<br />

disoccupazione, l'espulsione dei giovani <strong>da</strong>lla vita sociale, il risorgente<br />

razzismo contro le fasce più povere (meridionali e operai) della<br />

popolazione, il rincrudirsi della violenza materiale e morale sulle donne: su<br />

tutto questo s'accampa la classe dirigente del 1984. Al di sopra di essa, o<br />

accanto ad essa, o tollerata <strong>da</strong> essa, la piovra dei politicanti mafiosi e degli<br />

imprenditori mafiosi. Ciascuno di noi, nella propria vita quotidiana, subisce<br />

le conseguenze di questo stato di cose: per qualcuno la droga, per qualcun<br />

altro il piombo, per tutti la miseria di una società che non è amica.<br />

Questo è tutto. Poiché abbiamo parlato di mafia, non chiudiamo senza<br />

fare nomi: a Catania i Santapaola, i Ferlito e i Ferrera; a Palermo i<br />

Marchese, i Greco, i Vernengo e tutti gli altri. E poi bisogna ricor<strong>da</strong>re anche<br />

i "personaggi importanti", quelli di cui parlavano Fava, Chinnici e Dalla<br />

Chiesa: i Salvo, i Cassina, i Rendo, i Graci, i Costanzo e i Finocchiaro.<br />

A che servono questi nomi, qui sul nostro giornale? A dire dove vogliamo<br />

arrivare. Intanto una Sicilia libera, libera <strong>da</strong> tutta questa gente; ma poi una<br />

Sicilia felice, in cui ciascuno di noi possa vivere allegramente, sviluppando<br />

finalmente tutta la creatività e la fantasia che ha dentro di sé e che è stato<br />

sempre costretto a tenersi dentro. Una Sicilia senza overdosi, senza manette


e senza prediche ipocrite: sarà la nostra Sicilia, degli studenti dello<br />

Spe<strong>da</strong>lieri e dei ragazzi di Monte Po. E intanto, cominciamo a prendere la<br />

parola. Tutti.


GLI INTOCCABILI E GLI SCIPPATORI<br />

SicilianiGiovani, 1984<br />

Ci sono due notizie che ci hanno colpito in queste ultime settimane, e<br />

crediamo che siano due notizie ugualmente importanti. Una, è che a<br />

Palermo Falcone e gli altri giudici antimafiosi hanno sequestrato numerose<br />

proprietà dei boss mafiosi, per un valore di quasi mezzo miliardo. Siccome<br />

non c'è ancora una legge che regoli l'uso dei beni sequestrati ai mafiosi, esse<br />

sono rimaste affi<strong>da</strong>te al custode giudiziario come se fossero due motorini<br />

rubati. Eppure tutte queste proprietà (e tutte quelle ancora <strong>da</strong> sequestrare)<br />

potrebbero servire a <strong>da</strong>re lavoro a un sacco di gente. Perché non i fa una<br />

legge in questo senso? Io penso che la gente - ma soprattutto i giovani<br />

disoccupati, che sarebbero i più interessati - dovrebbe organizzarsi e fare<br />

casino per ottenere una legge così: tra l'altro, questo sarebbe anche un modo<br />

(e molto efficace) di combattere la mafia.<br />

La secon<strong>da</strong> notizia è che a Catania, ai primi di maggio, hanno con<strong>da</strong>nnato<br />

a tre anni e mezzo di carcere - senza condizionale - un giovane scippatore.<br />

Una pena molto dura: proporzionalmente, gli imprenditori mafiosi<br />

dovrebbero stare in galera per almeno cent'anni... mentre invece per loro<br />

spesso si trovano le attenuanti e si fanno le campagne di stampa per<br />

giustificarli. A Catania ricordiamo benissimo come, ai tempi del mafiosocolonnello<br />

Licata, <strong>da</strong> un lato si lasciavano in pace i vari Santapaola, Graci e<br />

Rendo e <strong>da</strong>ll'altro si scatenavano senza pietà i "falchi" contro i piccoli<br />

balordi di quartiere, per lo più giovanissimi e quasi sempre affamati.<br />

I mafiosi sono quelli che ammazzano, quelli che trafficano eroina e<br />

soprattutto quelli che si fanno i miliardi, e la carriera politica, con la mafia e<br />

gli intrallazzi. La lotta alla mafia, chi ha il coraggio di farla, la faccia contro<br />

di loro: senza pietà. Ma per i ragazzi di quartiere non servono le con<strong>da</strong>nne<br />

feroci. Servono aiuto, scuola, comprensione, e soprattutto lavoro: per<br />

esempio, nelle aziende sequestrate agli "insospettabili".


I CENTRI GIOVANILI IN SICILIA<br />

SicilianGiovani, 1985<br />

A Palermo dopo Dalla Chiesa, a Catania dopo Giuseppe Fava, a Trapani<br />

dopo l'attacco a Carlo Palermo, migliaia di giovani siciliani ci siamo<br />

ritrovati nelle strade per manifestare contro la mafia. Non eravamo lì a<br />

manifestare semplice soli<strong>da</strong>rietà ad un magistrato isolato o a dei giornalisti<br />

isolati: eravamo lì <strong>da</strong> protagonisti, coscienti del fatto che ognuno di noi è<br />

costretto a scontrarsi quotidianamente con la mafia, cominciando <strong>da</strong>i<br />

problemi della vita nel proprio quartiere o nella propria scuola.<br />

Ma c'è di più: ci siamo ritrovati nelle strade nelle piazze e nelle piazze<br />

con tanta, tantissima voglia di stare insieme. E a partire <strong>da</strong> questa esigenza<br />

di stare insieme abbiamo cominciato a parlare di centri giovanili: dei posti<br />

tutti nostri per farci tutto quello che vogliamo. Fin qui nulla di nuovo <strong>da</strong>l<br />

numero scorso.<br />

La novità che è venuta fuori <strong>da</strong> questi ultimi mesi è che stiamo scoprendo,<br />

con grande gioia, che l'obiettivo del centro giovanile è sentito non soltanto a<br />

Catania, a Palermo e a Trapani, ma in molte altre città e paesi della Sicilia.<br />

Ogni nuova re<strong>da</strong>zione locale di "Siciliani/giovani" che nasce (e ce n'è già<br />

parecchie) parte subito sparata con iniziative sugli spazi giovanili. Ecco<br />

allora che questo nuovo movimento che nasceva "contro la mafia", si avvia<br />

a diventare, anzi lo è già, un movimento "contro la mafia e per i movimenti<br />

giovanili".<br />

Proponiamo di organizzare in tutta la Sicilia delle bellissime feste per<br />

chiudere in allegria l'anno scolastico e per lanciare ufficialmente la<br />

campagna "Centri giovanili in tutta l'isola", <strong>da</strong>ndoci appuntamento a<br />

settembre. Sarà allora che, ovunque possibile, <strong>da</strong>l più piccolo paesino alla<br />

più grande città, cominceremo a far nostri tutti i luoghi pubblici inutilizzati<br />

(edifici, terreni comunali in abbandono, ecc.) che si possano utilizzare per<br />

farsi i "nostri" centri. Dappertutto.<br />

E per cominciare, nell'immediato: sommergiamo i comuni siciliani sotto<br />

una valanga di cartoline con su scritto: "Voglio un centro giovanile<br />

perché...". Altre idee verranno dopo, man mano che andremo avanti.<br />

Antonio<br />

Chi è interessato all'iniziativa per i centri giovanili a Catania si metta in<br />

contatto con noi telefonando, venendo in re<strong>da</strong>zione o partecipando alle<br />

assemblee di Siciliani/giovani (ogni venerdì alle 17 presso la comunità Ss.<br />

Pietro e Paolo). Telefonateci anche se non siete di Catania e volete<br />

affrontare insieme il problema nel vostro paese.


IL MOMENTO DI FARE<br />

I Siciliani, autunno 1984<br />

Fra la fine di settembre e i primi di ottobre, hanno avuto luogo, a Catania,<br />

le prime riunioni operative del nucleo promotore dell'Associazione dei<br />

Siciliani.<br />

Abbiamo già detto altre volte cosa, nelle nostre intenzioni,<br />

quest'Associazione vuole essere: non certamente un nuovo partito politico<br />

<strong>da</strong> aggiungere a quelli già esistenti, ma nemmeno un ennesimo cenacolo di<br />

intellettuali. Si tratta invece di un progetto organizzativo del tutto nuovo, del<br />

quale non possiamo prevedere che in parte le caratteristiche e la portata, ma<br />

che deve servire - su questo non abbiamo alcun dubbio - ad uno scopo<br />

preciso: <strong>da</strong>rci la possibilità - <strong>da</strong>re a tutti noi, intendiamo: a tutti i siciliani<br />

onesti - la possibilità di intervenire concretamente sulla realtà siciliana e<br />

non solo di denunciarne i mali. Questa realtà è oggi caratterizzata, non solo<br />

a livello di fatti criminali ma nelle sue più profonde strutture di potere, <strong>da</strong>lla<br />

preponderanza della mafia; a Catania come a Palermo, nella grande città<br />

come nel piccolo paese, nella vita "politica" e nella realtà quotidiana. Ma<br />

allora, tutta la Sicilia è mafiosa? No di certo: è una piccola minoranza a<br />

gestire lo sfruttamento degli appalti, il traffico della droga, i delitti; ma<br />

questa minoranza è ferreamente organizzata, mentre noi non lo siamo. E<br />

mentre la mafia ha avuto tutto il tempo, e l'abilità, di aggregare attorno a sé<br />

una rete articolata e complessa di complicità, di fiancheggiatori, di<br />

coinvolgimento d'interessi, tanto più pericolosi quanto meno evidenti, noi -<br />

noi maggioranza, intendiamo: noi siciliani onesti - siamo rimasti sulla<br />

difensiva, ci siamo arroccati in noi stessi, abituati a resistere al male ma non<br />

ad egemonizzare l'intera società. Ora - ora che la mafia subisce i primi<br />

colpi, ora soprattutto che il fronte di battaglia va finalmente avvicinandosi al<br />

"terzo livello" - è il momento di fare un salto di qualità, di passare <strong>da</strong>lla<br />

resistenza all'offensiva. Questo è il problema, ed è, prima di tutto, un<br />

problema di organizzazione.<br />

Ma non ci sono già i partiti? Certo che ci sono, e noi non intendiamo<br />

affatto - e non è tempo di qualunquismi - disconoscere la loro utilità. Ma<br />

oggi ci vuole anche qualcosa di più specifico, qualcosa a cui possano<br />

partecipare tutti coloro - di qualunque militanza politica, di qualunque<br />

classe sociale, di qualunque fede - che sentono il bisogno di schierarsi prima<br />

di tutto su questa lotta; esattamente come, quarant'anni fa, c'era bisogno di<br />

un punto di riferimento che, ferme restando le varie identità politiche<br />

individuali e di gruppo, organizzasse tuttavia in maniera specifica e unitaria<br />

la lotta di liberazione antifascista. Oggi, c'è <strong>da</strong> liberarsi <strong>da</strong>lla mafia e <strong>da</strong>


tutto ciò che le sta dietro, ora o mai più: l'occasione è questa e <strong>un'altra</strong> non<br />

ci sarà. Si tratta dunque di sviluppare, in tutte le città e in tutti i paesi, dei<br />

nuclei di antimafiosi che si raccolgano insieme, discutano, deci<strong>da</strong>no le<br />

prime cose <strong>da</strong> fare; non solo "cose grosse" e non solo su questioni di mafia:<br />

qua può essere la denuncia di una speculazione edilizia, là quella di un<br />

intrallazzo mafioso; qua un'assemblea per difendere una spiaggia<br />

<strong>da</strong>ll'inquinamento, là una manifestazione contro un funzionario infedele;<br />

<strong>da</strong>ppertutto, liberare la fantasia, la creatività e l'orgoglio di tutti coloro che,<br />

giustamente diffidenti della "politica" che coesiste con la mafia, non<br />

vogliono tuttavia rinunciare a dire la loro, e a dirla ben forte. E poi<br />

organizzarsi sempre meglio, coordinarsi con tutte le realtà esistenti, stendere<br />

sulla Sicilia una fitta rete di azione e di libertà; non permettere che la lotta<br />

fra mafiosi e antimafiosi rimanga nei corridoi del palazzo, ma gettarla<br />

apertamente nei fatti quotidiani e nelle piazze.<br />

Questa è la prospettiva che noi oggi indichiamo a tutti coloro che credono<br />

nel nostro lavoro, che non vogliono più accontentarsi della semplice<br />

denuncia; questo è ciò che rispondiamo a chi ci chiede "Ma io, che posso<br />

fare?". Ma abbiamo il diritto noi dei Siciliani di chiedere questo alla gente?<br />

Noi non siamo dei politici, non ne sappiamo più degli altri; perché<br />

dobbiamo essere proprio noi a lanciare questo appello? Proprio perché<br />

siamo gente comune, perché non ne sappiamo più degli altri. Noi non siamo<br />

dei professionisti della politica, non possiamo insegnare niente a nessuno; e<br />

proprio per questo possiamo imparare <strong>da</strong>gli altri, mettere in circolazione<br />

delle idee invece di imporle <strong>da</strong>ll'alto. Possiamo coordinare e raccogliere, ma<br />

non strumentalizzare. Proprio perché siamo deboli, possiamo fare appello<br />

alla forza di tutti. E non è, d'altra parte, un appello solo nostro. Esso<br />

contemporaneamente sorge, con varie parole e coscienza diverse, <strong>da</strong> decine<br />

e decine d'esperienze diverse. Noi pensiamo semplicemente che sia il<br />

momento di <strong>da</strong>re un unico nome a tutto questo, e di cominciare a<br />

considerarlo come un insieme coerente. Un nome, diciamo, e non un<br />

programma, un'ideologia, una "linea": questi debbono sorgere <strong>da</strong>lle vive<br />

realtà, nel progresso del tempo. Sono realtà che nascono <strong>da</strong>lla lotta contro la<br />

mafia, e quindi non possiamo avere che fiducia in esse.<br />

E' interessante notare che, alle riunioni che abbiamo detto, erano presenti<br />

uomini d'origine ben differente: il liberale, il cattolico, il sessantottino, il<br />

comunista: e, più largamente di tutti, antimafiosi senza partito. Ciascuno di<br />

essi ha, più o meno inconsciamente, portato nella discussione qualcosa della<br />

sua precedente formazione, che è come dire di sé stesso; eppure non ne è<br />

derivato alcun inconveniente, e anzi si può dire che ciò che risultava alla<br />

fine serbava come una vaga traccia delle esperienze di ciascuno, e della più


umana parte di esse. Così avviene quando, ad orientare le scelte, sia un<br />

obiettivo concreto, e fermamente voluto <strong>da</strong> tutti.<br />

Adesso, aspettiamo che si mettano in contatto con noi tutti i lettori e gli<br />

amici che vogliono organizzare un nucleo dell'Associazione anche <strong>da</strong>lle<br />

loro parti; entro la fine dell'anno, organizzeremo delle assemblee su questo<br />

argomento in tutte le città in cui saremo chiamati a farlo, a partire <strong>da</strong><br />

Palermo, Messina e Siracusa. E poi andremo avanti anche su questo terreno,<br />

e <strong>da</strong> qualche parte, prima o poi arriveremo.


PROMEMORIA INTERNO<br />

settembre 1984<br />

1) Nella situazione attuale noi possiamo:<br />

- concentrarci sul mensile ed occasionalmente sui libri, migliorarne, anche<br />

con apporti professionali esterni, la qualità e la diffusione e programmare<br />

alcuni anni di "progresso senza avventure";<br />

- o aprire un fronte completamente nuovo (settimanale ed Associazione)<br />

che potrà potarci all'avanguardia di un reale movimento antimafioso ma<br />

potrà anche man<strong>da</strong>rci in rovina nel giro di venti mesi.<br />

Le due scelte non sono compatibili: la prima può essere sostenuta <strong>da</strong>l<br />

nostro gruppo così com'è ora e richiede "soltanto" un progressivo aumento<br />

del nostro grado di professionalità; la secon<strong>da</strong> ha bisogno, oltre a questo,<br />

anche l'assunzione di una serie di compiti in buona parte completamente<br />

nuovi e implica in particolare la capacità di individuare, di contattare e di<br />

coordinare una serie di forze che in gran parte si trovano ancora a uno stato<br />

poco più che potenziale.<br />

L'ipotesi che queste forze siano in realtà l'elemento emergente, e in<br />

prospettiva egemone, della situazione attuale è quella su cui si basano tutti i<br />

progetti contenuti in questo promemoria.<br />

2) Il progetto di settimanale e quello dell'Associazione sono in realtà due<br />

aspetti di un unico problema, infatti:<br />

- <strong>da</strong> solo il settimanale non soltanto non riuscirebbe a trovare la forza di<br />

venire alla luce e di an<strong>da</strong>re avanti, ma non potrebbe nemmeno (nel caso che<br />

si riuscisse nonostante tutto a crearlo) avere il respiro ideale e i contatti<br />

sociali necessari per farne qualcosa di più di un buon giornale; esso ha<br />

quindi bisogno di un punto di riferimento "politico" e di una struttura<br />

"organizzativa" che in questo momento non esistono <strong>da</strong> nessuna parte;<br />

- l'Associazione, <strong>da</strong>l canto suo, <strong>da</strong> sola difficilmente riuscirebbe ad essere<br />

qualcosa di più di un circolo di intellettuali scontenti: il progetto di<br />

settimanale <strong>da</strong> un lato può <strong>da</strong>rle lo strumento operativo per svolgere<br />

un'azione "politica" non velleitaria, <strong>da</strong>ll'altro può essere il punto di<br />

riferimento concreto che permetta di aggregare forze attorno ad un progetto<br />

(e a dei sotto-progetti particolari) specifico e non su un'utopia; sono<br />

d'altronde ampiamente superate le vecchie formule organizzative basate sui<br />

modelli di pura propagan<strong>da</strong> e "di partito", mentre vi è una richiesta<br />

crescente e non casuale di momenti organizzativi basati su iniziative<br />

concrete e autogestite.<br />

3) in questo quadro, è chiaro che i nostri due progetti fon<strong>da</strong>mentali<br />

debbono fin <strong>da</strong>ll'inizio procedere di pari passo ed intrecciarsi a vicen<strong>da</strong>,


appresentando l'uno il momento maggiormente tecnico-prrofessionale,<br />

l'altro il momento maggiormente politico-organizzativo di un disegno che<br />

ha le stesse radici e gli stessi obiettivi. Tuttavia, dev'essere almeno<br />

altrettanto chiaro:<br />

- che il nostro concetto di professionalità è molto diverso <strong>da</strong> quello<br />

tradizionale, ed implica non solo alcune scelte "militanti" in chi lo pratica,<br />

ma anche una disponibilità a confrontarsi con tutto ciò che sta al di fuori di<br />

esso e a ritenere essenziale, ai fini di un pieno sviluppo delle tecniche<br />

professionali, il contributo di soggetti "spontanei" del tutto estranei ad esse;<br />

- che il nostro concetto di politica non ha nulla a che vedere con quello<br />

tradizionale, e si basa (assai più che su rapporti "diplomatici" con forze più<br />

o meno istituzionali) sull'attenzione verso soggetti sociali reali,<br />

individuandone gli effettivi e non ideologici) terreni di scontro e mettendo<br />

al centro di ogni analisi e di ogni iniziativa i comportamenti quotidiani degli<br />

esseri umani: che non sono mai casuali e individuano sempre, di per sé, una<br />

"politica";<br />

- che il nostro concetto di organizzazione non consiste nel tentativo di<br />

creare un'ennesima struttura burocratica fine a se stessa, e in definitiva di<br />

potere, ma semplicemente nel cercare di offrire alla gente comune alcuni<br />

strumenti concreti, elastici ma efficienti, che possano aiutarla a non<br />

disperdere la propria voglia di cambiare.<br />

Tutto questo, in Sicilia, diventa particolarmente evidente in presenza di<br />

una forma di potere - il sistema mafioso - che consente ben poche<br />

mediazioni. Ma forse non è impossibile pensare che il movimento<br />

antimafioso in Sicilia rappresenti oggi, e ancor più possa rappresentare in<br />

futuro, una forma particolarmente avanzata di una tendenza a riappropriarsi<br />

della vita pubblica che <strong>da</strong> alcuni anni ricomincia a farsi stra<strong>da</strong> in settori<br />

consistenti - e spesso ufficialmente "qualunquisti" - del Paese.<br />

In questo senso, se è vero che non siamo (come troppo spesso abbiamo<br />

dimenticato) autosufficienti, è anche vero che non siamo assolutamente<br />

isolati, ed è ragionevole prevedere che ancor meno lo saremo in futuro.


5 GENNAIO<br />

I Siciliani, decembre 1984<br />

Questo giornale si stampa in una città, Catania, che ha due magistrati in<br />

carcere e altri due sotto esame per scan<strong>da</strong>li d'ogni tipo. In una città in cui<br />

quasi tutti gli amministratori degli ultimi cinque anni sono stati incriminati<br />

per un intrallazzo o per l'altro. In una città dove un pomeriggio di pioggia<br />

basta a produrre gli effetti di un bombar<strong>da</strong>mento, e non si osa tuttavia<br />

parlare del dissesto urbano. In una città dove i criminali mafiosi vivono o<br />

liberi o in "libertà provvisoria". In una città dove il principale uomo<br />

politico, Drago, non si vergogna di affermare che "la mafia non esiste". In<br />

una città in cui la legge La Torre sui sequestri ai mafiosi è stata fattivamente<br />

applicata una sola volta, rispetto alle duecentoventuno di Palermo. Nella<br />

città di Santapaola, Ferrera e Ferlito; nella città in cui tuttora operano e<br />

fanno affari i quattro cavalieri - Graci, Rendo, Costanzo e Finocchiaro - su<br />

cui Dalla Chiesa spese le sue ultime parole.<br />

In questa situazione, occorre essere qualcosa di più che un giornale. Avere<br />

qualcosa <strong>da</strong> dire, e dirlo liberamente; informare senza paura, dire le cose<br />

come stanno; fare i nomi, le cifre, i documenti - tutto questo è importante,<br />

ma non basta. Non basta denunciare le ingiustizie, bisogna porvi fine. Non<br />

basta dire che il nemico è feroce, bisogna sapere che è debole. E' debole, in<br />

confronto alla forza d'una intera popolazione: e il problema è dunque di<br />

risvegliare questa forza.<br />

Così, i primi due anni di vita del nostro giornale terminano - e iniziano<br />

insieme i successivi - non solo qui dentro la re<strong>da</strong>zione, ma nelle assemblee e<br />

nelle piazze. Non solo per protestare contro gli amici della mafia ma anche<br />

per cominciare a costituire insieme la Sicilia del dopo-mafia. Una Sicilia<br />

libera <strong>da</strong>i mafiosi, ma anche una Sicilia sorridente; una vita quotidiana<br />

senza minacce e senza paura, ma anche una vita più felice, capace di<br />

liberare la creatività e la fantasia di tutti e di renderci veramente - dentro e<br />

fuori - più umani. Non solo la sconfitta della mafia, ma qualcosa di più.<br />

Non non sappiamo ancora per quali tappe arriveremo - non <strong>da</strong> soli - a<br />

vedere tutto questo. Ma siamo certi che ci arriveremo. E sarà curioso, alla<br />

fine, veder con che diversi e vari contributi si sarà costruito tutto questo.<br />

Senza stupircene del resto: quando i tempi cominciano a cambiare - e questo<br />

sono tempi di grande cambiamento, in Sicilia - le cose più straordinarie<br />

appaiono già normali mentre la vecchia "normale" prepotenza appare<br />

all'improvviso intollerabilmente strana.<br />

Si tratta adesso di <strong>da</strong>re alla lotta contro la mafia una dimensione<br />

realmente regionale e non solo cittadina: non è possibile che mentre a


Palermo si comincia a colpire il terzo livello a Catania non si facciano<br />

nemmeno le in<strong>da</strong>gini bancarie. Si tratta di <strong>da</strong>re una dimensione regionale<br />

anche e soprattutto al movimento di massa antimafioso, finora privo di un<br />

collegamento stabile e organizzato fra le ormai numerose realtà esistenti<br />

nelle varie città della Sicilia. Si tratta anche di cominciare ad individuare<br />

degli obiettivi - a cominciare <strong>da</strong>lla gestione popolare dei beni sequestrati<br />

con la legge La Torre - che consentano di aprire una fase più avanzata, non<br />

più semplicemente difensiva, della lotta contro il potere mafioso e di<br />

mobilitare su di essi tutte le forze della Sicilia civile.<br />

Si tratta infine - e forse soprattutto - di cominciare ad acquisire l'abitudine<br />

mentale alla proposta, all'organizzazione e al progetto, di non fermarsi alla<br />

semplice protesta del momento. Bisogna abituarsi a pensare che c'è <strong>da</strong><br />

mettere insieme, in ogni città e paese dell'isola, ogni energia più giovane e<br />

viva: combattendo la mafia, fare la Sicilia di domani. Questa guerra sarà<br />

ancora molto lunga, ma un giorno finirà: e allora bisognerà ricostruire, nelle<br />

coscienze e nelle cose.<br />

Questa lotta, ma più ancora questa ricostruzione civile, per noi hanno un<br />

nome, ed è quello di Giuseppe Fava. Non è il nome di un simbolo, ma di un<br />

essere umano. Un uomo che ha avuto il coraggio di lottare contro<br />

l'ingiustizia e quello, ancor più difficile, di vivere la propria vita giorno per<br />

giorno, rispettando l'umanità in sé stesso e negli altri, amandola<br />

profon<strong>da</strong>mente nella sua libertà e nella sua completezza. Possano i siciliani<br />

ritrovarsi attorno a questo nome, raccoglierne il coraggio e l'allegria, essere<br />

degni di esso.


UN UOMO E LA SUA LOTTA<br />

I Siciliani, gennaio 1985<br />

Per noi de "I Siciliani", questo è un numero particolare. Esso esce nel<br />

momento in cui finalmente si è cominciato a colpire - non per iniziativa<br />

della magistratura locale - il sistema di potere mafioso catanese. Esce a due<br />

anni <strong>da</strong>l "numero uno" del gennaio '83, che aprì il cammino di cui gli<br />

avvenimenti di questi giorni sono una tappa. Esce un anno esatto dopo il 5<br />

gennaio 1984<br />

La mafia sapeva bene, quando uscì questo giornale, dove esso avrebbe<br />

portato. Sapeva che se qualcuno avesse cominciato la battaglia sarebbe stato<br />

difficile porvi fine. E difatti così è stato. Oggi a Catania i mafiosi<br />

cominciano ad an<strong>da</strong>re in galera, la gente ad esprimersi liberamente, e i<br />

potenti a tremare.. E non è che un inizio.<br />

Ognuno può facilmente comprendere, adesso, perché la mafia avesse<br />

paura di Giuseppe Fava. Il sistema era minato, bastavano poche verità per<br />

farlo franare. Ognuno può comprendere, adesso, quanto diversa sarebbe<br />

stata la storia della nostra città se Giuseppe Fava avesse trovato, in luogo<br />

dell'isolamento e del silenzio, una soli<strong>da</strong>rietà. Un asoli<strong>da</strong>rietà che non c'è<br />

stata perché non poteva esserci: e ognuno può comprendere, dopo i verbali<br />

torinesi, perché. Ma non importa, Giuseppe Fava ha vinto lo stesso. Da solo.<br />

Solo?<br />

Solo, rispetto ai "colleghi" giornalisti e agli uomini del Palazzo. Non certo<br />

rispetto alla gente. Come risuonava chiaro il suo nome, l'altra settimana in<br />

via Etnea! I giovani catanesi non s'erano dimenticati di Giuseppe Fava; non<br />

avevano paura di gri<strong>da</strong>re a tutti le imprese dei cavalieri e dei loro uomini.<br />

C'era un sole gentile, in quella mattinata di dicembre; illuminava allo stesso<br />

modo, in piazza del palazzo di giustizia, il corteo dei ragazzi e le severe<br />

mura. La gioventù che spera e il privilegio che teme, gli sguardi limpidi e i<br />

volti cupi, la libertà di domani e il feroce passato: il nome di Giuseppe Fava<br />

divideva irreparabilmente i due mondi.<br />

E quei ragazzi sfilavano allegri, ma egualmente risoluti; con loro, passava<br />

certamente l'avvenire. L'avvenire di Giuseppe Fava, dell'uomo che i potenti<br />

credevano "solo".<br />

Non basta essere, nella situazione che viviamo, semplicemente un<br />

giornale. Bisogna che cento diverse iniziative, liberamente sostenute e<br />

liberamente gestite <strong>da</strong> tutti, convergano su un unico obiettivo: che è quello<br />

di liberarci <strong>da</strong>lla mafia, <strong>da</strong> tutta la mafia, e di cominciare a costruire una<br />

Sicilia più umana.<br />

Il progetto - ma ormai è soli<strong>da</strong> realtà - dell'Associazione "I Siciliani"


nasce <strong>da</strong> questo bisogno: formare <strong>da</strong>ppertutto gruppi di cittadini che, senza<br />

distinzioni di parte, contribuiscano a questo obbiettivo con le proprie idee e<br />

la propria attività: per lottare contro la mafia, ma anche per costruire il<br />

dopo-mafia; per testimoniare un principio, ma anche per affrontare problemi<br />

concreti di ogni piccola o grande comunità. Combattendo la mafia, fare la<br />

Sicilia di domani. Non solo sequestrare le aziende dei mafiosi, ma <strong>da</strong>rle in<br />

gestione ai lavoratori. Non solo stroncare i trafficanti di droga, ma <strong>da</strong>re ai<br />

ragazzi dove passare allegramente il loro tempo libero. E così via.<br />

L'Associazione verrà ufficialmente formalizzata, per mezzo di una serie di<br />

assemblee, nelle prossime settimane. Ma in realtà nasce già di fatto - nelle<br />

scuole, nei quartieri, nelle università, nelle strade - <strong>da</strong> tutti coloro che hanno<br />

risposto all'appello del cinque gennaio. Appello di soli<strong>da</strong>rietà e di memoria,<br />

ma anche già di lotta.<br />

Meglio di ogni lungo discorso, questa circostanza indica con quale spirito<br />

nasca l'Associazione "I Siciliani" e quale cammino si prefigga. E' il<br />

cammino iniziato <strong>da</strong> Giuseppe Fava: ad esso noi chiamiamo tutti i siciliani<br />

di buona volontà, in ogni città e paese della Sicilia. Non solo un appello<br />

ideale, ma una precisa proposta organizzativa.<br />

Abbiamo <strong>da</strong>to puntualmente conto ai lettori, durante l'anno che è<br />

terminato, dei nostri problemi e delle nostre azioni. Quanto al giornale, i<br />

problemi sono i soliti, e non c'è motivo di nasconderli. Ai circa seicento<br />

milioni di vecchi debiti, che la legge strappata questa estate basta<br />

malamente (o meglio: basterà quando effettivamente verrà eseguita) a<br />

coprire, si aggiungono dunque ogni mese milioni di debiti nuovi: Ma, dirà<br />

qualcuno, le copie vendute del giornale? Aumentano ogni mese, più che<br />

mai. Ma paradossalmente, più se ne vendono, e più cresce il passivo.<br />

Il paradosso, però, è solo apparente: tutti i giornali, infatti, vengono<br />

venduti a un prezzo largamente inferiore alle spese di produzione; la<br />

differenza viene coperta <strong>da</strong>lla pubblicità che rappresenta, generalmente,<br />

almeno il 55-60 per cento del fatturato complessivo. Noi, non per nostra<br />

scelta, praticamente non ne abbiamo e sino ad oggi le uniche entrate del<br />

giornale sono venute <strong>da</strong>lla sua vendita; come ultima carta, siamo a contatto<br />

con un'agenzia pubblicitaria, la Sipra, che potrebbe consentirci di superare<br />

questo boicottaggio (perché di boicottaggio, purtroppo, si è trattato). Se ce<br />

la faremo, avremo risolto il problema; se no, cercheremo di an<strong>da</strong>re avanti<br />

come e finché potremo (e già questo numero è a pagine ridotte, e già sarà<br />

assai difficile aver carta per febbraio. Certo notizie simili non si usa <strong>da</strong>rle<br />

fra parentesi. Ma sono egualmente gravi, per noi e per chi attribuisce<br />

qualche importanza all'esistenza di questo giornale).<br />

Del resto, per quanto starà in noi, continueremo a lavorare con il consueto


impegno. Molte nuove inchieste giornalistiche sono già in cantiere, e non<br />

solo di mafia. Molto più che per il passato, intendiamo impegnarci anche<br />

sugli altri aspetti della vita siciliana: la vita nei quartieri e i problemi delle<br />

città, la tutela ambientale e l'impegno per la pace, il rifiorire culturale e i<br />

nuovi movimenti. Di tutto quell'immenso cantiere che è oggi la Sicilia<br />

sommersa - i cortei dei sedicenni e i preti di quartiere, le lotte degli operai e<br />

le assemblee delle donne, i paesi contro i missili e i magistrati impegnati -<br />

vogliamo essere, ancor più di prima, la puntuale e fedele cronaca, aperta a<br />

tutti e ricca dell'apporto di ogni libera voce.<br />

Questo giornale non sarà mai un giornale di Palazzo: non ci riguar<strong>da</strong> la<br />

cronaca dei corridoi del potere; ma quella, ben altrimenti fecon<strong>da</strong> e viva,<br />

della nostra vita quotidiana. Nostra, di milioni e milioni di siciliani, che<br />

vivono in Sicilia o sono sparsi per il mondo, uomini e donne "comuni",<br />

come si suol dire, con le loro quotidiane umanissime vicende che non<br />

interessano i giornalisti "ufficiali" ma che il nostro direttore ci ha insegnato<br />

a rispettare e a descrivere prima di ogni altra cosa. Di esse noi siamo i<br />

cronisti, non dei pettegolezzi dei potenti. Ed è una lunga stra<strong>da</strong>, <strong>da</strong>i bambini<br />

di Palma di Montechiaro a quelli dell'Albergheria e di Monte Po: ma è<br />

sempre la stra<strong>da</strong> del nostro direttore, esattamente come quella della<br />

denuncia implacabile del potere mafioso di cui questi bambini - allora come<br />

oggi - sono le vittime che nessuno difende.<br />

E' stato un anno lunghissimo, di amara solitudine e di pena. Ma anche un<br />

anno di speranza. Siamo stati soli, quanto non credevamo possibile<br />

potessero esserlo degli esseri umani; ma siamo stati anche uniti, in una<br />

maniera che non si può immaginare, con tanti e tanti altri siciliani come noi.<br />

Grazie, Sabina, Fabio, Antonio, Giusi, Massimo, Pinella, grazie a tutti i<br />

ragazzi di Catania: siete stati anche voi, nel momento in cui altri facevano<br />

terra bruciata attorno a noi, a <strong>da</strong>rci la speranza e la forza di an<strong>da</strong>re avanti.,<br />

voi per primi.<br />

Grazie ai nostri corrispondenti, ai fotografi, ai disegnatori, a tutti coloro<br />

che hanno collaborato a questo giornale. Nessuno di loro ha ricevuto una<br />

lira per il proprio lavoro; ed era un lavoro che stava alla pari, almeno, con<br />

quello per qualunque grande giornale. Senza di loro, questo giornale non si<br />

sarebbe potuto fare.<br />

Grazie ai colleghi famosi, pochi di numero ma non di cuore, che non<br />

hanno avuto timore di compromettersi coi Siciliani. Dei tanti loro articoli,<br />

quelli pubblicati <strong>da</strong> noi non hanno portato loro nessun gua<strong>da</strong>gno materiale;<br />

eppure essi si sono sentiti ugualmente gratificati. Grazie agli uomini di<br />

giustizia, <strong>da</strong>ll'insigne magistrato al brigadiere, che hanno avuto fiducia in<br />

noi; non c'è stata notizia, per quanto in loro potere, che non ci abbiano <strong>da</strong>to,


sapendo benissimo perché ed a chi essi la <strong>da</strong>vano. E' grazie anche a loro, e<br />

alle segnalazioni di decine e decine di onesti - e non anonimi - cittadini che<br />

abbiamo potuto lavorare come abbiamo lavorato; nessuna notizia è stata<br />

pubblicata se non attentamente vagliata; di molte cose ci hanno accusato,<br />

ma mai di imprecisione.<br />

Grazie agli amici coraggiosi, che si sono esposti con noi; alcuni <strong>da</strong> pochi<br />

mesi, altri ormai <strong>da</strong> più anni, con ragionata passione e intelligente<br />

entusiasmo lavorano all'opera comune; e sono indispensabili. Formazioni<br />

culturali diverse, diverse fedi politiche o nessuna; diversissime esperienze<br />

personali; e fra tutti un'idea, combattere la mafia fino in fondo.<br />

Una scarica di mitra può essere il loro premio domani; o la piccola<br />

angheria quotidiana, o anche perdere il pane; non aiuta la carriera, dirsi dei<br />

Siciliani. Eppure sono qui, ogni giorno più saldi e più decisi, con la ragione<br />

e col cuore. Il progetto dell'Associazione è opera loro, e loro la gestione di<br />

questo nuovo fronte di lotta. Il giornale è la voce, loro l'organizzazione:<br />

l'una e l'altra al servizio non d'un qualunque ristretto obiettivo di parte ma di<br />

tutti i siciliani liberi ed onesti. Perché stavolta non si tratta di cambiare in<br />

superficie, si tratta di fare una Sicilia ben differente.<br />

Ringraziamo infine i lettori, i nostri amici lettori, che son qualcosa di<br />

molto diverso <strong>da</strong>i lettori di un giornale comune. Chi legge "I Siciliani" non<br />

lo fa per ingannare il tempo, la fa per sentirsi ed essere partecipe di qualcosa<br />

che vive e può cambiare la sua vita. Pochissimi giornali hanno avuto, nel<br />

tempo, una tale fiducia e una tale responsabilità. Noi facciamo il possibile<br />

per mostrarcene degni; se non sempre ci riusciamo, non è per difetto di<br />

volontà o eccesso di presunzione. Ci siamo trovati a reggere una bandiera<br />

molto più grande di noi; ma nessun altro poteva raccoglierla, fuorché noi.<br />

Così, se non ci ha trovati sempre all'altezza del compito, il lettore dia pure<br />

la colpa alla nostra inadeguatezza; ma se legge in noi qualcosa di non<br />

indegno, dia tutto il merito a chi ci ha insegnato questo mestiere.<br />

Perché di Giuseppe Fava, per quanto di buono esso contiene, è questo<br />

nostro lavoro; perché tuttora suo è questo nostro giornale; e più alta di<br />

prima, sconfiggendo sicari e man<strong>da</strong>nti, parla <strong>da</strong> queste pagine la sua voce.<br />

Certo, ci sarebbero <strong>da</strong> aggiungere molte cose, qui, su quel che è successo<br />

in queste settimane, sui fatti, sulle parole, e sui silenzi. Silenzio sui<br />

Cavalieri: citati <strong>da</strong> Dalla Chiesa quando Santapaola cenava ancora alla Perla<br />

Ionica con Graci o con Costanzo (in non miglior compagnia essendo i<br />

rimanenti, Rendo e Finocchiaro), questi nomi non sono stati fatti, salvo che<br />

<strong>da</strong> pochi giornali, anche ora che Santapaola latita con altri trecento: perché<br />

fare quei nomi voleva dire an<strong>da</strong>re oltre. Silenzio su chi li ha combattuti:<br />

perché fare quel nome voleva dire riconoscere che il male avrebbe potuto


essere stroncato in tempo. E dunque, rimozione: e questo sarebbe il<br />

momento di denunciare questa rimozione, e di combatterla con buoni<br />

argomenti.<br />

Ma tutto sommato, non ne vale la pena. Tutto sommato, non vale la pena<br />

di spendere grandi parole quando la situazione si è fatta ormai così chiara,<br />

che non resta altro che scegliere.<br />

Ed è una scelta semplice: o la Sicilia dei Cavalieri, o la Sicilia di<br />

Giuseppe Fava. Tutto il resto son parole.<br />

Oggi, cinque gennaio, saremo in piazza, i siciliani onesti, per ricor<strong>da</strong>re un<br />

uomo. Un uomo, e la sua lotta: cos'altro si può dire? Tutti sappiamo di che<br />

si tratta. Ritroviamoci dunque tutti insieme; questa sera, e nelle migliaia di<br />

giorni che seguiranno. Perché ci saranno ancora migliaia di giorni, migliaia<br />

di mattinate a Palazzolo, migliaia di dolci sere a Siracusa, migliaia e<br />

migliaia di giorni sulla faccia della terra; e migliaia di speranze, passioni,<br />

entusiasmi, delusioni, amicizie, progetti, ed ancora entusiasmi e delusioni, e<br />

rinnovate speranze ed amore; e in ciascuna di esse ci sarà qualcosa di<br />

Giuseppe Fava, qualche cosa di lui e di tutti gli esseri umani come lui.<br />

E a questo, non potranno sparare.


UN VOLANTINO<br />

dicembre 1984<br />

IN PIAZZA CONTRO LA MAFIA<br />

AL FIANCO DI GIUSEPPE FAVA<br />

Il 5 gennaio i siciliani onesti saranno in piazza a Catania per ricor<strong>da</strong>re un<br />

uomo che ha avuto il coraggio della verità e per dire a tutti che la battaglia<br />

di Giuseppe Fava continuerà finché la Sicilia non sarà libera <strong>da</strong>lla mafia.<br />

Nel momento in cui sempre più decisivo si fa lo scontro e sempre più<br />

vicina appare la possibilità di colpire non solo gli esecutori, ma le menti<br />

politiche e finanziarie - a Palermo come a Catania - della piramide mafiosa,<br />

bisogna che la Sicilia di Giuseppe Fava e di tutti gli altri combattenti<br />

antimafiosi getti in campo tutta la propria forza, che oggi può essere<br />

decisiva.<br />

Bisogna ri<strong>da</strong>re ai cittadini di Catania e di tutta la Sicilia la certezza dei<br />

propri diritti, la possibilità di partecipare alle scelte essenziali per il proprio<br />

destino, la capacità di progredire verso la soddisfazione dei bisogni<br />

fon<strong>da</strong>mentali dei lavoratori, delle donne, dei giovani, di tutti coloro che oggi<br />

vogliono realizzare una convivenza sociale pacifica e rispettosa della<br />

democrazia politica. Tutte queste esigenze sono oggi profon<strong>da</strong>mente<br />

mortificate <strong>da</strong> un blocco di potere politico-economico, espressione dei<br />

grandi gruppi finanziari, de settori dell'apparato statale e del sistema politico<br />

dominante, che per connivenze, compiacenze e insipienze si pone come il<br />

principale nemico delle giuste aspirazioni del popolo siciliano.<br />

In questo spirito, facciamo appello a tutti i cittadini onesti senza<br />

distinzione di parte e a tutte le organizzazioni democratiche e antimafiose,<br />

affinché dimostrino con la loro presenza a Catania il 5 gennaio che la lotta<br />

di Giuseppe Fava è anche la loro lotta.<br />

L'Associazione "I Siciliani"


UNA LAPIDE<br />

5 gennaio 1985<br />

"Qui è stato ucciso<br />

Giuseppe Fava<br />

La mafia ha colpito chi con coraggio<br />

l'ha combattuta, ne ha denunciato le<br />

connivenze col potere politico ed<br />

economico, si è battuto contro<br />

l'installazione dei missili in Sicilia"<br />

Gli studenti di Catania


UN VOLANTINO<br />

marzo 1985<br />

CONTRO LA MAFIA PER L'UNITA'<br />

Le elezioni amministrative del 12 maggio rappresentano una scadenza<br />

molto importante. Esse contribuiranno certamente a indicare la possibilità di<br />

sconfiggere il sistema di potere mafioso che - con precise responsabilità dei<br />

partiti di maggioranza e nell'inerzia di quelli dell'opposizione - ha gettato<br />

nel baratro la nostra città ponendo il "Caso Catania" all'attenzione dell'intero<br />

Paese.<br />

Con questo invito alla riflessione ci rivolgiamo a tutte le forze sociali e<br />

politiche che intendono opporsi a questo sistema di potere, a tutti coloro che<br />

- ciascuno a suo modo - si sono riconosciuti nella grande manifestazione<br />

popolare del 5 gennaio.<br />

Ad essi, e a tutti i cittadini consapevoli della gravità della situazione, noi<br />

diciamo che non è il momento di dividersi. Occorre impedire che false<br />

operazioni di "rinnovamento" servano a legittimare "nuovi" personaggi<br />

politici il cui obiettivo è ancora e solo quello di perpetuare le vecchie<br />

logiche.<br />

Il blocco di potere mafioso, al di là dei contrasti contingenti, è unito<br />

attorno ai propri interessi. Bisogna che anche l'opposizione democratica sia<br />

unita. Bisogna che tutte le espressioni della Catania antimafiosa e<br />

progressista riescano a superare settarismi e diffidenze per concentrare le<br />

forze sull'obiettivo comune: cacciare la mafia, rinnovare la città. Questo<br />

obiettivo passa anche attraverso le istituzioni.<br />

Noi riteniamo quindi che queste elezioni debbano essere affrontate <strong>da</strong>lle<br />

organizzazioni e <strong>da</strong>i partiti antimafiosi in una maniera nuova: con una sola<br />

lista, unitaria, aperta e senza simboli di partito.<br />

Una lista caratterizzata anzitutto <strong>da</strong>lla volontà di tutti coloro che lavorano,<br />

che studiano, che vogliono vivere in una città civile, che non incanalano<br />

necessariamente il proprio impegno nei partiti: <strong>da</strong> tutti coloro che sono<br />

decisi a lottare per il cambiamento.<br />

Una lista nelle cui persone e nei cui programmi possano riconoscersi i<br />

giovani, i lavoratori, le donne, tutti i cittadini che credono nella Catania del<br />

5 gennaio: su questo preciso obiettivo si misurerà l'impegno di ciascuna<br />

forza politica contro il potere mafioso ed occulto, in tutte le sue forme<br />

criminali, imprenditoriali, istituzionali e politiche.<br />

L'Associazione "I Siciliani"


ANTIMAFIA, UNA NUOVA FRONTIERA<br />

I Siciliani, 1985<br />

La cosa, a un dipresso, funziona così: dopo essermi fatto i miei bravi<br />

miliardi con gli appalti e con l'eroina, io mafioso metto su un'azien<strong>da</strong> che<br />

impiega, poniamo, duecento persone. Tu Stato ti poni il problema di<br />

sequestrarmela in base alla legge La Torre. Io rilascio, o faccio rilasciare,<br />

un'intervista in cui minaccio di chiudere tutto e man<strong>da</strong>re tutti a casa. A<br />

questo punto tu sei costretto a fermarti e a pensarci su due volte. Difatti,<br />

oltre che sull'aiuto dei politici, dei giornalisti e dei magistrati che io pago, io<br />

posso contare, contro la Stato, anche sulla soli<strong>da</strong>rietà oggettiva dei miei<br />

duecento dipendenti e delle loro duecento famiglie. Il gioco è facile: appena<br />

uno dei miei magistrati mi avverte che tira brutta aria, io ordino ai miei<br />

giornalisti di scatenare una campagna "per la Sicilia diffamata" e ai miei<br />

amici politici di "difendere l'economia siciliana". Così potrò continuare<br />

tranquillamente a sfruttare i miei duecento operai (che i miei amici non<br />

mancheranno di dissuadere energicamente, per esempio, <strong>da</strong>ll'iscriversi alla<br />

Cgil), a spacciar droga ai miei duecentomila ragazzini e a mantenere la<br />

popolazione delle mie tre regioni - Campania, Calabria e Sicilia -<br />

esattamente ai tre ultimi posti dell'economia nazionale.<br />

Diversamente andrebbero le cose se, il giorno dopo l'uscita della mia<br />

intervista, ai cancelli della mia azien<strong>da</strong> si presentassero il signor sin<strong>da</strong>co o il<br />

signor prefetto, con tanto di fascia tricolore e di decreto di requisizione, e,<br />

convocato il consiglio di fabbrica, comunicassero che <strong>da</strong>lle ore tali del<br />

giorno tale, la gestione dell'azien<strong>da</strong> risulterebbe affi<strong>da</strong>ta all'organo <strong>da</strong> esso<br />

designato. In questo deplorevole caso, non solo mi sarebbe impossibile<br />

usare ancora il ricatto della disoccupazione, ma sarei costretto a mettere una<br />

certa distanza fra me e i miei stessi operai, liberi finalmente di esprimere<br />

apertamente la loro personale opinione sugl'imprenditori mafiosi, e su chi li<br />

protegge.<br />

Quando si comincerà effettivamente ad applicare la legge La Torre in<br />

Sicilia? Sappiamo che buona parte degli enti pubblici che hanno avuto a che<br />

fare con la legge hanno fatto il possibile per sabotarla; fino a questo<br />

momento, del resto, l'utilizzazione concreta della La Torre è stata<br />

abbastanza episodica, legata più alla buona volontà di magistrati locali che a<br />

un piano organico e coordinato.<br />

Si sono avuti casi, al confine fra l'insipienza e ilsabotaggio, che fanno<br />

chieder in quali mani sia an<strong>da</strong>ta a finire, a livello amministrativo,<br />

l'applicazione quotidiana della legge. Senza rian<strong>da</strong>re alle circolari<br />

interpretative, in qualche caso scan<strong>da</strong>lose, a suo tempo emanate <strong>da</strong>i vari


ministeri e <strong>da</strong>i vari assessorati, basti pensare che forniture di macchine <strong>da</strong><br />

scrivere, per una ventina di milioni, effettuate <strong>da</strong>lla Olivetti di Ivrea a un<br />

ente pubblico siciliano sono state bloccate in attesa che si stabilisse se la<br />

Olivetti di Ivrea è una azien<strong>da</strong> mafiosa o meno.<br />

Peggio ancora, si può <strong>da</strong>re benissimo il caso - e in effetti non è detto che<br />

non si sia <strong>da</strong>to - di una cooperativa agricola, composta <strong>da</strong> un duecento<br />

contadini, che abbia bisogno di un mutuo regionale l'acquisto di un trattore<br />

che venga invitata a presentare - a spese della cooperativa - duecento<br />

certificati per attestare come nessuno dei duecento soci abbia mai avuto a<br />

che fare con la mafia. E mentre i duecento contadini, maledicendo la legge<br />

antimafia e chi l'ha inventata, aspettano il loro trattore, i finanzieri mafiosi<br />

continueranno tranquillamente, in assenza di un'applicazione efficiente e<br />

rapi<strong>da</strong> della legge La Torre, a spostare i loro capitali <strong>da</strong> una banca all'altra: a<br />

tutt'oggi, non esiste una banca <strong>da</strong>ti computerizzata, a disposizione della<br />

magistratura, in grado di seguire i movimenti dei capitali sospetti che la<br />

legge La Torre dovrebbe, in teoria, controllare.<br />

Quando poi, grazie all'eccezionale impegno del magistrato e, diciamolo<br />

pure, a un bel po' di fortuna (perché ci vuole anche fortuna per riuscire a<br />

concludere qualcosa con i mezzi che hanno a disposizione i magistrati<br />

siciliani) si riesce a mettere sotto sequestro un'azien<strong>da</strong> mafiosa, si verificano<br />

situazioni paradossali, come nel caso di un'azien<strong>da</strong> agricola - di rispettabili<br />

proporzioni - dei boss mafiosi Greco che, posta sotto sequestro, non si sa<br />

bene a chi affi<strong>da</strong>re per la custodia giudiziaria che, in questo caso, equivale<br />

ad una vera e propria, sia pur provvisoria gestione. Non è facile trovare,<br />

infatti, un professionista del ramo che abbia il coraggio di intromettersi in<br />

un affare dei Greco; d'altra parte, a questo professionista, non si può <strong>da</strong>re<br />

altra remunerazione che le poche migliaia di lire giornaliere previste <strong>da</strong>lla<br />

legge per i custodi giudiziari.<br />

In queste condizioni, può benissimo an<strong>da</strong>re a finire, e non si vede<br />

logicamente perché non dovrebbe, che un'azien<strong>da</strong> del valore di decine di<br />

miliardi venga, in mancanza di meglio, affi<strong>da</strong>ta alla stessa custodia dei due<br />

o tre motorini sequestrati <strong>da</strong>l pretore, il giorno prima, per eccessiva<br />

rumorosità...<br />

Tutto questo, mentre lo scontro fra le forze antimafiose e quelle schierate<br />

- nella politica, nelle istituzioni, nella stessa magistratura, nella stampa - a<br />

difesa degl'interessi mafiosi non solo non è ancora deciso, ma tende a<br />

radicalizzarsi: a parte l'eliminazione fisica degli operatori del diritto più<br />

esposti, una vera e propria campagna d'opinione viene periodicamente<br />

sollevata <strong>da</strong> ambienti ben determinati, con mezzi notevolissimi e precise<br />

scelte di tempo, per isolare i magistrati leali.


Nonostante tutto questo, la posizione della struttura mafiosa è<br />

intrinsecamente, rispetto ai movimenti sociali emergenti, molto meno forte<br />

di quanto non possa sembrare. Nel giro di non più di uno o due anni - la<br />

campagna contro la magistratura antimafiosa è finora infatti sostanzialmente<br />

fallita - le condizioni per una reale gestione della legge molto probabilmente<br />

ci saranno, e a quel punto il problema non sarà più solo di contrastare i<br />

sabotaggi "di principio" di questo o di quel pubblico ufficio, ma di riuscire<br />

ad utilizzare fino in fondo tutte le potenzialità della legge.<br />

Viviamo in una regione che è leader mondiale della produzione di eroina,<br />

esattamente come gli Stati Uniti lo sono per le automobili o il Giappone per<br />

l'elettronica. Questo <strong>da</strong>to elementare, prima ancora di ogni in<strong>da</strong>gine a<br />

carattere penale, ci fa dire che l'economia regionale è "mafiosa": non nel<br />

senso che tutte le sue componenti, o la maggior parte di esse, siano legate<br />

alla mafia, ma nel senso che ciascuna di esse opera in un mercato in cui i<br />

capitali più numerosi e più agili vengono, ragionevolmente, <strong>da</strong>l settore<br />

leader - per avventura, illegale... - dell'economia locale. Non tutti gli<br />

industriali piemontesi sono azionisti della Fiat, ma è indubbio che il sistema<br />

economico di quella regione sia basato sulla Fiat. Da noi, anziché la Fiat, c'è<br />

la mafia.<br />

Il problema non è dunque solo giuridico - individuare le responsabilità<br />

personali nei singoli episodi criminosi - ma anche e soprattutto economico<br />

e, in senso lato, politico; esso consiste nel riconvertire l'economia siciliana<br />

<strong>da</strong>lle attuali strutture segnate <strong>da</strong> questa accumulazione originaria ad altre<br />

legate a forme di accumulazione e a settori produttivi legali (ovviamente, si<br />

tratta di "riconvertire" anche le sovrastrutture politiche che su un tale<br />

sistema economico si sono sviluppate... ). Un'impresa di queste dimensioni<br />

non può essere improvvisata sotto la pressione delle circostanze; dev'essere<br />

programmata nel lungo periodo, preparando per tempo gli strumenti<br />

necessari e programmando la loro efficacia non solo sui casi singoli ma sul<br />

complesso del sistema.<br />

In questa situazione, il problema della gestione delle strutture economiche<br />

- sempre più, presumibilmente numerose e sempre più complesse - che si<br />

riuscirà, mediante la legge penale, a sottrarre al controllo della mafia sarà<br />

non soltanto importante, ma decisivo: sarà l'unica maniera per giungere non<br />

solo a una sconfitta "militare" della mafia, ma allo sradicamento <strong>da</strong>lle sue<br />

basi economiche e quindi politiche nel Paese.<br />

Quale gestione? Non tocca a noi proporre le scelte tecniche <strong>da</strong> adottare:<br />

nelle sedi competenti sarà indubbiamente possibile individuare quelle più<br />

efficienti sul piano gestionale e più garantite sul piano istituzionale. Due<br />

punti ci sembrano tuttavia, indipendentemente <strong>da</strong> ogni questione tecnica, <strong>da</strong>


sottolineare.<br />

In primo luogo, la gestione delle imprese di grosse dimensioni sequestrate<br />

ai mafiosi dovrà avere, per sua natura, un carattere di emergenza, e non<br />

potrà quindi essere assorbita <strong>da</strong>gli attuali carrozzoni "di risanamento" più o<br />

meno assistenziali (non prendiamo nemmeno in considerazione l'idea di un<br />

intervento degli assessorati regionali). Si potrebbe pensare piuttosto, per<br />

esempio, a qualcosa come un secondo commissariato, parallelo a quello per<br />

il coordinamento della lotta antimafia; o, comunque, ad un organo<br />

straordinario e dipendente <strong>da</strong>l governo centrale.<br />

In secondo luogo, la gestione dovrebbe essere in ogni caso coordinata, e<br />

se possibile direttamente affi<strong>da</strong>ta, con gli organismi rappresentativi<br />

azien<strong>da</strong>li esistenti, o <strong>da</strong> istituire, nelle aziende in questione. Ciò al duplice<br />

scopo di coinvolgere concretamente il più gran numero possibile di<br />

lavoratori nel cuore della lotta antimafiosa e di formare progressivamente, a<br />

partire <strong>da</strong>l mondo del lavoro, una nuova classe dirigente siciliana, in<br />

possesso di precise competenze tecniche, di ampi poteri decisionali e di una<br />

ideologia collettiva indissolubilmente legata alla lotta antimafiosa.<br />

Saranno questi gli uomini che potranno <strong>da</strong>re una base di massa alla lotta<br />

contro la mafia, coloro che realmente la vinceranno; a noi - magistrati,<br />

giornalisti, funzionari fedeli, politici d'opposizione - che cerchiamo di fare il<br />

nostro dovere qui ed ora tocca semplicemente di tenere le posizioni fino a<br />

quel momento. Come altre volte nella storia, una minoranza risoluta non<br />

può rovesciare l'oppressione; ma può preparare le condizioni perché siano le<br />

masse a farlo.<br />

Ci piacerebbe se, su questa proposta, altri siciliani volessero intervenire.<br />

Una proposta "giacobina"? Forse. Ma è che la rivoluzione francese, in<br />

Sicilia, non l'abbiamo mai fatta; e il risultato si vede. Sarebbe ora di<br />

cominciare a pensarci.


SICILIANI GIOVANI<br />

settembre 1984<br />

Siciliani/giovani ha una "politica" molto semplice e chiara, e cioè: primo,<br />

schierarsi apertamente contro la mafia; secondo, affrontare liberamente tutti<br />

i problemi dei giovani: Quanto alla politica ufficiale, quella dei partiti, non<br />

siamo né favorevoli né contrari. Semplicemente, non è il nostro campo; chi<br />

vuole affrontarlo, può farlo a titolo personale (del resto ci sembra che in<br />

questo momento la lotta alla mafia e per una migliore condizione di vita dei<br />

giovani siano la cosa fon<strong>da</strong>mentale, senza la quale tutto il resto è poesia.<br />

Ma allora a che serve Siciliani/giovani?<br />

A <strong>da</strong>re la parola alla gente, a fare parlare i ragazzi in prima persona,<br />

direttamente e senza bisogno di nessuno. E quindi a farli contare nella<br />

società. Noi non siamo qualunquisti, non diciamo che tutto è uguale e che<br />

non vale la pena di far niente. Però non siamo nemmeno ideologici,<br />

vogliamo imparare <strong>da</strong>lla realtà e <strong>da</strong>lla gente e non <strong>da</strong>i professionisti della<br />

politica.<br />

In tutto questo cosa c'entrano "I Siciliani"?<br />

"I Siciliani" <strong>da</strong> soli possono riuscire a denunciare la mafia, ma non a<br />

creare una mentalità antimafiosa. Non si tratta solo di distruggere la mafia,<br />

ma anche di costruire qualcos'altro. Questo qualcos'altro non lo possiamo<br />

inventare a freddo, ma deve venire <strong>da</strong>lla gente, e specialmente <strong>da</strong>i giovani,<br />

liberamente e senza prediche inutili. Si tratta di sviluppare al massimo grado<br />

la creatività di ciascuno, perché ciascuno è in grado di contribuire e d'altra<br />

parte nessuno oggi è in grado di costruire qualcosa di buono <strong>da</strong> solo. Si<br />

tratta in sostanza di capire come si può fare a vivere meglio, non nelle<br />

grandi teorie, ma nella realtà di ogni giorno.<br />

Ma questo è un giornale o un'organizzazione?<br />

Non lo sappiamo ancora, probabilmente può diventare l'uno e l'altra. Ma<br />

attenzione: un giornale di tipo nuovo, e cioè assolutamente libero e fatto<br />

<strong>da</strong>lla base; e un'organizzazione di tipo nuovo, senza ideologie fisse e<br />

soprattutto senza professionisti, ideologie e leaderini. Un'organizzazione<br />

tutta <strong>da</strong> inventare.<br />

E come si può fare a mettere in piedi questa organizzazione?<br />

Non ne abbiamo la più palli<strong>da</strong> idea. A questo dobbiamo pensarci tutti,<br />

stra<strong>da</strong> facendo. Finora abbiamo i gruppi di lavoro su argomenti concreti e il<br />

collegamento fra gente di varie scuole. Questo non è venuto fuori perché<br />

qualcuno l'ha detto, ma semplicemente perché erano il modo più semplice di<br />

affrontare le cose <strong>da</strong> fare. Anche quando si tratterà di organizzarsi in<br />

maniera più ampia, bisognerà continuare a seguire questo metodo, e cioé:


prima i problemi concreti: a secondo dei problemi, il tipo di organizzazione,<br />

senza troppe teorie.<br />

Si è parlato pure di manifestazioni.<br />

Una manifestazione seria si potrebbe fare, in tutta la Sicilia, per il cinque<br />

gennaio: purché non sia una semplice manifestazione ma un modo di<br />

ricor<strong>da</strong>re a tutti "tutti" i nostri problemi, <strong>da</strong> quelli della mafia a quelli della<br />

vita quotidiana. Ma anche in questo caso, andiamoci per gradi: prima<br />

bisogna che si sia d'accordo tutti e che si discuta fra tutti per tutto il tempo<br />

che ci vuole. Non bisogna imporre mai niente "<strong>da</strong>ll'alto" a nessuno.<br />

Ma come facciamo a essere certi di non venire strumentalizzati?<br />

Per quanto riguar<strong>da</strong> noi Siciliani, non abbiamo interessi elettorali, quindi<br />

il problema si pone solo fino a un certo punto. Quello che vogliamo fare lo<br />

diciamo apertamente e chiaramente, e non crediamo che possa far paura a<br />

nessuno che abbia un minimo di buonsenso. La parola "Siciliani" appartiene<br />

a tutti, comunque la pensino su tutto il resto, purché siano d'accordo che<br />

bisogna eliminare la mafia. "Siciliani" non è un generale che coman<strong>da</strong>, è<br />

semplicemente una bandiera. Dove portarla, dipende <strong>da</strong> tutti noi.<br />

E gli altri?<br />

Per gli altri, non possiamo farci niente. Ognuno ha il diritto di parlare, e<br />

noi non possiamo censurare nessuno. Sta a noi ragionarci sopra, scegliere<br />

fra le varie proposte e, in caso di contrasti, decidere in assemblea. C'è solo<br />

<strong>da</strong> ricor<strong>da</strong>rci che, in ogni caso, le cose importanti non sono le grandi parole<br />

ma i fatti concreti, anche se si notano poco.


UN VOLANTINO<br />

novembre 1984<br />

L'attuale classe dirigente inefficiente e corrotta ha provocato la gravissima<br />

crisi della città di Catania e di tutta la Sicilia: per questo si leva oggi una<br />

volontà popolare di sopravvivenza e di lotta. Essa si è espressa con la<br />

massima chiarezza nelle giornate catanesi per Giuseppe Fava. Essa non può<br />

aspettare.<br />

L'Associazione "I Siciliani" nasce per raccogliere questa volontà, per<br />

<strong>da</strong>rle corpo e voce, per organizzarsi con tutti coloro che vogliono<br />

apertamente combattere il sistema di potere mafioso e i suoi alleati. non è<br />

un partito politico, non chiede potere né voti. Chiede a ciascun siciliano di<br />

prendere il proprio posto in un movimento democratico che affronti i nodi<br />

centrali della lotta contro la mafia e della questione morale.<br />

L'Associazione "I Siciliani", raccogliendo il messaggio di Giuseppe Fava<br />

e di due anni di lotta del suo giornale, ha lo scopo di promuovere in Sicilia<br />

il libero ed effettivo esercizio della sovranità popolare, a tutti i livelli; di<br />

opporsi ai blocchi di potere mafiosi ed a tutte le forze palesi ed occulte che<br />

di fatto ostacolano l'attuarsi dei principi fon<strong>da</strong>mentali del dettato<br />

costituzionale; di tutelare in tutte le sedi l'esercizio dei diritti civili, eticosociali,<br />

economici e politici.<br />

L'Associazione intende, in particolare, vigilare sul funzionamento<br />

democratico delle istituzioni; chiedere l'applicazione della legge La Torre e<br />

battersi per l'individuazione di sistemi democratici di gestione dei patrimoni<br />

mafiosi sequestrati; lottare contro la diffusione del mercato della droga;<br />

creare le condizioni per la formazione di centri autogestiti per il tempo<br />

libero dei giovani; rompere le barriere dei ghetti <strong>da</strong>ndo voce agli emarginati:<br />

con questo obiettivi e con altre battaglie concrete che scaturiranno <strong>da</strong>i<br />

problemi reali della gente, l'Associazione "I Siciliani" intende contribuire<br />

alla lotta contro la mafia e alla costruzione di ina Sicilia migliore.<br />

Facciamo appello a tutti i cittadini, di ogni orientamento ideale<br />

democratico, affinché aderiscano all'associazione, ne organizzano sedi locali<br />

e ne sviluppino l'iniziativa in ogni città ed in ogni paese della Sicilia.<br />

Associazione I Siciliani


UN VOLANTINO<br />

1985<br />

Gli imprenditori catanesi arrestati <strong>da</strong> Carlo Palermo (miracolosamente<br />

sfuggito, durante le in<strong>da</strong>gini, ad un attentato che ha fatto tre morti) sono<br />

accusati di reati molto gravi: associazione a delinquere e organizzazione di<br />

una colossale truffa in combutta con gruppi mafiosi trapanesi. Quanti<br />

miliardi ha perso la collettività con questa truffa? Quali uomini politici se ne<br />

sono resi complici? E, soprattutto: come venivano riciclate le colossali<br />

somme così gua<strong>da</strong>gnate?<br />

E' questo che adesso bisogna sapere: in questa direzione stanno ora<br />

in<strong>da</strong>gando i giudici trapanesi, e anche alcuni giudici di Catania dove una<br />

truffa analoga ("fatture false") era stata messa in piedi, secondo il giudice<br />

istruttore, <strong>da</strong>gli stessi imprenditori.<br />

Queste in<strong>da</strong>gini sono l'occasione buona per chiarire finalmente l'origine e<br />

i meccanismi di buona parte del potere politico e finanziario della città di<br />

Catania, di cui si sono occupati Carlo Alberto Dalla Chiesa ("Da Catania<br />

alla conquista della Sicilia") e Giuseppe Fava ("I quattro cavalieri<br />

dell'apocalisse mafiosa"). Sarà possibile anche chiarire i rapporti fra i centri<br />

del potere occulto e alcuni imprenditori catanesi (il nome di Rendo è stato<br />

trovato nell'agen<strong>da</strong> personale di Gelli; è ancora oscuro il ruolo di Graci<br />

nell'affare Sindona). E chiarire infine che rapporto c'è fra tutto questo e<br />

l'enorme potenza accumulata in tutt'Italia (vedi blitz di Torino e Milano)<br />

<strong>da</strong>lle Famiglie mafiose catanesi.<br />

Di fronte a in<strong>da</strong>gini così importanti e così decisive, qual'è l'atteggiamento<br />

del potere politico? Per il sin<strong>da</strong>co di Trapani "la mafia a Trapani non c'è";<br />

per l'onorevole Drago "non esiste mafia a Catania"; per il sin<strong>da</strong>co Attaguile<br />

c'è <strong>da</strong> preoccuparsi per l'arresto di questi "imprenditori"; per il presidente<br />

della Regione ci vogliono "dei fatti che giustifichino gli arresti" (quelli che<br />

si sanno evidentemente non bastano); per il presidente del Banco di Sicilia<br />

l'imprenditoria siciliana è "sana" anche se soffre delle malefatte di qualche<br />

"forza marginale"; secondo "La Sicilia" si tratta di "semplici evasioni<br />

fiscali"...<br />

E' un'intera classe dirigente che, dopo averne coperto per decenni le<br />

malefatte, cerca ancora disperatamente di difendere come può<br />

gl'imprenditori sott'accusa. Non si tratta solo di cinismo: è la totale<br />

irresponsabilità e l'assoluta mancanza di ogni senso della realtà in chi<br />

dovrebbe "difendere l'economia" e addirittura "difendere l'occupazione".<br />

L'una e l'altra sono per fortuna in condizioni di essere difese ben<br />

diversamente...


I lavoratori e le forze produttive della città, contrariamente a quanto<br />

scrivono gli articolisti de "La Sicilia", non versano affatto nell'"incertezza<br />

psicologica" e non rimpiangono affatto i cavalieri. I catanesi andranno<br />

avanti senza di loro, e svilupperanno così finalmente tutte quelle energie<br />

produttive che il blocco di potere incriminato <strong>da</strong> Carlo Palermo aveva finora<br />

compresso ed emarginato. La storia di Catania comincia ora.<br />

Associazione I Siciliani


UN VOLANTINO<br />

1985<br />

NOI E "LORO"<br />

C'è un sacco di gente a cui non sta affatto bene che i ragazzi siciliani<br />

stiano allegri, si divertano e cerchino di riprendersi in mano la propria vita.<br />

Proviamo a fare qualche nome:<br />

- i mafiosi come Santapaola, Ferlito e Ferrera, che "mantengono l'ordine"<br />

(assieme ai vari colonnelli Licata) nei quartieri, ammazzando chi si ribella o<br />

si fanno i miliardi con l'eroina;<br />

- i politicanti come Aleppo e Drago, che <strong>da</strong> un alto <strong>da</strong>nno i contributi ai<br />

mafiosi e <strong>da</strong>ll'altro dicono che "la mafia non esiste";<br />

- i padroni come Rendo, Graci, Costanzo o Finocchiaro, che licenziano gli<br />

operai, vanno a braccetto con i mafiosi e poi si incazzano se qualcuno gli<br />

chiede <strong>da</strong> dove vengono tutti quei soldi;<br />

- i giornali come "La Sicilia", che fanno casino quando trovano un<br />

ragazzo con un po' di fumo, ma di fronte a mafiosi e cavalieri se ne stanno<br />

zitti.<br />

La mafia non <strong>da</strong>nneggia le persone importanti, ma va avanti sulla pelle di<br />

tutti noi. Allora, ricordiamo quelli che hanno avuto il coraggio di lottare<br />

contro la mafia, appoggiamo quelli che continuano a lottare ancora ma,<br />

soprattutto, organizziamoci nella nostra vita quotidianamente per non subire<br />

prepotenze <strong>da</strong> nessuno e per vivere come desideriamo noi, non come<br />

vogliono gli altri.<br />

E per cominciare, fra un mese tutti in piazza per il centro giovanile<br />

autogestito.<br />

Siciliani/Giovani


UN VOLANTINO<br />

1985<br />

I CAVALIERI IN GALERA<br />

L'arresto dei cavalieri dimostra la validità della lotta portata avanti <strong>da</strong><br />

Giuseppe Fava, <strong>da</strong>l suo giornale "I Siciliani" e <strong>da</strong> tutti gli antimafiosi di<br />

questa città. E' stato ordinato <strong>da</strong>l giudice Carlo Palermo, che i mafiosi<br />

(anche catanesi) hanno cercato di uccidere poco tempo fa. Dev'essere un<br />

punto di partenza per ricostruire Catania su basi completamente diverse.<br />

Questa città, in mano ai cavalieri e ai loro amici, è diventata il paradiso dei<br />

mafiosi, dei corrotti, dei politicanti disonesti e dei trafficanti di droga. Una<br />

città in cui per i giovani non c'è il minimo spazio e la minima speranza di<br />

vivere bene.<br />

Ora bisogna cominciare a far valere i diritti di noi giovani catanesi.<br />

Vogliamo una città che non ci emargini in continuazione, una città in cui i<br />

giovani contino e possano portare avanti i loro bisogni e le loro idee. A<br />

partire <strong>da</strong>lla conquista di un posto tutto per noi, un centro giovanile<br />

autogestito per discutere e organizzare le cose nuove e per passare il nostro<br />

tempo liberamente e insieme.<br />

Siciliani/Giovani<br />

Questo non è un volantino elettorale


UN VOLANTINO<br />

1985<br />

L'ALTRA SICILIA E LA SUA VOCE<br />

I Siciliani Settimanale: un giornale che, dopo aver lottato per anni contro<br />

il potere mafioso e i suoi complici, vuole "alzare il tiro" diventando la voce<br />

degli studenti, degli intellettuali, dei lavoratori, delle donne, di tutti coloro<br />

che giorno per giorno, nel silenzio della stampa ufficiale, costruiscono le<br />

basi della Sicilia di domani. Il giornale di Giuseppe Fava.<br />

I Siciliani S.p.a.: l'editore collettivo (cinquemila azioni a centomila lire<br />

l'una, cinquemila siciliani combattivi) che porta avanti, senza padroni e<br />

senza padrini, questa civile avventura.<br />

Ne parleremo lunedì 16 dicembre alle ore 17 alla facoltà di Lettere con<br />

Davide Fais, padre Pintacu<strong>da</strong>, Aldo Rizzo, i re<strong>da</strong>ttori dei Siciliani e quelli di<br />

Siciliani/Giovani. Interverranno magistrati, uomini di cultura, esponenti del<br />

movimento studentesco palermitano. E tutti i palermitani che credono in<br />

<strong>un'altra</strong> Sicilia - e vogliono <strong>da</strong>rle una voce.<br />

I Siciliani<br />

Siciliani/Giovani


UN VOLANTINO<br />

1985<br />

Per la prima volta in Italia un movimento giovanile comincia al Sud e si<br />

sviluppa verso il Nord. Il movimento dei ragazzi dell'85, infatti, trova la sua<br />

radice nella mobilitazione antimafiosa degli studenti di Napoli, Palermo e<br />

Catania negli ultimi tre anni. Come mai? Evidentemente, i giovani<br />

meridionali hanno capito prima degli altri che lottare contro le<br />

malformazioni delle strutture scolastiche non basta, se dopo la scuola si è<br />

con<strong>da</strong>nnati a restare senza lavoro; e che lottare contro la disoccupazione<br />

non è sufficiente, se non si aggredisce la struttura di potere e sottopotere<br />

mafioso che, soprattutto al Sud, mortifica lo sviluppo economico e i livelli<br />

occupazionali ed i livelli occupazionali.<br />

Non è un caso che le tre regioni in cui il potere mafioso è più forte siano<br />

quelle che, negli ultimi anni, sono precipitate agli ultimi posti del reddito<br />

nazionale. Non è un caso che in queste regioni decine di migliaia di miliardi<br />

vengano tenuti inutilizzati nelle banche a fornire interessi per gli<br />

speculatori, anziché essere investite per <strong>da</strong>re lavoro ai giovani.<br />

Occorre che il movimento contro la mafia si traduca anche in movimento<br />

per il lavoro. In che modo?<br />

- applicando seriamente e <strong>da</strong>ppertutto la legge La Torre;<br />

- gestendo le imprese sequestrate agli imprenditori mafiosi secondo criteri<br />

sociali, e cioè usandole anche per aumentare l'occupazione giovanile;<br />

- sviluppando, sull'esempio della Campania, una serie di centri sociali in<br />

cui i giovani possano liberamente incontrarsi, di carattere e sviluppare<br />

insieme le iniziative contro la mafia e per il lavoro;<br />

- pretendendo che le risorse finanziarie pubbliche non utilizzate (in Sicilia<br />

sono circa dodicimila miliardi...) vengano destinate ad affrontare non<br />

episodicamente né clientelarmente la pressante richiesta di lavoro dei<br />

giovani nel Sud.


APPUNTI PER SICILIANI/GIOVANI<br />

promemoria interno, 1985<br />

Intanto, sta succedendo qualcosa. Che cosa esattamente, è ancora presto<br />

per dirlo, e probabilmente non ha nemmeno tanta importanza. Di certo c'è<br />

che dopo tanti anni è finita l'epoca del "riflusso" (farsi i cazzi propri e non<br />

pensare al resto) e che molti ragazzi, adesso, ricominciano a prender gusto a<br />

fare le cose insieme, piccole o grandi che siano.<br />

Tutto questo, naturalmente, per i moderati vuol dire "vogliamo studiare e<br />

non fare politica", per il Pci "le masse giovanili bla bla", per gli autonomi<br />

"la rivoluzione bla bla bla", e così via. Per me vuol dire semplicemente che i<br />

giovani, o almeno una buona parte di loro, stanno ricominciando a pensare<br />

con la propria testa e a fare esperienze. Dove andrà a finire tutto questo non<br />

lo so; l'importante, è starci dentro con fiducia e senza ideologie preconcette.<br />

"Un altro sessantotto"? No, e nemmeno "<strong>un'altra</strong> qualsiasi cosa": il bello<br />

del sessantotto, ai suoi tempi, era proprio che era una cosa nuova, non una<br />

ripetizione di altri tempi. E così, se il movimento di adesso durerà, sarà<br />

"questo" movimento, del 1985, non un revival del passato. Poi, fra<br />

vent'anni, magari gli <strong>da</strong>ranno un nome.<br />

I ragazzi di Milano o quelli dei Segnali d'Accelerazione di Napoli hanno<br />

con la "politica" un rapporto, a quel che se ne può capire, molto maturo.<br />

Non sono qualunquisti, ma neppure vanno dietro ai partiti: "moderati" o<br />

"estremisti" a secondo dei casi, non fanatici, difficili <strong>da</strong> strumentalizzare; in<br />

questo, assomigliano molto a Siciliani/giovani nell'84.<br />

Non stanno partendo, del resto, <strong>da</strong>lla "grande politica" ma <strong>da</strong>i problemi<br />

concreti della vita quotidiana: credo che, via via che il movimento andrà<br />

avanti, i "problemi concreti" si allargheranno (studiare con meno tasse, ma<br />

poi dove fare musica, e poi dove passare il tempo, e dove fare l'amore, e<br />

dove lavorare senza raccoman<strong>da</strong>zioni...), e spero che stavolta si riuscirà ad<br />

allargarli senza finire in ideologismi vari.<br />

Ma la novità più grossa, rispetto ai vecchi temi, è che stavolta il<br />

movimento si è visto prima in Sicilia e poi a Milano. Nell'82 sono<br />

cominciati i cortei antimafia nelle scuole di Palermo. Nell'83 la lista di base<br />

allo Spe<strong>da</strong>lieri. Nel gennaio 84 le assemblee per Giuseppe Fava. Nel<br />

maggio il corteo antimafia a Roma. In autunno Sicliani/giovani a Catania, e<br />

poi la manifestazione del 14 dicembre e quella del 5 gennaio. All'inizio<br />

dell'85 le manifestazioni studentesche contro la mafia a Milano, sulla scia di<br />

quelle siciliane. E solo adesso, a Milano e poi in altre città del Centro-nord,<br />

il movimento è partito su altri temi.<br />

L'impressione è quella di una grande voglia di contare che cresce un po'


<strong>da</strong>ppertutto a poco a poco, e che viene alla luce prima nei luoghi in cui i<br />

problemi sono più gravi e si vive peggio - in Sicilia - e poi negli altri. In<br />

Sicilia, cioè, siamo stati costretti ad affrontare prima dei problemi più<br />

grossi.<br />

C'è questo filo fra ciò che sta succedendo a Milano e il nostro movimento<br />

dell'anno scorso, e noi Siciliani abbiamo quindi ancora molte cose <strong>da</strong> dire, a<br />

noi stessi e agli altri. E possiamo avere fiducia nella continuità del<br />

movimento in Sicilia, anche se ora sembra addormentato.<br />

Dell'"addormentato", del resto, la responsabilità è soprattutto nostra. Se si<br />

ferma la Fgci si fermeranno i simpatizzanti comunisti, se si fermano gli<br />

autonomi quelli "estremisti". Ma se ci fermiamo noi, il guaio è più grosso,<br />

perché noi siamo gli unici che possono farsi sentire (non essendo un partito)<br />

<strong>da</strong> tutti gli studenti.<br />

Noi abbiamo cominciato con molti fatti (14 dicembre e 5 gennaio) e<br />

poche parole. poi, pochi fatti e poche parole. Ora, niente fatti e poche<br />

parole.<br />

In realtà, noi abbiamo fatto dei grossi passi avanti nei settori, come il<br />

giornale, che richiedono poche persone "specializzate". Siamo invece<br />

rimasti indietro nelle cose in cui è necessario coinvolgere molti: sei mesi fa<br />

aprivamo nuove sedi, eravamo presenti <strong>da</strong>ppertutto ed intervenivamo su<br />

ogni cosa. Adesso abbiamo perso quasi completamente il contatto con i<br />

ragazzi delle scuole (quelli che ci sono, evidentemente, non trovano spazio<br />

<strong>da</strong> noi perché partecipano poco) e abbiamo perso la nostra componente<br />

"estremista", che era pure importante.<br />

Intanto, bisogna intervenire subito nella scuola a partire <strong>da</strong>l fatto che c'è<br />

aria di movimento. A questo punto, dobbiamo intervenire non tanto sulla<br />

questione delle tasse scolastiche, quanto su un allargamento del dibattito.<br />

Come al solito, per fortuna, non abbiamo ricette miracolose <strong>da</strong> proporre:<br />

possiamo però segnalare quello che succede, <strong>da</strong>re voce, fare circolare le<br />

idee, segnalare i problemi concreti della nostra vita. E poi aspettare con<br />

pazienza.<br />

Come primissima cosa, ci vuole un bel volantino. Non tanto per il<br />

volantino in se stesso, quanto per riabituare la gente a vederci in giro, e<br />

soprattutto per riabituare noi stessi a farci vedere in giro, che è il nostro<br />

compito principale.<br />

Poi, possiamo metterci in contatto direttamente coi ragazzi di Milano -<br />

presso Radio Popolare - e di Napoli - Segnali d'accelerazione,<br />

Coordinamento antimafia - e vedere cos'hanno <strong>da</strong> dirci; proporre uno<br />

scambio di idee, ed eventualmente delle iniziative parallele, a una stessa<br />

scadenza. Rispetto a queste realtà "lontane", noi abbiamo più difficoltà di


collegamento immediato rispetto ai partiti politici, perché ci mancano gli<br />

strumenti tecnici che essi hanno; però, una volta che il collegamento sia<br />

stato stabilito, abbiamo una credibilità molto maggiore, proprio perché noi<br />

non siamo un partito politico ma un'espressione di base. Rispetto a Milano,<br />

a Napoli e a qualunque altra situazione possiamo e dobbiamo presentarci<br />

senza timidezze, per imparare qualcosa <strong>da</strong> loro ma anche per insegnare la<br />

nostra esperienza, che non è <strong>da</strong> sottovalutare.<br />

Più in generale, dobbiamo finalmente abituarci a parlare con tutti senza<br />

timidezze e ritrosie. Secondo me è sbagliato non intervenire - per esempio -<br />

alla festa dell'Unità per paura di "fare politica". In realtà noi, concretamente,<br />

abbiamo fatto e facciamo molta più "politica" (nel senso migliore della<br />

parola) dei partiti tradizionali: abbiamo perciò il diritto, e forse anche il<br />

dovere, di dire quello che sappiamo e che abbiamo sperimentato senza<br />

timori di "strumentalizzazioni" e senza complessi di inferiorità nei riguardi<br />

di nessuno.<br />

Sia per la questione del movimento (volantini ecc.) che per il giornale e il<br />

resto, dobbiamo fare delle scelte organizzative semplici e precise, senza le<br />

quali non andremo molto lontano.<br />

In primo, luogo è assurdo continuare a organizzarci come se un liceale di<br />

diciassette anni e un universitario di ventitrè fossero la stessa cosa. A partire<br />

<strong>da</strong> ora, i ragazzi delle scuole che fanno parte di Siciliani/giovani debbono<br />

cominciare ad organizzarsi <strong>da</strong> soli gli interventi sulle varie scuole e decidere<br />

autonomamente le cose <strong>da</strong> fare; magari faranno degli errori qua e là, ma<br />

almeno non saranno più a rimorchio dei "grandi"; e certamente, con la loro<br />

spontaneità, avranno anche qualcosa <strong>da</strong> insegnare a tutti gli altri. Questo<br />

vuol dire che i "ragazzini" faranno la loro riunione a parte, ogni settimana<br />

(naturalmente continueranno a partecipare anche all'assemblea generale): se<br />

lo vorranno, si faranno aiutare anche <strong>da</strong> qualcun altro, ma sotto la loro<br />

responsabilità.<br />

In secondo luogo, abbiamo perso buona parte dei contatti che avevamo<br />

costruito in Sicilia (e che erano uno dei nostri maggiori successi).<br />

Dobbiamo prendere sistematicamente l'abitudine, quando facciamo una<br />

cosa, di fare un giro di telefonate fuori Catania per comunicarla e invitare a<br />

generalizzare le iniziative anche in altre città.<br />

A Palermo, in particolare, c'è un gruppo di Siciliani/giovani agguerrito ed<br />

efficiente, sotto alcuni aspetti più avanti di noi; eppure, a parte il giornale,<br />

non siamo mai riusciti a farci un'iniziativa in comune. A partire <strong>da</strong>l<br />

prossimo volantino, bisogna intervenire contemporaneamente nelle due<br />

città, tenendosi in contatto quotidiano per telefono e delegando una persona<br />

a questo specifico compito.


Sui centri giovanili abbiamo fatto moltissime parole e ben pochi fatti.<br />

"Fatti" può voler dire: affittare un locale; utilizzare una piazza; fare<br />

occupazioni simboliche alla palermitana. Ciascuna di queste soluzioni ha i<br />

suoi pro e i suoi contro, ma il fatto è che noi in realtà non ne abbiamo<br />

sperimentato nessuna.<br />

A questo punto, proporrei di organizzarci su un'ipotesi precisa:<br />

organizzare per il 10-15 dicembre, una secon<strong>da</strong> festa di Siciliani/giovani<br />

ma stavolta in un locale utilizzabile come centro giovanile, in modo <strong>da</strong> <strong>da</strong>re<br />

un esempio concreto di come il centro potrebbe funzionare. Fare un piccolo<br />

passo, farlo!<br />

Ammettiamo, per esempio, che decidiamo di fare la festa alle ciminiere.<br />

In questo caso:<br />

- per prima cosa, convochiamo una riunione di tutti i gruppi interessati sul<br />

tema preciso "come passare tre giorni alle ciminiere";<br />

- dopo fare doman<strong>da</strong> al comune; se il comune l'accetta, bene; se non<br />

l'accetta saremo sempre in tempo a cambiare obiettivo, ma almeno avremo<br />

impostato un dibattito e avremo cominciato a lavorare con altri su un<br />

obiettivo preciso e non su un'idea in generale.<br />

Come dovrebbe essere la festa? Intanto, dovrebbe essere organizzata<br />

come la precedente, ma meglio. Finanziamento con le sponsorizzazioni;<br />

gruppi musicali meglio scelti; presentazione seria (possibile Minà);<br />

panineria; interventi nostri meglio preparati.<br />

In secondo luogo, non dovrebbe essere solo la nostra festa, ma dovremmo<br />

organizzarla fin <strong>da</strong>l primo momento insieme con la Comunità S. Pietro e<br />

Paolo (ed eventualmente altri "non partitici").<br />

Infine, non dovrebbe essere solo una festa. Tre giorni di musica, ma<br />

attorno alla musica cinque o sei attività <strong>da</strong> centro giovanile, scelte in base<br />

alla partecipazione della gente fra quelle che abbiamo elencate nel paginone<br />

di giugno. Spazi e angoli per attività specifiche, angoli di ritrovo, e così via.<br />

Far vedere insomma come potrebbe essere concretamente un centro<br />

giovanile a Catania. Meglio tre giorni di centro giovanile "vero" che tre<br />

mesi di mini-centro in un appartamento, in una piazza o in un pertuso.<br />

Se avremo un minimo di abilità, e riusciremo a collegare la propagan<strong>da</strong><br />

per la festa e il centro con quella per il movimento (tasse e dibattito su<br />

Milano, ecc.), i partecipanti all'iniziativa, fin <strong>da</strong>l momento organizzativo,<br />

potrebbero essere molti: a condizione, al solito, di non mettersi a fare<br />

ideologia.<br />

A proposito di ideologia: io credo che un minimo di "ideologia" di<br />

Siciliani/giovani (quella che ci distingue <strong>da</strong> ogni altro gruppo organizzato)<br />

esista. Ed è la lotta alla mafia. Lotta alla mafia non vuol dire solo lotta alla


delinquenza, che è la parte meno profon<strong>da</strong> di essa. Vuol dire lotta a una<br />

situazione in cui la Sicilia non parla di mafia, la Regione dà i soldi ai<br />

mafiosi, l'onorevole dice che la mafia non esiste, i cavalieri vengono protetti<br />

<strong>da</strong>lle autorità, e così via. Magari è una cosa banale, che abbiamo detto tante<br />

volte (e su cui è nato Siciliani/giovani). Ma è bene ripeterla, anche perché<br />

negli ultimi tempi, sia per I Siciliani che per Siciliani/giovani, queste cose si<br />

sono sentite un po' meno del solito. Ora, è vero che "la lotta alla mafia non<br />

basta", che bisogna fare proteste concrete in positivo; ma senza lotta al<br />

potere mafioso tutto il resto è poesia. Se fossimo in Polonia, noi diremmo<br />

"vogliamo vivere meglio, ma prima via i russi"; se fossimo in Cile<br />

"vogliamo vivere meglio, ma via la dittatura". In Sicilia la mafia ha colpito<br />

più che in Polonia e più che in Cile. "Vogliamo vivere meglio, ma via i<br />

mafiosi e tutto il loro potere!".<br />

Questo non dobbiamo dimenticarlo mai. Non dobbiamo far finta di essere<br />

in una situazione "normale", perché la mafia è ancora là, e uccide e<br />

coman<strong>da</strong>: e se non la combattiamo noi che siamo I Siciliani (e<br />

Siciliani/giovani dovrebbe essere la punta avanzata dei Siciliani), non si<br />

vede chi dovrebbe farlo.<br />

Sia quando facciamo volantini che quando organizziamo una festa,<br />

perciò, noi dobbiamo sapere - e dobbiamo dire! - che stiamo facendo questo<br />

in questa situazione. Non credo che questo spaventerà la gente. Noi il 14<br />

dicembre e il 5 gennaio siamo stati molto "estremisti" in questo senso,<br />

eppure la gente è venuta, molto più di quando ci siamo "moderati". Questo<br />

ci dovrebbe far riflettere. Non abbassiamo mai la nostra bandiera, perché ci<br />

sono molti che credono in essa, anche se non si vedono: e senza di loro<br />

resteremmo <strong>da</strong>vvero soli.<br />

Potremmo prendere in considerazione l'idea di fare una manifestazione<br />

(ma di tipo nuovo, come quella che voleva fare Antonio Scuderi in<br />

primavera) in coincidenza con la prima giornata della festa; in ogni caso,<br />

dobbiamo cominciare a prepararci alla manifestazione del cinque gennaio,<br />

per la parte che ci riguar<strong>da</strong>. L'anno scorso, il cinque gennaio noi non ci<br />

siamo limitati a "commemorare", ma abbiamo portato avanti delle proposte<br />

precise: per esempio, "via i cavalieri". Siciliani/giovani è stata la prima<br />

organizzazione ad avere il coraggio di attaccare pubblicamente i quattro<br />

cavalieri).<br />

Quest'anno, io penso che "via i cavalieri" - che bisogna ripetere - non<br />

basta più: il cinque gennaio potrà essere anche una giornata di proposte sui<br />

nostri problemi; sarebbe bello, nel corteo, <strong>da</strong>re un volantino (o addirittura<br />

un giornale) che faccia una serie di proposte precise sui centri giovanili,<br />

sulle scuole, sulla vita quotidiana e così via. Naturalmente, non devono


essere le proposte di una o dieci persone: debbono essere il frutto di un<br />

dibattito con molti giovani, che bisogna cominciare a lanciare nelle scuole<br />

di Catania.<br />

Questo dibattito, l'intervento nelle scuole, la festa, le eventuali<br />

manifestazioni non sono tante cose separate. Sono tanti modi di esplorare la<br />

stessa realtà, e vanno tenute in contatto fra loro, e in contatto ancora più<br />

stretto col nostro giornale.<br />

Il giornale è molto cambiato, in bene e in male, rispetto ai primi numeri.<br />

In male, vale quello che sappiamo per la parte organizzativa di<br />

Siciliani/giovani: collabora meno gente "qualunque", ed è molto minore il<br />

legame con i ragazzi delle scuole; è inutile ripetere tutto quello che s'è detto<br />

sopra, basta dire che questa situazione può essere superata abbandonando le<br />

timidezze e la paura di "fare movimento" e tornando allo spirito d'iniziativa<br />

che avevamo una volta.<br />

Di buono, c'è che ora il giornale può contare su un nucleo re<strong>da</strong>zionale<br />

abbastanza consapevole, con un minimo di serietà e su qualche idea chiara<br />

su come si fa un giornale. Possiamo cioè dire che adesso esiste una<br />

re<strong>da</strong>zione di Siciliani/giovani. Questa può essere una forza, se riusciremo a<br />

"usare" la re<strong>da</strong>zione senza separarla <strong>da</strong>l movimento; se invece la re<strong>da</strong>zione<br />

del giornale sarà l'unico aspetto di Siciliani/giovani, avremo fatto tanto<br />

lavoro solo per formare alcuni giornalisti, il che sarebbe <strong>da</strong>vvero triste. Si<br />

tratta dunque - non è una novità, ma è lo stesso fon<strong>da</strong>mentale, non solo per<br />

Siciliani/giovani - di unire intelligentemente professionalità e<br />

"dilettantismo".<br />

La re<strong>da</strong>zione potrebbe essere composta - questa è soltanto una proposta,<br />

ma dobbiamo cominciare a discutere anche sui nomi - <strong>da</strong>lle seguenti<br />

persone:<br />

Gianfranco Faillaci, Salvo Ferrara, Edoardo Frivitera, Ester Saitta, Piero<br />

Cimaglia, Massimo Arcidiacono, Rosalba Cannavò, Dante Cristina, Renata<br />

Grillo, Fabio D'Urso, Antonella Mascali. Questo è un elenco minimo di<br />

nomi, che può senz'altro essere completato con l'aggiunta di chi intende far<br />

parte della re<strong>da</strong>zione; ma ai suoi componenti si richiedono delle cose<br />

precise: la presenza in sede o fuori almeno tre giorni alla settimana, in<br />

giorni e orari precisi, a turno; la partecipazione al lavoro re<strong>da</strong>zionale<br />

collettivo, in stretto contatto con i responsabili di turno e comunque in stato<br />

di reperibilità; la disponibilità a svolgere gli incarichi re<strong>da</strong>zionali che via via<br />

saranno assegnati (servizi, inchieste, giri di cronaca, ecc.). Ad essi, va<br />

aggiunto almeno Nuccio Fazio, come fotografo.<br />

La re<strong>da</strong>zione deve organizzarsi in maniera autonoma, nella seguente<br />

maniera:


- due responsabili, a turno, per la durata di un mese, che coordino (sempre<br />

sotto l'approvazione dell'assemblea) il numero in corso e ne rispon<strong>da</strong>no;<br />

- un re<strong>da</strong>ttore che coordini le lettere e le storie di vita (la quarta pagina);<br />

- un re<strong>da</strong>ttore che si occupi di sollecitare e ricevere i pezzi <strong>da</strong> fuori<br />

catania, e che si tenga in contatto con la re<strong>da</strong>zione palermitana;<br />

- tre re<strong>da</strong>ttori che, a turno, si occupino di leggere i giornali cittadini,<br />

segnalare i fatti di cronaca più utilizzabili e an<strong>da</strong>rli ad approfondire, tenere<br />

il contatto con le fonti d'informazione;<br />

- un re<strong>da</strong>ttore che si occupi di seguire le notizie della scuola;<br />

- un re<strong>da</strong>ttore che si occupi di seguire le notizie <strong>da</strong>ll'università;<br />

- dei re<strong>da</strong>ttori che lavorino su settori particolari, come musica e sport.<br />

Come avevamo stabilito in precedenza, l'organizzazione del giornale<br />

dev'essere il più possibile democratica. Non potremo ricominciare a votare i<br />

singoli pezzi, ma su richiesta anche di uno solo dei componenti dei<br />

Siciliani/giovani l'assemblea potrà intervenire per eliminare un pezzo e<br />

suggerirne un altro; l'assemblea continuerà ad aver luogo ogni venerdì<br />

pomeriggio, e continuerà ad avere potere decisionale nei confronti del<br />

giornale e del resto. E' importante però cominciare a lavorare sulla base di<br />

incarichi precisi, in modo che ognuno possa occuparsi bene di un settore<br />

preciso.<br />

In generale, la ripartizione del giornale potrebbe essere così organizzata:<br />

- prima pagina, i pezzi più importanti (con giro in ultima);<br />

- pagina due, cronaca (relativamente a problemi giovanili);<br />

- pagina tre, musica, sport e altri settori specifici (pagina due può<br />

"invadere" parte di pagine tre, e viceversa);<br />

- pagina quattro, storie di vita e rubriche.<br />

I pezzi <strong>da</strong> fuori Catania andrebbero ripartiti fra le pagine esattamente<br />

come quelli catanesi.<br />

Il "servizio" (di due cartelle, massimo tre) dev'essere la struttura portante<br />

del giornale. Tre servizi bastano a fare l'ossatura di un numero, se sono<br />

completi e interessanti. Il tema di un servizio dev'essere il più possibile<br />

mirato: più è specifico l'argomento e più è interessante; più persone, storie,<br />

interviste ci sono dentro e più è leggibile.<br />

E' inutile fare qui un elenco degli argomenti su cui si può fare un servizio.<br />

La cronaca, la lotta alla mafia, i movimenti giovanili, lo sport, la musica, il<br />

corpo, la vita quotidiana possono essere altrettanti settori generali all'interno<br />

dei quali cercare spunti <strong>da</strong> approfondire. E' importante invece imparare a<br />

sviluppare un'idea. Fino a questo momento, abbiamo curato poco il<br />

momento dell'intuizione, l'abbiamo trattato in modo approssimativo e<br />

disordinato; adesso dobbiamo cercare di analizzare sistematicamente il


processo <strong>da</strong> formazione delle idee.<br />

All'inizio c'è l'idea!, e può averla chiunque, in tante forme diverse. "La<br />

Plaja è un posto poco sicuro", "come si fa a diventare giornalisti?", "chi è il<br />

padrone della centrale del latte?", ecc.<br />

Da questa prima intuizione, bisogna passare alla fase successiva, che non<br />

è ancora il pezzo, ma il "promemoria" (8-10 righe) sul contenuto del pezzo.<br />

Infine, il pezzo vero e proprio.<br />

Un buon metodo di lavoro, quando qualcuno ha un'idea, anche<br />

strampalata, è di appuntarla immediatamente su un pezzo di carta, così<br />

come viene, e poi di arricchirla di qualche particolare, senza approfondirla<br />

troppo, in modo <strong>da</strong> avere un primo promemoria. Poi vedere cosa c'è <strong>da</strong> fare<br />

(interviste, notizie, ecc.) per mettere in pratica il promemoria, e solo alla<br />

fine cominciare a scrivere il pezzo.<br />

Quanto al pezzo, la prima stesura dev'essere il più possibile spontanea,<br />

libera; nella rilettura bisognerà invece limare, tagliare, e rimontare tutto in<br />

modo <strong>da</strong> avere un inizio vivace e non lasciare che l'attenzione del lettore si<br />

addormenti.<br />

Dopo i servizi vengono i materiali <strong>da</strong> fuori re<strong>da</strong>zione: corrispondenti,<br />

notizie <strong>da</strong>lle scuole, collaboratori saltuari. Questo materiale (per lo più brevi<br />

pezzi) dovrà essere riveduto con molta attenzione, possibilmente <strong>da</strong>lla<br />

stessa persona, in modo <strong>da</strong> comporre tanti frammenti omogenei fra loro.<br />

In particolare, le storie di vita dovrebbero rappresentare (molto più che<br />

sull'ultimo numero) un carattere tipico del nostro giornale. La storia di vita<br />

può essere scritta <strong>da</strong> chiunque; se si riesce a pubblicarla mantenendone il<br />

carattere di spontaneità, dà un tono vivace al giornale, corregge l'eventuale<br />

eccesso di "serietà" dei servizi e soprattutto evita che il giornale sia fatto<br />

solo <strong>da</strong>i soliti re<strong>da</strong>ttori. Specialmente per i ragazzi più giovani, è un inizio<br />

fon<strong>da</strong>mentale; difficilmente avremmo potuto sviluppare una re<strong>da</strong>zione se<br />

non avessimo cominciato con questo tipo di scrittura, alla portata di tutti e<br />

tale quindi <strong>da</strong> creare fiducia in chi scrive e <strong>da</strong> costituire un primo tipo<br />

d'esperienza.<br />

Infine, le rubriche. Possono essere spazi "tecnici" (mercatino, salute, ecc.)<br />

o contenitori più ampi (spazio donna, se riusciremo a farlo), ma in ogni caso<br />

rappresentano un appuntamento che contribuisce a mantenere il lettore<br />

legato al giornale.<br />

Non è il caso di dilungarsi oltre sull'organizzazione del giornale di cui<br />

avremo modi di parlare quotidianamente nella pratica. Vorrei insistere però<br />

sul fatto che questa re<strong>da</strong>zione, oltre che ben organizzata, dev'essere aperta,<br />

cioè portavoce di tutti coloro che nella re<strong>da</strong>zione non ci sono; e che questo<br />

giornale, oltre che un buon giornale, dev'essere un giornale in movimento,


cioè espressione di ciò che succede fra la gente e degli obiettivi e delle<br />

speranze di coloro che vogliono migliorare la vita: a partire, naturalmente,<br />

<strong>da</strong>i Siciliani/giovani e <strong>da</strong>lle loro iniziative.<br />

Un buon giornale, delle idee per un movimento, delle iniziative concrete e<br />

rivolte a tutti, un collegamento con quelli che ci assomigliano nelle altre<br />

città, una denuncia continua (e non noiosa) del potere mafioso, una buona<br />

organizzazione generale: se riusciamo a tenerci su questi binari, in quindici<br />

faremo un ottimo lavoro e nei vari momenti riusciremo a mobilitare molte<br />

più persone. Se ci baseremo soprattutto sulla fantasia e sull'inventiva, sulle<br />

idee nuove e non sui regolamenti, sull'ottimismo creativo e non sulla<br />

difensiva, riusciremo senz'altro a fare qualcosa che duri.<br />

Il giornale - come la cooperativa che dobbiamo costituire al più presto e<br />

come tutte le altre forme organizzative - dev'essere insomma uno strumento<br />

per fare delle cose, e non una gabbia per dividerci quelli che sono fuori.


4 CHIACCHIERE SU...<br />

promemoria interno per SicilianiGiovani, 1985<br />

La maggioranza del corteo è meridionale? Se è così, vuol dire che è<br />

abbastanza realistico pensare che il movimento è cominciato in Sicilia<br />

(perché proprio in Sicilia? Riflettere...) e che evidentemente nei cortei<br />

dell'83-84 non c'era solo un "contro-la-mafia" ma anche un "per-qualcosa"<br />

<strong>da</strong> identificare. Ovviamente non sappiamo ancora (lo ripeterò fino alla<br />

nausea) che cosa, e del resto non tocca solo a noi scoprirlo. Però, anche a<br />

noi. (Parentesi: in ogni caso, è provato che i giovani meridionali sono<br />

disponibili a ragionare (di mafia, e poi di tasse, e poi della qualunque) se<br />

solo si rispettano i loro tempi e gli si <strong>da</strong> fiducia).<br />

Contemporaneamente (inchiesta Amnesty Int.) pare che a Catania il 50%<br />

dei giovanissimi sia per la pena di morte. Inciviltà e immaturità "politica"?<br />

Eppure, sono gli stessi che fanno i cortei: a quanto pare, si può essere<br />

"maturi" su alcuni temi, e "immaturi" su altri. Doman<strong>da</strong> numero uno:<br />

continuerà così in eterno, e prima o poi i livelli di coscienza si<br />

unificheranno? Doman<strong>da</strong> numero due: che facciamo se diciamo che siamo<br />

contro la pena di morte e loro non ci battono le mani?<br />

(Parentesi. Ci sono due modi di strumentalizzare un movimento. Uno:<br />

"evviva, evviva, è il sessantotto". Due: "meno male, non è il sessantotto").<br />

La soluzione ideale è, banalmente, di ragionare con la propria testa<br />

fottendosene del sessantotto-non sessantotto. In realtà questo è il 68 (o l'89,<br />

o il 71 - in cui è nato Fabio - o una qualsiasi altra <strong>da</strong>ta "storica") se vuol dire<br />

che è un anno di cambiamento. Non è il 68 (o il 78 o il 128 o un qualunque<br />

altro modello fuori produzione) se vuol dire fare il remake di un film già<br />

visto, e <strong>da</strong>re potere a chiunque non sia il movimento di ora.<br />

(Parentesi. Ragionare con la propria testa non è semplice. Però non c'è<br />

altra via. Farsi domande, non <strong>da</strong>re nulla per scontato, e soprattutto le cose<br />

"normali". "E' normale" vuol dire "Sono pigro". Pensare come se il mondo<br />

cominciasse ora. In realtà, comincia ora).<br />

Un buon obiettivo, in generale, sarebbe l'unità. Fra chi la pensa in un<br />

modo e chi in un altro (e chi pensa di non pensare). Fra i problemi grossi e<br />

quelli piccoli. Fra quello che siamo e quello che che possiamo essere. Fra<br />

quelli come noi e quelli no. Fra quelli con cui stiamo bene e quelli con cui<br />

litighiamo. Ogni unità in meno indebolisce tutti. Noi non siamo completi.<br />

Nessuno, <strong>da</strong> solo, lo è.<br />

E' stata una giornata violenta, il 16 dicembre? Violentissima, a Roma e<br />

altrove. A Roma, c'era un giudice che doveva stare lì per forza, sennò gli<br />

ammazzavano la figlia. A Napoli, una tizia è stata costretta a prostituirsi per


avere un po' di droga. A Catania, un'impiegata è stata costretta a dire cose<br />

che non pensava, per evitare il licenziamento. A Treviso, una ragazzina ha<br />

avuto problemi per il suo ragazzo, perché era meridionale: a Canicattì,<br />

<strong>un'altra</strong>, perché "faceva la bottana". A Perugia, un ragazzo è stato costretto a<br />

passare il pomeriggio <strong>da</strong> solo, in quanto omosessuale; a Bagheria, un padre<br />

di famiglia è stato costretto a comportarsi <strong>da</strong> vigliacco <strong>da</strong>vanti a tutti,<br />

tacendo alcune cose che sapeva. A Catanzaro, un brillante matematico è<br />

stato costretto a fare il manovale, perché a tredici anni doveva lavorare. A...<br />

Ma tutto questo è successo anche ieri e l'altro ieri e succederà domani.<br />

Come si suol dire è "normale". E - "normalmente" - non è violenza...<br />

In tutti questi casi, la polizia non interviene, i giornali non parlano, non si<br />

formano movimenti. E' "ingenuo" chiedersi perché? E' "inutile"? E in<br />

questo momento, leggendo queste cose, state perdendo tempo rispetto al<br />

vostro lavoro? E, infine: ce la fate a leggere una cosa in cui ci sono tutti<br />

questi punti interrogativi? Vi sareste sentiti più tranquilli con un po' più di<br />

punti esclamativi? (e fra parentesi: e fra noi, c'è violenza? Ne siete proprio<br />

sicuri? Che rapporto c'è fra la violenza in noi e quella fuori?). E infine: siete<br />

già stanchi di porvi - e farvi porre - domande?<br />

Attenzione: Forse tutto questo è politica...


APPUNTI<br />

gennaio 1986<br />

Cercare di capire che cosa è successo in questi due anni. Non ho le idee<br />

chiare su tutto, ma non credo che questo sia un male. Abbiamo bisogno<br />

d'individuare delle tendenze, non d'inventarci un'analisi globale che<br />

probabilmente, in questo periodo, finirebbe per essere più una palla al piede<br />

che uno strumento di lavoro. Le cose vanno troppo in fretta per poterle<br />

fotografare <strong>da</strong>vvero.<br />

Si tratta dunque d'individuare rozzamente dei primi <strong>da</strong>ti, e di svilupparli<br />

in continuazione, via via che l'esperienza procede; senza pretendere di<br />

ricavarne una "linea", ma piuttosto delle direzioni di ricerca. Questa ricerca,<br />

che è uno dei compiti fon<strong>da</strong>mentali di questi anni, non può essere, per sua<br />

natura, che collettiva. Ma se all'interno di essa dovessi sintetizzare un<br />

contributo personale, potrebbe essere il seguente: non aver paura delle "cose<br />

strane" - cercarne le radici - fare politica su di esse.<br />

La lotta alla mafia, infatti, o è politica o è polizia. O riesce a liberare<br />

qualcosa che ne superi i confini, o prima o poi rifluisce in una generica<br />

richiesta di "ordine pubblico". Da Santapaola si può arrivare, nella testa<br />

della gente, tanto agli scippatori quanto ai ministri; quello che non si può<br />

fare è fermarsi a Santapaola.<br />

Per questo, più che di "lotta alla mafia", noi abbiamo sempre parlato di<br />

"lotta al potere mafioso"; e abbiamo introdotto concetti e parole (gli<br />

"antimafiosi") che vanno ben al di là del puro significato tecnico per<br />

suggerire qualcosa di più ampio e radicale. La parola "antifascista", a suo<br />

tempo, indicava di più che la generica opposizione a un regime; solo più<br />

tardi, debitamente castrata, è entrata nell'inoffensivo vocabolario di Palazzo.<br />

Non credo che, per quel che s'è visto in questi anni, ci sia <strong>da</strong> farsi molte<br />

illusioni sull'"impegno delle istituzioni" contro il potere mafioso. Ma anche<br />

se un impegno ci fosse, le dimensioni della posta in gioco sarebbero<br />

comunque tali <strong>da</strong> sfuggire completamente a ogni possibilità d'incasellarle<br />

nell'ordinaria amministrazione degli equilibri politici. Esse hanno bisogno,<br />

per essere affrontate (o anche solo percepite), di un vero e proprio<br />

movimento popolare. Che si presenterà - se si presenterà - in modo "strano"<br />

senza bandiere, molto prima nelle coscienze che nelle piazze; e non avrà<br />

una risolutiva "ora X" ma una lenta e inframezzata costruzione.<br />

Questo non vuol dire, naturalmente, che sia inutile il lavoro "diplomatico"<br />

nelle istituzioni. Ma è un lavoro, per l'appunto, diplomatico,<br />

complementare. Il lavoro reale sta altrove.<br />

A questi criteri ho cercato, finché ho potuto di attenermi in questi anni;


itenendo che le alternative "realistiche" (concentrarsi sul giornale; puntare<br />

sui rapporti con le istituzioni "buone"; "non siamo più nel sessantotto";<br />

insomma "l'uovo oggi e non la gallina domani") fossero più rassicuranti, più<br />

semplici, ma anche più profon<strong>da</strong>mente illusorie. E che convenisse dunque -<br />

usando i rapporti istituzionali per tappare alla meglio i buchi - guar<strong>da</strong>re in<br />

faccia la realtà e mirare alto, considerando la nostra esperienza e il nostro<br />

modo di pensare e la lotta antimafiosa e le stesse prospettive di vita del<br />

nostro giornale indissolubilmente legate allo sviluppo del movimento<br />

sociale e culturale che, secondo me, va annunciandosi in questi anni. Certo,<br />

potrebbe essere un'utopia. Ma io credo ancora di no.<br />

C'è una quantità di domande a cui non è stata <strong>da</strong>ta, fino a questo<br />

momento, una risposta. E neanch'io presumo di <strong>da</strong>rla, <strong>da</strong> solo, ma voglio<br />

almeno pormi le domande.<br />

Perché i movimenti antimafiosi, nei loro momenti più alti, sono stati così<br />

"popolari"? Perché la gente - tanta gente, in certi momenti la maggioranza -<br />

ha <strong>da</strong>to così tanta importanza alla "questione morale"? Perché il caso<br />

Pertini? Perché la gente comune si allontana (tesseramento alla mano) <strong>da</strong>l<br />

Pci ma si ritrova come non mai nella storia attorno ai funerali di Berlinguer?<br />

Che cosa viene percepito, in un caso del genere, dell'uomo politico<br />

Berlinguer? Cosa viene percepito politicamente voglio dire? Perché gli<br />

studenti cominciano a muoversi in Sicilia due anni prima che nel resto del<br />

paese? Perché le posizioni "estreme" vengono isolate nel caso della scala<br />

mobile ma seguite nel caso della lotta alla mafia o della questione morale?<br />

Perché adesso "salgono" Bobbio e Ingrao e "scendono" Natta o Lama?<br />

Il movimento antimafioso: come mai sono riusciti a convivervi<br />

tranquillamente, nei momenti alti, un'anima di "conservazione" ed una<br />

"rivoluzionaria"? Cosa esattamente la gente teme della mafia? Perché non<br />

tutti hanno un figlio tossicodipendente, e non tutti hanno molto interesse a<br />

come vengono spesi i soldi degli appalti...<br />

E ancora: cosa spera la gente <strong>da</strong>lla vittoria dell'antimafia? Man<strong>da</strong>re i<br />

colpevoli in galera non è mai stato un obiettivo di alcuna lotta popolare, in<br />

Italia: ma si tratta solo di questo?<br />

E la gente che ha partecipato al movimento antimafia nelle varie grandi e<br />

piccole occasioni, perché mai ha partecipato? Per quale motivo comune,<br />

intendo? Perché gente diversissima, quanto a composizione e a radici<br />

culturali; eppure, in certi istanti, s'è incontrata. Solo emozione? O che altro?<br />

L'autonomo e il "moderato" sono tornati a litigare nei momenti bassi, di<br />

riflusso. Ma prima stavano insieme. Come mai? E, più curioso di tutto: che<br />

strane caratteristiche possono aver avuto in comune i "militanti" di questa<br />

strana lotta - il professore di paese, il cattolico e quello che sottoscrive


l'azione - per impegnarsi, per qualche mese, a far delle cose insieme?<br />

Sempre e solo "emozione", è la risposta ufficiale.<br />

Ma io credo che ci sia qualcosa di più. Troppi di questi episodi,<br />

individuali e collettivi, sono inspiegabili se non si pensa a qualcosa di più<br />

profondo. Qualcosa che viene <strong>da</strong> molto lontano, con radici molto antiche<br />

nel sentimento comune. In particolare, in Sicilia.<br />

Qui, per la prima volta, è stato messo in discussione il potere. Perché è<br />

come potere incontrollato, prima ancora che come "violazione delle leggi"<br />

che la gente comune qui percepisce i Cavalieri. Ed è stato messo in<br />

discussione esattamente là dove esso è più potente, dove maggiormente<br />

pesa sulla vita quotidiana della gente, e dove più radicale e liberatorio<br />

potrebbe essere il suo rovesciamento. Fuori della Sicilia questo significa che<br />

per alcuni momenti la Sicilia è stata (se potrà tornare ad esserlo in futuro)<br />

l'avanguardia o quantomeno la prima linea di una lotta che appartiene a<br />

tutti; altro che "problemi del mezzogiorno" e "questione meridionale"! In<br />

Sicilia, la percezione della questione è stata ancora più istintivamente, e<br />

commoventemente, profon<strong>da</strong>: in alcuni momenti e luoghi la parola<br />

"Siciliani" ha coinciso, senz'altre mediazioni, con la parola speranza.<br />

Ognuno di noi ha ormai l'esperienza del primo impatto con l'assemblea di<br />

una scuola, o d'un piccolo paese; e può agevolmente constatare come questo<br />

impatto sia più carico di aspettative e di richieste, più "caldo" esattamente<br />

nei paesi, nei luoghi e nei gruppi sociali in cui più forte e radicata era la<br />

memoria di una qualche passata lotta e soli<strong>da</strong>rietà civile. Ma se ognuno di<br />

noi potesse avere anche l'esperienza umana di una qualunque di quelle<br />

sconfitte e dimenticate lotte nei paesini della Sicilia, di tutte quelle speranze<br />

via via sgretolate ogni volta, di generazione in generazione, ostinatamente e<br />

faticosamente ricostruite, potrebbe avere il senso delle radici profonde della<br />

"simpatia" verso i Siciliani, della soli<strong>da</strong>rietà di tanta gente comune non dico<br />

a quella che facciamo, ma certo a quel che in qualche modo rappresentiamo.<br />

E potrebbe rendersi conto fino in fondo della responsabilità di dover gestire<br />

tutto questo.


MILLE EDITORI PER I SICILIANI<br />

novembre 1985<br />

C'è Antonella che è dovuta an<strong>da</strong>r via - scopo sopravvivenza - <strong>da</strong> Comiso,<br />

la cerchi ora e "lei adesso lavora in Lombardia". Anche Antonella deve<br />

campare, per questo se ne è dovuta an<strong>da</strong>re a fare la maestra su al nord.<br />

Come Fabio che era l'unico qui che riusciva a fare un pezzo sui punk, come<br />

Francesco che faceva il sin<strong>da</strong>calista al paese, come Stefano che era uno dei<br />

ragazzi della radio al quartiere... Mica facile restare al sud.<br />

Poi c'è il professor Lomonaco, preside di scuola media, che ha una vera<br />

scuola in pieno ghetto di Catania. C'è Gaetano Giardina, del Consiglio di<br />

fabbrica dei Cantieri, che organizza gli scioperi contro la mafia nella città<br />

dei Salvo. C'è l'ingegner Scuderi, che fa ricerca in aerodinamica<br />

all'università di Palermo. Ci sono i liceali di Catania, che come movimento<br />

studentesco hanno <strong>da</strong>to dei punti a Bologna. Ci sono cooperative e gruppi<br />

ecologici, ci sono artisti e scrittori. Ci sono questi siciliani, e molti altri<br />

come loro.<br />

Essi, oggi come oggi, non contano. Non contano in Sicilia, e non contano<br />

fuori. Troppo seri, per fare i siciliani. E' più semplice, per il vecchio<br />

Palazzo, avere a che fare coi Lima. Ma se avessero una voce? Se potessero<br />

discutere organizzarsi, confrontarsi, mettere insieme qualcosa? Se potessero<br />

scoprire di essere loro, in realtà, la vera classe dirigente degli anni a venire?<br />

Se, anziché carne <strong>da</strong> fabbrica senza difesa, il treno del Sole cominciasse a<br />

riversare sul Paese idee vive, progetti, una nuova ragione?<br />

A questo vogliamo che serva, partendo <strong>da</strong> questa Sicilia, questo nostro<br />

giornale. E' un progetto molto ambizioso, culturalmente e materialmente.<br />

Portarlo avanti <strong>da</strong> soli, non servirebbe. Per questo, dev'essere <strong>da</strong> subito un<br />

progetto collettivo: a cominciare <strong>da</strong>ll'assetto proprietario del giornale.<br />

Il "padrone" de "I Siciliani" a questo punto non può essere un editore<br />

come gli altri. Neanche più, come finora, la nostra cooperativa di tipografi e<br />

re<strong>da</strong>ttori. Il ruolo storico di questo giornale, giunti a questa svolta, è ben più<br />

grande di noi; non abbiamo il diritto di chiuderlo in noi soli. Editori de "I<br />

Siciliani", nel senso letterale della parola, debbono essere tutti i siciliani<br />

impegnati, tutti coloro che credono in ciò per cui lavoriamo.<br />

Un editore collettivo composto <strong>da</strong> tanti cittadini proprietari di questo<br />

giornale e di quest'idea; un capitale messo limpi<strong>da</strong>mente insieme lira su lira,<br />

con tanti diversi contributi; un'impresa cui possa partecipare chiunque se la<br />

sente, ma su cui non possa speculare nessuno. E' una sfi<strong>da</strong> contro i<br />

monopolisti editoriali, contro i "comprati e venduti": ma è anche una precisa<br />

chiamata in causa che noi in questo momento rivolgiamo ai nostri lettori.


Non bastano più soli<strong>da</strong>rietà e simpatia: ognuno deve e può prendersi una<br />

piccola ma concreta responsabilità. Noi facciamo la nostra parte; ma tu che<br />

leggi devi fare, e non a parole, la tua.<br />

La forma che i nostri legali hanno studiato per l'assetto proprietario del<br />

giornale dà a ciascuno, adesso, la possibilità di assumersi questa<br />

responsabilità secondo le proprie - piccole o grandi - disponibilità.<br />

L'operaio, l'intellettuale, lo studente può diventare azionista, a tutti gli effetti<br />

legali, con centomila lire; il consiglio di fabbrica, il circolo culturale, la<br />

scuola può assumersi cinque, dieci, venti azioni; altre possono prenderne il<br />

piccolo industriale, il commerciante, la cooperativa. Crediamo che per tutti -<br />

particolarmente per coloro che già sono impegnati sul terreno del<br />

rinnovamento civile - ci sia la necessità morale non solo di aderire<br />

all'impresa, ma di farsene apertamente e attivisticamente promotori.<br />

Nessuna scadenza "politica" e civile, in questo fine anno siciliano, è<br />

infatti più importante di questa. Non il tentativo malcerto d'un pugno di<br />

intellettuali, ma il cantiere in cui si fon<strong>da</strong> lo strumento della nuova cultura<br />

siciliana e meridionale. Nessuno può mancare.<br />

Questo giornale continuerà come e più ancora che in passato a far guerra<br />

alla mafia e ai poteri occulti, in tutti i modi. La politica mafiosa,<br />

l'imprenditoria mafiosa, le forme culturali mafiose - la mafia come potere -<br />

continueranno ad essere al centro del nostro lavoro. Nel momento in cui il<br />

riflusso (non della gente comune, ma di classi dirigenti e istituzioni) man<strong>da</strong><br />

a casa i giudici onesti e copre i miliardi dei mafiosi, noi continuiamo<br />

semplicemente a fare il nostro mestiere, che è quello di informare la gente<br />

su quel che succede. In una regione in cui i grandi mezzi di informazione<br />

informano solo quando e quanto conviene, potremo sembrare troppo<br />

intransigenti e - ci dicono - "eccessivi": ma qui d'eccessivo c'è soltanto la<br />

realtà.<br />

Ma i movimenti antimafiosi di questi anni (perché di movimenti s'è<br />

trattato, com buona pace dei politologhi) non sono stati soltanto contro la<br />

mafia, ma anche - confusamente - per qualcosa di nuovo, che ancora non si<br />

riesce esattamente a definire, ma che ha già una sua vitalità. Qualcosa che si<br />

muove nell'anima della Sicilia profon<strong>da</strong>.<br />

C'è una nuova generazione di Siciliani, cresciuta negli anni di piombo.<br />

Non li incontri solo nei cortei contro la mafia, ma anche e soprattutto nelle<br />

mille occasioni della vita quotidiana: nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei<br />

laboratori di ricerca, nelle università, negli ospe<strong>da</strong>li. Anni difficili li hanno<br />

formati. Hanno imparato a diffi<strong>da</strong>re delle parole e a esaminare<br />

irriverentemente i fatti. Vogliono sapere cosa succede nei quartieri e nella<br />

società, perché è così indietro la ricerca scientifica e così avanti


l'emarginazione, chi minaccia la tutela ambientale e come la si può<br />

migliorare, di che cosa si discute realmente nei vari ambiti, chi c'è nella<br />

cultura europea e cosa si può fare per la pace. Forse non hanno ancora molte<br />

risposte <strong>da</strong> <strong>da</strong>re, ma sanno già porsi le domande. Vogliono essere informati,<br />

non imboniti di parole. Noi lavoriamo con loro.<br />

Noi abbiamo fede in questa generazione. Siciliana, e conseguentemente<br />

europea. "Siciliana" a Palermo e Catania, ma anche - in un certo senso - a<br />

Napoli o a Bologna o alla periferia di Milano. La parola Sicilia, in questi<br />

anni, indica ben più che una terra. Primi nella barbarie, lo siamo altrettanto<br />

nella lotta: siciliani gli imprenditori Salvo e i Greco, ma siciliani i Pio La<br />

Torre e i Chinnici. Da qui la mafia può conquistare il Paese, ma qui può<br />

nascere per tutti una nuova coscienza civile. Nel bene e nel male, mai più<br />

saremo un'isola.<br />

Abbiamo dunque il diritto di mantenere, nel momento in cui ci<br />

espandiamo ben oltre i limiti regionali, il nostro vecchio nome di Siciliani.<br />

Sicilia come Sud, Sicilia come luogo in cui si stronca per sempre la mafia o<br />

la si lascia dilagare in tutta Italia, Sicilia come laboratorio in cui oggi o si<br />

risolvono o si affossano definitivamente tutti i grandi problemi, le passioni e<br />

le speranze non solo di noi siciliani ma dell'intera Nazione.<br />

Cercheremo quindi di esprimere con l'esperienza di quattro anni di<br />

mensile "I Siciliani" ma con la puntualità e la completezza che ora ci<br />

consente il passaggio al settimanale, tutto l'arco dei temi che insieme<br />

formano la nostra vita di questi anni. Le cronache gli avvenimenti, la vita<br />

quotidiana nelle città e nei paesi, l'economia, la politica, il costume, gli<br />

sport, la cultura, gli spettacoli, il tempo libero, la natura: nulla sarà<br />

trascurato, ogni aspetto della realtà avrà su queste pagine la sua fedele<br />

cronaca e la sua testimonianza. E la sua umanità. Noi non scriviamo sul<br />

meridione del colonialismo culturale di chi calato qui <strong>da</strong> tre giorni già<br />

presume di insegnarci cos'è il Sud. Noi scriviamo <strong>da</strong>l Sud. Condividendone<br />

le pene e le passioni, pagandone il prezzo se occorre. La Sicilia di domani<br />

sarà come noi tutti la costruiremo già oggi, nel vivo della lotta contro il<br />

potere mafioso. Non ci basta una Sicilia senza mafia, vogliamo una Sicilia<br />

che sorri<strong>da</strong>, una Sicilia giovane, europea. Per questo non saremo neutrali.<br />

Gli appuntamenti per i nostri lettori cominciano già nei prossimi giorni e<br />

settimane con le assemblee che terremo in tutte le città dell'isola e nelle<br />

principali d'Italia per presentare il settimanale e la sua Società editrice. Ma<br />

bisogna mobilitarsi già <strong>da</strong> subito per raccogliere le adesioni all'impresa de "I<br />

Siciliani" e in particolare per diffondere e far sottoscrivere le azioni della I<br />

Siciliani Settimanale SpA. Ogni lettore può esserne, nel suo ambiente di<br />

vita e di lavoro, un socio fon<strong>da</strong>tore; ogni gruppo di amici, un nucleo


organizzatore.<br />

Saranno due mesi intensissimi, fon<strong>da</strong>mentali per il successo del progetto.<br />

Il settimanale comincerà ad uscire regolarmente a dicembre dopo la fase<br />

"silenziosa" di organizzazione. Vogliamo che sia definitivamente lanciato e<br />

presente <strong>da</strong>ppertutto - e con una rete diffusa di azionisti e sostenitori - per il<br />

cinque gennaio, in concomitanza con la grande manifestazione contro la<br />

mafia con la quale ricorderemo il nostro fon<strong>da</strong>tore.<br />

Questi sono gli obiettivi, e siamo sicuri che lavorando tutti insieme li<br />

raggiungeremo. Noi abbiamo fiducia nei Siciliani. Vogliamo esprimerla con<br />

le parole di chi ha <strong>da</strong>to loro questo giornale, Giuseppe Fava.<br />

"Dal fondo della sua antica, riconosciuta infelicità viene avanti, lottando<br />

ogni giorno ed ognuno lottando per suo conto. Tutti i suoi ideali, l'odio e<br />

l'amore, la pietà e la vendetta, sono ancora intatti e spesso ancora confusi e<br />

terribili, ma tutti insieme formano una grande anima. E non c'è prezzo di<br />

violenza o di dolore ch'essa non sia disposta a pagare, pur di conquistare la<br />

sua dignità.<br />

In verità non c'è in tutta Europa un popolo così orgoglioso e infelice,<br />

come quello siciliano, che faccia tanto male a se stesso, ma non c'è<br />

nemmeno un popolo che abbia tanta devozione alla sua terra, e che abbia<br />

altrettanto coraggio di lottare per l'esistenza, tanta violenza, tanto amore per<br />

la vita".


UN VOLANTINO<br />

1986<br />

MENO CELEBRAZIONI E PIU' LOTTA<br />

La lotta alla mafia è già al riflusso? No. Al riflusso sono gli antimafiosi a<br />

parole, gli intellettuali <strong>da</strong> convegno, le autorità del Palazzo. Per loro "non<br />

c'è più niente <strong>da</strong> fare", "ormai la mafia ha vinto". Ma non è così. Per i<br />

lavoratori, per i giovani, per le migliaia e le migliaia di siciliani onesti che<br />

hanno risposto agli appelli di questi anni la lotta contro la mafia non è<br />

affatto finita ed anzi, nella sua fase più decisiva, comincia ora.<br />

Ricomincia senza retorica e senza grandi parole, senza aspettarsi nulla<br />

<strong>da</strong>gli uomini del Palazzo e senza credere nelle promesse di quanti hanno<br />

dimostrato di essere o impotenti o complici della mafia. Ricomincia con<br />

alcuni obiettivi chiari, semplici e concreti:<br />

- sequestrare le proprietà dei mafiosi e usarle per <strong>da</strong>re lavoro. C'è metà <strong>da</strong>l<br />

fatturato siciliano o in galera o in procinto di an<strong>da</strong>rci: la loro ultima carta, è<br />

il ricatto della disoccupazione. Ma è possibile rompere questo ricatto<br />

utilizzando bene la legge La Torre, combattendo insieme mafia e<br />

disoccupazione.<br />

- Pensare sul serio ai giovani siciliani. Hanno partecipato in tanti ai cortei<br />

contro la mafia. poi sono tornati a casa ad aspettare la disoccupazione. Cosa<br />

si è fatto per loro, dopo le belle parole? Esigiamo subito un centro giovanile<br />

autogestito in ogni città siciliana. In edifici comunali: per stare insieme, per<br />

avere un punto di riferimento, e per cominciare ad organizzare sul serio il<br />

cambiamento.<br />

- Conquistare la libertà di stampa. La libertà di stampa in Sicilia non<br />

esiste. I padroni dei grandi giornali (quelli che si sanno) tutto sono fuorché<br />

nemici della mafia. Bisogna lavorare subito, e tutti, per un grande giornale<br />

popolare antimafioso, a partire <strong>da</strong> esperienze come I Siciliani di Giuseppe<br />

Fava.<br />

- Essere uniti come sono uniti i mafiosi. Non c'è più "vincenti" e<br />

"perdenti", la mafia oggi è tutta unita attorno alla sua droga. Bisogna:<br />

stabilire un coordinamento permanente fra le forze antimafiose delle diverse<br />

città;; invitare fin d'ora tutti i partiti democratici e antimafiosi a presentare,<br />

alle prossime elezioni, una sola lista, unitaria e sotto il segno della lotta alla<br />

mafia.<br />

Solo riprendendo e radicalizzando l'iniziativa popolare si può veramente<br />

onorare la memoria di Dalla Chiesa, di Fava, di Zucchetto, di Cassarà e di<br />

tutti gli altri caduti antimafiosi. Sostenere contro i sabotaggi del governo i<br />

giudici e i poliziotti impegnati in prima fila; liberare i quartieri <strong>da</strong>lla miseria


e <strong>da</strong>lla paura; denunciare i complici dei padrini e cavalieri palermitani e<br />

catanesi; alzare il tiro fino al terzo livello e ai poteri occulti che (come dice<br />

Falcone) gli sono alleati; tornare senza paura nelle piazze. Su questi<br />

obiettivi bisogna che gli antimafiosi siciliani riflettano, si organizzano<br />

insieme e ricomincino a lottare.


UN VOLANTINO<br />

1986<br />

I SICILIANI ALLA MARCIA PER IL LAVORO<br />

Per la prima volta in Italia un movimento giovanile comincia al Sud e si<br />

sviluppa verso il Nord. Il movimento dei ragazzi dell'85, infatti, trova la sua<br />

diretta radice nella mobilitazione anti-mafiosa degli studenti di Napoli,<br />

Palermo e Catania negli ultimi tre anni. I giovani meridionali hanno capito<br />

che lottare contro le malformazioni delle strutture scolastiche non basta, se<br />

dopo la scuola si è con<strong>da</strong>nnati a restare senza lavoro e se non si aggredisce<br />

la struttura del potere mafioso. E' necessario che il movimento contro la<br />

mafia si traduca anche in movimento per il lavoro. In che modo?<br />

- Applicando seriamente e <strong>da</strong>ppertutto la legge La Torre.<br />

- Gestendo le imprese sequestrate agli imprenditori mafiosi per aumentare<br />

l'occupazione giovanile.<br />

- Sviluppando una serie di centri sociali in cui i giovani possano<br />

liberamente incontrarsi per sviluppare iniziative contro la mafia e per il<br />

lavoro.<br />

- Destinare le risorse finanziarie pubbliche non utilizzate (in Sicilia sono<br />

più di 12.000 miliardi) ad affrontare non episodicamente né clientelarmente<br />

la pressante richiesta di lavoro dei giovani nel Sud. Per questo aderiamo alla<br />

Marcia per il lavoro che si terrà a Napoli il 10 dicembre.


UN VOLANTINO<br />

1986<br />

PERCHE' NON VOGLIAMO VIVERE CON LA MAFIA<br />

Siamo qui perché non crediamo in questa Sicilia di mafia e di<br />

raccoman<strong>da</strong>zioni, la Sicilia dei cavalieri del lavoro e dei politici corrotti. Per<br />

noi giovani questa Sicilia significa il ricatto del posto di lavoro, oggi sempre<br />

più pesante, la mancanza di spazi dove vederci e dove comunicare e<br />

conoscere le nostre iniziative musicali, teatrali, culturali.<br />

Opporsi diventa essenziale. Bisogna costruire qualcosa di diverso. Creare<br />

nuovi posti di lavoro con i beni sequestrati ai mafiosi in base alla legge La<br />

Torre e con i 12.000 miliardi di "residui passivi" attualmente inutilizzati<br />

nelle casse della regione siciliana; creare degli spazi e dei luoghi d'incontro<br />

liberamente gestiti <strong>da</strong>i giovani.<br />

Giuseppe Fava è stato ucciso <strong>da</strong> chi non vuole cambiare la realtà, per<br />

dominarla col suo potere mafioso, con i soldi accumulati illegalmente, e<br />

manipolando l'informazione. Giuseppe Fava è stato ucciso, ma noi siamo<br />

qui per fare pesare la sua assenza e perché domani sia come se lui fosse<br />

ancora vivo. Perché come lui ce ne siano altri mille. E a tutti, non potranno<br />

sparare.<br />

Siciliani giovani


UN VOLANTINO<br />

gennaio 1987<br />

Già <strong>da</strong> sei mesi "I Siciliani" sono assenti <strong>da</strong>lle edicole e, com'è evidente,<br />

un giornale che non esce è già virtualmente un giornale morto. "I Siciliani"<br />

sono infatti sul punto di chiudere. Un destino che aleggiava <strong>da</strong> anni sul<br />

giornale e che oggi, in occasione del terzo anniversario dell'assassinio di<br />

Giuseppe Fava, rischia di realizzarsi definitivamente.<br />

La chiusura de "I Siciliani" sarebbe l'ultima di una lunga serie di sconfitte<br />

del movimento antimafioso sorto in Sicilia - soprattutto fra gli studenti, ma<br />

anche nel mondo del lavoro e in vari settori della società - all'indomani della<br />

morte del generale Dalla Chiesa: un movimento che ha chiesto verità e<br />

giustizia contro la mafia e le sue connessioni politiche e finanziarie, che ha<br />

rivendicato i diritti più elementari calpestati <strong>da</strong>l sistema di potere mafioso,<br />

che ha cercato di riempire di contenuti positivi e civili la propria<br />

opposizione alla mafia e ai suoi potenti ispiratori. La chiusura de "I<br />

Siciliani" sarebbe oggettivamente un ennesimo segnale negativo per la<br />

gente che in Sicilia e nel Paese ha creduto in quegli ideali di giustizia e che<br />

in questi anni ha letto sulle pagine del giornale la fedele cronaca e i<br />

commenti ispirati <strong>da</strong> essi.<br />

I re<strong>da</strong>ttori de "I Siciliani" hanno fatto quanto era in loro potere per<br />

scongiurare una simile eventualità, ma nessun giornale al mondo può<br />

sopravvivere indefinitamente senza adeguate risorse economiche e senza<br />

pubblicità. Ancor oggi, la re<strong>da</strong>zione è professionalmente in grado di<br />

presentare un progetto tecnico-editoriale di rilancio del giornale - quello<br />

diffuso contestualmente a questo documento - ma non di assicurarne una<br />

pur limitata copertura finanziaria.<br />

La chiusura de "I Siciliani" concluderebbe logicamente - se chiusura<br />

dovrà esserci - l'operazione iniziata la sera del 5 gennaio 1984, a Catania,<br />

con l'assassinio di Giuseppe Fava. Chiudere la bocca alla società civile<br />

siciliana, non far parlare nessuno su quanto di nefando e delittuoso, ma<br />

anche di positivo e civile, accade in Sicilia, abolire le voci della democrazia:<br />

il silenzio era l'obiettivo di quella sera.<br />

Contro questa logica di silenzio e di morte noi re<strong>da</strong>ttori de "I Siciliani"<br />

chiamiamo a prendere posizione tutte le forze realmente democratiche:<br />

vogliamo in ogni caso <strong>da</strong> tutti, e principalmente <strong>da</strong> loro, una risposta chiara<br />

sul destino di questo giornale.<br />

E' stata una soli<strong>da</strong>rietà grande, in tutti questi anni, quella che centinaia e<br />

centinaia di semplici cittadini hanno voluto riversare su questo giornale. Più<br />

di mille abbonati hanno seguito "I Siciliani" in tutte le loro vicissitudini;


quasi seicento hanno risposto all'appello di sottoscrizione con cui,<br />

esattamente un anno fa, chiedevamo il sostegno di tutti per <strong>da</strong>re una nuova<br />

base economica alla nostra impresa. Ben diversa sarebbe stata la sorte di<br />

questo giornale se il loro esempio fosse stato seguito <strong>da</strong> chi aveva i mezzi<br />

per an<strong>da</strong>re oltre la semplice attestazione di soli<strong>da</strong>rietà.<br />

Molte volte, in questi anni, abbiamo chiesto a tutte le forze democratiche<br />

di <strong>da</strong>re un contributo al nostro lavoro. Si sono avuti, <strong>da</strong> parte loro, interventi<br />

occasionali e contingenti ma privi di ogni coerenza e continuità. Oggi, un<br />

istante prima della chiusura, non è più tempo per essi: si tratta di discutere<br />

seriamente il nostro progetto giornalistico-editoriale, e di muoversi in<br />

conseguenza. Non è in discussione la storia e il patrimonio ideale de "I<br />

Siciliani"; si tratta di verificare se questo giornale possa finalmente avere la<br />

continuità e la solidità che gli sono sempre mancati. Si tratta di capire se<br />

esistono forze culturali, sociali, politiche democratiche che vogliono<br />

condividere con noi lo sforzo di gestire e consoli<strong>da</strong>re questa voce<br />

antimafiosa.<br />

E' questa l'ultima scommessa che facciamo con la nostra storia, circon<strong>da</strong>ta<br />

spesso <strong>da</strong> scetticismi, sospetti e rimozioni. In gioco, stavolta, c'è l'essenza<br />

stessa della democrazia: il pluralismo delle voci, la libertà di esprimerle,<br />

l'antimafia non come rito d'occasione ma come spartiacque fon<strong>da</strong>mentale<br />

fra chi vuole cambiare le cose e chi no. Se "I Siciliani" spariranno <strong>da</strong>lla<br />

scena definitivamente, vorrà dire che nessuno avrà raccolto il nostro<br />

appello. E ciò rappresenterà un messaggio chiaro per una società che negli<br />

ultimi mesi ha visto ricomporsi e ricompattarsi ordinatamente il vecchio<br />

sistema di potere mafioso nelle due principali città siciliane.<br />

I re<strong>da</strong>ttori de "I Siciliani" hanno avuto in sorte, in tutti questi anni, la<br />

possibilità di collaborare a un'esperienza giornalistica fra le più ricche, nel<br />

suo genere, e avanzate del Paese, e di contribuire in maniera decisiva al<br />

rinnovamento della professione giornalistica in Sicilia: non solo mediante il<br />

lavoro re<strong>da</strong>zionale svolto, ma anche con la formazione di un consistente<br />

nucleo di nuovi giovani giornalisti - a partire <strong>da</strong>ll'esperienza di<br />

"Siciliani/giovani", e poi col settimanale "I Siciliani" - il cui livello<br />

professionale non è ormai inferiore, proporzionalmente all'esperienza, a<br />

quello di nessuna realtà analoga in Sicilia. E' amaro rilevare come in<br />

quest'opera di difesa e rinnovamento della professione i giornalisti de "I<br />

Siciliani" non abbiano avuto al proprio fianco gli organi di categoria che<br />

istituzionalmente avrebbero dovuto sostenerla.<br />

Questo giornale è l'esempio di una lotta al potere mafioso condotta senza<br />

mezzi termini e senza rispetti per nessuno: non limitata alla manovalanza<br />

criminale di Cosa Nostra ma mirata ai massimi livelli, imprenditoriali e


politici; non ristretta a una semplice denuncia in negativo ma aperta alla<br />

ricerca dei possibili assetti di una Sicilia nuova.<br />

I movimenti giovanili e i loro luoghi d'incontro; il dramma della<br />

disoccupazione e la possibilità di affrontarlo con una gestione alternativa<br />

delle aziende sequestrate ai mafiosi; il dibattito nella società civile e le<br />

nuove aggregazioni all'interno di essa: su ciascuno di questi temi "I<br />

Siciliani" si sono impegnati non solo col giornale, ma promuovendo una<br />

serie di spazi organizzativi - "Siciliani/giovani", l'"Associazione I Siciliani"<br />

- che potessero contribuire, nel rispetto delle scelte ideali di ciascuno, a<br />

coagulare nuovi livelli civili e culturali nelle componenti migliori della<br />

società siciliana. Su tutti questi terreni, oltre che nella denuncia puntuale dei<br />

vari nodi del potere mafioso, "I Siciliani" hanno lavorato con tutte le loro<br />

forze, con alterni successi ma sempre con totale dedizione e in assoluta<br />

autonomia politica e intellettuale.<br />

Oggi che i poteri mafiosi vanno sempre più arrogantemente alla<br />

restaurazione mentre sempre più evidente si la latitanza dello Stato, oggi<br />

che i giudici onesti vengono sempre più risospinti nella loro solitudine<br />

mentre gli amici di Lima e Drago tornano sul balcone, oggi che<br />

nell'indifferenza generale si giustiziano i bambini nelle città siciliane, i<br />

siciliani onesti hanno il dovere di non arrendersi, individualmente e<br />

collettivamente, alla Sicilia del potere, di lottare contro di essa e di<br />

contribuire a costruire, ognuno per la sua parte, la Sicilia di domani.<br />

L'esperienza e le idee de "I Siciliani" sono tuttora un patrimonio comune<br />

per tutte le componenti civili della società siciliana, e un punto di partenza<br />

per tutti coloro che non vogliono rassegnarsi alla Palude.<br />

Ri<strong>da</strong>re ai giornalisti onesti la possibilità di fare onestamente il loro<br />

mestiere, di informare senza censure su ciò che succede in Sicilia;<br />

ricostruire pazientemente, con una rete larga e articolata di esperienze, di<br />

dibattiti e di movimenti organizzativi, il tessuto della Sicilia civile;<br />

continuare la lotta per la pace, contro la mafia, per il lavoro, per la tutela<br />

dell'ambiente; muoversi coi giovani che ancora adesso, in Italia e altrove, si<br />

affacciano disordinatamente ma con immensa forza di cambiamento nella<br />

società; seguire le speranze che agitano l'umanità degli altri sud, delle altre<br />

Sicilie del mondo; collegare tutte le forze di cambiamento, riflettere su tutte<br />

le esperienze, an<strong>da</strong>re avanti insieme: ciascun cittadino siciliano, ciascuna<br />

forza antimafiosa, può ancora far molto, partendo anche <strong>da</strong>ll'esempio de "I<br />

Siciliani", su questa stra<strong>da</strong>.<br />

E' una stra<strong>da</strong>, noi crediamo, non isolata e non perdente. Assenti le<br />

istituzioni, contrastanti i partiti di governo, titubanti quelli di opposizione,<br />

ostili o muti i grandi mezzi di informazione, in tutti questi anni tuttavia non


solo un piccolo gruppo di giornalisti, ma migliaia e migliaia di cittadini<br />

hanno <strong>da</strong>to vita a qualcosa che non può essere cancellata <strong>da</strong>lla storia del<br />

Paese.<br />

C'è stato un movimento, in questi anni, in Sicilia, per la prima volta dopo<br />

molti decenni: un movimento che partendo <strong>da</strong>lla mafia e <strong>da</strong>l potere mafioso<br />

ha messo in discussione, senza zavorra d'ideologie ma con coerenza<br />

profon<strong>da</strong>, gli assetti di società e di potere su cui si basano l'infelicità di<br />

quest'isola e i mali oscuri dell'intero Paese. Di questo movimento civile,<br />

indifferente al Palazzo ma profon<strong>da</strong>mente radicato nella gente che vive<br />

fuori, "I Siciliani" sono stati una voce, e forse anzi la voce. Ora, non<br />

possono più esserlo <strong>da</strong> soli.<br />

La re<strong>da</strong>zione de "I Siciliani"


GLI ANNI DI GIUSEPPE FAVA<br />

1986<br />

Catania, un anno dopo l'effetto Dalla Chiesa, è ancora una città<br />

militarmente occupata <strong>da</strong>lla mafia. Esaurita la guerra fra i Santapaola-<br />

Ferrera e i Ferlito, esecuzioni sommaria (sovente precedute <strong>da</strong> tortura) e<br />

sparizioni provvedono a ripristinare il "rispetto" fra la miserabile malavita<br />

dei ghetti. La situazione politica, dopo la buriana provocata <strong>da</strong>ll'intervento<br />

di Dalla Chiesa sull'assessore Ferlito (parente del boss assassinato nel<br />

giugno dell'82 sulla circonvallazione di Palermo), torna a stabilizzarsi<br />

attorno ai vecchi assi del potere, basati essenzialmente sull'equilibrio fra i<br />

notabili storici alla Drago e i giovani "emergenti" alla Andò; pochissimi gli<br />

amministratori esenti <strong>da</strong> comunicazioni giudiziarie, ma assoluta fluidità -<br />

nonostante questo, e forse proprio per questo - del meccanismo politicoclientelare.<br />

Quanto agli imprenditori (i quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa di<br />

Fava) a suo tempo indicati <strong>da</strong>l generale come fruitori "del consenso della<br />

mafia", mostrano - adesso - un'immagine d'ostentata sicurezza. Nessuno fa<br />

più il loro nome in pubblico, e non solamente a Catania; accordi intercorsi<br />

con alcuni gruppi editoriali assicurano loro l'amicizia non solo di una parte<br />

della stampa isolana ma anche di quella nazionale.<br />

Il fronte dei cavalieri è ben lontano, in questa fase, <strong>da</strong>ll'essere omogeneo,<br />

ma non esiste ancora, tuttavia, alcuna forza che abbia la capacità, o anche<br />

soltanto l'intenzione, di puntare su queste divisioni per approfondirne i<br />

contenuti e fare politica su di esse. Sui cavalieri, dunque, si è ridisteso il<br />

silenzio: l'ordine regna a Catania.<br />

Eppure, qualcosa si muove. A livello istituzionale, intanto, il dopo Dalla<br />

Chiesa non è passato invano. Carabinieri e Guardia di finanza, in<br />

particolare, passano sotto nuovi comandi; in prefettura, Abatelli lascia il<br />

posto ad un "settentrionale"; gli ufficiali e i funzionari che negli anni passati<br />

sono stati di fatto emarginati nell'ordinaria amministrazione e cominciano a<br />

non sentirsi più isolato. Alcune in<strong>da</strong>gini, sia pure messe in moto <strong>da</strong> Palermo<br />

o <strong>da</strong> Roma, cominciano a lasciare il segno: Santapaola continua a restar<br />

latitante, ma in autunno un'operazione combinata di carabinieri e Finanza<br />

scompagina la "famiglia" Ferrera, il nucleo storico della mafia catanese; si<br />

riesce a far mettere sotto sequestro i beni della "famiglia" Santapaola<br />

(saranno peraltro dissequestrati a dicembre).<br />

Questi primi timidi segni di disgelo nelle istituzioni incoraggiano, o<br />

almeno non frenano come per l'addietro, ciò che - in maniera ancora<br />

confusa e occasionale - s'agita nella coscienza cittadina. Catania non è città


mafiosa. L'immagine tradizionale che i catanesi hanno di se stessi è quella<br />

di una città convulsa, senza grandi ideali, probabilmente cinica - ma non<br />

violenta. Ancora nella metà degli anni settanta, la criminalità locale ha i<br />

connotati culturali della malavita, non della mafia; catanesi sono<br />

tradizionalmente i grandi truffatori e falsari, non i killer; sbarcano sigarette,<br />

non eroina.<br />

Con l'effetto Dalla Chiesa il catanese medio scopre improvvisamente la<br />

realtà; la droga, la mafia, l'imprenditoria mafiosa. E' una realtà difficile <strong>da</strong><br />

accettare, che suscita nell'immediato un sentimento d'incredulità, poi di<br />

rimozione: su di esso, non a caso, cercheranno esplicitamente di far leva<br />

(campagne "per Catania diffamata", per "gli imprenditori che <strong>da</strong>nno<br />

lavoro") le forze di fiancheggiamento del potere mafioso. Il fondo della<br />

cultura catanese è tutto sommato sano, non inquinato come altrove <strong>da</strong><br />

quarant'anni di dominazione (non solo "militare") mafiosa. La gente, qui,<br />

prova ancora disagio a convivere con una simile realtà; la rimuove, ma non<br />

l'accetta; ed è ancora disponibile, se gliene si offre la possibilità, a discutere,<br />

a ragionare, a non rifiutare eventualmente la mobilitazione. Ed è proprio qui<br />

che s'innesta il lavoro, e la funzione, di Giuseppe Fava.<br />

Intellettuale di estrazione popolare (padre maestro, nonno contadino)<br />

Fava è tutto fuorché un uomo di potere, di qualunque potere. Provocatorio,<br />

guascone, all'occorrenza sfrontato; non privo - a conoscerlo - d'una sua<br />

antica, e assai siciliana, riflessività; profon<strong>da</strong>mente "romantico" ma nello<br />

stesso tempo "impegnato", come nessun altro in quel momento, a Catania.<br />

Nell'autunno del 1983 Fava non è un isolato. E' riuscito a concludere tutto<br />

sommato vittoriosamente l'esperienza del "Giornale del sud", il quotidiano<br />

alternativo (poi riassorbito <strong>da</strong>ll'editoria costituita) del 1980-81, a uscirne,<br />

con un profondo gesto di rottura; a "usare" l'esperimento del quotidiano, e la<br />

stessa sua traumatica conclusione, per consoli<strong>da</strong>re un primo nucleo di<br />

giornalisti veri e una prima consistente fascia di opinione pubblica<br />

disponibile. E questo in una situazione in cui la stampa "ufficiale" tace<br />

sistematicamente, per esempio, o altrettanto sistematicamente sottostima<br />

tutte le notizie relative all'attività dei clan mafiosi. E' riuscito a imporre, al<br />

centro del dibattito culturale cittadino, il suo ennesimo lavoro teatrale di<br />

denuncia, l'"Ultima violenza" (forse la più plastica rappresentazione<br />

esistente della mafia metropolitana); è riuscito soprattutto a lanciare e<br />

consoli<strong>da</strong>re fra mille difficoltà il suo primo strumento veramente collettivo,<br />

quello su cui ha saputo coagulare non solo una generica opinione<br />

"antimafiosa", ma il preciso impegno militante di un gruppo di giovani<br />

giornalisti, la rivista "I Siciliani".<br />

Osteggiata in tutti i modi <strong>da</strong>i poteri costituiti (l'ente regionale preposto


concede un prestito: ma in tempi tali <strong>da</strong> renderlo, oggettivamente un<br />

sabotaggio) il mensile si impone intanto, grazie alla soli<strong>da</strong> professionalità di<br />

Fava, come un prodotto editorialmente valido, difficile <strong>da</strong> emarginare, non<br />

velleitario. I contenuti vanno <strong>da</strong>ll'inchiesta di mafia a quella sulla vita<br />

quotidiana, <strong>da</strong>l servizio su "i cavalieri di Catania e la mafia" a quello su "le<br />

donne siciliane e l'amore", in una miscela originalissima di "popolarità" e<br />

militanza. Convergono tutti, in sostanza, verso una sorta di nuovo<br />

sicilianismo, nettamente democratico e progressista, e sicuramente europeo:<br />

per qualche verso analogo - nella diversità di tempi e situazioni - al<br />

rivoluzionario e antifascista "sardismo" di Lussu; e con un'attenzione al<br />

privato e ai movimenti profondi del sociale, con un colore caldo (ma<br />

tuttavia "illuministico") della scrittura che ricor<strong>da</strong>no, ma con più popolari<br />

radici, certo "giornalismo" pasoliniano.<br />

Nell'autunno 1983, I Siciliani sono già una forza che aggrega, e che<br />

disturba. Un dibattito "politico" ampio e articolato viene aperto, per la prima<br />

volta, fra le componenti della <strong>sinistra</strong> già schierate (e per molti versi ancora<br />

legate ad antichi limiti di diffidenza e di minoritarismo) e quelle ancora in<br />

formazione; denunce specifiche e puntuali vengono portate avanti, senza<br />

cercare lo scoop ma elaborando sistematicamente i <strong>da</strong>ti esistenti, sui punti<br />

no<strong>da</strong>li del sistema di potere politico-finanziario della mafia. L'esigenza<br />

d'una iniziativa della magistratura per far luce, coi poteri conferiti <strong>da</strong>lla<br />

legge La Torre, all'interno delle banche siciliane "pubbliche" e private; le<br />

inchieste sul (malcerto) funzionamento di parte del Palazzo catanese e la<br />

difesa a oltranza, corrispettivamente, dei magistrati impegnati contro la<br />

mafia; l'indicazione, inoppugnabilmente documentata, delle agevolazioni<br />

finanziarie concesse <strong>da</strong>i politici ai mafiosi; l'appassionata rivendicazione del<br />

diritto alla pace cioè- nel momento in cui Comiso diventa obiettivo, e<br />

strumento d'olocausto - del diritto alla vita; i resoconti periodicamente<br />

aggiornati, senza iattanza e senza timore, sui Santapaola, sui Greco, sui<br />

Salvo, sui Costanzo, sui Rendo: su tutto ciò Fava riesce a rendere omogenei,<br />

nella Sicilia degli anni ottanta, una dozzina di giornalisti ed alcune decine di<br />

migliaia di lettori.<br />

E' ancora presto per valutare esattamente il peso che ha avuto,<br />

nell'evoluzione della società siciliana e catanese in particolare, questo punto<br />

di riferimento "improvvisamente" (ma in realtà portato <strong>da</strong>ll'evoluzione degli<br />

eventi: nulla viene mai a caso, e nemmeno gli uomini) apparso sulla scena.<br />

Fra il novembre e il dicembre del 1983, comunque, i primi contatti con altri<br />

settori del movimento democratico - cooperative, sin<strong>da</strong>cati - assicurano<br />

ormai alla rivista una ragionevole certezza di continuità. Esattamente nello<br />

stesso periodo gli assetti istituzionali, a Catania e fuori, attraversano il loro


momento di maggiore instabilità. A metà dicembre, per esempio, un<br />

intervento pubblico e pubblicizzato <strong>da</strong>l potere esecutivo mette - di fatto - in<br />

condizioni insostenibili il magistrato che, <strong>da</strong> Trento, aveva fatto maggiori<br />

progressi nell'in<strong>da</strong>gine sulle connessioni fra mafia e potere. Altri segnali,<br />

minori, concor<strong>da</strong>no.<br />

E' indubbio che al di là delle specifiche tematiche di volta in volta agitate<br />

<strong>da</strong>lla rivista di Fava (alcune molto e immediatamente incisive: per esempio<br />

tutte quelle in qualche modo connesse con i controlli bancari), ciò che, nella<br />

situazione di instabilità che il potere mafioso attraversa in questi mesi, non<br />

si può ulteriormente tollerare è la stessa esistenza della rivista I Siciliani, il<br />

punto di riferimento che essa già rappresentava e quello che potrebbe<br />

maggiormente rappresentare in futuro. A differenza di tanti sedicenti esperti<br />

di politica e di istituzioni, la mafia è in grado - non per la prima volta -<br />

d'individuare un obiettivo storico, di percepire con lucidità l'immediata<br />

rilevanza - e, per essa, pericolosità - di una mobilitazione per intanto poco<br />

più che potenziale, ma fra non molto inarrestabile. Non è <strong>da</strong> escludere che,<br />

in tale percezione, non siano mancati suggerimenti e segnali d'allarme anche<br />

<strong>da</strong> ambienti non propriamente - non esplicitamente - mafiosi. Come sarebbe<br />

stato possibile imporre una gestione di comodo a un assessorato o a un<br />

pubblico ufficio sapendo che una tale gestione sarebbe stato sottoposta, e<br />

non episodicamente, al controllo dell'opinione? Come sarebbe stato<br />

possibile salvare la libertà del capitalismo "selvaggio" di fronte a una<br />

magistratura solerte, in possesso di strumenti appropriati, e continuamente<br />

pungolata <strong>da</strong> libere voci? Come sarebbe stato possibile continuare a<br />

controllare lo stesso braccio "militare" dell'Organizzazione, se non si fosse<br />

stati in grado di garantirgli, oltre che l'impunità, anche il silenzio-stampa?<br />

Infine: rassegnarsi ad avere a Catania una sentinella e un nemico come -<br />

all'altro capo dell'isola, e per la vecchia mafia - fu il giornale l'Ora, e per<br />

decine di anni; o attaccare il male alla radice, prevenire il nemico, stroncare<br />

il movimento antimafioso prima che possa condensarsi attorno ad una<br />

bandiera?<br />

Unico errore di valutazione: i tempi. Alla fine dell'83, il processo era<br />

ormai troppo avviato. Uccidere un uomo sarebbe servito a qualcosa nell'80,<br />

nell'81, forse ancora nell'82. Ma <strong>da</strong>ll'autunno di Dalla Chiesa la coscienza<br />

popolare era oramai in crescita: non le era più indispensabile un uomo, o un<br />

gruppo di uomini. Come certi fiumi sotterranei che risgorgano molto<br />

lontano <strong>da</strong> dove li hai veduti immergersi, e son sempre gli stessi: così quei<br />

visi di studenti siciliani, quelli dei primi timidi temerari cortei dell'ottobre<br />

'82, li rivedremo improvvisamente a Catania il 6 gennaio 1984. Esattamente<br />

gli stessi, ma con più coraggio e più forza, e più speranza di vincere, perché


un anno, in certe confluenze della storia, non va via invano. Ma questo,<br />

loro, non potevano saperlo.<br />

Aveva conosciuto, anche quel giorno, delle persone nuove ed aveva<br />

parlato con loro, imparandone qualcosa, probabilmente, ed insegnando loro<br />

qualcosa. La giornata era stata impiegata prevalentemente con sin<strong>da</strong>ci di<br />

paese e con distratti assessori; qualcuno di loro, forse, avrebbe<br />

magnanimamente acconsentito a contrattare qualche centinaio di migliaia di<br />

lire di pubblicità - di quei pochi denari viveva l'impresa che faceva tremare<br />

la mafia. Lascia il giornale, quella sera, su una vecchia automobile prestata:<br />

perché la sua era <strong>da</strong>vvero oramai troppo logora. Giuseppe Fava, scrittore, di<br />

cinquantanove anni compiuti, figlio di maestri di scuola e nipote di<br />

contadini, muore per il suo paese alle ore 22,20 del 5 gennaio 1984.


IL VATE E IL POTERE<br />

Società Civile, 1987<br />

Lasciamo perdere la letteratura, e vediamo i fatti.<br />

Borsellino. Sciascia mette sotto accusa la nomina del giudice Borsellino a<br />

Marsala perchè non ha abbastanza scatti di anzianità. In provincia di<br />

Trapani, negli ultimi tempi, sono emerse le piste più interessanti sui concreti<br />

rapporti fra mafia e politica: una loggia massonica di tipo piduista e una<br />

banca coi dirigenti mafiosi. Il trapanese è un crocevia importantissimo per<br />

gli equilibri mafiosi di alto livello; forse il più importante. Catanesi e<br />

palermitani vi operano con tutti i loro mezzi, tanto militari quanto<br />

finanziari. L'ultimo "professionista dell'antimafia" che ha cercato di<br />

In<strong>da</strong>garci è stato il giudice carlo Palermo; minacciato, bombar<strong>da</strong>to e infine<br />

costretto - non innocente il governo - a cambiare praticamente mestiere. Ora<br />

tocca a Borsellino. Del quale, dice Sciascia "nel momento in cui ho scritto<br />

nulla sapevo".<br />

Orlando. Non si tratta di generiche polemiche sul nongoverno. In questo<br />

momento, in Sicilia, il gioco politico è incontestabilemente nelle mani<br />

dell'onorevole Salvo Lima. Ha vinto le elezioni, sfrutta le fortune di<br />

Andreotti, è fortissimo nel partito. Adesso, nel momento in cui il Pci<br />

siciliano è allo sbando, scavalca tutti e propone alla Dc un'apertura ai<br />

comunisti. Il nome di Lima, come Sciascia sa, ricorre qualche decina di<br />

volte nei verbali dell'antimafia; adesso è quello del nuovo candi<strong>da</strong>to alla<br />

gui<strong>da</strong> del "rinnovamento" cattolico. Unico ingranaggio incompatibile, in<br />

questo meccanismo, è il sin<strong>da</strong>co Orlando: isolato, sotto tiro, scomodo per<br />

tutti, è nondimeno il segno di qualche cosa; bisogna passare su di lui prima<br />

di <strong>da</strong>r corso ufficiale alla restaurazione. E Sciascia individua in Orlando, qui<br />

e ora, il politico <strong>da</strong> contrastare. E' suo diritto, naturalmente; e anche di<br />

Lima, del resto; ognuno fa politica come può. Che "Sciascia non fa politica,<br />

d'altra parte, è un mito <strong>da</strong> sfatare. Adesso, per esempio, Sciascia fa sapere di<br />

avere il sostegno di quei sin<strong>da</strong>calisti palermitani che <strong>da</strong> tempo cercano di<br />

opporre all'incontrollabile" (e indipendente) coordinamento antimafia un<br />

loro più malleabile comitato concor<strong>da</strong>to fra le forze politiche ufficiali.<br />

Processi. I processi alla mafia andranno, probabilmente, allo sfascio; non<br />

per una qualche metafisica "mostruosità giuridica" ma perché, più<br />

semplicemente, si sarà infine riusciti a impedirne il regolare svcolgimento.<br />

A Messina, fra imputati, legali e testimoni, i morti ammazzati sono già<br />

mezza dozzina; a Palermo si è bloccato il processo per ottenere la lettura in<br />

aula di tutti gli atti: ma una volta ottenutala... gli atti sono stati letti in mezzo<br />

a un'aula deserta. Garantismo? Furberia <strong>da</strong> piccola pretura? Mah.


D'altronde, sono tattiche difensive giustificabili, probabilmente, sul piano<br />

del rapporto professionale fra l'avvocato e il cliente, che paga e vuol essere<br />

ben servito; soltanto, non ci sembra il caso di proporle come modelli di<br />

civismo e democrazia.<br />

Democrazia. Per quanto strano, qualche po' di questa merce, in questi<br />

anni feroci, è attivato perfino in Sicilia. Gli studenti che hanno fatto i cortei<br />

(ma: "i ragazzi bisogna lasciarli a scuola" ammonisce Sciascia) hanno<br />

imparato, perlomeno, che la cosa pubblica attiene a ciascuno di noi; qualche<br />

professionista ha pur rischiato la pelle per svolgere onestamente la sua<br />

professione; qualche giornalista ha pur stampato per quattr'anni a<br />

duecentomila al mese per poter scrivere senza censure; una donna<br />

qualunque è pur an<strong>da</strong>ta, in feroce solitudine, al tribunale per denunciare -<br />

peraltro invano - gli assassini di suo marito; duecento cittadini comuni -<br />

insultati <strong>da</strong> Sciascia, guar<strong>da</strong>ti con sufficienza <strong>da</strong>lla <strong>sinistra</strong> perbene,<br />

denunciati alal mafia <strong>da</strong>l Giornale di Sicilia - hanno pur trovato il coraggio,<br />

vivendo a Palermo, di essere il Coordinamento Antimafia. Questa è la<br />

democrazia, cari amici milanesi, una democrazia per cui si può anche<br />

morire in Sicilia, come in Polonia o in Cile. Perché in Sicilia, purtroppo,<br />

oggi come oggi c'è ben poco <strong>da</strong> garantire; la Costituzione, qui, non ha mai<br />

avuto vigore se non nei discorsi ufficiali. Unico potere reale: i Rendo e i<br />

Lima. Unica reale opposizione: i movimenti antimafiosi.<br />

Certo, è una democrazia, la nostra, che Sciascia non può comprendere. "I<br />

ragazzi a scuola!". Certo: e i preti a dir messa, e i sin<strong>da</strong>ci chiusi in<br />

municipio, e i cittadini tranquilli, e le donne a casa; ciascuno al proprio<br />

posto, nella migliore delle Sicilie possibili. E i giudici? I giudici a farsi i<br />

loro processi in santa pace, lontani <strong>da</strong> ogni curiosità indiscreta: "non resta<br />

che applicare il pieno e intero segreto istruttorio. La rescissione di ogni<br />

legame, a parte le eventuali conferenze stampa fra giudici e giornalisti...": il<br />

regime, insomma, nel nome delle garanzie; e al più con qualche mafioso<br />

"all'antica", alla don Mariano Arena, raccontato in pensose pagine al<br />

pubblico italiano.<br />

Non c'è una lapide, in Sicilia, non una piccolissima piazza che ricordi,<br />

tanto per dirne una, uno scrittore come Giuseppe Fava; anche lui siciliano<br />

come Sciascia, ma in ben diverso rapporto col potere mafioso; ucciso, e<br />

dimenticato. Per Sciascia, il potere s'è mosso, e con molto senso della<br />

tempestività: fra le molte istituzioni della Regione siciliana <strong>da</strong> ora ci sarà<br />

anche una Fon<strong>da</strong>zione Sciascia, inaugurata in pompa magna <strong>da</strong>i rispettabili<br />

esponenti del buongoverno siciliano.<br />

Sarebbe interessante studiare come mai tanta parte della letteratura<br />

italiana finisca, prima o poi, in feluca; e come mai il <strong>da</strong>nnunzianesimo - il


giudizio apodittico, la superficialità nel <strong>da</strong>r rapido conto di ciò su cui altri<br />

travaglia la vita, la facilità a <strong>da</strong>r dell'asino o del criptocomunista al<br />

diversamente pensante - abbia ancor tanto corso tra l'ufficialità intellettuale<br />

del Paese, e come mai soprattutto i problemi più seri <strong>da</strong> noi finiscano<br />

regolarmente in letteratura <strong>da</strong> terza pagina, in intrattenimento televisivo, in<br />

"spettacolo" culturale. Perché insomma in Italia, prima o poi, le questioni<br />

controverse finiscano sul tavolo del Vate Nazionale di turno, ex garibaldino<br />

o ex futurista o ex illuminista che sia.<br />

Una cosa soprattutto ha destato scan<strong>da</strong>lo nel comunicato del<br />

Coordinamento antimafia di Palermo (quello "ingenuo", intendiamo, quello<br />

<strong>da</strong> cui era cosi' "facile" dissociarsi), il fatto che fosse stato re<strong>da</strong>tto <strong>da</strong> due<br />

studenti e un commerciante: gente ordinaria, ohibò!, certo strumentalizzata,<br />

ma <strong>da</strong> compatire. A me va benissimo che a prendere la parola, oltre ai<br />

Grandi Intellettuali di turno, siano anche gli studenti e i bottegai;<br />

specialmente quando rischiano ogni giorno la pelle in una città tradita. Mi<br />

piacerebbe se la <strong>sinistra</strong> civile su questa e su altre questioni desse loro,<br />

umilmente, qualche po' di attenzione.


L'ESPERIENZA DEI SICILIANI<br />

1987<br />

Parlare di esperienza ha il tono d'epitaffio, cioè è stata una cosa bella,<br />

simpatica, coraggiosa, che adesso si può mettere tra due fogli d'album e si<br />

conserva. La storia dei Siciliani è una storia segnata <strong>da</strong> profonde immaturità<br />

e <strong>da</strong> grandi debolezze perché eravamo pochi, periferici, e ci siamo trovati<br />

d'improvviso in un mare che non era il nostro, con problemi specifici locali,<br />

Catania non è Palermo, <strong>da</strong> certi punti di vista è peggio, <strong>da</strong> altri punti di vista<br />

la vicen<strong>da</strong> è stata come un'esplorazione che vale per tutti, io credo, e che ha<br />

acquisito un salto di qualità in quella che io sono stufo di chiamare "lotta<br />

alla mafia", che in effetti è anche lotta per qualche cosa. E per che cosa?<br />

Ecco, la storia dei Siciliani è anche in questa doman<strong>da</strong>: qual'è l'alternativa,<br />

l'obiettivo, storico, non arbitrario, non derivante <strong>da</strong>lla fantasia o <strong>da</strong>gli studi<br />

elitari di qualcuno, ma scaturente <strong>da</strong>lla struttura della società, qual'è questo<br />

salto di qualità che, in qualche modo, può servire <strong>da</strong> orizzonte?<br />

Naturalmente noi non abbiamo mai teorizzato, il tempo delle teorizzazioni è<br />

passato, è abbiamo cercato di mettere insieme tanti frammenti, tanti pezzetti<br />

d'esperienza, tante ipotesi, verificate o no.<br />

La prima fotografia è quella di una sera come tutte le altre, con Antonio<br />

che ha appena finito il suo pezzo e si alza per an<strong>da</strong>rsene via, con Claudio<br />

che sta dicendo qualcosa a Garilli, il nostro tipografo, quarant'anni di lavoro<br />

a Milano, è tornato perché voleva fare qualcosa in Sicilia, Lillo che, come al<br />

solito, sta litigando con l'altro tipografo, Miki sta facendo ancora un pezzo,<br />

il direttore è arrivato verso le otto, contento perché ha strappato <strong>da</strong>l sin<strong>da</strong>co<br />

di un paesino un contratto pubblicitario di 150.000 lire, che avrebbero<br />

pagato nel giro di un mese: eravamo felici, perché, facendo i conti, quel<br />

mese avremmo avuto quasi un milione e duecentomila di pubblicità: in quel<br />

momento è entrata la fotografina, che era stata col direttore a fare queste<br />

foto pubblicitarie, io ero scocciato, non ricordo per quale ragione, c'era<br />

Antonio sulla porta, "be', mi <strong>da</strong>i un passaggio, be', ci vediamo domani<br />

allora".<br />

La telefonata è arrivata alle dieci e mezza e, in questi casi, credo che la<br />

fisiologia dell'uomo ha le sue salvezze. Alle undici mi trovavo a fare il mio<br />

mestiere di cronista di nera e a rilevare distanze, a ricostruire traiettorie, a<br />

parlare con i testimoni, con i poliziotti; alle undici e un quarto eravamo<br />

all'ospe<strong>da</strong>le, molto calmi, c'erano delle cose <strong>da</strong> fare. Verso l'una e mezzo di<br />

notte ci siamo ritrovati, senza <strong>da</strong>rci alcuna indicazione, perché la sede ci<br />

faceva paura, a casa di una nostra amica, la signora Roccuzzo, che ha<br />

preparato il tè per tutti, e abbiamo cominciato a discutere: Lillo Venezia ha


detto che bisognava uscire subito, qualcun altro ha detto "in sede alla<br />

re<strong>da</strong>zione domani alle nove e mezzo". L'indomani trovammo <strong>da</strong>vanti alla<br />

sede un gruppo di ragazzi di un paesino in cui c'era la nostra tipografia, che<br />

erano venuti per fare la "diffusione militante" del giornale. Non sentivo <strong>da</strong><br />

parecchi anni la parola "militante", ero venuto a Catania per fare il<br />

borghese, non il rivoluzionario e alcuni meccanismi mentali si sono messi in<br />

moto: fare il giornale, organizzare la "diffusione militante", man<strong>da</strong>re subito<br />

qualcuno nelle scuole dove i ragazzi avevano le assemblee in corso.<br />

Un'altra fotografia potrebbe essere la nostra Cettina, che era a capo delle<br />

fotocompositrici, che piangeva e teneva in mano la strisciata delle<br />

fotocomposizioni, e così via. Uscita l'edizione straordinaria ci siamo trovati<br />

in una situazione che avevamo previsto molte volte, contro la quale nessuno<br />

di noi aveva la minima obiezione sul piano dell'analisi, è ovvio, siamo a<br />

Catania, c'è la mafia, la mafia ammazza, può capitare anche a noi, è nelle<br />

regole del gioco. Però una cosa è pensarlo, altra cosa è trovarsi<br />

improvvisamente immersi in una realtà che fa saltare ogni precedente punto<br />

di riferimento, impone per forza, a calci nel sedere, di cominciare a<br />

ragionare in modo radicalmente diverso. Alcune delle scelte fatte allora, non<br />

come scelte del momento, ma come scelte della realtà e come le uniche cose<br />

<strong>da</strong> fare in quel momento, erano scelte che, viste adesso, a cinque anni di<br />

distanza, hanno del miracoloso e sono come l'eredità che noi lasciamo al<br />

resto del movimento antimafioso. A partire <strong>da</strong> quel momento la re<strong>da</strong>zione si<br />

riunì ogni giorno, per tre quarti d'ora circa, per le riunioni operative, a turno<br />

qualcuno organizzava la scaletta con i punti <strong>da</strong> trattare, si <strong>da</strong>vano gli<br />

incarichi, poi si riferiva sugli incarichi del giorno prima, nel modo più<br />

naturale, senza che dovessimo obbligatoriamente schierarci per una<br />

posizione o per un partito.<br />

Nei primi giorni ci trovavamo totalmente isolati e ci siamo resi conto che<br />

non potevamo fare marcia indietro, che eravamo ormai troppo avanti e che<br />

l'avversario era estremamente potente, quindi dovevamo avere l'obiettivo<br />

immediato di moltiplicarci il più possibile, di esplodere, di non essere più<br />

giornale, ma di diventare, in tempi velocissimi movimento di massa. Come<br />

fare? Non eravamo politicizzati come gruppo, eravamo un giornale, non<br />

volevamo cadere nell'orbita ideologica di qualcuno, per motivi difensivi,<br />

dovevamo elaborare un'"ideologia" con obiettivi strategici intermedi e non<br />

ci aiutavano molto i libri, ma i ragazzini con cui parlavamo nelle assemblee<br />

nelle scuole eccetera. Nel giro di tre-quattro mesi si organizzò un mod di<br />

pensare molto caratteristico, basato sulle riunioni operative e su piccoli<br />

gruppi, non c'erano più di due o tre persone a fare la stessa cosa, con<br />

l'individuazione di una serie di obiettivi che centravano i punti di maggiore


contraddizione di una società mafiosa. Nostri interlocutori erano i ragazzi<br />

delle scuole, che non avevano il problema del posto o del lavoro, ma<br />

intendevano lottare per qualche cosa di più, una realizzazione della vita, una<br />

realizzazione di noi stessi: si trattava di una situazione emozionalmente<br />

molto alta che saltava i passaggi intermedi: il lavoro serve ad avere una<br />

sicurezza, una vita serena, mentre il ragazzino di liceo percepiva che si<br />

poteva essere immediatamente felici, che si poteva cercare immediatamente<br />

la sicurezza, che si potevano cercare subito alcune cose, non dopo il<br />

diploma o dopo il posto di lavoro, che si poteva avere molto senza bisogno<br />

di chiederlo a nessuno.<br />

Si formò così il movimento per i Centri Giovanili Autogestiti: si trattava<br />

di ragazzi che cercavano di aggregarsi intorno ad attività inventate sul<br />

momento. Grazie al lavoro della <strong>sinistra</strong> ufficiale non riuscimmo a<br />

conseguire l'obiettivo di occupare alcuni spazi, stabilimenti industriali<br />

abbandonati, perché questi locali erano già nell'ottica di, non vorrei usare la<br />

parola "intrallazzo", di un'operazione in cui doveva entrare l'Arci, un<br />

architetto di <strong>sinistra</strong>, che non andò mai in porto, ma sufficiente a mobilitare<br />

tutti contro il nostro tipo di progetto. Un'altra situazione contro cui ci<br />

trovammo a cozzare fu questa: sì, lottiamo contro la mafia, ma qui a Catania<br />

i mafiosi sono importanti, hanno le fabbriche, hanno i posti di lavoro in<br />

mano, e se acchiappano i mafiosi, che cavolo facciamo, le fabbriche<br />

chiudono e tutti a casa, discorso non di un professore, ma di una ragazzina,<br />

Sabina, figlia di un operaio di questi: rispondemmo elaborando una<br />

proposta alternativa, quella dell'utilizzo popolare dei beni mafiosi<br />

sequestrati, che dovevano essere posti sotto controllo di un organismo<br />

apposito e utilizzati per mantenere e aumentare l'occupazione. Questi due<br />

obiettivi, centri popolari autogestiti e utilizzazione alternativa dei beni<br />

mafiosi poi, due o tre anni dopo, divennero oggetto di conferenze, incontri,<br />

dibattiti della <strong>sinistra</strong> ufficiale, la Fgci, a fase conclusa, fece un bel<br />

documento sui centri giovanili e il Pci cominciò, timi<strong>da</strong>mente, a parlare di<br />

utilizzazione alternativa, ma nei sei mesi in cui questi obiettivi<br />

cominciavano ad aggregare forze, il ruolo della <strong>sinistra</strong> organizzata fu di<br />

netta e intransigente opposizione.<br />

Nella nostra storia abbiamo fatto <strong>da</strong> collettore, <strong>da</strong> canale catalizzatore, ma<br />

non erano nostre né le idee né la spinta che queste idee riuscivano a<br />

raccogliere: il solo nome dei Siciliani riuscì a coagulare, per un anno e<br />

mezzo circa una diversa <strong>sinistra</strong> che si basava sulla contraddizione reale<br />

esistente a Catania, tra il potere mafioso e la grande massa di coloro che <strong>da</strong><br />

questo potere erano espropriati. L'Associazione dei Siciliani, sorta<br />

parallelamente intorno al giornale, con intenti molto modesti, di aiutare


materialmente la diffusione, si trasformò rapi<strong>da</strong>mente in un'avanguardia<br />

politica che diventò un interlocutore ricercato <strong>da</strong>i partiti: ne facevano parte<br />

svariate persone, alcuni venivano <strong>da</strong>gli autonomi, altri erano liberali, altri<br />

comunisti in servizio permanente effettivo, altri cattolici: nel giro di pochi<br />

mesi queste componenti si erano omogeneizzate su ipotesi concrete, non<br />

tanto per la forza della nostra proposta, quanto per la debolezza delle<br />

proposte di partiti ufficiali.<br />

Ripensando a quegli anni ho una grande rabbia e un grande rimpianto: la<br />

rabbia è quella che, con il senno del poi, mi ispira la condotta della <strong>sinistra</strong><br />

ufficiale, quasi mai d'appoggio, qualche volta di sabotaggio, in ogni caso<br />

d'incomprensione totale; gli intellettuali che si raccolsero intorno all'ipotesi<br />

ebbero due tipi di comportamento, alcuni rimasero sino alla fine insieme a<br />

noi, quelli di <strong>sinistra</strong>, che non avevano mai fatto politica attiva eccetera,<br />

altri invece, alla prima possibilità, utilizzarono il peso nuovo acquisito<br />

individualmente, per precipitarsi in quella o questa soluzione di partito,<br />

molti in buona fede, ma con il risultato di bloccare lo sviluppo di un<br />

movimento a Catania, senza che nessuno peraltro riuscisse poi a spostare<br />

alcunché all'interno del palazzo in cui era entrato con il famoso obiettivo<br />

"cambiare <strong>da</strong>ll'interno".<br />

Sotto l'aspetto professionale I Siciliani erano già qualcosa di<br />

estremamente anomalo: il gruppo giornalistico nasce intorno al 1980, come<br />

gruppo dei cronisti del Giornale del Sud, con la precisa caratteristica della<br />

libertà d'iniziativa: non eravamo molto ortodossi come giornalisti, eravamo<br />

molto liberi nell'espressione, dopo una serie d'inchieste sulle carceri<br />

passammo per il "giornale della malavita", ed eravamo disponibilissimi a<br />

valerci delle fonti più svariate, per ultime quelle ufficiali; peraltro invece le<br />

esigenze del direttore erano ferocissime, l'orario di lavoro, teoricamente seisette<br />

ore, era assolutamente libero, ma per acquisire il fon<strong>da</strong>mentale diritto<br />

di an<strong>da</strong>re la notte in pizzeria, bisognava non an<strong>da</strong>re via <strong>da</strong>l giornale prima<br />

delle due di notte.<br />

Il giornale avversario era La Sicilia, il giornale dei cattivi, noi eravamo i<br />

buoni e non potevamo permetterci la minima svista, bisogna spesso creare<br />

la notizia, o far diventare notizia il crollo di un cornicione via Palermo 234,<br />

il direttore ci tirò fuori due pagine e mezzo bellissime perché la signora cui<br />

era caduto addosso il cornicione era la moglie di una guardia notturna,<br />

licenziata giorni prima per intrallazzi nella sua ditta, a pianoterra abitava un<br />

ragazzino arrestato pochi giorni prima per un furto, a sua volta "sciarriato"<br />

con il cognato per una storia di giornaletti pornografici rubati, insomma<br />

siamo stati su questa storia per quindici giorni scrivendo cose molto belle.<br />

Fummo licenziati tutti quando il direttore cominciò a fare campagna contro


la base di Comiso ed io contro Ferlito; ai Siciliani fu più dura, perché non<br />

avevamo una struttura organizzativa alle spalle, si an<strong>da</strong>va col biglietto<br />

d'an<strong>da</strong>ta per fare un'intervista, non si parlava d'alberghi o rimborsi, e<br />

tuttavia c'era questa forma di autodisciplina che ci spingeva a cercare e<br />

scrivere una cosa che nessun altro al mondo aveva.<br />

Non ci sentivamo, a partire <strong>da</strong>l direttore, dei grandi giornalisti e forse non<br />

ci sentivamo neanche dei giornalisti, ci sentivamo dei portavoce, gente che<br />

facesse un lavoro, diciamo per conto di qualcun altro: a questo buon<br />

mestiere ci siamo aggrappati soprattutto dopo il 5 gennaio 1984, lasciando<br />

entrare in dialettica, a nostra insaputa, due cose differenti, <strong>da</strong> un lato un<br />

livello molto alto di efficienza tecnica, le notizie erano buone e non sono<br />

mai state smentite, <strong>da</strong>ll'altro la necessità pressante di uscire <strong>da</strong>l ghetto, di<br />

essere punto di riferimento. Su questo abbiamo commesso infiniti errori, per<br />

lo più di timidezza nella campagna per la legge La Torre o nella vicen<strong>da</strong> dei<br />

Siciliani giovani, nato con un'assemblea di venti ragazzi, che alla secon<strong>da</strong><br />

assemblea erano diventati una sessantina e successivamente riuscì a<br />

coinvolgere 320 ragazzi. Eravamo molto forti su alcuni terreni, molto meno<br />

su altri, sul piano politico avevamo molta spinta, ma poca consapevolezza, e<br />

avevamo una fiducia smisurata nei cosiddetti intellettuali della <strong>sinistra</strong><br />

catanese, nel Pci, nei sin<strong>da</strong>cati, nella Lega delle cooperative: non erano<br />

l'ideale, ma altra cosa <strong>da</strong>lla Democrazia Cristiana, vuoi mettere? E tuttavia<br />

le delusioni erano frequenti. Questa situazione è durata per quattro anni,<br />

sino a quando non ci siamo trovati <strong>da</strong>vanti a una scelta: o arroccarsi nel<br />

mensile, che an<strong>da</strong>va bene, oppure giocare la carta del settimanale popolare,<br />

dove tutti potessero scrivere: abbiamo fatto tardi questa scelta, quando<br />

eravamo ridotti in pochi, isolati <strong>da</strong>lle forze politiche ufficiali. Era un brutto<br />

giornale sotto molti aspetti, fatto con mezzi deboli e in fretta.<br />

Per quanto riguar<strong>da</strong> la lotta alla mafia abbiamo portato, la realtà ci ha<br />

portato dei contenuti specifici, come nel caso dei "cavalieri di Catania": <strong>da</strong><br />

quando I Siciliani hanno cominciato a lottare, Rendo non è stato più il<br />

grande industriale progressista, la gente non ci crede più. C'era a Catania,<br />

non solo nel Pci, questa soli<strong>da</strong> convinzione: Catania è una città miserabile,<br />

africana, messicana, brasiliana, con i contadini col forcone, con Brancati, le<br />

donne vestite di nero, e quindi, giustamente, ci vuole la rivoluzione<br />

industriale, la borghesia moderna, ci vuole Rendo, non per un fatto di<br />

corruzione, ma per l'incapacità di elaborare un'analisi specifica sulla Sicilia,<br />

e così la maggior parte dei giornalisti del giornale di Rendo è iscritta al Pci.<br />

I "cavalieri" rappresentano una forma di potere mafioso, secondo me<br />

"ultima": la tipologia dei "cavalieri" catanesi, il tipo di potere, il tipo di<br />

rapporto mafia-politica si è sviluppato più tardi e più lentamente che a


Palermo, in una situazione più moderna, più metropolitana: Rendo è meno<br />

classico, meno radicato, ma molto più grosso di un Cassina, per esempio,<br />

opera con tipologie differenti.<br />

Un secondo contributo è stato quello del rapporto tra mafia e poteri<br />

occulti, per esempio la Massoneria, non privo di connessioni con il primo.<br />

Un terzo contributo, troncato <strong>da</strong>lla chiusura del giornale, è quello del<br />

rapporto "nuovo" tra mafia e politica: il rapporto tradizionale era di<br />

corruzione, nel senso che era il mafioso a corrompere il politico, il rapporto<br />

nuovo può essere inteso in senso opposto, cioè lo stato corrompe la mafia,<br />

ossia lo stato ha suoi interessi specifici, ad esempio l'intervento in un<br />

determinato scacchiere politico, tramite la fornitura di armi e si serve di<br />

strumenti a<strong>da</strong>tti, tra i quali può esserci qualche gruppo mafioso, collegato<br />

con l'imprenditorialità, cosicché il rapporto tra mafia e politica, le<br />

contraddizioni che ne conseguono, si spostano a livelli più alti, per cui,<br />

mentre ieri potevamo dire che il politico mafioso è Lima e che Andreotti è<br />

mafioso in quanto protettore di Lima, oggi possiamo dire che il politico<br />

mafioso è Andreotti e che Lima è mafioso in quanto dipendente <strong>da</strong><br />

Andreotti: diciamo che la mafia non è più un fatto parassitario dentro lo<br />

stato, ma tende ad inserirsi nel centro dello stato e, in taluni aspetti, a<br />

coincidere, quasi meccanicamente, con esso.<br />

Come in tutte le storie, diciamo pure come va a finire: I Siciliani non<br />

escono più <strong>da</strong> un anno e mezzo, è in corso una trattativa con la Lega delle<br />

Cooperative per fare un consorzio e rilanciare il giornale: alla fine il<br />

consorzio è stato fatto, ma con i "cavalieri" e non con noi e per tutte altre<br />

storie, per cui, proprio in questi giorni è partita una lettera di denuncia di<br />

questa trattativa; nel frattempo a Catania il giornale padronale, La Sicilia, ha<br />

cambiato direttore e ha cambiato il carattere delle testatine: questo è stato<br />

sufficiente a convincere i compagni perbene che La Sicilia era cambiata; il<br />

Pci sta facendo a Catania una buona campagna elettorale, con una bella<br />

lista, e con un programma in cui c'è la mafia a pagina uno, per dire che i<br />

commercianti sono incazzati per via delle estorsioni, e poi, <strong>da</strong> pagina due a<br />

pagina 143 un elenco di belle cose <strong>da</strong> fare. E' più o meno la nuova linea<br />

politica della Democrazia Cristiana, che non dice più a Catania che la mafia<br />

non esiste, che non bisogna fare in<strong>da</strong>gini sui "cavalieri", non spara più, il<br />

capolista è un signore perbene che fa parte del consiglio superiore della<br />

magistratura, tutto ritorna normale e si propone un grande patto con dentro<br />

il Pci: La Sicilia fa le lodi dei comunisti, i quali fanno le lodi de La Sicilia, è<br />

arrivato il pluralismo e anche nella stampa, perché non c'è più il giornale di<br />

Costanzo, ma anche il settimanale di Rendo, I Siciliani sono spariti, Antonio<br />

sta facendo un articolo per Il Manifesto, e forse glielo pagano, Claudio è


appena tornato <strong>da</strong>l Sud-America, dove ha cercato di raccogliere qualche<br />

cosa, Miki neanche questo, io sono qui, Elena ha abbandonato il mestiere e<br />

sta facendo le supplenze, ogni tanto ci si vede e si chiacchiera: ci siamo <strong>da</strong>ti<br />

appuntamento tra un anno, le idee sono tante e belle, siamo abbastanza<br />

ottimisti, e adesso sappiamo come si fa un giornale in Sicilia, cioè<br />

coinvolgendo centinaia di persone che giornalisti non sono, sappiamo che<br />

un giornale in Sicilia non ce lo farà nessuno e che potrà spuntare se un<br />

organismo collettivo, non legato al "palazzo", si porrà quest'obiettivo in<br />

tempi lunghi, lavorando intanto per realizzarlo senza sperare in vie di<br />

mezzo; sappiamo anche che <strong>da</strong>ll'aspetto tecnico si possono fare molte cose e<br />

con pochi soldi attraverso i computers.<br />

Quando abbiamo iniziato I Siciliani ci siamo indebitati per circa 250<br />

milioni, comportandoci <strong>da</strong> milanesi, rispetto a furbi milanesi che si sono<br />

comportati <strong>da</strong> catanesi: gli stessi materiali, con la stessa funzionalità, adesso<br />

si potrebbero trovare per 60 milioni. Infine, sul piano dell'esperienza di<br />

mestiere, per una volta voglio ricor<strong>da</strong>re persone di cui nessuno parla, Miki<br />

Gambino, il miglior cronista di nera in Sicilia, il nostro fotografo, Nuccio<br />

Fazio, la fotografina Giusi Spampinato, la nostro compositrice Cettina,<br />

adesso a Milano perché non ha più trovato lavoro, Mario Sparti, il nostro<br />

tipografo, il prof. D'Urso, il primo in Italia a intuire il rapporto tra logge<br />

massoniche e mafia. Insomma un'esperienza come la nostra ha coinvolto<br />

tante persone ed ha lasciato in ognuno qualcosa: io penso che saranno loro a<br />

girare la prossima puntata.


LETTERA A UN DIRIGENTE COMUNISTA<br />

1988<br />

Caro * * *<br />

le mie critiche - fra compagni - al vostro lavoro riguar<strong>da</strong>no<br />

essenzialmente quattro punti, che vorrei cercare di esporti.<br />

1. Quanti sono i cavalieri? Solo Graci, Costanzo e Finocchiaro, oppure<br />

anche Rendo? Non è una questione <strong>da</strong> poco. Eppure, io temo che non siano<br />

molti oggi i vostri compagni in grado di rispondere in maniera univoca a<br />

questa doman<strong>da</strong>. I motivi sono molti e non necessariamente deplorevoli: un<br />

aspetto molto positivo della tradizione comunista è la tendenza a<br />

disaggregare l'avversario, a non considerarlo monolitico. E, nel momento in<br />

cui tu e Adriana siete in scontro diretto coi tre, e la linea su Graci e<br />

Costanzo è d'attacco, si potrebbe anche pensare a dei nemici <strong>da</strong> attaccare<br />

subito, e altri in un secondo momento. Ma la faccen<strong>da</strong> è diversa.<br />

Io temo fortemente che salvare Rendo ("democratico", "costretto", "con<br />

cui si può ragionare") sia l'equivalente attuale della ideologia di appena<br />

dieci anni fa, secondo cui i cavalieri ("moderni" rispetto agli agrari o ai<br />

Massiminio) erano l'equivalente locale della famosa borghesia produttiva,<br />

oggettivamente interessate al cambiamento, con cui si può utilizzare se non<br />

un'alleanza quanto meno una temporanea convergenza d'interessi. Quel<br />

modo di pensare allora portò al disastro, e aprì i varchi a un compromesso<br />

più strutturale che praticamente tagliò fuori il Pci catanese <strong>da</strong> ogni<br />

possibilità d'opposizione. Ieri i cavalieri nel loro complesso, e oggi Rendo<br />

(e Ciancio, e Conservo ecc.)? State attenti. Voi oggi vi state finalmente<br />

battendo, e hai visto che già non è facile portare il partito contro Costanzo:<br />

ma non lasciate questa mina vagante sulla vostra rotta, perché non potreste<br />

gestirne in alcuna maniera le conseguenze di medio e lungo periodo. Io<br />

sono a Catania <strong>da</strong> nove anni: all'inizio litigavo con voi perché non volevo la<br />

pubblicità di Costanzo alla festa dell'Unità; e poi <strong>da</strong>gli altri cavalieri, e poi<br />

di Rendo. Certo, il tempo passa, ma vorrei che passasse più in fretta.<br />

Scusa le cattiverie. Il fatto è che voi in questo momento non avete affatto<br />

una linea chiara e inequivocabile su Rendo, e sono in molti ad avere<br />

interesse che possibilità d'equivoco ci sia. E' chiaro l'orientamento del<br />

nuovo (radicato?) gruppo dirigente catanese. Non lo è affatto quello<br />

dell'area comunista (professioni, cooperative, sin<strong>da</strong>cato) nel suo complesso,<br />

senza il quale ci si salva l'anima individualmente ma non si fa peso.<br />

2. Io non vi accuso di farvi pagare la sede <strong>da</strong> Costanzo. Mi piacerebbe,<br />

perché in tal caso la faccen<strong>da</strong> sarebbe relativamente facile <strong>da</strong> sanare - un<br />

problema "di polizia", non politico. Purtroppo, il problema è invece di


struttura. La grande maggioranza del mondo delle professioni catanese - in<br />

cui il vostro ceto dirigente è inserito quasi interamente - era dieci anni fa, e<br />

in misura notevole è tuttora, del tutto organica al sistema di potere dei<br />

cavalieri. Non nel senso di una corruzione spicciola, che in alcuni casi non<br />

poteva mancare ma che è patologia. Ma nel senso di una sostanziale<br />

identificazione del proprio status professionale e sociale con l'implicita<br />

accettazione del regime vigente - che qui, per avventura, è mafioso. Questo<br />

non appartiene più alla patologia del sistema, ma alla sua fisiologia; e<br />

richiede quindi, per essere contrastato, interventi molto più consapevoli,<br />

"esemplari" e radicali.<br />

A me non interessa affatto se un professor Barcellona, come suo otium,<br />

produca uno o più poemetti di filosofia rivoluzionaria: anche i nostri baroni<br />

del '700 erano spesso "illuministi" (ma sul feudo facevano i baroni).<br />

M'interessa semplicemente che pren<strong>da</strong> posizione contro il giornale dei<br />

padroni, o perlomeno che non faccia <strong>da</strong>nno. A me non interessa che un<br />

avvocato, un architetto, un giornalista "scen<strong>da</strong>no in piazza contro la mafia";<br />

m'interessa quel che fanno in ciascuno degli altri trecentosessantaquattro<br />

giorni come avvocato, come architetto, come giornalista. Chi sono i loro<br />

clienti, per chi e cosa lavorano, chi li paga - non di notte al bar del porto, ma<br />

alla luce del sole e nell'esercizio delle loro funzioni.<br />

Ma la neutralità del tecnico, ma il proprio privato, ma la professionalità...<br />

Tutte cose sante e benedette. Però nel trentasei un comunista non avrebbe<br />

costruito la villa di un Farinacci. Intanto, non gliel'avrebbero chiesto; e poi<br />

il partito l'avrebbe comunque espulso, col massimo della pubblicità<br />

consentita <strong>da</strong>lle circostanze. E anch'io faccio il professionista: ma so<br />

scegliermi i miei clienti. Certo, non è agevole: la struttura sociale, qui, non<br />

lascia molto spazio fra integrazione ed emarginazione. Ma non sono stato io<br />

a inventare Catania. E nessuno è tenuto a fare il comunista se non se la<br />

sente. A Bronte c'erano i "berretti" e c'erano i "cappelli"; e c'erano i<br />

borbonici e c'erano i liberali. I "cappelli" liberali parlavano molto bene, ma i<br />

contadini intuivano che il notaio prima è notaio e poi è liberale: come<br />

potevano credere nella "Talia"?<br />

E' questo il nocciolo del problema. Non è un problema "comunista" e<br />

neppure propriamente "politico", ma semplicemente una questione di classe.<br />

Nella <strong>sinistra</strong> catanese, a un certo punto, è diventata opinione comune<br />

(favorita <strong>da</strong>lla particolare ideologia di cui s'è detto sopra) che fosse<br />

possibile e comunque tollerabile servire contemporaneamente l'opposizione<br />

e i cavalieri. Su questo "senso comune" (di classe!) si è innestato il decennio<br />

di compromesso fra area comunista e cavalieri. Compromesso strutturale,<br />

non culturale. Io credo, adesso, alla vostra volontà di rimuoverlo. Ma questo


si può fare, solo in maniera traumatica: il genero di Breznev non è stato<br />

allontanato alla chetichella, ma è finito in galera.<br />

L'esempio del caso Leone, in questo quadro, è illuminante. Io vi avevo<br />

pur passato la palla buona: voi avreste potuto riprendere in maniera<br />

altrettanto felice l'iniziativa: avevate le carte per un gesto clamoroso, utile,<br />

vincente. Avete preferito lavare i panni sporchi in famiglia, nell'ingenua<br />

convinzione del minor <strong>da</strong>nno. Leone, naturalmente, alla fine è passato ai<br />

craxisti, gestendo lui fino all'ultimo il proprio rapporto col partito: prima vi<br />

ha usato stando con voi, poi lasciandovi; il <strong>da</strong>nno per il partito, prima e<br />

dopo, è stato incalcolabile. Io pezzo isolato, prima l'ho contrastato come<br />

infiltrato, poi vi ho <strong>da</strong>to modo di liberarvene; voi abili dirigenti di partito<br />

prima l'avete lasciato fare, poi non siete stati capaci di ricavare almeno il<br />

vantaggio politico della sua espulsione.<br />

Non è ozioso aggiungere che i miei interventi su Leone, e su altro, io li ho<br />

pagati. Prima, quando attaccavo Leone, facendovi la nomea di<br />

rompicoglioni presso il gruppo dirigente (non innocente) del partito; e ora,<br />

quando "ho sbattuto sul tavolo di Colajanni" le carte che vi avrebbero<br />

dovuto indurre a espellerlo, attirandomi l'ostilità dei vecchi dirigenti e dei<br />

nuovi. Tu sai che Mancuso, a Palermo, si sentì apostrofare "Ma perché<br />

appoggiate quel mascalzone di Orioles?" <strong>da</strong> una vostra autorevole<br />

esponente? Sai che Rizzo minacciò la crisi se orlando avesse <strong>da</strong>to corso al<br />

suo progetto di farmi fare un giornale? E che fino a due mesi fa dirigenti<br />

meno autorevoli del partito palermitano hanno fatto pressioni molto serie<br />

nello stesso senso? Io ho perso l'ultima occasione di restare in Sicilia,<br />

perché alcuni dirigenti del partito comunista palermitano lo hanno impedito,<br />

o hanno concorso ad impedirlo: non accuso il partito per questo, ma<br />

gl'individui sì, politicamente e moralmente. E mi scuso di aver tirato in<br />

ballo una questione "personale", ma è una questione politica anch'essa, e<br />

non va rimossa.<br />

3. Sul terzo punto - che diamine sperate di ricavare schierandovi con La<br />

Sicilia - non presumo di riuscire minimamente a scalfire le vostre certezze e<br />

desidero solo lasciare una testimonianza a futura memoria, per quando il<br />

prevedibile svolgersi degli avvenimenti vi chiarirà il vostro errore meglio di<br />

mille discorsi. Voi in questo momento siete molto commossi <strong>da</strong>l fatto che la<br />

Sicilia non protegge più i mafiosi del plotone fucilieri, e ne ricavate le stesse<br />

irrazionali aspettative di dieci anni fa: finalmente La Sicilia è cambiata,<br />

adesso c'è almeno un po' di democrazia <strong>da</strong> gestire, ci saranno degli spazi là<br />

dentro anche per noi. Illusioni. I padroni de La Sicilia sono sempre Ciancio<br />

e Costanzo, e nessuno di loro è un editore puro. Essi non potranno mai <strong>da</strong>re<br />

uno spazio reale a delle battaglie di opposizione; lo <strong>da</strong>rebbero - e di fatto lo


<strong>da</strong>nno - solo a passatempi inoffensivi; e in questo caso, farebbe loro comodo<br />

che fossero targati Pci, primo perché inoffensivi e secondo perché utili a <strong>da</strong>r<br />

loro il mezzo di mostrarsi "democratici" e "pluralisti". Ma sulle cose serie,<br />

come comunisti, non vi accetteranno mai: il giorno che vi accetteranno,<br />

vorrà dire semplicemente che avrete cessato di essere tali.<br />

Fate pure, comunque, le vostre esperienze. Evidentemente, bisogna che<br />

percorriate fino in fondo questa stra<strong>da</strong>: perché è la stra<strong>da</strong> facile, e voi qui<br />

non avete lo spessore storico per ipotizzarne <strong>un'altra</strong>. Ci sono dei giornalisti,<br />

fra voi, e alcuni hanno pure ancora l'età in cui si possono investire alcuni<br />

anni della propria vita su una bella avventura. Vi siete mai chiesti come mai<br />

ci sia voluto un gruppo "anomalo", esterno al partito, per intuire che a<br />

Catania bisognava fare un altro giornale? E' possibile che, non dico come<br />

opposizione, ma almeno come partito, non sentiate il bisogno di spazi<br />

d'informazione vostri, che non comprendiate quanto sia precario e perdente<br />

ritagliarsi angolini nella stampa del padrone?<br />

Ma <strong>da</strong>vvero c'è ancora bisogno di ripetere queste cose? Io mi chiedo<br />

ancora, e non riesco a farmene una ragione, quali possano essere le radici di<br />

una situazione penosa come quella delle assemblee di dicembre in cui una<br />

vostra ottima militante - seria, colta, impegnata - con ogni studio cercava di<br />

salvare La Sicilia di Ciancio. "Il monopolio dell'informazione della Sicilia<br />

di Ciancio e Costanzo..." Della Sicilia di Ciancio. "Il monopolio<br />

dell'informazione della Sicilia di Ciancio...". Della Sicilia e basta. "Il<br />

monopolio dell'informazione della Sicilia..." Non potremmo mettere il<br />

monopolio dell'informazione e basta?<br />

Su un episodio del genere, io sono stato male, perché per me è stato un<br />

campanello d'allarme. La compagna che esprimeva là quelle posizioni aveva<br />

tenuto botta bene, negli anni più duri; su La Sicilia di Ciancio, aveva fatto<br />

interventi, opuscoli e parte d'un libro. E ora eccola là a difendere, in buona<br />

sostanza, quelle posizioni. Come ci si è potuti arrivare? E' solo colpa sua? Io<br />

credo che ci sia molto <strong>da</strong> riflettere, prima di poter <strong>da</strong>re una risposta.<br />

Ho sempre a distinguere, nella vicen<strong>da</strong> delle trattive per I Siciliani, le<br />

responsabilità della Lega (e anche qui: la nazionale <strong>da</strong>lla catanese; in dubio<br />

pro reo) <strong>da</strong> quelle del Pci di Catania, che si è schierato <strong>da</strong>lla parte nostra.<br />

Ma nei vostri documenti, nei vostri interventi <strong>da</strong> sette mesi a questa parte, I<br />

Siciliani sono spariti del tutto e c'è invece, a tutto campo, La Sicilia di<br />

Milazzo. Voi forse non ve ne sarete accorti, ma mezza dozzina di giornalisti<br />

in qualche modo vostri sono spariti <strong>da</strong> Catania; e ve ne an<strong>da</strong>te mendicando<br />

le benevolenze del direttore di Ciancio. Io mi sforzo molto di trovare una<br />

qualche razionalità, un qualche abbozzo di metodo in questo vostro<br />

atteggiamento; ma non ci riesco; e non posso, e malvolentieri, che


attribuirlo a superficialità politica e a una forte sottovalutazione, <strong>da</strong> parte<br />

vostra, di voi stessi.<br />

Non credo sia facile far comprendere ad altre persone come alcuni di noi<br />

hanno vissuto questa fase del "problema dell'informazione" a Catania. Voi<br />

del Pci vi battevate per noi in corridoio di Lega, ma intanto rimuovevate <strong>da</strong>i<br />

vostri documenti politici, la nostra esistenza, vi schieravate - nel settore<br />

specifico - con Ciancio e Milazzo, e quanto a linea politica antimafiosa,<br />

precipitavate esattamente in quell'unanimismo che noi (prima e dopo<br />

Giuseppe Fava) abbiamo sempre cercato di denunciare. Le trattative; ci<br />

veniva chiesto passo dopo l'altro di rinunciare al direttore, di cambiare linea<br />

politica (ricordo ancora le discussioni su "troppo cavalieri"), di partire<br />

<strong>da</strong>ll'idea di prendere o lasciare, di restar fuori - come Siciliani - <strong>da</strong>lle<br />

trattative fatte <strong>da</strong>lla Ra<strong>da</strong>r; ci venivano cestinati promemoria e preventivi<br />

professionali costati tempo, soldi e fatica e ci venivano sprezzantemente<br />

gettati <strong>da</strong>vanti ("prendere o lasciare") preventivi abborracciati alla meglio<br />

<strong>da</strong> "eccelsi professionisti", roba che ignorava persino l'esistenza dei<br />

computer; ci si faceva capire in tutte le maniere che la nostra esperienza<br />

politica era nel migliore dei casi folle, e le nostre professionalità alquanto <strong>da</strong><br />

verificare. E noi, in buona sostanza, sottostavamo a tutto questo. C'eravamo<br />

opposti a Rendo e Costanzo, avevamo combattuto, rischiato la vita,<br />

organizzato, fatto un giornale esemplare con mezzi inesistenti e ora<br />

dovevamo accettare la lezione dei burocrati di Catania, di Palermo, di<br />

Roma. Quante volte, del resto, questo si era già visto nella storia! Quanti<br />

garibaldini di fronte ai generali piemontesi, quanti ex-partigiani di fronte ai<br />

compagni "responsabili"! E d'altronde, avevamo perduto la nostra guerra; e<br />

dovevamo accettare. Perché sentivamo il dovere quasi religioso, profondo,<br />

di salvare perlomeno il salvabile, di non permettere che un'esperienza com<br />

questa an<strong>da</strong>sse dispersa senza lasciare traccia. "Fon<strong>da</strong>tore Giuseppe Fava":<br />

non hai idea della responsabilità, e del peso, che queste parole possono<br />

comportare, e dei rischi a cui ci si può sottoporre per esse, e delle pene, e<br />

delle umiliazioni.<br />

Due anni e mezzo di trattativa. E in due anni e mezzo, mese per mese,<br />

cercare di resistere e di riorganizzare qualcosa, e vedere intanto con terrore i<br />

compagni che (non per loro colpa) cominciano a sban<strong>da</strong>rsi, e nel frattempo<br />

fare letteralmente la fame, cercare di "sopravvivere in qualche modo a un<br />

maccartismo; non essere ing rado, restando qui in Sicilia, neanche di curare<br />

i propri cari; e restare lo stesso, in nome di un dovere. E dopo tutto questo,<br />

venire a sapere che in tutto questo frattempo la Lega - I Siciliani, gli<br />

emiliani, Roma: ci sarà tempo per analizzare le singole colpe - faceva affari<br />

con i cavalieri! Ti riesce difficile comprendere perché uno, a questo punto,


decide - alla disperata, per fargliela almeno pagare - di <strong>da</strong>re battaglia? E tu,<br />

cos'avresti fatto al mio posto?<br />

4. Ci sono due modi conosciuti per fare un movimento. Il più semplice<br />

consiste nel riunirsi, almeno in tre, nei locali della federazione, mettere la<br />

questione del movimento all'ordine del giorno, fare un comunicato ai<br />

giornali e stampare un volantino: contro la mafia, per il Nicaragua, per la<br />

riduzione della leva: gli argomenti non mancano e non è difficile scegliere.<br />

Se, fra tutt'e tre i partecipanti al movimento, si riesce a non fare o dire<br />

alcunché che dia atto a sospetti di effettiva pericolosità sociale, il<br />

movimento avrà successo: nel senso che i giornali - anche quelli dei<br />

mafiosi, dei contres, dello Stato Maggiore - ne <strong>da</strong>ranno simpaticamente<br />

conto ai loro lettori, <strong>da</strong>ranno con regolarità notizie delle attività del<br />

movimento, assessori e notabili lo prenderanno a interlocutore, si verrà<br />

invitati ai dibattiti al Club della Stampa ecc. ecc. Tutto ciò non è<br />

tecnicamente difficile <strong>da</strong> conseguire, produce un surplus di status sociale<br />

"progressista", non suscita grandi opposizioni ed ha l'unico inconveniente di<br />

essere, a parte i vantaggi sopraelencati, assolutamente inutile.<br />

In effetti non c'è nulla al mondo che ci vieti - purché cittadini italiani,<br />

maggiorenni e vaccinati - di giocare al coordinamento antimafia, al prete<br />

Pintacu<strong>da</strong> o al sin<strong>da</strong>co Orlando. Il fatto è che i preti palermitani, per<br />

esempio, han cominciato a far intervento di quartiere circa sedici anni fa. Il<br />

Coordinamento antimafia di Palermo, lungi <strong>da</strong>l farsi coccolare <strong>da</strong>lla stampa<br />

locale, in almeno tre casi ha condotto operazioni di rottura traumatica e<br />

"settaria" non solo nella città, ma nella stessa <strong>sinistra</strong> organizzata. E quanto<br />

al sin<strong>da</strong>co Orlando, non è il frutto di un accordo fra Andò e Nicolosi.<br />

Sin<strong>da</strong>co coordinamento e preti, con tutto ciò vivono precariamente, appesi a<br />

un filo, fra continue invenzioni tattiche e continue forzature, costretti a<br />

inventarci un fronte nuovo ogni giorno per non essere travolti su tutti gli<br />

altri. Ci riescono perché hanno le idee chiare su possibili alleati e nemici,<br />

perché non dimenticano neanche per un istante gli assetti di potere reali,<br />

perché hanno (che non guasta) un altissimo grado di professionalità politica,<br />

e soprattutto perché non sono partiti <strong>da</strong> palazzo Biscari ma <strong>da</strong>ll'Albergheria.<br />

Qui, l'unico che - dopo I Siciliani - abbia una vera presenza nel sociale, e la<br />

consapevolezza di giocar la partita su di essa - è il gruppo di padre Resca:<br />

mentre gli antimafiosi perbene organizzavano le desolanti discussioni su La<br />

Sicilia che ho detto, a San Pietro e Paolo facevano la festa degli immigrati<br />

con due o trecento senegalesi. Con tutto ciò, Resca - <strong>da</strong> persona seria - non<br />

crede affatto di aver fatto un movimento. Ma di avere appena cominciato a<br />

lavorarci. Noi - <strong>sinistra</strong> catanese intendo - possiamo puntare su aggregazioni<br />

di questo genere, lavorare seriamente al loro fianco (con assoluta umiltà e


senza fessi tentativi di "manovre <strong>da</strong>ll'interno") per un paio d'anni, e poi -<br />

forse - fare domande in bollo per chiamarci movimento. Prima, no: non<br />

tanto perché sarebbe ridicolo; ma perché sarebbe equivoco e <strong>da</strong>nnoso.<br />

Io non ho alcun entusiasmo, per esempio, per il vostro "movimento" di<br />

piazza Europa, per il vostro sin<strong>da</strong>co che gui<strong>da</strong> l'autobus, per i vostri<br />

cantastorie di quartiere. Tutte cose bellissime, non lo nego. Ma non mi fido.<br />

E' roba che non divide; roba che la Sicilia può tranquillamente applaudire;<br />

roba <strong>da</strong> "cappelli" liberali, non sedimento d'opposizione.<br />

Un movimento, a Catania, in qualche rudimentale maniera aveva<br />

cominciato a formarsi. Quello che si stava sedimentando attorno a Siciliani<br />

Giovani e (in minor misura) all'Associazione I Siciliani. Una cosa rozza,<br />

d'accordo, con mille ambiguità e debolezze e difficilissima <strong>da</strong> seguire. Ma<br />

sostanzialmente sana, e perlomeno reale.<br />

Si trattava di organizzare in un'opposizione di fatto della gente quasi<br />

completamente spoliticizzata, senza strumenti culturali preesistenti, ma<br />

nuova, e vogliosa di fare. Arrivava il liceale diciassettenne e ti chiedeva<br />

(giustamente: perché cominciava ora, a chiedersi le cose) se <strong>da</strong>vvero a<br />

Catania ci fosse la mafia. E tu, dopo qualche anno di Siciliani e un amico<br />

ammazzato <strong>da</strong>i mafiosi, calavi doverosamente le corna e gli dimostravi<br />

oggettivamente, con tutte la pazienza di questo mondo, come e qualmente si<br />

può parlare di mafia a Catania! E cercavi di farlo senza imporgli<br />

sedimentazioni culturali non sue, rispettandolo; insegnandogli le cose fino a<br />

un certo punto, ma scommettendo per il rimanente che ci sarebbe arrivato<br />

<strong>da</strong> solo, avendo fiducia in lui; cercando di metterlo in grado di operare<br />

concretamente, di contare, di rendersi indipendente <strong>da</strong> te. Buon cuore? No:<br />

buon marxismo, di quello serio: di quello che distingue tra filosofia e<br />

ideologia, che conosce il concetto di dialettica, che considera la struttura<br />

prima della sovrastruttura, che fa lotte di classe (ora!? e dove sono le classi?<br />

Anche cent'anni fa, non vedendole nelle forme solite, se lo chiedevano in<br />

molti) e non propagan<strong>da</strong>.<br />

Assemblee interminabili, logoranti, per convincere quel ragazzo là in<br />

fondo che non ci stiamo "facendo strumentalizzare", e che però non<br />

possiamo limitarci e protestare, e che quindi dobbiamo prendere noi<br />

l'iniziativa, e che quindi ci vuole una buona organizzazione, e che<br />

organizzarsi ha certi vantaggi e certi rischi, e che... Cercando di<br />

convincerlo, e anche di imparare <strong>da</strong> lui qualcosa. E incontri <strong>da</strong> Helzapoppin,<br />

con cooperative sin<strong>da</strong>cato - e non ti dico il partito - e anime belle, cercando<br />

pazientemente di non rompere, di tirarteli dietro almeno per un poco di<br />

stra<strong>da</strong>, almeno su qualche cosa, almeno in parte. E tutto questo, in mezzo al<br />

fare il giornale, al dolore e alla povertà, alle centouna piccolissime


incombenze di ogni giorno, alla inesperienza propria e dei compagni, alla<br />

paura fisica e alla paura di non fare in tempo: perché si vedeva niti<strong>da</strong>mente<br />

che il tempo - prima che la porta si richiudesse - era molto poco. E alla fine<br />

di tutto questo, qualcosa che cominciava vagamente ad assomigliare a un<br />

movimento: qualche decina di militanti più o meno omogenei ma tutto<br />

sommato coesi, un gruppetto - efficientissimo! - di ragazzi per ogni scuola,<br />

un paio di obiettivi intermedi (la gestione sociale della legge La Torre e i<br />

centri giovanili: dopo qualche anno ci siete arrivati anche voi) per tenere<br />

insieme in maniera non episodica tutta la faccen<strong>da</strong>. E funzionava. Col<br />

tempo, avrebbe potuto arrivare ad essere il famoso "movimento" di cui con<br />

tanta leggerezza ora si parla.<br />

Ma il tempo non c'è stato. La caduta del giornale è arrivata prima che<br />

tutto ciò che stava attorno al giornale avesse raggiunto la possibilità di stare<br />

sulle proprie gambe. due anni e mezzo di "trattative"! Prova a rileggere<br />

questa frase alla luce di quel che hai sentito dire: del ruolo politico dei<br />

Siciliani, voglio dire: di tutto quel che veramente poteva cambiare a Catania<br />

e non è cambiato. Perché non c'è più stato qualcosa, qui, di paragonabile a<br />

quel che si aggregò allora attorno al giornale; e passerà molto tempo prima<br />

che ci sia.<br />

Nuccio, fotografo, vent'anni d'emarginazione alle spalle, che viene<br />

man<strong>da</strong>to a organizzare SicilianiGiovani a Enna o Caltanissetta, e ci riesce<br />

perfettamente come il più consumato militante; Ester, fisioterapista, che in<br />

sei mesi diventa una discreta cronista e un'efficientissima agitatrice;<br />

Rosalba che torna al suo paese in montagna e subito mette in piedi il<br />

collettivo femminista e il giornaletto locale; Sabina, Fabio, Antonella,<br />

Gianfranco, che prima organizzano Siciliani/Giovani nelle scuole e dopo la<br />

caduta del giornale cercano come possono, senza collegamenti, di<br />

continuare a lottare (ci sono anche loro nell'Experia: tre mesi d'occupazione,<br />

e quattro "avvertimenti"); Maurizio della Fgci di Battiati, che il 6 gennaio<br />

84 era alla porta della re<strong>da</strong>zione per organizzare la diffusione militante di un<br />

giornale che nessuno sapeva se sarebbe uscito ancora... Non credo che a te<br />

possano dire molto questi nomi. E invece sono loro i compagni, loro i veri<br />

riferimenti politici, altro che i vostri intellettuali perbene: su di loro,<br />

bisognava avere il coraggio di puntare.<br />

E ora che me ne devo an<strong>da</strong>re - non per mia volontà - <strong>da</strong> Catania, e che è il<br />

momento di tirare le somme, mi restano questi nomi; i loro, e quelli di<br />

pochissimi intellettuali (D'Urso, Scidà, "Castoro", Resca, forse altri tre o<br />

quattro) che hanno avuto il coraggio di prendere fino in fondo sul serio le<br />

cose che scrivevamo e di costruirci attorno la loro vita. Essi, nella loro<br />

ingenuità e inesperienza, avevano capito tuttavia la cosa principale: che non


si dà opposizione qui che non sia totale: non per partito preso, per<br />

malaccorto estremismo, ma perché proprio il sistema non lascia spazio, qui<br />

ed ora, per mezze misure e mediazioni.<br />

Era commovente veder con quanta esitante determinazione questi ragazzi<br />

cercavano di assumere questo ruolo, di star dietro alle cose, d'imparare.<br />

Esseri umani diversissimi fra loro, provenienti <strong>da</strong>i più diversi pregiudizi,<br />

sconosciuti l'uno all'altro fino a pochi giorni prima, che rapi<strong>da</strong>mente si<br />

amalgamavano, maturavano con i compagni, si schieravano col cervello e<br />

col cuore dov'era necessario che si schierassero; mai, in tanti anni, avevo<br />

visto nulla di così profon<strong>da</strong>mente rivoluzionario come questo loro venire<br />

avanti. E quando mai, d'altra parte, è possibile vedere tutto questo, se non<br />

nei momenti di vera e propria Resistenza?<br />

Ma ora sto divagando. E' che ero, e sono, profon<strong>da</strong>mente orgoglioso di<br />

loro. E mi fa male vederli spazzati via <strong>da</strong>l meccanismo cui anche voi vi<br />

siete adeguati, sostituiti sprezzantemente <strong>da</strong>l "rinnovamento" ufficiale. Ma<br />

preferisco essere perdente insieme a loro, che vincitore senza: perché so<br />

quel che hanno rappresentato, e che potevano rappresentare, per questa<br />

città, e la tragedia dell'emarginazione di questa possibile <strong>sinistra</strong>, di questa<br />

possibile classe dirigente. Chi voi, incredibilmente, non avete visto. se <strong>da</strong><br />

parte vostra ci fosse stato non dico un progetto politico ma un minimo di<br />

consapevolezza, noi già nell'85 saremmo an<strong>da</strong>ti al Comune con una lista<br />

unitaria, avremmo spaccato veramente la Dc, vi avremmo - fra l'altro -<br />

portato là non come il fiore all'occhiello di Andò e Nicolosi, ma come<br />

un'avanguardia del movimento.<br />

Un movimento è una cosa seria, difficile e concreta, non una sommatoria<br />

di movimentatori di mestiere. Un movimento deve avere una sua<br />

piattaforma, una sua dinamica autonoma, soprattutto dei suoi militanti. Un<br />

movimento non può permettersi di "unire le forze democratiche", di mediare<br />

per principio, perché il suo ruolo è esattamente l'opposto: rompere le<br />

contraddizioni, far venire fuori nuove forze, <strong>da</strong>re coscienza a dei soggetti<br />

nuovi.<br />

E' scomodo, un movimento: metà della città lo applaude, ma l'altra metà<br />

gli spara. Non è "brillante" né viene invitato ai dibattiti, ed è in cattivi<br />

rapporti coi provveditorati. E' semplice, rozzo e chiaro. Vuoi sapere com'è<br />

fatto, per esempio, un movimento contro la droga? C'era <strong>da</strong> fare un corteo,<br />

alla fine dell'84, di studenti contro i cavalieri. Un gruppetto dei nostri la<br />

settimana prima la passò a Piazza Roma, a Largo Aquileia e negli altri posti<br />

di spaccio. Parlarono con tutti, e soprattutto con quelli con cui di solito non<br />

si parla (se non <strong>da</strong>ll'alto di una cattedra e con grandi parole, ai convegni<br />

ufficiali). La mattina della manifestazione c'erano venticinque


tossicodipendenti, nel corteo, senza vittimismo e senza particolari parole, a<br />

gri<strong>da</strong>re Graci, Rendo, Costanzo, Finocchiaro con tutti gli altri ragazzi della<br />

loro età, come tutti gli altri.<br />

Ma forse queste cose non si vedono, <strong>da</strong>i palazzi (e <strong>da</strong>lle università, e <strong>da</strong>lle<br />

federazioni). E mi scuso per essermi dilungato, e per la confusione, perché<br />

tanto è un capitolo finito.<br />

E confuso, veramente, dev'essere tutto questo quaderno, scritto in fretta,<br />

fra una cosa e l'altra della partenza; ma scritto con l'intento di giovare.<br />

Perché ti sembrerà strano, ma in questa e in altre occasioni un compagno<br />

può anche ritenere di essere obbligato, in mancanza di altri che lo facciano,<br />

a dire le cose scomode, ad avvertire i compagni. Certo, questo non serve a<br />

creare particolari popolarità: tutto quel che ho detto o fatto a Catania, d'altra<br />

parte, l'ho regolarmente pagato di persona: le critiche ai compagni, come gli<br />

attacchi ai nemici. Non me ne vado ricco, né avendo fatto carriera. Questo<br />

non significa che bisogni necessariamente condividere ciò che dico.<br />

Significa che si può almeno ascoltarlo come l'opinione di uno che, a dire<br />

quel che dice non ci gua<strong>da</strong>gna niente; e che medita prima di parlare di<br />

argomenti come questi; e che non è del tutto privo di esperienze tali <strong>da</strong><br />

permettergli di parlarne.<br />

Hai avuto la pazienza di seguirmi fin qua? Non è poco merito. Ma attento:<br />

la vostra responsabilità di militanti, e la tua personale, in questo momento è<br />

molto più grave del solito, perché voi siete l'unico gruppo dirigente<br />

antimafioso sopravvissuto nel Pci in Sicilia. Siate all'altezza di questa<br />

responsabilità. Non seguite le strade facili. Abbiate il coraggio, e la<br />

saggezza, di essere una forza di rottura. I compromessi hanno un senso<br />

quando si è egemoni, non quando si ha un partito <strong>da</strong> ricostruire. Non<br />

fi<strong>da</strong>tevi dei vostri attuali interlocutori - dentro e fuori il partito. Ricor<strong>da</strong>tevi<br />

sempre delle cose banali, tanto banali che nessuno ci fa più caso: chi sono<br />

materialmente i padroni dei giornali siciliani? Come mai la Dc a Catania<br />

non ha un Orlando? A chi è legato Andò? Perché Pannella ha chiesto soldi ai<br />

cavalieri? chi erano gli amici di Curti Giardina a Catania? E così via.<br />

D'Urso, Scidà, Resca, i ragazzi di SicilianiGiovani, sono stati in questi<br />

anni - per quel che può valere il mio parere - i miei "interlocutori politici"<br />

privilegiati. Cercate i loro consigli, abbiate rispetto per loro. E ricor<strong>da</strong>tevi<br />

che fare i comunisti in una situazione come questa è un mestiere durissimo,<br />

perché le parole possono essere tante ma gli incontri cruciali, alla fine dei<br />

conti, non ammettono scappatoie né mezze misure.<br />

E infine. Io parto, come sai, il sei o il sette gennaio. Non vado a fare il<br />

grande giornalista ma ancora, per come potrò, il militante. E non me ne<br />

vado di mia volontà, no: me ne vado costretto, espulso di fatto <strong>da</strong> questa


città: esattamente come, negli anni cinquanta e sessanta, partivano i<br />

segretari di sezione e i sin<strong>da</strong>calisti, costretti <strong>da</strong>ll'isolamento e <strong>da</strong>lla fame a<br />

prendere la via della Germania.<br />

Più amaro della sconfitta e dei prezzi personali, per quella generazione di<br />

compagni, fu l'oblio in cui il potere e la cultura ufficiali si affrettarono a far<br />

cadere le loro lotte. Essi dovettero partire, dopo aver combattuto per anni,<br />

lasciando le sezioni vuote, gli agrari seduti <strong>da</strong>vanti al circolo dei civili, i<br />

preti che spiegavano ai contadini la ragionevolezza. Io ho conosciuto,<br />

quand'ero giovane, al mio paese, di questi compagni. In questo momento,<br />

mentre sgombero casa mia, con la mia compagna malata e due anni e mezzo<br />

di fame alle spalle, penso che non li ho traditi. Cercate di non tradirli<br />

neppure voi.<br />

Ringrazio per tuo tramite i compagni che ci sono stati vicini in questi<br />

anni. A te e a tutti gli altri, auguro buon lavoro.


UNA LETTERA<br />

dicembre 1988<br />

Caro Luca,<br />

subito dopo il cinque me ne andrò a Roma per <strong>da</strong>re una mano al giornale<br />

di Fracassi, e quindi la mia disponibilità per il vostro giornale si farà più<br />

complicata. Ho già detto ad Alongi di disporre liberamente del progettino<br />

che gli ho lasciato; in ogni caso, il giornale cercate di farlo lo stesso perché,<br />

usato bene (cioè con aggressività e fantasia; per la stra<strong>da</strong>), può essere uno<br />

strumento decisivo. Ad Alongi ho detto anche che, avendo seguito con<br />

attenzione l'an<strong>da</strong>mento di tutta questa vicen<strong>da</strong>, ho avuto modo di farmene<br />

un'idea abbastanza precisa e di valutare gli schieramenti che vi si sono<br />

formati ; e di essere sinceramente riconoscente a te, a Letizia, ad Alongi e<br />

agli altri compagni che avete almeno tentato di affrontare politicamente il<br />

mio caso. Personalmente, penso che sarebbe stato meglio usarlo come<br />

terreno forte per uno scontro, e anche ora non credo opportuno lasciarlo<br />

cadere in modo indolore; ma voi che siete sul posto potete valutare meglio<br />

di me costi e vantaggi di un atteggiamento "duro". E poi, tutto sommato, è<br />

una questione laterale.<br />

Fra pochi giorni, comunque, Antonella ed io partiremo per quest'altra<br />

avventura. Contrariamente a quel che si potrebbe credere, la ban<strong>da</strong><br />

municipale non verrà ad accompagnarci alla stazione; partiremo, come<br />

sempre, <strong>da</strong> zingari, con un bel po' di debiti alle spalle, l'anoressia di<br />

Antonella, i padroni di casa che ci cercheranno fino all'ultimo momento, e<br />

tutto il resto. Due borse di vestiti pesanti, le fiabe di Antonella, un po' di<br />

carte mie e la raccolta del giornale. Con tutto ciò partiamo spaval<strong>da</strong>mente,<br />

<strong>da</strong> compagni, come se la ban<strong>da</strong> ci fosse e suonasse forte l'Internazionale.<br />

L'altro giorno, che era festa, la mia Antonella ha trovato la forza di<br />

organizzare una giornata allegra, di regalarmi un tabacco, di sorridere tutto<br />

il giorno. "Al nuovo giornale!". Le avevano trovato un edema la mattina<br />

prima e non c'era niente in casa. Ma lei mi ha fatto forza e ha sorriso.Così,<br />

adesso noi - che stiamo partendo obbligati, esattamente come se ci avessero<br />

cacciato fuori <strong>da</strong>lla Sicilia con le guardie - non stiamo an<strong>da</strong>ndo a cercar di<br />

sopravvivere in qualche modo, ma stiamo an<strong>da</strong>ndo a continuare la lotta in<br />

qualche altra maniera, dove potremo e come potremo. E, in qualsiasi modo<br />

va<strong>da</strong> a finire, siamo almeno sicuri che saremo sempre noi.<br />

Mi piacerebbe se tu riuscissi a spiegare tutte queste cose al collega *: a<br />

fargli capire che egli può permettersi di fare l'Autorevole Politico<br />

Antimafioso solo perché esiste - indipendentemente <strong>da</strong>lla sua volontà - della<br />

gente non dico come me che sono un militante di mestiere, ma come


Antonella; che egli non conosce e non ha alcun bisogno di conoscere ma<br />

alla quale egli deve integralmente il suo attuale status sociale e politico.<br />

Bene: salutami i compagni, stai attento a scegliere i tuoi interlocutori<br />

catanesi, non permettere che ti accomunino a una cosa buffa come Bianco, e<br />

il resto più o meno lo sai già. Buon lavoro.<br />

(Ah: vedi che la parola "compagno" io la uso in un senso un po'<br />

particolare).


GIUSEPPE FAVA, UN PRECURSORE<br />

Il manifesto, gennaio 1989<br />

Ottanta righe per il cinque gennaio, quinto anniversario dell'omicidio di<br />

Giuseppe Fava? Mica facile. Perché intanto bisognerebbe spiegare chi fu<br />

veramente Giuseppe Fava: non l'innocente poeta che ora ci vogliono<br />

consegnare, ma uno scrittore europeo, e un militante. Come scrittore, Fava è<br />

stato l'unico italiano a raccontare <strong>da</strong>vvero l'operaio massa degli anni '70,<br />

quello che <strong>da</strong>l sud dell'Europa andò alle catene di montaggio. Non usava<br />

queste parole, non veniva <strong>da</strong> esse. Ma il suo ragazzo Michele ("La<br />

passione"), <strong>da</strong>l paesino siciliano alla città-fabbrica tedesca, è esattamente<br />

questo.<br />

Peccato che la <strong>sinistra</strong> italiana, con le altre cose, si sia persa anche questo<br />

libro. E' che per la cultura italiana rimuovere Fava (come per paralleli<br />

motivi Pasolini) fu una necessità. La mafia, per esempio, lui la collocava,<br />

luci<strong>da</strong>mente, in questa Europa: meglio i donmariani innocui di Sciascia.<br />

Come militante politico Fava - esterno a ogni politica ufficiale e<br />

profon<strong>da</strong>mente diffidente di essa - non attaccò questa o quella maschera del<br />

teatro istituzionale, ma direttamente il potere. Che si fon<strong>da</strong>, come ha scritto<br />

qualcuno, essenzialmente sulla struttura dell'economia. Che in Sicilia (ma<br />

non più solo in Sicilia) si fon<strong>da</strong> sull'intreccio tra fabbrica della droga e<br />

impossessamento degli appalti. I quali a Catania (ma non più solo a<br />

Catania) sono dominati <strong>da</strong>i "quattro cavalieri" Rendo, Graci, Costanzo e<br />

Finocchiaro.<br />

Fava si batté contro i cavalieri. In ogni momento di questa lotta ebbe<br />

sempre <strong>da</strong>vanti coloro per cui lottava: i bambini di Palma di Montechiaro, i<br />

ragazzi di paese, i milioni di emigranti siciliani "dispersi sulla faccia della<br />

terra". Unì profon<strong>da</strong>mente il vissuto quotidiano suo e di altri con una<br />

sedimentazione "politica": una politica di fon<strong>da</strong>zione, senza zavorre<br />

ideologiche, tutta dei tempi nuovi. In questo, come avviene nei finesecolo,<br />

egli fu un precursore.<br />

Come giornalista, non gli ho mai sentito pronunciare la parola<br />

"professionalità". Era all'antica, in questo: "mestiere". Una volta sola usò il<br />

termine "giornalismo borghese", per spiegare ad alcuni ragazzi ciò che il<br />

suo mestiere non era.<br />

Poche ore dopo la morte di Giuseppe Fava, i re<strong>da</strong>ttori dei Siciliani si<br />

riunirono in assemblea. Era notte. La madre di uno di loro portava in giro il<br />

caffè: fuori, il potere si preparava a uccidere la stessa memoria dell'ucciso.<br />

Nessuno di loro era particolarmente dotato di genialità o di coraggio. Ma<br />

qualcosa li muoveva. Essi deliberarono che avrebbero continuato l'impresa;


si divisero i compiti. Alcuni, "il settore mafia", produssero in diciassette<br />

mesi quaranta inchieste ancora oggi fon<strong>da</strong>mentali. Altri furono man<strong>da</strong>ti in<br />

giro per l'Italia a cercare alleati per una guerra, che si prevedeva lunga. Altri<br />

ancora ricevettero la cassa vuota e l'incarico, che assolsero con successo, di<br />

stampare comunque il giornale. Altri cominciarono a organizzare - scuole<br />

piazze quartieri - l'opposizione. Mentre con terrificante regolarità i numeri<br />

del giornale, uno dopo l'altro, analizzavano gli affari dei cavalieri, si<br />

ramificavano come "SicilianiGiovani" nelle scuole e con l'altro "braccio<br />

organizzativo", l'Associazione "I Siciliani", nelle città.<br />

Noi non siamo vissuti abbastanza per collegarci con la primavera di<br />

Palermo. Non c'illudevamo. Sapevamo che il tempo era poco, i mezzi<br />

inesistenti, che le promesse di soli<strong>da</strong>rietà non sarebbero state mantenute,<br />

che il varco si stava chiudendo. Cercammo di forzarlo sullo slancio. Non ci<br />

siamo riusciti - non, almeno, per il momento.<br />

Fra le promesse non mantenute ci fu quella della Lega delle Cooperative,<br />

che doveva consorziarsi con noi per rilanciare il giornale. La relativa<br />

"trattativa" durò due anni e mezzo e, per quel che ne so, forse dura tuttora.<br />

Non è stato possibile sapere chi abbia bloccato questa trattativa, il<br />

"migliorista" Turci accenna a "livelli Siciliani" che, a loro volta, rilanciano a<br />

Roma. Di certo c'è solo che consorzi furono fatti, ma con i cavalieri:<br />

Costanzo, Cassina e Rendo. Li firmò, nella civilissima Ravenna, il consiglio<br />

d'amministrazione della Cooperativa Muratori e Cementieri, tardi scopritori<br />

dei valori del mercato (tardi: perché se li avessero già scoperti i loro padri,<br />

quattrini a palate sarebbero stati, con l'appalto degli stivali della Wermacht.<br />

Ma, a rifarsi c'è sempre tempo).<br />

A Catania, adesso, ferve il "rinnovamento" del Palazzo. Il sin<strong>da</strong>co gui<strong>da</strong> il<br />

bus, gli assessori commemorano Robespierre, tutti sono gentili e buoni,<br />

soprattutto il giornale dei cavalieri, La Sicilia. Ha un senso, dopotutto.<br />

Bisognò pure affrettarsi, appena fatta l'Italia, a mettere il bavaglio ai<br />

mazziniani; o nella Repubblica democratica, a manganellare chi odorava<br />

troppo di Resistenza. Qui, ora, nel "dopomafia", silenzio agli antimafiosi.


PROMEMORIA PER AVVENIMENTI 1<br />

estate 1988<br />

Non so quanta roba, qui dentro, potrà tornarvi utile (la scelta, poi, è stata<br />

fatta molto disordinatamente e in fretta), ma forse può interessarvi uno<br />

sguardo "<strong>da</strong>ll'interno" sul processo di formazione dei Siciliani; molti dei<br />

problemi che abbiamo dovuto affrontare erano d'altronde, più in piccolo,<br />

quelli che ora toccano a voi. Fra i materiali che accludo, il progetto di<br />

ristrutturazione avrebbe dovuto servire di base alla secon<strong>da</strong> fase del<br />

settimanale (se hai tempo leggi Altri Sud e Computerizzazione, pagine 15 e<br />

34), l'archivio riporta alcuni materiali "politici", fra cui forse possono<br />

interessarti quelli relativi al rapporto settimanale/società civile/forme<br />

organizzative di sostegno (Promemoria settembre 84) e quelli ripresi <strong>da</strong>i<br />

Siciliani Giovani, che è un settore poco conosciuto ma fon<strong>da</strong>mentale nel<br />

nostro lavoro.<br />

Io credo che i punti su cui potrebbe essere utile una riflessione della<br />

nostra esperienza, siano in particolare gli Altri Sud, il collegamento fra<br />

testate alternative, la computerizzazione (questi, rimasti allo stato di<br />

progetto) e l'area Siciliani Giovani /Associazione I Siciliani.<br />

Siciliani Giovani e l'Associazione erano le proiezioni "politiche" del<br />

nostro progetto, sostenute con strumenti idonei e con estrema flessibilità.<br />

Fin <strong>da</strong>ll'inizio, abbiamo pensato che un giornale come il nostro sarebbe<br />

rimasto isolato se non avesse provveduto per proprio conto a creare un'area<br />

organizzata di dibattito e sostegno. Timidezze di vario genere ci hanno<br />

impedito di portare fino in fondo questo progetto, che nei limiti in cui<br />

l'abbiamo realizzato, ha <strong>da</strong>to risultati brillantissimi. E' mia ferma<br />

convinzione che la sconfitta della nostra impresa sia dovuta proprio a questi<br />

limiti e alle conseguenze di questo (prevedibile) isolamento rispetto alle<br />

forze politiche ufficiali. Credo che la riuscita di un'impresa come l'Altritalia<br />

si giochi proprio su questo terreno, e che qui bisogna fare scelte decise:<br />

imparate <strong>da</strong>lla nostra esperienza, non fatevi illusioni; e organizzatevi <strong>da</strong><br />

subito anche su questo terreno.<br />

I servizi in parallelo <strong>da</strong>l Sud d'Italia e <strong>da</strong>l Su<strong>da</strong>merica (Altri Sud)<br />

definiscono meglio di mille dichiarazioni d'intenti una precisa - e non<br />

strumentalizzabile - collocazione politica; anche giornalisticamente sono,<br />

credo, un modo nuovo e solido di impostare il settore esteri.<br />

Il rapporto fra testate "alternative" (Società Civile è solo uno degli<br />

esempi; ce n'é una mezza dozzina in giro) ha a che fare col criterio esposto<br />

sopra di "creare movimento", di avere subito non un centro, ma un<br />

arcipelago di realtà radicate ognuna nella propria regione. Il modello


organizzativo di fondo, qui, è quello dei primi tempi dell'esperienza dei<br />

Verdi in Italia, basato sul collegamento di realtà autonomamente<br />

sviluppatesi e su una progressiva e prudente opera di omogeneizzazione<br />

d'immagine attorno ad alcune specifiche campagne d'opinioni. Fatte tutte le<br />

differenze, è un metodo che credo possa valere ancor oggi, e anche -<br />

soprattutto - per voi.<br />

La computerizzazione, in questo quadro, non è uno strumento tecnico (fra<br />

l'altro, economico) fine a se stesso, ma un mezzo per <strong>da</strong>re un'impostazione<br />

aperta fin nella struttura del processo produttivo (re<strong>da</strong>zione stellare, ecc.) al<br />

giornale. In questo senso, l'innovazione tecnica costituita <strong>da</strong>l desktop<br />

publishing ha implicazioni politiche analoghe a quelle che potevano avere le<br />

radio libere nel '76. Questo non implica assolutamente (e l'esperienza delle<br />

radio è illuminante) una diminuzione del livello di professionalità, che è<br />

essenziale; semplicemente, un'integrazione delle tecniche professionali con<br />

un quadro di "movimento" e con tecnologie che ne esaltino le<br />

caratteristiche.<br />

A questo punto, penso che potrai farti un'idea del tipo di contributo che<br />

vorremmo cercare di <strong>da</strong>re in questi mesi. A Palermo, in particolare, il<br />

dibattito sul giornale è avviato in termini non semplicemente professionali:<br />

l'obiettivo è di avere una re<strong>da</strong>zione siciliana che sia punto di riferimento in<br />

termini professionali ma anche civili. E' un obiettivo possibile - avremo<br />

tempo e modo di discuterne particolareggiatamente - purché ci sia, <strong>da</strong> parte<br />

vostra, una precisa e non equivoca scelta degli interlocutori, che non vanno<br />

cercati, secondo me, fra i più o meno riciclati révenants della <strong>sinistra</strong><br />

ufficiale, ma nelle espressioni organizzate <strong>da</strong>lla società civile, che a Palermo<br />

sono ormai più che mature: il Coordinamento Antimafia, il Cocipa, il<br />

Comitato per l'informazione Città Insieme a Catania.<br />

La bozza di copertina non è una proposta grafica per voi. Semplicemente,<br />

molti anni fa, "l'Altritalia" è stata in ballottaggio per la nostra testata e allora<br />

ho fatto uno schizzo per vedere che effetto faceva. Mi pare giusto che ora<br />

l'abbiate voi e spero che vi venga buono almeno come portafortuna.


PROMEMORIA PER AVVENIMENTI 2<br />

estate 1988<br />

Caro F., ti accludo alcuni stralci del nostro progetto di ristrutturazione, fra<br />

cui i riepiloghi di settore - potrebbero interessarvi il settore "a scambio" e<br />

"Altri Sud" -,i promemoria interni del gennaio '84 e del settembre '84,<br />

l'editoriale del numero zero del settimanale. E ora, qualche appunto così alla<br />

rinfusa, via via chez la roba mi viene in mente.<br />

Noi avevamo scelto di costruire la nostra immagine su due terreni<br />

specifici, l'identiità siciliana e la lotta alla mafia. Terreni apparentemente<br />

neutri (tali quindi <strong>da</strong> garantirci la massima indipendenza rispetto alle<br />

ideologie di partito) ma, in sè, profon<strong>da</strong>mente politici. Noi abbiamo quindi<br />

potuto costruire su di essi una identità politica "forte" dei Siciliani, e<br />

raccogliere intorno ad essa uno "zoccolo duro" di circa ottomila lettori e<br />

millecinquecento fra abbonati e sostenitori. Su questo e parallelamente al<br />

giornale abbiamo messo in piedi delle strutture organizzate, l'Associazione I<br />

Siciliani e Siciliani Giovani, che hanno moltiplicato (e diversificato)<br />

l'impatto politico del gionale. La sconfitta della nostra esperienza, quando è<br />

arrivata (ma tardi, in rapporto alle forze disponibili) è venuta sul terreno<br />

imprenditoriale e forse anche giornalistico, non su quello "politico". Le<br />

strutture "militanti" hanno tenuto. Io ritengo che questo possa essere un<br />

esempio anche per voi: tenendo conto, naturalmente, che concetti come<br />

"militanza", "organizzazione", "linea politica" vanno intesi, almeno nel<br />

nostro caso, in senso "soffice", e tuttavia estremamente determinato.<br />

Ora, quale può essere la linea politica di un giornale come il vostro?<br />

Finora, è una serie di nomi: Galasso + Turone + Novelli + Fracassi +<br />

Menapace, ed è già qualcosa perché si tratta di altrettanti momenti specifici<br />

della <strong>sinistra</strong>, sufficientemente omogenei fra loro e abbastanza<br />

caratterizzati. Ma al di là dei nomi? Una generica dichiarazione di<br />

professionalità e di civismo - quella in buona sostanza contenuta nel vostro<br />

dépliant - non mi convince. Tutti vogliamo la libera informazione e tutti<br />

siamo contro la corruzione e tutti abbiamo una mamma. Ma perché<br />

dovremmo leggere e soprattutto aggregarci proprio attorno a questo giornale<br />

a preferenza di altri? (Non mi dire che non vogliamo aggregare nessuno,<br />

che siamo solo un giornale, ecc.: se siamo solo un giornale, non dura: per<br />

questioni di economia di scala).<br />

Io penso che ci siano già ora una serie di argomenti precisi, "neutri", ma<br />

estremamente politici, che individuano di per se una serie di precisi<br />

meccanismi politici (e successivamente aggregativi) e contestualmente dei<br />

targets, diversi ma complementari. La lotta al sistema di potere mafioso


(Sud); la lotta contro la cultura dello stupro (donne); gli altri sud (<strong>sinistra</strong><br />

intellettuale) e la lotta contro il razzismo metropolitano; le comunità di base<br />

e la società civile (<strong>sinistra</strong>, cattolici di alcune città) non sono gli unici<br />

argomenti al mondo, ma sono quelli, qui ed ora, che insieme possono<br />

fornire <strong>da</strong> subito un'immagine "forte" del giornale. Attorno a cisacuno di<br />

essi può svilupparsi col tempo una rete autogenerantesi di iniziative<br />

"organizzative" e "militanti" parallele al giornale. Torna un attimo indietro,<br />

per favore: all'elenco. Vedi che aria scolastica ha, <strong>da</strong> lista della spesa?<br />

Eppure, è il cuore di tutto, la cellula che deve essere individuata prima.<br />

Questi quattro argomenti e non altri: non <strong>da</strong>re fondo al mondo. Ancora:<br />

"lotta alla mafia (sud), lotta allo stupro (donne)": vedi che aria cinica ha la<br />

nostra lista della spesa? Eppure, non è così. "Sud", "donne", non sono quelli<br />

che cacciano i soldi e comprano il giornale, sono quelli che "ricevono" al<br />

loro servizio il giornale, che "usano" il giornale. Non la "nostra" base, ma i<br />

nostri padroni. E anche questo è scolastico, ma fa pure parte della cellula<br />

iniziale: perché non è facile, per degli intellettuali con una storia alle spalle,<br />

assumere l'umiltà e l'orgoglio di sentirsi al servizio di qualcosa di<br />

preesistente (di solito tendiamo a metterci alla testa di una massa indistinta,<br />

che non c'interessa percepire diversamente). Fine della parentesi salesianpopulista<br />

(Servire il).<br />

Dalla "cellula-base", discendono alcune conseguenze. Per esempio, il<br />

giornale dev'essere altamente professionale, e nel contempo non deve<br />

esserlo. Idem, per farlo c'è bisogno di professionisti feroci, ma anche di<br />

dilettanti. E le due faccende debbono incontrarsi in un punto preciso, non<br />

casuale. Nei quattro settori che ho detto, il giornale non è un giornale, è "il"<br />

giornale. E' l'organo ufficiale della lotta alla mafia, come l'orario della<br />

ferrovia per i treni. Non può avere bucature. Deve avere la notizia a ogni<br />

numero. Deve avere griglie di lavorazione rigidissime. Deve abituare il<br />

lettore. In altri settori, il giornale può "giocare", fare esperimenti, rischiare.<br />

Può essere un pezzo di Frigi<strong>da</strong>ire, può essere sedici pagine di fumetti, può<br />

essere sedici pagine di cronaca di una storia di zingari a Roma; può gettare<br />

un sasso e lasciarlo lì oppure costruirci sopra una cattedrale, di volta in<br />

volta.<br />

Ehi: non è che il lavoro del primo tipo lo fanno i professionisti e quello<br />

del secondo i dilettanti. La cucina, la fanno tutta i professionisti; e così i<br />

servizi che garantiscono il numero nei quattro settori. I dilettanti, che vanno<br />

scelti accuratamente, fanno il lavoro "esterno" che però esterno non è<br />

perché dà la direzione al giornale: a parlare con gli zingari ci va il<br />

professionista, ma la sera, la riunione con gli zingari e la gente del quartiere<br />

la fa il "dilettante": se fa un buon lavoro, nel quartiere entro sei mesi ci


debbono essere dieci copie vendute, un "corrispondente", un abbonato,<br />

un'assemblea di quartiere in preparazione. In rapporto organico con quel che<br />

sul giornale nel frattempo viene pubblicato. E adesso cambiamo discorso. Il<br />

giornale può avere, inizialmente, una re<strong>da</strong>zione a Roma, una re<strong>da</strong>zione<br />

(uno-due re<strong>da</strong>ttori, cinque-sei "dilettanti") a Milano ed una in Sicilia. La<br />

re<strong>da</strong>zione romana può essere dotata di cinque-sei MacIntosh con circa 160<br />

Mb di memoria. Un Mac alla re<strong>da</strong>zione di Milano, uno alla siciliana. I<br />

Macintosh, <strong>da</strong> 4 a 10 milioni ciascuno, servono a battere i pezzi e<br />

impaginarli (a cura degli stessi re<strong>da</strong>ttori). I pezzi vengono man<strong>da</strong>ti a Roma,<br />

già impaginati, via modem a 2400 baud (di notte).<br />

Fin <strong>da</strong>ll'inizio, cioè, la re<strong>da</strong>zione si configura come "stellare". Non c'è una<br />

re<strong>da</strong>zione con dei corrispondenti distaccati. C'è un'unica re<strong>da</strong>zione, le cui<br />

scrivanie si trovano per avventura a qualche chilometro l'una <strong>da</strong>ll'altra, ma<br />

sono perfettamente in grado di comunicare fra loro in tempo reale (il<br />

modem e i Mac servono ancghe per discutere il palinsesto, man<strong>da</strong>rsi<br />

messaggi, insultarsi e rivedersi le bucce a vicen<strong>da</strong>).<br />

Perché MacIntosh e non un grosso elaboratore? Perché i Mac sono<br />

perfettamente in grado, con qualche accorgimento, di fare il lavoro di<br />

macchine molto più grosse. Soprattutto, sono interfacciabili Linotronic: il<br />

dischetto col giornale può cioè essere <strong>da</strong>to a un'unità di fotocomposizione<br />

professionale (<strong>da</strong> voi, c'è almeno quella dei F.lli Bottoni; ma informatevi)<br />

che lo "digerisce" perfettamente. Via modem, il Mac riceve files anche <strong>da</strong><br />

altri tipi di computer: il corrispondente di Canicattì può man<strong>da</strong>re la notizia<br />

così e "dialogare" con la redenzione "vedendo" il proprio lavoro sul proprio<br />

schermo: per alcuni minuti, la re<strong>da</strong>zione si sarà trasferita a casa sua, e non<br />

viceversa.<br />

Accorgimenti: l'impaginazione via computer non è difficile; è lenta; e<br />

richiede molta memoria. Allora: adottare un'impaginazione che concentri in<br />

aree omogenee gli elementi che il computer tratta meglio insieme, e che<br />

contemporaneamente possa essere mossa a volontà muovendo moduli. Le<br />

quattro paginette che trovi accluse (e che non sono un modello)<br />

esemplificano questo concetto.<br />

Debbo interrompere, mando questo e continuerò appena posso. Struttura<br />

di un punto di corrispondenza ("politico" e re<strong>da</strong>zionale) locale; iniziative in<br />

ciascuno dei quattro settori sotto il profilo organizzativo: giovani; ancora<br />

computer; lancio; punti di riferimento a Milano, Palermo, Napoli: spero di<br />

farti avere presto degli appunti su questi argomenti. Tieniti in contatto con<br />

Palermo. Scusami la fretta e la confusione.


PROMEMORIA PER AVVENIMENTI 3<br />

autunno 1988<br />

Ci scusiamo di intervenire così, ma vorremmo essere presenti almeno con<br />

una parola di soli<strong>da</strong>rietà e di adesione. Questa iniziativa si colloca infatti<br />

perfettamente, io credo, nell'ispirazione di questi anni dei Siciliani, e ne è<br />

anzi una logica prosecuzione. Noi abbiamo sempre pensato e scritto che i<br />

poteri reali del Paese sono ben altri ormai <strong>da</strong> quelli definiti <strong>da</strong>lla<br />

Costituzione; che non sono ormai loro estranee centrali di potere<br />

paramassonico e mafioso; che nessuna dichiarazione di lotta alla mafia può<br />

più venir presa sul serio se non accompagnata <strong>da</strong> una lotta intransigente a<br />

questo sistema di potere; che ben poco affi<strong>da</strong>mento può essere riposto, per<br />

questa lotta, nelle rappresentanze politiche ufficiali, connotantesi ormai - nei<br />

casi muigliori - come oneste oligarchie; e che le sole speranze di<br />

cambiamento sono legate alla progressiva autoorganizzazione di settori<br />

sempre più ampi della società civile.<br />

Noi abbiamo creduto che un giornale come il nostro dovesse porsi come<br />

punto d'aggregazione di un movimento di cittadini - nel nostro caso<br />

l'Associazione I Siciliani - basato su questi principi, in grado di utilizzare il<br />

giornale come strumento di collegamento e di autoorganizzazione e di<br />

arricchirlo a sua volta di nuovi e sempre più articolati contenuti culturali.<br />

Abbiamo anche cercato di affrontare, all'interno di questo quadro, punti<br />

specifici di particolare importanza: il bisogno di esprimersi del mondo<br />

giovanile, con Siciliani Giovani; l'elaborazione di un progetto culturale di<br />

vasto respiro, con la campagna per i centri giovanili autogestiti; la necessità<br />

di una presenza non ideologica nelle istituzioni, con la proposta di un<br />

programma e di una linea unitari e antimafiosi; il rapporto imprenditoria<br />

mafiosa/occupazione, con la proposta di un utilizzo sociale dei beni<br />

sequestrati con la legge La Torre. Nessuno disconosce più ormai,<br />

nell'ambito della <strong>sinistra</strong>, la validità di questi punti: ma sono stati ben pochi,<br />

nel momento che bisognava, le forze impegnate attorno ad essi. Forze<br />

istituzionali, intendiamo, di <strong>sinistra</strong> "ufficiale" e d'intellettuali<br />

"riconosciuti".<br />

A distanza di due anni, non mi chiedo più dove sono le forze organizzate -<br />

partiti, sin<strong>da</strong>cati, leghe - che dovevano sostenerci in quest'impresa. Né mi<br />

meraviglio più del fatto che il più grosso partito di opposizione riempia<br />

decine di pagine di diligenti programmi elettorali senza nominare una sola<br />

volta i quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa - Rendo, Graci, Costanzo e<br />

Finocchiaro - che sono ancora al centro del sistema di potere della nostra<br />

città. Osservo soltanto che la nostra sconfitta è stata dovuta non tanto alla


prevedibile diserzione della <strong>sinistra</strong> "ufficiale" quanto alle esitazioni, alle<br />

ingenuità e alle certezze di noi stessi che c'eravamo aggregati attorno al<br />

progetto politico dei Siciliani. Esitazioni, ingenuità e incertezze pagate a<br />

carissimo prezzo <strong>da</strong>i singoli, e <strong>da</strong>lla città.<br />

Per questo, crediamo che ora sia importante partire bene, vale a dire senza<br />

equivoci. Costruire un movimento antimafioso è una cosa, portare la regina<br />

Elena a carezzare i bimbi di Librino <strong>un'altra</strong>. Nessuna enunciazione di<br />

principio, a Catania, può essere presa sul serio, in nessun campo, se non si<br />

accompagna a una chiara presa di posizione sui quattro cavalieri. Nessun<br />

intellettuale può pretendere di venire ascoltato <strong>da</strong> nessuna persona per bene<br />

se mantiene un qualunque rapporto - professionali compresi - col sistema di<br />

potere e coi suoi esponenti. Nessuno può dire che la società civile va bene,<br />

ma l'organizzazione bisogna lasciarla ai partiti. Nessuno può chiedere ad<br />

altri di impegnare la propria esistenza in un'impresa comune, se non è<br />

disposto a sostenerla fino in fondo e non come mero esperimento<br />

intellettuale.<br />

Tutte queste cose, nell'esperienza dei Siciliani, si sono pur verificate, e<br />

sono state pagate molto care. Io mi auguro che voi possiate ricominciare <strong>da</strong><br />

dove noi abbiamo dovuto fermarci, e an<strong>da</strong>re più avanti. Riprendendo la<br />

nostra impostazione politica generale, che è stata confermata <strong>da</strong>i fatti e di<br />

cui andiamo a buon diritto orgogliosi, ma riconoscendo ed evitando i nostri<br />

errori. Gli errori nostri, e soprattutto gli errori nostri che noi abbiamo<br />

colpevolmente subito per ingenuità, debolezza e impreparazione. Ci siamo<br />

organizzati poco, ci siamo organizzati tardi, ci siamo organizzati a<br />

malincuore, ci siamo organizzati male. Non imitateci in questo.


LA LEGGE DEI CAVALIERI<br />

Avvenimenti, dicembre 89<br />

Non sapremo mai, probabilmente, con quali motivazioni i giudici catanesi<br />

hanno respinto il rapporto di polizia che indiziava di mafia tre dei maggiori<br />

imprenditori italiani, i "cavalieri dell'apocalisse" Rendo, Costanzo e<br />

Graci.Pure, non sarebbe secon<strong>da</strong>rio conoscerle: si tratta di personaggi che,<br />

in bene o in male,condizionano la vita dei loro concittadini almeno quanto<br />

un segretario di partito greco o tedesco-orientale.<br />

Ma in Italia, in un caso come questo, a noi cittadini viene comunicato<br />

soltanto (e nemmeno spontaneamente) ciò che è stato; e ci deve bastare. Ma<br />

- è l'obiezione - e voi giornalisti? Noi giornalisti, ai sensi di legge e<br />

specialmente della nuova legge che inasprisce il segreto istruttorio,<br />

ufficialmente non ci possiamo fare niente.<br />

Se decidiamo d'informarvi, è una scelta nostra, non più insita nel<br />

mestiere. La verità, in altre parole, è divenatata una faccen<strong>da</strong> del tutto<br />

personale; non è prevista <strong>da</strong>lla legge.<br />

La legge: un giudice, ha deciso il Csm, può stare in una loggia segreta al<br />

comando di Gelli, come il bolognese Monti, ma non può regolare nel modo<br />

che preferisce (come il palermitano Ayala) i propri rapporti con la moglie<br />

separata. Che faccia giustizia o meno, è affar suo personale, ininfluente ai<br />

fini della carriera. E' esattamente il punto a cui era arrivato, una generazione<br />

fa, un altro paese dell'Occidente: la Colombia.<br />

Dove ora le cose hanno seguito il loro corso naturale, e la mafia tratta <strong>da</strong><br />

ari a pari, alla luce del sole, con lo Stato, e giornalisti e magistrati vengono<br />

uccisi liberamete, ufficialmente e preventivamente perché evidentemente<br />

quella costitutzione di fatto non può riconoscere la loro funzione.<br />

La stessa funzione, gli stessi diritti-doveri - la libertà d'informazione,<br />

l'indipendenza dei magistrati - che all'est stanno faticosamente e con<br />

trepi<strong>da</strong>zione riscoprendo e che noi qui, ora, andiamo allegramente<br />

abbandonando ogni giorno di più.


UN'IDEA DI GIORNALISMO<br />

1990?<br />

La situazione della libertà d'informazione a Catania è quella che è, non è<br />

il caso di starci troppo a girare attorno, di citare l'ennesimo episodio buffo o<br />

vergognoso, di ripetere ancora una volta che qui la libertà di stampa è<br />

esattamente al livello di una qualunque dittatura su<strong>da</strong>mericana. Dopo tanti<br />

anni, chi non l'ha capito finora non lo capirà certamente stasera; non lo<br />

capirà soprattutto chi non lo vuole capire, o perché non vuol rinunciare alla<br />

cronachetta - sul giornale di Ciancio - delle proprie attività "d'opposizione"<br />

o perché, più semplicemente, appartiene alla stessa classe sociale che, con<br />

diversi appellativi ideologici, dà luogo al blocco di potere catanese e quindi<br />

al suo giornale: gli eterni cappelli e galantuomini - liberali o borboni conta<br />

poco. Vorrei invece chiedermi ancora una volta (anche qui, roba vecchia:<br />

ma repetita juvant) di chi è la colpa, e cosa si può fare.<br />

Per anni e anni abbiamo ripetuto, a partire <strong>da</strong>l gennaio 1984, che non ce<br />

l'abbiamo con i giornalisti catanesi, ma con i loro padroni; e abbiamo ogni<br />

volta sottolineato con la massima attenzione quei conati rivendicativi che<br />

quei colleghi hanno a volte cercato di esprimere. Ma il fatto resta che essi<br />

lavorano - sono costretti a lavorare - in condizioni assolutamente anomale,<br />

lesive del diritto del lettore a un'informazione veritiera e corretta, e della<br />

loro stessa dignità professionale. Sono costretti, o gli va bene? Questo<br />

chiedo di sapere <strong>da</strong> sei anni, e questo chiedo anche stasera. Nel primo caso,<br />

tutta la mia soli<strong>da</strong>rietà. Nel secondo - nel caso cioé di "Catania diffamata",<br />

della "stampa catanese in prima fila" eccetera - essi sono complici, e<br />

complici di qualcosa di molto grave.<br />

Perché la libertà, nel nostro mestiere, è possibile. Ha dei prezzi, ma si<br />

può. Noi dei Siciliani l'abbiamo dimostrato. E, su scala più ampia,<br />

Avvenimenti sta rinnovando l'esempio di un giornale che fa informazione<br />

libera e tiene mercato senza bisogno di sottomettersi ai padroni del vapore,<br />

e delle cosche. Se, invece di piagnucolare su questi "nordisti" che diffamano<br />

noi poveri catanesi, invece di cercare - ma perché poi? - di difendere alla<br />

men peggio l'indifendibile, di abbaiare - legati alla catena - contro le<br />

Samarcande e i Marrazzo, cercassimo invece una buona volta di<br />

rimboccarci le maniche, di ritrovare l'orgoglio di noi stessi, di decidere che<br />

siamo giornalisti e non impiegati di Ciancio o Berlusconi...<br />

Ma, neanche questi sono discorsi nuovi. Auguriamo ogni bene ai colleghi<br />

che preferiscono continuare ad arrancare nella palude. Noi, andiamo avanti.<br />

Giuseppe Fava ci ha lasciato alcune precise cose <strong>da</strong> fare. Ci ha lasciato<br />

l'esempio di come si fa un giornale, e di come si fanno dei giornalisti. Un


giornale si fa <strong>da</strong> liberi, senza padroni, affi<strong>da</strong>ndolo alla gente comune,<br />

sapendo che così è più difficile, ma che anche nei momenti più bui non si<br />

resterà del tutto soli. I giornalisti si fanno tirandoli su <strong>da</strong>lle radici,<br />

selezionando intelligenze e volontà fra i giovani che sono degni di fare<br />

questo mestiere ed insegnando pazientemente loro - senza paternalismi e<br />

compiacenze, <strong>da</strong>ndo ed esigendo serietà ed attenzione - tutti i rudimenti<br />

dell'arte. Così fu per noi "ragazzi di Fava" ai Siciliani; così fu nostro<br />

compito fare, col gruppo dei Siciliani/Giovani, quando restammo soli; così<br />

continuiamo ancora oggi a formare, in continuità con questa storia, nuovi<br />

giovani gruppi di re<strong>da</strong>ttori. Lasciamo volentieri ai colleghi della<br />

corporazione il carico di difendere, se ne hanno voglia, l'immagine del<br />

giornalismo ufficiale. Noi attendiamo a un compito un po' differente, che è<br />

di conservare e trasmettere una tradizione di buon mestiere e di etica<br />

professionale, di giornalismo "all'antica" e di libertà.<br />

Ed è una stra<strong>da</strong> vincente. Gli studenti che oggi - c'è una scritta bellissima<br />

alla facoltà di Lettere a Roma: "sono orgoglioso di essere siciliano" -<br />

gui<strong>da</strong>no il movimento studentesco del Novanta, sono siciliani. La città che<br />

oggi è più avanti nello scontro politico e civile, la città su cui entro<br />

quest'anno cadrà il governo Andreotti-Craxi, è la capitale siciliana. Le idee e<br />

il dibattito su cui si sta formando la <strong>sinistra</strong> che in questi anni andrà al<br />

potere non sarebbero immaginabili senza le esperienze e le lotte siciliane. E<br />

in queste, il contributo del giornale di Fava, del suo esempio, di tutto ciò<br />

che attorno ad esso si è aggregato ed è cresciuto, ha avuto un ruolo non<br />

piccolo e non marginale. E' un particolare trascurabile, a questo punto, che<br />

contingentemente il giornale non sia in edicola. Certamente, è nostro<br />

preciso e non utopistico intento - e senza alcun bisogno di sedicenti amici<br />

dell'ultim'ora - di riportarcelo; ma già ora I Siciliani vivono, in Sicilia e<br />

altrove, dovunque abbia attecchito un seme di ciò che fu lanciato allora.<br />

Noi che siamo stati costretti - esattamente come altri giornalisti<br />

d'opposizione in altri paesi sotto dittatura - a lasciare la nostra città<br />

guardiamo oggi con fiducia a ciò che succede in Sicilia, a ciò che <strong>da</strong>lla<br />

Sicilia s'irradia. Dalle varie città d'Italia in cui siamo stati dispersi,<br />

conserviamo non il ricordo ma l'insegnamento attuale delle idee che hanno<br />

<strong>da</strong>to vita all'impresa dei Siciliani. La consideriamo non chiusa, ma in fase di<br />

affermazione e di rinascita: sotto lo stesso o sotto altri nomi, ma stavolta<br />

non più solo in Sicilia ma in tutta Italia


UN UOMO E LA SUA LOTTA<br />

Antimafia, marzo 1990<br />

La sede dei Siciliani a Roma era in via Cola di Rienzo ed era in realtà un<br />

mezzo appartamento, completamente vuoto salvo che per una bran<strong>da</strong>, un<br />

tavolo e due sedie. Con l'affitto, eravamo molto indietro: bisognava perciò<br />

cercare di salire senza farsi notare <strong>da</strong>l portiere, il quale tuttavia<br />

immancabilmente ci fulminava con uno sguardo di disprezzo. Il giornale era<br />

uscito, il numero uno, <strong>da</strong> tre settimane, e i cavalieri avevano già man<strong>da</strong>to i<br />

loro messaggi. Uno, il più bestia dei quattro, aveva offerto senz'altro dei<br />

denari. Un altro, il più raffinato, aveva invece man<strong>da</strong>to suo figlio (un<br />

giovane assai perbene, studente a Oxford e senza il minimo accento<br />

siciliano) a congratularsi col direttore per il bellissimo giornale e a<br />

osservare però che limitarsi a fare un mensile era, per giornalisti del suo<br />

valore, del tutto inadeguato: perché non fare invece una televisione? La<br />

prima tv privata della Sicilia, budget iniziale un miliardo: i soldi, si<br />

sarebbero trovati; s'intende, libertà assoluta. Io ero a Roma, in quei giorni,<br />

per gli esami di giornalista; lui per rintracciare non so che funzionario Rai<br />

che aveva vagamente parlato di citare in qualche trasmissione il giornale,<br />

Antonio per un servizio e poi c'erano anche Claudio e Miki e il direttore<br />

raccontò del miliardo di Rendo e l'assemblea, seduta sulle due sedie e sulla<br />

bran<strong>da</strong>, decise all'unanimità di rifiutare. Eravamo allegri quella sera,<br />

man<strong>da</strong>re al diavolo un miliardo non è cosa di tutti i giorni, poi lui e Miki si<br />

misero a commentare le tre brasiliane che c'erano al ristorante sotto, poi io<br />

dissi che all'esame mi avevano chiesto chi era Fossati, poi scendemmo<br />

passando con indifferenza <strong>da</strong>vanti al portiere che non ci salutò, poi salimmo<br />

sulla macchina del direttore che era una cinquecento rosso ruggine e ce ne<br />

an<strong>da</strong>mmo tutti alla Rai e fummo ricevuti, dopo tre ore d'attesa, <strong>da</strong>lla<br />

segretaria del dottore. Della televisione se ne riparlò a settembre, venne<br />

l'onorevole Andò a parlare col direttore e gli fece esattamente la stessa<br />

proposta che a gennaio aveva fatto Rendo, e anche a lui fu garbatamente<br />

spiegato che non c'interessavano le televisioni.<br />

Non so: ci sarebbe la birreria di Catania dove, <strong>da</strong>ll'una in poi, passavano<br />

solo scippatori e metronotte, e noi. I metronotte prendevano una birra in<br />

fretta, al banco, gli scippatori invece grandi scodelle di pasta alla Norma.<br />

"Potremmo fare un settimanale" venne fuori l'idea, una notte, e allora<br />

facemmo i conti sui tovagliolini di carta per vedere quanto poteva costare<br />

fare un settimanale. Eravamo immortali, allora, niente di male avrebbe mai<br />

potuto accaderci. (Ne sono morti parecchi, di quegli scippatori, <strong>da</strong> allora; di<br />

uno fecero trovare la testa sotto la statua di Garibaldi, per una rapina


sbagliata; ma bevevano intanto e scherzavano fra di loro, come tutti).<br />

Oppure la vecchia sede, in un paesino sopra Catania, quando arrivarono -<br />

prese a cambiali - le macchine <strong>da</strong> stampa. Il direttore non c'era, e noi ragazzi<br />

festeggiammo con uno spinello; qualcuno di noi ha ancora il filtro di<br />

cartone, con le firme di tutti e la <strong>da</strong>ta. Oppure la "conferenza stampa" per il<br />

primo numero dei Siciliani, avevamo invitato tutti i giornalisti della città e il<br />

bar di fronte aveva man<strong>da</strong>to un quintale di pasticcini e spumanti per il<br />

buffet, ma venne solo un anziano giornalista sportivo, vecchio amico del<br />

direttore, e per tutta la sera rimase disciplinatamente là, a un capo<br />

dell'enorme e solitaria tavolata, a fare le regolamentari domande e auguri<br />

che si fanno alla presentazione di un giornale nuovo, e noi mangiammo<br />

amaramente pasticcini per una settimana.<br />

Certo: bisognerebbe parlare di mafia adesso, e di lotta alla mafia e<br />

dell'informazione coraggiosa e di quella puttana. Ma a volte è una fatica<br />

troppo grande ripetere sempre le stesse cose. Il direttore è morto, sei anni fa,<br />

e questo è un fatto. I cavalieri sono ancora al potere, a Catania ed altrove, e<br />

anche questo è un fatto. Ci sono più ragazzini scippatori, a Catania, di ogni<br />

altra città d'Europa, esattamente come sei anni fa: e anche questo - che<br />

gl'intrallazzi e le vigliaccherie finiscano per essere selvaggiamente e<br />

pacificamente pagate <strong>da</strong>i più indifesi, che un ragazzo che nasce a Catania<br />

non abbia diritto a nient'altro che a finire in galera - è un fatto come gli altri.<br />

Ci siamo illusi, per alcuni anni, che una parte almeno dello stato italiano<br />

considerasse questi e altri fatti come estranei <strong>da</strong> sé, come nemici, e che<br />

sarebbe stato possibile - come si dice - "fare giustizia". Ma era un'illusione,<br />

e basta guar<strong>da</strong>re la faccia del giudice Ayala - cacciato perché voleva fare il<br />

giudice - per averne un'idea. Sono state illusioni nostre, non di Giuseppe<br />

Fava. Lui sapeva perfettamente (era molto più siciliano di noi) che in fondo<br />

era tutta una questione di "berretti" e di "cappelli", di disgraziati sfruttati e<br />

di galantuomini: e che mai i disgraziati hanno avuto giustizia <strong>da</strong>i<br />

galantuomini, tranne che costruirsela <strong>da</strong> sé, a poco a poco.


IL PARTITO DELLA MAFIA<br />

E QUELLO DELL'ANTIMAFIA<br />

Antimafia, luglio 1990<br />

Una volta le cose erano più chiare. C'era un partito che combatteva la<br />

mafia, ed era il partito comunista. C'era un partito che appoggiava la mafia,<br />

ed era la democrazia cristiana. La mafia non esiste, dicevano i preti. Con la<br />

mafia non si tratta, dicevano i sin<strong>da</strong>calisti. E tanti anni son passati. Anni di<br />

lotte dure, di battaglie feroci, di guerra: decine e decine di militanti, sotto la<br />

bandiera sin<strong>da</strong>cale o la falce e martello, sono morti per essa. In ogni più<br />

sperduto angolo della Sicilia, chi era nemico della mafia sapeva<br />

immediatamente con chi stare. Ancora sul finire degli anni sessanta, un<br />

ragazzo fu fatto assassinare <strong>da</strong>l padre, boss mafioso, semplicemente perchè<br />

comunista. Le prime manifestazioni contro la mafia, nell'ottantatrè, furono<br />

quelle della Fgci; e il coordinamento antimafia nacque principalmente per<br />

impulso di uomini e donne comunisti.<br />

Non è che ora vogliamo metterci a far lezioni sui partiti. E' che una volta<br />

la lotta fra i partiti coincideva quasi letteralmente con la lotta fra mafia e<br />

antimafia, fra società dell'arbitrio e società civile; e abbiamo nostalgia di<br />

quel tempo, quando tutto era tanto più lineare e facile <strong>da</strong> capire; e degli<br />

esseri umani, pure, che di quel tempo furono, con umile orgoglio, gli eroi.<br />

Ma la nostalgia non aiuta molto. Dobbiamo tornare alla nostra realtà, e<br />

guar<strong>da</strong>rla bene. Per esempio: c'è un professionista comunista, un certo<br />

Leone di Catania, che la sua professione l'ha esercitata per decine di anni in<br />

sostegno dei cavalieri del lavoro catanesi; e la professione, in questi casi, è<br />

difficilmente distinguibile <strong>da</strong>lla vita politica e privata. Adesso che il vento<br />

cambia, il professionista - prima membro autorevole del Pci, poi passato ai<br />

socialisti di Andò, poi coinvolto di nuovo nelle faccende del vecchio partito<br />

- ha bisogno che non si parli troppo di lui, o che almeno non se ne parli in<br />

termini troppo precisi: e man<strong>da</strong> in giro due esponenti del suo partito (o expartito:<br />

non è stato possibile precisare il particolare) a raccoman<strong>da</strong>rsi per<br />

lui. Di questi, uno - l'onorevole Emanuele Macaluso - appartiene alla<br />

maggioranza occhettiana, sostiene il cambio del nome, ecc.; l'altro - il<br />

professor Pietro Barcellona - è fra i leader del "fronte del no". Pacioso e<br />

arguto il primo, con la figura amabile di un "civile" di fine secolo; fiero<br />

intellettuale il secondo, propugnatore di lotte e di riscosse; eppure, su un<br />

punto si ritrovano senza contrasto: quello di negare che il compagno (o excompagno)<br />

Leone abbia mai avuto a che fare con imprenditori chiaccherati.<br />

Ci sembra una circostanza interessante; e molto siciliana.<br />

C'era una volta in Sicilia, molti anni fa, il "galantuomo" borbonico e


quello liberale. I borbonici erano per la tradizione e il codino, i liberali per<br />

re Vittorio e la Talia: passavano intere serate a litigare su questo, al Circolo<br />

dei Civili. Però, se qualche estraneo - qualcuno che non fosse un<br />

"galantuomo" - si permetteva di mettere in discussione il ruolo sociale di<br />

uno qualunque di loro, insorgevano tutti a difesa del galantuomo<br />

"calunniato", liberale o borbone che fosse: la politica è bella, però ognuno al<br />

suo posto. Anche il "sì" e il "no" sono importanti: ma il ruolo del<br />

professionista di buona famiglia, nella società siciliana, è più importante<br />

ancora; e quando questo ruolo vien messo in discussione, la soli<strong>da</strong>rietà di<br />

classe scatta ancora, oggi come cent'anni fa. Perchè il Circolo dei Civili<br />

esiste ancora.<br />

Il partito comunista, ai suoi begli anni, è stato l'esatto opposto del circolo<br />

dei civili. Il luogo cioè in cui lo schieramento che si assume vale per tutta la<br />

vita. Prima galantuomini, poi liberali; ma, prima comunisti, e poi<br />

eventualmente tutto il resto. Non sappiamo quanto le teorizzazioni di<br />

Togliatti e Amendola abbiano giovato al popolo siciliano. Ma la presenza di<br />

un partito che "non ci stava", l'esistenza di qualcosa che stava fuori <strong>da</strong>l<br />

Circolo dei Civili, di qualcosa che i "galantuomini" non potevano<br />

controllare, questa è stata la cosa più utile e più grande che noi siciliani<br />

abbiamo mai avuto. Contro i "galantuomini" tutti, liberali e codini; e se i<br />

galantuomini si fanno sostenere <strong>da</strong>lla mafia, contro la mafia, sempre, senza<br />

mezze misure. Licausi, Portella delle Ginestre, Pio La Torre.<br />

Queste cose ci mancano, e non ne possiamo fare a meno ancora per<br />

molto. Abbiamo bisogno di qualcosa su cui i "galantuomini" non possano<br />

mettere le mani. Qualcosa che esprima la radicalità, la visceralità, la faziosa<br />

irriducibile avversione dei Siciliani non-galantuomini al potere mafioso.<br />

Non è più questa la vecchia <strong>sinistra</strong>, e non c'è ancora la nuova. Ma forse il<br />

Coordinamento antimafia, una stra<strong>da</strong> siffatta, l'ha cominciata ad aprire.<br />

Rozzo, maleducato, difficile <strong>da</strong> ragionare: però schierato là fino in fondo,<br />

fuori <strong>da</strong> ogni circolo perbene e impossibile <strong>da</strong> gattopar<strong>da</strong>re. Il ruolo del<br />

sin<strong>da</strong>co Orlando, il rinnovamento della <strong>sinistra</strong>, il nome dei comunisti, gli<br />

assetti di palazzo di giustizia, i pentiti, l'estate palermitana, la pidue; la<br />

stessa sopravvivenza fisica - infine - dei militanti antimafiosi. Tutti<br />

argomenti importanti, su cui ci sarà molto <strong>da</strong> ragionare. Ma, a monte di tutti<br />

questi, e di ciascuno di essi, resta l'argomento fon<strong>da</strong>mentale che è il<br />

seguente: che cosa sostituiremo, nella lotta di tutti, a ciò che avevamo una<br />

volta e ora - digerito <strong>da</strong>i "galantuomini" - non abbiamo più.


IL NOSTRO DOVERE<br />

Antimafia, gennaio 1991<br />

La colpa non è di Cossiga. Nè di Salvo Lima, di Craxi, di Andreotti, di<br />

nessuno di coloro che, fra uno scan<strong>da</strong>lo e l'altro, hanno consegnato un Paese<br />

a tutti i poteri del male,fra cui la mafia.E che altro potevano fare? Erano qui<br />

per questo. Un tribunale dichiara ufficialmente,in Italia, che la mafia non<br />

esiste (al massimo, i singoli mafiosi); un pubblico funzionario, al vertice<br />

dello Stato, "decide e dispone" che i magistrati della Repubblica non son<br />

degni d'ascoltarlo (al massimo, quelli scelti <strong>da</strong> lui); avventurieri e<br />

mascalzoni raccontano compiaciuti ai giornali come avevano bene<br />

organizzato il colpo di Stato e la guerra civile (magari,coi mafiosi a far <strong>da</strong><br />

sgherri). La colpa, di tutto questo, non è loro.<br />

La colpa è nostra. Nostra, di noi antimafiosi. Perchè non è vero che la<br />

gente, a tutto questo, non si oppone. Gli studenti di Gela, la loro parte,<br />

l'hanno fatta.La primavera di Palermo,in Sicilia,c'è stata. Ma la primavera è<br />

finita - e i ragazzi di Gela, traditi <strong>da</strong>l loro Stato, sono rimasti soli. Certo, la<br />

primavera continua, sotterraneamente: ma intanto a Palermo coman<strong>da</strong>no di<br />

nuovo i comitati d'affari. Certo, gli studenti hanno saputo - a Gela ome<br />

altrove - reagire con dignità, rinfacciando allo Stato la sua fuga e an<strong>da</strong>ndo<br />

avanti <strong>da</strong> soli: ma intanto la mafia occupa militarmente la zona. Si può<br />

lottare insomma, in questo modo, ma non vincendo. Salva la dignità, non<br />

l'avvenire.<br />

Non mancano le forze. Manca il punto di riferimento, l'aggregazione. Qui,<br />

dico che la colpa è nostra. La gente sta aspettando una bandiera, che noi<br />

abbiam timore a innalzare. Chi è stato il più votato a Palermo,chi a Torino?<br />

Due persone perbene, due antimafiosi. E dov'è Orlando adesso, dov'è<br />

Novelli? A far belle battaglie,a denunciare,a polemizzare coi partiti - non a<br />

vincere, non a ricostruire. Chi era, in Sicilia,il comunista più legato - dopo<br />

Pio La Torre - al movimento antimafioso? E dov'è Galasso adesso, se non a<br />

testimoniare, combattivo e isolato,la sua idea? Chi è riuscito a muovere la<br />

società civile a Milano, chi ha contrastato fin lasssù, ai primi segni, la mafia<br />

che avanzava in Lombardia? Ma che strumenti ha Dalla Chiesa, adesso, per<br />

vincere e non solo denunciare?<br />

Non mancano le forze. Nè a Orlando nè a Novelli né a Galasso né a Dalla<br />

Chiesa è mai mancato, in campo aperto, il sostegno popolare. Contrastati e<br />

isolati <strong>da</strong>i partiti, non lo furono mai <strong>da</strong>lla gente comune: pochi personaggi<br />

pubblici, in Italia, son forse stati più popolari. Con tutto ciò,si continua ad<br />

arretrare; mentre la bella Repubblica va in pezzi, coloro che dovrebbero<br />

esserne i campioni combattono sì, ma come combattevano i cavalieri della


Tavola roton<strong>da</strong>: che partivano quando garbava loro, isolatamente, cercavano<br />

i loro orchi e i loro draghi, e tornavano - <strong>da</strong> punti diversi - dopo un anno,<br />

fieri delle loro individuali avventure. I barbari, frattanto, devastavano il<br />

paese.<br />

Noi non abbiamo bisogno di sangiorgi a cavallo. Vogliamo uomini che<br />

sappiano unirsi fra loro, raccor<strong>da</strong>re le varie esperienze e il coraggio, creare<br />

un polo su cui, fuori <strong>da</strong>lla "politica",ogni buon cittadino si riconosca.<br />

Vogliamo che la protesta e la collera, che crescono quotidianamente, trovino<br />

dove coagularsi; non più disperse, o raccolte <strong>da</strong> furbi e lestofanti. Vogliamo<br />

che ognuno faccia il proprio dovere, e il dovere di chi ha responsabilità di<br />

politico in questi momenti - quando essa venga <strong>da</strong> libera simpatia popolare<br />

e non <strong>da</strong> segreterie di palazzo - è di assumere il proprio ruolo fino in fondo,<br />

senza ritrosie inopportune e titubanze; con senso dei propri limiti e infinita<br />

umiltà, ma sapendo che qualcuno, quando l'ora viene,deve pur chiamare a<br />

raccolta. Perchè l'ora è gravissima, e tutto ciò che amiamo è minacciato.<br />

Fare un partito nuovo, dunque? No: quelli, se li faccia chi ci crede. Se lo<br />

faccia chi vuol levare un Cossiga <strong>da</strong>lla poltrona per metterci un Craxi, se lo<br />

faccia chi sogna repubbichine bergamasche e varesotte, se lo faccia - o, se<br />

già c'è, ci rimanga - chi vuol girare intorno alle cose, cambiare perché non<br />

cambi niente. A noi serve qualcosa di più serio di un partito. Una forza<br />

diversa, un comitato di liberazione e d'azione: che stia al nord come al sud e<br />

<strong>da</strong>ppertutto; che non abbia zavorra d'ideologia ma unisca senza tanti<br />

fronzoli chiunque sia personalmente disposto a far qualcosa. Che, quando<br />

occorre, presenti liste di cittadini: liste non di partito vecchio o nuovo, nè<br />

commissionate - sia pure con nobili intenzioni - a tavolino, ma scelte<br />

liberamente in libere assemblee di cittadini. Non per costituire delle<br />

aggregazioni permanenti di potere ma semplicemente per aver nelle<br />

istituzioni, qui ed ora, uomini che - per un tempo rigi<strong>da</strong>mente determinato, e<br />

con un programma essenziale e d'emergenza - provve<strong>da</strong>no dove bisogna.


IL CASO NON E' CHIUSO<br />

Antimafia, luglio 1991<br />

I giudici di Catania che si sono succeduti - con rare e isolate eccezioni -<br />

nel corso degli ultimi sette anni non hanno atteso l'intimazione del<br />

presidente Cossiga per adottare la norma che "non è compito dei giudici<br />

combattere la mafia". E' il primo pensiero che viene in mente leggendo le<br />

motivazioni con cui la magistratura catanese dichiara ufficialmente chiusa<br />

l'in<strong>da</strong>gine sull'assassinio del direttore de "I Siciliani" Giuseppe Fava,<br />

avvenuto per mano mafiosa il 5 gennaio 1984. Non perchè anche questo<br />

delitto rimane - come infiniti altri - "ad opera d'ignoti", nè perchè<br />

manifestamente emerge <strong>da</strong>lle carte depositate l'inefficienza tecnicoprofessionale<br />

dei magistrati preposti ad in<strong>da</strong>gare: questo si sarebbe potuto<br />

anche comprendere, forse persino perdonare. Ma perchè in realtà<br />

quest'inchiesta - e la cosa appare evidentissima <strong>da</strong>lle carte processuali - non<br />

s'è voluta fare. Non si sono volute seguire le piste che uno sguardo anche<br />

superficiale ai fatti avrebbe suggerito. Non si sono volute tenere in alcun<br />

conto le indicazioni che amici e familiari dell'assassinato non avevano<br />

mancato di <strong>da</strong>re. Non si è voluto insomma applicare alle in<strong>da</strong>gini su un<br />

delitto di mafia la serietà che in<strong>da</strong>gini di questo genere implicherebbero, e si<br />

è anzi cercato di negare il più a lungo possibile che di delitto di mafia si<br />

trattasse. Il risultato, sono quegli striminziti quinterni in cui, al termine di<br />

sette anni di "in<strong>da</strong>gini" successivamente condotte <strong>da</strong> una dozzina di<br />

magistrati, si compendia tutto ciò che la giustizia catanese è stata capace di<br />

produrre su questo caso. Cioè niente.<br />

Per tutto il 1984, obiettivo principale dei magistrati preposti al caso è<br />

stato di dimostrare che la mafia col delitto non c'entrava nulla. Per almeno<br />

sei mesi, hanno in<strong>da</strong>gato minuziosamente sulla vita privata della vittima e<br />

dei suoi collaboratori, nell'intento di trovare un qualche appiglio che potesse<br />

consentire di scagionare i mafiosi. Hanno esaminato minuziosamente tutti<br />

gli assegni firmati negli ultimi dieci anni <strong>da</strong> Giuseppe Fava e <strong>da</strong>i suoi<br />

collaboratori e familiari, utilizzando le facoltà previste <strong>da</strong>lla legge La Torre,<br />

istituita per in<strong>da</strong>gare sulla finanza mafiosa ma a Catania utilizzata per<br />

in<strong>da</strong>gare sulle vittime della mafia. E così via. Si distinsero particolarmente,<br />

in questa prima fase dell'inchiesta, i magistrati Giulio Cesare di Natale ed<br />

Aldo Grassi, entrambi oggetto più tardi di provvedimenti del Consiglio<br />

Superiore della Magistratura; dei due, il primo fu costretto a dimettersi <strong>da</strong>lla<br />

magistratura mentre il secondo, trasferitosi prudentemente, proseguì la sua<br />

carriera fino alla Corte di Cassazione, dove siede tuttora.<br />

Sarebbe lungo rifare la storia di questi sette anni di "in<strong>da</strong>gini" che non


furono tali. Dei pentiti che si dichiaravano disposti a parlare e venivano<br />

immediatamente minacciati con la pubblicazione sul giornale "La Sicilia"<br />

del loro nome cognome indirizzo e foto. Dei collaboratori di Fava<br />

minacciati e - in almeno un'occasione - accusati, nei locali della questura, di<br />

essere i veri autori del delitto. Delle campagne di stampa con cui il giornale<br />

degl'imprenditori catanesi portava avanti le tesi di volta in volta più<br />

favorevoli all'assoluzione delle responsabilità mafiose. Di tutti questi anni,<br />

non un istante è stato dimenticato.<br />

Sono stati anni di feroce menzogna, questi, per i potenti; ma anche, per<br />

molti e molti giovani catanesi, anni di apprendimento della dignità. La lotta<br />

per la verità, in questi anni, non ha mai avuto molti mezzi materiali, ma<br />

isolata non è rimasta mai; nella coscienza della gente comune, la verità è<br />

arrivata molto presto, su chi avesse ucciso Giuseppe Fava e perchè; soltanto<br />

nel Palazzo non è arrivata mai. Il caso, per quanto ci riguar<strong>da</strong>, non è chiuso.<br />

E non lo sarà finchè giustizia non sarà fatta. Non sappiamo se ciò riguar<strong>da</strong><br />

ancora il Palazzo di giustizia, e in generale i palazzi; riguar<strong>da</strong> sicuramente<br />

tutti gli esseri umani che stanno faticosamente ricostruendo la loro società.<br />

Quanto ai magistrati catanesi, ce n'è di giovani, negli ultimi tempi, che<br />

cercano di operare onestamente, per quanto le loro forze consentono, per<br />

fare il loro dovere con serietà. Non che siano incoraggiati <strong>da</strong>ll'alto<br />

(appartengono a quei "giudici ragazzini" che il presidente della Repubblica<br />

si compiace d'ingiuriare), ma insomma vanno avanti. Auguriamo loro di<br />

riscattare la vergogna che sul palazzo di Giustizia della loro città è stata<br />

gettata <strong>da</strong> questi sette anni.


L'ESTATE CHE<br />

volantino, estate 1991<br />

Sabato 11 luglio, a Roma, ci siamo incontrati cinquanta gruppi giovanili<br />

di base provenienti <strong>da</strong> tutta Italia. Associazioni cattoliche, centri sociali<br />

autogestiti, gruppi di volontariato, nuclei d'immigrati: c'era di tutto. <strong>Storie</strong><br />

molto diverse fra loro, con quasi nulla in comune salvo il fatto di essere tutti<br />

impegnati in prima persona e senza mediazioni "politiche" per cambiare<br />

ognuno il proprio an<br />

golo di società. E' stata una giornata molto bella. Ciascuno dei ragazzi che<br />

sono intervenuti (e sono intervenuti tutti) aveva una sua esperienza <strong>da</strong><br />

raccontare: quelli di Aversa l'assistenza agli immigrati, quelli di Capaci la<br />

conquista di una spiaggia libera in un paesino in cui tutte le spiagge sono a<br />

pagamento, quelli del Corto Circuito il lavoro che fanno nel loro quartiere,<br />

quelli di Catania il doposcuola organizzato coi ragazzini del quartiere "di<br />

mafia", e così via. Tutti s'incontravano per la prima volta ma c'era<br />

un'atmosfera di grande fiducia reciproca, di molto lavoro serio <strong>da</strong> fare<br />

insieme. Nessuno aveva in mente, naturalmente, di fare il centesimo<br />

gruppo/partito/partitino. Ma tutti si rendevano conto che un collegamento<br />

fra tutte queste situazioni male non ne farebbe.<br />

Così sono venute a galla alcune idee. Intanto, di stabilire questo<br />

collegamento sotto forma di agende, di giri di telefonate ecc., senza nessuna<br />

ufficialità. Vedere se questo collegamento può avere bisogno di una spece di<br />

foglio <strong>da</strong> fare e far girare nelle varie situazioni. Poi, di stabilire delle<br />

iniziative <strong>da</strong> fare insieme in autunno. Quali iniziative? Bisognerà definirle<br />

tutti insieme. Intanto, però, alcuni punti su cui riflettere, quelli che eravamo<br />

all'incontro, siamo riusciti a stabilirli:<br />

- Quelli che venivano <strong>da</strong>lla Sicilia hanno parlato di mafia e antimafia.<br />

Non è, hanno spiegato, una faccen<strong>da</strong> di polizia. E' una faccen<strong>da</strong> che<br />

riguar<strong>da</strong> tutta la gente e che può essere affrontata solo se il movimento<br />

antimafia diventa nazionale e riesce a togliere <strong>da</strong>lla scena i politici e i<br />

cavalieri mafiosi. Questo significa meno Maurizio Costanzo show e più<br />

organizzazione di base contro i potenti mafiosi.<br />

- La faccen<strong>da</strong> di Di Pietro e delle tangenti. Chi deve "fare pulizia", oltre ai<br />

giudici? I personaggi perbene (Rotary, La Malfa, leghisti vari) oppure i<br />

semplici cittadini che pagano per tutti e non vengono mai consultati? Ci<br />

piace "viva Di Pietro", ma non dev'essere una cosa <strong>da</strong> spettacolo,<br />

discoteche: dev'essere un movimento serio, di gente di base, che si colleghi<br />

fraternamente con coloro che contemporaneamente lottano contro la mafia a<br />

sud. Tangentisti e mafiosi, tutti insieme.


- Il mestiere più diffuso in Italia è ancora l'operaio. L'operaio, e in genere<br />

quello che vive di stipendio, a dicembre si vedrà portar via mezza<br />

tredicesima, per pagare le tasse dell'"emergenza" (lasciamo perdere<br />

l'aumento delle tasse all'università). Questo è profon<strong>da</strong>mente immorale. La<br />

lotta contro il potere mafioso e contro le tangenti non deve significare "paga<br />

Pantalone". Diritti e doveri, tutti uguali. Non ci dimentichiamo degli operai.<br />

Tutto qui. Non abbiamo moltissime idee, come vedete, non siamo i<br />

maestri di nessuno. Però vogliamo discuterle, unirle con le idee degli altri,<br />

mettere in moto un processo. Con umiltà e pazienza, ma anche con<br />

moltissima fiducia e determinazione.<br />

Chiediamo a tutti, ma soprattutto a tutti i gruppi, di qualsiasi tipo, che<br />

fanno una qualunque attivià di base, di contribuire a questo processo. Di<br />

portare ognuno la propria esperienza, le proprie idee, con altrettanta fiducia,<br />

con altrettanta serietà.<br />

NON vogliamo fare un partito! Ma vogliamo smetterla di essere delle<br />

isole ognuna per sè. Non c'è niente, profon<strong>da</strong>mente, che ci divide.<br />

Dobbiamo solo imparare a rispettarci reciprocamente, a parlare con persone<br />

diverse <strong>da</strong> noi, a lavorare insieme.<br />

Centro sociale Corto Circuito, Roma; Il pane e e mele, mensile dei<br />

giovani di Napoli; Seminario Società, Università di Palermo; Gri<strong>da</strong>lo Forte,<br />

Roma; Abc Musicanti di Brema; Centro sociale Cecchina; Lega per il diritto<br />

al lavoro degli handicappati, Roma; gruppo rock Drago e i Coyots, Roma;<br />

Centro sociale Brancaleone, Roma; Zero95, mensile dei giovani<br />

Antimafiosi, Catania; Centro sociale Auro, Catania; Associazione<br />

anticamorra I Care, Napoli; Dipingi la Pace, Palermo; Aurentinoccupato,<br />

Roma ; Ti Con Zero, collettivo degli studenti di fisica, Palermo; La<br />

Spiaggia, collettivo di Sciacca; C'era una volta una terra libera, studenti di<br />

scienze politiche, Padova; Teatro Movimento '90, Roma; Associazione Il<br />

Fortino, San Felice Circeo; Associazione Movi<strong>da</strong>, Napoli; Centro sociale<br />

Auro e Marco, Spinaceto ROoma; Collettivo comunista universitario,<br />

Roma; Federazione democratica, Milazzo; Circolo Robert Owen, San<br />

Giorgio Ionico; Movi movimento volontariato, Napoli; Pensionati occupati<br />

Politecnico e Statale, Milano; Collettivo politico San Leonardo, Milano;<br />

Gruppo Giovanile '88, Capaci; Collettivo Il Graffio, Torino; Associazione<br />

Senza Confine, Roma; Lega Obiettori Di Coscienza, Napoli; Laboratorio<br />

Antimafia, Milano; Centro sociale Officina 99, Napoli; Associazione La<br />

Mongolfiera, Catanzaro; Centro socioculturale Garbatella, Roma; Circolo<br />

Mare Aperto Roma; Centro assistenza extracomunitari La Roccia, Aversa;<br />

Associazione italiana paraplegici, Roma; Conosud, cooperazione nord-sud,


Taranto; Movi movimento volontariato, Salerno; Uawa, Union Asiatic<br />

Workers Association, Roma; Comitato per la difesa di Villa Pamphili,<br />

Roma; Nero E Non Solo, Caserta; Associazione studenti Charlie Brown,<br />

Taurianova; Giovani Oltre Limite, Gela; Cordinamento antimafia, Palermo


LA RETE<br />

Antimafia, luglio 1991<br />

Prima del referendum e delle elezioni in Sicilia, Craxi Cossiga e Bossi<br />

sembravano i padroni del mondo. Dopo il referendum e le elezioni, ne<br />

restano le caricature: Cossiga e Bossi a proclamare repubbliche e<br />

repubblichette, Craxi a fare i conti col suo Gran Consiglio, dove fra molti<br />

staraci s'affaccia già qualche Ciano. Tutto questo, s'intende, potrebbe anche<br />

non servire a niente, se Cossiga e Craxi continuassero a venir presi sul serio<br />

<strong>da</strong> Occhetto (che si ostina a considerare il primo un presidente e il secondo<br />

un socialista); ma, se la <strong>sinistra</strong> sapesse cogliere le occasioni, per il regime<br />

potrebbe anche essere l'inizio della fine. In ogni caso, la campagna gelliana<br />

per la Secon<strong>da</strong> Repubblica finisce qui: grazie al signor Mario Rapisar<strong>da</strong>,<br />

cittadino di Belpasso (Catania) il quale - insieme a un bel po' d'altri italiani<br />

come lui - nel giro di otto giorni ha legnato Craxi prima col "sì" al<br />

referendum e poi con la crocetta sulla Rete, mentre intellettuali e strateghi<br />

della <strong>sinistra</strong> perbene discutevano garbatamente i pro e i contro di una<br />

repubblica piduista. Un ultimo saluto agli ex-conquistatori spiaccicati per<br />

terra, e passiamo alla Politica Seria.<br />

Fra i protagonisti della quale, a questo punto, il lettore non mancherà<br />

probabilmente di mettere il Partito della Rete: che dev'essere un partito ben<br />

serio, per essere riuscito a strappare, con un'abile e ben congegnata<br />

campagna elettorale, la prima vittoria della <strong>sinistra</strong> di questi anni; e dunque<br />

un partito degno di dialogare con tutti gli altri partiti seri d'Italia.<br />

E invece no. La Rete non è affatto un partito serio, anzi, a Dio piacendo,<br />

non è affatto un partito: ha provato qua e là ad esserlo, ma con esiti - sul<br />

piano propriamente partitico - disastrosi. La campagna elettorale della Rete<br />

in Sicilia, in particolare, è quanto di meno "serio" si possa immaginare. In<br />

sette province su nove, in effetti, la campagna elettorale non c'è stata: sono<br />

stati distribuiti dei volantini e appiccicati dei manifesti <strong>da</strong> gruppi sparsi di<br />

simpatizzanti, spesso non "ufficiali" (i rappresentanti "ufficiali" spesso<br />

erano semplicemente i primi che s'erano presentati a chiedere la maglietta<br />

della Rete). A Palermo, invece, di campagne elettorali ce ne sono state<br />

almeno tre, del tutto distinte fra loro: gli ex-democristiani; il Coordinamento<br />

Antimafia; e gli ex-Verdi di Capanna, avvolti in una complicatissima<br />

strategia di Egemonia Leninista dentro-e-fuori la Rete). A Catania infine la<br />

campagna elettorale c'è stata ed è stata una sola, ma solo perchè persone di<br />

buon senso avevano tempestivamente provveduto ad accoltellare prima tutti<br />

coloro che cercavano d'imbarcarsi alla gattopar<strong>da</strong> in Rete, e a nasconderne i<br />

ca<strong>da</strong>veri nell'armadio; e anche lì, qualche gattopardino sopravvissuto (un Di


Mauro, ad esempio) non è mancato. Il tutto, coordinato <strong>da</strong> un<br />

coordinamento nazionale che ha brillato, nei momenti migliori, per la sua<br />

assenza. Per condimento, l'isolamento in cui - giustamente - il sistema<br />

dell'informazione ha lasciato la Rete fino all'ultimo momento, avendo<br />

l'intelligenza di isolare ulteriormente, all'interno di essa, i candi<strong>da</strong>ti e le<br />

culture mmeno compatibili con esso.<br />

Con tutto questo, la Rete ha vinto strepitosamente. Secondo me, non ha<br />

vinto il partito della Rete; hanno vinto i cittadini che si sono serviti della<br />

Rete. Non per le insufficienze tecniche del partito-Rete: ma proprio perchè<br />

un soggetto politico vero, oggigiorno, può essere "semplicemente" questo:<br />

uno strumento aperto, povero di sovrastrutture "politiche" ma ricco di<br />

combattività e di valori, che la gente utilizza quando vuole e come vuole. E<br />

la politica? Ma la politica vera è un progetto che si riempie a poco a poco,<br />

che non nasce già completo nella testa di qualcuno, ma che va raccogliendo<br />

stra<strong>da</strong> facendo le cose che la gente ci mette (e bisogna vedere che tipo di<br />

gente, come sociologicamente e culturalmente determinata). Che poi non è<br />

nemmeno una novità, perchè è esattamente quel che è successo nei grandi<br />

momenti di fon<strong>da</strong>zione della <strong>sinistra</strong>; il Terzo Stato è nato prima del<br />

"partito" giacobino, il movimento operaio prima dei partiti socialisti; l'uno e<br />

l'altro hanno avuto bisogno di parecchio tempo per sviluppare delle strutture<br />

politiche formali.<br />

La Rete, in Sicilia, è una tappa di questo "poco a poco". Una tappa<br />

particolarmente veloce, rispetto ad altre, perchè in Sicilia la società e il<br />

potere sono così direttamente contrapposti (il potere mafioso è una forma<br />

molto totalitaria di dominio sulla società) che è impossibile an<strong>da</strong>re piano;<br />

altrove c'è tempo e voglia per molte, diciamo così, mediazioni; qui <strong>da</strong> noi<br />

no. In Sicilia, inoltre, già negli anni ottanta la società civile ha conosciuto<br />

esperienze di scontro diretto col potere mafioso (il Coordinamento<br />

Antimafia a Palermo, I Siciliani a Catania) che grazie alla Rete non sono<br />

an<strong>da</strong>te disperse, ma sono entrate in un circuito potenzialmente nazionale; e<br />

anche ora - per esempio, nel passaggio della Rete <strong>da</strong> fenomeno regionale a<br />

nazionale, e <strong>da</strong> movimento della <strong>sinistra</strong> cattolica a movimento della società<br />

civile nel suo complesso - hanno svolto una funzione essenziale spingendo<br />

in avanti e verso l'unità forze che diversamente avrebbero potuto anche<br />

rimanere meno avanzate, e divise.<br />

La Rete, adesso, ha delle scelte <strong>da</strong> fare. Può trasformarsi,<br />

consapevolmente o meno, in un partito tradizionale, raccogliere subito i<br />

frutti della vittoria siciliana, rafforzarsi organizzativamente e an<strong>da</strong>re avanti<br />

con "sano realismo" verso il cinque per cento alle prossime elezioni. Oppure<br />

può cercare di diventare sempre più una rete, un collegamento fra cittadini,


un metodo di lavoro. Ci sono degli obiettivi realistici - ad esempio:<br />

esprimere un governo della Repubblica fra il 1992 e il 1997 - che solo essa<br />

può avere l'ambizione di porsi: ma a condizione di avere<br />

contemporaneamente l'umiltà di porli non per se stessa in quanto tale, ma<br />

per se stessa in quanto struttura di servizio di una parte molto ampia della<br />

società civile.<br />

Concretamente, credo che bisogni parlare fin <strong>da</strong>ll'anno prossimo di un<br />

governo ombra. Ma non nel senso caricaturale delle pie aspettative di un<br />

partito, bensì come risultato finale di una serie di elaborazioni, di<br />

proposizioni, di selezioni che avvengano nel seno stesso della società civile,<br />

al di fuori del sistema dei partiti oggi esistenti. Credo che bisogna parlare <strong>da</strong><br />

subito di una lista <strong>da</strong> presentare alle elezioni dell'anno nuovo; ma non nel<br />

senso minoritario di una ennesima lista - elaborata a tavolino - "del buon<br />

partito", bensì come risultato finale di una serie di assemblee, di<br />

convenzioni, di votazioni formali che avvengano nel seno stesso della<br />

società civile, al di fuori del sistema dei partiti oggi esistenti. Credo ancora<br />

che bisogna riflettere profon<strong>da</strong>mente sul messaggio che la parola<br />

"referendum" lancia ancor oggi - come il povero Craxi ha dovuto constatare<br />

- ai cittadini; e organizzare dunque al più presto almeno un altro referendum<br />

(i temi, sono quelli di questi anni) perchè la società civile possa riprendersi<br />

di forza, uno dopo l'altro, tutto ciò che il regime le ha strappato questi anni<br />

in fatto di diritti civili e di qualità della vita e di valori.<br />

Abbiamo alcune poche strutture, ma abbiamo soprattutto un metodo <strong>da</strong><br />

offrire a tutti, e prima degli altri a noi stessi. Perchè anche noi della Rete<br />

abbiamo molto <strong>da</strong> imparare, su come si fa una Rete. Il Movimento per la<br />

Democrazia non è certamente l'unico, a poter imparare-insegnare tutto<br />

questo. Ma intanto è il primo. Ha delle esperienze, ha un'immagine, ha la<br />

simpatia di tantissime donne e uomini che istintivamente lo sentono <strong>da</strong>lla<br />

loro; ha dunque una notevole - e non delegabile - responsabilità. Ha un<br />

gruppo dirigente nazionale di buon livello, assolutamente pulito, ancora<br />

poco veloce ma già molto solido e sufficientemente coeso. Gli mancano i<br />

dirigenti e i quadri intermedi, che prima o poi bisognerà decidere (o non<br />

decidere: che è lo stesso) come e <strong>da</strong> dove selezionare, se con metodi e in<br />

ambiti - come in buona parte è avvenuto finora - tradizionali, o con metodi e<br />

provenienze <strong>da</strong> esplorare rischiando; su questo, in buona parte, si<br />

decideranno delle cose importanti nei prossimi anni.<br />

Nei primi giorni del 1991 il popolo italiano scoprì, improvvisamente, che<br />

la sua classe dirigente voleva fare una guerra. I vecchi hanno le idee molto<br />

chiare, in Italia, su quel che vuol dire una guerra. Per alcune settimane,<br />

nonostante giornali televisioni e Minculcop di vario genere, gli italiani


hanno avuto una maggioranza assolutamente antiregime, una maggioranza<br />

contro la guerra. A metà del 1991 il popolo italiano scoprì,<br />

improvvisamente, che esisteva una vaga possibilità di dire alla sua classe<br />

dirigente quel che pensava della moralità di essa. E ancora una volta, ma su<br />

un argomento completamente diverso <strong>da</strong>l precedente, nonostante giornali<br />

televisioni e Minculcop di vario genere, gli italiani hanno avuto una<br />

maggioranza assolutamente antiregime.<br />

Infine, la Sicilia: un palermitano su quattro, nella capitale del potere<br />

mafioso, cioè del più massiccio potere dell'Italia intera, ha votato per la<br />

ribellione. Come non essere ottimisti, di fronte a questo? Il nemico non è<br />

invincibile, siamo noi che non siamo ancora all'altezza. Ma c'è una prima<br />

volta per tutto, e a poco a poco s'impara. Intanto, la società civile è uscita in<br />

campo: battendosi nella politica, stavolta, non solo facendo discussioni.<br />

Bene o male, molti o pochi che siano gli errori <strong>da</strong> commettere e commessi,<br />

la stra<strong>da</strong> è questa, ed è una stra<strong>da</strong> ormai aperta.


QUIXADA<br />

1991?<br />

Caro amico, avrei così tante cose <strong>da</strong> scriverLe, ma la più immediata<br />

secondo me è questa: sul prossimo numero di Avvenimenti che Le porterà<br />

Antonella ci sarà un articolo di Miki, e uno di Antonio, e uno di Claudio.<br />

Provvede Lei a tirare la somma? Tutto questo, per dirLe che sarebbe<br />

veramente di pessimissimo gusto se, in questa nuova partita che si va- non<br />

so come - ad aprire, non ci fosse anche Lei. Posso saltare un paio di<br />

passaggi? Sarebbe molto bello se, fra qualche mese, la situazione<br />

dell'universo fosse la seguente:<br />

a) la gentile signorina C., che la settimana scorsa ha <strong>da</strong>to Storia Moderna<br />

II, è intenta a riscrivere per la settima volta il suo ultimo racconto, che verrà<br />

pubblicato quanto prima <strong>da</strong> La Luna;<br />

b) il valente signor Orioles, che ha appena preparato i palinsesti peril<br />

primo numero dei Siciliani, sta passando in tipografia l'articolo di Miki su<br />

Rendo;<br />

c) l'eccellentissimo dottor Quixa<strong>da</strong> è alle prese con i primi due capitoli<br />

dell'attesissimo volume sulla criminalità minorile in Italia;<br />

d) il cameriere del Caffè della Pace sta raccontando al collega come gli<br />

siano stati richiesti ieri, <strong>da</strong> tre inqualificabili figuri, altrettanti gelati per un<br />

totale di quattordici gusti diversi.<br />

Vorrei Lisia o Demostene, qui, perchè non ci vorrebbe meno della loro<br />

eloquenza per essere convincente quanto vorrei: ma il succo è che se Lei<br />

volesse coman<strong>da</strong>rsi decisamente di provvedere alla Sua salute - non per<br />

sopravvivere, ma per tornare in campo - molte belle cose avremmo ancora<br />

<strong>da</strong> fare; e quel che finora Lei ha fatto a Catania, si potrebbe cominciare a<br />

portarlo anche fuori. "Non ci sono uccelli nei nidi di ieri...". Ma forse, se<br />

Sancho fosse riuscito a far comprendere veramente quanto affetto aveva<br />

dentro, e quanta nostalgia, forse Quixa<strong>da</strong> si sarebbe alzato coraggiosamente<br />

in piedi, avrebbe raccolto elmo e scudo, e sarebbero ripartiti insieme, alla<br />

faccia di tutti i cacadubbi e i farabutti. E chissà. Ci sono almeno due esseri<br />

umani, in questo mondo, che per la propria felicità dipendono assolutamente<br />

<strong>da</strong>lla Sua; una è Antonella, e l'altro sono io. Rimanga con noi, per favore,<br />

non si lasci smontare.


NAZI<br />

Avvenimenti, gennaio 1992<br />

Vergogna ai parlamentari del Pds, di Rifon<strong>da</strong>zione comunista e della Rete<br />

che non hanno cercato d'impedire, sabato 13 a Roma, l'ennesimo raduno di<br />

nazisti venuti a esaltare i genocidi ed a prepararne degli altri. Vergogna ai<br />

loro dirigenti locali, troppo occupati in discussioni metafisiche per<br />

accorgersi di quel che succedeva nella loro città. Vergogna agli studenti,<br />

vergogna agli operai che hanno lasciato piazza libera agli hitleriani.<br />

Vergogna ai democratici e agli antifascisti. E vergogna a noi, che non<br />

c'eravamo.<br />

Il 13 giugno 1992 è una <strong>da</strong>ta <strong>da</strong> ricor<strong>da</strong>re, nella storia di questa città. Per<br />

la prima volta, dopo tredici mesi di preparazione, i nazisti sono scesi in<br />

campo apertamente e con le loro parole, gettando in campo un progetto<br />

politico e una cultura, l'una che accetta e comprende il genocidio, l'altro che<br />

nuovamente lo programma. L'altra <strong>da</strong>ta è il 19 maggio 1991, la prima<br />

Soluzione Finale organizzata - si comincia sempre con poco - a Roma, il<br />

primo non-ariano eliminato in nome della Razza: Auro Bruni. A ricor<strong>da</strong>re<br />

Auro, a lottare per lui, sono stati in pochi, durante un anno; sostanzialmente,<br />

gli amici del centro sociale dove fu ucciso. A muoversi contro i nazisti, il<br />

giorno che hanno portato i loro Goebbels a Roma, sono stati solo gli ebrei:<br />

un paio di centinaia di giovani e di ragazze, e otto sopravvissuti dei campi.<br />

E questo è stato tutto, e non c'è altro <strong>da</strong> dire.<br />

C'è invece qualcosa <strong>da</strong> fare per il domani. Intanto, mai più dev'essere<br />

permessa una manifestazione nazista a Roma. Bisogna impegnarsi, chi si<br />

dice ancora civile, ad impedire a qualunque costo, e con qualunque mezzo,<br />

che manifestazioni naziste possano ancora avvenire a Roma. Questa città ha<br />

avuto morti. Questa città ha visto spingere figli e madri sui camion dei<br />

nazisti. Ha avuto via Tasso. Mai più.<br />

Il capo del servizio di polizia, il 13 giugno, era un certo vicequestore Elio<br />

Cioppa, e il suo nome sta nelle liste della P2. Sarà solo una coincidenza. Ma<br />

intanto, sia trasferito. "Sono state fatte poche saponette", ha urlato un<br />

poliziotto agli ebrei, e il questore "annuncia provvedimenti".<br />

Provvedimenti? Ma in quale carcere si trova in questo momento costui, che<br />

ha commesso dinanzi a decine di pubblici ufficiali il reato gravissimo di<br />

istigazione al genocidio? In quale carcere si trova il nazista Maurizio<br />

Boccacci, che al vecchio che gli gri<strong>da</strong>va "Ho fatto quattro anni ad<br />

Auschwitz" ha urlato "Troppo pochi"? Chi l'ha arrestato sul posto, come<br />

ordina e prevede la legge? Quale funzionario si è assunta la responsabilità di<br />

non procedere, come era suo preciso obbligo, a questi arresti? Quale


sostituto procuratore di turno sta in<strong>da</strong>gando - o non sta in<strong>da</strong>gando - su<br />

questi reati?<br />

E' vero che a Roma esistono delle vere e proprie sedi, conosciute <strong>da</strong>lla<br />

questura e tuttavia tollerate, di un'organizzazione neonazista che si chiama<br />

Movimento Politico e che opera in flagrante violazione della legge sulla<br />

ricostituzione del partito fascista? Sotto quale ufficio di polizia ne ricade,<br />

territorialmente la competenza? E quali provvedimenti questo ufficio ha<br />

assunto? Chi si prende insomma, nome e cognome, le responsabilità? O<br />

deve finire come per gl'immigrati accoltellati a Colle Oppio, cogli<br />

accoltellatori nazisti allegramente liberi dopo pochi mesi, o come il corteo<br />

dei nazi a Santa Maria Maggiore, con sin<strong>da</strong>co e questore che si palleggiano<br />

garbatamente la responsabilità? Davvero deve finire così? Quella volta fu<br />

Dacia Valent l'unica a mettersi in mezzo alla stra<strong>da</strong>, di traverso al corteo dei<br />

nazisti; e gli altri trecento parlamentari della <strong>sinistra</strong> dov'erano? Sabato 13<br />

giugno, fra l'altro, dicono, l'Italia aveva un Presidente della Repubblica<br />

antifascista, uno che nel Quarantacinque c'era: perchè è stato zitto, i giorni<br />

dopo sabato, il presidente Scalfaro? Perchè?<br />

Non c'è <strong>da</strong> chiedere, stavolta, le dimissioni del questore di Roma. C'è <strong>da</strong><br />

chiedersi, piuttosto, se egli debba rispondere, per azione od omissione, di<br />

responsabilità penali. Sulle quali, e su quelle dell'agente che ha insultato, e<br />

del nazista Boccacci, e dei responsabili di polizia che non hanno proceduto<br />

agli arresti, e degli attivisti nazisti, e di chiunque altro, è bene che cominci<br />

<strong>da</strong> subito a fare accertamenti un comitato di giuristi, che avanzi precise<br />

denunce, e che ne esiga il rispetto. Il resto, tocca ai cittadini democratici,<br />

fuori del Parlamento, e in Parlamento.<br />

UN DIBATTITO A CATANIA<br />

1992?<br />

Ancora una volta si torna a parlare di Catania solo dopo un morto<br />

ammazzato. Per qualche giorno il "problema Catania" va in tv e sui giornali,<br />

si parla, si discute, e poi, come sempre, tutti se ne tornano - meno il morto -<br />

alla vita di prima. Succederà molte altre volte ancora, e sta succedendo<br />

anche in questo preciso momento.<br />

Un esempio, per capirci. E' dieci anni che il giudice Scidà denuncia il<br />

fatto che i ragazzi catanesi, quelli dei quartieri poveri, sono i più emarginati<br />

d'Europa, che abbiamo il record internazionale di giovani rapinatori e<br />

disperati. Ed è <strong>da</strong> dieci anni che Scidà spiega perchè questo succede: perchè


vengono <strong>da</strong> quartieri costruiti - costruiti <strong>da</strong>i cavalieri - per pura<br />

speculazione, senza nessuna struttura umana; perchè a chi coman<strong>da</strong><br />

conviene che ci siano giovani disperati, diversamente il ruolo della mafia di<br />

garante dell'ordine non avrebbe senso; perchè gli esempi che questi giovani<br />

subiscono quotidianamente <strong>da</strong>ll'alto sono solo e sempre di corruzione, di<br />

potere corrotto, di abuso. Bene, per dieci anni silenzio completo: Scidà<br />

veniva isolato, di quel che diceva non si doveva parlare, tutto come se non<br />

ci fosse. Poi finalmente un onorevole del governo ha scoperto le statistiche<br />

di Scidà: ah, ma allora è vero che a Catania c'è la criminalità minorile! Qui<br />

bisogna intervenire. Come? Risanando i quartieri? Mettendo questi ragazzi<br />

in condizione di vivere alla pari, di avere gli stessi diritti di tutti gli altri<br />

ragazzi italiani di vivere normalmente, in una città normale e non dominata<br />

<strong>da</strong>i cavalieri? No. Semplicemente, aumentando le pene e decidendo di<br />

mettere in galera più ragazzini. Perchè alla fine naturalmente debbono<br />

essere loro a pagare. Di cercare sul serio - per esempio - il boss Santapaola,<br />

e questo è un altro tema su cui Scidà <strong>da</strong> anni batte e ribatte completamente<br />

isolato, e senza nessun ministro che lo stia a sentire, di catturare il boss non<br />

si parla nemmeno. Tutti sanno che se Santapaola fosse preso, parlerebbe; e<br />

se parlasse, salterebbe per aria mezza Catania-bene. Dunque, prendiamo i<br />

ragazzini, e lasciamo in pace Santapaola. E poi facciamo tutte le<br />

manifestazioni che vogliamo contro la mafia, facciamo i cortei con<br />

l'arcivescovo che ha benedetto il supermercato di Costanzo, facciamo i<br />

dibattiti con Tony Zermo che ora fa il giornalista pensoso ma sei anni fa<br />

cercava di far passare Giuseppe Fava per un altro Pecorelli, facciamo le<br />

tavole rotonde con gli architetti di Costanzo come l'architetto Leone,<br />

facciamo le interviste con Pietro Barcellona che a Roma è un grande<br />

rivoluzionario ma qui difende Leone, facciamo gli incontri con Ciancio,<br />

riempiamoci la bocca di grande antimafia e gran società civile, e stiamo<br />

tranquilli che di questo passo nessuno ci metterà mai i bastoni fra le ruote. A<br />

chi possono fare paura tutte queste cose? Non certo alla mafia, non certo ai<br />

cavalieri che coman<strong>da</strong>no Catania: ai quali invece facevano paura i Siciliani<br />

e faceva paura Giuseppe Fava.<br />

Una cosa hanno subito detto tutti coloro che hanno in<strong>da</strong>gato su Catania<br />

con un minimo di serietà, Giuseppe Fava, Il generale Dalla Chiesa e Ccarlo<br />

Palermo. Hanno detto che Catania è caratterizzata <strong>da</strong>l dominio di quattro<br />

grandi famiglie. Rendo, Graci, Costanzo e Finocchiaro. Per anni noi dei<br />

Siciliani, che per il resto non pretendiamo d'insegnar niente e nessuno,<br />

abbiamo battuto e ribattuto ossessivamente su questo tasto: Rendo, Graci,<br />

Costanzo e Finocchiaro; fino alla noia. Se avevamo ragione o no, e noi<br />

questo lo dicevamo quando la versione ufficiale era ancora "a Catania non


c'è mafia", se avevamo ragione ormai ognuno può giudicarlo. Eppure, chi<br />

ha avuto il coraggio di ripeterlo in questi anni? Chi, dei vari rinnovatori, di<br />

tutti i vari Pannella, Bianco, Bommarito e compagnia bella ha avuto il<br />

coraggio e il senso di responsabilità di dire "noi vogliamo salvare Catania, e<br />

perciò invitiamo i catanesi a mobilitarsi contro i cavalieri"? Nessuno.<br />

Eppure, molti catanesi li avrebbero seguito, come hanno seguito noi,<br />

soprattutto i giovani, quando abbiamo avuto i mezzi per poter dire queste<br />

cose. Zermo, ora, piange le lacrime di coccodrillo e dice "abbiamo nascosto<br />

la verità per vent'anni". E lui dov'era? Ma noi non ce la pigliamo con<br />

Zermo, che è Zermo. Ce la pigliamo con tutti coloro che, giovani<br />

progressisti e pieni di belle parole, in buona sostanza si comportano - certo,<br />

meno rozzamente - esattamente come lui. Ce la pigliamo con tutti coloro,<br />

anche e soprattutto qui dentro, che prendono ancora questa gente per<br />

interlocutore, perchè dopo sei anni nessuno può ancora essere ingenuo e<br />

nessuno può più dire "io non sapevo".<br />

La salvezza di Catania non può venire <strong>da</strong> altri dibattiti e <strong>da</strong> altre eleganti<br />

discussioni, di queste ce ne sono state fin troppe e proppo spesso sono state<br />

un alibi per mascherare ciò che non si faceva, e ciò che si faceva. Bisogna<br />

invece riprendere, senza aspettarsi miracoli ma avendo fiducia nei giovani,<br />

la dura e onesta pe<strong>da</strong>gogia dei Siciliani. I Siciliani non promettevano niente<br />

a nessuno, ma dicevano le verità, tutte le verità. I Siciliani non<br />

appartenevano a nessun partito, ma indicavano un nemico preciso, i<br />

cavalieri, e uno scopo preciso, cacciare i cavalieri. Questo si era cominciato<br />

a fare, questo dopo i Siciliani non s'è fatto più, e questo bisogna<br />

ricominciare a fare.<br />

Non è più la situazione di prima. Nessuno può più dire nemmeno per<br />

scherzo che a Catania la mafia non esiste. Nessuno può più far finta di non<br />

sapere che cos'è la famiglia Costanzo, o Finocchiaro, o Graci o Rendo.<br />

Nessuno che abbia a che fare con loro - qui una richiesta formale al Pci:<br />

Leone è ancora un vostro iscritto o no? - più può essere in nessuna maniera<br />

giustificato. Molte cose che dicevano i Siciliani - ad esempio il legame<br />

organico fra mafie e massonerie e servizi segreti, che noi denunciammo per<br />

primi, e <strong>da</strong> soli, molti anni fa, col professor Giuseppe D'Urso - ormai sono<br />

senso comune. E i Siciliani, attraverso mille difficoltà, non sono affatto<br />

dispersi. Siamo ancora qui, ancora collegati fra noi, ancora legati a questa<br />

città, ancora in grado di lavorare per essa, e più decisi di prima. E forse è il<br />

momento di rilanciare di nuovo gli strumenti organizzativi che, in questi<br />

anni, hanno permesso ai cittadini più responsabili e decisi di organizzarsi<br />

seriamente: a cominciare <strong>da</strong>ll'associazione I Siciliani, in cui si sono riuniti e<br />

possono riunirsi ancora tutti coloro che, al di là delle appartenenze che


ormai contano ben poco, vogliono lottare senza mezzeparole e compromessi<br />

contro il potere dei quattro cavalieri.<br />

Infine. Non è mai stato nostro costume rimuovere le cose più antipatiche,<br />

quelle che per diplomazia e buona creanza si preferisce dire fuori<br />

dell'assemblea. Per esempio, le elezioni, e i partiti. Il nostro giudizio sul<br />

complesso della Catania politica esistente è abbastanza noto. Si va <strong>da</strong>gli<br />

episodi tragici, come quello di un Caragliano che viene candi<strong>da</strong>to alle<br />

elezioni, e addirittura votato, a quelli comici, come Pannella che arriva a<br />

Catania, imbroglia i catanesi, si fa <strong>da</strong>re i voti per combattere il potere... e<br />

poi regala cinque consiglieri alla Dc; e si passa per gli ormai numerosi<br />

rinnovatori, <strong>da</strong> Mirone ad Attaguile, <strong>da</strong> Bianco a Ziccone, ciascuno dei quali<br />

ha fatto milioni di dichiarazioni contro la mafia, e nessuno dei quali ha<br />

osato però prendere posizione sui cavalieri. Noi pensiamo che sarebbe un<br />

gran bene che qui a Catania ci fosse una lista nuova, anche proprio<br />

elettorale, e che non avrebbe molta importanza chi la promuovesse, purchè<br />

fosse, esplicitamente e senza tentennamenti, contro i cavalieri; perchè la<br />

radice del male sta lì. Appoggeremmo con piacere, anche se non siamo<br />

politici, una simile lista; ma denunceremmo come un ennesimo gattopardo<br />

chiunque venisse ad annunciare liste nuove e nuovi partiti e movimenti, e<br />

poi sulla faccen<strong>da</strong> dei cavalieri, e di gli uomini che del loro sistema sono<br />

parte, se ne stesse zitto. Una struttura nostra insomma, in tutte le istituzioni<br />

elettive; e dunque delle nostre liste e dei nostri voti. Ma "nostro" di chi?<br />

Ecco: se nostro significa di noi cittadini antimafiosi, che la pensiamo<br />

diversamente su mille altre cose e ci rispettiamo a vicen<strong>da</strong>, ma intanto<br />

contro mafia e cavalieri vogliamo fare qualcosa come un comitato di<br />

liberazione, allora è un bel "nostro", un "nostro" in cui possiamo<br />

tranquillamente entrarci tutti. Se invece vuol dire farumenti che non<br />

dipen<strong>da</strong>no <strong>da</strong> nessuno, una struttura nostra insomma, in tutte le istituzioni<br />

elettive; e dunque delle nostre liste e dei nostri voti. Ma "nostro" di chi?<br />

Ecco: se nostro significa di noi cittadini antimafiosi, che la pensiamo<br />

diversamente su mille altre cose e ci rispettiamo a vicen<strong>da</strong>, ma intanto<br />

contro mafia e cavalieri vogliamo fare qualcosa come un comitato di<br />

liberazione, allora è un bel "nostro", un "nostro" in cui possiamo<br />

tranquillamente entrarci tutti. Se invece vuol dire facciamo un altro partito,<br />

un buon vecchio partito come gli altri, allora, altrettanto tranquillamente,<br />

non vale la pena di perderci tempo.


IL PARTITO DI FALCONE E DEI RAGAZZINI<br />

Avvenimenti, gennaio 1992<br />

"Il partito di Falcone e dei ragazzini" non aveva un comitato centrale o<br />

uno stemma, ma in realtà era l'unico partito esistente in Sicilia, oltre alla<br />

mafia. Il rumore di fondo, in quegli anni, era costituito <strong>da</strong>ll dichiarazioni dei<br />

sin<strong>da</strong>ci che escludevano l'esistenza della mafia nella loro città, <strong>da</strong>i giornali<br />

ad azionariato mafioso che invocavano silenzio, <strong>da</strong>lla brava gente che<br />

lavorava chiassosamente all'autodistruzione della <strong>sinistra</strong>, e <strong>da</strong>i colpi di<br />

pistola. Furono i ragazzini di Palermo a scendere in campo per primi. Il<br />

liceo Meli, l'Einstein, il Galilei, poi via via tutti gli altri. Si passava sotto il<br />

Palazzo di Giustizia e il corteo,che fino a quel momento aveva gri<strong>da</strong>to a<br />

voce altissima i Nomi, faceva improvvisamente silenzio. Là dentro<br />

lavoravano i nostri magistrati. Falcone, Borsellino, Di Lello, Ayala, Agata<br />

Consoli, Conte: metà del Partito erano loro. L'altra metà, i liceali. A Catania,<br />

fra il 1984 e il 1986, furono almeno trecento i ragazzi che in una maniera o<br />

nell'altra parteciparono, <strong>da</strong> militanti, alle iniziative dei Siciliani Giovani:<br />

furono i primi a gri<strong>da</strong>re in piazza i nomi dei Cavalieri e a lavorare<br />

quotidianamente - il volantino,il centro sociale, l'assemblea - per strappargli<br />

<strong>da</strong>gli artigli la città. A Gela, a Niscemi, a Castellammare del Golfo, nei<br />

paesini dove i padroni hanno la dittatura militare, essi vennero fuori e<br />

lottarono, paese per paese e città per città. "La Sicilia non è mafiosa -<br />

affermavano orgogliosamente - La Sicilia è militarmente occupata <strong>da</strong>lla<br />

mafia". La Sicilia, dove ancora nel 1969 un ragazzo fu fatto uccidere <strong>da</strong>l<br />

padre - boss mafioso - perchè era iscritto alla Fgci. La Sicilia che ha<br />

combattuto, che non s'è arresa mai.<br />

Ha combattuto, ed ha fatto politica, ha ragionato. La politica come<br />

partecipazione, come trasversalità, come sociatà civile nasce nelle lotte<br />

palermitane e catanesi di quegli anni: oggi è common sense <strong>da</strong>ppertutto. La<br />

fine del vecchio ceto politico, di tutta la vecchia storia, fu intuita per la<br />

prima volta qui. Non è un caso se il movimento studentesco, due anni fa, è<br />

ripartito <strong>da</strong> Palermo, e se là dura tuttora. Non è un caso se Palermo è l'unica<br />

città d'Italia dove sia cresciuta un'opposizione di massa, dove l'opposizione<br />

sia vincente. Non è un caso se a Catania il più totale black-out di tv e<br />

stampa non riesca - due volte in due anni - a fermare i candi<strong>da</strong>ti<br />

dell'opposizione. Non è un caso se a Capo d'Orlando i commercianti si<br />

ribellano, non è un caso se a Gela gli studenti restano organizzati; e non è<br />

un caso se a Palermo la gente non reagisce invocando la pena di morte ma<br />

individuando luci<strong>da</strong>mente le responsabilità dei politici di governo e<br />

prendendosela con loro. Dal 1983 - e sono ormai nove anni - in Sicilia è in


atto, con alti e bassi ma con una sostanziale continuità; non ancora<br />

maggioritario ma già ben lontano <strong>da</strong>l minoritarismo. - un vero e proprio<br />

movimento di liberazione. Contro la mafia, ma anche contro tutto ciò che<br />

essa porta con sé.<br />

Questo movimento avrebbe potuto essere esattamente l'anello che<br />

mancava alla <strong>sinistra</strong> italiana, il punto di partenza per ricostruire tutto.<br />

Invece, è rimasto solo. Solo a livello di palazzi, di comitati centrali, di<br />

radical-chic, di giornali: non a livello di ragazzini. Domani, ad esempio -<br />

ma non è una novità, perchè avviene regolarmente ogni settimana - c'è<br />

assemblea dei liceali dell'Antimafia a Roma. Sono i soli, in Italia, a non<br />

avere paura dello sfascio. Perché sanno che c'è una classe dirigente pronta a<br />

prendere la responsabilità del Paese anche domattina, se fosse necessario - e<br />

non è detto che non lo sia. Orlando, Claudio Fava, Carmine Mancuso, Dalla<br />

Chiesa? Sì: ma anche - e soprattutto - Davide Camarrone del liceo Meli,<br />

Antonio Cimino di Corso Calatafimi, Fabio Passiglia, Nuccio Fazio, Vito<br />

Merca<strong>da</strong>nte, Angela Lo Canto, Carmelo Ferrarotto di Siciliani Giovani,<br />

Nando Calaciura, Tano Abela, il professor D'Urso: avete mai letto questi<br />

nomi sui giornali? Benissimo. Infatti, neanche i nomi dei primi socialisti<br />

uscivano sui giornali, cent'anni fa.<br />

Una metà del "partito" oggi non c'è più. Martelli, il giudice Carnevale,<br />

Pannella e Cossiga sono riusciti, ognuno con i suoi mezzi, a svuotare il<br />

Palazzo <strong>da</strong>i nostri magistrati e lo stesso Falcone, ben prima d'essere ucciso,<br />

era già stato messo in condizione di non essere più quello di prima. Dei<br />

"vecchi", solo Borsellino e Conte sono rimasti al loro posto. Ma nel<br />

frattempo sono cresciuti i Felice Lima, i Di Pietro, i Casson.


TEMPO D'ELEZIONI<br />

Antimafia, febbraio 1992<br />

Non so se il regime che verrà dopo quello democristiano sarà migliore o<br />

peggiore. So però che, di questo, siamo agli ultimi mesi. Cossiga, che come<br />

personaggio politico è mediocre, è tuttavia esemplarmente il sintomo di<br />

un'atmosfera culturale, una di quelle apparizioni che, nella storia di un<br />

paese, non possono aver luogo che in precisi e determinati momenti.<br />

Cossiga, Sgarbi, il giudice Carnevale, il socialista Chiesa: è la fotografia più<br />

puntuale dell'evoluzione cui è giunta la classe dirigente nazionale (c'è<br />

<strong>un'altra</strong> foto che si contrappone specularmente ad essa, ed è quella dei<br />

supermercati di un anno fa, con la gente che fa incetta di viveri, perchè non<br />

si fi<strong>da</strong>). Bossi, D'Annunzio, Eltsin, Mussolini: in un regime che muore<br />

primeggiano gli avventurieri. Cossiga, fra i politici di mestiere, è stato<br />

quello che con più lucidità ha compreso questo <strong>da</strong>to di fatto, fino a decidere<br />

conseguentemente di farsi avventuriero egli stesso, con l'obiettivo sempre<br />

meno nascosto d'instaurare una sua dittatura personale. E qui arrivano le<br />

elezioni: che potranno an<strong>da</strong>re meglio o peggio per il partito di Cossiga, ma<br />

ne sanciranno in ogni caso ufficialmente l'esistenza. Un terzo degli elettori,<br />

in diversa maniera, sarà schierato fuori e contro, dopo il cinque aprile, la<br />

nostra democrazia costituzionale.<br />

Sono stato ospite, l'ultima volta che sono an<strong>da</strong>to a Palermo, <strong>da</strong> una delle<br />

compagne del Coordinamento. Trent'anni, una casa non ricca, un bambino<br />

che fa i compiti sul tavolo <strong>da</strong> pranzo; una cinquantina di libri in uno scaffale<br />

(biografie, antimafia, un po' di buona letteratura), tre o quattro fascicoli,<br />

semiaperti sul tavolo, di preparazione a un concorso. Il bambino sapeva<br />

perfettamente un sacco di cose su Palermo, e doman<strong>da</strong>va e spiegava con<br />

vivacità e intelligenza. Io mi guar<strong>da</strong>vo attorno, e sentivo un che di familiare<br />

e di noto, che tuttavia non riuscivo a precisare. I libri meticolosamente<br />

ordinati, il bambino, la compagna che riordinava rapi<strong>da</strong>mente la cucina,<br />

l'aria di dignità - per così dire - militante che aleggiava per la casa. Solo<br />

parecchi giorni dopo, improvvisamente, ho collegato la scena a <strong>un'altra</strong>, di<br />

molti - almeno venti - anni fa, di quand'ero stato ospitato, in circostanze<br />

simili e sempre in Sicilia, <strong>da</strong> un compagno bracciante del Pci; anche là mi<br />

avevano colpito la pulizia e l'ordine della casa, e i libri raccolti alle pareti. E<br />

anche allora io cercavo una risposta a delle domande - diciamo così<br />

"politiche" - e a un tratto, improvvisamente, mi ero reso conto di averla<br />

avuta.<br />

E' facile essere un movimento in piazza. Ma io credo che un movimento<br />

vero - di quelli che cambiano il mondo, ogni cent'anni - consista soprattutto


nella vita quotidiana di alcuni esseri umani. Al paese di Di Vittorio, molti e<br />

molti anni fa, i signori giravano con il cappotto, i contadini con la mantella.<br />

Di Vittorio era un giovane contadino. Un giorno decise di procurarsi un<br />

cappotto, e di an<strong>da</strong>re in cappotto sulla piazza del paese. "Dopo" si accorse<br />

che quello che aveva fatto era stato un gesto politico. " Noi contadini siamo<br />

uguali a voi" voleva dire quel cappotto. Ed era il punto di partenza per tutto<br />

il resto.<br />

Sono stati molti i punti di partenza, in Sicilia, in questi anni. Ciascuno dei<br />

suoi protagonisti incontrava sempre sulla sua stra<strong>da</strong> l'impatto con il sistema<br />

di potere, che <strong>da</strong> noi chiamiamo mafia, e che <strong>da</strong> noi è molto più esplicito e<br />

diretto che nel resto del paese. Per questo siamo stati costretti, fin <strong>da</strong>ll'inizio<br />

e per tutto questo tempo, ad essere molto espliciti e diretti anche noi. Sono<br />

passati diversi anni prima che ci accorgessimo che tutti questi "punti di<br />

partenza" (col loro carico di vite quotidiane, di singole esperienze,<br />

d'umanità) potevano essere collegati fra loro; ma alla fine ci siamo arrivati.<br />

E siamo arrivati anche a capire che questo collegamento è "politico", ed è<br />

anzi la politica nella sua forma non corrotta e originale, quale compare nei<br />

tempi di crisi e di rifon<strong>da</strong>zione. Parecchio tempo dopo, man mano che il<br />

regime democristiano (e dei partiti) aentrava in crisi, questa percezione si è<br />

fatta senso comune, a macchia di leopardo, un po' in tutto il paese. Ma<br />

siamo stati noi - noi movimento antimafia -, pur con tutte le nostre<br />

approssimazioni e rozzezze, a intravvederla per primi. Per questo abbiamo,<br />

oggi, una responsabilità.<br />

Dal momento che esistono delle istituzioni, e <strong>da</strong>l momento che abbiamo<br />

deciso che la nostra, fra l'altro, è una "politica", si è posto il problema di<br />

come portare questa politica "anche" nelle istituzioni (se toglieste<br />

quest'"anche" tutto il discorso assumerebbe un altro aspetto, e il movimento<br />

antimafia finirebbe dritto in qualche logica di partito o gruppettara). La<br />

maggior parte di noi abbiamo ritenuto che, qui ed ora, lo strumento migliore<br />

in questo senso fosse la Rete. La rete a cui pensavamo, per la verità, era<br />

molto più una rete con la erre minuscola, un insieme di collegamenti e di<br />

azioni, una Resistenza insomma, che una Rete con tanto di maiuscola come<br />

quella che ogni tanto minaccia di saltar fuori. Ma tant'è: avevamo, e in<br />

buona parte abbiamo ancora, fiducia in una serie di storie personali, in<br />

Orlando, in Dalla Chiesa, in Pintacu<strong>da</strong>, in Galasso, in loro ma soprattutto in<br />

una serie di realtà di base che in questa rete hanno trovato, bene o male, un<br />

riferimento. E anche oggi (per quanto le scelte elettorali del movimento<br />

antimafia siano lungi <strong>da</strong>ll'essere omogenee: io ad esempio, al mio paese,<br />

voto alla camera per uno dei Siciliani nella Rete, ma al senato per un<br />

vecchio operaio che ora è a Rifon<strong>da</strong>zione) anche oggi la scelta fatta mi


sembra complessivamente giusta. Solo che adesso, diciamo <strong>da</strong>lle elezioni in<br />

poi, bisognerà mettere un bel po' di puntini dove ce n'è bisogno. Bisognerà<br />

stabilire se questa benedetta maiuscola, nella rete, ci sta bene oppure no, e<br />

di chi è questa rete, e con chi si fa. Non sarà una faccen<strong>da</strong> facile stabilirlo, e<br />

probabilmente litigheremo parecchio. Ma è meglio così: i compagni si<br />

aiutano molto di più litigandoci, chi gli vuol bene, che non lasciandogliele<br />

passare tutte. E questo vale per la Rete ma vale anche - beninteso - per tutto<br />

le altre bande di rossi, verdi, rosa e compagnia bella che, ognuno per la sua<br />

parte e senza filarsi per niente,disordinati e generosi, pieni di pregiudizi e di<br />

coraggio tentano tuttavia di ricostruire qualcosa.<br />

Se le elezioni non saranno un disastro, se il colpo di Stato non avverrà<br />

prima delle elezioni e non avverrà neanche immediatamente dopo, se la<br />

campagna elettorale sarà riuscita a portare a galla un certo numero di<br />

militanti di base, se le sinistre politiche riusciranno (a cominciare <strong>da</strong>lla<br />

Rete) a liberarsi almeno in parte <strong>da</strong> troppi politicanti e tromboni che ne<br />

affollano le file, se riusciranno magari a <strong>da</strong>re un minimo d'attenzione alle<br />

varie realtà di base che ne sono state finora le cenerentole e cassandre<br />

inascoltate; se riusciremo tutti ad ascoltarci l'uno con l'altro, a ricor<strong>da</strong>rci in<br />

ogni momento della nostra "politica" la politica vera <strong>da</strong> cui siamo nati,<br />

allora forse avremo qualche possibilità di costruire qualcosa. Diversamente,<br />

in tempi rapidissimi, crollerà ciò che resta dell'attuale regime, e s'instaurerà<br />

qualcosa che prima farà ridere, e poi farà orrore. I Cossiga, i Carnevale,<br />

saranno senza remore i padroni; e abbiamo già visto cosa essi sentono per la<br />

mafia, di quale giustizia intendono farsi i vendicatori. Avranno campo libero<br />

i gerarchi: gli Starace, i Farinacci, i Chiesa, i Fini e i Bossi, gli Andò. Sul<br />

quale, voglio chiudere.<br />

La con<strong>da</strong>nna dei giornalisti migliori che abbia oggi il Paese, con<strong>da</strong>nna<br />

decretata sul tamburo e fulminata di getto, non merita - mi riferisco al<br />

processo contro Fracassi e Fava, indetto <strong>da</strong>llo stesso Andò - commento<br />

alcuno se non questo, che essa entra nella storia giudiziaria accanto a quella<br />

del giudice Russo che assolse gli amici dei mafiosi per "stato di necessità";<br />

l'una e l'altra, per avventura, attinenti a faccende catanesi. Onorata<br />

con<strong>da</strong>nna, per chi l'ha subita; <strong>da</strong> tenere a mente. Il giorno dopo, in Sicilia, le<br />

autorità (sentendosi evidentemente incoraggiate <strong>da</strong> essa) man<strong>da</strong>rono a<br />

chiudere, con gran spiegamento d'uomini e mezzi, i locali che i giovani<br />

avevano occupato per farsene centri sociali, e che le autorità intendevano<br />

invece regalare all'imprenditore Ciancio perchè ci facesse i suoi affari. Va<br />

bene: dopo le con<strong>da</strong>nne del Tribunale, ai loro tempi, son solevano i fascisti<br />

an<strong>da</strong>re - incoraggiati - a far festa bruciando sin<strong>da</strong>cati e cooperative? Ma i<br />

regimi passano, la forza degli uomini liberi resta. Dell'onorevole Andò,


personalmente, ricordiamo quanto ci disse Giuseppe Fava. Il primo numero<br />

dei Siciliani uscì nel dicembre 1982. A gennaio, arrivarono le prime<br />

"offerte": fra cui quella di un componente della Famiglia Rendo, che offrì<br />

per l'appunto al Direttore - senza, s'intende, far cenno minimamente ai<br />

Siciliani - la direzione di un'emittente televisiva, budget iniziale un<br />

miliardo. L'offerta, naturalmente, fu respinta. Sette mesi dopo l'onorevole<br />

Andò venne a trovare Giuseppe Fava e gli offrì - neanche lui fece il minimo<br />

accenno ai Siciliani - la direzione di un'emittente televisiva, budget iniziale<br />

un miliardo. Anche quest'offerta fu respinta, ed era l'autunno del 1983.


UN PROMEMORIA PER LA RETE<br />

1992<br />

Non so a che punto sia il documento finale, ma vorrei uscire un attimo - ci<br />

torno subito! - <strong>da</strong>lla mia inossi<strong>da</strong>bile Neutralità Professionale con qualche<br />

osservazione. Il documento a cui state lavorando ora non è infatti un<br />

semplice strumento di lavoro per l'oggi ma un imprinting per il complesso<br />

dell'iniziativa. Più che il programma, dà lo stile: e mentre l'uno può (e deve)<br />

essere facilmente superato e aggiornato <strong>da</strong>i fatti, l'altro viene definito,<br />

qualunque siano le intenzioni, una volta per sempre<br />

Il documento di cui la Mia Neutralità ha finora potuto prender visione è,<br />

in questo senso, piuttosto carente e richiama molto più il club che il<br />

comitato di liberazione. Non perché manchino - non è la sede - gli obiettivi<br />

d'azione ma perché i grandi e generali principi esposti non possono<br />

surrogare gli esempi, le fattispecie immediate e la tensione che un appello<br />

del genere dovrebbe avere ora. Qualcosa d'analogo vorrei osservare - ma ci<br />

sarebbe <strong>da</strong> analizzare assai più, sotto il profilo del messaggio - sulla sintassi<br />

e sul vocabolario usati e insomma sul linguaggio (che anch'essso fa<br />

imprinting, "almeno" quanto il contenuto); giustamente tenuto sottotono; ma<br />

è il sottotono di Micromega, non quello di Gobetti. Almeno quattro punti<br />

avrebbero potuto, e possono ancora, fare <strong>da</strong> ossatura al documento, quattro<br />

punti concreti, con una specificità operativa, e una immediata rispondenza<br />

nella coscienza comune<br />

Il primo, evidentemente, è la guerra. "Repubblica" ha censurato l'ultimo<br />

capoverso dell'appello ai parlamentari di Pax Christi, capoverso che<br />

costituisce il massimo di radicalità e sovversione degli ultimi vent'anni:<br />

"Risparmiateci, vi preghiamo, la sofferta decisione, quale extrema ratio, di<br />

dover esortare direttamente i sol<strong>da</strong>ti, nel caso deprecabile di guerra, a<br />

riconsiderare secondo la propria coscienza la enorme gravità morale dell'uso<br />

delle armi che essi hanno in pugno". Firmato, monsignor presidente e il<br />

Comitato esecutivo di Pax Christi; non smentito, la Chiesa. I preti, dunque,<br />

si rivolgono alla classe dirigente e le dicono: se voi farete la guerra, noi<br />

chiameremo i sol<strong>da</strong>ti a disertare. La classe dirigente, giustamente, censura il<br />

terrificante messaggio. Ma noi, ce ne siamo accorti? In queste ore fra il<br />

quindici e il sedici gennaio, non tanto nei comitati e nelle piazze quanto<br />

nella quotidianità della vita e nelle coscienze, l'Italia ha cambiato<br />

maggioranza. Io non esito a dire - ma le cronache istituzionali, a ben vedere,<br />

mi <strong>da</strong>nno ragione - che questa maggioranza è cattolica e comunista,<br />

profon<strong>da</strong>mente; nel senso che aveva al mio paese, subito dopo l'alluvione.<br />

L'Italia delle vetrine, in questa notte, s'è rivelata artificiale; l'Italia che s'era


<strong>da</strong>ta per sepolta invece è viva, e molto spesso ha sedici anni. Io ve lo dico<br />

molto male, per come posso; ma è un preciso <strong>da</strong>to politico, non un<br />

sentimento. E' una richiesta precisa, a cui va <strong>da</strong>ta una risposta precisa - su<br />

guerra e dopoguerra - adeguatamente radicale. Di passaggio, nel vostro<br />

documento non si parla - mi pare - di studenti. Perché? In questo momento,<br />

fra i giovani si è an<strong>da</strong>ti - a livello di massa - anche al di là della Pantera:<br />

anche questa, per dei politici, è una richiesta precisa<br />

Il secondo punto riguar<strong>da</strong>, diciamo così, la giustizia: tutto ciò che ad essa<br />

si riferisce, compreso il funzionamento del nuovo codice, è generalmente<br />

vissuto come inaccettabile; e già si comincia ad affrontarlo <strong>da</strong> destra, nella<br />

cultura della paura. Affrontiamola noi, prima: campagna contro i nuovi<br />

codici, campagna per i magistrati, campagna contro lo smantellamento<br />

dell'antimafia; non sono battaglie già finite; sono semplicemente battaglie<br />

su cui, al momento in cui il potere le impose, non c'erano le forze e le<br />

culture; ma ora ci siamo noi, coi nostri otto milioni di elettori e il nostro<br />

laboratorio culturale. Sono battaglie nostre, possiamo riaprirle in qualsiasi<br />

momento, e il momento può benissimo essere ora. Il terzo, è la legge sulla<br />

droga: che ha colpito i giovani non tanto come consumatori di fumo (il che<br />

già è fascista) quanto come giovani propriamente: come gli esseri cioè che<br />

fanno o potrebbero fare qualcosa di non previsto, e che bisogna dunque<br />

incanalare a forza lungo una precisa e codificata "normalità". Il terzo punto<br />

potrebbe essere questo: riaprire il casino sulla legge Jervolino, fare il<br />

bilancio dei costi, rimetterla sfrontatamente in discussione, collegarla<br />

all'avanzare della mafia. Qui vorrei fermarmi un momento<br />

Sulla questione della mafia e delle massonerie, cioè della classe dirigente<br />

del Meridione e, fra due anni, dell'Italia, il documento è molto carente, nei<br />

contenuti ma soprattutto e sorprendentemente nella tensione e nel<br />

linguaggio. Proprio noi? Questo mi fa pensare. Qui, evidentemente,<br />

l'argomento è tanto radicale che Micromega fa più <strong>da</strong>nno che altrove. Gli<br />

esempi concreti - noi abbiamo usato i Cavalieri - qui non sono utili, ma<br />

indispensabili; perchè qui proprio di lotta di liberazione, in senso stretto, si<br />

tratta: e non si può assolutamente pensare di ricavarla <strong>da</strong> principi generali.<br />

Quanto poi del movimento antimafioso nostro possa essere "esportato",<br />

quanta parte della sua cultura possa funzionare altrove, quanto esso possa<br />

complessivamente e dovunque prefigurare - in quanto movimento - la<br />

<strong>sinistra</strong> di domani, è tutto <strong>da</strong> discutere (io rispondo settariamente "tutto" a<br />

tutt'e tre le questioni: ma è personale) e soprattutto <strong>da</strong> verificare<br />

concretamente nei fatti, non certo ora: ma l'esperienza antimafiosa è la parte<br />

più vitale, più generalizzabile e più cal<strong>da</strong> del nostro imprinting, e non va<br />

semplicemente enunciata


Il quarto punto che proporrei è relativo all'organizzazione. Che per noi<br />

non dev'essere l'allegato meno nobile, e separato, del progetto, ma una sua<br />

parte politica, e integrante. Organizzazione di chi? Non dell'associazione<br />

separata che per avventura chiamiamo Rete, ma di ogni qualunque<br />

associazione di cittadini (e "anche" della nostra) che voglia far società<br />

direttamente, e senza mediarsi nei partiti. Servono delle tecniche: quali<br />

sono? Come potrebbero configurarsi <strong>da</strong> un punto di vista associativo, e<br />

giuridicamente? Vogliamo cominciare a studiarne qualcheduna? E a<br />

metterne in comune con tutti i risultati, come primo contributo istituzionale<br />

concreto? Non si tratta di abolire i partiti - ha ragione Diego - ma di<br />

proporne un modello alternativo. La parola "partito" può essere mutata, ma<br />

il concetto no. Pure, sotto questo concetto si sono succedute cose tanto<br />

diverse come il club giacobino e il comitato liberale, la sezione comunista e<br />

il sin<strong>da</strong>cato brasiliano, che ormai è tempo di pensare un po' meno alla<br />

polemica sui nomi e un po' più allo studio, e alla proposizione concreta,<br />

delle strutture. E' un nodo decisivo - consente d'uscire <strong>da</strong>lla scelta fra partito<br />

burocratico e folla di seguaci - e la gente lo comprende. E' un punto politico<br />

del progetto<br />

Non è tutto qui. Una delle novità rispetto al modello tradizionale di<br />

progetto è proprio questa, che non bisogna essere esaustivi. Basta sapere -<br />

ma dire con chiarezza totale, e con nitidezza e umiltà di linguaggio - il dieci<br />

per cento delle cose; le altre, toccherà ai diretti interessati di portarle, e<br />

sedimentarle e amalgamarle via via con quel che c'è già. Non mi azzarderei,<br />

per esempio, di parlare di problemi delle donne; o di operai. Ma posso<br />

annotare che un movimento in cui prima o poi non venga sollecitato, o non<br />

irrompa, un input specifico di questo genere sarà portato inevitabilmente ad<br />

essere nei suoi momenti "medi" un movimento "borghese" e "maschilista";<br />

non sarà, in ogni caso, un movimento di tutti. Ma, per questo c'è tempo<br />

Affettuosamente, vostro neutralissimo<br />

P.S.: Istituite gruppi di lavoro per robe specifiche, aperti a tutti. Ogni città<br />

(= ogni Rete) un gruppo di lavoro su un problema diverso.


MODESTA PROPOSTA<br />

per trarre celermente a fine, con reciproca e duratura soddisfazione delle<br />

Parti, i Conflitti presentemente in atto nei Balcani<br />

1992<br />

Da che mondo è mondo le guerre si fanno principalmente - ed è principio<br />

ormai universalmente compreso - per conseguire benefici economici di<br />

breve o lungo periodo. La maniera di condurle è peraltro completamente<br />

diversa <strong>da</strong> quella dei capitani del passato: ci si bombar<strong>da</strong> reciprocamente i<br />

bambini finchè una delle due parti non cede; il che è indubbiamente un<br />

vantaggio per i sol<strong>da</strong>ti. E sarebbe senz'altro <strong>da</strong> approvarsi se conducesse<br />

allo scopo; ma così non è. Possiamo infatti agevolmente osservare come i<br />

bombar<strong>da</strong>menti non abbiano finora <strong>da</strong>to luogo a beneficio economico<br />

alcuno per chicchessia, ma con ogni evidenza il contrario. Se ne ricava una<br />

legge, che enuncerei così: "Il degrado economico dei Paesi belligeranti è<br />

direttamente proporzionale all'aumento del numero dei bambini<br />

bombar<strong>da</strong>ti". Il che, a prima vista, non apparirebbe razionale, essendo stato<br />

l'evento prodotto in vista di un obiettivo esattamente contrario.<br />

Ma, a una più approfondita riflessione, la contraddizione si spiega. Dietro<br />

la semplice locuzione "bombar<strong>da</strong>re i bambini" si cela infatti tutto un<br />

congegno di procedure - fabbricare i missili e gli apparecchi, condurli in<br />

volo, rimpiazzar quelli perduti e le artiglierie - e dunque un complesso non<br />

indifferente di costi: il totale dei quali annulla il vantaggio economico<br />

derivato <strong>da</strong>ll'aver bombar<strong>da</strong>to dei bambini e torna dunque a gravare sullo<br />

stato dell'economia. Che fare dunque? E' agevole intuire che la condizione<br />

per riportare equilibrio economico nell'operazione non può essere che una,<br />

portare a zero o ridurre il costo dell'abbattimento dei bambini: ma questo<br />

apparirebbe un assurdo. Poichè nessun bambino è infatti disponibile a<br />

presentarsi spontaneamente per farsi abbattere, è necessario raggiungerlo al<br />

suo domicilio con artifici dispendiosi: e dunque, inevitabilmente, con un<br />

costo: che nessun Governo può fare a meno di affrontare, se vuol fare la<br />

guerra che gli è indispensabile per risolvere duraturamente i problemi della<br />

sua economia. Il cane che si morde la co<strong>da</strong>.<br />

Impossibile, dunque? Non è così. C'è un piccolo impercettibile<br />

particolare, in quel che abbiamo detto, che consente di rovesciare la<br />

costruzione. Abbiamo detto infatti "nessun Governo"; ma "nessun Governo<br />

<strong>da</strong> solo", avremmo dovuto dire in realtà. Il Governo Serbo, ad esempio,<br />

affronta sì dei costi per bombar<strong>da</strong>re i bambini Croati; ma non ne<br />

affronterebbe alcuno, o ne affronterebbe di molto ridotti, per bombar<strong>da</strong>re i<br />

bambini suoi propri. La distanza che intercorre fra Belgrado e Belgrado è


infatti incontestabilmente inferiore a quella che intercorre fra Zagabria e<br />

Belgrado. Analogamente, il Governo Croato affronterebbe costi<br />

incomparabilmente inferiori se decidesse di bombar<strong>da</strong>re i suoi propri<br />

bambini invece di quelli altrui. Certo, ciascuno dei detti Governi non<br />

ricaverebbe alcun vantaggio militare, isolatamente preso, bombar<strong>da</strong>ndo<br />

bambini non ostili; ma se ciascuna delle parti, contestualmente,<br />

bombar<strong>da</strong>sse i bambini più economici (vale a dire, i propri) il risultato<br />

complessivo sarebbe lo stesso di un bombar<strong>da</strong>mento incrociato, ma a costo<br />

zero.<br />

Certo, la natura umana è quel che è, e non ci sarebbe <strong>da</strong> stupirsi se una<br />

delle due parti tentasse astutamente di sottrarsi all'impegno, lasciando che la<br />

parte avversaria bombar<strong>da</strong>sse i suoi bambini e rifiutandosi poi di<br />

bombar<strong>da</strong>re i propri. Ma le organizzazioni internazionali esistono per<br />

questo. Le Nazioni Unite, in particolare, potrebbero vigilare - attraverso<br />

un'apposita Commissione, dotata di poteri esecutivi - sulla rigorosa e<br />

contemporanea esecuzione dei bambini. La Commissione effettuerebbe<br />

delle ispezioni all'improvviso, e sarebbe dotata di un proprio Corpo di<br />

spedizione multinazionale. Nessun bambino illegale potrebbe assolutamente<br />

sfuggirle. Lo stesso meccanismo potrebbe essere posto in opera per le<br />

Potenze che intendessero direttamente o indirettamente partecipare, anche<br />

solo occasionalmente o parzialmente, al conflitto. Il Governo Francese<br />

avrebbe potuto ad esempio - per trarre una fattispecie <strong>da</strong>lla cronaca recente -<br />

cobelligeare agevolmente mediante l'economica esecuzione di uno o due<br />

scolari a Parigi o a Marsiglia, senz'essere obbligato a chiassosi e dispendiosi<br />

mitragliamenti stra<strong>da</strong>li (almeno 80 proiettili cal. 9 lungo, al costo di 25<br />

franchi ciascuno!) di automobili profughe, colà peraltro rare. Gl'Italiani, che<br />

attualmente spendono miliardi (un esercito e una flotta mobilitati in Puglia e<br />

nelle acque adiacenti) per difendersi <strong>da</strong>gli Albanesi, potrebbero provare<br />

esattamente le stesse emozioni con un facile rastrellamento, seguito magari<br />

<strong>da</strong> bombar<strong>da</strong>mento navale (il quale però alzerebbe i costi) nel plesso<br />

scolastico di Molfetta di Bari. E così via.<br />

Ma c'è ancora un'obiezione.<br />

Nella Carta delle Nazioni Unite si leggono proposizioni (<strong>da</strong> lungo tempo<br />

disattese, è vero, ma formalmente vigenti) che potrebbero forse crear<br />

ostacoli quanto meno procedurali allo scorrevole funzionamento della<br />

Commissione. Osservo però che io non ho mai detto che i bambini in<br />

questione debbano essere abbattuti con uno strumento bellico determinato.<br />

Ho usato il termine "bombar<strong>da</strong>ti" perchè è quello che, mi sembra, più si<br />

assimila alle disordinate esperienze finora in corso. Ma ogni altro mezzo<br />

andrebbe anche bene allo scopo: teoricamente, i bambini potrebbero anche


essere abbattuti singolarmente, con uno strumento qualunque purché atto<br />

allo scopo. E' <strong>da</strong> osservarsi però che, tanto per motivi di praticità quanto per<br />

un qual certo simbolismo che, nella civiltà dell'immagine, tiene pure il suo<br />

peso, sarebbe auspicabile di poter continuare a impiegare strumenti<br />

esplosivi: spogliati, evidentemente, di tutti quelli accessori - vettori, alette di<br />

stabilizzazione, dispositivi di ricerca elettronica e così via - che nella nuova<br />

situazione non avrebbero più molto senso, e costituirebbero solo un inutile<br />

aggravio di costi. Dei bauli esplosivi andrebbero bene; al limite, anche delle<br />

valigie. E qui vengo al superamento dell'obiezione testé avanzata.<br />

Per singolare coincidenza, difatti, possiamo vantare nel nostro Paese una<br />

considerevole esperienza nell'uso di strumenti siffatti. Mafia, servizi segreti,<br />

estremisti di destra, gladiatori, camorra - son pochi gl'Italiani amanti<br />

dell'ordine che non abbiano avuto occasione, prima o poi, di bombar<strong>da</strong>r dei<br />

bambini, o almeno di favorire, in un modo o nell'altro, il bombar<strong>da</strong>mento. E<br />

se l'Italia fosse, in questo campo innovativo e vitale, quel che la Svizzera fu<br />

per la Croce Rossa? Nessuno contesta alla Nazione elvetica, dopo tante<br />

esperienze, il diritto di <strong>da</strong>r la propria assistenza, in tutti i Paesi del mondo,<br />

ai prigionieri e ai feriti. Perché l'Italia no? Gli Stati belligeranti potrebbero<br />

accor<strong>da</strong>rsi, sotto l'egi<strong>da</strong> delle Nazioni Unite, per scambiarsi reciprocamente<br />

squadre di esecutori Italiani, per le operazioni anzidette; la Commissione<br />

dell'Onu vigilerebbe su di esse, ma a loro e solo a loro andrebbe l'onere di<br />

portare a esecuzione quanto pattuito. Nessuno dovrebbe aver nozione di<br />

loro, fuorché i Governi interessati (il csapo della Repubblica Italiana,<br />

eventualmente interrogato, sarebbe per legge tenuto a smentirne finanche<br />

l'esistenza); a nessuno - ma a questo sono abituati - dovrebbero <strong>da</strong>r conto. Il<br />

numero dei bambini interessati, non aumenterebbe di certo; e si eviterebbe<br />

di coinvolgere - considerazione umanitaria <strong>da</strong> non sottovalutare -<br />

degl'innocenti sol<strong>da</strong>ti.<br />

Numerosi programmi televisivi potrebbero essere prodotti, a edificazione<br />

del Pubblico e beneficio degli Operatori e Imprenditori del settore, in<br />

occasione del primo, secondo, quinto, decimo e venticinquesimo<br />

anniversario di ogni singolo bombar<strong>da</strong>mento. Gli Allievi Generali<br />

dell'Aeronautica Militare avrebbero a disposizione gran messe di Segreti di<br />

Stato su cui esercitarsi a nascondere - cosa certo non inutile ai fini della<br />

formazion e professionale- la verità. I Giornalisti non difetterebbero di<br />

lavoro, né i Telespettatori d'emozioni.<br />

Non voglio riconoscimenti per questa proposta. Rinuncio anticipatamente<br />

al brevetto e libero chicchessìa <strong>da</strong> ogni e qualsiasi obbligo nei miei<br />

confronti. Sono solo un cittadino che crede che il ruolo dell'Italia nel mondo<br />

abbia ancora un senso e va<strong>da</strong> decisamente riproposto facendo appello a quei


valori di capacità creativistica e propositiva, di professionalità e di libera<br />

iniziativa che soli potranno, un giorno, riportarci in Europa.


GATTOPARDI E GARIBALDINI<br />

Antimafia, marzo 1992<br />

"Antimafia" è stato l'unico giornale italiano che, in pieno craxismo e con<br />

Cossiga trionfante, abbia previsto il crollo, a brevissima scadenza, del<br />

regime. Che sta avvenendo adesso, sotto gli occhi di tutti. Cossiga,<br />

Andreotti, Craxi non ci sono più. Capitribù locali al soldo dell'Impero,<br />

avevano un senso finché l'Impero aveva bisogno di loro. Adesso è lotta per<br />

la successione. Dal polverone generale spunta fuori un nome, Galeazzo<br />

Martelli, che aggregherà rapi<strong>da</strong>mente attorno a sè "rinnovatori": i La Malfa,<br />

i Macaluso, i Segni, forse subalterno qualche altro. Su queste basi, nei<br />

prossimi mesi (ma forse già mentre questo "Antimafia" sarà in edicola)<br />

cadrà il governo Amato, l'ultimo del vecchio regime. Andrà giù nel<br />

l'apocalisse generale, coi marchi tedeschi accampati in Italia, l'inflazione per<br />

le strade, i vecchi capitribù scatenati a contendersi bocconi di potere, i<br />

gerarchi che proclamano "fermeremo la crisi sul bagnasciuga", e i generali<br />

del Regio Esercito che scappano in mutande. Sarà in questa situazione che<br />

verranno fuori i "rinnovatori": polso fermo, voce sicura: "Morte ai borboni!<br />

E' ora di cambiare".<br />

Ora, noi siciliani di tante cose non c'intenderemo, ma di una siamo<br />

maestri, anzi professori: l'arte di riconoscere i gattopardi. Ne abbiamo visti<br />

tanti! "Lotta alla mafia!": sì, ma in<strong>da</strong>gherete sui Costanzo? "Basta con le<br />

tangenti!": sì, ma continuerete a <strong>da</strong>re gli appalti a Graci? "Trasparenza<br />

<strong>da</strong>ppertutto!": va bene, ma le liste della massoneria? "Rinnoviamo i<br />

partiti!": sì, ma coi vecchi vicesegretari al posto dei vecchi segretari?<br />

"Salviamo l'economia! Sacrifici!". Sì, ma farete pagare le tasse a Rendo?<br />

"Cambiare tutto, perché tutto resti come prima" diceva il vecchio principe<br />

di Salina. Ha funzionato un sacco di volte, in Sicilia. Prima della<br />

rivoluzione, gentiluomini di Re Franceschiello. Dopo la rivoluzione,<br />

ministri di Vittorio Emanuele. Sempre alla faccia dei villani.<br />

Allora. Primo, chi era gerarca, non preten<strong>da</strong> d'essere stato partigiano.<br />

Martelli, se è <strong>da</strong>vvero pentito di essere stato craxista, si ritiri in un convento<br />

e scriva le sue memorie; la patria può fare a meno di lui. Secondo, stavolta<br />

cerchiamo, noi garibaldini, di non lasciarci imbrogliare a belle parole. Per<br />

una volta nella storia, non facciamoci fregare <strong>da</strong>l Gattopardo.<br />

* * *<br />

Il Gattopardo, fra l'altro, è debole; i rapporti di forza, in questo trapasso di<br />

regime, sono tutti a nostro favore. Nostro, di chi? Della <strong>sinistra</strong> vera. Quelli<br />

che hanno fatto antimafia; quelli che sono stati contro la guerra del petrolio;<br />

quelli che hanno difeso gli immigrati; quelli che non si sono mai appattati


né coi tangentisti né coi cavalieri: la vera <strong>sinistra</strong> del popolo italiano è<br />

questa. Non ha un suo partito, anzi spesso non ne ha nessuno. Ma ha i suoi<br />

valori comuni, la sua continuità, la sua organizzazione, i suoi capi.<br />

Organizzazione, certo: quante persone sono concretamente attive, nella tua<br />

città, con le sezioni di partito? E quante invece col volontariato, coi centri<br />

sociali, con le attività di quartiere? Chi sono più numerosi, già ora, i<br />

cittadini del vecchio, o quelli del nuovo Stato?<br />

Abbiamo anche dei leader, degli esseri umani che già ora sono - fra molta<br />

confusione, rozzamente - dei punti di riferimento molto più ampi di uno<br />

specifico partito. A Roma, per esempio, a quale partito appartiene Renato<br />

Nicolini? Lui è del Pds, ma fra i ragazzi delle borgate pochi sono quelli che<br />

lo sanno. Di Nicolini ricor<strong>da</strong>no, ed è l'essenziale, che è stato quello che ha<br />

aperto il centro di Roma ai borgatari. Ma <strong>da</strong>vvero Carmine Mancuso o<br />

Nando Dalla Chiesa, chi li va ad ascoltare, ci va solo perché sono della<br />

Rete? Dacia Valent, di Rifon<strong>da</strong>zione, cos'è prima: una di Rifon<strong>da</strong>zione o<br />

una che può parlare per gli immigrati? I ragazzi che stanno facendo attività<br />

sociale nel quartiere più difficile di Catania, di che partito sono? Ma<br />

<strong>da</strong>vvero v'interessa saperlo? E che sigla c'è sulla bandiera rossa di quel<br />

gruppo di operai che sfila nel corteo con tro la stangata? E' proprio così<br />

importante? Che cosa succederebbe se questi ragazzi e questi operai si<br />

riconoscessero reciprocamente, capissero di far parte, in realtà, di un'unico<br />

"partito"?<br />

Ecco, il momento è questo. Esistono molte e vitali situazioni di base, che<br />

a volte sono persino "politiche" (Pds, Verdi, Rete, Ri fon<strong>da</strong>zione), ma molto<br />

più spesso no. Hanno radici culturali diversissime, <strong>da</strong>i centri sociali "rossi"<br />

ai preti di quartiere, passando per tutta la gamma delle radici popolari di<br />

questo Paese. Cos'hanno in comune fra loro? Una cosa semplice e profon<strong>da</strong>:<br />

insieme, essi sono l'Italia.<br />

* * *<br />

Sono la stessa Italia, due generazioni più tardi, dell'otto settembre del<br />

1943. Anche allora un regime, per anni e anni, aveva strombazzato<br />

"guar<strong>da</strong>te i nostri giornali: l'Italia è questa". Ma al momento della prova, si<br />

vide la loro menzogna. I gerarchi, i capifabbricato, le folle dei coman<strong>da</strong>ti,<br />

non erano il paese reale. Il paese reale erano il carabiniere che aiutava gli<br />

ebrei a scappare, la donna che li nascondeva, il ragazzo con le idee confuse<br />

che senza sapere bene perché strappava la cartolina militare e se ne an<strong>da</strong>va<br />

in montagna. Semplici, ma non passivi, esseri umani che seppero<br />

riconoscersi l'uno con l'altro, collegarsi fra loro, individuare una linea<br />

politica, crearsi una propria classe dirigente e in fine - mentre i generali<br />

ancora scappavano - salvare il Paese.


Noi dell'antimafia non abbiamo atteso le strombazzate dei politicanti per<br />

parlare di nuova Resistenza. E' <strong>da</strong>l 1984, <strong>da</strong>i "Siciliani", che la nostra lotta<br />

al potere mafioso l'abbiamo chiamata, e condotta, esattamente così. Solo<br />

che per noi, a differenza dei politicanti, non è soltanto una parola, ma una<br />

cosa seria e concreta, su cui ogni giorno puntiamo tutto ciò che compone la<br />

nostra vita. Proprio perché è una Resistenza, bisogna condurla insieme,<br />

scavalcando le appartenenze, superando con fiducia reciproca le diffi enze e<br />

gli steccati. E proprio perché è una Resistenza bisogna portarla avanti fino<br />

in fondo, non fino al primo o al secondo livello, ma fino a quello dei<br />

politici, degli imprenditori, delle stesse istituzioni invase dello Stato.<br />

* * *<br />

La <strong>sinistra</strong> politica, oggi, a differenza di due anni fa, è divisa in quattro<br />

principali partiti: Pds, Rete, Rifon<strong>da</strong>zione, Verdi. Nes suno di essi, in<br />

sostanza, tende a porsi come l'unica gui<strong>da</strong> di tutta la <strong>sinistra</strong> e ciascuna<br />

tende a riconoscere, sia pure rozza mente e senza troppo entusia smo,<br />

l'esistenza e persino qu alche volta l'utilità delle altre. Esistono poi una<br />

quantità di re altà minori, che un tempo sa rebbero state relegate (o si sa<br />

rebbero relegate) nell'estremismo, ma alle quali adesso viene più o meno<br />

pacificamente riconosciuta una dignità politica. All'interno di ciascuno dei<br />

quattro partiti ci sono poi diverse "anime"e diverse culture, spesso più<br />

sensibili alle somiglianze trasversali che alla ragion di partito; e sempre più<br />

spesso militanti di partiti diversi militano insieme senza problemi in uno<br />

stesso movimento di base. Potrebbe perfino essere, se nessuno si fa<br />

incantare <strong>da</strong>i gattopardi, e se <strong>da</strong>vvero c'è in giro voglia di ripartire, un buon<br />

ricominciamento per la <strong>sinistra</strong> ita liana. Però, la questione fon <strong>da</strong>mentale<br />

resta (anche <strong>da</strong>l punto di vista della <strong>sinistra</strong> "politica", se vuol tornare ad<br />

essere popolare) quella del colle gamento fra le realtà di base, e soprattutto<br />

fra quelle più diverse "politicamente" fra loro: che spesso sono, per<br />

avventura, le più efficienti e radicate.<br />

Sappiamo, per quanto ci riguar<strong>da</strong>, di diversi "lavori in corso" per <strong>da</strong>re un<br />

contributo a questo collegamento. Fra i giovani, in una ventina di città, si<br />

lavora a mettere in piedi un giornale au togestito comune. Fra le<br />

associazioni di base, <strong>da</strong> luglio in qua, almeno una cinquantina stanno<br />

cercando di collegarsi per sviluppare delle iniziative insieme, città per città<br />

e a livello nazionale. Ma sono pochi e timidi passi. Un passo decisivo in<br />

questo senso potrebbe compierlo il movimento antimafia di Pa lermo. Se<br />

esso fosse capace di riunirsi, in un'occasione, in tutte le sue componenti di<br />

base (alcune delle quali, come l'Associazione Coordinamento Antimafia o,<br />

fra i giovani, gli universitari del movimento studentesco, hanno una<br />

popolarità nazionale, e dunque una responsabilità, del tutto particolari) e di


lanciare con tutta l'autorevolezza che gli compete un appello a una sorta di<br />

costituente di base, noi crediamo che questo appello non resterebbe<br />

inascoltato. Appello a che cosa? A cominciare a muoversi in un'ottica di<br />

Stato.<br />

Definire gli strumenti non violenti a cominciare <strong>da</strong>l rifiuto d'obbedienza,<br />

esteso ai funzionari e dipendenti dello Stato, di fronte a ordini e<br />

comportamenti palese mente anticostituzionali attraverso cui il popolo possa<br />

eserci tare con efficacia e senza traumi il suo controllo sulle istituzioni;<br />

Costituire, non sulla base di appartenenze politiche e di accordi fra partiti<br />

ma della rappresentatività d'esperienze e delle indicazioni di realtà di base,<br />

un vero e proprio governo alternativo, che sia pronto a reggere il Paese in<br />

caso di sfascio istituzionale e che abbia già oggi l'autorità morale di<br />

richiedere, se accorra, collaborazione ed appoggio ai cittadini e a settori<br />

delle istitu zioni.<br />

Definire una serie di compor tamenti e di strumenti mediante i quali le<br />

prime "zone civilmente liberate" del Paese possano servire <strong>da</strong> esempio e <strong>da</strong><br />

punto d'appoggio a tutte le altre.<br />

* * *<br />

Durante Cossiga e dopo Cossiga, la classe dirigente ita liana ha<br />

dimostrato un'unica coerenza: quella di abolire di fatto, un segmento dopo<br />

l'altro, gli istituti più intimi della Costituzione. "L'Italia ripudia la guerra": il<br />

"nuovo modello di difesa" prevede un esercito professionale, e con compiti<br />

di polizia internazionale lontano <strong>da</strong>l Paese. "La magistratura costituisce un<br />

ordine autonomo e indipendente <strong>da</strong> ogni altro potere": il pubblico ministero<br />

sottoposto al governo. "La condizione giuridica dello straniero...": le<br />

persecuzioni contro gl'immi grati. Giudici pubblicamente minacciati <strong>da</strong>i<br />

capipartito, paracadutisti per le strade a pattugliare "contro la mafia",<br />

governi che chiedono autorità dittatoriale "per risanare l'economia": ma<br />

questa è ancora la Repubblica di Pertini?<br />

Non siamo ancora in una dittatura, non siamo già più in una democrazia<br />

occidentale. Il cossighismo (o il "Piano di rinascita" di Gelli) è<br />

sopravvissuto a Cossiga, e rischia di fare ancora molto <strong>da</strong>nno. Per questo<br />

bisogna stare attenti, e soprattutto bisogna fare in fretta. Per difendere la<br />

Costituzione, e se occorre per rifare lo Stato.


PERCHE' NON POSSIAMO NON DIRCI PALERMITANI<br />

Avvenimenti, agosto 1992<br />

"Qui è morta la speranza dei palermitani onesti". Questo cartello è stato<br />

scritto esattamente dieci anni fa, sul luogo dove poche ore prima il potere<br />

mafioso aveva ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Dieci anni<br />

sono abbastanza per decidere che quel cartello era sbagliato, e per eccesso e<br />

per difetto di ottimismo. In dieci anni la mafia ha avuto modo, col sostegno<br />

di una classe politica che ne ha condiviso i valori, di minacciare la stessa<br />

esistenza civile non di Palermo soltanto, ma dell'Italia intera. Ma in dieci<br />

anni i palermitani hanno <strong>da</strong>to vita a una ribellione, a una crescita della<br />

coscienza collettiva e del senso di responsabilità individuale che<br />

costituiscono un esempio per l'intero Paese. Dall'esercizio del potere<br />

mafioso in Sicilia è venuto il modello, per le classi dirigenti nazionali, di<br />

una gestione dello Stato svincolata <strong>da</strong> ogni valore che non sia il profitto e<br />

l'autoconservazione. Dai movimenti antimafiosi di Sicilia è venuto<br />

l'esempio di una nuova possibile tecnica della politica e di una sua nuova<br />

moralità.<br />

Spartizione violenta delle risorse pubbliche fra i vari clan affaristicofamigliari,<br />

o iniziativa diretta e autoliberatoria della società civile:<br />

l'"alternativa siciliana" vale - dieci anni dopo - per l'intera Nazione.<br />

Per questo ciascuno di noi oggi si trova, in un certo senso - che ne sia<br />

cosciente o meno, e ovunque sia in realtà il suo domicilio legale - in piazza<br />

a Palermo. O fra i manifestanti antimafiosi che per il decimo anno<br />

consecutivo, ma adesso con ben più forza, sfilano contro il potere. O fra<br />

coloro che li guar<strong>da</strong>no passare, senza una parola, <strong>da</strong> dietro le persiane<br />

chiuse.


L'ATTIMO<br />

Antimafia, gennaio 1993<br />

Via Craxi, via Andreotti, via Martelli, via Cossiga: e ora? Ma <strong>da</strong>vvero la<br />

crisi italiana deve essere risolta <strong>da</strong>lle varie alleanze "democratiche", <strong>da</strong>i La<br />

Malfa, <strong>da</strong>gli Andò, <strong>da</strong>gli Amato - <strong>da</strong>i gattopardi, insomma? Dai Pannella,<br />

<strong>da</strong>i Bossi, <strong>da</strong>i buffi derivati della crisi? Oppure, cosa?<br />

Il momento, è ora. Se l'antimafia avesse avuto la forza di unirsi, dopo<br />

Falcone e Borsellino, e di lanciare un grido forte al Paese. Se gli operai ce<br />

l'avessero fatta, nelle giornate d'ottobre, a unirsi dentro e fuori il sin<strong>da</strong>cato.<br />

Se la Rete fose rimasta trasversale. Se Rifon<strong>da</strong>zione avesse, nella testa dei<br />

suoi dirigenti, trent'anni di meno. Se il Pds imparasse una buona volta chi è<br />

Martelli. Se i Verdi non si fossero lasciati ingabbiare. Se le centinaia e<br />

centinaia di giovani militanti che abbiamo visto crescere sotto i nostri occhi<br />

in questi anni prendessero in mano la <strong>sinistra</strong>. Se la smettessimo di<br />

dividerci, di chiacchierare, di sofisticare astrattamente fra di noi, di<br />

aspettare un san Giorgio che ci levi <strong>da</strong>i guai. Se.<br />

Mai la crisi del sistema di potere in Italia è stata tanto profon<strong>da</strong>, tanto<br />

disperata. I mafiosi sono nei guai. Il partito craxista è ferito mortalmente. La<br />

Dc inossi<strong>da</strong>bile, adesso trema dei prossimi avvisi di garanzia. Persino<br />

Carnevale, hanno dovuto mettere <strong>da</strong> parte. Eppure il vento nuovo non si<br />

leva. Eppure Amato e Scalfaro, oggettivamente, stanno riuscendo a<br />

normalizzare tutto.<br />

Per quarant'anni, in questo Paese, il potere è stato retto <strong>da</strong> un sistema<br />

mafioso. Gli uomini di Cosa Nostra, e nessuno ormai ne può dubitare, sono<br />

stati un braccio esecutivo - non l'unico - del potere. Le elezioni - l'ha<br />

confessato il golpista Cossiga -, una mera formalità: se gli uomini del potere<br />

avessero perso, c'era la Gladio pronta ad assumere sanguinosamente, in<br />

qualsiasi momento, il potere. L'informazione libera? Pensate alla Rai e a<br />

Berlusconi. I diirtti dei lavoratori? I primi soldi di Tangentopoli sono serviti<br />

proprio a finanziare la campagna per togliergli di prepotenza la scala<br />

mobile. La "sana imprenditoria", la "quarta potenza dell'Occidente"? Balle.<br />

Gl'industriali, rubavano i soldi pubblici con le mazzette; quanto alla<br />

"potenza economica", guar<strong>da</strong>te come hanno ridotto la lira.<br />

Oggi e solo oggi, per la prima volta, possiamo cominciare a parlare,<br />

seriamente, di democrazia. Non d'utopie rassicuranti, non di più o meno<br />

seriose ideologie, ma proprio di questa semplice parola: democrazia. Quella<br />

- per capirci subito - che stava scritta in faccia al presidente Pertini.<br />

L'antimafia, in Sicilia e poi via via sempre più oltre la Sicilia, non è stata<br />

solo una lotta contro qualcosa; esattamente come la mafia non è stata solo la


degenerazione, la patologia di una regione. Nate, l'una e l'altra, dentro<br />

un'isola, hanno simboleggiato e assorbito le due polarità della Nazione. Il<br />

bene e il male, l'impegno civile e l'intrallazzo, la lotta dei cittadini e la<br />

prepotenza del potere, tutto si è condensato in queste due parole. Il regime<br />

non ha potuto fare a meno della mafia: l'Italia che viene adesso non può<br />

nascere che <strong>da</strong>ll'antimafia. In nessun altro movimento di questi anni si sono<br />

fusi insieme, nei suoi momenti migliori, ribellione e unità.<br />

Scriviamo in fretta, lavoriamo in fretta, in questi momenti decisivi, perché<br />

c'è molto <strong>da</strong> fare, per noi e per tutti coloro che, in questi dieci anni, hanno<br />

saputo credere alla mortalità del regime. Non c'è neanche il tempo di<br />

ricor<strong>da</strong>re per quali tappe si sia arrivati a questo, quali dolori umani e quali<br />

sacrifici e speranze abbiano permesso di percorrere tutta la stra<strong>da</strong> fino ad<br />

ora. Chinnici, Peppino Impastato, Roberto Antiochia, Cassarà, Giuseppe<br />

Fava: nessuna di queste vicende umane, e di diecine d'altre, è caduta nel<br />

vuoto. Purchè, adesso, sappiamo fare il nostro dovere.<br />

In questa stanza dove i compagni-amici di "Antimafia" aspettano la<br />

chiusura del giornale, in questo preciso momento, c'è molta confusione.<br />

Vedo Michele Gambino che sta lavorando a un articolo di "Avvenimenti",<br />

uno dei tanti che hanno smascherato il potere, due ragazzi dell'"Alba", Carlo<br />

e Francesco, che parlano della manifestazione di Gela, Marco che sta<br />

correggendo una pagina dei "Siciliani"... Non siamo soli, non siamo pochi.<br />

E' il momento di unirci, e di concludere la partita.<br />

"I Siciliani" che tornano in questi giorni, dopo sette anni di lontananza<br />

<strong>da</strong>ll'edicola ma non di silenzio e tanto meno d'inattività, vogliono dire<br />

esattamente questo. A tutti si rivolgono, a tutti - specialmente a Palermo e<br />

Catania, ma in tutte le città in cui si lotta - chiedono un impegno concreto.<br />

Ai lettori di "Antimafia" e a quelli di "Avvenimenti", ai militanti della Rete<br />

e a quelli di Rifon<strong>da</strong>zione e del Pds, a quelli che hanno fatto la Pantera e a<br />

quelli dell'autunno degli operai, ai giovani venuti fuori quest'anno e ai<br />

militanti che hanno attraversato senza paura dieci inverni di lotte, a tutti, a<br />

tutti: forza ch'è giunta l'ora, il momento è questo.


QUATTRO CHIACCHIERE FRA AMICI<br />

CHE FANNO IL GIORNALISTA<br />

febbraio 1992<br />

Mah, io non metterei l'accento sulla patologia della professione. Mi pare<br />

che, prima ancora, i problemi siano proprio nella fisiologia - oggi come oggi<br />

- del mestiere. Morto il vecchio cronista, il giornalista medio è sempre più<br />

un deskista. Prima, la selezione era dura e, in qualche modo, onesta: non<br />

sopravvivevano i migliori umanamente, ma almeno i più "giornalisti". Ora,<br />

la selezione è fiacca e disonesta: sopravvivono proprio coloro che hanno<br />

meno qualità giornalistiche e più capacità d'a<strong>da</strong>ttamento. Poi la corruzione,<br />

la lottizzazione, ecc. Buona parte degli iscritti all'Ordine lavora in ufficistampa.<br />

La "professionalità", insomma, ha ammazzato il mestiere. I vecchi<br />

tempi, d'altra parte, avevano - per altri versi, i loro guai; e comunque,<br />

proprio per ragioni tecnologiche, non torneranno mai più. Si può recuperare<br />

una parte della vecchia figura di giornalista (e in questo c'è <strong>da</strong> essere assai<br />

conservatori), ma è proprio il concetto di giornalista in quanto tale va<br />

ricostruito completamente <strong>da</strong>lle fon<strong>da</strong>menta (è già successo altre volte, del<br />

resto: per esempio, alla fine del Settecento).<br />

E qui arriva il Progetto Politico DeI Siciliani. Che innanzitutto, come<br />

prima buona qualità, non è affatto un "progetto", cioè una cosa studiata a<br />

tavolino, ideologica, ma un'esperienza concreta e una progressiva<br />

sedimentazione - sempre sulla base dell'esperienza - di elementi che poi si<br />

possono generalizzare. Primo elemento: niente puzza al naso. Gambino,<br />

Faillaci o Paolo Petrucci sono possibili giornalisti. Chi, quel ragazzo là, che<br />

a momenti non sa se un giornale è quadrato o tondo? Proprio lui. Se ha delle<br />

qualità "civili" di base, se è disposto a passare i suoi anni di addestramento<br />

nel Campo Uno (e se sopravvive ad esso), e se trova dei professionisti con i<br />

coglioni molto ma molto quadrati disposti a scendere <strong>da</strong> cavallo e a<br />

insegnare (non si può insegnare se c'è superbia <strong>da</strong> una parte o <strong>da</strong>ll'altra. E<br />

nessuno può insegnare senza affetto).<br />

Secondo elemento: questo insegnamento parte ferocemente <strong>da</strong>lla pratica<br />

giornalistica vecchio stile (la casa di via Palermo), non è affatto gentile e<br />

premuroso e anzi si preoccupa di essere il più duro possibile. Ciò che<br />

bisogna imparare è molto di più di quel che poi effettivamente servirà<br />

(soprattutto sul piano caratteriale). Un giornalista (= un essere umano che<br />

fra l'altro è anche giornalista) formato così, sarà sempre nettamente<br />

superiore, professionalmente, a qualunque suo omologo del giornalismo<br />

ufficiale: cosa scientificamente dimostrata, negli ultimi dieci anni, in<br />

almeno una dozzina di casi.


Terzo: "anche". Non si può più essere giornalisti se non si è "anche"<br />

politici. Politici nel senso solito nostro, naturalmente, cioè di rifon<strong>da</strong>zione<br />

di una cultura, che cambia stra<strong>da</strong> facendo con le esperienze concrete, che<br />

costruisce progressivamente una "ideologia" esclusivamente pratica ma<br />

proprio per questo radicale, che autosviluppa per logica interna momenti<br />

organizzativi, ecc. ecc.<br />

Quarto punto: sotto i quarant'anni. E' l'età massima fissata <strong>da</strong> Mazzini,<br />

quando le carbonerie erano ormai superate e si trattava di fon<strong>da</strong>re una<br />

cultura-politica-figura sociale nuova.<br />

Quinto. Molte cose "politiche" (esempio: fare parlare tutti è bello) almeno<br />

oggigiorno sviluppano direttamente delle conseguenze tecniche (esempio:<br />

adottare una routine con molte riscritture, per far parlare tutti ma <strong>da</strong>vvero e<br />

senza demagogie). E molte cose tecniche hanno conseguenze politiche<br />

(esempio: due computer a cinquecento chilometri di distanza possono...). Il<br />

computer costa poco, è facile <strong>da</strong> usare, si può collegare. Un'occasione simile<br />

c'era al tempo delle prime radio libere: i compagni, nella loro bestialità, non<br />

la seppero sfruttare, e quindi lo fece Berlusconi.<br />

Personalmente, vorrei ripartire di qua. E' una faccen<strong>da</strong> piuttosto lunga, ma<br />

non - parlando <strong>da</strong> storico - nuova. Una delle tante lunghe marce che<br />

periodicamente si verificano nell'umanità.


LETTERA A UN RAGAZZO SICILIANO<br />

febbraio 1992<br />

Caro Orazio, hai perfettamente ragione. I cavalieri sono il frutto di una<br />

precisa configurazione, in termini sempre più oligarchici, del sistema<br />

economico-sociale che, nelle specifiche condizioni <strong>da</strong>te, assume per<br />

avventura "anche" caratteristiche "mafiose". Dissento <strong>da</strong> te solo su un<br />

punto, che però è centrale: "anche se non fossero stati mafiosi". Non<br />

avrebbero potuto non esserlo; esattamente come la Fiat o l'Ansaldo, nella<br />

congiuntura del 1914, non avrebbero potuto non essere interventisti; o come<br />

un mercante di Liverpool, nel diciassettesimo secolo, non avrebbe potuto<br />

non essere un mercante di schiavi. La mafia, cioè, non è più una patologia<br />

del sistema ma una sua componente strutturale. Questo è il motivo per cui il<br />

sistema politico-mafioso catanese non solo si estende al resto d'Italia, ma<br />

tende anche a imporsi come modello nazionale. Parallelamente, è anche il<br />

motivo per cui le esperienze dei movimenti antimafiosi siciliani non solo<br />

tendono a uscire <strong>da</strong>i confini regionali ma si propongono sempre più come<br />

modello organizzativo e politico globale.<br />

Così, se <strong>da</strong> un lato un operatore del sistema di potere "locale" come, p.es.,<br />

Salvo Andò può assumere un peso notevole nel sistema di potere nazionale,<br />

<strong>da</strong>ll'altro esperienze di movimento "locali" come il Coordinamento<br />

Antimafia o I Siciliani possono venire in larga parte riprese <strong>da</strong> movimenti<br />

d'opposizione - come la Rete di Novelli e Orlando - a livello nazionale. Il<br />

discorso vale anche in ambiti più specialistici: nel mio campo, che è il<br />

giornalismo, c'è per esempio un filo nettissimo di continuità (anche sul<br />

piano delle scelte tecniche-organizzative) fra I Siciliani di Giuseppe Fava, I<br />

Siciliani dell'84-85 e l'attuale Avvenimenti: il che, oltre che ai sentimenti<br />

personali che puoi immaginare, m'induce a ritenere d'essere in presenza di<br />

un <strong>da</strong>to innovatore, e significativo.<br />

E' possibile individuare con precisione gli aspetti che contengono -<br />

abbiamo visto che <strong>da</strong>l lato del potere il fatto nuovo è <strong>da</strong>to <strong>da</strong>ll'integrazione<br />

"mafiosa" - l'elemento di novità dell' opposizione "siciliana", della sua<br />

politica e cultura, e delle sue forme organizzative? Ritengo di sì, ed è anzi il<br />

mio lavoro di questi anni. Abbiamo dimostrato che si può fare politica senza<br />

ideologie - un termine che Marx aborriva - e senza tuttavia scadere nei<br />

qualunquismi; che l'oppposizione può essere condotta direttamente non solo<br />

contro le sovrastrutture ideologico-culturali del sistema di potere, ma<br />

direttamente contro le sue strutture portanti economiche e sociali, col<br />

massimo di concretezza e di radicalità; che questa opposizione può essere<br />

confortata <strong>da</strong> una soli<strong>da</strong>rietà popolare vasta e attiva, molto più che nel caso


di un'opposizione ideologicamente connotata; che essa può essere gestita al<br />

di fuori dei modelli organizzativi verticistici e "professionali" attualmente in<br />

uso in tutte le forze politiche, le progressiste comprese. E siamo appena ai<br />

primi passi, alle prime - spesso maldestre - esplorazioni. Ti ringrazio di<br />

avermi scritto. Affettuosamente.


CATANIA<br />

marzo 1992<br />

Sono stati molti i punti di partenza, in Sicilia, in questi anni. Ciascuno dei<br />

suoi protagonisti incontrava sempre sulla sua stra<strong>da</strong> l'impatto con il sistema<br />

di potere, che <strong>da</strong> noi chiamiamo mafia, e che <strong>da</strong> noi è molto più esplicito e<br />

diretto che nel resto del paese. Per questo siamo stati costretti, fin <strong>da</strong>ll'inizio<br />

e per tutto questo tempo, ad essere molto espliciti e diretti anche noi. Sono<br />

passati diversi anni prima che ci accorgessimo che tutti questi "punti di<br />

partenza" (col loro carico di vite quotidiane, di singole esperienze,<br />

d'umanità) potevano essere collegati fra loro; ma alla fine ci siamo arrivati.<br />

E siamo arrivati anche a capire che questo collegamento è "politico", ed è<br />

anzi la politica nella sua forma non corrotta e originale, quale compare nei<br />

tempi di crisi e di rifon<strong>da</strong>zione. Parecchio tempo dopo, man mano che il<br />

regime democristiano (e dei partiti) aentrava in crisi, questa percezione si è<br />

fatta senso comune, a macchia di leopardo, un po' in tutto il paese. Ma<br />

siamo stati noi - noi movimento antimafia, noi siciliani -, pur con tutte le<br />

nostre approssimazioni e rozzezze, a intravvederla per primi. Per questo<br />

abbiamo, oggi, una responsabilità.<br />

A Catania, più che altrove. A Catania il sistema di potere ha assunto, più<br />

che in ogni altro luogo d'Italia (ma ponendosi, e con successo, come<br />

modello negativo per tutti), un ruolo totalitario, senza mediazioni. C'è un<br />

braccio politico, che va <strong>da</strong>i piccoli ladri (ricor<strong>da</strong>te quelli che rubavano la<br />

refezione ai bambini? Hanno fatto scuola: ora c'è chi ruba agli ospizi dei<br />

vecchi, su a Milano...) ai grandi manovratori, legati alla massoneria e alle<br />

centrali occulte. C'è un braccio finanziario, col suo comitato d'affari, pronto<br />

a muovere quando occorra deputati e ministri. C'è un braccio militare, la<br />

mafia più efficiente d'Europa, la mafia che nessuno vuol sconfiggere perchè<br />

non ne può fare a meno nessuno.<br />

* * *<br />

I Drago, gli Andò, i Nicolosi si <strong>da</strong>nno il cambio fra loro, un anno dopo<br />

l'altro, sempre intenti - apparentemente - a combattersi ma in realtà<br />

d'accordissimo, fra loro, per dividersi ferreamente il potere (accanto a loro<br />

le figure minori, un po' furbe un po' patetiche, dei vari architetti "comunisti"<br />

come Leone, dei vari Pannella che vengono a farsi la campagna elettorale<br />

coi soldi dei cavalieri, dei vari Bianco che riempiono Catania di tavolinetti e<br />

fiorellini ma si guar<strong>da</strong>no bene <strong>da</strong>l toccare gli appalti dei Cavalieri.<br />

I Graci, i Rendo, i Costanzo, i Finocchiaro sono i padroni veri della città.<br />

Tre uomini hanno parlato di loro: il generale Dalla Chiesa che li accusava di<br />

"an<strong>da</strong>re alla conquista di Palermo" col consenso della mafia, Giuseppe Fava


che li definì "i quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa" e il giudice Carlo<br />

Palermo che li mise in galera. Ma non è reato, a Catania, essere amici dei<br />

mafiosi catanesi: l'ha sentenziato un giudice, è "stato di necessità".<br />

I Santapaola, infine: "latitanti" <strong>da</strong> anni ed anni, eppure tranquillamente in<br />

giro per la città. Non possono essere arrestati: perché se lo fossero,<br />

parlerebbero: e se parlasse un Santapaola, chi poi si salverebbe in questa<br />

città?<br />

Lo stato di necessità! Ah, se si applicasse <strong>da</strong>vvero, ma per chi ne ha<br />

<strong>da</strong>vvero bisogno, lo "stato di necessità"! Al pensionato che campa con<br />

quattrocentomila lire, e viene umiliato ogni giorno, e - dopo una vita di<br />

sacrifici - deve ingoiare; o al ragazzo che ha fatto lo scippo - una catenina,<br />

poche migliaia di lire - perchè non gli hanno insegnato nient'altro altro nella<br />

vita; o alla donna che ingoia prepotenze, o al poveraccio che stenta il finemese;<br />

o al ragazzo che deve vivere per la stra<strong>da</strong>, perché aprire un centro<br />

sociale, a Catania, è proibito <strong>da</strong>lla mafia e <strong>da</strong>lla legge! Cosa non avrebbero<br />

diritto di fare costoro, se un giudice impazzito regalasse - per una volta nella<br />

vita - lo "stato di necessità" anche per loro?<br />

Ma nessuno fa regali, nel mondo; chi vuole, deve aiutarsi <strong>da</strong> sé. Tutti noi<br />

abbiamo chiaro chi coman<strong>da</strong> a Catania, e chi sta sotto: non c'è bisogno<br />

d'insegnarla, questa storia qua. Una cosa ci divide: alcuni a questa storia si<br />

rassegnano, e sono molti; alcuni altri, no. Noi confidiamo in questi ultimi:<br />

non sono pochi. Più di ventimila esseri umani hanno votato qui, l'hanno<br />

scorso, per dire che non si vogliono rassegnare. Quest'anno saranno ancora<br />

di più. E anno dopo anno si arriverà.


ALLONSANFAN<br />

I Siciliani, marzo 1993<br />

Un giorno d'autunno del 1943, su una montagna vicino Genova poco oltre<br />

il Bisagno, quattro uomini s'incontrarono per fon<strong>da</strong>re il movimento<br />

partigiano in Liguria. Erano un operaio di Sampier<strong>da</strong>rena, un appuntato<br />

sardo dei Regi Carabinieri, un sol<strong>da</strong>to della provincia di Agrigento e un<br />

antifascista genovese con sei anni di carcere alle spalle. Il sol<strong>da</strong>to aveva con<br />

sé due moschetti sottratti all'armeria del reggimento, l'appuntato una<br />

vecchia rivoltella; sedici colpi in tutto. Lontano, nelle città, vecchi notabili e<br />

gerarchi "dissidenti" ordivano improbabili manovre per salvare quel che si<br />

poteva del regime; i generali preparavano già gli abiti borghesi per la fuga;<br />

tedeschi e fascisti venivano tranquillamente avanti, fra i bombar<strong>da</strong>menti e lo<br />

sbando. Passarono gli anni. Il venti aprile 1945, il presidio tedesco di<br />

Genova si arrese alla Divisione garibaldina "Pinan-Cichero". Dei quattro,<br />

uno soltanto era sopravvissuto fino a quel punto. Ed è stato lui a raccontarci,<br />

molti anni più tardi, questa storia.<br />

Non servono grandi parole, nell'anno di grazia 1993, per spiegare perchè<br />

tornano "I Siciliani". Caduto Craxi, fuggito Andreotti, naufragati i tentativi<br />

golpisti di Cossiga e quelli "rinnovatori" di Martelli, siamo all'otto<br />

settembre. Non ne usciremo con improbabili alleanze, più o meno ribollite,<br />

di vecchi notabili e gerarchi. Se ne esce con una Resistenza.<br />

Noi, questa parola, la possiamo usare. Abbiamo avuto tredici anni di<br />

tempo per misurarne il significato, per pagarne i prezzi, per comprenderne il<br />

peso. Sappiamo cosa vuol dire: ribellione, e unità.<br />

Abbiamo visto migliaia di palermitani, nelle giornate di luglio, sollevarsi<br />

spontaneamente contro il potere mafioso: decine di migliaia di operai, a<br />

ottobre, scendere di forza in piazza per il loro pane. Se i leader antimafiosi,<br />

divisi <strong>da</strong> antiche liti, avessero saputo raccogliere la sfi<strong>da</strong> - se i capi degli<br />

operai, sin<strong>da</strong>calisti e Cobas, "estremisti" e moderati, fossero riusciti a<br />

trovare un minimo d'unità - se avesse potuto incontrarsi, la collera popolare,<br />

<strong>da</strong>l Nord al Sud!<br />

Tante cose si muovono, dopo tredici anni. Noi possiamo tornare in edicola<br />

oggi con "I Siciliani" anche grazie all'esistenza di un giornale libero e<br />

autogestito come "Avvenimenti": che a sua volta difficilmente avrebbe<br />

potuto crescere se non avesse avuto alle spalle l'esperienza dei "Siciliani".<br />

Oggi contiamo sull'aiuto, in quaranta città d'Italia, di un movimento<br />

giovanile come "L'Alba"; che è nato e si è sviluppato, quest'estate,<br />

riprendendo elementi dei Siciliani-Giovani degli anni ottanta. Abbiamo fra i<br />

nostri primi interlocutori testate e associazioni come il Coordinamento


antimafia di Palermo, Società Civile di Milano, la "Voce della Campania", e<br />

altre ancora; ciascuna di esse ha imparato qualcosa <strong>da</strong>i "Siciliani", e <strong>da</strong><br />

ciascuna a nostra volta abbiamo imparato qualcosa. Decine di giornalisti, e<br />

centinaia di militanti civili, in giro per l'Italia sono nati in quegli anni. E' il<br />

momento di unirsi, diciamo a tutti loro, di fare qualcosa di più grande<br />

ancora.<br />

Si vedono tante cose, in tredici anni. Si vedono funerali di Stato - i<br />

man<strong>da</strong>nti, diceva Giuseppe Fava, schierati compuntamente in prima fila -, si<br />

vedono funerali di serie B, con pochi amici attorno e una rabbia immensa.<br />

Si vedono Chinnici e Cordova che lottano, traditi <strong>da</strong>i loro stessi governi,<br />

senza illusioni e senza paura. Si vede il ragazzo Robertino Antiochia che<br />

torna in Sicilia per morire, come un partigiano di Vittorini, accanto al suo<br />

amico Cassarà. Si vede Rosario Di Salvo che quando sente la moto dei<br />

killers avvicinarsi tira fuori la pistola e muore sopraffatto <strong>da</strong>i mitra accanto<br />

a Pio La Torre, combattendo. Si vedono i liceali di Palermo, in quel<br />

durissimo inverno dell'ottantatré, che difendono contro i politici Falcone, e<br />

sono i soli. Si vedono accademici e scrittori, siciliani d'anagrafe, che voltano<br />

<strong>da</strong>ll'altra parte lo sguardo e disquisiscono sulla Sicilia "irredimibile" nei<br />

salotti. E operai e gesuiti, e giudici ragazzini e professoresse e bancarellari<br />

della Vucciria e poliziotti: e dietro a loro, dispersi sulla faccia del mondo,<br />

milioni e milioni di esseri umani nati in Sicilia che cercano, per un giorno<br />

ancora, di vivere umanamente, di gua<strong>da</strong>gnarsi onestamente un pane.<br />

Queste sono le nostre radici. Per esse, nel momento in cui il nostro<br />

progetto si fa nazionale, riteniamo di conservare, una volta ancora, il nostro<br />

vecchio nome di "Siciliani". Sicilia come frontiera, Sicilia come memoria,<br />

ma soprattutto Sicilia come luogo simbolico dello scontro italiano. "Ma che<br />

c'entro coi Siciliani io che sono di Milano?". E che c'entravano con la<br />

Marsigliese - a quei tempi - i cittadini di Parigi?<br />

Allons, enfants...


PAGINE DAL SUD DEL MONDO<br />

I Siciliani, marzo 1993<br />

Ciascuno degli amici che firmano gli editoriali di queste due pagine ha, a<br />

suo modo, contribuito alla continuità e alla ripresa della nostra impresa. Nel<br />

gennaio dell'84, subito dopo l'assassinio di Giuseppe Fava, Piero Pratesi -<br />

allora responsabile di "Paese Sera" - fu l'unico direttore italiano che volle<br />

ripubblicare integralmente sul suo giornale l'edizione straordinaria de "I<br />

Siciliani". "Contro la rassegnazione" fu il titolo dell'editoriale di Alfredo<br />

Galasso per il primo numero de "I Siciliani settimanale" del 1986. Sergio<br />

Turone del nostro giornale di quegli anni fu uno dei collaboratori più<br />

brillanti e contribuì ad allargarne il respiro sul piano nazionale. Claudio<br />

Fracassi è il direttore di "Avvenimenti", l'unica grande testata attuale che<br />

abbia avuto il coraggio di riprendere in gran parte argomenti e battaglie dei<br />

"Siciliani".<br />

Palermo, Catania, Milano e Barcellona in provincia di Messina sono le<br />

città attorno a cui si muove questo numero del giornale: la città della<br />

vecchia mafia e quella dei cavalieri, la metropoli delle tangenti e il paesino<br />

dove si uccide per un articolo di giornale. Nando Dalla Chiesa e Vittorio<br />

Corona <strong>da</strong> Milano, Tano Grasso <strong>da</strong> Capo d'Orlando e Francesco Pira <strong>da</strong><br />

Gela sono i testimoni civili di questa Italia che solo apparentemente ha<br />

ancora un nord e un sud.<br />

La secon<strong>da</strong> parte del giornale è equamente divisa fra le cronache siciliane<br />

e quelle del Sud. Delle prime - opportunamente precedute <strong>da</strong> una memoria<br />

<strong>da</strong>ll' isola di Aurelio Grimaldi - siamo fieri di poter dire che sono<br />

interamente affi<strong>da</strong>te, e con la massima autonomia e indipendenza, alla<br />

secon<strong>da</strong> generazione dei "Siciliani", quella formatasi attorno a<br />

"SicilianiGiovani", ai movimenti antimafiosi e poi alle cronache del vecchio<br />

settimanale. Adesso fanno parte a pieno titolo dei "Siciliani": le fortuna o<br />

l'insuccesso del giornale sono in buona parte in mano loro.<br />

Il Sud di cui parliamo nelle pagine immediatamente successive a quelle<br />

siciliane è ancora il nostro sud di siciliani, ma in senso più lato il Sud del<br />

mondo. Un Sud sempre più indifeso e dipendente - lo spiega Lucio Manisco<br />

- <strong>da</strong> un Impero totale, e fragile, come non mai; un Sud popolato <strong>da</strong> milioni e<br />

milioni di esseri umani - <strong>da</strong>lla ragazza di Sarajevo di Francesca Ferrucci<br />

all'esule scienziato somalo di Renato Camar<strong>da</strong>, <strong>da</strong>lle donne indiane di Maria<br />

Cuffaro all'amaro reportage di Gianni Minà - tutti fratelli, e compagni di<br />

destino, nostri.<br />

Al centro del nostro giornale, le due pagine di Giuseppe Fava. E' un<br />

vecchio-giovane articolo dell'83. La sua Sicilia allegra e combattiva, carnale


e lieve, illuminata <strong>da</strong>l mare.


UNA STORIA DI CARTA<br />

I Siciliani, marzo 1993<br />

Il paese più tranquillo d'Italia è sicuramente Barcellona Pozzo di Gotto,<br />

quarantamila abitanti, provincia di Messina: niente tossicodipendenti visibili<br />

in giro, niente spacciatori, neanche una rapina denunciata negli ultimi dodici<br />

mesi. Trenta morti ammazzati, questo è vero, nel giro di un anno: ma son<br />

morti di mafia e a Barcellona la mafia - dice la Linea del Partito - non<br />

esiste. Dunque non esistono nemmeno quei morti e in particolare non esiste<br />

l'ultimo di questi morti, il giornalista Beppe Alfano. Che fosse un<br />

giornalista, per la verità, se ne sono accorti solo dopo che è morto e gli<br />

hanno fatto, meglio tardi che mai, il tesserino professionale alla memoria.<br />

Dalla "Sicilia" di Catania, il giornale di cui era corrispondente, prendeva<br />

cinquemila lire a pezzo, più eventualmente qualcosa per le foto; ha avuto<br />

anche una colonnina di piombo il giorno dopo che l'hanno ammazzato e<br />

alcuni articoli elogiativi - cosa che richiede una più matura riflessione - nei<br />

giorni dopo. Ha avuto infine l'onore di un diretto interessamento - lui<br />

povero cronista rompicoglioni - delle Autorità Cittadine, qualche giorno<br />

dopo: non per participare al funerale, dioceneliberi, o per proclamare il lutto<br />

cittadino; ma per far ritirare, sia pure non subito e dopo le istanze della<br />

famiglia, i cassonetti della spazzatura che qualche altra autorità aveva fatto<br />

piazzare, poco dopo l'omicidio, sul luogo della sua morte.<br />

"Ho chiesto alla "Sicilia" la raccolta degli articoli di Alfano - dice il<br />

giudice Olindo Canali, l'unico del paese che si ricordi ancora di lui - Mi<br />

servivano per le in<strong>da</strong>gini. Li sto aspettando ancora. Finora, non me li hanno<br />

man<strong>da</strong>ti". L'altro ieri, una scuola - il tecnico industriale "Galileo" - doveva<br />

fare un'assemblea-dibattito sulla mafia, la prima del paese. L'unico posto in<br />

cui a Barcellona è possibile infilare trecento persone insieme è il cinema<br />

"Corallo": gli studenti ci sono an<strong>da</strong>ti e si son sentiti rispondere che<br />

l'assemblea sulla mafia si paga trecentomila lire all'ora, per la prima ora, e<br />

duecentomila per ogni ora successiva. Sulla via del ritorno, qualcuno di loro<br />

è passato <strong>da</strong>vanti all'enorme carcassa del Teatro Man<strong>da</strong>nici, dove di<br />

assemblee così se ne potrebbero fare venti, e gratis visto che è una struttura<br />

pubblica: solo che il teatro, regolarmente appaltato, "lavorato" e pagato<br />

almeno vent'anni fa, <strong>da</strong> allora non è mai stato finito ed è tuttora inagibile, e<br />

desolatamente vuoto. Lo stesso vale per il Palazzetto dello sport, ancora <strong>da</strong><br />

completare dopo vent'anni, e per l'ospe<strong>da</strong>le, iniziato vent'anni fa.<br />

Nella storia di Barcellona, corrispondono - grosso modo - alle piramidi<br />

egizie, del tutto inutili all'apparenza ma investite in realtà del preciso scopo<br />

di testimoniare nei secoli la potenza del faraone: nella fattispecie, Carmelo


Santalco, che dopo la morte di Lima e il ritiro del catanese Drago è rimasto<br />

l'ultimo grande andreottiano di Sicilia. Questo per l'evo antico. L'era<br />

moderna comincia invece con la Pista dell'Oregon, ovvero la nuova ferrovia<br />

Messina Palermo, cominciata - chissà perchè - nei feudi di Pace del Mela e<br />

faticosamente procedente, anno dopo anno e subappalto dopo subappalto<br />

(ma l'appalto principale è sal<strong>da</strong>mente in mano ai Fratelli Costanzo, famosi<br />

cavalieri catanesi), verso il lontano ovest. Via via che la pista procede si<br />

sposta la linea dei miliardi, e arrivano le estorsioni, i morti ammazzati e i<br />

subappalti. Ciascuno dei morti ammazzati ha diritto a qualche riga in<br />

cronaca sui giornali locali del giorno dopo, e poi al più rispettoso e totale<br />

silenzio-stampa.<br />

(Morire ammazzati è brutto <strong>da</strong>ppertutto, ma <strong>da</strong> queste parti è<br />

particolarmente incazzante. Come per quel tizio che uccisero, uno che con<br />

queste storie non c'entrava niente ma faceva il falegname come un tale della<br />

Famiglia rivale, l'aprile scorso qui a Terme. I killer si accorsero, una<br />

settimana dopo, di aver fatto fuori il falegname sbagliato: sorry, pensarono<br />

fra sé, abbiamo sbagliato. Uccisero anche il falegname giusto e se ne<br />

an<strong>da</strong>rono con la coscienza in pace).<br />

A Barcellona, la Pista è arrivata fra l'Ottantasei e l'Ottantotto e la guerra è<br />

stata fra la Famiglia Chiofalo e la Famiglia Milone: i primi della vicina<br />

Terme Vigliadore e dissidenti; i secondi, articolati in una costellazione di<br />

cognomi (Ofria, Beneduci, Marchetta) barcellonesi puri e seguaci della<br />

Famiglia Santapaola di Catania. I Santapaola, nella zona, c'erano già <strong>da</strong><br />

molto tempo: negli anni Ottanta con Antonino Santapaola, "detenuto" al<br />

manicomio di Barcellona dove in realtà faceva, protetto <strong>da</strong>lle autorità<br />

dell'istituto, il bello e il cattivo tempo; ma già prima ancora, fra il 1979 e il<br />

1980, sulle montagne dei Nebrodi, a Cesarò, dove in un rifugio di montagna<br />

tenevano i loro incontri "don" Nitto Santapaola e i catanesi fratelli Cutaia,<br />

trafficanti internazionali di morfina-base e cocaina. La guerra della ferrovia<br />

finì comunque dopo un numero imprecisato di morti, con l'ergastolo di<br />

"don" Antonino Chiofalo e l'arresto, per carico di droga, di "don" Carmelo<br />

Milone; nel frattempo la Pista passò avanti.<br />

Il principale accumulo ufficiale di capitali, nella zona, risulta essere<br />

adesso quello delle "finanziarie di fatto" che si sono venute a formare<br />

attorno all'Aias: ne abbiamo scritto su "Avvenimenti", ne aveva scritto<br />

anche Giuseppe Alfano; la Procura di Barcellona ha aperto un'inchiesta che<br />

rischia di estendersi su tutta la Sicilia.<br />

In casa Alfano, un computer Macintosh, dei libri su Charles Aznavour,<br />

delle foto... Le povere cose che restano della vita di un uomo che ha avuto<br />

dignità. "Mio marito, mio marito che sorrideva...". "Mio padre e


l'indifferenza di questa città...".<br />

"In<strong>da</strong>gate sulle donne, vedete un po' se giocava a carte...". Anche agli<br />

investigatori di Barcellona son giunti gli autorevoli suggerimenti che<br />

arrivano immancabilmente in questi casi. Anche stasera, come ogni sera, le<br />

centinaia di tossici di Barcellona si "faranno" con la roba fornita, a prezzi<br />

popolari, <strong>da</strong>gli uomini dei boss. Anche stasera i ragazzi dell'Arci e don<br />

Pippo Inzana apriranno la loro sede a chi avrà bisogno di loro, alla comunità<br />

dei lavoratori immigrati. E anche stasera alle dieci chiuderà l'ultimo bar di<br />

piazza San Sebastiano e la città resterà silenziosa, e apparentemente<br />

addormentata. Come sempre.


UOMINI E NO<br />

I Siciliani, aprile 1993<br />

La giustizia è molte cose diverse, per ciascuno di noi, a volte è una cosa<br />

facile e a volte no. C'è quello che s'è craxato il conto protezione nella banca<br />

svizzera e allora giustizia è facile, recuperare i soldi e metter dentro il tipo.<br />

C'è quello che è diventato onorevole, a furia di soldi craxati, o<br />

sottosegretario o ministro o padrone d'industria o di giornali: e anche qui è<br />

una faccen<strong>da</strong> semplice fare giustizia, si prende il tizio, gli si fa un processo<br />

pulito e poi si va <strong>da</strong>lla gente e "Ecco qua - si dice alla gente, al buon popolo<br />

italiano - questo tizio qua l'avete votato per quarant'anni in cambio di una<br />

pensione d'invalidità o di un telefonino, se lo volete ancora tenetevelo, però<br />

onestamente sappiate che vi tenete un ladro".<br />

In tutti questi casi fare giustizia è tecnicamente molto facile, basta avere<br />

buon senso e - in alcuni momenti e luoghi della storia: per esempio in Italia<br />

negli anni Novanta - anche un po' di coglioni. Poi ci sono quei casi in cui<br />

incontri il tuo amico che hai visto crescere, <strong>da</strong> ragazzino, dieci anni fa, lo<br />

incontri adesso e ha gli occhi di fuori perchè dopo dieci anni di pere magari<br />

è diventato un po' differente <strong>da</strong> quando correva nella squadra di pallone.<br />

Incontri dunque questo tuo amico, che non ti riconosce e che tu riconosci<br />

solo perchè gli vuoi bene, e pensi che per farlo così c'è voluto lo<br />

spacciatore, e sopra lo spacciatore il boss Santapaola, e sopra il boss<br />

Santapaola il cavaliere Costanzo che invitava Santapaola alle feste, e sopra<br />

Costanzo l'onorevole Drago che diceva "Smettetela di rompere le scatole a<br />

Costanzo" e sopra il capocorrente Giulio Andreotti. E venga Di Pietro,<br />

allora, venga Di Lello e Carlo Palermo e Borsellino, e vengano Conte <strong>da</strong><br />

Gela e il vecchio Chinnici <strong>da</strong> dove l'hanno man<strong>da</strong>to, e Ciaccio Montalto e<br />

Cordova e Terranova e Falcone, e li lascino in pace per una volta e li<br />

facciano in<strong>da</strong>gare in santa pace - tutti quanti insieme, con tutto il loro<br />

coraggio e la loro bravura, non riusciranno a rifarti il tuo amico com'era<br />

prima. Dov'è la giustizia, allora.<br />

Oppure non incontri nessuno ma sei in un bar di Catania che stai bevendo<br />

qualcosa e improvvisamente "Un gin tonic anche per me - dice l'amico al<br />

tuo fianco - ma presto che dobbiamo tornare a lavorare": ma il bar è un altro<br />

e non è <strong>da</strong>vanti alla vecchia sede dei Siciliani e soprattutto nessuno ha detto<br />

niente ma sei solo <strong>da</strong>vanti al bancone e il tuo amico è stato ammazzato <strong>da</strong><br />

quella gente nove anni e quattro mesi fa. Allora ti brucia dentro, la giustizia.<br />

La nostra giustizia, è questa: nove anni fa, in una città d'Italia che è<br />

Catania, è stato ucciso il nostro amico Giuseppe Fava. Noi siamo ancora<br />

qui, non l'abbiamo dimenticato. Per nove anni, abbiamo raccolto gli indizi e


le tracce che avrebbero consentito, se una giustizia ci fosse stata, di fare<br />

delle in<strong>da</strong>gini sulla sua morte. Non diciamo di trovare sicuramente i<br />

colpevoli. Ma perlomeno di provarci. Invece, queste in<strong>da</strong>gini,<br />

coscientemente, non sono state fatte.<br />

Noi qui chiediamo ufficialmente che queste in<strong>da</strong>gini siano riaperte. Noi<br />

documentiamo qui - non per la prima volta; e non per l'ultima - la maniera<br />

irresponsabile e scan<strong>da</strong>losa con cui sono state cancellate <strong>da</strong>lla faccia della<br />

terra le in<strong>da</strong>gini sull'assassinio mafioso di Giuseppe Fava. Noi testimoniamo<br />

qui che queste in<strong>da</strong>gini potevano essere condotte fattivamente, e possono<br />

esserlo ancora.<br />

Noi qui facciamo appello ufficialmente. al ministro di Giustizia Conso, al<br />

Consiglio superiore della magistratura, perchè facciano il loro dovere.<br />

Facciamo appello a chiunque parli oggi di onestà e giustizia e di<br />

rinnovamento. Da questo, non <strong>da</strong>lle parole, li giudicheremo.<br />

Vogliamo sapere se la vile Italia del 1984 coman<strong>da</strong> ancora oggi, nel 1993.<br />

Vogliamo saperlo, perchè se l'Italia ufficiale dovesse - per assur<strong>da</strong> ipotesi -<br />

essere ancora la stessa, sicuramente non sono più gli stessi gli italiani. E ad<br />

essi faremmo appello.<br />

Parliamo del nostro amico, ma in realtà di tanti altri. Sparati <strong>da</strong> un killer o<br />

fatti a pezzi <strong>da</strong> una bomba - di Gladio, di Cosa Nostra, della P2 - o<br />

assassinati <strong>da</strong> un buco d'eroina, erano tutti esseri umani che conoscevamo o<br />

che qualcuno di noi conosceva, che erano vivi, a cui qualcuno voleva bene.<br />

Ora è il momento della giustizia; Tangentopoli, non ci basta. Giustizia, tutta.<br />

A questo servono I Siciliani.


QUELLI DI ELLECCI'<br />

I Siciliani, aprile 1993<br />

Siccome Lotta Continua era un'organizzazione di pericolosi giacobini<br />

dediti alla sovversione, gl'indirizzi dei suoi militanti - dei quali mi onoravo<br />

di far parte, e non sono affatto pentito - erano mantenuti riservati. Così<br />

l'indirizzo di Mauro Rostagno, nuovo responsabile palermitano<br />

dell'Organizzazione, io l'avevo su un foglio di carta accuratamente<br />

consegnatomi a Messina; ma il foglio, naturalmente, l'avevo<br />

perso..Telefonare alla sede? Ma ti pare. Passano in quel momento tre<br />

ragazzi di qualche scuola: "Ehi, ma tu sei di Elleccì ?" (avevo il giornale<br />

ben visibile in tasca, nella tasca dell'eskimo regolamentare). Dieci minuti<br />

dopo ero a casa di Mauro, <strong>da</strong>lle parti di via Notarbartolo. C'erano lui, la<br />

Chicca che allora era una militante milanese col chiodo, Lello ricercato per<br />

occupazione di case a Milano e che poi finì anche lui in quella faccen<strong>da</strong> del<br />

Macondo, Saro dell'organizzazione, una compagna di cui non mi ricordo il<br />

nome e se me lo ricor<strong>da</strong>ssi non lo direi anche se a lei di Elleccì<br />

interessavano soprattutto i ragazzi, molti volumi marxisti che qualcuno<br />

prima o poi avrebbe letto e un paio di chitarre; e la bambina, che allora<br />

aveva un paio di mesi e la si portava in braccio su e giù per villa Sperlinga<br />

che non era ancora diventata villa Siringa.<br />

Un secolo fa. A Palermo, la Lotta Continua di Rostagno - l'altro<br />

gruppazzo serio, in città, era il Manifesto di Mario Mineo e Umberto<br />

Santino - contava su quattro sedi, non moltissimi studenti ma un bel po' di<br />

gente dei quartieri, e tre comitati di lotta per la casa. Non era una roba <strong>da</strong><br />

fighetti, Elleccì di Palermo, né gli Straccio Liguori né i Bretella Ferrara<br />

sono cresciuti qui. Era una cosa rozza, allegra, coraggiosa e gentile, molto -<br />

nel senso migliore - su<strong>da</strong>mericana. La Primavera di Palermo, forse, è<br />

cominciata senza saperlo proprio <strong>da</strong> lì, quando s'occupò la cattedrale, coi<br />

baraccati, per ottenere case e dignità.<br />

Che brutta fine hanno fatto i miei compagni di Lotta Continua, <strong>da</strong> tenente<br />

in su, esclusi Mauro Rostagno e Guido Viale. Viale, non so più dove sia.<br />

Rostagno è morto in Sicilia, alla maniera sua, fra affetto confusione e amici<br />

malfi<strong>da</strong>ti. "Muertos con digni<strong>da</strong>d" diceva una canzone dei nostri tempi, di<br />

gente come lui.<br />

Alla commemorazione, gli "amici" suoi hanno invitato poi - chissà perché<br />

- a parlare "Turi" Lombardo, che sarebbe l'assessore socialista smascherato<br />

<strong>da</strong> Gianni Bonsignore poco prima l'ammazzassero. Di lui, di Mauro, mi<br />

hanno raccontato un aneddoto, degli ultimi mesi, che non so se è vero:<br />

l'avrebbero cioé messo fuori, lui che non aveva paura di nessuno,


<strong>da</strong>ll'edificio principale di Saman e man<strong>da</strong>to in una dipendenza laterale, fuori<br />

<strong>da</strong>i piedi.<br />

Ma - diceva Calogero Gasparazzo: e <strong>da</strong> tenente in giù ci ricordiamo<br />

ancora chi era - ma "non finisce qui".


COME ANDO'<br />

I Siciliani, maggio 1993<br />

Ci sono i "sorci", i gattopardi e i garibaldini. I sorci ormai non contano<br />

più tanto, e ne attribuiscono la colpa a una serie terrificante di complotti<br />

organizzati <strong>da</strong> giudici, giacobini e sovversivi vari per convincere il buon<br />

popolo italiano che Andreotti è un mafioso, Gava un camorrista, Craxi un<br />

capoban<strong>da</strong> e Martelli un capoban<strong>da</strong> imbranato.<br />

I gattopardi sono stati sudditi fedelissimi per trent'anni; poi, quando hanno<br />

visto che Sua Maestà (Dio guardi) non era più in grado di garantire le<br />

baronìe si son scoperti patrioti tutt'a un tratto: e promettono costituzioni e<br />

riforme, a patto però d'essere sempre loro a coman<strong>da</strong>re.<br />

I garibaldini infine - quelli cioé che hanno buttato giù materialmente i<br />

Borboni, quelli che hanno rischiato la pelle quando nessuno avrebbe<br />

scommesso un soldo sulla "libbittà" - sono divisi in mazziniani,<br />

costituzionali, repubblicani puri, seguaci degli Statuti di Spagna e<br />

ammiratori del bicameralismo all'inglese. Sono parimenti esecrati, nel loro<br />

complesso, <strong>da</strong>i "sorci" e <strong>da</strong>i gattopardi: i quali, senza tanti distinguo, li<br />

accusano tutt'insieme d'anarchia e di quarantotto.<br />

Riusciranno i nostri eroi garibaldini a mettersi finalmente d'accordo fra di<br />

loro, a fare la libertà e il Quarantotto (o il Sessantotto) senza farsi<br />

imbrogliare <strong>un'altra</strong> volta <strong>da</strong>i gattopardi? Ce la facciamo, per una volta, ad<br />

essere più furbi del Principe di Salina?<br />

Che poi, diciamola tutta, non è che i gattopardi d'oggi siano quei gran<br />

volponi d'una volta. I Mariotti, i senatùr, i Pinocchimartelli, i Marchi<br />

Giacinti d'annata: tutto qua. Non dureranno a lungo, non sono -<br />

semplicemente - all'altezza. Entro sei mesi, finita in galera l'antica e in<br />

bancarotta quella "rinnovata", il Paese chiederà a gran voce una nuova<br />

classe dirigente che volti pagina <strong>da</strong>vvero.<br />

Voltiamo pagina noi lettori, per intanto, ma proprio letteralmente: a<br />

pagina due di questo numero del giornale c'è un tizio con una proposta di<br />

buon senso: perché non farla finita, con tutte queste divisioni fra noi di<br />

Garibaldi, e mettere in piedi una baracca in comune? Lui la chiama - in<br />

linguaggio cattolico - "nuova <strong>sinistra</strong>": ci sta dentro un sacco di gente,<br />

secondo noi, gli operai milanesi dell'Alfa e gli antimafiosi di Palermo, Luca<br />

col ciuffo e il vecchio incontentabile poeta Pietro. Ci stiamo dentro anche<br />

noi.


INTORNO AI BOSS<br />

I Siciliani, giugno 1993<br />

Al centro di Catania c'è una piazza quadrata. Da un lato il comando<br />

carabinieri del colonnello Licata: controlla gli scippatori della città,<br />

parallelamente a Santapaola. Sul secondo lato l'albergo dove ogni settimana<br />

s'incontrano i manager del narcotraffico, fra cui quelli della Famiglia<br />

Santapaola. Sul terzo lato le bische in teoria clandestine, ma in realtà<br />

frequentate <strong>da</strong> tutta la Catania bene, di proprietà dei Ferrera-Santapaola. Il<br />

quarto lato è il Palazzo di Giustizia del procuratore aggiunto Giulio Cesare<br />

Di Natale, non nemico di Santapaola. Al centro della piazza, un<br />

monumento-fontana e intorno al monumento una decina o più, secondo le<br />

sere, di tossicodipendenti.<br />

Catania era così, negli anni Ottanta. Una delle città più gradevoli d'Italia,<br />

per chi aveva i soldi. I trecento più ricchi di Catania potevano girare di<br />

giorno e di notte senza paura di sequestri (la mafia non ne permetteva),<br />

potevano aprire meravigliose boutiques in pieno centro senza paura<br />

d'in<strong>da</strong>gini tributarie né di rapine, potevano comprare qualunque essere<br />

umano o cosa, <strong>da</strong> una terracotta ellenistica a una ragazzina di quindici anni,<br />

senza renderne conto e senza formalità. Non pagavano tasse - non allo Stato<br />

- e venivano rapi<strong>da</strong>mente assolti, o amnistiati, se qualche poliziotto li<br />

denunciava. Magistrati e generali dei carabinieri - non catanesi - che<br />

ficcavano il naso nelle loro faccende venivano uccisi a colpi di mitra, o<br />

saltavano in aria. Avevano i loro politici - i Lo Turco, i Coco, gli Attaguile,<br />

gli Aleppo, gli Andò, i Tignino, i Drago - carì sì, ma che funzionavano bene.<br />

Avevano il loro giornale (e ce l'hanno tuttora) che si chiamava "La Sicilia".<br />

"La Sicilia" è il giornale che rifiutò il necrologio di una vittima della mafia,<br />

perché offendeva la mafia.<br />

Per tutti gli altri catanesi Catania, in questi ultimi quindici anni, è stata un<br />

tritacarne. Anno dopo anno, una quota prefissata della gioventù cittadina<br />

veniva tirata fuori <strong>da</strong>i quartieri, gettata nella "microcriminalità" e<br />

sterminata. Ness<strong>un'altra</strong> città d'Europa ha mai avuto, in questi quindici anni,<br />

una percentuale tanto elevata d'emarginazione giovanile. Mentre la boutique<br />

o il ritrovo elegante del centro an<strong>da</strong>va avanti tranquillamente grazie alla<br />

protezione di Santapaola (quanti "scassapagghiari" sono stati giustiziati per<br />

uno "sgarro" contro un negozio "amico"?) il piccolo bottegaio di periferia<br />

aspettava con terrore le otto di sera, quando bande di ragazzini disperati<br />

irrompevano alla ricerca delle cento-duecentomila lire dell'incasso. Un<br />

circuito perfetto: gli appaltatori progettano i quartieri in modo <strong>da</strong> garantire il<br />

massimo gua<strong>da</strong>gno a se stessi e la massima emarginazione per chi ci andrà


ad abitare; <strong>da</strong>ll'emarginazione nasce una microcriminalità che genera la<br />

richiesta di un controllo "forte" sul territorio, assicurato <strong>da</strong>i Santapaola e <strong>da</strong>i<br />

colonnelli Licata; Stato e mafia trovano così un terreno, se non comune,<br />

parallelo; su qesto terreno si sviluppano rapporti, connivenze,<br />

interconnessioni che, sommate alla degra<strong>da</strong>zione sociale, distruggono ogni<br />

possibilità di gestione civile, regolata <strong>da</strong> leggi e controllata <strong>da</strong> elezioni,<br />

della città.<br />

La politica, in una situazione come questa, è una gestione d'affari, coi<br />

"cittadini" imbrancati periodicamente e portati a "votare" - <strong>da</strong>i capiclientela,<br />

<strong>da</strong>i capimafia, <strong>da</strong>gli stessi imprenditori - senza sapere dove né perrché; il<br />

ceto politico ingloba rapi<strong>da</strong>mente i professionisti, i sin<strong>da</strong>calisti, i magistrati,<br />

gli stessi capi della gran parte delle "opposizioni", tutti fusi in un amalgama<br />

soddisfatto e confuso, all'interno del quale le distinzioni fra funzione e<br />

funzione tendono sempre più a sparire: il direttore di giornale emette<br />

sentenze, il magistrato scrive articoli, l'imprenditore nomina le giunte<br />

comunali, il politico specula in proprio sugli affari, il mafioso "mantiene<br />

l'ordine" e il poliziotto man<strong>da</strong> gli "avvertimenti" a chi occorre.<br />

Questo era il potere mafioso nella città di Catania. Di esso Santapaola era<br />

il braccio militare, ma non la massima autorità. Il vertice della piramide, <strong>da</strong><br />

un punto di vista sociale, consisteva nei "quattro maggiori imprenditori"<br />

Rendo Graci Costanzo e Finocchiaro, orgogliosamente uniti - per loro stessa<br />

ammissione - in un patto di ferro che governava gli appalti e, di riflesso, la<br />

città. In cerchi concentrici, attorno al potere dei cavalieri ruotavano gli<br />

esecutori politici (i più presentabili dei quali venivano promossi al<br />

collegamento coi poteri nazionali) e buona parte degli uomini "dello Stato".<br />

Parliamo di potere mafioso al passato non perché esso sia oggi sconfitto<br />

<strong>da</strong> qualche poderosa mobilitazione dello Stato né perché vi sia stata, <strong>da</strong><br />

parte del ceto politico tradizionale, una qualche spinta verso qualche<br />

"rinnovamento" (essendo siciliani, conosciamo fin troppo bene la tecnica<br />

del Gattopardo). No. Ma anni e anni di lotta hanno pur prodotto qualcosa. Il<br />

ministero della Difesa, ad esempio, <strong>da</strong> cui gerarchicamente dipendono i<br />

carabinieri, era retto fino a poco tempo fa <strong>da</strong> un uomo come Salvo Andò.<br />

Gli antimafiosi non sono ancora abbastanza forti <strong>da</strong> imporre un ministro<br />

della Difesa antimafioso. Lo sono però già abbastanza <strong>da</strong> rendere comunque<br />

molto difficile la permanenza di un Andò; e <strong>da</strong> consentire dunque una<br />

maggior libertà di movimento a coloro che non condividono - nella polizia,<br />

nei carabinieri, nella magistratura - l'opinione che un Andò può avere della<br />

questione mafiosa.<br />

Parliamo di potere mafioso a Catania perché quindici anni fa, quando il<br />

meccanismo ha cominciato a funzionare, il potere mafioso era un affare di


Catania, di Palermo e di poche altre città. Ma questo, quindici anni fa. Oggi<br />

il meccanismo "catanese" è perfettamente diffuso in tutto il Paese. Il ruolo<br />

di un Romiti in Tangentopoli non è diverso <strong>da</strong> quello di un Rendo a Catania.<br />

E la stessa parola "tangenti" è un modo molto eufemistico di indicare quel<br />

che è accaduto in Italia negli anni Ottanta - un vero e proprio colpo di stato,<br />

la sostituzione di un potere democratico con un comitato d'affari politicoimprenditoriale:<br />

su più larga scala, ma esattamente come a Catania; con<br />

strutture come il Sismi o Gladio al posto di Santapaola e Andreotti e Craxi<br />

al posto di Nino Drago e Salvo Andò.<br />

Quello che è successo a Catania "con" Santapaola è dunque una metafora<br />

- non tanto piccola - dell' ultimo decennio di storia nazionale. Ma a Catania<br />

è successo qualcosa anche contro Santapaola, contro i cavalieri, contro le<br />

collusioni di Stato e contro il comitato d'affari. Si sono mossi i giovani,<br />

sono sorti dei movimenti, l'opposizione ha trovato <strong>da</strong>pprima dei maestri e<br />

poi dei capi.<br />

Certo, noi siamo gli ultimi a farci delle facili illusioni sulla durata di<br />

questa lotta, qui a Catania. Ma per le tendenze che emergono alla base, e<br />

che vediamo rafforzarsi mese dopo mese, siamo sicuri di vincerla entro<br />

questa generazione. Una Catania senza padroni, noi - ne siamo certi - la<br />

vedremo. Non solo: crediamo che anche quest'altra Catania abbia discrete<br />

possibilità di diventare, nel giro d'una decina d'anni, metafora dell'intera<br />

Nazione.


LE STRAGI<br />

I Siciliani, giugno 1993<br />

Le stragi, in questo paese, hanno sempre contato molto più delle elezioni.<br />

Piazza Fontana ha contato di più del Sessantotto, piazza della Loggia e il<br />

treno Italicus molto di più del referendum sul divorzio, l'assassinio di Rocco<br />

Chinnici più del movimento antimafia palermitano. Il meccanismo, ogni<br />

volta, è lo stesso: su una questione qualunque si comincia a formare nel<br />

Paese un movimento d'opinione di massa, un abbozzo di aggregazione<br />

politica, una possibile classe dirigente alternativa che però ha bisogno di<br />

tempo per crescere, maturarsi e venir fuori <strong>da</strong>gli specifici confini originari.<br />

L'intervento terroristico, ogni volta, inchio<strong>da</strong> questo processo: il movimento<br />

in formazione si rattrappisce nella difesa dell'esistente, ritira la propria<br />

candi<strong>da</strong>tura implicita al governo del Paese, finisce nell'estremismo o nei<br />

gattopardi: e <strong>un'altra</strong> generazione di regno è assicurata ai vecchi poteri.<br />

Questi, tecnicamente, hanno sempre disposto in Italia di uno strumento<br />

preciso, finalizzato agli interventi "irregolari" sulla vita pubblica italiana,<br />

organizzato <strong>da</strong> lungo tempo, chiamato - nelle sue varie accezioni - "Gladio".<br />

Pasolini diceva "Io so - <strong>da</strong> intellettuale - chi possono essere i man<strong>da</strong>nti".<br />

Noi, <strong>da</strong> intellettuali, possiamo dir di sapere - a vent'anni di distanza - anche<br />

chi possono essere gli organizzatori. "Gladio" ha dei nomi precisi, nella<br />

storia di questo Paese. E la polemica riguar<strong>da</strong>, in queste settimane, due<br />

entità con nome e cognome: Francesco Cossiga e Giulio Andreotti. Non<br />

sappiamo quali messaggi e minacce esattamente essi si scambino, in queste<br />

settimane, <strong>da</strong>lle colonne dei giornali. Sappiamo che se le scambiano, e ci<br />

basta. Sappiamo che l'argomento è "Gladio".<br />

Non sappiamo neanche che schieramento specifico ciascuno di essi<br />

rappresenti (l'America preclintoniana, i vecchi notabili-massoni degli anni<br />

Cinquanta, i tempi della massomafia, le logge?) e non c'interessa nemmeno,<br />

per il momento. Sappiamo che lo scontro è in corso, come nel 1969 e nel<br />

1980, che all'interno di questo scontro i segmenti mafiosi superstiti vengono<br />

probabilmente usati, che nel corso di esso saranno probabilmente<br />

minacciate le soluzioni più estreme - ma che la vera posta in gioco, alla resa<br />

dei conti, sarà lo sbocco politico degli anni di Di Pietro. Che noi non<br />

chiamiamo così.<br />

Noi in Sicilia sappiamo che gli anni di Di Pietro cominciano in realtà<br />

molto lontano, almeno <strong>da</strong>ll'inverno '82. Quell'inverno a Palermo, stando<br />

tutto il Paese sotto il craxismo, spente o in dissoluzione le forme della<br />

<strong>sinistra</strong> tradizionale, quell'anno a Palermo nei quartieri più degra<strong>da</strong>ti, fra i<br />

giovani delle scuole, in una minoranza "giacobina" di cittadini, è nata una


nuova cultura d'opposizione e, in lunga prospettiva, di governo. A Palermo,<br />

dove lo scontro fra sfruttati e potere era più disperato e inconciliabile che in<br />

ogni altro luogo, è sorta la percezione che quel potere si poteva contrastare,<br />

con rozza immediatezza, in tutte le articolazioni della vita sociale: <strong>da</strong>l<br />

militante di quartiere al magistrato. Questa prima rudimentale percezione,<br />

nel giro di undici anni, è dilagata a macchia d'olio per il Paese. Non ci<br />

sarebbe stato nessun Di Pietro se non ci fosse stato Chinnici. Non ci sarebbe<br />

stato Chinnici se non ci fossero stati i primi militanti del Coordinamento<br />

Antimafia e di Città per l'Uomo e gli studenti del Meli.<br />

Nel giro di quasi una generazione, tutto ciò ha prodotto - sempre<br />

rudimentalmente e rozzamente, con grandissime generosità e altrettanto<br />

grandi superficialità e approssimazioni - <strong>da</strong>pprima una nuova cultura, poi un<br />

nuovo intervento sociale e infine, sempre rudimentalmente ma con una<br />

solidità ormai acquisita - ha portato all'individuazione di una politica<br />

adeguatamente nuova. A una <strong>sinistra</strong> politica, insomma, in grado di<br />

espandersi linearmente e maturando, e di giungere probabilmente, per la<br />

prima volta <strong>da</strong>l 1946, a governare il Paese. Sempre che non venga bloccata<br />

sulla difensiva e sull'accettazione - come male minore - dell'esistente.<br />

Le stragi arrivano a questo punto.


I SANTI PAOLI<br />

I Siciliani, giugno 1993<br />

Il sin<strong>da</strong>co di Catania, si chiamava Santapaola? I "quattro cavalieri<br />

dell'apocalisse mafiosa", secondo Giuseppe Fava e Carlo Alberto <strong>da</strong>lla<br />

Chiesa, erano tutt'e quattro Santapaola? Santapaola era il direttore del<br />

giornale "La Sicilia"? Le in<strong>da</strong>gini sull'omicidio Fava, sono state insabbiate<br />

<strong>da</strong>l giudice Santapaola? L'appalto per il centro direzionale, andrà a<br />

Santapaola? Com'è che hanno fatto ministro della difesa Santapaola? Il<br />

quartiere Librino, è stato costruito <strong>da</strong> Santapaola? "La mafia non esiste": lo<br />

diceva Santapaola? Il capo della Dc era l'onorevole Santapaola? E chi lo<br />

difendeva: l'avvocato Santapaola? Chi ha tolto di mezzo il giudice Felice<br />

Lima: Santapaola? La Nuova Pretura di Catania, è stata costruita sui terreni<br />

di Santapaola? Al Comune rubano per conto di Santapaola? L'ospe<strong>da</strong>le<br />

nuovo, a uno sputo <strong>da</strong>i jet dell'aeroporto, lo fanno sui terreni di Santapaola?<br />

Perché Santapaola ha impedito per dieci anni di arrestare Santapaola? E<br />

insomma, chi c'era sopra Santapaola: Santapaola?<br />

Il terzo livello non esiste, ripetono i commentatori ufficiali. Una volta,<br />

"non esisteva" neanche la mafia. Adesso esiste solo Santapaola. E zitti su<br />

tutto il resto. "Santapaola? - dichiarano virtuosamente politici e cavalieri -<br />

mai visto né conosciuto". E avanti ai prossimi appalti.<br />

Catania, Sicilia? Non solamente. Chinnici, Borsellino e Falcone, Carlo<br />

Palermo, Di Pietro, Cordova, Caselli - hanno in<strong>da</strong>gato abbastanza, i<br />

magistrati del popolo italiano, hanno scoperto abbastanza verità <strong>da</strong><br />

permettere dian<strong>da</strong>re molto oltre i Santapaola e i don Totò. Ma chi vuole<br />

an<strong>da</strong>re oltre <strong>da</strong>vvero? Non è meglio lasciare che il "passato" se ne va<strong>da</strong> via<br />

tranquillamente, senza rompere le scatole al "nuovo"? Non s'è fatto sempre<br />

così, qui <strong>da</strong> noi, fin <strong>da</strong>l tempo dei Gattopardi?<br />

E allora: Santapaola, Riina, "vendetta di Cosa Nostra", "mafia alle corde",<br />

"oscura strategia della tensione". E via così. Senza troppe domande, né a<br />

Catania né a Roma.<br />

A proposito, doman<strong>da</strong>: dei tre potenti messi sotto accusa nei giorni delle<br />

bombe, chi era il più potente: Santapaola, Andreotti o Romiti?


FACCIAMO UN QUOTIDIANO?<br />

I Siciliani, luglio 1993<br />

Ma voi li leggete, i giornali? Non c'è più il Psi, non c'è più la Dc, ma per i<br />

giornali - in sostanza- non è successo niente. Nel corso di questi due anni è<br />

stato scoperto: a) che per quarant'anni le elezioni - con Gladio pronto a fare<br />

il colpo di Stato appena la destra Dc avesse perso il governo, e con la P2<br />

messa lì a distribuire bombe- non hanno contato niente; b) che il più<br />

importante esponente del più importante partito era in rapporti amichevoli<br />

con Cosa Nostra; c) che il secondo più importante partito di governo era in<br />

realtà un'associazione d'affari, esclusivamente finalizzata all'arricchimento<br />

dei suoi membri; d) che l'"industria" praticata <strong>da</strong>i principali imprenditori<br />

italiani, quelli che predicavano i sacrifici per salvare l'economia, era in<br />

realtà quella di mettersi d'accordo con i politici tangentari per dividersi<br />

fraternamente i denari pubblici, fifty-fifty.<br />

Di tutto questo, sulla maggior parte dei giornali italiani, non trovate che<br />

poche e fievoli tracce. Come non trovate traccia del fon<strong>da</strong>mentale<br />

interrogativo - "Chi paga?" - che deciderà le sorti del paese per i prossimi<br />

vent'anni. E si capisce: quasi nella loro totalità, i giornali sono quelli<br />

riempiti al tempo di Tangentopoli <strong>da</strong>gli uomini della Dc, del Psi, di Romiti e<br />

di Berlusconi. Che interesse possono mai avere, a dire la verità fino in<br />

fondo? Meglio per loro uscirne "all'italiana": chi era craxista prenderà la<br />

tessera della Lega, chi era democristiano o massone si butterà nel<br />

"rinnovamento" di Segni o dell'Alleanza, chi faceva l'"industriale" a buon<br />

mercato a colpi di mazzette adesso spanderà due lacrimucce di pentimento<br />

e. farà pagare i <strong>da</strong>nni - in nome dell'economia <strong>da</strong> salvare - alle buste-paga<br />

dei lavoratori. E tutto continuerà come prima, con qualche piccolo cambio<br />

di etichette. Con la benedizione commossa - in nome naturalmente del<br />

"cambiamento" - dei giornali ufficiali e delle tv.<br />

A noi tutto questo non va giù. Un giornale, secondo noi, dovrebbe aver<br />

molto <strong>da</strong> dire in questo momento. Facciamo quel che possiamo, ma ci<br />

rendiamo conto che uscire una volta al mese non è granchè. Ci rendiamo<br />

conto, anche, che noi abbiamo una nostra storia, un modo di pensare, una<br />

cultura, ma che altri hanno la loro, non meno importante della nostra, ed è<br />

giusto che dicano quel che hanno <strong>da</strong> dire anche loro. Ci rendiamo conto<br />

insomma che solo unendo tante forze è possibile <strong>da</strong>re una risposta adeguata<br />

alla doman<strong>da</strong> d'informazione che la grande maggioranza degli italiani oggi<br />

esprime e a cui certamente non potranno rispondere i giornali che fino a ieri<br />

erano apertamente del regime. E' un problema grosso, e non c'è modo di<br />

girarci intorno. L'Italia cambia, i giornali no. Quindi, bisogna fare dei


giornali completamente nuovi, dei giornali che siano espressione immediata<br />

e diretta, e fino in fondo democratica, del cambiamento. Dei giornali<br />

adeguati, non dei mensili di battaglia come questo. Dei quotidiani,<br />

insomma.<br />

Noi, <strong>da</strong> soli, non ce la facciamo. Ma insieme con tutti gli altri antimafiosi,<br />

e sostenuti massicciamente <strong>da</strong> voi lettori, crediamo proprio di sì. Qualche<br />

idea abbiamo già cominciato a metterla insieme - vedi l'inserto al centro del<br />

giornale. Ne parliamo?


CHI SI VEDE, LA SINISTRA<br />

I Siciliani, luglio 1993<br />

La <strong>sinistra</strong> è una cosa che in Italia possiede alcune tonnellate di analisi,<br />

che raramente qualcuno legge, una mezza dozzina di astuti progetti politici<br />

tutti rigorosamente incompatibili fra loro e tre o quattro partiti organizzati<br />

ciascuno dei quali ritiene di essere l'unico destinato col tempo a costituire la<br />

sola e vera <strong>sinistra</strong>; e alcune centinaia di brillantissimi dirigenti che nel giro<br />

di pochi anni sono riusciti a portarla - per quanto umanamente stava in loro<br />

- sulle soglie della dissoluzione. Possiede tuttavia anche, ed è l'unico suo<br />

patrimonio reale, la memoria e il buonsenso di alcune decine di milioni di<br />

esseri umani, figli di un'esperienza storica di generazioni e generazioni<br />

d'incivilimento, di pene, di lungo e faticoso impossessamento della cultura e<br />

dei principi della vita associata e collettiva.<br />

Sono stati loro a portare la <strong>sinistra</strong>, fra gli ultimi mesi dell'anno scorso e i<br />

primi di quest'anno, alla conquista della maggioranza assoluta e a portare le<br />

rappresentanze politiche della <strong>sinistra</strong> a un passo - a un brevissimo passo -<br />

<strong>da</strong>l governo del Paese. E' una maggioranza che non ha ancora avuto modo<br />

di esprimersi in un'elezione generale e che perciò, come sempre, sfugge ai<br />

politologi di professione. Ma è una maggioranza reale.<br />

Alle ultime elezioni amministrative la <strong>sinistra</strong> ha preso fra il quaranta e il<br />

sessanta per cento, a secon<strong>da</strong> dei luoghi, dei voti vali<strong>da</strong>mente espressi <strong>da</strong>gli<br />

elettori. Ha superato la maggioranza assoluta nelle zone di antico e<br />

moderato buongoverno dell'Italia centrale. Ha preso il quarantacinque per<br />

cento a Milano, in presenza di un'on<strong>da</strong>ta di destra sostenuta <strong>da</strong> gran parte<br />

degli opinion leaders e dei poteri industriali. Comprende probabilmente la<br />

maggioranza degli elettori a Torino, dove solo l'irresponsabilità di dirigenti<br />

locali ha impedito ai voti della <strong>sinistra</strong> moderata di far blocco, com'era<br />

naturale, col grosso delle forze d'opposizione. Ha sfiorato la maggioranza ad<br />

Agrigento, dove per sottrarre i pochi voti che li dividevano <strong>da</strong>l candi<strong>da</strong>to<br />

democratico i conservatori han dovuto arruolare un "rinnovatore" come<br />

Ayala. Ha raggiunto il quarantasette per cento a Catania, dove l'errore tattico<br />

commesso <strong>da</strong>i cattolici di "Città Insieme" ha regalato il comune a un<br />

cartello di centro<strong>sinistra</strong>. In tutti questi casi, è mancata la strategia ma non<br />

le forze; l'abilità dei dirigenti, ma non la coscienza della base. E' mancato<br />

cioè qualcosa che si può facilmente imparare, che si può - se sarà il caso -<br />

collettivamente imporre ai dirigenti democratici alla prossima occasione. E'<br />

mancato il senso storico e profondo dell'unità.<br />

A Torino e a Catania - è interessante notare - lo schieramento della <strong>sinistra</strong><br />

era rappresentato, di nome, soltanto <strong>da</strong> Rifon<strong>da</strong>zione e <strong>da</strong>lla Rete; ad


Agrigento e Milano, il fronte comprendeva il Pds; nelle città del Centro, a<br />

volte mancava Rifon<strong>da</strong>zione a volte la Rete. L'immagine politica delle varie<br />

liste, tuttavia, è stata più o meno la stessa <strong>da</strong>ppertutto; <strong>da</strong>ppertutto il numero<br />

dei voti riportati <strong>da</strong>l candi<strong>da</strong>to sin<strong>da</strong>co della <strong>sinistra</strong> è stato di molto<br />

superiore alla somma dei voti riportati <strong>da</strong>lle singole liste di <strong>sinistra</strong>. A<br />

Catania lo schieramento d'opposizione, che ha mancato di pochissimo la<br />

conquista del Comune, nominalmente era sostenuto solo <strong>da</strong>l quattordici per<br />

cento degli elettori (dieci e mezzo della Rete, poco più di tre di<br />

Rifon<strong>da</strong>zione): dei catanesi che hanno votato a <strong>sinistra</strong>, due su tre l'hanno<br />

fatto <strong>da</strong>l di fuori dei partiti di <strong>sinistra</strong>.<br />

Ad Agrigento - è ancora interessante notare - fra i promotori della lista<br />

d'opposizione c'era un collettivo indipendente giovanile di recentissima<br />

costituzione, che ha fatto la sua brava campagna elettorale non peggio né<br />

con meno efficienza di tutti gli altri.<br />

A Catania, alle radici dello schieramento progressista, più che le tutto<br />

sommato deboli forze organizzate di partito, ritroviamo esperienze e culture<br />

direttamente legate - come la nostra dei Siciliani - alle istanze di base della<br />

società civile e a lotte immediatamente dirette, senza mediazioni "politiche",<br />

contro il potere mafioso. In diversi paesini del meridione, soprattutto in<br />

Sicilia, la gente ha votato massicciamente per il Pds o per la Rete, senza<br />

tante distinzioni, a secon<strong>da</strong> dell'esponente locale considerato più<br />

combattivo. Un'analisi del voto a Torino o a Milano porterebbe<br />

probabilmente alla luce caratteristiche di fondo non molto differenti. La<br />

gente, per così dire, sta imparando ad usare la <strong>sinistra</strong>. Si potrebbe dire che<br />

la <strong>sinistra</strong> sta imparando ad usare se stessa.<br />

Parte per malafede parte per semplice superficialità, i commentatori<br />

ufficiali ricavano <strong>da</strong>ll'esperienza delle elezioni di giugno l'idea di una<br />

fantomatica "corsa al centro", giocata fra posizioni moderate e con la messa<br />

fuori legge, o perlomeno fuori gioco, delle posizioni più "giacobine".<br />

Questo potrà essere forse vero in America (dove peraltro a votare non va più<br />

<strong>da</strong> molto tempo che una ristretta minoranza), ma non lo è affatto in Italia.<br />

Da noi le cifre dimostrano invece che l'elettorato italiano è composto <strong>da</strong> una<br />

forte <strong>sinistra</strong> e <strong>da</strong> una destra, la prima tendenzialmente unitaria e la secon<strong>da</strong><br />

divisa - per il momento almeno - fra vecchie e nuove pulsioni. Unirsi, per la<br />

<strong>sinistra</strong>, oggi è molto più facile che per la destra.<br />

I vari tentativi di uscire <strong>da</strong>lla crisi su un'ipotesi di centro o di<br />

centro<strong>sinistra</strong> - Martelli, Segni, l'Alleanza di Bianco e Ayala - hanno<br />

prodotto finora moltissimo e molto propagan<strong>da</strong>to fumo, ma ben poco<br />

arrosto. Le volte invece in cui la <strong>sinistra</strong> ha avuto il buonsenso di affi<strong>da</strong>rsi a<br />

se stessa, di puntare su un fronte ampio aperto alle forze spontanee della


società civile, è arrivata vicinissima (e abbiamo visto quanto esili e<br />

occasionali siano state le cause che le hanno impedito di conseguirla del<br />

tutto) alla maggioranza assoluta.<br />

Certo, non è facile unirsi. O meglio, lo è per le persone normali, per i<br />

militanti di base, per coloro che hanno faticosamente conquistato una "linea<br />

politica" - se così la vogliamo chiamare - attraverso anni di faticoso<br />

confronto con le vive e immediate traversìe della società civile; non lo è<br />

affatto per coloro che quest'esperienza non ce l'hanno, o l'hanno così lontana<br />

nel tempo <strong>da</strong> esserne ormai abbandonati.<br />

Di buono c'è che, essendo ormai i partiti della <strong>sinistra</strong> diversi e non più<br />

uno solo, possono fare i capricci a turno (o meglio, possono farli i loro<br />

dirigenti meno avvertiti) lasciando sempre qualcuno a ba<strong>da</strong>re alle cose serie<br />

nel frattempo. Nei mesi passati è stato il turno della Rete (che doveva<br />

sciogliere l'amletico dubbio se appartenere alla <strong>sinistra</strong> o ad altre, ancora<br />

inesplorate, contrade) e del Pds (che voleva affi<strong>da</strong>re le sorti del Paese,<br />

nell'ordine, all'Internazionale socialista, a Martelli, a Segni, a Ciampi, a<br />

Clinton, ad Ayala). Adesso il turno, a quanto pare, tocca a Rifon<strong>da</strong>zione.<br />

Speriamo che faccia in fretta.<br />

Nel frattempo bisogna che il processo unitario va<strong>da</strong> avanti. Bisogna che<br />

non sia affi<strong>da</strong>to principalmente ai partiti e che non sia ostacolato <strong>da</strong>i partiti.<br />

Bisogna che possa esprimersi in una serie di iniziative unitarie di base -<br />

azioni rivendicative, giornali, incontri, associazionismo di base, e alla fine,<br />

ma proprio alla fine, anche liste elettorali comuni - e che sappia mantenersi<br />

in ogni momento rigorosamente sincero, senza furbizie, senza egemonie. La<br />

rivoluzione italiana tutto sommato è cominciata - è cominciata qui al Sud,<br />

molti anni prima di Di Pietro - <strong>da</strong> una questione morale, <strong>da</strong> un bisogno di<br />

trasparenza civile, di pulizia, di schieramenti chiari. E' una stra<strong>da</strong> vincente,<br />

sarebbe un peccato impantanarla per noia in una politica politichese.


UN'ESTATE PERICOLOSA<br />

I Siciliani, agosto 1993<br />

La speranza era che i servizi segreti si fossero messi a rubare<br />

tranquillamente come tutti gli altri politici italiani e non avessero quindi più<br />

il tempo di mettere in giro bombe e fare stragi. Forse è così, e forse no. In<br />

ogni caso, le bombe scoppiano ancora. Forse sono semplicemente bombe<br />

"sin<strong>da</strong>cali", di rivendicazione dei vecchi piduisti e mafiosi che non vogliono<br />

essere messi <strong>da</strong> parte per la bella faccia del "rinnovamento" dei Gattopardi.<br />

Forse sono bombe più politiche, nel senso che nemmeno i "rinnovamenti" in<br />

Italia si possono fare senza un po' di tritolo. Mah. In ogni caso, occhio<br />

all'estate. Si sono fregati la scala mobile, il potere economico della lira,<br />

trentamila miliardi di industria chimica, i soldi - che nessuno prova<br />

nemmeno a misurare - di Tangentopoli, la democrazia: i "colpi"migliori li<br />

hanno fatti d'estate, in quegli unici quindici giorni su trecentosessantacinque<br />

in cui l' italiano ha finalmente il diritto di starsene spaparanzato al sole a<br />

riposarsi un poco.<br />

Dio sa che s'inventeranno stavolta, che manovra economica,che<br />

"rinnovamento" in famiglia, che assoluzione generale dei ladri. La<br />

tentazione è forte, per lorsignori. Non sono più solo i politici, sono anche i<br />

cavalieri d'industria, se va avanti Mani Pulite, a rischiare grosso. Di solito,<br />

negli anni passati, pensavano al colpo di stato per molto meno. Quest'anno<br />

l'affare è difficile: la gente è talmente incazzata, e i giudici sono talmente<br />

svegli, che molto probabilmente, non gli converrebbe provarci. Ma almeno<br />

un pensierino qualcuno ce lo starà facendo. Mica un golpe coi carri armati:<br />

un colpo di stato legale, un golpe "perbene". Occhio, occhio all'estate...


OPERAI<br />

I Siciliani, settembre 1993<br />

Non mettete la mia foto - avrebbe detto probabilmente padre Puglisi - Se<br />

proprio ci tenete, stampate come vive la mia gente. La gente di padre<br />

Puglisi, a Brancaccio e fuori, vive - quando va bene - con un milione al<br />

mese. Lavora in una fabbrica, quando va bene, o scarica cassette ai mercati<br />

generali, o vende qualche cosa per la stra<strong>da</strong>, oppure va a rubare. A<br />

Brancaccio, a Crotone, oppure alla periferia di Milano. La gente di padre<br />

Puglisi, il giorno che si ribella, ha tutti - Giornalisti e Politici -<br />

virtuosamente contro. Soffrire e sopportare, così va il mondo.<br />

Noi siamo di chi si ribella. Di chi occupa la fabbrica il giorno prima del<br />

licenziamento, di chi fischia i politici ai funerali di Borsellino, di chi entra<br />

nella povera chiesa nel quartiere dei boss, sapendo la soglia che sta<br />

varcando. Il mondo, dice padre Puglisi, non andrà sempre così. Il mondo -<br />

dice Camillo Torres, i gesuiti del Salvador, i preti dei quartieri di Palermo -<br />

verrà cambiato. Lo cambieranno i poveri, i cittadini di Brancaccio, il popolo<br />

di Palermo, gli operai. I tempi degli sgherri - quelli in divisa mimetica, e<br />

quelli di Cosa Nostra - non dureranno per sempre.<br />

In giro fra gli operai della Sicilia, nei cantieri e le fabbriche dove si<br />

produce la ricchezza dilapi<strong>da</strong>ta <strong>da</strong>i Gardini e <strong>da</strong>i Craxi, i nostri giovani<br />

cronisti hanno raccolto molti <strong>da</strong>ti ma hanno raccolto - soprattutto - una<br />

sensazione: la gente non si rassegna più. La gente, <strong>da</strong>l suo lavoro in poi,<br />

vuole cambiare..<br />

Lavoratori, parola fuori mo<strong>da</strong>. Operaio di Crotone, maestrina senza<br />

lavoro di Siracusa, ingegnere di Catania costretto - poiché tangenti e mafia<br />

non fan per lui - a vivere di lezioni private: esseri umani "perdenti", senza<br />

futuro... Ma non è così. Gli uomini e le donne del Sud hanno ancora tutto <strong>da</strong><br />

dire. "Voi avete portato alla rovina l'Italia - disse ai fascisti Gramsci -<br />

spetterà a noi ricostruirla". Ereditiamo un'Italia divisa, spolpata,<br />

saccheggiata <strong>da</strong>i politici corrotti, svenduta ai cavalieri d'industria, ancora in<br />

gran parte in mano agli sgherri di Andreotti. Ereditiamo un'Italia in cui<br />

l'omicidio di padre Puglisi, o l'autobomba <strong>da</strong>vanti alla caserma dei<br />

Carabinieri di Gravina, sono probabilmente solo l'inizio della campagna<br />

d'autunno. Quest'Italia, noi la ricostruiremo <strong>da</strong> cima a fondo, con ferma<br />

fiducia nelle virtù profonde di questo Paese, nascoste oggi sotto gli<br />

schiamazzi di politicanti e leghisti ma ben vive e presenti, e vittoriose<br />

infine, nei momenti difficili della nostra storia. L'altra Italia, quella dei<br />

lavoratori di Crotone, quella della gente che scende in piazza, quella di<br />

padre Puglisi.


I MAGNIFICI<br />

I Siciliani, ottobre 1993<br />

Falcone e Borsellino nel pool antimafia, Orlando al Comune, i ragazzi del<br />

liceo Meli in piazza - ricor<strong>da</strong>te Palermo? Palermo degli anni duri.<br />

Giammanco e Geraci al Palazzo di Giustizia, Martelli e Andreotti che<br />

attaccano gli antimafiosi "giacobini", il Giornale di Sicilia che fa<br />

propagan<strong>da</strong> al giudice Carnevale - ricor<strong>da</strong>te Palermo? Palermo degli anni<br />

duri. O <strong>da</strong> una parte o <strong>da</strong>ll'altra, o col potere mafioso o con l'antimafia<br />

popolare. In mezzo, no.<br />

Quanto tempo è passato. Giammanco è inquisito, Martelli non c'è più,<br />

Andreotti è un relitto. Il Giornale di Sicilia - quello che allora sche<strong>da</strong>va<br />

pubblicamente i militanti del Coordinamento antimafia - adesso s'ingegna di<br />

trovare il modo di fare un po' di corte al vincente di oggi, Orlando. Restano<br />

le macerie. E restiamo noi.<br />

Quanto siamo cambiati? Il problema è tutto qui. Rissosi, incorruttibili,<br />

profon<strong>da</strong>mente devoti a un'idea (individuale e collettiva) di libertà; poveri<br />

ed orgogliosi, carichi di speranze e utopie - quelli della primavera di<br />

Palermo, quelli dell'autunno quarantatré. E poi, s'è vinto.<br />

S'è vinto fra le macerie, fra mille ambiguità e gattopardi. In un paese<br />

diviso, fra le macerie, col fiato dei "liberatori" sul collo a imporre, a modo<br />

loro, le nuove autorità. Scendono i partigiani <strong>da</strong>i monti, ma troppi applausi<br />

li accolgono, troppi "buoni consigli" (chi erano i fascisti in Italia, chi erano i<br />

mafiosi?). Quelli che ieri combattevano, oggi debbono governare: almeno,<br />

per cominciare, qui a Palermo. Noi ci auguriamo che abbiano il coraggio di<br />

farlo, che riescano ad averne la forza, ma che lo facciano - soprattutto - <strong>da</strong><br />

partigiani. Che non ce<strong>da</strong>no alla timidezza dei poveri, che non diventino<br />

ragionevoli e perbene, che si facciano voler male <strong>da</strong>i signori.<br />

Questo è un promemoria per il sin<strong>da</strong>co rivoluzionario di Palermo.


VERSO UN GOVERNO "PALERMITANO"<br />

I Siciliani, novembre 1993<br />

Faranno prima Fini, Bossi, Cossiga, Berlusconi a unirsi e a prendere il<br />

potere, o lo faranno prima i leader responsabili della <strong>sinistra</strong>? L'Italia è<br />

spaccata in due, non c'è possibilità di mediazioni. O la democrazia o la<br />

reazione, o la <strong>sinistra</strong> o la destra. Il centro "moderato e responsabile" su cui<br />

ha contato disperatamente, <strong>da</strong>ll'inizio della crisi in qua, buona parte della<br />

<strong>sinistra</strong> italiana in realtà non esiste, non esiste più <strong>da</strong> quasi un anno. I<br />

"moderati" si schierano, i benpensanti s'infilano gli stivali. Weimar, la<br />

Spagna del Trentasei, il Cile di Allende.<br />

Stavolta deve an<strong>da</strong>re diversamente. C'è una maggioranza di <strong>sinistra</strong> nel<br />

Paese - sono i numeri a dirlo, non più noi soli - ed è una maggioranza<br />

culturalmente omogenea, molto più omogenea dei due o tre filoni fra cui è<br />

ancora indecisa la destra. Le differenze fra una Rifon<strong>da</strong>zione comunista e<br />

un Pds, fra un Orlando e un Rutelli, pesano e sono gravi; ma sono<br />

infinitamente minori di quelle che ci potevano essere fra comunisti e<br />

socialdemocratici a Weimar, fra anarchici e socialisti nella Spagna<br />

repubblicana; molto minori, comunque, di quelle fra Bossi e Fini. Ma<br />

bisogna far presto. Presto, presto, presto.<br />

Ci sono i numeri, in Italia, per la formazione di un governo di <strong>sinistra</strong><br />

subito dopo la primavera. Sarà impossibile procrastinare le elezioni ancora.<br />

La Rete, i Verdi, il Pds, Rifon<strong>da</strong>zione Comunista, le piccole aree<br />

indipendenti all'Adornato o all'Ayala possono vincerle insieme con larga<br />

maggioranza, governare insieme il Paese. Avranno problemi terribili <strong>da</strong><br />

affrontare; il governo di <strong>sinistra</strong> troverà il Tesoro vuoto, il Paese diviso, i<br />

debiti del passato regime <strong>da</strong> pagare, una crisi industriale anche<br />

artificialmente esaltata. Ma dovranno governare comunque - meglio prima<br />

che poi.<br />

I voti della <strong>sinistra</strong> hanno superato quasi <strong>da</strong>ppertutto, sia a giugno che a<br />

dicembre, la somma dei singoli partiti di <strong>sinistra</strong>. Questo <strong>da</strong>to, troppo<br />

facilmente attribuito a particolari carismi individuali, esprime in realtà il<br />

profondo e massiccio radicamento nella società italiana di alcuni valori<br />

frettolosamente <strong>da</strong>ti per "superati". Su di essi bisogna puntare. Saranno essi,<br />

i valori e non gli equilibrismi, a fare la differenza.<br />

In Sicilia la società civile è "entrata in politica" con più radicalità e più<br />

determinazione che altrove; ha dovuto sperimentare prima (non per sua<br />

scelta) la politica non mediata, la politica reale. Non è merito nostro. Le<br />

condizioni erano tali, per cui bisognava per forza o combattere o sparire.<br />

Altrove potevano permettersi il lusso di giuocare alle repubblichette, di


imuovere i problemi veri; noi, no. Eravamo costretti a ragionare, a<br />

riflettere, a trovare di volta in volta una risposta ai problemi. Eravamo<br />

costretti, indipendentemente <strong>da</strong>l talento e quasi contro la nostra stessa<br />

volontà, a fare <strong>da</strong> battistra<strong>da</strong> per tutti.<br />

I problemi che ieri erano della Sicilia, oggi sono dell'Italia intera. Estrema<br />

radicalizzazione degli schieramenti politici e istituzionali, estrema<br />

ramificazione dei soggetti sociali e dei loro legittimi interessi; necessità di<br />

scelte nette e traumatiche sul piano degli schieramenti e dei poteri, ma -<br />

contemporaneamente - di pazienti e lungimiranti mediazioni e garanzie e<br />

salvaguardie nel sociale. Il tutto, in pochissimo tempo e imperversando la<br />

crisi.<br />

Arriveranno prima i leader della <strong>sinistra</strong> a percepire la posta in gioco - a<br />

farsi le concessioni reciproche richieste <strong>da</strong>ll'unità - o arriveranno prima le<br />

forze nere? Il problema, è tutto qui. A Palermo e in Sicilia, è arrivata per<br />

prima la democrazia. Ma adesso, bisogna far Palermo <strong>da</strong>ppertutto.


IN UNA SCUOLA OCCUPATA DI PALERMO<br />

I Siciliani, novembre 1993<br />

Occhetto, Orlando, Cossutta e Ayala si sono incontrati ieri a Palermo, in<br />

una scuola occupata. "Conti alla mano - ha detto Occhetto - la <strong>sinistra</strong> è<br />

maggioranza <strong>da</strong>ppertutto, tranne (ma di poco) a Milano". "Che c'entri tu con<br />

la <strong>sinistra</strong>?" lo ha interrotto Cossutta. "Beh, qui a Palermo..." ha detto<br />

Orlando. Ayala, per il momento, non ha detto niente. "D'accordo - ha<br />

proseguito Occhetto - forse anch'io avrò fatto le mie cazzate. Martelli,<br />

Segni... Vabbene, intanto qua Martelli, Amato, Segni, Martinazzoli e<br />

compagnia centrista - Ayala s'è riacceso la pipa che s'era spenta - con noi<br />

non ci stanno, questo è chiaro. In compenso la gente ci vota. E allora, che<br />

vogliamo fare?". "Noi comunisti..." ha cominciato Cossutta. "Noi comunisti<br />

eravamo <strong>un'altra</strong> cosa - l'ha interrotto Galasso - noi sapevamo fare la<br />

politica delle alleanze, quando ce n'era bisogno!". Padre Pintacu<strong>da</strong>, che era<br />

arrivato in quel momento, ha avuto un sorriso fine. "A prescindere <strong>da</strong>l<br />

passato..." ha cominciato. Ma in quel momento sono entrati Rocco, Antonia<br />

e Salvatore, del comitato d'occupazione.<br />

"Ehi, ma ancora non avete finito? - ha detto Rocco - Guar<strong>da</strong>te che l'aula ci<br />

serve, dobbiamo fare la riunione della commissione stampa!". "Dài - ha<br />

detto Antonia - lasciamogliela per un altro quarto d'ora, poveretti! Li devi<br />

capire, sono politici, devono tragediare un po' prima di mettersi d'acordo".<br />

"Va bene, ma un quarto d'ora e poi basta, eh? Non ve ne abbiate a male, ma<br />

qui abbiamo <strong>da</strong> lavorare". I tre ragazzi uscirono in fretta, e Antonia prima di<br />

chiudere la porta consegnò qualcosa ad Orlando con aria complice. "Ora,<br />

prima di tutto bisogna stabilire..." fece Cossutta, ma s'interruppe guar<strong>da</strong>ndo<br />

incuriosito l'oggetto che il sin<strong>da</strong>co di Palermo teneva in mano con aria<br />

indifferente. "Cos'è questo? Fa vedere...". "Fa' vedere anche a me...".<br />

"Aspetta che provo anch'io".<br />

Un quarto d'ora dopo, i leader della <strong>sinistra</strong> avevano già definito, nelle<br />

grandi linee, il programma elettorale della <strong>sinistra</strong> unita, avevano deciso i<br />

nomi (che sarebbero stati comunicati alla stampa in serata) dei componenti<br />

del primo governo post-democristiano e avevano riconsegnato agli studenti,<br />

in perfetto orario, la loro aula. Allontanandosi, i ragazzi li sentirono<br />

sghignazzare allegramente fra loro. "Ci voleva tanto per convincersi - fece<br />

Rocco - Eppure lo potevano capire subito che se si mettono insieme e non<br />

fanno cazzate la gente, com'è successo qui a Palermo, alla fine li vota!".<br />

"Sono politici" sentenziò Salvatore. "Eppure, alla fine l'hanno capito. Chissà<br />

come hanno fatto, a mettersi d'accordo tanto alla svelta". "Un miracolo".<br />

"Già".


Antonia non disse niente, ma sorrise. Effettivamente aveva avuto un<br />

effetto miracoloso, lo spinello che aveva passato a Orlando...


E LA BANDA SUONO' BANDIERA ROSSA<br />

I Siciliani, novembre 1993<br />

Il mio paese, Milazzo, ha venticinquemila abitanti e un sin<strong>da</strong>co di <strong>sinistra</strong>.<br />

Il sin<strong>da</strong>co l'hanno fatto la Rete, il Pds, la parrocchia del Sacro Cuore, i<br />

compagni di Rifon<strong>da</strong>zione comunista, quelli della Lega Ambiente, e<br />

associazioni e congreghe e movimenti vari. I voti sono arrivati<br />

principalmente <strong>da</strong>lle frazioni "rosse" della città, i villaggi dove un tempo il<br />

vecchio partito comunista organizzava i contadini.<br />

Il sin<strong>da</strong>co nuovo è un professorino cattolico con la faccia perbene; fra i<br />

caporioni ci sono Dario Russo, che vent'anni fa era un ragazzo di Lotta<br />

Continua e ora ha fon<strong>da</strong>to la Rete, Franco Otera che allora era pure nella<br />

lottacontinua e adesso ha combattuto la mafia come segretario della camera<br />

del lavoro, Cesare Lispi della Raffineria, che allora era del Pci e adesso di<br />

Rifon<strong>da</strong>zione, e altri ancora che non conosco perché <strong>da</strong> troppo tempo<br />

manco <strong>da</strong>l paese ma che sicuramente sono dei bravi compagni - o dei bravi<br />

cristiani, a scelta loro - come questi che ho appena nominato. Sono convinto<br />

che adesso, fra tutti quanti, rimetteranno in sesto il mio paese, che è molto<br />

bello e al quale voglio molto bene.<br />

Il giorno prima delle elezioni, a Milazzo, è morto Tin<strong>da</strong>ro La Rosa, che<br />

era il capo dei comunisti del mio paese negli anni Sessanta e Settanta, un<br />

milione d'anni fa. A quel tempo i braccianti erano tanto poveri, a Milazzo,<br />

che alcuni di loro nelle frazioni della Piana dormivano ancora su graticci di<br />

canne. Tin<strong>da</strong>ro era quello che li organizzava, gli faceva il sin<strong>da</strong>cato e il<br />

partito e gl'insegnava a lottare. Eliana, sua moglie, girava in bicicletta per la<br />

Piana a organizzare le gelsominaie, le donne che raccolgono i gelsomini di<br />

notte ed è un lavoro durissimo perché ci vuole una cesta di fiori per fare una<br />

goccia di profumo. Io me li ricordo bene, queste gelsominaie e questi<br />

braccianti, con la loro bandiera rossa nella piazza del paese, col loro silenzio<br />

duro e la loro immensa dignità. Tin<strong>da</strong>ro ed Eliana vivevano in una casa<br />

poverissima ed estremamente pulita, sulla spiaggia dell'Acquaviola.<br />

Avevano due bambini la cui intelligenza e buona educazione - come si<br />

diceva allora - venivano portati ad esempio anche <strong>da</strong>i genitori più reazionari<br />

del paese.<br />

A casa di Tin<strong>da</strong>ro, quando hanno aperto la cassaforte dove teneva i suoi<br />

risparmi e le sue carte - aveva fatto il funzionario di partito per quarant'anni<br />

- non hanno trovato una lira, ma circa quarantacinque pezzi di carta che<br />

erano tutte le tessere del Partito Comunista Italiano <strong>da</strong>l 1943 in qua. Hanno<br />

portato Tin<strong>da</strong>ro in chiesa con la bandiera della vecchia sezione,<br />

falcemartello e stella, sulla bara, e al prete non è passato neanche per


l'anticamera del cervello di obiettare qualcosa. Davanti al cimitero, in cima<br />

alla salita in faccia al mare, la folla dei cittadini s'è fermata: un vecchio<br />

compagno ha fatto la commemorazione parlando piano e poi la ban<strong>da</strong> del<br />

paese ha cominciato a suonare "Bandiera Rossa".


RICRAXI<br />

I Siciliani, febbraio 1994<br />

Ci serve per prendere i voti dei cafoni del sud, ha detto il consiliori dei<br />

leghisti parlando di Berlusconi. I cafoni del sud saremmo noi: e<br />

apprezziamo vivamente la semplicità e chiarezza con cui il professor Miglio<br />

(il vero capo della Lega: l'altro è solo <strong>da</strong> piazza) ha finalmente esposto il<br />

programma politico della destra italiana.<br />

Da cent'anni in qua, infatti, il problema della destra è esattamente questo:<br />

<strong>da</strong>to che la maggior parte della nazione italiana è composta <strong>da</strong> "cafoni" del<br />

sud (contadini, emigranti, disoccupati) e <strong>da</strong> "cafoni" del nord (operai,<br />

impiegati, disoccupati), come fare per impedire che i "cafoni" delle due<br />

parti si uniscano e mandino a quel paese i galantuomini (politicanti,<br />

proprietari e boss mafiosi del sud, politicanti, cavalieri d'industria e boss<br />

massoni del nord) di cui la destra italiana è tradizionalmente l'espressione?<br />

Il problema, come sapete, ha avuto svariate soluzioni nel corso degli anni:<br />

il fascismo, la Dc di Andreotti, il craxismo. Nessuna di esse è rimasta senza<br />

eredi. I fascisti di Fini partecipano oggi attivamente, a pari titolo con gli<br />

altri, al Fronte Padronale anti-"cafoni". I leghisti, che fino a ieri votavano in<br />

maggioranza (se la statistica non è un'opinione) per i democristiani veneti e<br />

per Craxi, oggi costituiscono l'ala più "popolare" e più intransigentemente<br />

razzista della nuova destra. I pattisti di Segni, vale a dire la destra Dc<br />

riveduta e corretta, marciano tatticamente divisi ma fanno in realtà parte<br />

integrante della maggioranza di destra (come si vedrà il giorno dopo le<br />

elezioni). Infine, Berlusconi: che è il rappresentante ufficiale, a Milano e nel<br />

nord, del craxismo rampante degli anni Ottanta.<br />

Così, nell'anno di grazia millenovecentonovantaquattro, "los cuatros<br />

generales" vennero avanti. Bossi marciava in testa, guar<strong>da</strong>ndosi alle spalle e<br />

agitando bandiere: in Lombardia e nel Veneto, se tutto andrà bene, non ci<br />

sarà più posto per sin<strong>da</strong>ci né per associazioni di base né per partiti che non<br />

siano quelli del Volk puro, del partito unico del Nord. Dietro di lui,<br />

Berlusconi: sorride a dritta e a manca, trotterellando dietro le squadre<br />

leghiste. "Io ho i soldi! - gri<strong>da</strong> ansiosamente, sforzandosi di far la faccia<br />

dura - Ve ne compro quanti ne volete, io, di cafoni! Ho i soldi, io!".<br />

Qualcuno, <strong>da</strong>lle ultime file, si volta a guar<strong>da</strong>rlo sogghignando. Poi, dopo<br />

uno spazio vuoto, sfilano i fascisti di Fini. Sono una strana armata: stracci<br />

azzurri, cravatte, vecchi frak, tricolori con un gran buco al centro, dove una<br />

volta c'era il fascio - tutto si son buttati addosso, pur di coprire alla meglio<br />

la camicia nera. Il coman<strong>da</strong>nte in testa regola fred<strong>da</strong>mente la marcia sulle<br />

orme di Bossi: il giuoco delle parti li divide, e l'ambizione feroce: ma li


unisce profon<strong>da</strong>mente il loro ruolo.<br />

Passano i riciclati, passano gli arricchiti di regime, passano i cortigiani e i<br />

teppisti, passano nani e ballerine. E infine, i "moderati". "Noi qui con questa<br />

gente non c'entriamo! - portano scritto su un gran cartello - Noi siamo qui<br />

del tutto casualmente! Non siamo dei rozzi come questa gente, noi! Ma<br />

anche noi combattiamo i bolscevichi di Occhetto e Orlando!". Il loro capo è<br />

l'ultimo, marcia all'estrema co<strong>da</strong> del corteo, enigmatico e triste come un<br />

Francisco Franco. Sarà lui, se le cose funzionano, a gui<strong>da</strong>re il governo di<br />

Fini e Bossi. E questo era il loro corteo.<br />

Ma quando tutti costoro furono passati si fece avanti un vecchio, un<br />

contadino tarchiato sui sessant'anni, e si piantò in mezzo alla piazza ormai<br />

vuota. "Chiedo scusa! - disse - Mi chiamo Pasquale Amodio e sono di Motta<br />

Sant'Anastasia in provincia di Catania! Sono stato dodici anni in Germania<br />

a lavorare, perché al paese lavoro per noi non ce n'era. Scusate, ma ora<br />

voglio dire la mia".<br />

"Neanche per me c'era lavoro - si fece avanti un ragazzo - Perciò sono<br />

partito anch'io. Io mi chiamo Michele Calafiore e sono di Palma di<br />

Montechiaro". "Io faccio il maestro, mi chiamo Michele Belcore - disse un<br />

uomo uscendo <strong>da</strong>lla folla - e al mio paese c'è la mafia e nessuno, tranne noi,<br />

l'ha mai combattuta". "Mi chiamo Santo Buscema, di Gibellina. Il terremoto<br />

ha distrutto la mia casa con tutto il paese. I cavalieri hanno fatto i soldi con<br />

la ricostruzione. A noi sono rimaste le baracche". "Le tasse si mangiavano la<br />

terra, io mi chiamo Turi, ho dovuto vendere tutto all'avvocato". "Mio figlio<br />

è morto di tifo, <strong>da</strong> un momento all'altro, in due ore. L'ospe<strong>da</strong>le più vicino<br />

era a cento chilometri! Mi chiamo Giovanna Costantini".<br />

E ad uno ad uno i siciliani parlavano, quel giorno, non ne restava zitto<br />

nessuno. Uscivano <strong>da</strong>lla folla, dicevano la loro testimonianza e si<br />

fermavano nella piazza che via via si riempiva di ombre sempre più fitte nel<br />

sole.<br />

Da molte generazioni e molti luoghi tornavano quel giorno i siciliani, e <strong>da</strong><br />

molto patire, e <strong>da</strong> molto vagare sulla faccia del mondo. Lontano, come<br />

stivali in ritirata, sempre più fioco si spegneva lo scalpiccìo del corteo.


FORZA ETNA<br />

I Siciliani, marzo 1994<br />

Ricor<strong>da</strong>te quando scrivevano "Forza Etna" sui muri? Noi sì. Una decina<br />

di anni fa. La destra, allora, era ancora una faccen<strong>da</strong> pressoché medievale. I<br />

fascisti, il massimo che potevano sperare <strong>da</strong>lla vita era un bel referendum<br />

sulla pena di morte. La mafia, puntava fiduciosamente sul suo immobile<br />

Andreotti, che le pareva immortale. Berlusconi era semplicemente uno dei<br />

tanti cavalieri che allora si facevano i soldi con Craxi. Le regole del gioco.<br />

Una tranquilla destra, un po' pigra ma sicura del proprio immodificabile<br />

potere, e una <strong>sinistra</strong> tranquilla, placi<strong>da</strong>mente assestata "all'opposizione".<br />

Ma un bel giorno, <strong>da</strong> qualche parte nell'Europa civile, cominciarono a<br />

comparire i primi manifesti dell'era nuova. Ausländer raus. La France aux<br />

français. Via gli ebrei. E, qui in Italia per l'appunto, forza Etna.<br />

Le scritte apparivano sui muri degli stadi, nei primi tempi. Ma avevano un<br />

profondo valore culturale, di svolta storica si potrebbe dire e difatti -<br />

cambiando un pochettino le parole - ben presto se ne appropriarono gli<br />

intellettuali. Così venne spiegato che uno slogan come Forza Etna (o Ebrei<br />

Al Rogo o altri similari) è un'espressione naturalmente estremistica e<br />

sbagliata, ma portatrice tuttavia di istanze e problematiche non prive di una<br />

loro, magari non del tutto condivisibile, spiegazione. Scrivendo "Forza<br />

Etna" non s'intendeva insomma invocare la distruzione fisica di una<br />

popolazione, ma esprimere sia pur rozzamente la protesta di una<br />

popolazione troppo a lungo sfruttata <strong>da</strong> un sistema statalista e accentratore.<br />

Un fenomeno tipo "Reggio capoluogo" e "Boia chi molla" s'è disperso, a<br />

suo tempo, senza <strong>da</strong>r luogo a cristallizzazioni politiche ulteriori. Ma ora i<br />

tempi sono maturi. Così ridendo e scherzando il partito del "Via gli ebrei"<br />

(ché di questo si tratta, su questo un'identità culturale e politica è stata a suo<br />

tempo faticosamente costruita: su radici, a loro volta, non occasionali né<br />

lievi) è diventato il primo partito di Roma. Quanto a "Forza Etna", lo slogan<br />

ha figliato un partito: che adesso è qua a fare politica perbene, insieme con<br />

tutti gli altri. Ed è questa la genesi, al di là delle nostre illusioni, della destra<br />

d'oggi. Non siamo alle solite; è <strong>un'altra</strong> cosa. Berlusconi non è il cavaliere<br />

d'industria, in questo caso, che difende "politicamente" i suoi denari; o non<br />

è solo questo. E' invece il punto di coagulo, l'esemplificatore di massa, la<br />

Gui<strong>da</strong> (non leader, che è parola e concetto occidentale) di una concezione<br />

del mondo del tutto nuova, nuova in proporzione almeno quanto quelle<br />

mussoliniane e centroeuropee degli anni Venti. Essa coagula e rende nel<br />

loro complesso immediatamente operativi alcuni valori -<br />

l'automonetizzazione, la pulizia etnica, l'antiparlamentarismo, il razzismo -


che nelle ultime due generazioni erano rimasti sostanzialmente isolati,<br />

ciascuno per sé, fuori <strong>da</strong>l common sense della Nazione.<br />

Questo nuovo soggetto non vincerà, probabilmente, le elezioni. Ma esiste,<br />

e continuerà a esistere anche dopo. Le divisioni e le liti fra le sue varie<br />

componenti gl'impediranno di governare, ma non di fare un'azione politica,<br />

e soprattutto culturale, comune. Per almeno una generazione un terzo del<br />

corpo politico italiano sarà rappresentato <strong>da</strong> personaggi e <strong>da</strong> valori<br />

completamente al di fuori della tradizione civile occidentale.<br />

Fra questi valori c'è "Forza Etna", cioé la percezione del Sud - di tutti i<br />

sud del mondo, e del nostro in particolare - come altro <strong>da</strong> sé, come cosa <strong>da</strong><br />

escludere con violenza <strong>da</strong>l recinto della "modernità" nazionale. Alcuni<br />

questa concezione la proclamano con becera sincerità, altri - fra cui gli<br />

ascari del berlusconesimo nella Sicilia e nel Sud - si limitano a portarla<br />

avanti alacremente.<br />

Noi siciliani abbiamo la fortuna, se così si può dire, di essere<br />

intrinsecamente nemici di questi valori, per stato di necessità. Non possiamo<br />

accettare le teorizzazioni della nuova destra, perché saremmo i primi ad<br />

esserne colpiti. Siamo felicemente "costretti" ad essere progressisti,<br />

esattamente come siamo stati "costretti", per la nostra stessa sopravvivenza<br />

come popolo civile, a entrare in guerra contro la mafia.<br />

Nessun siciliano può votare per i mafiosi senza essere nemico di se stesso.<br />

Nessun siciliano può votare per il neo-craxismo senza essere ladro di se<br />

stesso. E nessun siciliano può votare per gli uomini di Berlusconi senza<br />

rinnegare la Sicilia e, come siciliano, se stesso.


UN'AZIENDA DEL SUD<br />

I Siciliani, febbraio 1994<br />

La questione principale che ci resta <strong>da</strong> risolvere per partire coi Siciliani<br />

quotidiano è apparentemente tecnica, ma densa in realtà di implicazioni<br />

sulla struttura stessa del giornale. I Siciliani quotidiano nasce infatti come<br />

giornale "stellare", articolato cioé su diverse re<strong>da</strong>zioni diffuse sul territorio<br />

regionale e non - come avviene finora - su un'unica re<strong>da</strong>zione centrale; in<br />

grado, inoltre, di ricevere input modulabili (<strong>da</strong>l "pezzo" in formato Ascii<br />

alla pagina già impaginata) <strong>da</strong> testate in sinergia su tutto il territorio<br />

nazionale.<br />

Questo è reso possibile <strong>da</strong>lle tecnologie hardware e software venute fuori<br />

negli ultimi due anni; ed è ulteriormente facilitato <strong>da</strong>gli ultimi sviluppi dei<br />

microprocessori "economici" ad alta velocità (il Pentium di Intel e il<br />

PowerPc di Apple-Ibm) che stanno venendo a maturazione proprio in questi<br />

mesi. Se prima ci volevano cinquecento milioni - detto in parole povere -<br />

per impiantare un punto re<strong>da</strong>zionale autosufficiente collegato con altri,<br />

adesso ne bastano meno della metà: e su questo semplice <strong>da</strong>to si basa tutta<br />

la filosofia progettuale, sul piano tecnologico, del nostro quotidiano.<br />

Un'azien<strong>da</strong> italiana (perché qui siamo anche un'azien<strong>da</strong>) tecnologicamente<br />

all'avanguardia, ben conosciuta, in grado di reggere il mercato, si rivolge<br />

alla struttura pubblica, allo Stato, non per chiedere assistenza o benefici ma<br />

semplicemente per utilizzare i servizi tecnologici che ogni Stato moderno<br />

deve garantire a tutte le realtà economiche nazionali; e scopre di essere in<br />

realtà un'azien<strong>da</strong> meno italiana di altre, senza che nessuno lo dichiari,<br />

perché materialmente opera al Sud; con tanti ossequi al mercato, alla libera<br />

concorrenza e a tutto il resto.<br />

Noi che siamo I Siciliani siamo in grado di far sentire la nostra voce, di<br />

an<strong>da</strong>re avanti - sia pure con qualche sacrificio - lo stesso; ma gli altri? Che<br />

fine avrebbe fatto, in una situazione come questa, un piccolo-medio<br />

imprenditore che avesse investito, poniamo, il suo patrimonio azien<strong>da</strong>le in<br />

un progetto a tecnologia avanzata come questo? La verità è che il mercato al<br />

Sud non esiste. Esiste un pigro an<strong>da</strong>re avanti alla men peggio, con lo Stato<br />

messo là a tappare i buchi (o a regalare contributi), e a controllare che non si<br />

sviluppi - in un clima di concorrenza - un volano economico che introduca<br />

l'economia di mercato anche al Sud. Perché in questo caso salterebbe il<br />

tradizionale patto storico per cui il nord produce e coman<strong>da</strong> (gl'industriali<br />

del nord, intendiamo) e il sud vivacchia e sta in co<strong>da</strong>.<br />

Ma abbiamo voluto entrare nei particolari di questa storia anche e<br />

soprattutto perché essa riguar<strong>da</strong> il quotidiano dei Siciliani, cioé tutti gli


amici dei Siciliani, cioé tutti voi. I nostri amministratori azien<strong>da</strong>li si<br />

assumeranno, naturalmente, tutte le loro responsabilità e decideranno<br />

liberamente sulle opzioni <strong>da</strong> prediligere, sui tempi <strong>da</strong> mantenere, sulle<br />

operazioni <strong>da</strong> fare. Ma la questione riguar<strong>da</strong> anche voi. Noi dei Siciliani<br />

saremo lieti di ricevere le vostre opinioni su queste scelte. Non vi<br />

garantiamo, poiché un'azien<strong>da</strong> non si può portare avanti per referendum, che<br />

esse saranno inderogabilmente seguite. Ma ne terremo conto, perché la<br />

storia dei Siciliani è sempre stata una storia di molta gente, un popolo di<br />

lettori e amici che ha camminato nel tempo, non un gruppo isolato di abili<br />

professionisti.<br />

Così, riferiamo anche sugli altri aspetti del progetto: i contatti con<br />

gl'imprenditori siciliani (e anche non siciliani: ma questo è un altro<br />

discorso) che continuano a supportare l'impresa sono in corso. Con tutte le<br />

cautele del caso, possiamo dire che questi contatti sono positivi. Certo, non<br />

abbiamo mancato di notare in diversi di loro atteggiamenti, diciamo così,<br />

preelettorali: nel momento in cui l'assetto politico del Paese promette (o<br />

minaccia, a secondo dei casi...) di cambiare radicalmente <strong>da</strong> un mese<br />

all'altro, questi nostri interlocutori vogliono essere ben sicuri - conformi a<br />

un'antichissima tradizione siciliana - di schierarsi con la parte vincente. Di<br />

questi, alcuni ci vogliono assolutamente della Rete, altri del Pds, altri ancora<br />

del Pds e della Rete tutt'insieme; e ci ammiccano con aria complice e<br />

furbesca quando tentiamo di spiegare che noi siamo semplicemente - e <strong>da</strong><br />

più di dieci anni - I Siciliani. Non c'è verso di fargli capire che una cosa è<br />

far giornali, e <strong>un'altra</strong> far partiti; e che un giornale se è ben fatto va avanti e<br />

se no, no; e che tutto il resto è fumo. Ma sappiamo come va il mondo, e la<br />

Sicilia in particolare; perciò portiamo pazienza, e andiamo avanti.<br />

Meno sofisticati ma più concreti gli aspiranti soci non siciliani:<br />

appartenenti, la più parte, al mondo dell'editoria e della stampa. Qui abbiam<br />

potuto parlare di numeri, finalmente: siamo stati ascoltati con diffidente<br />

attenzione e, dopo che i nostri conti sono stati ben bene ruminati, son<br />

cominciati ad arrivare - ma sempre con gran fatica, e dopo lunga e grave<br />

meditazione - i primi sì. Così è potuta nascere, ed è ora in piena attività, la<br />

società editrice del quotidiano, I Siciliani SpA, con queste tre buffe lettere<br />

dietro il nostro antico nome.<br />

A questo punto i conti cominciano felicemente a tornare: i nostri<br />

amministratori, che si riuniranno in questi giorni, potranno liberamente<br />

scegliere fra le varie possibilità in positivo create <strong>da</strong>lle iniziative e <strong>da</strong>l<br />

lavoro di questi mesi. Create, soprattutto, <strong>da</strong>l sostegno e <strong>da</strong>lla mobilitazione<br />

che in questi anni si sono raccolti attorno ai Siciliani.<br />

Viene <strong>da</strong> queste radici il successo della sottoscrizione popolare per il


quotidiano (l'azionista di riferimento, cioé la principale componente della<br />

Siciliani SpA, sarà l'Associazione formata <strong>da</strong>lle centinaia e centinaia di<br />

piccoli sottoscrittori). Viene anche <strong>da</strong> esse, crediamo, la straordinaria<br />

attrazione che questa impresa ha destato nel mondo giornalistico italiano.<br />

Quasi quaranta giornalisti professionisti di tutt'Italia hanno chiesto di venire<br />

a lavorare in Sicilia coi Siciliani, lasciando i loro giornali attuali.<br />

E' una risposta superba e commovente all'appello che abbiamo lanciato a<br />

luglio e abbiamo portato avanti in questi mesi. Faremo la vostra parte, noi<br />

del vecchio gruppo dei Siciliani, e tutti voi lettori, amici, collaboratori e<br />

militanti vecchi e nuovi dei Siciliani, farete la vostra. Non vi deluderemo,<br />

non ci deluderete.<br />

Nel momento in cui ci prepariamo alla svolta, entriamo in una dimensione<br />

azien<strong>da</strong>le, lanciamo le prime mosse operative concrete per il quotidiano, noi<br />

non ci dimentichiamo delle nostre radici. Aiutateci a non rinnegarle mai<br />

neanche per un momento, a restare orgogliosamente e umilmente noi stessi,<br />

a portare sempre più avanti e sempre più lontano la piccola-grande storia dei<br />

Siciliani.


LAVORI IN CORSO<br />

I Siciliani, marzo 1994<br />

Questa primavera e l'estate si annunciano come mesi di lavoro assai<br />

intenso e di organizzazione crescente. Il ritmo finora tenuto è buono, sia nei<br />

settori più "militanti" che in quelli professionali. Nel corso dei prossimi tre<br />

mesi bisognerà però raccogliere i frutti concreti del lavoro fatto, cominciare<br />

a far funzionare le strutture umane e materiali del quotidiano. E adesso<br />

facciamo il punto.<br />

Soldi. Abbiamo raccolto finora impegni diretti per un po' meno di due<br />

miliardi di lire (esclusa la sottoscrizione popolare). Siamo al di sotto<br />

dell'obiettivo, che è di quasi cinque miliardi. Bisogna però osservare che <strong>da</strong><br />

un certo momento in poi - e precisamente <strong>da</strong>ll'inizio della campagna<br />

elettorale - abbiamo sospeso la ricerca dei soci a livello imprenditoriale.<br />

L'abbiamo fatto per tenere nettamente distinti il livello imprenditoriale e<br />

quello politico della nostra impresa. E' stata una decisione saggia: alla<br />

ripresa dei contatti - dopo le elezioni - potremo agevolmente recuperare il<br />

tempo perduto. In questo settore, in ogni caso, i riscontri migliori sono<br />

venuti <strong>da</strong>gli imprenditori nazionali già in qualche modo impegnati nel<br />

campo dell'editoria, i peggiori (o quantomeno i più cauti) <strong>da</strong>gli imprenditori<br />

siciliani. Non che, naturalmente, avessimo messo in conto qualcosa di<br />

diverso: una cultura imprenditoriale moderna, in una regione come la<br />

nostra, non s'improvvisa in pochi anni; ed è già tanto aver indotto buona<br />

parte degl'imprenditori siciliani a non accettare la mafia come un fenomeno<br />

della natura. In questo come in altri campi, abbiamo pazienza: riprenderemo<br />

i contatti come programmato, con l'avvertenza che c'interessa creare<br />

un'impresa concorrenziale e sana e non cercare assistenza.<br />

Politica. Registriamo nel complesso un comportamento corretto <strong>da</strong> parte<br />

delle forze politiche (in senso lato) della <strong>sinistra</strong> che in qualche modo<br />

possono avere un interesse al successo della nostra iniziativa. Non ci sono<br />

stati tentativi d'illegittima interferenza nella costruzione dei Siciliani;<br />

qualche singolo esponente ha occasionalmente cercato di "avere<br />

assicurazioni" e di "veder chiaro" nelle nostre intenzioni, ma si tratta di<br />

episodi abbastanza trascurabili. Abbiamo ormai rinunciato (per stanchezza)<br />

al tentativo di spiegare che la "linea politica" di un giornale come il nostro<br />

consiste semplicemente nello scrivere tutto quel che si sa e si è in<br />

condizione di provare; e che tredici anni di lavoro di questo tipo ci <strong>da</strong>nno<br />

qualche diritto di fare serenamente simili affermazioni senza che nessuno<br />

debba scervellarsi a chiedersi dov'è il trucco. Ma tant'è: ne riparleremo dopo<br />

avere stampato il numero uno.


Re<strong>da</strong>zione. Sono finora sessantanove (cinque praticanti, dodici pubblicisti<br />

con esperienze che noi valutiamo idonee ai compiti re<strong>da</strong>zionali, e gli altri<br />

professionisti) i colleghi che hanno chiesto di far parte della re<strong>da</strong>zione de "I<br />

Siciliani quotidiano"; l'età media è sotto i trent'anni. Teoricamente, il<br />

numero dei re<strong>da</strong>ttori necessari sarebbe già superato; in effetti noi<br />

consideriamo questi contatti solo come il momento iniziale di un processo<br />

di selezione che, nella tradizione dei Siciliani, non è agevole né veloce. Ci<br />

sembra insomma di avere appena cominciato a mettere insieme la<br />

re<strong>da</strong>zione, ed esamineremo con la stessa attenzione, <strong>da</strong> qui a giugno, tutte le<br />

altre richieste che verranno avanzate. In ogni caso, crediamo di poter<br />

garantire fin <strong>da</strong> questo momento la copertura professionale del giornale.<br />

Riteniamo anche che il "gruppo storico" dei Siciliani, opportunamente<br />

integrato, sia più che sufficiente ad assicurarne la direzione e la gestione<br />

organizzativa.<br />

Tecnologie. Non abbiamo molto <strong>da</strong> aggiungere a quanto vi abbiamo detto<br />

nel numero precedente. La Sip ha lasciato un buco nel settore delle<br />

telecomunicazioni e questo crea un problema imprevisto nella struttura.<br />

Stiamo lavorando a pieno ritmo per cercare di risolverlo. Da questo mese<br />

abbiamo messo in piedi un settore specifico per la rete telematica dei<br />

Siciliani.<br />

Collaboratori. Il quotidiano prevede tre grandi aree d'impiego per i<br />

collaboratori non professionisti: locali (città e quartieri), archivio elettronico<br />

(a Palermo e a Catania) e inserto (quattro pagine separate <strong>da</strong>l resto del<br />

giornale per formare una vera e propria testata autosufficiente che cambia<br />

ogni giorno). Abbiamo già detto che le disponibilità di questo settore<br />

superano il numero di seicento. Quelle finora verificate risultano<br />

mediamente di buon livello. Per quanto riguar<strong>da</strong> in particolare le<br />

collaborazioni locali, un ruolo importante attribuiamo alla creazione di<br />

piccole e piccolissime testate "di paese" che servano contemporaneamente<br />

<strong>da</strong> luogo di aggregazione civile e <strong>da</strong> "antenne" locali dei Siciliani. Una<br />

decina di queste mini-testate sono già state realizzate o lo saranno al<br />

momento o fin <strong>da</strong>ll'inizio del Progetto che un'impresa come questa de "I<br />

Siciliani quotidiano" nasce anche per far <strong>da</strong> modello e <strong>da</strong> catalizzatore<br />

(senza nessuna velleità "espansionistica") a una serie di altre iniziative<br />

cittadine e regionali, cui possiamo senz'altro mettere a disposizione<br />

collegamenti, tecnologia, esperienza e sinergìe.


E ORA LIBERATE TOTO' RIINA<br />

I Siciliani, aprile 1994<br />

Questa casa non conosce la rassegnazione. Questa piccola scritta stava<br />

nella stanza di Winston Churchill durante la guerra. Subito dopo la sconfitta<br />

di Dunkerque - il corpo di spedizione britannico era fuggito a stento, i<br />

tedeschi dilagavano trionfalmente <strong>da</strong>ppertutto - Churchill organizzò<br />

immediatamente due cose, che a lui sembravano parimenti indispensabili e<br />

urgenti. Fece scavare trincee lungo la costa, distribuì le armi ai cittadini,<br />

predispose la resistenza di tutti <strong>da</strong>ppertutto: se mai gl'hitleriani fossero<br />

riusciti a sbarcare. E predispose gli studi - con decorrenza immediata - per<br />

la costruzione dei nuovi mezzi <strong>da</strong> sbarco per l'esercito inglese. Perché sul<br />

fatto che l'esercito di Sua Maestà prima o poi sarebbe tornato in Europa, egli<br />

non aveva il minimo dubbio. E per quel giorno intendeva debitamente<br />

tenersi pronto.<br />

Noi siamo I Siciliani. La situazione presente ci dispensa <strong>da</strong> ogni lunga<br />

dissertazione, che non stia in queste quattro parole, su cosa intendiamo fare<br />

adesso. Andiamo avanti. Combatteremo il regime con le inchieste, con le<br />

notizie, con la puntuale denuncia di piccole e grandi ingiustizie, con la<br />

battaglia culturale, in ogni modo. Lo combatteremo per tutto il tempo che<br />

sarà necessario, dovunque e comunque, finquando non ci sarà più. Questo è<br />

il nostro programma, e non servono altre parole.<br />

Noi non cerchiamo scuse. Noi non attribuiamo la deplorevole vittoria<br />

della destra a errori o insufficienze di questi o quelli, che pur ci sono stati.<br />

Noi diciamo che se un Caponnetto ha potuto essere sconfitto a Palermo,<br />

evidentemente qualcosa di profondo, e di marcio, è cresciuto nell'anima<br />

popolare. Noi non ci nascondiamo di chi è stata la vittoria; non d'una destra<br />

moderata, civilizzata, europea, ma d'una armata nera che arruola fra i suoi<br />

ufficiali tutto il mercenariato - soprattutto in Sicilia - del passato regime.<br />

Non ne abbiamo paura.<br />

Poche righe per gl'industriali siciliani. E' vostro compito civico, adesso,<br />

sostenere questo giornale. Noi non avanziamo richieste, in un momento<br />

come questo; richiamiamo all'osservanza di un dovere. Non vogliamo<br />

convincervi, stavolta. Scegliete semplicemente <strong>da</strong> che parte stare. Perché<br />

stavolta non c'è spazio in mezzo per nessuno. Noi andiamo avanti<br />

comunque. Noi, I Siciliani.


LA RISCOSSA<br />

I Siciliani, aprile 1994<br />

Ci dicono: e adesso, che avete intenzione di fare? "Adesso" vuol dire<br />

dopo le elezioni, perse <strong>da</strong>lla gente civile <strong>da</strong>ppertutto, ma più<br />

disastrosamente in Sicilia: dove i cittadini, col loro libero voto, hanno<br />

cacciato l'amico di Borsellino e Falcone <strong>da</strong> Palermo e scelto l'uomo di<br />

Concutelli. La nostra non è, ben s'intende, un'impresa elettorale: ma non<br />

possiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Queste elezioni, ben prima<br />

che quello politico, hanno mostrato il livello culturale e civile del Paese; e<br />

<strong>da</strong> noi più che altrove. "Autobiografia della nazione" scrisse, del suo<br />

fascismo, Piero Gobetti. Allora, per ritornare civili, ci vollero vent'anni. E<br />

adesso? Non lo sappiamo. Ci preoccupano, più che le cronache<br />

parlamentari, le spicciole e quotidiane; le lettere d'ammirazione a Pietro<br />

Maso, gli ebrei bastonati sotto Montecitorio <strong>da</strong>i fascisti di Bossi, le<br />

ragazzine meridionali che vorrebbero "sposare un camorrista", la folla dei<br />

curiosi - nella civilissima Firenze - che si raccoglie sotto l'edificio <strong>da</strong> cui un<br />

disoccupato minaccia di buttarsi di sotto e gli urla gioiosamente "buttati".<br />

Di fronte a questo, e contro questo, stanno i nostri ragazzi che lavorano<br />

serenamente al giornale, che raccolgono i <strong>da</strong>ti, che riscrivono i pezzi, che<br />

imparano giorno per giorno il mestiere. Proviamo orgoglio guar<strong>da</strong>ndoli, e<br />

insieme un'apprensiva tenerezza: orgoglio per ciò ch'essi continuano, per<br />

l'antica moralità del lavoro, dell'impegno individuale, della vita ben spesa; e<br />

apprensione per le prove che dovranno affrontare, per i passi difficili, più<br />

difficili dei nostri, che attraverseranno. Di certo questa generazione non sarà<br />

di quelle, come la nostra in buona parte è stata, che alla fine tradiscono se<br />

stesse.<br />

Ma basta con le chiacchiere e andiamo a far rapporto ai lettori. La<br />

situazione è difficile. Cerchiamo di elencare ordinatamente i pro e i contro<br />

che il Progetto quotidiano si trova <strong>da</strong>vanti <strong>da</strong>l giorno di Berlusconi.<br />

Cominciamo <strong>da</strong>i contro.<br />

Diversi industriali siciliani, nel periodo precedente alle elezioni, hanno<br />

chiesto "tempo per riflettere" sulla nostra proposta di entrare in società per<br />

editare I Siciliani quotidiano. Prima, dovevano riflettere semplicemente sui<br />

rischi e i vantaggi di fare un buon giornale. Ora, su quelli di fare un giornale<br />

d'opposizione, e d'opposizione a un regime che già ora non brilla per<br />

limpidezza antimafiosa. Noi manteniamo fede a tutti gl'impegni presi,<br />

teniamo fede alle nostre offerte e non ritiriamo nessuna delle nostre<br />

proposte. Ma non ci facciamo illusioni sul senso civico, e sulla<br />

lungimiranza imprenditoriale, di molti dei nostri interlocutori.


Abbiamo messo in piedi una piccola ma efficiente struttura (grazie alla<br />

professionalità e alla dedizione degli amici che vi sono preposti) per la<br />

raccolta della pubblicità locale. Ma la pubblicità nazionale, in mano a<br />

Berlusconi e al governo di proprietà di Berlusconi, non seguirà<br />

assolutamente le leggi di mercato, ma servirà a finanziare<br />

tangentisticamente i giornali e le televisioni di regime. Non una lira andrà<br />

agli oppositori.<br />

Il Progetto Siciliani, fin <strong>da</strong>lla sua presentazione nel luglio dell'anno<br />

scorso, è stato ed è tuttora un progetto unitario. Non abbiamo mai preteso di<br />

far tutto <strong>da</strong> soli. Abbiamo proposto una base per assemblare<br />

progressivamente, secondo le necessità e secondo le competenze, i vari<br />

settori dell'impresa. Non possiamo dire di avere avuto rifiuti secchi a questa<br />

concezione. Ma si son mossi in pochi. Quesi tutti i soggetti che avrebbero<br />

avuto interesse a una impresa comune - testate democratiche, gruppi di<br />

società civile, imprenditori liberi, soggetti sociali - ci hanno onorato di una<br />

grande e teorica soli<strong>da</strong>rietà ma nei fatti (con alcune coraggiose eccezioni)<br />

son rimasti ad aspettare. Questo, sia ben chiaro, non per particolari egoismi<br />

o per ostilità preconcette. Ma perché in Italia, e nella <strong>sinistra</strong> italiana, vige il<br />

principio che ognuno, prima di tutto, deve ba<strong>da</strong>re alla bottega sua. Oppure,<br />

se volete un paragone più nobile, che ogni formazione partigiana deve<br />

difendere, prima di tutto, la propria vallata. In astratto, ciascuno è pronto a<br />

riconoscere che la bottega singola, alla lunga, non regge <strong>da</strong>vanti ai grandi<br />

padroni; e che certamente sarebbe bello se, prima o poi, <strong>da</strong>lle bande isolate<br />

sortisse la grande armata di liberazione. Ma in pratica si è volato basso. Non<br />

incolpiamo nessuno, ma diciamo che così si perde. Tutti, chi prima e chi<br />

poi.<br />

Il Progetto ha mobilitato simpatizzanti di base in numero assolutamente<br />

impreveduto; ma non è riuscito a costituire attorno a sé un gruppo dirigente,<br />

uno stato maggiore tecnico e ideale all'altezza - qualitativamente e<br />

quantitativamente - della situazione. Eppure i numeri ci sono, c'è un<br />

progetto solido, ci sono - nell'area nostra, e in quelle immediatamente vicine<br />

- le persone. Anche qui, non incolpiamo nessuno. La maggior parte degli<br />

amici che avrebbero potuto attivamente impegnarsi avevano molte altre<br />

cose <strong>da</strong> fare, tutte utili e urgenti e tutte di gran valore civile. E poi, come si<br />

fa a impegnarsi professionalmente per qualcosa che ancora non c'è? E'<br />

mancata non la simpatia, ma la determinazione. La volontà di an<strong>da</strong>re avanti<br />

secondo una precisa e non occasionale strategia; e di fare anche, nei<br />

momenti opportuni, delle precise scelte di campo, unitarie sempre ma<br />

anche, se necessario,estremamente determinate.<br />

Infine, gli errori nostri. Abbiamo <strong>da</strong>to poca attenzione, o un'attenzione


comunque insufficiente, agli interlocutori esistenzialmente più lontani <strong>da</strong>lle<br />

esperienze nostre. "Non si può chiedere a chiunque di essere un lupo<br />

solitario" ha detto una volta il nostro direttore. In questa circostanza<br />

l'abbiamo dimenticato. Siamo an<strong>da</strong>ti troppo in fretta per alcuni, in alcuni<br />

casi. Abbiamo troppo a lungo atteso altri, in altri casi. Abbiamo lasciato<br />

mettere in discussione dei fattori (i tempi delle scadenze principali, la forma<br />

radicale delle sinergie, il concetto stesso di giornale modulare) che erano<br />

nella fisiologia del Progetto. Ci siamo praticamente irrigiditi, o peggio<br />

abbiamo glissato, su questioni come le "garanzie politiche" che invece erano<br />

indispensabili alla formazione e cultura, certo non nostra, ma di alcuni<br />

nostri interlocutori.<br />

E questi sono i contro. Vediamo adesso i pro. Il principale fra essi consiste<br />

nel fatto che, nonostante tutti gli ostacoli e gli errori, il Progetto<br />

operativamente non si è mai arrestato. Sia sul piano giornalistico-editoriale<br />

che su quello dell'organizzazione azien<strong>da</strong>le, il lavoro di progettazione e<br />

ricerca è stato costantemente portato avanti; si è perso forse del tempo in<br />

altri settori, ma non in questo. Siamo dunque in condizioni di prendere<br />

iniziative tecniche (appena ne avremo i mezzi) assolutamente tempestive e<br />

adeguate.<br />

La crisi diffusionale de "La Sicilia", del "Giornale di Sicilia" e della<br />

"Gazzetta del Sud" non si è ancora risolta. Non c'è dubbio che col nuovo<br />

regime (come con l'antico...) non mancheranno ai loro proprietari le<br />

facilitazioni e gli aiuti. Ma il calo delle vendite, quello lo decidono i lettori.<br />

I quali continuano a punire severamente le tre testate di destra siciliane. Lo<br />

spazio per un quotidiano indipendente c'è dunque ancora, e non ha subito<br />

significative variazioni - sul piano del mercato - rispetto a prima di<br />

Berlusconi.<br />

Il target più propriamente politico, l'area cioè dei lettori che appoggiano I<br />

Siciliani non solo per il loro contenuto informativo ma anche come punto di<br />

riferimento culturale, non si è di molto ridotto dopo le elezioni (qualcuno ha<br />

provveduto a contare, fra un piagnisteo e l'altro, quanti voti ha preso in<br />

realtà la <strong>sinistra</strong> in Sicilia?); ma si è radicalizzato di molto. Il ruolo civile e<br />

culturale del quotidiano <strong>da</strong> questa situazione viene, a nostro parere, non solo<br />

non sminuito, ma esaltato. Ad esso I Siciliani possono far fronte sul piano<br />

tecnico ma anche e più, a questo punto, su quello politico: per la tradizione<br />

di combattività e unità che ne caratterizza l'immagine, per la politica<br />

giovanile <strong>da</strong> molto tempo sperimentata, per l'agilità organizzativa e la<br />

diffusione capillare. I Siciliani possono contribuire in maniera decisiva a<br />

ricompattare e riportare avanti la <strong>sinistra</strong> siciliana, e a riproporre con<br />

credibilità e autorevolezza le esperienze della società civile e dei movimenti


sul piano nazionale.<br />

Come abbiamo riferito nel precedente rapporto, la risposta al Progetto,<br />

alla base, è stata di proporzioni entusiasmanti. Quasi settecento<br />

dichiarazioni di disponibilità, <strong>da</strong> parte di altrettanti cittadini e gruppi di<br />

base: una cosa mai vista. Abbiamo difficoltà a organizzare tutto questo, coi<br />

nostri modesti mezzi organizzativi; non è facile trovare il canale giusto per<br />

ciascuna delle risorse che ci vengono offerte, per ciascuna proposta di<br />

collaborazione. Ma la disponibilità è questa, e non va ignorata.<br />

Siamo perfettamente in condizione, con un preavviso estremamente<br />

breve, di mettere in piedi una re<strong>da</strong>zione numericamente adeguata alla<br />

fattura di un quotidiano. Diverse decine di giornalisti professionisti (la<br />

maggior parte sotto i trent'anni) hanno risposto al nostro appello. Sul piano<br />

giornalistico e professionale, abbiamo quindi risorse più che adeguate. Ad<br />

esse vanno aggiunte quelle militanti e semiprofessionali, tradizionalmente<br />

coltivate e messe in circolazione <strong>da</strong>i Siciliani: ora più che mai, contiamo<br />

fiduciosamente su di esse.<br />

Nel momento in cui ci poniamo come riferimento unitario per la riscossa<br />

della società civile siciliana, contiamo anche sul fatto che il senso di<br />

responsabilità dei protagonisti e dirigenti della <strong>sinistra</strong> politica siciliana<br />

finisca infine per prevalere; e che ciascuno di essi possa assumersi senza più<br />

diffidenze e senza protagonismi le proprie responsabilità operative<br />

nell'organizzazione e nel sostegno dell'impresa comune. La ripresa della<br />

liberazione civile in Sicilia e altrove, sul piano culturale e ideale, postula la<br />

formazione graduale non solo di uno staff tecnico, ma di una nuova classe<br />

dirigente (nel senso gramsciano) collettivamente intesa; è finita la fase delle<br />

grandi figure individuali. L'impresa del quotidiano è, fra l'altro, un terreno<br />

per l'individuazione e il confronto di questa nuova e moderna classe<br />

dirigente: che noi continuiamo a credere possibile e matura.<br />

Abbiamo segnalato onestamente le difficoltà che incontriamo con parte<br />

dell'imprenditoria (onesta) siciliana. Altrettanto onestamente, dobbiamo dire<br />

che queste difficoltà non s'estendono <strong>da</strong>ppertutto. A Siracusa e a Messina,<br />

gli imprenditori democratici non si sono affatto tirati indietro, e ci pressano<br />

anzi perché si va<strong>da</strong> avanti; un nuovo possibile socio s'è fatto avanti <strong>da</strong><br />

Agrigento, nei giorni dopo le elezioni; <strong>da</strong> diverse regioni (Toscana,<br />

Sardegna, Calabria, Lucania, Romagna) giungono - dopo le elezioni -<br />

disponibilità per iniziative locali e per sinergie. Non siamo scoraggiati noi, e<br />

questo è normale; ma, e questa è una sorpresa gradita, non sono scoraggiati<br />

gli altri.<br />

Abbiamo perduto una battaglia, insomma, ma non assolutamente la<br />

guerra; nel giorno della disgrazia, la sconfitta è servita forse per far


ecuperare a tanti la consapevolezza e il coraggio. Il giorno di Berlusconi<br />

sarà ricor<strong>da</strong>to, probabilmente, fra qualche anno come il giorno della<br />

sconfitta e rinascita della <strong>sinistra</strong> italiana.<br />

Una <strong>sinistra</strong> più giovane, meno parolaia, senza cavalli bianchi, più<br />

matura; una <strong>sinistra</strong> faticosamente avanzante, senza scorciatoie e settarismi,<br />

senza facilonerie spettacolari: è di essa che I Siciliani fanno parte, è ad essa<br />

che il Progetto quotidiano intende <strong>da</strong>re voce e sostanza.<br />

E ora, in queste settimane, dobbiamo prendere alcune decisioni. Per<br />

cominciare, il progetto tecnico: possiamo mantenerlo come si trova, o<br />

dobbiamo adeguarlo alla nuova (più "politica") situazione? Dobbiamo<br />

stabilirlo insieme. Consideriamo essenziali, nella ristrutturazione del<br />

progetto, alcune caratteristiche che ne costituiscono il nucleo essenziale: la<br />

re<strong>da</strong>zione ripartita su più città, le "ribattute" locali almeno su Messina,<br />

Siracusa e Catania, la modularità, le sinergie con altre testate analoghe in<br />

tutta Italia, la ripartizione dei compiti fra re<strong>da</strong>zioni e possibilmente fra<br />

testate; la modernità dell'impostazione e del linguaggio, la traduzione in<br />

termini grafici di una parte notevole dei contenuti; la capacità di articolarsi<br />

capillarmente sul territorio e di rappresentare la cultura "alta",<br />

contemporaneamente, del sud come Sud del mondo; la capacità di<br />

aggregare varie e diverse culture, ma di perseguire nel contempo un<br />

progetto culturale e civile non accademico né occasionale, ma ambizioso e<br />

consapevole e coerente.<br />

Abbiamo fiducia, nonostante tutto, nella voglia di libertà, per quanto<br />

ritar<strong>da</strong>ta e confusa, dei nostri concittadini; e su di essa puntiamo le nostre<br />

intelligenze e le nostre vite. Cerchiamo di calcolare razionalmente e<br />

fred<strong>da</strong>mente ogni cosa. Una soltanto non è oggetto di calcolo perché per<br />

definizione assolutamente certa e scontata: il fatto che I Siciliani, qualunque<br />

cosa succe<strong>da</strong> e in ogni caso, non abbandoneranno la lotta e andranno avanti.


UN VOLANTINO<br />

aprile 1994<br />

LA RESISTENZA CHE COS'E'<br />

"Non rompere le scatole al tuo padrone. Non parlare di mafia. Non<br />

chiedere i soldi che ti spettano. Non dire mai "i miei diritti". Perché tu di<br />

diritti non ne hai. Tu non conti niente. Tu non sei nessuno".<br />

Te lo dicono ogni giorno e se non bastano le parole te lo dicono a legnate.<br />

A Catania Costanzo ha fatto sempre quello che ha voluto. Come i<br />

democristiani e i socialisti sotto Craxi. Come i gerarchi fascisti sotto il<br />

fascismo. Quando cambia il vento, cambiano il colore della camicia (viva il<br />

duce, viva Andreotti, viva Craxi, viva Berlusconi) ma restano sempre al<br />

potere.<br />

Resistenza vuol dire che per almeno una volta nella storia non è an<strong>da</strong>ta<br />

così. Che almeno per una volta nella storia tu ti sei incazzato e hai detto<br />

"Adesso basta. Voglio contare anch'io". Questo è successo un venticinque<br />

aprile di molti anni fa. I padroni e i gerarchi ne hanno ancora paura. Perché<br />

se è successo una volta può succedere ancora. Per questo dicono che sono<br />

cose vecchie e superate, e non bisogna pensarci più. Ma noi invece ce lo<br />

ricordiamo.<br />

Molte persone come noi e come te hanno combattuto perché gli operai<br />

non venissero bastonati per la stra<strong>da</strong>, perché i mafiosi come Costanzo<br />

fossero inseguiti e non protetti <strong>da</strong>lla polizia, perché i ladri an<strong>da</strong>ssero in<br />

galera e non tornassero invece a governare sotto <strong>un'altra</strong> bandiera. E' grazie<br />

a loro che siamo un popolo, nonostante tutto, e non un gregge. Un popolo<br />

può sbagliare una volta, può lasciarsi imbrogliare. Ma alla lunga, prima o<br />

poi, ragiona.<br />

Viva la Resistenza contro i fascisti e i mafiosi<br />

Viva il Venticinque Aprile<br />

I Siciliani


FALCONE<br />

I Siciliani, maggio 1994<br />

Prima di Falcone c'era Chinnici, e prima di Chinnici Terranova e Costa.<br />

Dopo Falcone venne Borsellino. Tutti questi uomini, individualmente<br />

considerati, non erano eguali fra loro. Commisero a volte degli errori,<br />

ciascuno i suoi; non furono infallibili, né - ciascuno a suo modo - privi di<br />

debolezze umane. Ma tutti insieme servirono come pochissimi prima di loro<br />

la causa dei Siciliani. Succedettero l'uno all'altro senza esitazione alcuna,<br />

inghiottendo le lacrime e il timore, prendendo senz'indugio il posto del<br />

compagno morto. Ebbero il coraggio eroico delle battaglie e quello, ancor<br />

più grande, del comune dovere d'ogni giorno. Insegnarono coi fatti la<br />

dignità della vita. Di una collettività dispersa e senza legge, rassegnata<br />

oramai a vivere alla men peggio sotto un potere, essi fecero un popolo,<br />

orgoglioso - per alcuni anni - di chiamarsi siciliano.<br />

Non potrebbe essere più amara la loro celebrazione di quest'anno, né più<br />

determinata e risoluta. Le vittorie strappate anno dopo anno, a prezzo<br />

d'infiniti sacrifici e di pene, sulla mafia, vengono ora rimesse in discussione,<br />

in modo a volte subdolo a volte insolente, <strong>da</strong>l governo fascista. I Cordova, i<br />

Caselli, i successori dei Costa e dei Chinnici, vengono apertamente<br />

minacciati <strong>da</strong>gli sgherri del nuovo potere. Il popolo, <strong>da</strong>l canto suo, che<br />

dovrebbe orgogliosamente difendere insieme i propri giudici e la propria<br />

dignità, in questo momento dorme.<br />

E questo è ancora niente. Gli stessi dirigenti popolari, coloro che<br />

dovrebbero <strong>da</strong>r per primi l'esempio della più fraterna unità, coloro che<br />

dovrebbero saper passare - di fronte alla drammaticità del momento - al di<br />

là d'ogni sia pur motivato dissenso, si perdono in questo momento terribile<br />

in distinzioni puerili, in diatribe fuor di luogo, in divisioni. Mai abbiamo<br />

avuto tanto bisogno di ricor<strong>da</strong>re Falcone e gli altri, e mai ne siamo stati così<br />

lontani.<br />

Con tutto ciò, noi abbiamo tuttora fiducia - ed anzi, a dirla tutta, abbiamo<br />

la certezza - nella vittoria finale, e in tempi non troppo lunghi, della<br />

democrazia. Il governo Berlusconi-Fini, con tutte le sue apparenti fortune,<br />

ha vinto in realtà molto più per altrui debolezze che per la propria forza; le<br />

divisioni all'interno della destra sono molto più profonde di quelle fra le<br />

forze civili. Lo spostamento a destra dell'elettorato, specialmente in Sicilia,<br />

è lungi <strong>da</strong>ll'essere definitivo; dieci anni di lotta di massa contro la mafia non<br />

sono arrivati a produrre (ancora) una maturazione politica, ma hanno<br />

lasciato segni profondi su altri piani. Le divisioni a <strong>sinistra</strong> o verranno<br />

superate <strong>da</strong>l buon senso, o <strong>da</strong>ranno luogo semplicemente alla formazione di


<strong>un'altra</strong>, più giovane e più matura, classe dirigente della società civile.<br />

La lotta contro il potere mafioso è stata in realtà in questi anni molto più<br />

una lotta di coraggiosi e individualisti cavalieri che una battaglia di fanteria.<br />

Questa fase è finita, e ora se ne apre <strong>un'altra</strong>, quella decisiva.<br />

Noi abbiamo fiducia nella giovane generazione cresciuta - grazie ai<br />

Falcone, ai Chinnici, ai Tano Grasso, agli Orlando - in questi anni. Finora<br />

essa ha seguito, con poco spirito critico e molto entusiasmo, dei leader<br />

carismatici e delle bandiere. Nei prossimi anni, essa sarà capace di<br />

organizzarsi <strong>da</strong> sé, di crescere responsabilmente sui problemi concreti, di<br />

costituire il nucleo di una nuova militanza di massa - collettiva stavolta e<br />

non più carismatica e individuale - della <strong>sinistra</strong>.<br />

Questa è sempre stata la stra<strong>da</strong> dei Siciliani, <strong>da</strong> molti anni in qua.<br />

Continueremo a impegnarci su di essa, con risolutezza e fiducia, ora più che<br />

mai.


IL PUNTO SUL QUOTIDIANO<br />

I Siciliani, maggio 1994<br />

Non riusciremo a fare il quotidiano all'inizio dell'autunno, come avevamo<br />

sperato. La situazione è tale, soprattutto in relazione al mancato impegno<br />

(correlato alla vittoria della destra) di imprenditori siciliani, che sarebbe<br />

avventuristico cercare di partire senza avere alle spalle risorse più che<br />

adeguate.<br />

Non intendiamo affatto rinunciare a fare il quotidiano, in tempi più larghi.<br />

Crediamo infatti che le situazioni oggettive del mercato, il livello del<br />

progetto e del grado d'organizzazione fin qui raggiunto, e soprattutto la<br />

risposta di massa ricevuta,non ci consentano di rinunciare a cuor leggero a<br />

un progetto ambizioso ma perfettamente realistico, ora più che mai. E' stata,<br />

in particolare, sorprendente la qualità delle risposte e dei contatti a livello<br />

imprenditoriale: dove è mancata la Sicilia, ma non il restante del Paese.<br />

Continuiamo perciò il lavoro di costruzione e organizzazione in vista<br />

delle strutture del quotidiano. Manteniamo in vigore, e intendiamo anzi<br />

rafforzare, gli organismi formati (l'Associazione I Siciliani in primo luogo)<br />

nel quadro dell'operazione quotidiano: il loro orizzonte non perderà di vista,<br />

nei prossimi mesi, l'obiettivo del quotidiano che a questo punto comprende<br />

una serie di obiettivi intermedi complementari, tutti - a partire <strong>da</strong>lla<br />

ristrutturazione e rafforzamento di questo mensile - strettamente legati ad<br />

esso. Parallelamente al Progetto Quotidiano, ma non slegato <strong>da</strong> esso,<br />

abbiamo cominciato a lavorare (vedi in basso) a una struttura che entro<br />

l'estate qualifichi e colleghi una rete di testate periodiche regionali.<br />

Parallelamente alla struttura giornalistica professionale, dobbiamo a<br />

questo punto razionalizzare e rafforzare i nostri strumenti organizzativi<br />

come soggetto della società civile. Bisogna organizzare e dividere i compiti,<br />

sia in sede che nei collegamenti periferici, in modo tale <strong>da</strong> garantire<br />

interventi su specifici settori del territorio e della società.<br />

La "linea politica" dei Siciliani, adesso come sempre, consiste<br />

essenzialmente nell'unità e nella lotta contro i poteri mafiosi. Il regime che<br />

s'intravvede dietro i comportamenti e le culture delle forze attualmente al<br />

governo desta, <strong>da</strong> questo punto di vista, le più gravi preoccupazioni.<br />

Riteniamo pertanto consono ai nostri compiti, in questa situazione, favorire<br />

e promuovere iniziative civili di dura e unitaria opposizione. Oggi come<br />

ieri, non aderiamo ad alcuna ideologia o partito in particolare. Riteniamo<br />

invece indispensabile, come condizione vitale per la stessa possibilità di una<br />

libera informazione, che il Sud nel suo complesso si ribelli a un regime che<br />

lo con<strong>da</strong>nna all'emarginazione economica, alla mafia e alla disoccupazione.


Gli operai minacciati di gabbie salariali, gl'imprenditori onesti man<strong>da</strong>ti a<br />

"coltivare bergamotti", i cavalieri collusi premiati, gli uomini di Andreotti e<br />

Andò che diventano berlusconiani... Ma di tutto questo ci sarà modo di<br />

parlare - e fare - più avanti. Per ora, siamo solo all'inizio: uno dei molti inizi<br />

dei Siciliani.


GRACI<br />

I Siciliani, giugno 1994<br />

Per dieci anni i padroni di Catania sono riusciti a bloccare le in<strong>da</strong>gini<br />

sull'assassinio, <strong>da</strong> essi ordinato, del loro oppositore Giuseppe Fava. Hanno<br />

usato, per questo scopo, magistrati come Giulio Cesare Di Natale e direttori<br />

di giornale come Mario Ciancio; gli uni per insabbiare le inchieste<br />

giudiziarie, gli altri per nascondere ed eventualmente falsificare ogni<br />

possibile frammento di verità. Hanno usato costoro esattamente come<br />

avevano usato, per commettere materialmente il delitto, il loro sgherro<br />

Benedetto Santapaola.<br />

Ma dieci anni son tanti. In dieci anni la verità trabocca. E vien fuori<br />

adesso, grazie al senso del dovere e al coraggio di ben altri magistrati.<br />

Furono i padroni di Catania - i cavalieri dell'apocalisse mafiosa<br />

pubblicamente denunciati <strong>da</strong> Giuseppe Fava e <strong>da</strong> Carlo Alberto <strong>da</strong>lla Chiesa<br />

- a voler sbarazzarsi di lui. E' il nome di uno di essi, il Cavaliere del Lavoro<br />

Gaetano Graci, quello che un collaboratore di giustizia sta facendo in questo<br />

momento <strong>da</strong>vanti ai giudici. Noi consegnamo questo nome alla pubblica<br />

opinione, affinché essa vigili contro ogni tentativo di minacciare i<br />

magistrati, di portar via le carte, di chiudere la bocca al pentito. L'hanno<br />

fatto altre volte. E anche in questa occasione cercheranno di farlo.<br />

Ringraziamo i cittadini antimafiosi di Catania, i militanti siciliani, gli<br />

amici di tutto il Paese che hanno contribuito, in questi più che dieci anni, a<br />

sostenere la battaglia per la verità. Proviamo dispezzo e pena per la massa<br />

servile di coloro che hanno invece sopportato per dieci anni, col loro<br />

silenzio vile, il regno della menzogna e della non-dignità. Denunciamo, qui<br />

e <strong>da</strong>vanti ai magistrati, le responsabilità del padrone de "La Sicilia", Mario<br />

Ciancio. Invitiamo infine i giornalisti de "La Sicilia" a entrare<br />

immediatamente in isciopero e a occupare il loro giornale finché costui, che<br />

ha prostituito il loro lavoro e il loro onore di siciliani, non se ne sarà an<strong>da</strong>to<br />

via.


PROMEMORIA<br />

giugno 1994<br />

Per Alessandra e Marco<br />

- Chiamate (presto, perchè forse poi parte) Maurizio, bisogna spiegargli la<br />

situazione attuale e coinvolgerlo col suo compare nel mensile. Fatemi anche<br />

chiamare <strong>da</strong> lui al giornale. Attenzione: chi lo chiama lo adotta.<br />

- Fate un fax alle sede del Comitato referendum per aderire formalmente<br />

come Siciliani alla manifestazione del 25.<br />

- Fate un fax ai compagni che organizzano il controvertice a Napoli per<br />

aderire formalmente come Siciliani.<br />

- Fatevi sentire ogni giorno.<br />

Per Carlo<br />

- Attenzione: devi organizzare tu i punti di riferimento Alba in Sicilia<br />

(pochi ma buoni).<br />

- State sopra ai milanesi!<br />

- Avete contatato i ragazzi del Righi? Può pensarci Cecilia<br />

- Fate adesione formale alla manifestazione del 25 per la libertà di<br />

stampa.<br />

- Distribuite alla manifestazione un bel po' dei giornali arretrati (Alba e<br />

Siciliani) che avete in sede (dove ingombrano e non servono a niente)<br />

-Vorrei notizie <strong>da</strong> Napoli: a) sul giornale locale in costruzione, b) sulla<br />

situazione del controvertice.<br />

- Fatevi sentire ogni sera.<br />

Per Francesco<br />

- Quando vai con Roberto e Marco al Corto (portando il book e facendolo<br />

vedere)?<br />

- Parlatene anche con Paolo, che ha un'esperienza formi<strong>da</strong>bile nel settore.<br />

- Grazie (ma cu iè 'stu Lisischi?)<br />

- Quando mi <strong>da</strong>i la <strong>da</strong>ta per il casale?<br />

Per Roberto<br />

- Quando vai con Francesco e Marco al Corto (portando il book e<br />

facendolo vedere)?<br />

- Parlatene anche con Paolo, che ha un'esperienza formi<strong>da</strong>bile nel settore.<br />

- Mettiti in contatto (urgente) con Dino Frisullo. Dagli il book e il floppy.<br />

Coinvolgilo nella faccen<strong>da</strong> del giornale romano. Digli che qui c'è un gruppo<br />

di immigrati che vuol fare un giornaletto. Proposta operativa: giornale<br />

immigrati fatto fra Catania e Roma, "Senza Confine", 8 pagine formato<br />

manifeto utilizzando book e stampando coi prezzi di Firenze (vedi Marco).<br />

- In qualche modo (ti possono aiutare Marco o Paolo) Mettimi in contatto


entro martedì in contato con l'editore di Stampa Alternativa (quello che fa i<br />

millelire).


L'IMBROGLIO<br />

I Siciliani, luglio 1994<br />

Finora ti hanno imbrogliato, ma il vero imbroglio comincia adesso. Finora<br />

si sono limitati a raccontarti balle fra una propagan<strong>da</strong> e l'altra, cercando di<br />

raccontartene il più possibile senza che tu te ne accorgessi. Adesso, fra balle<br />

e propagan<strong>da</strong> non c'è più distinzione, e se tu te ne accorgi non gliene frega<br />

niente perché tanto tutte le televisioni e i giornali - nella loro intenzione -<br />

sono in mano loro. Tre televisioni (Canale 5, Italia 1 e Rete 4) sono di<br />

Berlusconi perché è Berlusconi. Tre televisioni (Rai 1, Rai 2 e Rai 3) sono<br />

di Berlusconi perchè è capo del governo. E tutti gli altri, zitti.<br />

Finora ti hanno imbrogliato abbastanza bene. A Catania, ad esempio, tu ti<br />

eri stufato dei loro politici di prima, Andò Craxi Drago e compagnia. Allora<br />

hanno man<strong>da</strong>to avanti i loro politici "nuovi", un morbido intellettuale un po'<br />

gay come Benito Paolone e un rozzo capomanipolo fascista come Franco<br />

Zeffirelli. E sono riusciti a farti fi<strong>da</strong>re di loro, gente "nuova". (Cambiare<br />

tutto per non cambiare niente: come prima). Adesso, quelli come Zeffirelli<br />

verranno a fare la "cultura", e quelli come Paolone la Rai-Tv. Bellissimo. E<br />

noi?<br />

Noi continueremo a fare il nostro mestiere, i giornalisti. Ma con molta più<br />

rabbia, e molto più in grande. In questo momento stiamo lavorando ad<br />

almeno una dozzina di giornali piccoli e grandi in tutta Italia, tutti liberi e<br />

tosti come questo. Stiamo continuando a lavorare (alla faccia degl'industriali<br />

siciliani, diventati milanesi dopo le elezioni) per il quotidiano libero che vi<br />

avevamo promesso, anche se ora è più difficile di prima. Stiamo facendo<br />

delle cose. E voi? Paolone, Berlusca, Sgarbi e Zeffirelli. E tutti al mare.<br />

Volete sapere che cosa farà fra un anno Berlusconi? Prenderà esempio <strong>da</strong>i<br />

catanesi. A Catania c'è La Sicilia di Ciancio che ha <strong>da</strong> insegnare qualcosa<br />

persino a lui. Ultimamente ha pubblicato una notizia falsa sapendo che era<br />

falsa - e dunque imbrogliando - e questo ostacolando le in<strong>da</strong>gini che<br />

potrebbero far scoprire chi ha ordinato di uccidere, dieci anni fa, il nostro<br />

direttore. Non lo diciamo noi, i giudici l'hanno detto. I giudici che stanno<br />

in<strong>da</strong>gando su un industriale catanese, il Cavaliere del Lavoro Gaetano<br />

Graci. Che, in questo momento, non sappiamo dove sia.<br />

Ecco che farà Berlusconi fra un anno. Mentirà apertamente come Ciancio.<br />

Tre milioni di posti di lavoro! Due ponti sullo Stretto! Il Mondiale all'Italia!<br />

Violante è il capo di Cosa Nostra! Andreotti è innocente! E voi italiani<br />

perbene, sull'esempio dei catanesi, tutti zitti e buoni a sentire.


RINCORRENDO BORSELLINO<br />

I Siciliani, luglio 1994<br />

In Europa hanno appena vietato l'ingresso alla gente del Sud (tunisini,<br />

neri ecc: noi siciliani siamo stati promossi a bianchi qualche anno fa). In<br />

Italia il governo ha appena deciso l'abolizione della libertà di stampa,<br />

man<strong>da</strong>ndo un ministro fascista a censurare la Rai-Tv. In Sicilia si parla della<br />

prossima, chiamiamola così,"evasione" di Nitto Santapaola, il principale<br />

esponente militare del regime politico-mafioso che qui (cambiato nome)<br />

coman<strong>da</strong> come prima. E son passati due anni <strong>da</strong>lla morte di Borsellino.<br />

Faranno commemorazioni governative, probabilmente, e uno dei<br />

principali commemoratori sarà l'Eccellenza fascista Guido Lo Porto. "Noi di<br />

destra - dirà - Noi e l'uomo di destra Borsellino...". I fascisti, in Sicilia, si<br />

sono distinti negli ultimi quindici anni per la saggia prudenza con cui hanno<br />

evitato di accorgersi dell'esistenza di un potere mafioso. Hanno difeso i boss<br />

in tribunale (come l'avvocato missino Enzo Trantino), hanno<br />

selvaggiamente attac cato gli antimafiosi (come il capomanipolo catanese<br />

Benito Paolone), hanno avuto a che fare con terroristi alla Concutelli (come<br />

la summenzionata Eccellenza Guido Lo Porto). Mai hanno rischiato la vita -<br />

come noi "giacobini" - per combattere il potere mafioso. Mai hanno avuto<br />

un palpito di pietà e di coraggio per questa loro povera terra, vigliaccamente<br />

abbandonata all'occupazione militare mafiosa. Ma ora parlano loro.<br />

La verità è che la lotta alla mafia, per molti anni, l'hanno fatta quasi<br />

soltanto giudici, comunisti, poliziotti e preti. L'hanno fatta i liceali, gli<br />

operai dei Cantieri navali, i negozianti dei Nebrodi, le ragazze di paese<br />

come Rita Atria (chi si ricor<strong>da</strong> più di lei, povera creatura morta sola?), tutti<br />

uomini e donne senza potere. Eppure, senza un briciolo di potere in mano,<br />

questi esseri umani avevano quasi vinto la loro guerra. Se la <strong>sinistra</strong><br />

importante, quella dei bei discorsi e dei telefonini, si fosse accorta di loro...<br />

E intanto si va avanti. In Sardegna e in Sicilia, alle ultime elezioni locali,<br />

è stato battuto Berlusconi. Non è una vittoria storica ma una piccolissima<br />

battaglia locale. Però è una battaglia vinta: vorrà pure dire qualcosa. Come<br />

si chiamava il villaggio in cui i tedeschi, cinquant'anni fa, vennero respinti<br />

per la prima volta? "Compagni, la Russia è grande - disse un sol<strong>da</strong>to russo,<br />

di cui non si ricor<strong>da</strong> più il nome - Ma noi non possiamo più ritirarci, perché<br />

dietro di noi c'è Mosca".<br />

Neanche noi possiamo più perdere tempo. Le forze su cui tutti quanti<br />

contavamo (la Rete, Riforn<strong>da</strong>zione, i Verdi, il Pds) sono impegnate in<br />

drammatici confronti interni, per decidere che leader e che correnti devono<br />

gestire l'uno, il due, l'otto per cento conquistato, o per stabilire se è più


telegenico un dirigente coi baffi o uno senza. A tutti questi amici e<br />

compagni noi auguriamo, con affettuosa soli<strong>da</strong>rietà e senz'ironia, le migliori<br />

fortune. Ma noi seguiremo <strong>un'altra</strong> stra<strong>da</strong>.<br />

Il problema non è di fon<strong>da</strong>re, o rifon<strong>da</strong>re, l'ennesimo partito o partitino. Il<br />

problema è di <strong>da</strong>re finalmente piena fiducia e responsabilità politica e piena<br />

libertà d'azione a quella che è stata la forza principale della <strong>sinistra</strong> di questi<br />

anni, la mobilitazione di base. Palermo, il giorno dei funerali di Borsellino,<br />

era una città in istato prerivoluzionario. Catania, alle comunali<br />

dell'altr'anno, ha espresso una larghisssima volontà - sociale - di <strong>sinistra</strong>. In<br />

entrambi i casi, non per merito della Rete o del Pds o del Prc o dei Verdi, ma<br />

per qualcosa di molto più profondo. Qualcosa che i partiti professionali<br />

della <strong>sinistra</strong> hanno saputo solo occasionalmente sfiorare, e che noi stessi<br />

abbiamo difficoltà ad individuare con precisione: ma che indubbiamente<br />

esiste, e non si distrugge in un giorno o in pochi mesi. Qualcosa che bisogna<br />

rendere coscientemente "politico" ma contemporaneamente, senza<br />

presunzioni di partito, percepire e rispettare.<br />

L'iniziativa dei Siciliani nei prossimi mesi sarà volta a individuare e<br />

aggregare, città per città e paese per paese, questo "qualcosa". Non per fare<br />

un partito, e nemmeno (è bene precisarlo subito) delle liste elettorali.<br />

Intendiamo invece sviluppare <strong>da</strong>ppertutto dei luoghi organizzativi unitari,<br />

amici di tutti i partiti della <strong>sinistra</strong> ma distinti <strong>da</strong> essi, dei luoghi in cui si<br />

possano sentire a casa propria il militante della Rete, del Pds, di<br />

Rifon<strong>da</strong>zione o dei Verdi ma anche e soprattutto quello che non ha un<br />

partito preciso e non ci tiene ad averlo ma vuole operare subito e<br />

concretamente per opporsi alle piccole e grandi angherie del regime.<br />

Non è una novità, d'altra parte. Chi ci segue <strong>da</strong> più anni conosce bene<br />

l'importanza, nella nostra storia, delle nostre organizzazioni di base come<br />

Siciliani Giovani o l'Associazione I Siciliani. Hanno <strong>da</strong>to un contributo non<br />

indifferente ai movimenti antimafiosi di questi anni, e sono stati un esempio<br />

di organizzazione democratica per l'intera società civile.<br />

Chiediamo quindi ai lettori di aiutarci a organizzare <strong>da</strong>ppertutto i circoli e<br />

le sedi dei Siciliani. Nel corso dell'estate c'incontreremo con tutti gli amici e<br />

i compagni che lo richiederanno. A ottobre tireremo le somme, e<br />

cominceremo a riconoscere formalmente, e a rendere concretamente<br />

operative, le strutture locali dei Siciliani.


CATANIA<br />

Avvenimenti, luglio 1994<br />

Tre politici, quattro cavalieri e una cosca mafiosa. I cavalieri sono<br />

Gaetano Graci, Mario Rendo, Carmelo Costanzo e Francesco Finocchiaro. I<br />

politici sono Nino Drago, Salvo Andò e Rino Nicolosi. La cosche mafiose è<br />

la Santapaola-Ferrera. Tutt'attorno c'è circa mezzo milione di catanesi,<br />

arbitrariamente ripartito fra: ragazzi di scuola, giovani rapinatori, sei preti di<br />

quartiere, scippatori, lavoratori delle poche imprese cittadine, muratori,<br />

catanesi perbene e quindi votanti Dc, l'Ordine degli avvocati catanesi, alcuni<br />

magistrati onesti, il quotidiano locale "La Sicilia", bottegai padroni di<br />

pastificio e baristi, carabinieri e poliziotti quanti ne volete, pendolari,<br />

posteggiatori abusivi, bancarellari, politici di terza, quarta, quinta e sesta<br />

categoria e poi Fabiolino e Rosalba dei Siciliani. Tutti questi esseri umani,<br />

ogni mattina che Dio man<strong>da</strong> a Catania, si alzano pieni di buona volontà e<br />

cominciano alacremente il loro lavoro. I quattro cavalieri si dividono gli<br />

appalti, i tre politici preparano gli appalti successivi, i politici minori si<br />

aggirano dignitosamente attorno ai sette in attesa di un boccone lanciato al<br />

volo, i mafiosi di Santapaola cominciano il loro quotidiano giro di ron<strong>da</strong>,<br />

bottegai e baristi fanno i conti dell'incasso detratte le tasse allo Stato (che<br />

non si pagano) e a Santapaola (che si pagano, Fabiolino e Rosalba sono in<br />

giro con un volantino contro la mafia di Siciliani/Giovani, gli avvocati<br />

preparano il memoriale in difesa del cavaliere o del boss del giorno (fatica<br />

inutile, pro-forma: in realtà, basta parlare col giudice per mettere a posto<br />

tutto), i giornalisti de "La Sicilia" rileggono affannosamente quel che hanno<br />

scritto casomai fosse loro uscito <strong>da</strong>lla macchina <strong>da</strong> scrivere un pezzetto<br />

anche minimo di verità. Tutti fanno Catania con grande impegno. D'estate<br />

c'è caldo a quaranta gradi, d'autunno, appena cominciano le piogge, uno o<br />

due catanesi muoiono annegati nel torrente che si riversa giù per le strade in<br />

discesa e senza scoli. Alla fine della giornata si contano i morti, un<br />

ragazzino scippatore giustiziato <strong>da</strong>i Santapaola o un tabaccaio ammazzato<br />

per centomila lire <strong>da</strong> un ragazzino. Quindici anni fa di questi tempi ce<br />

n'erano, se ricordiamo bene, ventisei in un mese.<br />

Son passati quindici anni così, e non sappiamo se questo - con Graci e<br />

Drago in galera e Nicolosi e Andò pure - è solo il sedicesimo, con<br />

protagonisti parzialmente diversi, oppure il primo anno di qualcosa di<br />

nuovo. Mah. I dc catanesi, che ora votano Forza Italia, non han perso tempo<br />

a trovarsi i loro nuovi Andò e i nuovi Drago: nuovi ma promettenti, uno di<br />

loro è già in<strong>da</strong>gato per intrallazzi mafiosi; e restano ancora in giro un bel po'<br />

di cavalieri. Bisogna vedere cosa ne pensano i ragazzini, sono loro che


decidono - qui a Catania e altrove - in ultima istanza. Graci e Drago, e Andò<br />

e Nicolosi, ce li hanno man<strong>da</strong>ti loro in galera, secondo me, loro con la<br />

collaborazione di un paio di giudici e poliziotti volenterosi.


NON SOLO UN GIORNALE<br />

I Siciliani, luglio 1994<br />

I Siciliani non sono mai stati solo un giornale. I Siciliani sono stati anche,<br />

per più di dieci anni, un luogo d'impegno civile, un punto di aggregazione<br />

per i giovani e il movimento antimafioso, il simbolo di molte battaglie<br />

"contro" e di molte battaglie "per". I Siciliani, oggi, continuano ad essere<br />

tutto questo. I Siciliani lavorano per unire storie, battaglie ed esperienze<br />

(ovunque maturate) intorno a un progetto e a dei valori comuni.<br />

Oggi più che mai lo scontro fra il popolo dell'antimafia e i poteri mafiosi<br />

non può rimanere questione per addetti ai lavori. Oggi più che mai, questo è<br />

uno scontro che si tenta di esorcizzare, archiviare, dimenticare, perché <strong>da</strong><br />

esso dipende tutto. Oggi più che mai la questione morale dev'essere<br />

congiunta con la questione sociale e con la questione della democrazia.<br />

Oggi più che mai bisogna schierarsi, scegliere, prender parte: senza<br />

mediare, senza delegare niente a nessuno.<br />

La vittoria delle destre in Italia ci dice soprattutto una cosa: abbiamo<br />

perso perché non abbiamo avuto il coraggio di essere noi stessi fino in<br />

fondo. Perché abbiamo voluto a tutti i costi appiattirci sull'avversario,<br />

copiarne parole e strategie. Per non aver saputo proporre nulla di<br />

radicalmente alternativo a Berlusconi, nulla di visibilmente differente <strong>da</strong><br />

Ciampi. Mentre i padroni del vapore usavano come ricatto la promessa di<br />

posti di lavoro, noi non abbiamo saputo contrapporre alle loro promesse<br />

truffaldine un'idea di sviluppo che costruisse insieme occupazione e legalità,<br />

occupazione e soli<strong>da</strong>rietà, occupazione e felicità collettiva.<br />

Non possiamo più contentarci delle forme attuali della politica, chiuderci<br />

ognuno nel proprio recinto, combattere battaglie di retroguardia:<br />

significherebbe regalar tutto a Berlusconi. Bisogna invece lavorare a<br />

costruire un'alternativa credibile per il futuro. Ma costruirla <strong>da</strong>l basso,<br />

partendo <strong>da</strong>i bisogni concreti degli esseri umani, <strong>da</strong>lle mille realtà che già<br />

esistono, realizzando insieme, in tutta Italia, un percorso comune.<br />

Gruppi di base, centri sociali, piccole testate libere, centri di volontariato,<br />

associazioni: ce ne sono tanti, in Sicilia e fuori, e ne nascono ogni giorno di<br />

più. Non è un caso che, in questi mesi, molte donne e molti uomini abbiano<br />

sentito il bisogno d'unirsi sulle scelte concrete, sulle cose <strong>da</strong> fare. Non è più<br />

tempo, per ciascuno di questi soggetti, di camminare <strong>da</strong> solo per la sua<br />

stra<strong>da</strong>. Non è più tempo di delegare alla politica ufficiale le battaglie che<br />

vogliamo combattere, le risposte di cui abbiamo bisogno.<br />

La politica dei Siciliani è una politica senza maiuscole. E' una politica<br />

fatta di esperienze umane e di valori, costruita fuori <strong>da</strong>i Palazzi, una politica


all'insegna della radicalità. Radicalità come rifiuto delle mediazioni, delle<br />

identità deboli, della paura di avere ragione. Radicalità come coerenza,<br />

come capacità di an<strong>da</strong>re oltre gli steccati, come capacità di conquistare alle<br />

proprie battaglie anche coloro che apparentemente sembrano più lontani,<br />

senza rinunciare a nulla di queste battaglie. Radicalità come ideazione e<br />

capacità di alternativa, di organizzazione <strong>da</strong>l basso, di cultura unitaria, di<br />

lotta.


FRESCO<br />

I Siciliani, agosto 1994<br />

Per Andò Nicolosi e Graci un'estate al fresco, meglio tardi che mai. Il<br />

cavalier Berlusconi, che voleva far piazza pulita del giudice Di Pietro e dei<br />

giudici e giornalisti liberi in generale, è rimasto fresco. E un po' di fresco, se<br />

permettete, a questo punto ce lo prendiamo pure noi, con le foto dei galeotti<br />

appese al muro per rinfrescare ulteriormente l'ambiente. Insomma c'è caldo<br />

sì, ma si sta bene. Molto meglio d'un paio di mesi fa, con Craxi che si<br />

preparava a tornare trionfalmente in Italia e il cavalier-presidente (per non<br />

parlare dei cavalier-mafiosi più nostrani) con l'Italia in tasca, grazie al sonno<br />

profondo degl'italiani. Che adesso dormono ancora, ma russano un po' meno<br />

forte di prima.<br />

Andò Nicolosi e Drago erano, insieme a Salvo Lima, i padroni assoluti<br />

della Sicilia. Ora sono in galera. I loro capiban<strong>da</strong> Andreotti e Craxi sono<br />

ormai pacificamente per tutti, rispettivamente, un mafioso e un ladrone. La<br />

verità, presto o tardi, viene a galla. Chi punta sulla verità, presto o tardi<br />

vince. Non nel senso che diventa potente, che si mette - buttati giù i vecchi -<br />

a coman<strong>da</strong>re lui. Ma nel senso che può an<strong>da</strong>re a testa alta, perché ha fatto<br />

del bene a tutti, perché ha insegnato qualcosa.<br />

Nonostante la nostra tradizionale superbia, questa volta non parliamo per<br />

noi. Parliamo per i ragazzini di Catania, per i compagni di Palermo, per gli<br />

antimafiosi di <strong>da</strong>ppertutto, per quelli che hanno lottato, in questi dodici<br />

anni, che non ci hanno abbandonato mai. Sono stati loro, quelli senza<br />

potere, a mettere alla fine nel sacco Andò e Craxi, il vecchio Drago e<br />

Andreotti. Se fossimo Berlusconi - ma grazie a Dio non lo siamo -<br />

staremmo molto attenti alla gente senza potere, a quelli che non contano, ai<br />

ragazzini. Perché alla fine, è storicamente accertato, vincono loro.<br />

Beh, questo è tutto per questa volta. Certo, avremmo molte altre cose <strong>da</strong><br />

dire, e con un ben altro tono, adesso che l'amico degli assassini di Giuseppe<br />

Fava è in galera. Quanto tempo è passato, quanta stra<strong>da</strong> ancora qui <strong>da</strong>vanti<br />

<strong>da</strong> fare. E quante sconfitte e resistenze, quante speranze, quanta vita di<br />

quanti esseri umani.<br />

Ma ne parleremo <strong>un'altra</strong> volta, di tutto questo. Per ora è estate. Buone<br />

vacanze, amici dei Siciliani, buone vacanze e congratulazioni reciproche, e<br />

grazie di tutto.


IL PROSSIMO<br />

I Siciliani, settembre 1994<br />

Finora è stato un governo divertentissimo: Bossi che spara torte in faccia<br />

a Berlusconi,B erlusconi che ingiuria Bossi, i ministri che si bastonano<br />

allegramente l'un l'altro, la Pivetti, Ferrara... I grandi protagonisti dell'Opera<br />

di Berlusconi sarebbero stati, si pensava, Emilio Fede, Liguori, Zeffirelli, i<br />

comici professionisti, gli Sgarbi, i Pannella. Invece no. Questi hanno<br />

lavorato certo <strong>da</strong> grandi caratteristi, con interpretazioni senz'altro all'altezza<br />

della loro fama; ma la vera sorpresa della stagione sono stati gli altri, gli<br />

uomini nuovi (si fa per dire), quelli che fino a pochi mesi fa erano seri<br />

politicanti e industriali, giacca cravatta e cellulare, quelli che dovevano<br />

managerializzare il paese. Sono stati irresistibili. Gag meravigliose,<br />

Gambadilegno che libera la Ban<strong>da</strong> Bassotti mentre tutta Paperopoli è<br />

<strong>da</strong>vanti alla tv per la partita, il commissario Bassotti che bofonchia "va<br />

bene" e dopo un'ora si batte la mano sulla fronte: "che è successo?",<br />

Paperina alle prese con le pulizie generali di tutta la Rai, Paperino che<br />

incoccia il lampione mentre corre al raduno dei Figli della Rivoluzione (di<br />

Bergamo)...<br />

Stanlio e Ollio, Walt Disney, una risata al minuto. Roba semplice,<br />

popolare, per niente sofisticata. Che fa un onorevole fascista quando ha<br />

bisogno di soldi? Semplice: fa una legge, e si aumenta la paga. Che fa un<br />

governante fascista quando i giudici stanno per acchiappare suo fratello?<br />

Semplice: fa un un decreto, e man<strong>da</strong> i giudici a casa. Che fa un governo<br />

fascista quando ci sono debiti <strong>da</strong> pagare, ma non può chiedere soldi ai ricchi<br />

perchè se no lo man<strong>da</strong>no via? Semplice: s'incazza coi pensionati, e annuncia<br />

una gran campagna contro i "falsi" invalidi a quattrocentomila lire. Così<br />

semplice, <strong>da</strong> essere persino a suo modo allegra. Torte in faccia, e<br />

grimaldelli.<br />

Adesso tuttavia comunicano che "la ricreazione è finita": ne ha <strong>da</strong>to<br />

annuncio al popolo, al ritorno <strong>da</strong>lle vacanze, il panzone capomanipolo (in<br />

queste storie, un personaggio immancabile) Ferrara. Si torna a<br />

governicchiare all'antica, a muso lungo, senza più torte in faccia e senza far<br />

rumore coi grimaldelli? Ci sembra difficile, perché ormai tutte le marionette<br />

hanno preso gusto alla parte, e rificcarle nel cesto a beneficio di un Grande<br />

Burattinaio unico e solo non è tanto facile. Berlusconi comunque - parliamo<br />

di politica - come burattinaio ha deluso, se la cavava molto come Cavaliere<br />

catanese. Un berlusconesimo senza Berlusconi, sarà il prossimo obbiettivo<br />

che si porranno lor signori. Ai tempi del Sabato Fascista e del Volk<br />

(ubbidiente) con la Wagen e del Tizio che ha sempre ragione, per la verità,


qualcosa del genere erano già riuscita a tirarla fuori. Adesso,<br />

ammodernando l'ammodernabile, ci riproveranno, perché la tentazione è<br />

grande e i conti <strong>da</strong> pagare son tanti, e il Berlusca è apparso un po' troppo<br />

pirla, quest'estate, per riuscire a farli pagare lui.


IL CAPITALE<br />

I Siciliani, settembre 1994<br />

Riassunto delle puntate precedenti: un anno fa I Siciliani hanno lanciato<br />

un appello per la fon<strong>da</strong>zione di un quotidiano regionale siciliano, che<br />

servisse a rompere finalmente il monopolio dell'informazione democristiana<br />

(e ora forzitaliota) in Sicilia e che potesse fare <strong>da</strong> supporto alla crescita di<br />

iniziative analoghe in tutta Italia. Abbiamo messo, <strong>da</strong> parte nostra, a<br />

disposizione la nostra competenza tecnica e professionale e ci siamo<br />

impegnati a organizzare una re<strong>da</strong>zione al livello dovuto.<br />

Al progetto tecnico del quotidiano, sviluppato nel giro di sei mesi, è stato<br />

elaborato <strong>da</strong>lla re<strong>da</strong>zione dei Siciliani per la parte giornalistica, <strong>da</strong><br />

Piergiorgio Maoloni per la grafica e <strong>da</strong> Raffaele Fratangelo per gli aspetti<br />

finanziari e azien<strong>da</strong>li. La qualità del progetto è stato unanimemente<br />

riconosciuta (Fratangelo e Maoloni sono fra i primi professionisti italiani<br />

nei rispettivi settori, e l'esperienza del nostro gruppo re<strong>da</strong>zionale non è<br />

esattamente <strong>da</strong> gettar via) di altissimo livello; quanto all'organizzazione<br />

della re<strong>da</strong>zione, siamo stati rapi<strong>da</strong>mente in grado di schierare una lista di<br />

quaranta giornalisti professionisti pronti ad aderire al progetto, in molti casi<br />

lasciando i loro vecchi giornali. Si sono messi in contatto con noi,<br />

offrendoci condizioni particolarmente favorevoli e generose (e in alcuni casi<br />

addirittura di entrare senz'altro in società con noi), importanti aziende del<br />

settore come la Apple, la Pellegrini di Venezia, la Sinedita, la Hyphen, la<br />

Nolmac di Roma ed altre ancora.<br />

La reazione del pubblico, <strong>da</strong>l canto suo, è stata tale che è poco definirla<br />

generosa. Fra dichiarazioni di disponibilità, sottoscrizioni, richieste di<br />

abbonamento ed altro, almeno ottocento persone - al nord e al sud: quaranta<br />

per cento circa in Sicilia, e il resto nel rimanente del Paese - hanno aderito<br />

all'appello. Ma intanto, il quotidiano non s'è fatto.<br />

Vogliamo assicurare i lettori, innanzitutto, e quelli in particolare che<br />

hanno sottoscritto per noi, nonchè gli imprenditori e le aziende (tutti non<br />

siciliani) con cui siamo stati in trattativa in questi mesi che il Progetto non è<br />

stato affatto abbandonato. Ai sottoscrittori, in particolare, diciamo che non<br />

ci siamo affatto dimenticati di loro. Abbiamo continuato a lavorare<br />

regolarmente, in tutti questi mesi - per quanto in condizioni difficili - per<br />

portare avanti il Progetto, e dunque per adempiere alla volontà che essi,<br />

sottoscrivendo, ci hanno espressa. Ciascuno di loro ha il diritto,<br />

naturalmente, di recedere <strong>da</strong>ll'impresa in qualsiasi momento, nella maniera<br />

più facile e senza rimetterci niente. Ma noi andiamo avanti. Il motivo è che<br />

il quotidiano non s'è costruito, fino a questo momento, non per ragioni


tecniche o di mercato (sulle une e le altre abbiamo le carte in regola quanto<br />

chiunque altro) ma per ragioni politiche, artificiali. Per fare il quotidiano, al<br />

di là della sottoscrizione dei lettori, che è un incoraggiamento enorme ma<br />

non può superare i suoi livelli, ci vogliono cinque miliardi.<br />

Cinque miliardi si possono trovare (non, s'intende, in regalo: ma come<br />

investimento di mercato) fra gl'imprenditori, e in particolare fra<br />

gl'imprenditori siciliani. Dei quali, diversi erano pronti a investire<br />

tranquillamente nell'impresa, convinti di fare un buon affare e di trovarsi in<br />

presenza di buoni conti. Poi è arrivato Berlusconi. Allora sono cominciati i<br />

"vedremo", i "ne riparleremo più avanti", gli "intanto an<strong>da</strong>te avanti e poi se<br />

ne parla". I capitalisti italiani insomma (o perlomeno i nostri) se ne sono<br />

fregati del mercato, degli attivi e passivi, dei preventivi e bilanci, e si sono<br />

comportati <strong>da</strong> accorti politici, attentissimi a non mettersi contro i politici più<br />

forti. Noi rivoluzionari dei Siciliani, invece, ci siamo messi a fare i seri<br />

capitalisti e siamo rimasti con le pive nel sacco.<br />

Bene, adesso ci riproviamo - tanto per cambiare - con inossi<strong>da</strong>bile serietà<br />

e compattezza. Qualcuno di voi - quelli che hanno aziende con fatturato<br />

superiore al miliardo, che purtroppo non sono molti - riceverà nelle<br />

prossime settimane un fax della segreteria dei Siciliani, un pacco di carte,<br />

progetti, conti, bilanci costi-ricavi e proiezioni computerizzate, e dopo un<br />

po' la visita di uno dell'amministrazione del Progetto, con valigetta nera e<br />

voce suadente.<br />

In realtà tutto questo è molto buffo (stavamo così bene quando non<br />

eravamo capitalisti!), ma siccome purtroppo il Progetto è una cosa possibile,<br />

e con tutta la buona volontà non siamo riusciti a trovare perché non<br />

dovrebbe regolarmente funzionare e aver successo, siamo costretti a<br />

portarlo avanti pazientemente, con la solita tecnica Siciliani (riprova<br />

tranquillamente finché non parte) che ha funzionato finora e funzionerà,<br />

naturalmente, anche in questo caso; su questo non abbiamo dubbi. Però, che<br />

barba.


SCIO' PERO'<br />

I Siciliani, ottobre 1994<br />

Campania e Lombardia gareggiano nobilmente fra loro per essere le<br />

prime a cacciare definitivamente i Gastarbeiter, i lavoratori stranieri. A Villa<br />

Literno la feccia del paese è scesa in piazza urlando selvaggiamente il<br />

proprio odio verso gli immigrati. A Milano, più ipocritamente,<br />

l'amministrazione locale studia sistemi "legali" per ripulire le strade <strong>da</strong>i<br />

"ran<strong>da</strong>gi", <strong>da</strong>i lavavetri, <strong>da</strong> coloro che non sono bianchi e ariani. Il governo<br />

centrale, a sua volta, sta preparando i decreti della sua soluzione finale.<br />

Né Lombardia né Campania, in questi anni, hanno brillato per particolare<br />

civismo o per senso dello Stato. Hanno tollerato e votato a larga<br />

maggioranza, rispettivamente, i ladroni di Craxi e i camorristi di Gava.<br />

Hanno lasciato i magistrati onesti presso che soli (con poche nobilissime ma<br />

isolate eccezioni) a lottare per loro. A Milano, il sin<strong>da</strong>co razzista è stato<br />

eletto <strong>da</strong> una larga maggioranza cittadina. A Villa Literno, fra gli obiettivi<br />

della canaglia razzista ci sono non solo i lavoratori immigrati ma anche quei<br />

preti cattolici che si permettono di aiutarli in nome del Vangelo. Tutto ciò s'è<br />

già visto in Europa, in grandi e piccole città tedesche all'inizio degli anni<br />

Trenta.<br />

Tutto questo per spiegare perché lo sciopero generale, indetto - meglio<br />

tardi che mai - <strong>da</strong>i sin<strong>da</strong>cati per il 14 ottobre, non sarà affatto generale.<br />

Stavolta non sarà solo i ricchi contro i poveri, gli operai contro i padroni<br />

(anche se un governo sfrontatamente dei ricchi come questo, basato sulle<br />

ville in Sardegna e sugli yacht <strong>da</strong> 29 metri, in Italia non s'era ancora visto<br />

mai). Sarà qualcosa di più. Da una parte i servi felici, l'audience, i<br />

Consumatori Perbene, gli ariani. Dall'altra le persone civili, i lavoratori<br />

coscienti, coloro che hanno padri e madri, gli italiani.<br />

Succedono cose amare, in questi giorni, che però s'inquadrano benissimo<br />

nella tradizione non-democratica (e cialtronesca) dei ceti medi italiani. La<br />

libertà di stampa, per dirne una; non sappiamo se questo giornale uscirà<br />

ancora fra sei mesi, o se verrà prima chiuso d'autorità; l'abolizione di ogni<br />

spazio televisivo non di regime, attuato con la complicità di reggico<strong>da</strong> come<br />

Bossi (che aveva appena ricevuto gli ingenui applausi della Rete e della<br />

Festa dell'Unità) e con l'arruolamento di numerosi rinnegati, fra cui ci piace<br />

segnalare almeno il caso umano di un Michele Santoro. Ma tutto ciò non ci<br />

spaventa: ne abbiamo viste di peggio, e di ancor peggiori ne videro i nostri<br />

padri, e sempre - alla fine - ne siamo usciti in qualche modo. Ci spaventa<br />

invece ciò che vediamo crescere in alcuni strati profondi della cultura di<br />

massa del Paese. Noi italiani, insomma, siamo meno italiani di un anno fa; e


infinitamente di meno che ai tempi di Pertini. Berlinguer parlava<br />

inascoltato, molti anni fa, di questione morale. Il destino gli ha risparmiato<br />

di vedere a che punto di malattia e di cancrena essa potesse portare l'anima<br />

di questo Paese.


ADDAVEDI' PALERMO<br />

I Siciliani, ottobre 1994<br />

Il sin<strong>da</strong>co ideale, di questi tempi, sarebbe Ernesto Di Fresco. Di Fresco è<br />

un democristiano, o meglio era un democristiano, come tanti altri, con i suoi<br />

amici mafiosi (una volta lo misero in una camera d'albergo con don Michele<br />

Abbenante) e i suoi santi in paradiso. Gira che ti gira, Di Fresco si fece<br />

beccare a tal punto <strong>da</strong> dover essere sospeso <strong>da</strong>lla Dc. Questo, una decina<br />

d'anni fa: ancora non c'era Bossi e gli unici leghisti d'Italia erano quelli di<br />

Trieste, che avevano fon<strong>da</strong>to un partito (il "Melone") al fine di combattere<br />

gli slavi e difendere, a Trieste, la civiltà occidentale. Il capo era un avvocato<br />

massone. Di Fresco, detto fatto, si iscrive al "Melone"; e siccome era anno<br />

d'elezioni, per qualche settimana Palermo fu tappezzata di manifesti che<br />

invocavano la zona libera del Carso e la battaglia contro il vicino pericolo<br />

sloveno. Di Fresco poi, per problemi suoi (per lo più con gl'inquirenti), non<br />

poté sviluppare la sua intuizione politica, e rimase tutto sommato un<br />

democristiano palermitano invece che un leghista della prima ora.<br />

Peccato. A quest'ora avrebbe potuto candi<strong>da</strong>rsi a sin<strong>da</strong>co di Palermo in<br />

nome della Lega, e sarebbe il personaggio più coccolato - dopo Bossi -<br />

d'Italia. "Panorama" stamperebbe il libretto coi pensieri di Di Fresco,<br />

Montanelli inviterebbe in buon toscano a votarlo, Bocca scriverebbe un<br />

libro di quattrocento pagine per dimostrare come Di Fresco rappresenti la<br />

Sicilia pulita, la Sicilia, sia pure barbara, che si ribella alle tangenti. Quanto<br />

agli eventuali problemi coi magistrati, sarebbero presto risolti: basterebbe<br />

dichiarare che le pallottole per i magistrati costano trecento lire l'una (Bossi<br />

l'ha fatto, e nessuno ci ha messo becco) e smentire subito dopo: e chi vuol<br />

capire capisca. V'immaginate che bellezza? Di Fresco ai dibattiti di<br />

"Palermo Italia", con la faccia compunta; e la città pavesata di giganteschi<br />

cartelli "La Lega ce l'ha duro - Vota Di Fresco - Un leghista del Carso!".<br />

Invece dovremo accontentarci di un irresponsabile, di un khomeinista, di un<br />

rivoluzionario giacobino, di un Orlando.<br />

Non era una cosa straordinaria, sul piano strettamente politico, la giunta<br />

comunale della Primavera di Palermo. Un centro<strong>sinistra</strong> un po' allargato a<br />

<strong>sinistra</strong> (ma neanche Salvo Lima aveva difficoltà, sul piano formale, ad<br />

aprire al Pci), degli assessori complessivamente galantuomini e moderati,<br />

una corrente democristiana di <strong>sinistra</strong> (gli allora demitiani) che si trovava ad<br />

avere una certa libertà di manovra rispetto al centro. Gente moderatamente<br />

progressista, del tutto interna - sul piano formale - al sistema politico<br />

ufficiale. Non differente, <strong>da</strong> questo punto di vista, <strong>da</strong>lla prima giunta<br />

repubblicana di Madrid nel 1936, o <strong>da</strong>llo stesso governo Allende della


prima fase, quella moderata e unitaria, degli anni Settanta. Ciò che ha fatto<br />

la differenza, è ciò che stava fuori. Il Coordinamento antimafia, il Cocipa, il<br />

Centro Peppino Impastato, i preti di quartiere, le prime liste di base di Città<br />

per l'Uomo; la ribellione che cresceva sotterraneamente <strong>da</strong> tre anni,<br />

inconsapevole per lo più di se stessa e tuttavia pronta, alla prima occasione,<br />

a <strong>da</strong>rsi un punto di riferimento e a farsi rivoluzione politica e di massa. Il<br />

merito di Orlando allora è stato quello di non sottrarsi a questo meccanismo,<br />

a questa confusa richiesta di potere <strong>da</strong>l basso; e di essere stato fedele a<br />

questo suo ruolo, di averne tratto le conseguenze più dure e sul piano<br />

politico e su quello della scelta di vita individuale. La Primavera di Palermo<br />

è stata, in buona parte, rappresentata all'esterno <strong>da</strong> Orlando; ma non è stata<br />

solamente Orlando, e forse non lo è stata nemmeno principalmente. Il cuore<br />

della Primavera è stato nelle scuole, nelle organizzazioni di base, nei<br />

quartieri.<br />

Sconfitta sul piano immediatamente politico, della gestione istituzionale<br />

dell'istituzione Comune, l'esperienza palermitana non lo è stata affatto su un<br />

piano più ampio. Non perché ha <strong>da</strong>to vita a un partito, la Rete, che ne<br />

rappresenta dignitosamente una parte; né perché ha introdotto mutamenti<br />

significativi nella stessa <strong>sinistra</strong> comunista (ed ora pidiessina)palermitana,<br />

definitivamente lontana ormai <strong>da</strong>ll'egemonia catastrofica dei Macaluso. Ma<br />

perché ha <strong>da</strong>to vita soprattutto a un'esperienza e a una cultura concreta di<br />

partecipazione di massa a un rinnovamento radicale; una partecipazione non<br />

anarchica, non velleitaria, ma civilmente politica e in grado persino di porsi<br />

obiettivi sia pure rudimentalmente istituzionali. I centri sociali palermitani,<br />

le realtà di quartiere, gli interventi (che sono ormai decine) sul territorio non<br />

si sono chiusi, come altrove, nella difesa implicita di un ghetto: ma si sono<br />

fatti modello sociale, struttura organizzativa di base, strumento infine - per<br />

quanto era possibile in questa fase - di una svolta politica reale. E questa è<br />

stata la vera rivoluzione palermitana. Non ce ne sono state altre, in Italia, in<br />

questi anni.<br />

Man mano che le cose procedono, e i vari partiti nuovi si vanno<br />

precisando, si vede infatti come le varie forze di "rinnovamento" tutto siano<br />

fuorché rinnovative. I "rinnovatori" di centro, quelli raggruppati via via<br />

attorno a Martelli, ad Amato e infine a Segni, propagan<strong>da</strong>no ormai<br />

esplicitamente, come unico possibile ideale, la Democrazia cristiana di De<br />

Gasperi e Scelba. Quanto ai "rinnovatori" leghisti, è difficile ormai non<br />

riconoscere in loro un filo di continuità con altri déja-vu della storia, col<br />

fascismo moderato (quello dei Doriot, dei Laval, e più recentemente dei Le<br />

Pen e dei Giannini) che periodicamente il ceto medio europeo secerne nei<br />

suoi momenti di crisi; come è difficile non riconoscere "la dedizione


vigliacca degli intellettuali al fascio" di cui parlava Gobetti: i Prezzolini e i<br />

Giorgio Bocca (maestri di ieri) come i D'Annunzio e i Montanelli.<br />

Palermo è <strong>un'altra</strong> cosa. Palermo, non semplicemente Orlando, o la lista<br />

Orlando, o la Rete, o il Pds più la Rete; Palermo dei movimenti antimafia,<br />

Palermo della Pantera, dei preti di cui si parla solo <strong>da</strong> morti; dei dieci anni<br />

di storia di migliaia di esseri umani che hanno conquistato e difeso per tutti<br />

gl'italiani un pezzetto di civile libertà. Questa Palermo deve uscire <strong>da</strong><br />

Palermo, e riversarsi <strong>da</strong>ppertutto.<br />

A questo possono servire, qui e ora, le elezioni a Palermo. Se saranno<br />

semplicemente "la vittoria di Orlando", una rivincita <strong>da</strong> contrattare<br />

garbatamente nel Palazzo, segneranno la fine di una fase; la morte della<br />

destra mafiosa, e l'inizio del potere di una moderata e civile (per quanto in<br />

Italia possa...) borghesia. Se saranno la vittoria di tutti, di tutti gli<br />

antimafiosi, di tutte nessuna esclusa le componenti della Palermo di questi<br />

anni, allora sarà non solo la conclusione vittoriosa di un'esperienza, ma<br />

l'inizio benaugurante di una fase ancor più democratica, ancora più nuova.


NORD & SUD<br />

I Siciliani, novembre 1994<br />

Calogero Gasparazzo (lo riconoscete? è <strong>da</strong> qualche parte qua attorno) è un<br />

operaio metalmeccanico di Bronte, in provincia di Catania. Da molti anni<br />

lavora in una grande fabbrica del Nord. Parecchi anni fa sono venuti degli<br />

studenti, <strong>da</strong>vanti alla fabbrica, e gli hanno detto che si poteva fare la<br />

rivoluzione. Invece non c'è stata rivoluzione, ma solo un gran casino. Molti<br />

di quegli studenti Gasparazzo li sta rivedendo ora alla televisione: chi è<br />

direttore di giornale, chi è un'autorità governativa, chi fa il ministro di<br />

Berlusconi. Hanno un'aria profon<strong>da</strong>mente compresa della loro importanza, e<br />

dicono che la storia che Gasparazzo voleva fare la rivoluzione in realtà era<br />

una grandissima cazzata e che invece bisogna aspettare che i padroni e i<br />

fascisti risolvano i problemi a modo loro. Ascoltandoli alla televisione,<br />

Gasparazzo ha capito benissimo perché in realtà non c'è stata alcuna<br />

rivoluzione.<br />

Ogni anno Gasparazzo è tornato in Sicilia, in tutti questi anni, e si è<br />

accorto che negli ultimi anni qualche cosa è cambiata. "Bacio le mani a<br />

voscenza" non s'usa più. Alcuni addirittura (cosa che nei tempi di prima non<br />

s'usava) si permettono di parlare in piazza, a voce alta, degli affari di don<br />

Totò. Una volta Gasparazzo è stato anche alla manifestazione antimafia, giù<br />

in Sicilia, ma poi è dovuto ripartire. Alla manifestazione c'erano anche molti<br />

studenti, quel giorno, gri<strong>da</strong>vano abbasso la mafia con la faccia sorridente.<br />

Gasparazzo spera tanto che non facciano la fine di quelli là.<br />

Bene, Gasparazzo adesso è uno che non si fi<strong>da</strong> più dei discorsi delle<br />

persone importanti, o che lo potrebbero diventare domani. Ma quella<br />

faccen<strong>da</strong> di cambiare tutto (allora si chiamava la rivoluzione, e adesso<br />

chissà), quella lui non se l'è dimenticata. Ogni tanto gli torna in mente<br />

all'improvviso, in una fabbrichetta di Catania o al reparto fonderie di<br />

Milano. E allora Gasparazzo pensa che ha una gran voglia di fare qualcosa.


MAZZETTA NERA<br />

I Siciliani, dicembre 1994<br />

Non sappiamo chi sarà il prossimo presidente del Consiglio. Sappiamo<br />

invece chi sarà, prima o poi, il nuovo coman<strong>da</strong>nte della Guardia di Finanza;<br />

il Generale a Sei Stelle Edoardo Valente. Edoardo Valente, che attualmente<br />

è maggiore, in realtà non ha compiuto niente di eccezionale, né in bene né<br />

in male: un buon ufficiale come tanti, magari migliore di altri, visto che lo<br />

stan<strong>da</strong>rd medio della Finanza è, in alcune materie, più elevato che altrove. Il<br />

padre di Edoardo Valente è però il Presidente della Cassazione Arnaldo<br />

Valente, e il Presidente della Cassazione Arnaldo Valente è quello che,<br />

trasferendo un pezzo di Mani Pulite fuori Milano, ha salvato <strong>da</strong>lle attenzioni<br />

di Di Pietro: 1) Berlusconi; 2) un bel po' di ufficiali della Finanza in<strong>da</strong>gati.<br />

Cosicché il povero Valente figlio si trova ad essere, senza alcuna sua colpa,<br />

collegato al salvataggio di tanti illustri colleghi. Peccato per la Finanza, che<br />

non si meritava questa pochade. Peccato per Valente padre, magistrato<br />

perbene ma privo delle sfumature del buon gusto. E peccato per noi<br />

giornalisti che ci troviamo fra i piedi, in mezzo ad una storia scespiriana, un<br />

flash di Alberto Sordi.<br />

Soli<strong>da</strong>rietà con Di Pietro, a parole? Noi no. Tutti sono soli<strong>da</strong>li con Di<br />

Pietro, in questo momento. Fra sei mesi l'avranno dimenticato. Noi, parole<br />

per Di Pietro non ne abbiamo. Ma è quattordici anni che facciamo la sua<br />

stessa guerra. Chinnici, Ciaccio Montalto, Borsellino, Carlo Palermo,<br />

Cassarà, Montana... Quanti Di Pietro son passati, in quattordici anni, per le<br />

pagine dei Siciliani! E quante ipocrisie, quante parole, quanta ferocia nel<br />

colpire - quando sembrava di poterlo fare senza rischi - questi uomini soli...<br />

Soli? Noi abbiamo sempre detto di no. Chinnici e Falcone non erano soli.<br />

Avevano i ragazzini di Palermo. E son loro che, infine, gli hanno permesso<br />

vincere il grosso della battaglia. Non è solo Di Pietro, neanche lui. Ci son<br />

tanti Di Pietro in questo paese, che lui non conosce per nome e noi<br />

nemmeno; ma che però materialmente ci sono, che lottano quotidianamente<br />

per la propria vita, per una scuola più civile, per la messa al bando dei<br />

privilegi, per l'onestà del lavoro, per un ideale insomma che - non avendo<br />

tuttavia un nome preciso, o avendone magari troppi - è esattamente lo stesso<br />

di Di Pietro e di quelli che son venuti prima di lui. Quando<br />

s'incontreranno...<br />

Povero Berlusconi. Berlusconi, come tutti i Berlusconi di questo mondo,<br />

va e viene. Così i Fini, i Craxi, gli Andreotti. Ce ne vuole per toglierli di<br />

mezzo: ma prima o poi ci si riesce. I Di Pietro invece - ma i Borsellino, ma i<br />

Carlo Palermo, ma i Chinnici - cambiano semplicemente di nome: milioni


di altri esseri umani possiedono infatti, e possono svilupparlo in qualsiasi<br />

momento, un pezzetto di loro.


PERTINI<br />

I Siciliani, dicembre 1994<br />

A parte Berlinguer (e non per caso: ma ne parleremo <strong>un'altra</strong> volta)<br />

nessun uomo politico è tanto dimenticato oggi in Italia quanto è dimenticato<br />

Sandro Pertini. E' legalmente possibile, per il ladro, arrestare il carabiniere?<br />

Può Pietro Maso, una volta fatti a pezzi i genitori, disperderne impunemente<br />

i pezzi nella pubblica via? Debbono le istituzioni italiane rimodellarsi<br />

sull'esempio ("presidenziale") zarista o su quello ("patto sociale") di<br />

Napoleone Terzo? "Avevano ragione" i fascisti e i nazisti o i partigiani? La<br />

prossima volta, cosa faremo degli ebrei? Ammazzare i negri, è proibito o è<br />

una ragazzata <strong>da</strong> scusare? E le donne: <strong>da</strong>vvero hanno gli stessi diritti<br />

dell'uomo?<br />

Di tutte queste cose si discute alacremente in Italia, e non solo a destra. Si<br />

discute. Pertini era uno che, come pubblico funzionario, a un certo punto<br />

troncava le discussioni. Quando un capopartito piduista andò - come<br />

capopartito - a fargli visita al Quirinale, lui non si mise a discutere: gli<br />

chiuse la porta in faccia.<br />

Mai con Pertini un piduista, in<strong>da</strong>gato per intrallazzi e tangenti, sarebbe<br />

rimasto a capo del governo. Mai con Pertini un Di Pietro avrebbe potuto<br />

an<strong>da</strong>rsene solo e disperato, fra le sghignazzate dei ladri e i cincischiamenti<br />

della gente perbene. Mai la servitù di Berlusconi avrebbe osato ingiuriare a<br />

man salva, coi nostri soldi, i giudici che rischiano la pelle per tutti noi.<br />

Pertini non c'è più. Ma restano i suoi cittadini. Essi hanno <strong>da</strong> battersi, ogni<br />

giorno, per gua<strong>da</strong>gnarsi la vita - la sopravvivenza privata, individuale, di<br />

ciascuno di noi - e non hanno molto tempo per la politica. A volte anche<br />

dormono, alle volte si fanno prendere in giro. Ma, nel loro complesso, e nei<br />

tempi lunghi, hanno buona memoria. Ricor<strong>da</strong>no perfettamente cosa vuol<br />

dire Pertini, anche se la televisione non gliene parla più. Hanno un'idea<br />

precisa di che cosa vuol dire "istituzioni dello Stato", "diritti degli operai",<br />

"democrazia". Sanno con precisione che cosa c'è dopo Pertini, se Pertini<br />

non torna, se l'anti-Pertini dura troppo: la guerra civile.<br />

Dicono queste cose, i cittadini di Pertini, con tutti i mezzi rimasti loro a<br />

disposizione: i cortei, gli scioperi, la lotta per sopravvivere ogni giorno nella<br />

propria città, nel proprio luogo di lavoro. E' un linguaggio ben semplice,<br />

eppure ben difficile <strong>da</strong> capire per chi sta al governo e anche, molto spesso,<br />

per chi sta all'opposizione. Speriamo che sia compreso, prima che arrivi il<br />

crack.<br />

Linguaggio, comunicare le cose, informarsi, saperne di più: non è per<br />

caso che i primi nemici del governo, dopo i giudici onesti, sono i giornalisti


onesti. Qui avremmo molte cose <strong>da</strong> dire. Ma tutto sommato superflue: chi<br />

vuol discutere di informazione con noi può benissimo limitarsi a guar<strong>da</strong>re<br />

queste trentadue paginette, veder cosa c'è dentro, pensare con che sacrifici e<br />

in che condizioni sono state fatte (e non per sei mesi o un anno, ma per<br />

quattordici anni di fila) e avrà capito benissimo tutto quel che c'è <strong>da</strong> capire.<br />

Se non capisce così è meglio che va<strong>da</strong> a discutersela tranquillamente, la<br />

libera informazione, nei salotti perbene.<br />

E questo è quanto. Finisce un anno di lotta, un altro anno di lotta va a<br />

cominciare: coi Siciliani a volte forti e a volte deboli, a volte vincitori ed<br />

altre no, ma sempre <strong>da</strong>lla parte della gente che affolla il mondo - lavoratori,<br />

emigranti, giovani in cerca di un avvenire - per vivere la propria vita e non<br />

per comprare quella degli altri. Sarà un anno, in ogni caso, <strong>da</strong> ricor<strong>da</strong>re.<br />

(Originariamente, questo foglietto, era destinato a una polemicuzza verso<br />

la brava gente che dà soli<strong>da</strong>rietà "antimafia" a gente, come l'editore Mario<br />

Ciancio, che dei poteri mafiosi è stato, volente o nolente, una colonna. Ma<br />

ne vale la pena? Con quel che costa la carta...)


"GARANTISCO IO!"<br />

I Siciliani, gennaio 1995<br />

Ricor<strong>da</strong>te gli operai di Catania che avevano occupato la cattedrale per non<br />

essere licenziati <strong>da</strong> Rendo? Alla fine, ci fu l'accordo: niente licenziamenti,<br />

dissero al ministero del lavoro, ma contratti (a paga ridotta) "di soli<strong>da</strong>rietà".<br />

Non era granché come accordo: ma sempre meglio d'un calcio nel sedere. I<br />

politici tornarono con gran sorrisi <strong>da</strong> Roma: "Ecco l'accordo! - dissero -<br />

Ringraziate il governo".<br />

Adesso gli operai son tornati a Roma a vedere che fine aveva fatto il loro<br />

contratto di soli<strong>da</strong>rietà. "Ci spiace tanto - gli han detto - Purtroppo il<br />

contratto di soli<strong>da</strong>rietà non è compatibile con le fabbriche in cassa<br />

integrazione. C'è scritto qui, vedete? Hanno fatto il decreto". Gli operai si<br />

sono guar<strong>da</strong>ti in faccia. "Se vi sta bene, qua c'è un piano di smantellamento<br />

della fabbrica, prepensionamenti accelerati. Sennò, affari vostri".<br />

Bene, uno degli ultimi atti del governo Berlusconi è stato proprio di<br />

pensare agli operai di Catania e agli altri operai come loro. Siccome la legge<br />

non lo prevedeva esplicitamente, han fatto un decreto apposta - all'ultimo<br />

momento - per statuire che gli operai di Catania, e gli altri operai come loro,<br />

non hanno diritto a niente. (Intanto, quatto quatto, Rendo s'è fatto<br />

riconfermare gli appalti che le banche, per i suoi passati intrallazzi, non gli<br />

finanziavano più). "Ma avevano garantito anche i politici! Ma c'era la parola<br />

del governo!".<br />

Appunto. Questa è una delle due strade per difendere l'occupazione.<br />

Fi<strong>da</strong>rsi dei politici, fi<strong>da</strong>rsi della parola del governo. Specialmente di un<br />

governo come quello di Berlusconi, con le ville in Sardegna. e gli yacht a<br />

Portofino. L'altra stra<strong>da</strong> è di non fi<strong>da</strong>rsi dei politici, non fi<strong>da</strong>rsi di<br />

Berlusconi, non fi<strong>da</strong>rsi di questi governi; e se proprio bisogna fi<strong>da</strong>rsi di<br />

qualcuno, che sia di gente come il sin<strong>da</strong>calista Giuseppe Di Vittorio o il<br />

giudice Giorgio Chinnici.<br />

Uno teneva uniti i lavoratori, l'altro confiscava le ricchezze dei mafiosi.<br />

Non si sono conosciuti mai. E se ci provassimo noialtri - disoccupati,<br />

lavoratori, giovani in cerca di vita, militanti antimafiosi - a farli incontrare?<br />

I soldi di Tangentopoli, dei boss mafiosi, dei politici ladri, dei cavalieri<br />

dell'apocalisse possono servire, con le dovute maniere, a creare milioni di<br />

posti di lavoro, posti di lavoro veri e non fasulli. E' una vecchia idea dei<br />

Siciliani a cui nessuno, chissà perché, ha mai <strong>da</strong>to conto. Ma nei prossimi<br />

mesi, chissà, potrebbe persino tornare attuale.


L'ANNO CHE VIENE<br />

I Siciliani, gennaio 1995<br />

Siamo un paese di fatto già fuori della legge. Abbiamo due poteri ufficiali,<br />

in contrasto fra loro: un presidente del Consiglio senza più maggioranza<br />

parlamentare, che però non vuole an<strong>da</strong>rsene e minaccia colpi di mano e un<br />

presidente della Repubblica che rivendica il suo diritto ad applicare la<br />

Costituzione - che il rivale non riconosce più.<br />

L'ultima situazione del genere (ma infinitamente meno grave) risale al<br />

1964, ai tempi del generale De Lorenzo: il golpe effettivo non ci fu ma la<br />

minaccia del golpe - la deterrenza come arma effettiva, avrebbe detto von<br />

Tirpitz - cambiò radicalmente la politica italiana dei successivi vent'anni. Il<br />

"nuovo", rappresentato allora <strong>da</strong>l centro<strong>sinistra</strong> venne castrato delle sue<br />

spinte innovative e ricondotto all'alveo dei poteri economici costituiti: fra<br />

cui, allora come oggi, quelli mafiosi. Cambiare tutto perché non cambi<br />

niente: ventilando, diversamente, il ricorso alla forza e alla guerra civile. E<br />

siamo già a questo punto.<br />

I poteri mafiosi, <strong>da</strong>l loro canto, fanno il loro mestiere. Con Andreotti, con<br />

Craxi, adesso con Berlusconi e domani (il caso Man<strong>da</strong>lari è illuminante) se<br />

non basterà Berlusconi anche con Fini. E' una regola della mafia, non ci<br />

sorprende.<br />

Non c'è nessun partito, oggi, culturalmente in grado di combattere questa<br />

strettissima alleanza fra berlusconesimo, fascismo e Cosa Nostra. Non c'è<br />

manovra politica (men che mai le buttiglionate e le bosserie su cui la<br />

<strong>sinistra</strong> sta ora giocando le sue carte) in grado di coagulare, nei tempi stretti<br />

che abbiamo <strong>da</strong>vanti, un blocco sociale alternativo. Sono stati i pensionati,<br />

fino a questo momento, i soli a infliggere colpi a Berlusconi: i pensionati, i<br />

giornalisti democratici, le strutture operaie di base, gli studenti. Hanno<br />

imposto passi indietro all'avversario, ogni volta che sono scesi in campo.<br />

Stanno attendendo tuttora che qualcuno raccolga la loro forza. Ma stanno<br />

attendendo invano. La democrazia è forte nelle case, fortissima in piazza,<br />

ma debole e malcerta nei corridoi del potere.<br />

Non bastano i partiti a raccogliere questa forza. Ci vuole una cultura forte<br />

e complessiva, che fon<strong>da</strong> organizzazione unitaria e spirito di battaglia. Che<br />

nasca - quanto è banale dirlo, e quanto urgente - <strong>da</strong>lla base. Che si ponga<br />

non come aggregazione momentanea di basso profilo, ma come nucleo<br />

prefigurante di un nuovo moderno e alternativo patto sociale. Con un<br />

gruppo dirigente adeguato, serio "professionalmente" ma strettissimamente<br />

legato alla base.<br />

Noi dei Siciliani ci abbiamo provato quattro anni fa, quando siamo riusciti


a mettere attorno a un tavolo quelli che allora apparivano, nei vari segmenti<br />

della <strong>sinistra</strong>, gli uomini più innovativi e meglio disposti a servire, con<br />

umiltà e coraggio, la causa dell'unità popolare. Comunisti come Novelli e<br />

Galasso, cattolici come Pintacu<strong>da</strong> e Orlando, moderati come <strong>da</strong>lla Chiesa:<br />

abbiamo puntato su questi uomini, a suo tempo, non perché ci fosse bisogno<br />

di un ennesimo partito nuovo ma per creare il nucleo di qualcosa che<br />

an<strong>da</strong>sse molto oltre i partiti; che unisse trasversalmente, sull'esempio della<br />

Resistenza che avevano vissuto i nostri padri e della lotta antimafia che<br />

avevamo vissuto in prima persona tutti noi, le forze più risolute e<br />

responsabili di tutta la democrazia.<br />

Mentr'essi discutevano, nelle altre stanze della rivista democratica romana<br />

che materialmente li ospitava la re<strong>da</strong>zione continuava affaccen<strong>da</strong>ta il suo<br />

lavoro. Era una re<strong>da</strong>zione giovane, di giovani giornalisti venuti soli<strong>da</strong>mente<br />

su <strong>da</strong>lla base sul modello dei Siciliani: nucleo ed esempio - pensavamo - di<br />

molti e molti altri gruppi di giovani professionisti efficienti, moderni e<br />

strettissimamente legati ai valori, alle lotte e alla vita quotidiana della<br />

democrazia.<br />

Le cose non sono an<strong>da</strong>te esattamente come quattro anni fa - sentendo<br />

confusamente la tempesta che <strong>da</strong> lontano si preannunciava, e oppressi <strong>da</strong> un<br />

senso d'urgenza che non riuscivamo noi stessi a spiegarci - avremmo voluto<br />

farle an<strong>da</strong>re. Chi doveva far cielleenne ha sprecato dei tempi (<strong>da</strong><br />

galantuomini s'intende, e <strong>da</strong> galantuomini di coraggio: come i vecchi<br />

socialisti che non riuscirono, a suo tempo, a contrastar Mussolini) a fare<br />

partiti e partitini. Chi doveva por mano alle fon<strong>da</strong>menta di un meccanismo<br />

dell'informazione radicalmente moderno e alternativo, ha preferito far bene<br />

(<strong>da</strong> galantuomini sempre: sulle orme dei Giovanni Amendola e degli<br />

Albertini) un giornalismo tradizionale, basato su pochi specialisti e senza<br />

debor<strong>da</strong>menti sostanziali <strong>da</strong>ll'autosufficienza della professione.<br />

Sono passati quattro anni e la situazione è incomparabilmente più grave.<br />

Ma noi non conosciamo altra stra<strong>da</strong>. Politica e informazione si debbono<br />

contemporaneamente rinnovare. Non per servirsi l'un l'altra, ma per<br />

esprimere entrambe con conseguenzialità e pienezza (in ambiti assai diversi,<br />

e a volte concorrenziali) una realtà di base che è assai più avanzata di<br />

quanto i nostri vecchi strumenti riescano a contenere.<br />

Da qui - in questi tempi difficili - il Progetto giornalistico dei Siciliani, <strong>da</strong><br />

qui il rilancio dell'Associazione I Siciliani. Sono strumenti piccoli, per tanto<br />

e così difficile lavoro. Ma sono, per quanto piccoli, un modello.<br />

A Barcellona in provincia di Messina l'anno comincia con una scena che,<br />

nel dolore che evoca e nell'oscenità che vi si avventa, esemplifica bene il<br />

clima della nazione. Parliamo della commemorazione di Giuseppe Alfano,


ucciso <strong>da</strong>lla mafia nel gennaio '93. Alfano, corrispondente locale de "La<br />

Sicilia", è stato letteralmente tradito <strong>da</strong> questo giornale: il magistrato<br />

in<strong>da</strong>gante sul suo assassinio, per averne almeno le copie delle<br />

corrispondenze, ha dovuto por mano ai poteri di legge. Il rappresentante de<br />

"La Sicilia" è stato tuttavia invitato alla commemorazione.<br />

Alfano fu ucciso mentre lavorava allo smascheramento di un affare<br />

mafioso; contemporaneamente a lui si batterono il nostro collaboratore<br />

milazzese, che fu poi il primo a denunciarne pubblicamente, sul primo<br />

numero dei Siciliani, i colpevoli della morte, e un giovane sin<strong>da</strong>calista,<br />

anche lui di Milazzo, cui incendiarono l'automobile per avvertimento. L'uno<br />

e l'altro, due anni dopo, ignorati <strong>da</strong>lle autorità ufficiali. Italia, Italia...


L'ASSOCIAZIONE I SICILIANI<br />

gennaio 95<br />

L'Associazione I Siciliani, alla fine del 1994, ha raggiunto la quota di<br />

seicentoquattro iscritti. I soci - provenienti <strong>da</strong> tutte le regioni d'Italia - si<br />

sono aggregati, nei mesi scorsi, soprattutto intorno al Progetto Quotidiano.<br />

Il Progetto, come sapete, ha avuto una battuta d'arresto in seguito alla<br />

defezione di alcuni industriali siciliani, il cui impegno è venuto meno dopo<br />

l'ascesa al potere di Berlusconi.<br />

Non intendiamo tuttavia abbandonarlo. Intanto, per la risposta - ben<br />

diversa <strong>da</strong> quella degli industriali - che è venuta al Progetto <strong>da</strong>lla società<br />

civile siciliana e nazionale: una risposta (di cui le seicentoquattro adesioni<br />

all'Associazione sono un segnale eloquente) talmente entusiasmata e decisa<br />

<strong>da</strong> renderci assolutamente impossibile anche solo l'idea di lasciarla cadere.<br />

E poi perché permangono intatte, a nostro vedere, le ragioni tecniche e di<br />

mercato che ci avevano spinto, più di un anno fa, ad elaborare il Quotidiano.<br />

Il Progetto ha dimostrato, in quest'anno, di essere perfettamente adeguato<br />

allo stato dell'arte. Ed ha prospettato una serie di soluzioni tecnico -<br />

professionali assolutamente nuove che, a distanza di mesi, sono poi state<br />

tranquillamente recepite nel mondo dell'editoria. La sinergia con re<strong>da</strong>zioni<br />

"leggere" e fogli autonomi locali, l'uso massiccio del personal computer in<br />

fase di prestampa, l'integrazione di reti telematiche e Bbs nella produzione<br />

del giornale: queste innovazioni sono state teorizzate contemporaneamente<br />

per la prima volta nel nostro progetto.<br />

Ma il raggiungimento dell'obiettivo del quotidiano - come abbiamo già<br />

riferito nei mesi scorsi - rimane legato ad una serie di fattori che non<br />

dipendono <strong>da</strong>lla nostra volontà. E' vero che le condizioni di mercato che ci<br />

avevano spinto a elaborare il Progetto sono rimaste immutate (i quotidiani<br />

tradizionali della regione, Berlusconi o non Berlusconi, continuano a<br />

perdere lettori; il governo che li ha salvati - insieme a tanti altri superstiti<br />

dell'era di Craxi e Andreotti - è caduto; le forze democratiche, con tutti i<br />

loro limiti e le loro contraddizioni, tornano ad avere prospettive vincenti, se<br />

sapranno afferrarle, <strong>da</strong>vanti a sé). Ma è anche vero che per fare un<br />

quotidiano ci vogliono, brutalmente, svariati miliardi. Da parte nostra,<br />

possiamo legittimamente porci l'obiettivo di tener duro, di non abbandonare<br />

gli obiettivi più ambiziosi, di tenere alto il livello qualitativo e tecnico della<br />

nostra impresa. Ma quando si presenterà l'occasione non potremo,in ogni<br />

caso, coglierla <strong>da</strong> soli.<br />

Ci sono alcuni obiettivi, però, che possiamo raggiungere fin <strong>da</strong> subito.<br />

Perché I Siciliani non sono mai stati solo un giornale. I Siciliani sono stati


anche, per più di dieci anni, un luogo di impegno civile, un punto di<br />

aggregazione per i giovani e per il movimento antimafioso, il simbolo di<br />

molte battaglie "contro" e di molte battaglie "per". I Siciliani, oggi,<br />

continuano ad essere tutto questo. I Siciliani lavorano per unire battaglie,<br />

storie ed esperienze ovunque maturate, intorno ad un progetto e a dei valori<br />

comuni. L'Associazione I Siciliani, <strong>da</strong> più di dieci anni, è stato lo strumento<br />

per raggiungere tutto questo. E può diventare, <strong>da</strong> ora, il punto di riferimento<br />

- ideale ed organizzativo - per chi intende an<strong>da</strong>re avanti su questa stra<strong>da</strong>.<br />

Sono in fase di organizzazione, in diverse città d'Italia (Milano, Napoli,<br />

Roma, <strong>da</strong> dove più numerose sono venute le adesioni), le assemblee locali<br />

dell'associazione. Ad esse - prevedibilmente ai primi di marzo - farà seguito<br />

l'assemblea nazionale. Saranno momenti per contarsi, per cominciare a fare<br />

alcune cose concrete. L'obiettivo a breve termine è di organizzare<br />

<strong>da</strong>ppertutto i circoli e le sedi dei Siciliani.<br />

E il giornale? Noi, fi<strong>da</strong>ndo nel nostro lavoro e nella soli<strong>da</strong>rietà di tutti i<br />

nostri lettori e amici, andiamo avanti. Il pericolo più grave adesso è di<br />

carattere professionale. L'inasprirsi della lotta politica potrebbe infatti<br />

indurci, anche senza volerlo, ad affi<strong>da</strong>re la riuscita del Progetto solo alla<br />

"linea politica" e non anche al livello qualitativo. Se gl'industriali siciliani<br />

sono rimasti indietro a noi spetta il dovere professionale, oggi come ieri, di<br />

tenerci allo stato dell'arte, di lavorare perché i progetti che presentiamo<br />

(vengano o meno accolti <strong>da</strong>i nostri interlocutori) siano sempre al massimo<br />

livello tecnico/giornalistico e siano realisticamente posizionabili sul<br />

mercato.<br />

Abbiamo conosciuto vittorie e sconfitte, nella nostra storia; ma non ci<br />

siamo mai esaltati né scoraggiati eccessivamente, e soprattutto siamo<br />

sempre riusciti a coniugare la lotta per un ideale con la stretta osservanza<br />

delle norme tecniche del nostro mestiere. Le due cose non possono essere<br />

separate l'una <strong>da</strong>ll'altra, a pena di diventare o dei professionisti senz'anima<br />

(con<strong>da</strong>nnati prima o poi a venir riassorbiti <strong>da</strong>l sistema) o dei "rivoluzionari"<br />

ciarloni, <strong>da</strong>lla cui predicazione non viene né <strong>da</strong>nno né bene. Noi, invece,<br />

siamo i Siciliani.<br />

Ai nostri lettori, ai nostri amici, agli aderenti dell'Associazione chiediamo<br />

dunque di sostenerci con fiducia e fermezza come hanno fatto finora. Non ci<br />

attendiamo cose impossibili <strong>da</strong> loro, né loro ni, in Italia - non solo,<br />

certamente, il nostro; ma il nostro sicuramente - che non <strong>da</strong> un anno o due,<br />

ma <strong>da</strong> quattordici anni lotta faticosamente per la democrazia, che non ha<br />

paura di prendere le posizioni più radicali quando ce n'è bisogno e che nel<br />

contempo si vanta, nella propria storia, di avere raccolto insieme il giovane<br />

del centro sociale e il notaio liberale, la professoressa di paese e gli operai


in lotta; di aver rispettato ciascun partito e sin<strong>da</strong>cato ed esponente<br />

democratico, <strong>da</strong> cittadini, in quani, in Italia - non solo, certamente, il nostro;<br />

ma il nostro sicuramente - che non <strong>da</strong> un anno o due, ma <strong>da</strong> quattordici anni<br />

lotta faticosamente per la democrazia, che non ha paura di prendere le<br />

posizioni più radicali quando ce n'è bisogno e che nel contempo si vanta,<br />

nella propria storia, di avere raccolto insieme il giovane del centro sociale e<br />

il notaio liberale, la professoressa di paese e gli operai in lotta; di aver<br />

rispettato ciascun partito e sin<strong>da</strong>cato ed esponente democratico, <strong>da</strong> cittadini,<br />

in quanto tale, ma senza mai legarsi in modo acritico a nessuno di essi e<br />

avendo anzi il coraggio e il senso di responsabilità di criticare<br />

pubblicamente e paritariamente ciascuno di essi, senza mezze parole,<br />

quando ce n'è stato bisogno.<br />

L'esistenza di un simile collettivo, che non è e non sarà mai un partito ma<br />

è <strong>da</strong> molto tempo un soggetto politico che ha molte cose <strong>da</strong> dire, arricchisce<br />

- a nostro vedere - tutta la democrazia italiana; e anche in questo senso va<br />

sostenuta, anche sulla base di motivazioni che travalicano l'aspetto<br />

puramente giornalistico di questo lavoro.


RADICI<br />

I Siciliani, gennaio 1995<br />

L'Associazione I Siciliani, alla fine del 1994, ha raggiunto la quota di<br />

seicentoquattro iscritti. I soci - provenienti <strong>da</strong> tutte le regioni d'Italia - si<br />

sono aggregati, nei mesi scorsi, soprattutto intorno al Progetto Quotidiano.<br />

Il Progetto, come sapete, ha avuto una battuta d'arresto in seguito alla<br />

defezione di alcuni industriali siciliani, il cui impegno è venuto meno dopo<br />

l'ascesa al potere di Berlusconi.<br />

Non intendiamo tuttavia abbandonarlo. Intanto, per la risposta - ben<br />

diversa <strong>da</strong> quella degli industriali - che è venuta al Progetto <strong>da</strong>lla società<br />

civile siciliana e nazionale: una risposta (di cui le seicentoquattro adesioni<br />

all'Associazione sono un segnale eloquente) talmente entusiasta e decisa <strong>da</strong><br />

renderci assolutamente impossibile anche solo l'idea di lasciarla cadere. E<br />

poi perché permangono intatte, a nostro vedere, le ragioni tecniche e di<br />

mercato che ci avevano spinto, più di un anno fa, ad elaborare il Quotidiano.<br />

Il Progetto ha dimostrato, in quest'anno, di essere perfettamente adeguato<br />

allo stato dell'arte. Ed ha prospettato una serie di soluzioni tecnico -<br />

professionali assolutamente nuove che, a distanza di mesi, sono poi state<br />

tranquillamente recepite nel mondo dell'editoria. La sinergia con re<strong>da</strong>zioni<br />

"leggere" e fogli autonomi locali, l'uso massiccio del personal computer in<br />

fase di prestampa, l'integrazione di reti telematiche e Bbs nella produzione<br />

del giornale: queste innovazioni sono state teorizzate contemporaneamente<br />

per la prima volta nel nostro progetto.<br />

Ma il raggiungimento dell'obiettivo del quotidiano - come abbiamo già<br />

riferito nei mesi scorsi - rimane legato ad una serie di fattori che non<br />

dipendono <strong>da</strong>lla nostra volontà. E' vero che le condizioni di mercato che ci<br />

avevano spinto a elaborare il Progetto sono rimaste immutate (i quotidiani<br />

tradizionali della regione, Berlusconi o non Berlusconi, continuano a<br />

perdere lettori; il governo che li ha salvati - insieme a tanti altri superstiti<br />

dell'era di Craxi e Andreotti - è caduto; le forze democratiche, con tutti i<br />

loro limiti e le loro contraddizioni, tornano ad avere prospettive vincenti, se<br />

sapranno afferrarle, <strong>da</strong>vanti a sé). Ma è anche vero che per fare un<br />

quotidiano ci vogliono, brutalmente, svariati miliardi. Da parte nostra,<br />

possiamo legittimamente porci l'obiettivo di tener duro, di non abbandonare<br />

gli obiettivi più ambiziosi, di tenere alto il livello qualitativo e tecnico della<br />

nostra impresa. Ma quando si presenterà l'occasione non potremo,in ogni<br />

caso, coglierla <strong>da</strong> soli.<br />

Ci sono alcuni obiettivi, però, che possiamo raggiungere fin <strong>da</strong> subito.<br />

Perché I Siciliani non sono mai stati solo un giornale. I Siciliani sono stati


anche, per più di dieci anni, un luogo di impegno civile, un punto di<br />

aggregazione per i giovani e per il movimento antimafioso, il simbolo di<br />

molte battaglie "contro" e di molte battaglie "per". I Siciliani, oggi,<br />

continuano ad essere tutto questo. I Siciliani lavorano per unire battaglie,<br />

storie ed esperienze ovunque maturate, intorno ad un progetto e a dei valori<br />

comuni. L'Associazione I Siciliani, <strong>da</strong> più di dieci anni, è stato lo strumento<br />

per raggiungere tutto questo. E può diventare, <strong>da</strong> ora, il punto di riferimento<br />

- ideale ed organizzativo - per chi intende an<strong>da</strong>re avanti su questa stra<strong>da</strong>.<br />

Sono in fase di organizzazione, in diverse città d'Italia (Milano, Napoli,<br />

Roma, <strong>da</strong> dove più numerose sono venute le adesioni), le assemblee locali<br />

dell'associazione. Ad esse - prevedibilmente ai primi di marzo - farà seguito<br />

l'assemblea nazionale. Saranno momenti per contarsi, per cominciare a fare<br />

alcune cose concrete. L'obiettivo a breve termine è di organizzare<br />

<strong>da</strong>ppertutto i circoli e le sedi dei Siciliani.<br />

E il giornale? Noi, fi<strong>da</strong>ndo nel nostro lavoro e nella soli<strong>da</strong>rietà di tutti i<br />

nostri lettori e amici, andiamo avanti. Il pericolo più grave adesso è di<br />

carattere professionale. L'inasprirsi della lotta politica potrebbe infatti<br />

indurci, anche senza volerlo, ad affi<strong>da</strong>re la riuscita del Progetto solo alla<br />

"linea politica" e non anche al livello qualitativo. Se gl'industriali siciliani<br />

sono rimasti indietro a noi spetta il dovere professionale, oggi come ieri, di<br />

tenerci allo stato dell'arte, di lavorare perché i progetti che presentiamo<br />

(vengano o meno accolti <strong>da</strong>i nostri interlocutori) siano sempre al massimo<br />

livello tecnico/giornalistico e siano realisticamente posizionabili sul<br />

mercato.<br />

Abbiamo conosciuto vittorie e sconfitte, nella nostra storia; ma non ci<br />

siamo mai esaltati né scoraggiati eccessivamente, e soprattutto siamo<br />

sempre riusciti a coniugare la lotta per un ideale con la stretta osservanza<br />

delle norme tecniche del nostro mestiere. Le due cose non possono essere<br />

separate l'una <strong>da</strong>ll'altra, a pena di diventare o dei professionisti senz'anima<br />

(con<strong>da</strong>nnati prima o poi a venir riassorbiti <strong>da</strong>l sistema) o dei "rivoluzionari"<br />

ciarloni, <strong>da</strong>lla cui predicazione non viene né <strong>da</strong>nno né bene. Noi, invece,<br />

siamo I Siciliani.<br />

Ai nostri lettori, ai nostri amici, agli aderenti dell'Associazione chiediamo<br />

dunque di sostenerci con fiducia e fermezza come hanno fatto finora. Non ci<br />

attendiamo cose impossibili <strong>da</strong> loro, né loro se le attendono <strong>da</strong> noi:<br />

contiamo reciprocamente gli uni sugli altri, buoni a difendere il fronte<br />

quando la situazione della democrazia è minacciata, pronti a far passi avanti<br />

tutti insieme appena si presenti un'occasione per estendere il terreno dei<br />

cittadini, nel campo dell'informazione e in tutti gli altri.<br />

Già nei prossimi mesi avremo delle novità, riguar<strong>da</strong>nti il giornale, che


dovrebbero incoraggiare le aspettative di quanti hanno deciso di<br />

riconoscersi nel nostro progetto.<br />

Esiste un gruppo di esseri umani, in Italia - non solo, certamente, il<br />

nostro; ma il nostro sicuramente - che non <strong>da</strong> un anno o due, ma <strong>da</strong><br />

quattordici anni lotta faticosamente per la democrazia, che non ha paura di<br />

prendere le posizioni più radicali quando ce n'è bisogno e che nel contempo<br />

si vanta, nella propria storia, di avere raccolto insieme il giovane del centro<br />

sociale e il notaio liberale, la professoressa di paese e gli operai in lotta; di<br />

aver rispettato ciascun partito e sin<strong>da</strong>cato ed esponente democratico, <strong>da</strong><br />

cittadini, in quanto tale, ma senza mai legarsi in modo acritico a nessuno di<br />

essi e avendo anzi il coraggio e il senso di responsabilità di criticare<br />

pubblicamente e paritariamente ciascuno di essi, senza mezze parole,<br />

quando ce n'è stato bisogno.<br />

L'esistenza di un simile collettivo, che non è e non sarà mai un partito ma<br />

è <strong>da</strong> molto tempo un soggetto politico che ha molte cose <strong>da</strong> dire, arricchisce<br />

- a nostro vedere - tutta la democrazia italiana; e anche in questo senso va<br />

sostenuta, anche sulla base di motivazioni che travalicano l'aspetto<br />

puramente giornalistico di questo lavoro.


PRONTO, PADRINO?<br />

I Siciliani, febbraio 1995<br />

Ci telefona una signora di Palermo che, insieme col marito ingegnere,<br />

porta avanti <strong>da</strong> ventisette anni una piccola impresa poco più che familiare.<br />

L'anno scorso ha avuto delle difficoltà: si è rivolta alle banche per un<br />

piccolo finanziamento, Le banche le hanno detto di no. Ma la solidità della<br />

ditta, ma i ventisett'anni di scadenze rigorosamente coperte, ma l'interesse<br />

della produzione, ma i sei-sette poveri posti di lavoro? No. Ed è rimasto no.<br />

Quasi contemporaneamente - ed è il motivo per cui la nostra lettrice ci ha<br />

telefonato - le banche hanno generosamente salvato le allegre finanze del<br />

Gruppo Costanzo. Motivo: l'economia siciliana, la difesa dell'occupazione<br />

ecc. I Costanzo, per qualunque banca di un paese civile, sarebbero un<br />

cliente <strong>da</strong> cacciare a schioppettate: crediti inesigibili, somme "in<br />

sofferenza", amministrazione azien<strong>da</strong>le quantomeno non trasparente. Ma<br />

tant'è. Una volta, nelle banche c'erano i democristiani, e regalavano soldi ai<br />

cavalieri. Adesso, ci sono i berlusconiani e i fasisti, e continuano a regalare<br />

soldi - i nostri soldi - a Costanzo e affiliati. La Dc è morta, ma c'è sempre la<br />

Dc.<br />

Bene, qui avrebbe dovuto esserci un pensoso editoriale sulla situazione<br />

politica, sui limiti dell'opposizione e sui problemi del neo-candi<strong>da</strong>to Prodi.<br />

Ma, a questo punto, è inutile perdere tempo in chiacchiere.<br />

Un governo di <strong>sinistra</strong>, o di centro <strong>sinistra</strong>, o semplicemente occidentale,<br />

nel caso Costanzo avrebbe <strong>da</strong>to precise istruzioni alle banche (che, nel caso<br />

nostro, sono a capitale prevalentemente pubblico): acquisire senza<br />

complimenti le proprietà Costanzo; affi<strong>da</strong>rne la gestione a un manager di<br />

provata esperienza; cointeressare gli operai nel risanamento mediante un<br />

rapporto strettissimo con Consigli di fabbrica e sin<strong>da</strong>cati. Salvare<br />

l'occupazione, insomma, senza regalar denari ai collusi; sanare l'economia<br />

dell'azien<strong>da</strong> cominciando col mettere in condizione di non nuocere i padroni<br />

incapaci; risolvere il problema una volta per tutte, in maniera sana e<br />

definitiva, e non mettere una pezza per trovarsi in condizione di dover<br />

regalare altri miliardi, <strong>da</strong> qui a un anno, agli incapaci e ai collusi.<br />

Prodi, che cosa farebbe in un caso del genere? A chi farebbe pagare il<br />

risanamento? E a chi lo affiderebbe? Il problema, col marco a<br />

millecinquantasei lire, è tutto qua.


ELOGIO DELL'INSUFFICIENZA<br />

(AD USO DI NOI MEDESIMI)<br />

I Siciliani, febbraio 1995<br />

Questo è un buon numero dei Siciliani. Ancora una volta i nostri re<strong>da</strong>ttori,<br />

dopo un paziente esame dei documenti e un'accurata verifica giornalistica di<br />

fatti e circostanze, sono riusciti a tirar fuori una verità nascosta, a mettere al<br />

servizio del cittadino-lettore un elemento in più. Questo lavoro è stato fatto<br />

in circostanze difficili - come tutto il resto -, con estrema povertà di mezzi e<br />

con assoluta professionalità e dedizione. E' stato fatto <strong>da</strong> giornalisti della<br />

secon<strong>da</strong> e terza generazione dei Siciliani. Perciò, <strong>da</strong> "vecchio" della brigata,<br />

me ne sento particolarmente orgoglioso. Alla salute, compagni.<br />

Questo è un "cattivo" numero dei Siciliani. E' stato infatti interamente<br />

diretto <strong>da</strong>l gruppo re<strong>da</strong>zionale catanese, senza sostanziali allargamenti alla<br />

capacità decisionale dei compagni fuori Catania. Questo, <strong>da</strong>l mio punto di<br />

vista, è un peccato grave. I poteri della direzione, in un giornale come il<br />

nostro, sono (giustamente) assai limitati. Non è quindi un peccato mio, che<br />

sarebbe facilmente rimediabile, ma un peccato collettivo.<br />

Noi abbiamo imparato, molto tempo fa, che non siamo autosufficienti. Ci<br />

sono delle cose che sappiamo fare molto bene, ma ce ne sono altre che altri<br />

sanno fare meglio di noi. Ci sono delle intuizioni e idee che noi abbiamo<br />

sviluppato prima degli altri; ma ce ne sono altre che altri hanno sviluppato<br />

senza di noi. Il nostro lavoro consiste nel portare avanti il meglio possibile<br />

le idee, le intuizioni, il lavoro nostro; ma anche - e con pari importanza -<br />

nell'esser punto di riferimento e strumento per molti altri esseri umani come<br />

noi, che non hanno la nostra identica storia, che sono felicemente diversi <strong>da</strong><br />

noi, e che valgono quanto noi per capacità, per dignità, per attitudine a<br />

prendere decisioni.<br />

Perciò abbiamo sempre fatto posto, nell'impresa dei Siciliani, a delle<br />

componenti esterne e tuttavia il più possibile libere di partecipare con<br />

autonomia al lavoro comune; i più anziani di noi ricor<strong>da</strong>no la storia del<br />

nostro settore giovanile, SicilianiGiovani, di dieci anni fa, e ricor<strong>da</strong>no anche<br />

che il riconoscimento di quest'autonomia non fu affatto pacifico né privo di<br />

contrasti all'interno della re<strong>da</strong>zione "ufficiale". Questa libertà e questo<br />

riconoscimento ci hanno permesso allora di an<strong>da</strong>re avanti, di arricchirci di<br />

contributi e saperi che <strong>da</strong> soli non avremmo mai potuto avere, di non<br />

diventare una setta. Se tanti hanno guar<strong>da</strong>to al nostro piccolo gruppo come a<br />

un punto di riferimento, in questi dieci anni, è stato anche perché in noi<br />

hanno visto anche questo riconoscimento di non-autosufficienza.<br />

Siamo abbastanza orgogliosi <strong>da</strong> non ritenerci affatto inferiori al "grande"


giornalismo, coi nostri poveri mezzi; ma siamo - dobbiamo essere -<br />

abbastanza umili <strong>da</strong> non ritenerci estranei o superiori a nessuno che faccia,<br />

<strong>da</strong> direzioni diverse, la nostra stessa stra<strong>da</strong>. I Siciliani è una cosa troppo<br />

bella e importante per appartenere solo ai Siciliani.


LA PIOVRA<br />

I Siciliani, marzo 1995<br />

Sua Eccellenza il Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe il<br />

"referente romano" di Cosa Nostra. Sua Eccellenza il Ministro dell'Interno<br />

aveva a che fare con la camorra. I due massimi banchieri del paese, Sindona<br />

e Calvi, erano rispettivamente tesoriere della mafia e della P2. Al Ministero<br />

della Difesa (competente, fra l'altro, sui Carabinieri) per due volte sono<br />

an<strong>da</strong>ti personaggi vicini a questo o quel boss mafioso: le Eccellenze Attilio<br />

Ruffini e Salvo Andò. Dalla mafia, viceversa, sono stati ammazzati: tutti i<br />

principali giudici di Palermo; un generale dei carabinieri; il presidente della<br />

Regione siciliana; i poliziotti che in<strong>da</strong>gavano su Cosa Nostra; il capo<br />

dell'opposizione parlamentare in Sicilia; i giornalisti impegnati contro la<br />

mafia; un numero indefinito di cittadini, nell'ordine delle centinaia, che in<br />

un modo o nell'altro <strong>da</strong>vano fastidio alla mafia, cioè al potere, cioè - in<br />

definitiva - al Governo.<br />

Questa è la situazione reale, e tutto il resto è chiacchiera, o - con un tasso<br />

maggiore o minore di malafede - rumore di fondo. Contro i poteri definiti<br />

sopra abbiamo lottato per quattordici anni, noi e molti altri esseri umani che<br />

avevano a cuore il loro paese, e sempre siamo stati tacciati di "cultura del<br />

sospetto", di "estremismo", e chi più ne ha più ne metta. Adesso siamo<br />

arrivati a una svolta. Se Andreotti è colpevole - e ci sono voluti quattordici<br />

anni per portarlo sotto processo - allora è un intero sistema che dev' essere<br />

chiamato a pagare. Se gli uomini della "secon<strong>da</strong>" repubblica risultano -<br />

come si sta verificando in Sicilia e come ogni mese, compreso questo, noi<br />

documentiamo - anch'essi collusi, allora non solo un passato governo è<br />

evidentemente colpevole, ma tutta una classe dirigente. Compresa quella -<br />

gattopardescamente "rinnovata" - che ci sta governando adesso.<br />

Tutto qua. Il momento è grave, non c'è <strong>da</strong> farsi illusioni. Cosa Nostra è<br />

all'attacco (e ci mancherebbe altro: coi suoi massimi "referenti" costretti a<br />

difendersi, e con la partita del governo definitivo, o meglio del potere, <strong>da</strong><br />

decidersi entro l'anno...). Noi siamo qui, non veniamo meno ai nostri doveri<br />

d'informazione e di chiarezza, misuriamo attentamente le nostre parole, e<br />

non mutiamo di campo.


PROMEMORIA<br />

appunti interni, marzo 1995<br />

Turni - I turni copriranno per il momento - in via sperimentale - la mattina<br />

<strong>da</strong>lla 10 alle 14. Ogni turno comprende uno dei Siciliani e, a partire <strong>da</strong>lla<br />

fine dello stage, uno stagista. I responsabili dei turni debbono in particolare:<br />

- leggere un giornale nazionale ed uno regionale;<br />

- segnalare alla fine della mattinata le tre-quattro notizie principali o<br />

comunque meritevoli d'intervento;<br />

- curare l'ordinaria amministrazione del giornale nella mattinata e<br />

trasmetterla al turnista successivo.<br />

Riunioni - La riunione settimanale ordinaria (palinsesto e altro) rimane<br />

ogni martedì alle 18. Una riunione più breve (quindici minuti di punto della<br />

situazione) avrà luogo ogni giorno alla stessa ora, con i re<strong>da</strong>ttori "anziani"<br />

(Gianfranco, Sabastiano, Elvirta) presenti in sede e con chi vorrà<br />

eventualmente partecipare.<br />

Passaggio pezzi - Chi fa un pezzo deve fare anche una proposta di titolo e<br />

sommario e proccedere, insieme con Claudio Floresta, a proporre delle<br />

illustrazioni.<br />

Prego tutti di farmi vedere tempestivamente le stampate dei pezzi in<br />

lavorazione. Ipezzi di carattere investigativo debbono inoltre essere visti e<br />

approvati, prima del passaggio in pagina, <strong>da</strong> Sebastiano o <strong>da</strong> Gianfranco.<br />

Fuori Sicilia - Elvira terrà i contatti ordinari con i compagni fuori Sicilia,<br />

puntando a coinvolgere ciascuno di loro nell'ideazione del palinsesto,<br />

tenendoli aggiornati sull'an<strong>da</strong>mento della lavorazione e sollecitando<br />

costantemente <strong>da</strong> loro idee e suggerimenti.<br />

Inserto - A partire <strong>da</strong>l numero di aprile cominceremo a pubblicare l'inserto<br />

"L'Alba" in comune con "Rosso e Nero" di Pescara, "L'Urlo" di Ancona ed<br />

altre eventuali testate che aderiranno <strong>da</strong>l 18 marzo in poi all'iniziativa. Gli<br />

argomenti di carattere giovanile vanno dirottati, in linea di massima,<br />

nell'inserto.<br />

Modem - I compagni indicati sopra dovranno curare, a partire <strong>da</strong> maggio,<br />

una serie di passaggi via modem. E' quindi necessario che ciascuno di loro<br />

impari, con la collaborazione di Gianfranco, a usare il modem.<br />

Grafica - I compagni indicati sopra debbono in condizioni di impaginare.<br />

Sono a disposizione <strong>da</strong> subito per insegnare XPress. Alla fine dello stage,<br />

comincerà un corso di grafica (teoria generale, architettura tipografica,<br />

XPress e Photoshop) per gli stagisti che ne faranno richiesta e per i<br />

re<strong>da</strong>ttori.<br />

Motivazioni - Uno rilancio organizzativo molto accentuato è richiesto


<strong>da</strong>lle seguenti circostanze:<br />

- Dobbiamo elevare la qualità del mensile e il coinvolgimento in esso del<br />

più grande numero possibile di risorse umane, sia in Sicilia che fuori;<br />

- Dal 18 marzo in poi cercheremo di forzare alcuni passaggi nel<br />

rapporto/sviluppo con le testate locali, a partire <strong>da</strong> "Rosso e Nero" ma<br />

puntando subito a un pool di tre-quattro testate;<br />

- Dalla metà di marzo cominceremo a lavorare per il secondo prodotto, il<br />

magazine modello '83;<br />

- Da subito, dobbiamo metterci in moto per raggiungere (periodo previsto:<br />

<strong>da</strong> due a quattro mesi) le condizioni organizzative per passare a settimanale.<br />

Le condizioni finanziarie potrebbero infatti essere mature già all'inizio<br />

dell'estate.


BAVAGLIO<br />

I Siciliani, aprile 1995<br />

Dopo quindici anni di tolleranza, anche il Tribunale di Catania ha stabilito<br />

che il cavaliere del lavoro Gaetano Graci è un mafioso. E che la sua<br />

cospicua fortuna (banche, rendite immobiliari, partecipazioni azionarie,<br />

giardinbi, alberghi) è in buona parte frutto delle sue illecite attività. Le<br />

conclusioni a cui giunge oggi la giustizia, e che investono non solo Graci<br />

ma il ruolo svolto <strong>da</strong> un quarto di secolo in Sicilia <strong>da</strong> taluni capitani<br />

d'industria (i cavalieri di Catania, i Cassina di Palermo, la dinastia dei Salvo<br />

a Trapani) furono anticipati <strong>da</strong>lle inchieste giornalistiche di questo giornale<br />

fin <strong>da</strong>l suo primo numero, tredici anni fa. Tredici anni di impunità. Se la<br />

sfi<strong>da</strong> per il ripristino della legalità è ancora così precaria, lo dobbiamo<br />

anche al ritardo con cui una parte della magistratura ha scelto di operare nei<br />

confronti dei politici e degli imprenditori collusi con la mafia.<br />

Ma è d'altro che oggi ci interessa parlare. E' di questo patrimonio che la<br />

giustizia ha posto sotto sequestro: i miliardi del cavaliere Graci, i suoi beni,<br />

la sua ricchezza. Alfredo Galasso, in un editoriale su questo numero dei<br />

Siciliani, chiede che il patrimonio di Graci venga destinato a scopi leciti e<br />

socialmente utili. Noi facciamo una proposta: <strong>da</strong>telo ai Siciliani, <strong>da</strong>telo al<br />

nostro giornale. Vincolato ad uno scopo di sicura utilità: la pubblicazione di<br />

un quotidiano. Perché lo sappiamo tutti: se in questi anni fosse esistito un<br />

quotidiano realmente libero, realmente antimafioso, oggi saremmo tutti un<br />

po' più liberi. E i mafiosi, molto meno sicuri della loro impunità.


BAVAGGHIU<br />

I Siciliani, aprile 1995<br />

La Sicilia fra tutte le regioni d'Italia è quella che ha <strong>da</strong>to il più gran<br />

numero di giornalisti uccisi nel compimento del proprio dovere. I giornalisti<br />

hanno, a loro tutela: un sin<strong>da</strong>cato unitario, che è la Fnsi, un Ordine<br />

professionale, un direttore di testata che, loro collega, dovrebbe in linea di<br />

massima proteggere i loro interessi contro chiunque.<br />

Dei giornalisti uccisi, Peppino Impastato (1978) non ebbe alcuna tutela in<br />

quanto non iscritto all'Ordine; molti colleghi si esercitarono liberamente a<br />

<strong>da</strong>rgli del terrorista. Mario Francese, cronista del Giornale di Sicilia, fu<br />

ucciso mentre in<strong>da</strong>gava su una questione di mafia; ma i proprietari del suo<br />

giornale, in un'intervista, misero in dubbio la matrice mafiosa della sua<br />

morte, senza reazioni apprezzabili <strong>da</strong> parte dei colleghi. Al funerale di<br />

Giuseppe Fava, nel 1984, sin<strong>da</strong>cato e Ordine nazionale dei giornalisti<br />

furono assenti. Lo stesso per Mauro Rostagno, con la motivazione che non<br />

era regolarmente iscritto all'Ordine.<br />

Non era regolarmente iscritto neanche Giuseppe Alfano, solitario<br />

corrispondente de La Sicilia <strong>da</strong> Barcellona, ucciso <strong>da</strong>i mafiosi; lo iscrissero<br />

alla memoria dopo la morte, concedendogli finalmente di diventare un<br />

giornalista "vero". Il giudice che in<strong>da</strong>gava sul suo assassinio dovette su<strong>da</strong>r<br />

sette camicie per farsi <strong>da</strong>re, <strong>da</strong>l suo giornale, gli articoli che gli servivano<br />

per in<strong>da</strong>gare; poté averli solo minacciando il ricorso a mezzi legali. E così<br />

via. Tutto questo per dire che, se la storia dei giornalisti siciliani è spesso -<br />

individualmente - una storia gloriosa, non lo è altrettanto quella dei loro<br />

organi collettivi e dei loro giornali.<br />

"A Catania, i giornalisti sapevano quel che succedeva, ma non si<br />

comportavano di conseguenza - ha dichiarato il 7 aprile il magistrato della<br />

Direzione distrettuale antimafia Amedeo Bertone - E anche questo ha<br />

contribuito a far divampare gli omicidi e la guerra di mafia". Ma <strong>da</strong>vvero il<br />

livello civile dell'informazione a Catania è così basso? Davvero gli organi<br />

che dovrebbero farsene garanti - sin<strong>da</strong>cato dei giornalisti, Ordine<br />

professionale - non se ne sono accorti? Due casi gravissimi, occorsi<br />

recentemente, dovrebbero far riflettere anche loro.<br />

Il primo e più clamoroso è quello - risultante <strong>da</strong> atti giudiziari - del<br />

giornalista de La Sicilia Concetto Mannisi. Il quale, avendo scritto un<br />

articolo sul mafioso Ercolano, viene convocato <strong>da</strong>l direttore Mario Ciancio<br />

in presenza dello stesso Ercolano, severamente re<strong>da</strong>rguito e invitato -<br />

sempre in presenza del mafioso - a non usar più il termine "mafioso". Mario<br />

Ciancio fa tuttora parte dell'Ordine dei giornalisti. Non risulta che Ordine o


sin<strong>da</strong>cato abbiano avviato provvedimenti nei suoi confronti. Un'in<strong>da</strong>gine è<br />

stata invece aperta sull'"operato della collega A<strong>da</strong> Mollica", chiamata<br />

formalmente a rispondere - <strong>da</strong>l presidente dell'Ordine dei giornalisti di<br />

Sicilia - dell'articolo in cui aveva riportato l'episodio.<br />

Circa un anno fa, si ebbe l'episodio - altrettanto grave - del tentativo di<br />

depistaggio operato <strong>da</strong>l giornalista de La Sicilia Toni Zermo sulle in<strong>da</strong>gini<br />

per l'omicidio Giuseppe Fava. I giudici in<strong>da</strong>gavano su un pentito di mafia,<br />

Maurizio Avola, che aveva reso gravissime testimonianze sul cavaliere del<br />

lavoro Gaetano Graci, e sul possibile suo ruolo nell'omicidio Fava. Mentre i<br />

giudici vagliavano gli elementi forniti <strong>da</strong> costui, Zermo pubblicò con grande<br />

evidenza una serie di false "dichiarazioni" del pentito, platealmente<br />

inattendibili ("Ho ucciso il generale <strong>da</strong>lla Chiesa!") e tali <strong>da</strong> gettare una luce<br />

d'inattendibilità anche sulle vere dichiarazioni che Avola aveva in realtà<br />

fatto.<br />

Contro quest'operazione di depistaggio, chiaramente in malafede e non<br />

giustificabile <strong>da</strong> alcun precedente giornalistico, i magistrati della Procura<br />

protestarono con insolita veemenza. Il segretario dell'Associazione siciliana<br />

della Stampa, Antonio Ravidà, non prese alcun provvedimento nei confronti<br />

di Zermo, e ritenne anzi opportuno assicurargli, a nome della categoria, la<br />

propria pubblica soli<strong>da</strong>rietà. Il comitato di re<strong>da</strong>zione de La Sicilia si associò<br />

anch'esso alle posizioni di Zermo. Costui, già nel 1984, aveva condotto una<br />

campagna per escludere la matrice mafiosa dell'omicidio di Fava<br />

(accomunato, nei suoi articoli, a un personaggio come Pecorelli). Neanche<br />

allora il sin<strong>da</strong>cato dei giornalisti siciliani o i colleghi di re<strong>da</strong>zione di Zermo<br />

avevano ritenuto opportuno censurare l'operato del collega.<br />

"In Italia dobbiamo smetterla perché i polveroni non pagano. Nessuno<br />

vuole limitare la libertà di stampa. Solo che dobbiamo noi giornalisti<br />

rispettare le leggi, stare alle regole del gioco. Qui non si tratta di essere pro<br />

o contro Berlusconi. Qua si tratta di stabilire le regole del gioco. E noi<br />

giornalisti italiani, spesso, queste regole le dimentichiamo". Un anno fa, il<br />

collega Antonio Ravidà - sempre a nome dell'Associazione siciliana della<br />

stampa: e dunque, teoricamente, a nome di tutti i giornalisti onesti, compresi<br />

noi dei Siciliani... - rispose con queste righe alla sollevazione generale<br />

scatenata <strong>da</strong>l decreto "salva-ladri" di Silvio Berlusconi. Il decreto, che<br />

conteneva molte e gravi limitazioni alla libertà di stampa, fu ritirato<br />

velocemente per l'opposizione suscitata in tutte le categorie interessate, a<br />

cominciare <strong>da</strong>l sin<strong>da</strong>cato dei giornalisti nazionale, e di tutti quelli regionali<br />

ad eccezione del siciliano. Alcuni colleghi dichiararono, in quest'occasione,<br />

Ravidà "indegno di rappresentare la categoria dei giornalisti siciliani" e<br />

chiesero le sue dimissioni. Nella re<strong>da</strong>zione de La Sicilia di Zermo, solo una


giovane cronista si associò ad essi. Quanto a Zermo, è attualmente<br />

impegnato a scrivere pensosi articoli sulle malefatte del cavaliere Graci -<br />

ormai definitivamente caduto in disgrazia - dopo esserne stato per circa<br />

quindici anni uno dei più fedeli servitori.<br />

(Qualche settimana fa, il sin<strong>da</strong>cato dei giornalisti siciliani ha organizzato<br />

a Villa Igea a Palermo, un bel convegno su temi di giornalismo economico.<br />

Il pubblico nei momenti di maggiore affollamento non superava le quindici<br />

persone. Alla fine sono arrivati un paio di assessori della Regione entrambi<br />

abbon<strong>da</strong>ntemente inquisiti, hanno stretto la mano al segretario, hanno porto<br />

i loro ossequi alla signora - la signora Ravidà, di mestiere, fa proprio<br />

questo: organizzare congressi - e se ne sono an<strong>da</strong>ti)<br />

A Messina dopo la morte di Stelio Vitale Modica, buon giornalista sempre<br />

pronto a difendere i colleghi, il sin<strong>da</strong>cato è retto <strong>da</strong> Italia Moroni Cicciò. La<br />

signora Cicciò ha fatto campagna elettorale per il Polo delle Libertà. Di<br />

recente è stata nominata <strong>da</strong>lla Provincia (il cui presidente è di Alleanza<br />

nazionale) come componente del consiglio d'amministrazione dell'Ente<br />

Teatro. All'Ente Teatro (dove non sono stati espletati i concorsi per formare<br />

l'ufficio stampa) fa funzioni di consulente stampa Lorenzo Genitori, critico<br />

musicale della Gazzetta. L'Ente Teatro gestisce tra l'altro il teatro lirico<br />

Vittorio Emanuele, e ciò significa in sostanza che Genitore, sul giornale,<br />

può fare la critica del suo stesso teatro. Per anni, all'Ente Fiera, l'ufficio<br />

stampa è stato tenuto <strong>da</strong> Sandro Rolla, capocronista della Gazzetta. A<br />

Messina, più in generale, gli uffici stampa pubblici sono molto spesso<br />

irregolari per difetto di assunzioni. La gente che ci lavora scrive comunicati,<br />

ma nella maggior parte dei casi non è giornalista. Si è parlato per molto<br />

tempo di fare concorsi. La Provincia li ha banditi, ma non li ha ancora<br />

espletati. Se si considera, <strong>da</strong> un lato, che in Sicilia ci sono decine di<br />

professionisti disoccupati; e, <strong>da</strong>ll'altro, che è almeno di dubbio gusto<br />

affi<strong>da</strong>re le cronache giornalistiche a colleghi che ricevono emolumenti a<br />

vario titolo <strong>da</strong> enti pubblici e privati; si può ben intendere che tipo di lavoro<br />

andrebbe fatto - e non è mai stato fatto - a Messina a tutela della professione<br />

giornalistica.<br />

A Palermo, la proprietà del principale giornale cittadino, il Giornale di<br />

Sicilia, ha una tradizione molto antica di buon vicinato con esponenti<br />

politici - Lima, i Salvo, fino a un certo periodo Ciancimino - legati a Cosa<br />

Nostra. Un esponente della famiglia Ardizzone, editrice del giornale, faceva<br />

parte della loggia massonica coperta di via Roma insieme con "uomini di<br />

panza" della vecchia mafia. All'inizio degli anni Ottanta acquisirono<br />

influenza sulla proprietà il cavaliere catanese Costanzo e l'editore catanese<br />

Mario Ciancio, e questo non contribuì a spostare in senso antimafioso la


linea politica del giornale.<br />

Celebri le campagne del giornale contro il pool antimafia di Falcone e<br />

Borsellino, affi<strong>da</strong>te alle penne del condirettore Giovanni Pepi (la direzione<br />

formale era ed è tuttora tenuta <strong>da</strong> un Ardizzone), del giudice Enzo Geraci e<br />

del corsivista - diventato in tempi recenti capo di gabinetto del ministero<br />

della Giustizia sotto Biondi - Vincenzo Vitale. Crollato il vecchio sistema di<br />

potere, Ardizzone e soci cercarono, con poca fortuna, di avviare alla meglio<br />

un tentativo di riqualificazione del giornale, sulle cui mo<strong>da</strong>lità e sui cui esiti<br />

valgono le lapi<strong>da</strong>rie parole - "Ora quelle serpi mi sorridono" - della sorella<br />

del giudice Falcone.<br />

Nonostante l'assenza di prese di posizione ufficiali, la re<strong>da</strong>zione del<br />

Giornale di Sicilia è probabilmente oggi l'unica, fra quelle dei quotidiani<br />

siciliani, in cui l'oltranzismo diciamo così conservatore della proprietà abbia<br />

suscitato qualche protesta, o almeno qualche mugugno, <strong>da</strong> parte di gruppi<br />

consistenti di re<strong>da</strong>ttori. Nell'ottobre '92 destarono qualche scalpore i risultati<br />

dell'elezione dei rappresentanti all'interno della re<strong>da</strong>zione. Vennero eletti nel<br />

comitato di re<strong>da</strong>zione il proprietario del giornale, Antonio Ardizzone, e il<br />

suo braccio destro, Giovanni Pepi: caso unico nella storia dei movimenti<br />

sin<strong>da</strong>cali, non essendo fin allora mai avvenuto che dei lavoratori<br />

delegassero il padrone a rappresentarli di fronte al padrone. Adesso, nei<br />

corridoi del giornale, alcuni re<strong>da</strong>ttori osano mettere in discussione - almeno<br />

fra persone fi<strong>da</strong>te - lo jus primae vocis fin qui pacificamente esercitato <strong>da</strong>lla<br />

proprietà.<br />

Se fino a ieri Palermo e Catania erano, <strong>da</strong>l punto di vista dell'autonomia<br />

professionale, particolarmente arretrate rispetto al resto del paese, adesso<br />

rischiano di venir prese a modello e di costituire anzi, <strong>da</strong> questo punto di<br />

vista, l'esempio del giornalismo dell'avvenire.<br />

Alle ultime trattative per il rinnovo del contratto di lavoro, la Federazione<br />

degli editori ha presentato un articolo (prontamente respinto, a onor del<br />

vero, <strong>da</strong>lla controparte) in cui si richiede senz'altro un "contratto di<br />

formazione e lavoro" per giovani a partire <strong>da</strong>i sedici anni che dovrebbero<br />

svolgere mansioni paragiornalistiche in cambio di uno stipendio inferiore<br />

alla metà di quello dei giornalisti "regolari", e restando soggetti al<br />

licenziamento senza spiegazioni dopo ventiquattro mesi. La codificazione<br />

ufficiale insomma della figura dello schiavo di re<strong>da</strong>zione, la<br />

regolamentazione per legge del lavoro nero e l'abolizione delle residue<br />

garanzie di autonomia professionale. E' vero che in molte regioni d'Italia il<br />

livello di coscienza sin<strong>da</strong>cale delle re<strong>da</strong>zioni, è abbastanza dissimile <strong>da</strong><br />

quello che si riscontra in Sicilia. Ma è anche vero che l'offensiva è<br />

massiccia, e che gran parte delle resistenze - specie nei giornali locali - sta


venendo meno. Alcuni casi emblematici? L'Unione Sar<strong>da</strong>, dove l'editore ha<br />

impiegato sistematicamente le nuove tecnologie (valendosi, a quanto ci<br />

risulta, di specialisti provenienti <strong>da</strong>lla Fininvest) per accentrare al massimo<br />

il ciclo di lavorazione e cancellare ogni influenza dei giornalisti su di esso;<br />

la Notte, dove Berlusconi ha rapi<strong>da</strong>mente acquisito e ucciso il rozzo ma<br />

temibile concorrente (vedi box a pagina 5) del suo Giornale; la Voce di<br />

Montanelli, strangolata - nell'interesse di Berlusconi - <strong>da</strong>llo stampatore.<br />

L'introduzione delle nuove e nuovissime tecnologie, in questo senso, pone<br />

non solo a gruppi isolati di bastian contrari, ma massicciamente all'insieme<br />

della categoria un'alternativa piuttosto brutale: o subire il restringimento<br />

degli spazi, accettare i nuovi ruoli ormai esclusivamente servili che ai<br />

giornalisti vengono assegnati <strong>da</strong>l nuovo modello editoriale; o valersi<br />

spregiudicatamente delle tecnologie, impadronirsene creativamente, porsi in<br />

condizione di potere a un bisogno confezionare, senza bisogno di strutture<br />

esterne, tutta la fase di prestampa dell'intero giornale e utilizzare questa<br />

condizione tecnica o come presidio nei confronti dell'editore o, in caso di<br />

bisogno, per mettersi au<strong>da</strong>cemente in proprio e fare un giornale libero senza<br />

editore. Perché il lettore ha diritto, qualunque cosa pensino i giornalisti e<br />

qualunque gli editori, ad avere notizie oneste, che non dipen<strong>da</strong>no <strong>da</strong>l<br />

capriccio di un singolo, che non servano interessi. Quando questo non<br />

avviene, il lettore se la prende col giornalista, non con l'editore: e in fondo è<br />

giusto, perché è al giornalista, prima che a chiunque altro, che il lettore<br />

chiede di non essere imbrogliato.<br />

In Sicilia, l'alternativa in realtà non esiste perché le intenzioni degli attuali<br />

editori, di accentramento totale e senza condizioni, sono fin troppo chiare. A<br />

Catania son già allo studio, secondo indiscrezioni, progetti di integrazione<br />

di una parte del ciclo di lavorazione con parte del ciclo di lavorazione di<br />

altri quotidiani siciliani. Un processo di sinergia molto spinta, secondo le<br />

nostre valutazioni, renderà entro un anno praticamente indistinguibili<br />

almeno due dei tre quotidiani oggi esistenti. Tutti e tre già oggi sono<br />

pubblicitariamente - e quindi finanziariamente - sotto l'egemonia<br />

(supportata <strong>da</strong>lla Pubblikompass di Agnelli) di Mario Ciancio.<br />

Il momento è gravissimo, per la libertà di stampa in Sicilia; il più grave<br />

che mai si sia avuto, peggiore persino di quando i mafiosi giravano<br />

tranquillamente per gli uffici della Sicilia in viale Odorico <strong>da</strong> Pordenone,<br />

spalancandone le porte a calci quando avevano <strong>da</strong> notificare qualcosa,<br />

peggiore di quando il giornale di Sicilia faceva le sue campagne "garantiste"<br />

per Salvo Lima, contro Falcone e Orlando. Nessuno si illu<strong>da</strong> che il nuovo<br />

monopolio editoriale sia per avere posizioni più "moderne" rispetto ai<br />

vecchi padroni. Perché il cervello di esso è Mario Ciancio, e Ciancio è


quello che non solo nell'84, non solo in questi dieci anni, ma ancora in<br />

questi mesi ha difeso a spa<strong>da</strong> tratta il cavaliere mafioso Gaetano Graci,<br />

arrivando a pubblicare notizie false pur di cercare di salvarlo <strong>da</strong>lla galera.<br />

Agli editori nazionali toccherebbe ora la responsabilità di non farsi<br />

supportatori - come deplorevolmente avviene oggi: ed è un'altro gravissimo<br />

debito che gl'industriali del nord assumono oggi nei confronti dei Siciliani -<br />

di operazioni che, limitando la libertà di stampa in una regione, finiranno<br />

per limitarla in tutte. Ma su questo c'è <strong>da</strong> farsi poche illusioni: quasi tutti i<br />

quotidiani nazionali, persino quelli di editori democratici come Caracciolo,<br />

hanno a suo tempo rinunciato alle loro edizioni siciliane pur di non entrare<br />

in conflitto con gl'interessi costituiti locali.<br />

Ai giornalisti professionisti siciliani, invece, competerebbe in<br />

quest'emergenza la responsabilità di sollevarsi d'un tratto <strong>da</strong>llo stato di<br />

subalternità in cui si trovano, ormai <strong>da</strong> decenni, per dire finalmente una loro<br />

parola sullo stato dell'informazione in questa regione. Anche qui, c'è poco<br />

<strong>da</strong> farsi illusioni. Ma con una differenza: che mentre un Caracciolo o un<br />

Agnelli possono giocare, in questa circostanza, con la pelle altrui, per i<br />

giornalisti siciliani - compresi i più distratti - ci va di mezzo il proprio<br />

avvenire. Qualcuno ha un'idea di quel che vorrebbe dire, per ciascuno di<br />

loro, un quadro informativo siciliano ridotto di fatto a un'unica testata, in<br />

mano agli amici di Graci? Si salverebbero solo, e letteralmente, i più servili.<br />

Qualunque pur vaga velleità di autonomia professionale, o anche di<br />

semplice rivendicazione della dignità professionale, sarebbe semplicemente<br />

spazzata via. Il mondo dell'informazione in Sicilia sarebbe brutalmente<br />

trasformato in una rozza macchina per imbrogliare.<br />

Ci sono ancora dei mesi, forse addirittura un anno, durante i quali è<br />

ancora possibile rovesciare la situazione. Recuperare il ruolo del sin<strong>da</strong>cato,<br />

isolare gli uomini del padrone, <strong>da</strong>r spazio ai giovani giornalisti, cominciare<br />

a fare liberamente il proprio mestiere anche dove liberamente non s'è fatto<br />

mai. Se fossimo ottimisti, diremmo che se ne potrebbe parlare al sin<strong>da</strong>cato.<br />

Ma ottimisti non siamo.


DUE ANNI DOPO<br />

I Siciliani, aprile 1995<br />

Son passati due anni <strong>da</strong>ll'inizio di questa nuova serie dei Siciliani. Due<br />

anni fa, la situazione era ben diversa <strong>da</strong> quella di ora. Finiva il tempo di<br />

Craxi; le battaglie antimafia - portate avanti <strong>da</strong> una piccola ma non<br />

trascurabile minoranza - sembravano vicine a raccogliere il frutto dei<br />

sacrifici di dieci anni; il crollo della democrazia cristiana apriva le<br />

condizioni per una svolta complessiva in senso più civile e democratico. Più<br />

importanti di tutto, le discussioni nei bar: anche i cittadini più qualunquisti<br />

erano finalmente giunti a rispettare e ammirare un Falcone, un Carlo<br />

Palermo, un Borsellino, ad acquisire - <strong>da</strong>ll'esempio loro, e di centinaia di<br />

altri militanti come loro - un nucleo rudimentale d'identità collettiva e di<br />

coscienza civile; fra i giovani, specialmente, questo processo sembrava<br />

ormai acquisito. Quanto ai vecchi politici, alcuni - come Craxi - si<br />

preparavano a riparare all'estero; altri - come Cossiga - cercavano di mettere<br />

a frutto gli scheletri nei propri e negli altrui armadi per ritagliarsi un ruolo<br />

nel mondo nuovo; la più parte, frastornata e confusa, cercava di farsi notare<br />

il meno possibile.<br />

L'Italia che abbiamo tratteggiato è quella del 1992; oppure anche,<br />

mutando alcuni non sostanziali elementi, quella del 1922. Svolta a <strong>sinistra</strong><br />

gioiosamente minacciata ma non preparata seriamente; sban<strong>da</strong>mento del<br />

vecchio ceto politico ma non maturazione di uno <strong>da</strong>vvero nuovo; coscienza<br />

d'una vaga necessità di rinnovamento nella nazione ma senza concreti<br />

sbocchi politici e senza soprattutto un parallelo e diffuso risorgimento<br />

morale. "Autobiografia della nazione", scrisse Piero Gobetti per il primo<br />

fascismo. E noi non avremmo nulla <strong>da</strong> aggiungere per quello d'oggigiorno.<br />

In questo quadro, tuttavia, Berlusconi è D'Annunzio, non ancora<br />

Mussolini. E' colui che per primo ha saputo intuire - grazie alla buona<br />

pratica nel campo della comunicazione - gli umori anarcoidi dell'Italia<br />

profon<strong>da</strong>, che ha saputo <strong>da</strong>r loro una dignità di "politica", che ha insegnato<br />

ai più poveri spiritualmente e ai peggiori a non vergognarsi di se stessi.<br />

Come D'Annunzio, questo insegnamento l'ha condotto assai più con i gesti<br />

personali che non con gli elaborati politici, riuscendogli questi ultimi in<br />

genere malmasticati e infelici: come D'Annunzio, en passant, ha profittato<br />

dell'occasione per liberarsi dei concorrenti e creditori personali e bollarli<br />

anzi d'infamia come traditori della patria; come D'Annunzio, infine, ha<br />

potuto semplicemente aprire una porta, ma non attraversarla.<br />

Mussolini (come il mussolini che seguirà a Berlusconi) invece ci riuscì:<br />

sul terreno individuato <strong>da</strong> D'Annunzio, e sulle patologie sociali che costui


aveva risvegliato, egli gettò un'esperienza organizzativa e un'abilità tattica<br />

<strong>da</strong> vecchio politico (<strong>da</strong> uomo della prima repubblica, diremmo oggi),<br />

utilizzando largamente i ricatti cui le vecchie forze politiche erano, per loro<br />

storia, soggette e di cui egli era esperto ma tuttavia presentandosi, di fronte<br />

alla nazione incolta, come uomo nuovo; servendo senza ritegno il gran<br />

capitale, ma in nome di fumosi ideali "soli<strong>da</strong>ristici" (allora si diceva<br />

"corporativi") e popolari; bastonando selvaggiamente la <strong>sinistra</strong>, ma tuttavia<br />

presentandole, quando lo richiedesse la tattica, i suoi bravi "patti di<br />

pacificazione"; utilizzando sistematicamente la violenza delle "frange<br />

incontrollabili" e dei servizi deviati, ma puntando essenzialmente sul<br />

controllo monopolistico dei grandi mezzi di comunicazione. Un mussolini<br />

ora forse c'è già, e potrebbe essere Cossiga. Ma il nome, a questo punto, non<br />

ha grande importanza.<br />

Noi siamo ripartiti, due anni fa, fi<strong>da</strong>ndo in alcune precise idee: delle quali<br />

ritenevamo d'essere una punta avanzata, e sia pur radicale, non una pattuglia<br />

perduta. Credevamo - e crediamo tuttora: perché non si tratta d'idee che<br />

possano essere mercanteggiate col variare della convenienza - che <strong>da</strong>l<br />

vecchio regime non si possa uscire senza una svolta radicale e profon<strong>da</strong><br />

della politica e della coscienza nazionali; che di tale svolta un'efficace ed<br />

esemplare prefigurazione si sia avuta in Sicilia negli anni alti del<br />

movimento antimafioso; che di quegli anni e di quella lotta i protagonisti <strong>da</strong><br />

incoraggiare e imitare siano stati i giovani, le donne, gli amministratori di<br />

base, i magistrati fedeli, le avanguardie civili del popolo insomma, non i<br />

politici di mestiere; che questi ultimi, in Sicilia e altrove, abbiano avuto e<br />

possano avere un senso solo se e in quanto riescano a farsi espressione di<br />

questi movimenti <strong>da</strong>l basso, con<strong>da</strong>nnandosi diversamente alla sterilità, al<br />

parassitismo e alla sconfitta.<br />

Credevamo ancora, e tuttora crediamo, che in questa battaglia civile una<br />

parte essenziale, e probabilmente la maggiore, debba essere combattuta sul<br />

terreno dell'informazione: un'informazione agile, concreta, non demagogica,<br />

lontana <strong>da</strong>i corridoi e <strong>da</strong>i palazzi (compresi quelli di <strong>sinistra</strong>) ma permeabile<br />

invece alla partecipazione dei cittadini, capace tecnicamente e moralmente<br />

di farsi contemporaneamente scuola di giornalismo e d'impegno civile.<br />

Credevamo - e crediamo fermissimamente tuttora - che non mancassero in<br />

astratto le forze per una simile impresa. In quindici anni di giornalismo<br />

militante, abbiamo visto molti giovani crescere attorno ai Siciliani; e molti<br />

di più son quelli che, nelle varie regioni e città d'Italia, a volte isolatamente<br />

a volte aggregandosi a questo o quel punto di riferimento parziale, hanno<br />

saputo unire (o avrebbero potuto, se appena ne avessero avuto l'occasione)<br />

rigore tecnico e coscienza civile. Perché lasciare tutta questa ricchezza ai


padroni? Perché non cercar di coordinare, raccogliere, organizzare in un<br />

progetto di lunga lena tutte queste energie, che insieme potrebbero cambiare<br />

il volto dell'informazione in Italia e lasciate a se stesse vengono riassorbite o<br />

sban<strong>da</strong>te a una a una?<br />

Questi obbiettivi abbiamo cercato di perseguire in tempi - relativamente -<br />

più facili, e questi intendiamo portare avanti anche adesso. Il piccolo popolo<br />

dei nostri amici ben sa di quanta determinazione e costanza di ci sia stato<br />

bisogno finora, e quante ne occorreranno in futuro. Non disgiunte, peraltro,<br />

<strong>da</strong> uno forte spirito unitario e di cooperazione, perché la battaglia dei<br />

Siciliani è troppo importante e vasta perché sia concepibile di condurla <strong>da</strong><br />

soli. In questo senso, riteniamo urgentissimo un incontro che faccia il punto,<br />

fra tutti i giornalisti e i cittadini interessati al problema, sullo stato<br />

dell'informazione libera al Sud, e abbiamo già chiesto ai colleghi del<br />

Gruppo di Fiesole di farsi insieme a noi promotori di un'assemblea -<br />

operativa - su questo tema. Tempi strettissimi, perché la secon<strong>da</strong> fase -<br />

quella mussoliniana - già avanza.


DIVIDIAMOCELI NOI<br />

I Siciliani, maggio 1995<br />

A Palermo, nei giorni di Falcone. Quest'anno, per la prima volta, non ci<br />

sarà la manifestazione contro la mafia - non ci sarà solo quella. Ci sarà<br />

soprattutto, e dopo tanti anni finalmente se ne vedono le condizioni, il<br />

lavoro di ricostruzione per il dopomafia. I ragazzi di Palermo che<br />

"adottano" i monumenti e i quartieri di Palermo, non <strong>da</strong> soli, ma con gli<br />

artigiani, i commercianti, i maestri di scuola, i lavoratori, con la parte<br />

migliore della città, sono un segnale preciso che qualcosa di profondo è<br />

an<strong>da</strong>to avanti. Riina è in galera, Graci è in attesa di entrarci e Andreotti ci<br />

finirà prima o poi. Quelli di adesso, al tempo.<br />

Certo, la nostra "politica" non ha vinto finora, a livello istituzionale. Non<br />

c'è più il giudice Carnevale, ma c'è la Tiziana Parenti. C'è Berlusconi, c'è<br />

Fini, c'è Cossiga. "Cambiare tutto per non cambiare niente"... Tutto è<br />

tornato come prima? No. L'operazione del Gattopardo è riuscita ai politici,<br />

ma non è riuscita, o lo è solo in parte, nel profondo della società. Berlusconi<br />

e compari sono riusciti a ingannare per un paio d'anni il popolo italiano. Ma<br />

solo per un paio d'anni. Poi, la corrente ha ricominciato a scorrere,<br />

faticosamente. Le ultime elezioni dicono qualcosa. E qualcosa dice anche il<br />

fatto che gli studenti di Palermo, dopo dieci anni di lotta, possano<br />

cominciare adesso a ricostruire.<br />

Certo, non è all'altezza la <strong>sinistra</strong> ufficiale, non è all'altezza la cultura dei<br />

"patti", delle divisioni intestine, dei salotti "democratici", delle campagne<br />

elettorali "all'americana". Ma questi sono i particolari transeunti, che prima<br />

o poi verranno superati. Persino con Veltroni e con Prodi, la <strong>sinistra</strong> riuscirà<br />

a prevalere. Per intanto nel referendum, dove non c'è Prodi né Veltroni.


PALERMO, EUROPA<br />

I Siciliani, maggio 1995<br />

Un gruppo di studenti sta conducendo un'inchiesta su un monumento<br />

della sua città. Questa città non è Zagabria né Sarajevo ma è stata in guerra<br />

per molto tempo. E' stata inoltre abbandonata, per moltissimi anni, a un<br />

governo d'occupazione, comprendente dei collaborazionisti locali ma<br />

composto essenzialmente <strong>da</strong>i funzionari del nemico. E', infine, una città<br />

povera, dove pochi privilegiati se la spassano fra ricchezze d'ogni genere<br />

mentre la gran massa della gente fatica a sbarcare il lunario.<br />

Tutto ciò considerato, non desta stupore che il monumento su cui i nostri<br />

studenti stanno facendo i loro studi - poniamo, un'antica portale barocca -<br />

sia circon<strong>da</strong>to <strong>da</strong>lle erbacce e pressoché in rovina. (Una parte non piccola<br />

della popolazione, dimenticavamo d'aggiungere, rimpiange ancora il tempo<br />

dell'occupazione: borsari neri, pescicani, spie, ed anche poveracci<br />

qualunque che rimpiangono i pezzi di carne distribuiti <strong>da</strong>i sol<strong>da</strong>ti, nei giorni<br />

di festa, <strong>da</strong>vanti alle caserme). Dei ragazzi, alcuni tirano via le erbacce, altri<br />

schizzano un'assonometria del portale. "Ma quel vuoto in alto - fa uno -<br />

cos'è?". Difatti, a un esame più ravvicinato, un tratto del portale risulta<br />

consunto o raschiato, come se avesse ospitato un bassorilievo che ora non<br />

c'è più. (A poche decine di metri <strong>da</strong>l punto dove stanno lavorando i ragazzi,<br />

c'è il luogo in cui gli occupanti truci<strong>da</strong>rono, pochi anni addietro, degli<br />

uomini della Resistenza. Di tali luoghi è costellata tutta la città). Del<br />

bassorilievo, tuttavia, non resta il minimo frammento.<br />

Qualche giorno più tardi, grazie a una ricerca in biblioteca d'istituto, gli<br />

studenti scoprono che il bassorilievo non c'è perché in effetti sui portali<br />

coevi, eretti per celebrare i fasti di viceré e sovrani del diciassettesimo<br />

secolo, si usava ridurre al minimo le decorazioni marmoree (di lunga e<br />

costosa esecuzione), utilizzando i più economici e veloci, e d'effetto<br />

scenografico non minore, manufatti di stucco. Rapido <strong>da</strong> modellare e docile<br />

alla fantasia, di poco prezzo, alla portata dell'artista di quartiere, esso<br />

costituì il materiale d'elezione, nella nostra città, per la creatività del<br />

Seicento; fu esso a ingentilire e a render per così dire solare il severo<br />

barocco ideologico imposto <strong>da</strong>gli occupanti d'allora.<br />

La città divenne così - imparano giorno dopo giorno i ragazzi - la capitale<br />

internazionale dello stucco. Alcuni degli artigiani dei quartieri divennero<br />

famosi in tutt'Europa, e fon<strong>da</strong>rono un'arte e un mestiere che resero<br />

orgogliosa la città per generazioni. Come i pescatori, i macellai, i ferraioli e<br />

gli altri lavoratori, gli stuccatori avevano una loro piccola corporazione che<br />

ne tutelava i diritti; serviva <strong>da</strong> base ai malcontenti in tempo di rivolta al


malgoverno; in tempo di guerra, le veniva affi<strong>da</strong>to un tratto delle mura<br />

cittadine perché le difendesse. Anni - studiano ancora i ragazzi - in cui il<br />

popolo si ribellava spesso: una volta, a metà del diciassettesimo secolo,<br />

riuscì a cacciar via per una stagione almeno gli occupanti e i loro sbirri; non<br />

la prima, né l'ultima, rivolta di quell'antica città e di quei quartieri.<br />

Il mestiere di stuccatore, fino a pochi anni fa, viveva ancora. Poi l'hanno<br />

ucciso le plastiche, l'incuria dei governanti, il torpore di un popolo che,<br />

sotto dominazione, cominciava a dimenticarsi di ciò che in tempi più felici<br />

aveva fatto e di ciò che era stato. Ora tuttavia, dopo la guerra, la dignità del<br />

passato tornava ad essere nebulosamente percepita. Così i nostri ragazzi,<br />

parlando con i bottegai della zona, ne trovarono finalmente uno che si<br />

ricor<strong>da</strong>va, sì, degli stuccatori; e conosceva anzi un vecchio - ma vecchio di<br />

quelli vecchi, uno che a mala pena ci vedeva - che forse, una diecina d'anni<br />

fa, ci aveva avuto a che fare.<br />

Così, due giorni dopo - due giorni di paziente in<strong>da</strong>gine nel quartiere, e<br />

contemporaneamente di studi storici, di schizzi <strong>da</strong>l vivo, di estirpazione<br />

delle erbacce - ecco cinque ragazzi della nostra scuola che si presentano<br />

nell'ex-bottega, e ormai sgangherata abitazione, di mastro Domenico<br />

Licausi, artigiano stuccatore. E' dodici anni ormai che mastro Domenico è<br />

in pensione. Ed è <strong>da</strong> allora che nessuno gli parla più del suo mestiere. Ma<br />

dietro la ten<strong>da</strong> a fiori ci sono ancora due dei modelli di allora. Il vecchio<br />

leva <strong>da</strong>l tavolo gli avanzi del pranzo del giorno prima, prende uno<br />

strofinaccio pulito e tira via la polvere, spessa due dita, <strong>da</strong>l primo dei<br />

modelli. Lo prende con delicatezza e lo posa sul tavolo. "Talè: var<strong>da</strong>ti 'stu<br />

travagghiu...".<br />

Questa storia è successa, sta succedendo ancora e continuerà a succedere<br />

nei prossimi anni in una città d'Europa che è Palermo. A Palermo, in questo<br />

preciso momento, un gruppo di giovani sta riportando in vita, con l'aiuto di<br />

vecchi artigiani, l'arte di stuccatore. Un centinaio di monumenti di Palermo<br />

sta venendo recuperato grazie al lavoro di alcune centinaia di studenti<br />

palermitani. Bottegai, artigiani, parrocchie, associazioni dei quartieri sono<br />

mobilitati per <strong>da</strong>re una mano agli studenti. Sarà un lavoro lungo, ma è un<br />

lavoro iniziato.<br />

Nella città dell'antimafia Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito<br />

Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, Paolo Borsellino, Emanuela<br />

Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Vincenzo Li Muri e Claudio Traina,<br />

quest'anno verranno ricor<strong>da</strong>ti così. Lavorando, ricostruendo - dopo tante<br />

battaglie - qualcosa.<br />

Non succede nulla di più importante, in questo momento in Italia, né di<br />

più politicamente decisivo. Lasciamo ai chiacchieroni le chiacchiere, ai


politicanti della Prima e della Secon<strong>da</strong> i loro giocarelli. Berlusconi, se ha<br />

tempo e voglia, si presenti <strong>da</strong>i giudici a spiegare se sa qualcosa dei traffici<br />

d'armi dei suoi caporioni siciliani. Se ha tempo; se no, prima o poi, ce lo<br />

porteranno i carabinieri. Fini, se ne ha tempo e voglia, si pulisca <strong>da</strong>lla faccia<br />

gli sputi che ci hanno lasciato i palermitani, <strong>da</strong>vanti alla cattedrale di<br />

Palermo, il giorno dei funerali di Borsellino. Se no, se ne va<strong>da</strong> pure in giro<br />

così com'è, a noi non fa né caldo né freddo.


PROMEMORIA<br />

maggio 1995<br />

Caro ***,<br />

spero di essere a Palermo per il 19; come ti ho detto, stiamo <strong>da</strong>ndo un<br />

certo rilievo al salto di qualità rappresentato <strong>da</strong>lle iniziative di Palermo<br />

Anno Uno. Subito dopo il 23, vorrei che vi riuniste e decideste su tre<br />

proposte specifiche, che secondo me dovrebbero impegnarci <strong>da</strong>lla fine di<br />

maggio in poi.<br />

Ritengo infatti che adesso i movimenti palermitani siano ormai maturi per<br />

cominciare a muoversi seriamente nel campo dell'informazione, con una<br />

cultura propria, un proprio uso delle tecnologie, una propria strategia<br />

complessiva che non si limiti a rosicchiare spazi nell'informazione ufficiale.<br />

Dal 23 maggio, dunque, noi Siciliani consideriamo di avere le associazioni<br />

di Palermo Anno uno fra i nostri "padroni" e intendiamo muoverci di<br />

conseguenza, con tutte le nostre forze e la nostra esperienza.<br />

- Sviluppare subito almeno due pagine autonome, e gestite direttamente<br />

<strong>da</strong> voi, all'interno dei Siciliani: per ora nel mensile, ma con la prospettiva di<br />

mantenerle stabilmente nel passaggio a settimanale, con l'intento immediato<br />

di fare dei Siciliani la voce immediata di Palermo Anno Uno. Queste pagine<br />

dovrebbero essere organizzate in modo tale <strong>da</strong> poter essere utilizzabili<br />

anche autonomamente, in modo <strong>da</strong> costituire uno strumento capillare<br />

d'intervento palermitano. Penserei di <strong>da</strong>rvi una delle gabbie preconfezionate<br />

(progettate in modo tale <strong>da</strong> essere gestibili con facilità, anche<br />

modularmente) che vengono attualmente usate <strong>da</strong>l Foglio degli Operai, <strong>da</strong><br />

ImmiNews e <strong>da</strong>gli altri fogli di base.<br />

- In più, sviluppare dei fogli di quartiere (un foglio A3 in bianco e volta,<br />

fotocopiato e non stampato, utilizzando le gabbie-base del Foglio degli<br />

Operai) in almeno due quartieri, come esperimento d'intervento più<br />

localizzato che dovrebbe continuare per tutta l'estate. Questo ci<br />

consentirebbe di cominciare a sviluppare delle esperienze di cronaca<br />

autogestita di quartiere <strong>da</strong> riversare in autunno nel settimanale e poi, quando<br />

sarà possibile, nel quotidiano.<br />

- Organizzare insieme lo stage di giornalismo di base che abbiamo<br />

progettato per Palermo (hanno già aderito na ventina di ragazzi). A livello<br />

d'immagine, vorrei presentarlo subito come stage organizzato <strong>da</strong> Palermo<br />

Anno Uno e <strong>da</strong>i Siciliani. Concretamente, vorrei <strong>da</strong>re allo stage un<br />

accentuato carattere di strumento per la formazione di operatori<br />

dell'informazione di base (volontariato, movimenti, esperienze di quartiere<br />

ecc.) nello spirito dei punti precedenti.


E' un'idea, io credo, assai vitale e destinata sicuramente ad espandersi,<br />

parallelamente alla crisi - ormai sotto gli occhi di tutti - dell'informazione<br />

ufficiale; abbiamo ricevuto molte richieste di organizzare dei corsi simili e<br />

dei giornali di questo tipo anche in altre regioni d'Italia, e contiamo di<br />

arrivarci a poco a poco (specie dopo che il settimanale ci <strong>da</strong>rà un punto di<br />

riferimento complessivo più visibile dell'attuale mensile). Vorremmo portare<br />

avanti quest'idea non <strong>da</strong> soli ma insieme alle associazioni palermitane, in<br />

modo <strong>da</strong> accentuarne il carattere non solo tecnico ma lato sensu "politico"<br />

fin <strong>da</strong>l momento dell'imprinting iniziale.<br />

Come vedi, di carne al fuoco ce n'è. Non è impegno <strong>da</strong> poco, perché tutto<br />

questo richiede non solo un lavoro organizzativo paziente e accurato ma<br />

anche un salto di qualità culturale (fuori <strong>da</strong>lle singole "botteghe", fuori <strong>da</strong>i<br />

ghetti) non indifferente. Ma io credo che ormai la situazione sia matura per<br />

farlo, e credo - come ti ho detto - che lo siate anche voi. E se una cosa si<br />

può fare, è un peccato non farla.


PROMEMORIA<br />

maggio 1995<br />

Caro ***<br />

queste più o meno sono le gabbie. Si trovano su QDue e, in backup, su<br />

QTre e sul syquest Numero in corso. Ti prego di mantenere costantemente<br />

aggiornate, e ordinate, quelle su QDue. Conviene che anche i testi siano<br />

raccolti, come luogo di riferimento, nell'apposita cartella in QDue. Se<br />

possibile, cerca di fare in modo che chi fa un pezzo si ren<strong>da</strong> conto della<br />

gabbia in cui andrà, e che chi vuole possa utilizzare QDue come luogo di<br />

scambio. In generale, sarebbe anche bene che ogni pezzo fosse corre<strong>da</strong>to <strong>da</strong><br />

una proposta di titolo.<br />

Le gabbie 4-13 (e in ispecie la 7 e la 11) subiranno probabilmente<br />

variazioni in relazione all'an<strong>da</strong>mento dei servizi e all'individuazione dei<br />

punti-titolo, e più in generale saranno - a quel punto - maggiormente<br />

articolate sul piano grafico. Le 19-23 e 26-32 potranno probabilmente<br />

restare come sono. Le 28-31 hanno foto scontornate e richiedono qundi (l'ho<br />

già detto a Claudio) una maggiore mavorazione e un'attenta scelta delle<br />

immagini. Le irregolarità delle cornici a 28-31 sono già state corrette.<br />

Sono ancora <strong>da</strong> definire pagina 14 e pagina 29 (il pezzo <strong>da</strong> Praga non mi<br />

sembra granché). Per la 22-23, vorrei aspettare di parlare con Paolo, e<br />

subordinatamente con Francesco, per vedere che idee hanno; in ogni caso,<br />

non credo che potremo definirle prima di mercoledì.<br />

Per l'inserto, non conosciamo ancora qualità e tempi dell'eventuale Alba.<br />

Ho detto a Sebastiano (ma è bene che glielo ricordi anche tu) che bisogna<br />

cominciare <strong>da</strong> subito a lavorare sull'inserto Lavoro "come se" fosse in<br />

lavorazione ordinaria. Martedì 30 decideremo quale dei due inserti man<strong>da</strong>re<br />

subito e quale lasciare dopo, fermo restando che per allora entrambi<br />

debbono essere già in lavorazione.<br />

L'inserto degli stagisti è stato disegnato solo in struttura generale. Verrà<br />

ulteriormente arricchito in relazione ai contenuti, e anche - in questo caso -<br />

a esigenze "di<strong>da</strong>ttiche". Per quanto riguar<strong>da</strong> Messina, avremo fra una<br />

settimana le indicazioni dei responsabili che consentiranno di precisare le<br />

gabbie, a partire comunque <strong>da</strong>gli stan<strong>da</strong>rd dell'inserto Cronaca.<br />

Il pezzo più delicato, per le connessioni con gli altri e per l'ampiezza di<br />

spettro, è quello sui beni sequestrati; anche quello su viale Africa potrebbe<br />

crescere d'importanza (fino a copertina) in relazione alle iniziative. Ci sono<br />

almeno due pezzi a rischio, a pagine 19 e 20. Ci sono altri possibili pezzi<br />

leggeri e cioé un Marescotti (digiuno <strong>da</strong> mesi) e un pezzo sulle donne.<br />

A partire <strong>da</strong> martedì, cominciate a discutere seriamente sulla copertina.


Per il momento, la mia ipotesi è qualcosa come "L'arrembaggio" o "Tutti<br />

prodi!" con un Prodi-formaggio e topi, o Prodi-mela e vermi, o Prodipoltrona<br />

e scale ecc.<br />

Io sarò reperibile presso Paolo e telefonerò comunque ogni sera alle 19.30<br />

per avere le novità <strong>da</strong> te e <strong>da</strong> R. Conto di rientrare fra venerdì e domenica.<br />

Ricor<strong>da</strong> a Gisella che non sono disponibile per gli stagisti venerdì, e quindi<br />

l'incontro con loro va spostato a lunedì.


GLI ACCHIAPPAPRODI<br />

I Siciliani, giugno 1995<br />

E dopo il referendum? Si va allo scontro. Scontro frontale, al di là delle<br />

etichette e dei programmi, fra le due componenti pro- fonde della società.<br />

Finite, in un modo o nell'altro, le fanfaronate e le illusioni del periodo<br />

Berlusconi, gli italiani si ritrovano allo stesso punto di due anni fa: paese<br />

malato, economia in crisi, bisogno urgente di scegliere fra due soluzioni del<br />

tutto incompatibili fra loro. Destra e <strong>sinistra</strong> portano avanti i "moderati": ma<br />

la situazione non lo è affatto. Con chi stare?<br />

In Sicilia, il mondo cattolico si riorganizza attorno a Prodi: nel centro<strong>sinistra</strong>,<br />

qui, di <strong>sinistra</strong> tradizionale ce n'è ben poca. C'è soli<strong>da</strong>rismo, c'è<br />

volontariato; ma c'è anche una gran parte, sia pure la meno compromessa,<br />

della vecchia Dc. Certo, tutto è preferibile ai fascisti e a Berlusconi; ma<br />

questa di Prodi poteva essere - e forse potrebbe essere ancora - un'occasione<br />

di risorgimento democratico e non solo di reazione moderata all'eversione<br />

nera.<br />

A Palermo, la gente si ricor<strong>da</strong> ancora di Falcone. Nei quartieri, la rete<br />

delle associazioni e del volontariato ha continuato a lavorare,<br />

nell'indifferenza della grande stampa nazionale. Padre Porcaro non c'è solo<br />

quando gli bruciano la macchina, ma anche negli altri<br />

trecentosessantaquattro giorni dell'anno. E alla fine i risultati si vedono,<br />

Porcaro e le altre decine di antimafiosi come lui finiranno per trasformare, e<br />

in parte hanno già trasformato, queste nostre città. E questa è la democrazia<br />

in cui noi crediamo.<br />

A Catania, la magistratura ha finalmente rinviato a giudizio gli esecutori e<br />

organizzatori materiali dell'assassinio di Giuseppe Fava. Non ancora i<br />

man<strong>da</strong>nti: ma ci si arriverà. Noi continuiamo a lavorare. E grazie ai<br />

coraggiosi magistrati.


TUTTI DC?<br />

I Siciliani, giugno 1995<br />

Ne sai più di noi, caro lettore. Tu infatti sai già come sono an<strong>da</strong>ti a finire i<br />

referendum, mentre noi ancora no (per necessità tipogra-fiche dobbiamo<br />

chiudere il giornale entro sabato 10, che per noi è oggi e per te tre giorni fa).<br />

Chi ha vinto, e che cosa succede ora?<br />

Da un certo punto di vista, quello che ha vinto comunque è Berlusconi.<br />

Pensate: in meno di due anni ha saputo farsi ripianare, senza sborsare una<br />

lira, fior di debiti <strong>da</strong>lla collettività; ha fon<strong>da</strong>to una setta religiosa; ha<br />

promesso miracoli; e quando i miracoli non si sono verificati è riuscito a<br />

non farsi linciare ma compatire ("non m'hanno lasciato fare i miracoli in<br />

pace"). Adesso, dopo il referendum, Berlusconi esce - in ogni caso - di<br />

scena; o perché superfluo, o perché ingombrante. Però esce in bellezza,<br />

avendo dilapi<strong>da</strong>to altri mille miliardi (tanto è costato il referendum) tutti in<br />

una volta, avendo trasformato in buffonata l'istituzione referen<strong>da</strong>ria, che una<br />

volta faceva tremare il Vaticano e ora si tira via a dozzine, avendo <strong>da</strong>to nella<br />

più assoluta impunità l'esempio di una campagna elettorale modernamente<br />

fascista, in cui una delle parti parla a milioni di persone <strong>da</strong>lla televisione e<br />

l'altra può fare al massimo le scritte sui muri. Berlusconi, in un anno e<br />

mezzo, ha insegnato agl'italiani come si prende a calci la democrazia; ma in<br />

quest'ultimo mese, ha insegnato loro anche come ci si sghignazza sopra. E'<br />

un insegnamento, ne siamo certi, che difficilmente andrà perduto.<br />

"Turatevi il naso e votate Dc" consigliava il povero Montanelli, nel<br />

lontanissimo '76, ai suoi spaventati lettori. Per una divertente ironia della<br />

storia, sembra che <strong>da</strong> qui a qualche mese lo stesso consiglio dovremo <strong>da</strong>rlo<br />

noi. Dopo il referendum infatti - e anche qui, tutto sommato, non importa<br />

moltissimo chi l'ha vinto e chi l'ha perso - ci toccherà prepararci allo scontro<br />

finale fra destra e <strong>sinistra</strong>. La destra, su posizioni democristiane, sarà<br />

gui<strong>da</strong>ta <strong>da</strong> un democristiano di destra che potrà essere un Buttiglione, un<br />

Mastella, un Cossiga o magari un Dini; la <strong>sinistra</strong>, su posizioni<br />

democristiane, sarà gui<strong>da</strong>ta <strong>da</strong> un democristiano di <strong>sinistra</strong>, Prodi.<br />

Nell'uno e nell'altro campo i "moderati" e i "centristi" (cioé, per come<br />

sono an<strong>da</strong>te le cose negli ultimi cinquant'anni in Italia, i democristiani)<br />

saranno largamente prevalenti, tanto al centro quanto e soprattutto in<br />

periferia. Tutti gli altri, nei due schieramenti, cercheranno di stringersi nella<br />

folla per farsi notare il meno possibile, sotto pena di essere accusati di<br />

estremismo e, nel caso dei nostri, di essere di <strong>sinistra</strong>. Col che Pio La Torre,<br />

Turiddu Carnevale, Sandro Pertini, Berlinguer, cent'anni di movimento<br />

operaio, gli asili-nido di Reggio Emilia, il Sessantotto, don Milani, Bob


Dylan, l'eguaglianza delle donne, Massimo Troisi sono tutti serviti: non<br />

sono mai esistiti o, se sono esistiti, sono stati"di <strong>sinistra</strong>", <strong>da</strong> vergognarsene<br />

dunque, magari <strong>da</strong> sorriderne con imbarazzo e compatimento come di<br />

vecchie gag di parenti svagati e un po' originali. "Please, what means it?"<br />

diremo fra qualche anno, <strong>da</strong> buoni progressisti italoamericani.<br />

Ma in Sicilia! La Sicilia, in questi dodici anni, aveva reinventato per tutti<br />

la democrazia. Non la democrazia sazia e un po' abbioccata del dopo cena,<br />

col telecomando in mano a saltare <strong>da</strong> un canale all'altro dei buoni<br />

sentimenti. La democrazia che ti fa rischiare la pelle, che ti fa guar<strong>da</strong>re in<br />

faccia le cose, che ti fa scoprire cose del tutto nuove e sorprendenti nei tuoi<br />

vicini e compagni, e dentro di te. Democrazia di stra<strong>da</strong>. "Il partito di<br />

Falcone e dei ragazzini" dicevamo orgogliosamente allora, e lo ripetiamo<br />

anche adesso, ora che è più difficile farsi ascoltare. Falcone e Borsellino nel<br />

palazzo, a studiare le carte - a giocarsi la pelle - per <strong>da</strong>re colpi ai mafiosi; i<br />

giovani cittadini nelle piazze, a vivere collettivamente la propria vita, a<br />

battersi <strong>da</strong> uomini liberi, a prendersi i propri carichi per il bene comune,<br />

senza false modestie e senza politicuzze e piccinerie.<br />

Che bellissima classe dirigente sarebbe stata, se le aveste lasciato spazio<br />

per crescere, quella dei ragazzi palermitani e catanesi degli anni Ottanta! E<br />

quanto avrebbero potuto fare per la Sicilia, quanto avrebbero potuto<br />

costruire e insegnare, quanto avrebbero potuto fare intravvedere a tutto il<br />

resto della nazione!<br />

Ma così non è stato. I giovani dell'antimafia popolare li avete messi <strong>da</strong><br />

parte, o rigettati con una manata sul petto, o risucchiati in un ufficio e<br />

integrati. Quelli che avevate titolo per esser loro maestri, che essi avevano<br />

scelto come loro guide, avete preferito lasciarvi cooptare nel gioco<br />

"realistico" della politica ufficiale. D'accordo. E' an<strong>da</strong>ta così. E' ormai un<br />

paese povero, il nostro paese. Un paese in cui il primo bischero si alza una<br />

mattina e fon<strong>da</strong> parlamenti, in cui i vecchi politicanti radicali vanno in giro<br />

ad offrirsi ogni mattina al migliore offerente, in cui un personaggio di Totò<br />

come Berlusconi diventa, sia pure per una stagione, duce e gui<strong>da</strong><br />

degli'italiani, e un altro personaggio di Totò come Dini riesce ad essere<br />

contemporaneamente presidente in atto delle sinistre e presidente in pectore<br />

delle destre. Come sarebbe stato divertente tutto questo, se fosse stato un<br />

film.<br />

E va bene. Appoggeremo Prodi, se ci tocca - <strong>da</strong> buoni cittadini, nemici del<br />

fascismo e di Berlusconi - ma con malinconia. Non perché Prodi sia peggio<br />

degli altri, o perché siano peggiori i suoi seguaci, ma semplicemente perché<br />

avremmo voluto appoggiare i nostri, quelli del nostro partito.<br />

Quale partito? Il solito. Guar<strong>da</strong>te, in questo numero del giornale,


nell'inserto: quello che parla dei preti e volontari di quartiere, dei sin<strong>da</strong>ci<br />

che confiscano i soldi dei mafiosi e dei ragazzi dello Zen. Anche se non si<br />

direbbe, è un inserto di propagan<strong>da</strong> politica, di un partito che non ha<br />

bisogno - per esserci - di essere un partito e che tuttavia, ogni tre o quattro<br />

generazioni nella storia d'Italia, viene avanti improvviso senza bandiere e in<br />

una maniera o nell'altra dice la sua.<br />

Prodi o non Prodi, quest'estate, per quanto ci riguar<strong>da</strong>, noi lavoreremo -<br />

con quei preti, quei sin<strong>da</strong>ci, quei volontari e quei ragazzini - per rafforzare<br />

ed estendere questo "partito", con subito un obiettivo ben preciso: censire le<br />

proprietà e le ricchezze confiscate ai boss mafiosi e studiare come possono<br />

essere utilizzate, e <strong>da</strong> chi, per creare nuovi posti di lavoro e nuove strutture<br />

sociali. Aspettiamo segnalazioni e proposte <strong>da</strong> tutta la Sicilia: associazioni,<br />

volontari, singoli antimafiosi. Vi terremo al corrente. "Compagni, avanti il<br />

gran partito...".


MEZZESTATE DI FUOCO<br />

I Siciliani, luglio 1995<br />

Nella graduatoria dei popoli di serie B, noi siciliani siamo appena un po'<br />

sopra i polinesiani. A loro nessuno ha chiesto il permesso per fargli<br />

scoppiare una bomba atomica su un'isola. A noi nessuno ha chiesto il<br />

permesso di mettere una batteria di bombe atomiche - a Comiso, ricor<strong>da</strong>te?,<br />

una quindicina d'anni fa - installate su missili e pronte per partire. Diciamo a<br />

Comiso e diciamo quindici anni fa, ma la verità è che nessuno può escludere<br />

che degli ordigni nucleari siano tuttora presenti, in questo preciso momento,<br />

nella base americana di Sigonella a cinque chilometri <strong>da</strong>lla periferia di<br />

Catania.<br />

Quel che accade a Mururoa, <strong>da</strong> un punto di vista politico, è una<br />

berlusconata: il governo Chirac deve <strong>da</strong>r conto alla destra del suo elettorato,<br />

e "quindi" deve tirar fuori uno spot pubblicitario per dimostrare di essere,<br />

agli occhi dei fascisti, più fascista di Le Pen. Da un punto di vista più<br />

profondo, è terrificante: un qualunque governo dei nostri tempi, né migliore<br />

né peggiore degli altri ed anzi relativamente più civile (in Francia non c'è<br />

mai stato un mafioso presidente del Consiglio) non esita un attimo a mettere<br />

in pericolo d'inquinamento radioattivo un pianeta pur di gua<strong>da</strong>gnare qualche<br />

migliaio di voti alle prossime elezioni. E chi ci dice che domani il deputato<br />

Smith dell'Arkansas, per vincere le elezioni contro il suo rivale Jones del<br />

Neva<strong>da</strong>, non ordini di lasciar an<strong>da</strong>re un paio di missili nucleari di quelli<br />

gentilmente lasciati in deposito <strong>da</strong> noi?<br />

Accà nisciuno è fesso. Piena soli<strong>da</strong>rietà con GreenPeace che giustamente<br />

difende l'isola di Mururoa (per il mese di agosto, niente normale Siciliani:<br />

saremo in edicola con una roba dedicata per l'appunto a GreenPeace e a<br />

come <strong>da</strong>rgli una mano), ma piena soli<strong>da</strong>rietà anche con la pelle nostra di<br />

noi. Chiediamo al nostro governo di farsi spiegare ufficialmente <strong>da</strong>gli amici<br />

americani (eventualmente, se serve interprete, tenendo per un altro po'<br />

Andreotti fuori <strong>da</strong>lla galera) cos'è questa storia delle testate atomiche in<br />

Sicilia: se ci sono <strong>da</strong>vvero, a che servono e chi lo decide, e perché - in ogni<br />

caso - proprio qua <strong>da</strong> noi.


LA MEMORIA<br />

I Siciliani, agosto 1995<br />

In Cecenia, probabilmente, i comunisti erano biechi tiranni e gli<br />

anticomunisti gentiluomini liberali di civile cultura. In Sicilia, invece, i<br />

comunisti si chiamavano Pio La Torre e gli anticomunisti Salvo Lima. Se<br />

Veltroni fosse stato Veltronoff e avesse rilasciato le sue dichiarazioni ("io<br />

sono anticomunista") a Tiblisi, non ci sarebbe stato niente di male. Ma<br />

Veltroni è Veltroni, e nonostante tutto sta in Italia. E l'Italia è il paese in cui i<br />

comunisti - tirandola a grandi linee - sono stati, assieme ai marescialli dei<br />

carabinieri, a una ventina di preti poveri e a qualche centinaio d'intellettuali,<br />

l'unica componente della nazione civile, pulita e a dirla in una parola<br />

occidentale.<br />

Ogni tanto, naturalmente, arrivava qualche comunista importante - un<br />

Michelangelo Russo, un Macaluso, un Turci - e diceva che bisognava<br />

allearsi coi baroni (in nome del milazzismo) oppure cogli andreottiani (per<br />

via della soli<strong>da</strong>rietà nazionale) oppure con le imprese di Costanzo e Rendo<br />

(perché non si può fare l'esame del sangue all'economia siciliana). Così<br />

molte buone battaglie si sono perse. Ma ormai lasciamo perdere: è passato<br />

tanto tempo <strong>da</strong> allora...<br />

Parliamo - in realtà - di comunisti solo perché, per una serie di<br />

circostanze, in questo paese le persone perbene hanno finito in<br />

maggioranza, per molti anni, col chiamarsi così. Ma avrebbero potuto<br />

chiamarsi in qualsiasi altro modo, laburisti, plebei, citoyens, democratici,<br />

sarebbe stato lo stesso. A un certo punto sarebbe arrivato qualcuno -<br />

coglionazzo o barone - e gli avrebbe detto: "Cittadini (o comunisti, o plebei,<br />

o quel che cavolo siete stati fino ad ora)! Basta con tutta questa diversità,<br />

basta con 'sta storia di volervi ricor<strong>da</strong>re a tutti i costi chi furono i vostri<br />

padri e le vostre madri. Basta con essere voi stessi. Ricominciamo <strong>da</strong>ccapo.<br />

Che ci frega? Ammazziamo la storia, riportiamo la memoria a zero, e può<br />

essere che così diventiamo signori anche noi".<br />

Ecco, il punto è questo. Non si tratta della memoria storica - che pure<br />

sarebbe importante - di questo o quel partito, di questa o quella storia di<br />

esseri umani. Si tratta dello spirito con cui, passate tante tempeste e di<br />

fronte a tanti problemi, si vuole finalmente por mano alla ricostruzione del<br />

paese. Del futuro, insomma, non del passato.<br />

Fino a questo momento, gli esiti di questa ricostruzione hanno <strong>da</strong>to più<br />

che altro nel ridicolo. Il libero mercato si è tradotto nell'arrangiamento dei<br />

debiti di Berlusconi. La democrazia liberale nel rinnegamento dell'ideale<br />

antifascista e nell'esaltazione dei Previti e dei Fini. Il nuovo modo di far


politica, nella persecuzione dei magistrati. La partecipazione dei cittadini<br />

alla vita democratica, già scarsa prima, è ancor più povera e rozza oggi. Il<br />

ceto politico "rinnovato" risulta altrettanto parassita, altrettanto insolente e<br />

un po' più maleducato di quello di prima. Dov'è il cambiamento?<br />

La colpa non è dei politici, che sono nella loro espressione media un<br />

portato della nazione. La colpa è, storicamente parlando, del cittadino<br />

italiano. Privato d'una cultura civile di base, staccato improvvisamente<br />

(aveva ragione Pasolini) <strong>da</strong>lle sue radici nazionali e regionali, sottoposto a<br />

un bombar<strong>da</strong>mento di valori sempre più subalterni e sempre più artificiali, il<br />

cittadino medio è sempre meno cittadino e sempre più spettatore. Ci si<br />

riferisce a lui, oramai, solo usando i termini rigorosamente ideologici,<br />

"l'audience" e "la gente".<br />

Se il pool Mani Pulite rischia di finire in galera al posto dei ladri, la colpa<br />

non è dei politici, ma della massa dei cittadini. Nella città più europea e<br />

moderna d'Italia, Mani Pulite non ha ricevuto <strong>da</strong> parte della popolazione<br />

alcuna soli<strong>da</strong>rietà sostanziale. La "gente" ha seguito la "rivoluzione" con<br />

furba indifferenza, scendendo al massimo in piazza - o più frequentemente<br />

nei son<strong>da</strong>ggi - con qualche inoffensivo e generico "a morte!" e "viva!". "In<br />

galera!" e "Terroni!" è l'imprinting che la metà più avanzata d'Italia ha <strong>da</strong>to<br />

al "rinnovamento". I risultati, si vedono ora.<br />

Per chi ha conosciuto l'altissimo livello civile e la toccante umanità di<br />

quella stessa Italia negli anni Sessanta e Settanta - Milano di Franco Fortini,<br />

ma anche degli operai di Sesto; Torino di Giulio Einaudi e del Sessantotto,<br />

Genova degli scaricatori di porto e dei cantautori - l'amarezza non potrebbe<br />

essere maggiore. Ci sono delle radici molto profonde, in Italia, su cui si<br />

poteva puntare per ricostruire. Avrebbe avuto molto <strong>da</strong> dire, la <strong>sinistra</strong> - una<br />

qualunque <strong>sinistra</strong> - per risvegliare il paese. Si è preferito an<strong>da</strong>re alle<br />

politichette dozzinali, ai piccoli compromessi coi Berlusconi, alle battutine<br />

furbesche come quella di Veltroni. Roba che vorrebbe essere rassicurante<br />

ma che invece fa paura.<br />

Una sola cosa volevamo sapere <strong>da</strong>lla <strong>sinistra</strong> al termine degli anni di<br />

Andreotti, su una sola cosa volevamo una risposta forte e chiara: "Vi<br />

rimettereste d'accordo con Andreotti, se altri Andreotti tornassero, oppure<br />

avete appreso la lezione?". La risposta è stata il giro di valzer con<br />

Berlusconi, all'ultimo convegno del Pds. Al solito - e certo in buonafede -<br />

per nobili e logici motivi. I magistrati che esagerano, niente scontri frontali,<br />

l'accordo sulle regole... Va bene. Ma anche l'intesa con Andreotti, ai tempi<br />

suoi, aveva giustificazioni non meno valide di queste. E ha finito per<br />

distruggere il paese.<br />

Nell'accordo e nella pacificazione generale, noi non ci crediamo. Non per


preconcetto estremismo, per "ideologia". Ma perché ricordiamo ancora il<br />

passato, e quindi prevediamo il futuro. Se la <strong>sinistra</strong> avesse combattuto<br />

Andreotti, non sarebbe stata travolta <strong>da</strong>l crollo del regime andreottiano. Ma<br />

per combattere Andreotti bisognava credere profon<strong>da</strong>mente nella propria<br />

storia e nei propri valori. Bisognava sostenere - e non sacrificare all'intesa<br />

generale - coloro che per questi valori combattevano in prima linea, fra le<br />

forze di base. Bisognava sostenere gli Alfredo Galasso (e, tanto per dire, I<br />

Siciliani) e non i Michelangelo Russo. Senno di poi.<br />

Facile profetizzare adesso che, fra le tante situazioni di base che saranno<br />

abbandonate a se stesse per correr dietro agli accordi "responsabili" e<br />

"moderati" ci saranno, oggi come allora, I Siciliani. Per noi, poco male: ci<br />

siamo abituati. Ma per la <strong>sinistra</strong>?<br />

Ricordiamo ancora i dibattiti, a metà degli anni Ottanta, sull'informazione<br />

in Sicilia: dopo dieci anni. I padroni dei giornali e delle tv sono sempre gli<br />

stessi, noialtri siamo sempre qui a tenere il fronte con le nostre forze sole, e<br />

la <strong>sinistra</strong> perbene sta sempre lì ad organizzare meravigliosi dibattiti che<br />

non fan paura a nessuno. Allora, eravamo "estremisti" perché dicevamo che<br />

non si possono fare accordi con i Cavalieri. Adesso, suppongo, saremo<br />

"estremisti" perché diciamo che non si può dialogare col sistema di potere<br />

di Berlusconi.<br />

Noi restiamo fedeli alla nostra storia, che è la storia della Sicilia negli<br />

anni dell'antimafia popolare. E alla nostra esperienza, che è quella di un<br />

giornalismo di notizie e non di spettacolo, basato sulla fiducia dei lettori e<br />

non sulle fiammate dell'audience.<br />

Utopia? Sano realismo. Non sono mai mancati, in quindici anni, i giovani<br />

che, generazione dopo generazione, son venuti nei momenti più difficili a<br />

far vivere I Siciliani. In quindici anni, abbiamo pur costruito la nostra rete di<br />

giovani e coraggiosi giornalisti e militanti, in ogni parte d'Italia, che non si<br />

sarebbero rivelati a se stessi senza l'"utopia" dei Siciliani.<br />

Povero di denari e di potere, il nostro complessivo bilancio - dopo tanti<br />

anni - è abbon<strong>da</strong>ntemente positivo: molte cose, nel nostro piccolo, sono<br />

state costruite, molti esseri umani sono cresciuti insieme a noi. Se lo spirito<br />

di questa "utopia" fosse stato ripreso <strong>da</strong> altri più importanti di noi, oggi<br />

forse la <strong>sinistra</strong> italiana non si troverebbe a dover scegliere il minor male fra<br />

Dini e Berlusconi, fra Pippo Baudo ed Emilio Fede.


BOSNIA, MURUROA<br />

I Siciliani, agosto 1995<br />

Ferragosto, tutto normale. La giornata più normale dell'anno. Cosa può<br />

fare un piccolo giornale come il nostro per non essere "normale"? Perché<br />

noi ci vergogniamo, di questa normalità. Normale sarebbe stato an<strong>da</strong>rcene<br />

in vacanza come tutti. Oppure fare il solito giornale "normale", con le<br />

normali critiche a Berlusconi e compagni - anche questa, alla fin dei conti,<br />

una "normalità".<br />

Ma quest'estate non è normale affatto. A pochi chilometri <strong>da</strong>lle nostre<br />

spiagge, gli uomini della Jugoslavia combattono una guerra di razza contro<br />

le donne e i bambini jugoslavi. Vincono i serbi e massacrano le donne e i<br />

bambini croati. Vincono i croati, e massacrano le donne e i bambini serbi.<br />

Dall'altro lato del mondo - ma gli effetti si sentiranno anche qui - stanno<br />

facendo scoppiare una bomba atomica "sperimentale" per combattere un<br />

nemico che <strong>da</strong> molti anni non c'è più. Sono cose importanti, e difatti le<br />

leggete sui giornali "normali": fra una dichiarazione di Dini e una foto di<br />

Serena Grandi. Professionalmente. Senza rompere il filo della normalità.<br />

Greenpeace è quattro gatti in barca a vela che vanno a rompere le scatole<br />

ai marines della Bomba: non serve a niente, però lo fanno. I Beati<br />

costruttori di pace sono quelli che <strong>da</strong> anni vanno in Jugoslavia disarmati,<br />

non hanno alcun potere, <strong>da</strong>nno un esempio; non serve a niente, però lo<br />

fanno.<br />

PeaceLink e La Città Invisibile (le associazioni telematiche "popolari" )<br />

non hanno certo i soldi di Microsoft o di Berlusconi, sono solo alcune<br />

centinaia di amici con dei computer in rete, eppure <strong>da</strong> anni mettono in giro<br />

notizie e <strong>da</strong>ti che altrimenti sarebbero rimasti tagliati fuori <strong>da</strong>ll'informazione<br />

ufficiale: non serve a niente. Però lo fanno.<br />

Pensate: il Corriere e la Stampa, Panorama e l'Espresso, l'Unità e la<br />

Repubblica che per una volta rinunciano a uscire "normalmente" e si<br />

dedicano completamente a <strong>da</strong>re una mano a Greenpeace, a PeaceLink, alla<br />

Città Invisibile, ai Beati costruttori di pace, ai quattro matti isolati di<br />

quest'estate "normale". Forse servirebbe a qualcosa, forse non servirebbe a<br />

niente. Ma tanto, non lo fanno.<br />

Infine: tutto questo non deve restare solo teoria. Con I Siciliani o senza<br />

Siciliani, tu che leggi hai l'obbligo morale di "fare qualcosa" (Il fatto stesso<br />

di avere la possibilità e il diritto di leggere, di partecipare a un circuito, di<br />

avere un interlocutore collettivo, è già di per sé un privilegio). Non puoi<br />

dire "io non c'ero". Ma fare cosa? Informarsi, conoscere, fare informare gli<br />

altri, far sapere. Almeno questo. Far circolare le voci di coloro che <strong>da</strong> soli


non ce la fanno.<br />

Pubblicare, come facciamo oggi, le note tecniche di PeaceLink e della<br />

Città Invisibile <strong>da</strong>l nostro punto di vista serve esattamente a questo: metterti<br />

personalmente in condizione, se puoi disporre di un computer, di partecipare<br />

a questo laoro anche tu. Imparare a usare questi strumenti, e usarli con uno<br />

scopo ben preciso: partecipare al circuito mondiale dell'informazione e della<br />

soli<strong>da</strong>rietà. Un circuito "povero", senza grandi concentramenti di mezzi e<br />

tuttavia efficacissimo in certi momenti.<br />

La rivoluzione, diceva un tale di quei tempi, è il comitato dei contadini<br />

più portare la luce elettrica nel villaggio. La rivoluzione, oggigiorno, è la<br />

tua ripulsa morale - la tua ribellione - più i computer in rete. La soli<strong>da</strong>rietà<br />

più le tecnologie.


ANDREOTTI<br />

Liberazione, settembre 95<br />

La lotta contro Andreotti e il suo potere non è stata, come credevamo<br />

allora, la crescita civile e la progressiva presa di coscienza di tutto intero un<br />

popolo, ma la battaglia di una combattiva minoranza "azionista" - a quei<br />

tempi si diceva giacobina - della società siciliana. Non perché fosse<br />

particolarmente diffusa, in Sicilia, una qualche forma specifica di "cultura<br />

mafiosa" (quella, se mai è esistita fuori <strong>da</strong>lla letteratura, è morta con la<br />

civiltà industriale), ma perché il dominio mafioso in Sicilia corrispondeva<br />

perfettamente alle esigenze profonde - ordine, illegalismo, pace sociale,<br />

mantenimento dei piccoli e grandi privilegi, parassitismo sociale - della<br />

borghesia siciliana. Nel complesso d'Italia, identiche esigenze erano<br />

soddisfatte con meccanismi analoghi, ma con un meno frequente ricorso<br />

all'uso dell'omicidio. Fino alla fine degli anni Settanta, il potere mafioso è<br />

stato semplicemente la variante meridionale dell'andreottismo, subalterna<br />

sia ai poteri politici de jure (la democrazia cristiana) che a quelli de facto<br />

(l'ambasciata americana e le massonerie).<br />

Il periodo andreottiano, con la sua sub-variante mafiosa, è terminato in un<br />

periodo imprecisato verso la fine dei Settanta, quando si sono verificate in<br />

rapi<strong>da</strong> successione le seguenti evenienze, del tutto - benché in fondo logiche<br />

- inaspettate: il cambio di velocità della politica americana nel Mediterraneo<br />

(di lì a poco, Comiso); l'infiltrazione di personale specializzato nelle logge<br />

massoniche più potenti, e in ispecie nella P2, e la loro conseguente<br />

utilizzazione a fini non più clientelari ma terroristici; l'allevamento di tutta<br />

una nuova generazione di personale politico eterodiretto e la creazione<br />

artificiale di nuovi indirizzi politici (il Mi<strong>da</strong>s e il "nuovo corso" del partito<br />

socialista: ogni resistenza al quale venne stroncata <strong>da</strong>l rapimento del figlio<br />

del vecchio leader De Martino); e infine, nel campo della mafia,<br />

l'eliminazione dei vecchi "uomini di rispetto" e la crescita di nuovi boss<br />

legati non più solo ai politici ma anche ai servizi segreti. Sono gli anni in<br />

cui - per fare un esempio significativo - a Catania emergono<br />

improvvisamente, <strong>da</strong> un momento all'altro e senza alcun radicamento<br />

apparente, politici come Andò (commissione P2, servizi segreti, partito<br />

socialista), mafiosi come Santapaola (personaggio minore di un clan<br />

periferico), imprenditori come Graci o Rendo (appalti pubblici, velocissime<br />

accumulazioni) e diventano rapidissimamente e del tutto inspiegabilmente<br />

protagonisti di rilievo nazionale. Sono gli anni di svolta, e Andreotti<br />

comincia a decadere già <strong>da</strong> allora (sarà utile ancora, sul piano<br />

internazionale, come garante dello schieramento filoamericano dell'Italia;


ma anche quest'ultima utilità verrà a mancare, ovviamente, alla fine della<br />

guerra con l'Unione Sovietica. Attualmente, Andreotti non serve a nessuno;<br />

ma è servito a tanti che sarà ben difficile processarlo in pace).<br />

* * *<br />

Sono anche anni di lotta: man mano che diventa - che è obbligato a<br />

diventare - più feroce, il potere mafioso incontra un'opposizione popolare<br />

crescente. Cose che prima erano vissute come "normali" incontrano<br />

improvvisamente una resistenza inaspettata. Il popolo siciliano - allora non<br />

eravamo ancora "la gente" - diffidente, passivo, abituato <strong>da</strong> millenni a farsi i<br />

fatti suoi, scopre con meraviglia alcune bellezze civili e, timi<strong>da</strong>mente, vi<br />

mette mano. Una scoperta del vivere, a ripensarla ora, adolescenziale. E'<br />

una scoperta costosissima, perché ogni passo fuor della gabbia costa sangue.<br />

Ma per alcuni anni, con timidezza ed entusiasmo, i neo-cittadini siciliani<br />

vanno avanti. "Sicilia quanta gloria/ E chiantu e cori ruttu/ La mafia e li<br />

parrini/ t'hanno vistuta a luttu...". Da Eboli in su, soli<strong>da</strong>rizzano alla<br />

televisione. Dell'antimafia a Catania oggi nel '95 è rimasto questo, che i<br />

ragazzini pagano il biglietto salendo sull'autobus; mi cedono il posto<br />

vedendomi zoppicante e col bastone, si alzano sorridenti e gentili. A volte<br />

penso che già per questo valeva la pena. Abbiamo vinto, contro Andreotti<br />

abbiamo vinto noi.<br />

Sono passati gli anni, e dopo Andreotti hanno votato Berlusconi. A<br />

Palermo, non Caponetto, ma un figuro come Lo Porto. A Catania, Benito<br />

Paolone e Zeffirelli (come dire, er Pecora e Wan<strong>da</strong> Osiris). Dopo i Borboni i<br />

Savoia, altro che Garibaldi. E d'altra perché usare Totò Riina, quando basta<br />

Ambra? Una televisione vale mille lupare. Ordine, illegalismo, pace sociale,<br />

mantenimento dei piccoli e grandi privilegi, parassitismo sociale: tutto ok.<br />

Non c'è più bisogno di sparare. Venga Franza, venga Spagna... D'altra parte,<br />

con Fini al festival dell'Unità, con Dini se non sai se fra sei mesi te lo<br />

ritroverai come ministro delle finanze della <strong>sinistra</strong> o primo ministro di<br />

Berlusconi, cosa gli rispondi nel millenovecentonovantacinque alla mamma<br />

che ti dice "ma chi te lo fa fare"?.<br />

Una cosa di cui non c'eravamo pienamente accorti allora, o meglio ce<br />

n'eravamo accorti ma non nelle budella, non fino in fondo, è questa: che<br />

uomini son venuti fuori <strong>da</strong> questa Catania e Palermo, <strong>da</strong> questo popolo<br />

gramo, <strong>da</strong> questa Sicilia. Io non mi ero mai accorto, in realtà, di avere<br />

conosciuto Borsellino. Avevo conosciuto un buon giudice, io che facevo il<br />

giornalista, in un posto che si rischiava la pelle; tutto qua. O Calogero<br />

Zucchetto, o Montana, o Cassarà. <strong>Storie</strong> di quotidiano lavoro, persone che<br />

s'incontrano, routine; cerimonie di Stato, quando tutto - alla fine - era<br />

concluso. Invece, erano eroi greci. Non roba <strong>da</strong> monumento, non <strong>da</strong>


telegiornale: <strong>da</strong> poeti. "Voi che siete caduti per l'Ellade...". "Se passi per la<br />

mia città, straniero, dìgli che noi siamo caduti qui, obbedienti alle leggi...".<br />

"Mio figlio, Robertino Antiochia, che faceva il poliziotto a Palermo...". Da<br />

una distanza infinita, <strong>da</strong> un'epoca in cui non ci sono più samarcande né<br />

meschini ma solo un grandissimo silenzio e il vento che passa lieve e il<br />

mare e il cielo.<br />

* * *<br />

Eppure, una carta c'era <strong>da</strong> giocare, in quegli anni, una carta che avrebbe<br />

potuto - forse - cambiare tutto. C'era una minoranza, abbiamo detto, una<br />

minoranza giacobina. Ma era una minoranza giovane, anche<br />

anagraficamente. Per due o tre anni, e forse per quattro, una parte non<br />

indifferente della gioventù siciliana è stata politicamente schierata.<br />

Politicamente in senso serio, non chiacchiere ma antimafia, democrazia<br />

reale, cambiare la vita quotidiana, lotta. Questi giovani hanno trovato dei<br />

capi, delle figure carismatiche, non degli organizzatori e dei maestri. Dei<br />

Prampolini, dei Pancho Villa, dei Bakunin, dei fratelli Bandiera. Non dei<br />

Gramsci, non dei Gobetti. Se... Ma la storia non si fa coi "se". Essi erano, in<br />

realtà, la nuova classe dirigente del Paese. Non guar<strong>da</strong>teli come sono ora,<br />

emarginati o integrati o incattiviti o delusi. Ricor<strong>da</strong>teli com'erano allora.<br />

Avevano tutto per esserlo, avrebbero cambiato tutto. La vecchia <strong>sinistra</strong> non<br />

li comprese - era troppo occupata a flirtare con Andreotti o con Martelli. La<br />

nuova non ebbe il tempo - era troppo occupata a litigarsi le candi<strong>da</strong>ture, in<br />

nome della nuova politica, a questa o quell'elezione. E' an<strong>da</strong>ta così..


UN PROCESSO<br />

Avvenimenti, ottobre 1995<br />

Il due ottobre è cominciato a Catania il processo per l'assassinio di<br />

Giuseppe Fava ed era un pomeriggio qualunque, col bianco e il rosso e il<br />

verde dei giurati e un giudice di mezz'età che leggeva "In nome del Popolo<br />

Italiano...". Hanno letto i preliminari, i nostri avvocati hanno fatto<br />

brevemente una dichiarazione, c'è stato un parlottìo fra i magistrati e<br />

l'udienza è stata rinviata, secondo procedura, alla successiva riunione.<br />

Siamo usciti <strong>da</strong>ll'aula, che è chiusa in un palazzo alla periferia di Catania -<br />

aula-bunker, la chiamano - e siamo usciti nel sole. "Fa caldo" dice qualcuno.<br />

"E dire che siamo a ottobre". "E' vero, ma qui a Catania...".<br />

Oltre il reticolato si vedono le stoppie e i sassi della periferia, una<br />

lucertola per un attimo fa capolino sul muretto. Tutto qua. Un giorno<br />

qualunque di dieci anni dopo. In nome del Popolo Italiano... Ci son voluti<br />

dieci anni. Il vecchio dei nostri avvocati, oggi al processo, era Alfredo<br />

Galasso e io me lo ricordo quando venne al giornale, <strong>da</strong> solo, molti anni fa.<br />

La re<strong>da</strong>zione era vuota - c'era la manifestazione contro la mafia, in piazza,<br />

la prima manifestazione antimafia della città - ed egli girava fra le scrivanie<br />

vuote, non dicendo niente. Si fermò <strong>da</strong>vanti all'ultima, uguale a tutte le altre<br />

ma con un vasetto di fiori gialli, quelli che portava Graziella ogni mattina. E<br />

adesso è qua, con l'aria grave e tecnica dell'avvocato, lo vedo <strong>da</strong>ll'alto e di<br />

spalle mentre indica qualcosa su un foglio di carta a un collega. Nella<br />

tribuna del pubblico c'è Gianfranco Faillaci, non essendoci mai stati i soldi -<br />

dopo nove anni di re<strong>da</strong>zione - per fargli il tesserino di professionista non<br />

può entrare in tribuna stampa. Ne sa assai più di me, di procedura, ogni<br />

tanto gli chiedo un dettaglio tecnico (io ormai di giudiziaria non so più<br />

niente) e lui risponde.<br />

Sotto la tribuna del pubblico ci sono le gabbie dei mafiosi, Santapaola sta<br />

nella prima e tutti gli altri nelle altre. Non mi fanno nessuna pietà. Un loro<br />

avvocato sta spiegando loro qualcosa, fa ampi gesti con le mani tenendosi<br />

prudentemente a un metro di distanza <strong>da</strong>lle sbarre,. Essi gli rispondono<br />

urlando. Faillaci venne con altri due liceali, dieci anni fa in re<strong>da</strong>zione, era<br />

bravo in greco, quando si laureò fece una bella tesi su un illuminista<br />

calabrese del Settecento, morto povero naturalmente. E adesso è qua. Strano<br />

come tutto questo sembri normale, adesso che è normale. Rosalba, in questo<br />

momento, è in giro <strong>da</strong> qualche parte a fare rilevazioni statistiche, che è il<br />

suo lavoro. Antonellina è a Milano, una delle migliori croniste di Radio<br />

Popolare. Piero starà dormendo, perché ha il turno di notte in tipografia.<br />

Antonio sta a Napoli, fa l'educatore in un carcere minorile. Rosario è in un


giornale di Cosenza, Elena fa la professoressa in un paesino della provincia,<br />

Miki è diventato uno dei migliori reporter italiani, Nanni adesso ha un figlio<br />

di vent'anni. E Nuccio, e Lillo, e il vecchio Garilli, e il professore D'Urso, e<br />

Cettina e la signora Roccuzzo e Aurora... Vorrei avere lo spazio per scrivere<br />

tutti i nomi. Sono gente comune, I Siciliani, gente come voi e me. Non<br />

hanno nulla di straordinario, se l'incontri per stra<strong>da</strong>, a nessuno è venuto mai<br />

in mente di chiedergli un'opinione o di fargli interviste in tv. Eppure questa<br />

guerra l'hanno vinta loro. Un centinaio di esseri umani, senza nulla di<br />

particolarmente strano, che a un certo punto si sono messi insieme e hanno<br />

fatto la guerra a Santapaola, ai Quattro Cavalieri, al giornale di Ciancio, ai<br />

capiban<strong>da</strong> di Andreotti: volevano bene a un loro amico ch'era morto e<br />

avevano dignità. Ho fatto molte analisi politiche, in tutti questi anni, per<br />

capire il meccanismo della faccen<strong>da</strong>, per capire cosa si potesse cavarne che<br />

potesse funzionare anche in altri momenti e in altri luoghi, ma la sostanza è<br />

questa: avevano dignità. Quando leggete i giornali per bene, quando vedete<br />

il Costanzo Show, pensate che la lotta alla mafia c'è chi l'ha fatta <strong>da</strong>vvero,<br />

<strong>da</strong> partigiani, senza chiedere niente: ed è per gente così che alla fine<br />

Andreotti è finito dov'è finito.<br />

* * *<br />

Il tre ottobre, a Catania, è cominciata la causa fallimentare per gli<br />

amministratori della cooperativa Ra<strong>da</strong>r, quella che stampava I Siciliani di<br />

Giuseppe Fava. Adesso dicono tutti che era uno dei più bei magazine di quei<br />

tempi. E capirai. Ma se vai a vedere la collezione non trovi l'amaro Averna,<br />

non trovi i cantieri Rodriguez, non trovi un rigo di pubblicità. Facevamo<br />

uno dei più bei giornali d'Italia, sicuramente il migliore della Sicilia,<br />

vendevamo più di ogni altro magazine meridionale, eppure non c'era un<br />

industriale siciliano disposto a metterci una lira di pubblicità. Il Banco di<br />

Sicilia, che allora era in mano - praticamente - degli amici dei mafiosi,<br />

faceva pubblicità sui giornali di Mantova, ma non sul nostro. Uniche<br />

eccezioni, il signor Timpanaro che aveva un albergo sull'Etna ed era amico<br />

del direttore, e qualche comune diprovincia, dotato di amministratori<br />

particolarmente coraggiosi, che venivano contattati con mille salamelecchi<br />

<strong>da</strong>lla nostra Nanni, e poi il direttore an<strong>da</strong>va <strong>da</strong> loro a cercare di concludere<br />

l'affare. Anche il giorno che l'hanno ammazzato, era stato in uno di questi<br />

paesini a contrattare un po' di pubblicità e forse era an<strong>da</strong>ta bene e ne era<br />

contento. Così abbiamo combattuto la mafia per dieci anni, con Gianfranco<br />

e gli altri che <strong>da</strong>vano gratis gli anni migliori della loro vita e con i signori<br />

Averna, Rodriguez e tutti i loro colleghi "imprenditori" siciliani che stavano<br />

vigliaccamente alla finestra a guar<strong>da</strong>re mentre essi rischiavano la pelle<br />

anche per loro. Nominammo amministratrice la Graziella, <strong>da</strong>ndole la cassa -


vuota - della cooperativa e coman<strong>da</strong>ndole di fare uscire il giornale ad ogni<br />

costo, perché non c'era tempo <strong>da</strong> perdere e le inchieste contro la mafia<br />

dovevano an<strong>da</strong>re avanti.<br />

E adesso eccola qui, la Graziella, alla sezione civile del tribunale. S'è<br />

impegnata la casa, s'è giocata tutto, ma il giornale è uscito, e Santapaola ora<br />

è lì. Ci sono stati ragazzi nostri, non solo della re<strong>da</strong>zione "adulta" ma<br />

proprio di SicilianiGiovani, che era fatto di diciottenni e di ventenni, che per<br />

portare avanti il giornale hanno firmato cambiali con la Lega delle<br />

Cooperative e la Lega per riavere - giustamente - i suoi soldi gli ha man<strong>da</strong>to<br />

l'ufficiale giudiziario e gli ha sequestrato tutto quel che gli poteva<br />

sequestrare; due di loro, che si chiamano Edoardo e Carmen, hanno dovuto<br />

riman<strong>da</strong>re il matrimonio - a ventun anni - perché cinque o sei milioni, tutti i<br />

loro risparmi, sono finiti così. E non si sono mai lamentati, e se li incontri<br />

ora ti dicono che sono orgogliosi di aver servito nei Siciliani. La Lega delle<br />

Cooperative, in quegli stessi anni, faceva buoni affari - affari legalissimi<br />

d'altronde - con i Cavalieri.<br />

Io credo che questa storia non debba finire così.


IL POTERE IN SICILIA<br />

Avvenimenti, novembre 1995<br />

Troppo piccola per non essere invasa, troppo grande per essere governata<br />

militarmente: la Sicilia, più che una storia, ha sempre avuto piuttosto una<br />

geografia. Le élites siciliane si sono trovate automaticamente, grazie ad<br />

essa, nella posizione di interlocutori privilegiati ed automatici di ogni<br />

dominatore "esterno". Dai Reyes Catolicos ai politici dell'era andreottiana,<br />

ogni potere siciliano (il cui baricentro non risiede mai in Sicilia) s'è trovato<br />

nella situazione di dover appaltare quasi tutte le funzioni interne (ordine<br />

pubblico, giustizia, ricerca del consenso) alle élites preesistenti: baronìe e<br />

cosche mafiose, <strong>da</strong> questo punto di vista, hanno adempiuto esattamente alla<br />

medesima funzione. In cambio, acquiescenza assoluta sulla politica "alta" e<br />

rinuncia implicita a farsi portavoce d'interessi locali.<br />

Insieme con l'incidente storico dell'Apostolica Legazia (una specie di<br />

gallicanesimo ante litteram ereditato <strong>da</strong>i Normanni: e cioè, in buona<br />

sostanza, l'eliminazione dei contrappesi ecclesiastici al potere) questa<br />

situazione ha determinato le peculiarità ideologiche - quanto alle élites:<br />

diversissimo è il discorso per le culture popolari - degli intellettuali siciliani.<br />

Castrata in partenza, salvo casi estremi (ed "estremisti": Di Blasi, Fava,<br />

Pintacu<strong>da</strong>) la funzione di controllo sul potere, mai vissuta di conseguenza la<br />

fase nazional-popolare, incanalata la ricerca esclusivamente sui livelli<br />

formali, cosa resta alla fine? Sciascia e Meli. Fron<strong>da</strong> <strong>da</strong>ll'interno dei valori<br />

ufficiali, Parigi più vicina di Caltanissetta, scrittura come forma - elegante -<br />

di potere. Arcades ambo. (Non a caso, parlando di élites di potere in Sicilia,<br />

torna sempre più facile parlare d'intellettuali).


LETTERA A UN SINDACALISTA<br />

1995<br />

Caro G., mi scuso per il ritardo, ma le mie condizioni di salute in questio<br />

periodo non sono state delle migliori. Dovete stabilire voi la <strong>da</strong>ta del<br />

convegno: o subito prima, o subito dopo il referendum. Nel primo caso,<br />

conclusione della campagna referen<strong>da</strong>ria, ma conclusione forte, <strong>da</strong>l Sud,<br />

con due o tre storie esemplari di scontro e di ricostruzione. Nel secondo<br />

caso, il convegno potrebbe essere il primo atto politico propositivo dopo la<br />

vittoria nel referendum: "E adesso che abbiamo vinto, ecco che cosa faremo<br />

nel settore dell'informazione". Anche qui, il fatto di parlare <strong>da</strong>l Sud implica<br />

una maggior radicalità e densità dei contenuti o perlomeno pone in<br />

sottordine i filoni più salottieri della nostra gioiosa macchina <strong>da</strong> guerra. (E<br />

se perdiamo? In questo caso, per quanto ci riguar<strong>da</strong>, il repertorio è ben noto:<br />

lacrime e sangue, niente scoraggiamenti, restare organizzati, non mollare).<br />

I temi del convegno: naturalmente, tocca a voi fare delle proposte<br />

complessive. Da parte mia, vedrei alcuni punti che sono locali, ma che<br />

rappresentano in forma estremamente concreta e precisa le questioni<br />

fon<strong>da</strong>mentali che abbiamo di fronte - quanto all'informazione - sul piano<br />

nazionale.<br />

1) Il caso Ciancio. Ciancio è un editore siciliano, vicino ai cavalieri e non<br />

nemico della mafia, che per lunghi anni ha convissuto con altri editori di<br />

provincia, in un sistema reciprocamente bilanciato e tutto sommato<br />

periferico rispetto ai grandi imperi editoriali. La novità di quest'anno è che<br />

Ciancio ha praticamente ingoiato gli altri, <strong>da</strong>ndo luogo a un monopolio di<br />

fatto, e soprattutto che l'ha fatto giocando abilmente sui rapporti coi grandi<br />

gruppi nazionali: appoggio politico - ma con prucenza - a Berlusconi,<br />

accordi commerciali con Pubblikompass. Questa storia ha dei connotati<br />

specifici "mafiosi", ma a questo punto non sono essi l'aspetto centrale: più<br />

preoccupante è la "modernità" ed esemplarità dell'operazione, che per le<br />

mo<strong>da</strong>lità con cui viene portata avanti è perfettamente compatibile tanto con<br />

un quadro di destra quanto con uno di centro<strong>sinistra</strong>. Ciancio è l'editore di<br />

domani, molto più di Berlusconi.<br />

2) Repressione. I giornalisti licenziati o emarginati al Sud hanno diritto a<br />

una conferenza stampa qualche giorno dopo il licenziamento, a un articolo<br />

sul Manifesto e se sono molto fortunati a una presa di posizione del<br />

sin<strong>da</strong>cato (nazionale, perché quelli regionali esistono poco). Il caso di<br />

Finocchiaro, qui a Catania, è esemplare. Finocchiaro, in un certo senso, è un<br />

privilegiato perché e stato licenziato <strong>da</strong> professionista: ma in altri casi la<br />

vittima è un "biondino" che, dopo anni e anni di lavoro, viene


semplicemente cancellato <strong>da</strong>lla faccia della terra: senza nessuna possibilità<br />

di difesa, perché ufficialmente non esiste.<br />

3) Sin<strong>da</strong>cato. M'è venuto il ghiribizzo, qualche settimana fa, di vedere<br />

come si fa a presentare una lista alle elezioni locali. Non avevano nemmeno<br />

una copia dello statuto sin<strong>da</strong>cale. A memoria di giornalista qui non sono mai<br />

state presentate liste contrapposte. Si vota alla bulgara, allora colleghi siamo<br />

d'accordo?, e l'unica possibilità di entrare negli organismi sin<strong>da</strong>cali consiste<br />

nel contrattare un posto nel listone.<br />

4) Mafia. Il collega rimproverato <strong>da</strong>l suo direttore <strong>da</strong>vanti al boss<br />

mafioso, "La Sicilia" che letteralmente inventa false dichiarazioni per<br />

salvare Graci, ecc: anche qui, casi esemplari, che avrebbero dovuto <strong>da</strong>r<br />

luogo a grandi battaglie democratiche, e che invece hanno incontrato solo la<br />

reazione dei Siciliani. Bisogna che qualcuno venga a <strong>da</strong>re la sveglia al<br />

sin<strong>da</strong>cato e all'Ordine locali. Da soli, non ce la facciamo.<br />

Ecco, questa potrebbe essere una buona base per cominciare. Poi ci<br />

sarebbero la questione del referendum - ma su questo non credo che ci sia<br />

bisogno di discussioni - e quella del Progetto Siciliani, che ci stiamo<br />

preparando a rilanciare. Ma di questo potremmo parlare di persona fra<br />

qualche giorno.


LA RAGIONE<br />

Avvenimenti, giugno 1996<br />

"...la raison tonne en son cratère..."<br />

Domenica 16, a Catania, è morto il professor Giuseppe D'Urso e questa è<br />

probabilmente l'unica pagina dell'unico giornale che lo ricordi. Tuttavia è un<br />

avvenimento storico: 16 giugno 1996, muore Giuseppe D'Urso che<br />

sconfisse i mafiosi<br />

E' stato il primo, in tutta Italia, a dire cos'era veramente la mafia dei nostri<br />

tempi. Non un'escrescenza criminale, non una patologia; ma il braccio<br />

armato, organizzato <strong>da</strong> molti anni su basi ben precise, di una parte<br />

consistente della classe dirigente siciliana e nazionale, quella inquadrata -<br />

negli ultimi decenni - <strong>da</strong>lle massonerie deviate. Fu lui ad postulare per<br />

primo, e a descrivere con precisione, il legame organico fra mafie e<br />

massonerie, ad analizzarne le strutture, a denunciarne la strategia. Tutti gli<br />

altri, vennero dopo. E quando, faticosamente, il concetto di "massomafia" -<br />

il termine <strong>da</strong> lui coniato nei primi anni Ottanta - divenne senso comune,<br />

allora e solo allora la lotta ai poteri mafiosi poté cominciare <strong>da</strong>vvero.<br />

Andreotti, Licio Gelli, i cavalieri catanesi ebbero nel suo cervello il nemico<br />

più pericoloso.<br />

Ci fu maestro, a noi dei Siciliani. Nessun altro ebbe così pienamente<br />

questo onore; eccetto Giuseppe Fava. Nel 1982; prima ancora - anche qui,<br />

l'unico - dei Siciliani egli già denunciava pubblicamente i cavalieri catanesi,<br />

i magistrati al loro servizio, le servitù, gli affari. Era allora presidente<br />

dell'Istituto Nazionane di Urbanistica e di questa prestigiosa posizione si<br />

valse - oltre che per una notevole attività scientifica - per una<br />

documentatissima battaglia civile. Nel gennaio dell'84, dopo l'assassinio di<br />

Giuseppe Fava, raccolse l'appello dei giovani e si arruolò - non c'è altra<br />

parola - nei Siciliani. Da quel momento, la sua vita fu indissolubilmente<br />

legata alla nostra e la sua ragione e il suo cuore appartennero ai Siciliani.<br />

Nell'autunno del 1984 fondò l'Associazione I Siciliani, di cui fu il<br />

Presidente. Piccolo gruppo di militanti, l'Associazione si radicò rapi<strong>da</strong>mente<br />

ed aquistò peso ed influenza; insieme col Coordinamento Antimafia di<br />

Palermo e col Centro Peppino Impastato, fu il primo esempio in assoluto di<br />

politica militante, nell'Italia degli anni Ottanta, fuori dei partiti. Oltre a<br />

D'Urso, l'Associazione poté contare su uomini come il sacerdote Giuseppe<br />

Resca, il magistrato Scidà, il professor Franco Cazzola, l'operaio Giampaolo<br />

Riatti ed altri ancora. Era la nuova classe dirigente, quella che avrebbe<br />

potuto <strong>da</strong>vvero cambiare tutto; finché essa fu unita, non passarono i<br />

gattopardi.


Nel 1990, il professore fu fra i ventiquattro fon<strong>da</strong>tori della Rete, nata<br />

allora non come un partito ma come un movimento unitario di liberazione .<br />

Egli ne organizzò i primi passi <strong>da</strong>l letto in cui già era inchio<strong>da</strong>to,<br />

contribuendo come pochialtri alle sue prime vittorie. In seguito, le<br />

ambizioni personali vi presero - per sventura del Paese; come in tante altre<br />

occasioni - il sopravvento, e solo il coraggio individuale, che non fu mai<br />

tradito <strong>da</strong> alcun siciliano, sopravvisse agl'ideali con cui s'era partiti. Ma già<br />

allora, e non casualmente, egli ne era stato emarginato.<br />

Gli ultimi anni, di lunga malattia, furono una feroce vendetta della<br />

Fortuna invidiosa.Egli la sopportò virilmente, ragionando fino all'ultimo. Io<br />

ricordo una sera, quando una diagnosi dei medici gli <strong>da</strong>va poche settimane<br />

di vita. Mi avvertì pacatamente che non avrebbe potuto, non per sua colpa,<br />

far fronte ad alcuni impegni organizzativi predisposti. Me ne espose il<br />

motivo. Mi dette cortesemente alcune istruzioni per continuare in sua<br />

assenza. Il resto della serata fu speso in una conversazione su alcuni punti<br />

controversi del pensiero di Benedetto Croce.<br />

* * *<br />

"Addio, compagno! Per buon tempo hai combattuto, e con onore/ Per la<br />

libertà del popolo..." dice un antico canto rivoluzionario. Giuseppe D'Urso,<br />

ingegnere, pensatore illuminista e militante del popolo siciliano, ha<br />

combattuto come pochissimi altri per il bene comune. La sua vita è stata<br />

utile, il suo pensiero fraterno; non ha sprecato un attimo della sua forte<br />

intelligenza; ha vissuto. I suoi figli possono essere orgogliosi di lui, e<br />

orgoglioso chi gli fu amico. Quando sarete liberi, voi della Sicilia e di<br />

tutt'Italia, quando sarete dei cittadini, allora - e solo allora - portategli un<br />

fiore.


UNA PREFAZIONE<br />

luglio 1996<br />

Questa in realtà è la secon<strong>da</strong> edizione delle fiabe di Antonella Consoli. La<br />

prima, di alcuni anni fa, consta di venti esemplari fotocopiati - Edizioni "du<br />

Chocolait au lait", Catania - dopo essere stati battuti a macchina con la<br />

vecchia Lettera 32 della re<strong>da</strong>zione dei "Siciliani" (le prime quattro fiabe) o<br />

con una Underwood di proprietà privata (le successive). La Lettera 32 stava<br />

allora nella re<strong>da</strong>zione di Corso delle Province e a parte le fiabe serviva per<br />

scrivere robe sulla mafia. La Underwood stava sul tavolo nella stanza<br />

grande della casa al quartiere Cibali, sempre a Catania.<br />

La stanza dove di norma si scriveva era assai luminosa e aveva un<br />

balcone sulla stra<strong>da</strong>. Una volta il balcone fiorì improvvisamente di fiori<br />

porpora, molto belli; chiaramente - <strong>da</strong> un punto di vista botanico - delle<br />

erbacce, ma tuttavia dei bei fiori. La vicina disse loro che il nome<br />

dell'erbaccia era "fior di miseria", ed essi risero molto. In effetti c'era poco<br />

<strong>da</strong> mangiare, l'affitto si pagava di rado ed era abbastanza difficile anche<br />

comprare i giornali. Possedevano questa Underwood <strong>da</strong> cronisti, un<br />

radioregistratore portatile con un po' di cassette (Mozart, Malher e qualcun<br />

altro) e poi c'era - nel ricordo - molto sole.<br />

Essi erano là, sintetizzando estremamente la situazione, allo scopo di<br />

presidiare Catania nel quadro della Lotta alla Mafia. Questa, oltre loro, in<br />

quel momento poteva contare in città su un vecchio magistrato<br />

unanimemente considerato matto <strong>da</strong>i ben pensanti, su un altro matto<br />

specializzato in analisi dei poteri massomafiosi, su un paio di preti e su<br />

alcune ragazze e ragazzi. Nel resto d'Italia, a quel tempo, c'erano Andreotti e<br />

Craxi e gl'italiani e però, salvo rare eccezioni, fuor di quella e di qualche<br />

altra città non si sparava. Così, se uno volesse fare una storia<br />

particolarmente pignola, potrebbe anche dire che le Fiabe in realtà sono uno<br />

dei tanti frutti della Sicilia dell'antimafia; un samiz<strong>da</strong>t, in un certo senso; un<br />

vivere per qualcosa, un costruire, nello stesso momento in cui si viveva<br />

contro. Ma queste probabilmente sono parole troppo importanti per una<br />

modesta edizione <strong>da</strong> venti copie.<br />

Bene, questo per quanto riguar<strong>da</strong> la prima edizione. Per completezza si<br />

può aggiungere che la stampa, e cioè la fotocopiatura di tutt'e venti gli<br />

esemplari, avvenne un paio d'anni dopo nella re<strong>da</strong>zione - quattro stanze - di<br />

un giornale di <strong>sinistra</strong> romano che nasceva allora, e di cui queste venti<br />

fotocopie furono la prima gloriosa produzione editoriale. Traghetto,<br />

passseggiare per Torre Argentina, l'amica francese che Antonella trovò a<br />

Roma, e ancora gli anni... Ma questa è già <strong>un'altra</strong> storia. Per ora basta dire


che c'è dell'altra roba nel cassetto. La Sicilia difatti, almeno in tempo di<br />

guerra, è un posto dove si vola molto alto. E Antonella Consoli, anche come<br />

scrittrice, è un pezzo di Sicilia.


GIORNALISMO E TECNOLOGIE<br />

OG, ottobre 1996<br />

Molti e molti anni fa il nostro direttore ci costrinse a fare un corso di<br />

computer - del tutto illegalmente: nel 1980 il contratto dei giornalisti non<br />

prevedeva affatto l'uso delle tastiere - e alle nostre rimostranze rispose:<br />

"Beh, può <strong>da</strong>rsi che un giorno o l'altro vi venga voglia di farvi un giornale<br />

vostro...". E andò proprio così: quando il giornale in cui lavoravamo chiuse<br />

mettemmo in piedi una cooperativa e tirammo su un giornale nostro, che<br />

riuscì a sopravvivere per parecchi anni anche grazie al fatto che eravamo in<br />

grado di gestirci <strong>da</strong> noi le tecnologie. E questa è una delle due facce della<br />

me<strong>da</strong>glia. L'altra faccia è che oggigiorno, in un giornale qualunque, un<br />

ragazzo magari uscito <strong>da</strong> una scuola di giornalismo ma privo di ogni<br />

esperienza sul terreno è in grado, nel giro di sei mesi, di montare una pagina<br />

al desk: Internet, agenzie, un software d'impaginazione, un buon manuale di<br />

grafica, un minimo di media cultura. La maggior parte delle cose che<br />

servono per montare questa pagina, infatti, non sono più specifiche del<br />

mestiere, e l'editore lo sa. Il giornalista di una volta, magari politicamente<br />

qualunquista e non eccessivamente maturo sul piano sin<strong>da</strong>cale, possedeva<br />

tuttavia un complesso di esperienze e cognizioni che lo rendevano<br />

praticamente insostituibile, e questo sul piano dei rapporti con l'editore<br />

aveva un suo peso.<br />

Allora la selezione nel nostro mestiere era durissima, ingiusta ma, a suo<br />

modo, efficiente: non sopravvivevano i migliori umanamente, ma almeno i<br />

più "giornalisti". Il giro degli ospe<strong>da</strong>li, le venti righe di nera, la lotta<br />

<strong>da</strong>rwiniana per <strong>da</strong>re la bucatura, sentirsi giornalista fino all'ultimo pelo... Le<br />

tecnologie consistevano in una Lettera 22, e il resto era tutto mestiere. Per<br />

lavorare a un giornale, a quei tempi, bisognava - e bastava - essere un<br />

giornalista. Il giornalista era colui che trova e scrive le notizie. Il giornale<br />

era il posto dove la gente le trovava.<br />

Tutte queste cose, negli ultimi cinque-sei anni, si sono trasformate<br />

radicalmente. Il giornale non è più il posto principale dove la gente trova le<br />

notizie. La stessa notizia è diventata qualcosa di molto diverso di prima, ed<br />

è diventata un complesso simultaneo di informazioni/emozioni che prima<br />

giungevano in tempi molto diversi, veicolate in parte <strong>da</strong>l giornalismo e in<br />

parte <strong>da</strong>lla letteratura.<br />

Da alcuni anni insomma - cinque, sei, forse otto anni - è stata inventata la<br />

televisione. Ma la televisione non risale agli anni Quaranta? Niente affatto.<br />

Dal nostro punto di vista, che è giornalistico, la televisione non è stata<br />

affatto un'innovazione sostanziale fino ai tardi anni Ottanta: il telegiornale,


il mezzobusto, la notizia televisiva, erano semplicemente la traduzione su<br />

una nuova tecnologia di tecniche e culture preesistenti. Poi sono arrivate la<br />

Cnn, Tele Globo e Samarcan<strong>da</strong>: non più giornalismo "stampato" messo<br />

<strong>da</strong>vanti a una telecamera, ma qualcosa che concettualmente nasceva - nel<br />

bene e nel male - <strong>da</strong>ll'interno stesso della nuova tecnologia. Da quel<br />

momento, la televisione ha smesso di rincorrere la carta stampata, ed è<br />

cominciato il contrario. La prima pagina di un giornale bempensante e<br />

tradizionale come La Stampa si ispira esplicitamente - per bocca del suo<br />

progettista grafico, Piergiorgio Maoloni - a criteri "televisivi". Per non<br />

parlare delle esperienze di punta come Wired o come Extra, brutalmente<br />

basate sullo zapping fra unità elementari di lettura.<br />

* * *<br />

Tutto questo per dire che i salti tecnologici, nel nostro mestiere, non<br />

incidono tanto nel momento in cui vengono elaborati, quanto nel momento<br />

in cui vengono digeriti: le nuove tecnologie, in altre parole, non sono<br />

decisive in quanto tecnologie, ma in quanto catalizzatrici di nuovi approcci<br />

culturali. Gutenberg inventa - o reinventa - i caratteri mobili, e questa<br />

sarebbe già una faccen<strong>da</strong> abbastanza importante ma non poi così<br />

trascendentale; i cinesi coi caratteri di legno ci hanno convissuto<br />

pacificamente per alcune centinaia d'anni e senza che nessuno ci facesse<br />

gran caso, all'infuori dei man<strong>da</strong>rini della Celeste Stamperia Imperiale. Ma<br />

Gutenberg unisce immediatamente all'innovazione tecnologica<br />

un'innovazione culturale: se questo aggeggio serve a far tanti libri, lo uso<br />

subito per clonare il libro-base della mia società, la Bibbia, e poi sto a<br />

vedere che cosa succede; e nel giro di pochi anni ti arriva la Riforma<br />

protestante con annesso rivoluzionamento d'Europa. "Un viaggiatore di<br />

ritorno <strong>da</strong>lle Russie quindici giorni fa ha riferito...". Ma poi nasce il<br />

telegrafo, e allora quello che è successo l'altro ieri a San Pietroburgo diventa<br />

immediatamente materia di rivoluzionamento alla Borsa di Londra... E così<br />

via. Kipling viaggia con la sola compagnia d'un disegnatore, e la questione<br />

anglo-indiana arriva in Occidente sotto una rassicurante veste letteraria; ma<br />

la Guerra civile americana è coperta <strong>da</strong>i primi fotoreporter coi loro enormi<br />

treppiedi, e l'umanità scopre improvvisamente una visione completamente<br />

diversa della guerra, un po' meno classica un po' più brutale. Ogni singolo<br />

salto tecnologico ha funzionato in generale, ma soprattutto nella storia del<br />

nostro mestiere, come moltiplicatore dei salti culturali. Quando è arrivata la<br />

rotativa, un osservatore attento - o un poeta - avrebbe potuto preconizzare<br />

non solo le novità del formato, della tiratura e della foliazione, ma anche la<br />

catena Hearst, gli incidenti di Cuba, la guerra ispano-americana, e l'inizio<br />

dell'espansione politica americana: linearmente, poiché queste cose seguono


una logica molto stretta.<br />

* * *<br />

Internet, le telecomunicazioni, i sistemi di rete vanno letti oggi,<br />

probabilmente, <strong>da</strong> un angolo visuale di questo tipo. Il computer, <strong>da</strong> questo<br />

punto di vista, sta venendo inventato in questi mesi. In Giappone, clonando<br />

un computer Macintosh (il più "amichevole" sul mercato) la Pioneer è<br />

riuscita a produrre il primo "computer per casalinghe": una macchina che<br />

non assomiglia affatto a un computer, che s'inserisce discretamente<br />

(esattamente come un videoregistratore) sotto il televisore, che non richiede<br />

cognizioni di nessun tipo per essere fatto funzionare - non ha neppure<br />

tastiera - e che concettualmente è uscito completamente <strong>da</strong>lla categoria delle<br />

macchine "per appassionati" come il vecchio computer, la cinepresa a nastro<br />

e la radio a galena. L'automobile ha trasformato il nonstro modo di pensare,<br />

e il nostro mondo, non quando è stata inventata ma quando è nata la Ford<br />

modello T. Questo momento è oggi vicinissimo per il computer, e il<br />

dibattito attuale su Internet è semplicemente la premonizione di questo<br />

momento.<br />

E noi giornalisti? Fra quattro-sei anni al massimo, in quanto categoria,<br />

semplicemente non esisteremo più; cosa d'altronde non nuova nella storia,<br />

visto che una sorte del genere è già toccata ai De Foe, ai Rochefort, ai<br />

Kipling - il libellista, l'agitatore, il viaggiatore, le varie categorie in cui di<br />

volta in volta s'è incarnato il mestiere. Una via d'uscita ci sarebbe:<br />

trasformarsi coerentemente - e continuando luci<strong>da</strong>mente ad essere<br />

giornalisti - in qualcosa di completamente rinnovato. Come? Ne parleremo<br />

avanti. Per intanto, il problema non è solo e tanto "imparare le tecnologie"<br />

ma "pensare in un mondo in cui la gente comune vive con le tecnologie".


STAZIONE TERMINI<br />

settembre 1996<br />

Alle dieci meno un quarto sono arrivati quelli della Comunità, due<br />

ragazze e un ragazzo con i panettoncini. Una delle due sbircia<br />

continuamente l'orologio e tuttavia si sforza di far garbata conversazione. È<br />

l'ultimo dell'anno e abbiamo pur diritto, noi barboni qui a Termini, a un<br />

minimo di calore umano e di soli<strong>da</strong>rietà. Lei si chiama Anna, comunica con<br />

un sorriso Wasp la ragazza, e questi sono Massimo e Sabrina.<br />

"Tanto piacere, Bialetti" fa allora l'Ingegnere e le sorride a sua volta,<br />

sforzandosi che sia un formale sorriso <strong>da</strong> ascensore e non qualcosa di più<br />

impegnativo, casomai la fighetta poi si metta paura (l'Ingegnere sa<br />

benissimo di non avere un aspetto particolarmente elegante, qui ed ora).<br />

Sorrido anch'io alzandomi con un mezzo inchino cosa che l'Ingegnere per<br />

motivi d'età non riesce a fare cavandosela tuttavia con grandissimo stile con<br />

la battuta successiva: "Buon anno, cara, e grazie della sua visita gentile"<br />

(forse ha sorriso anche Angela, seduta sui suoi sacchetti di plastica che non<br />

molla mai, ma d'altra parte è difficile definire esattamente se e come Angela<br />

sorri<strong>da</strong>).<br />

"Buon anno!" fa la fighetta rieseguendo impertubabilmente <strong>da</strong> zero il<br />

software preinstallato. ("...anno ...anno" fanno eco l'altra fighetta e il<br />

fighetto) . "Siamo qui con questo piccolo dono - che poi sarebbero i tre<br />

panettoncini dell'anno scorso - e vorremmo brin<strong>da</strong>re con voi al nuovo anno<br />

che sia più fortunato di questo eccetera eccetera...". Fa un cenno al collega<br />

che s'era tenuto pronto all'uopo, e questi tira fuori una fanta e comincia a<br />

versare in quattro bicchieri di plastica che mette in giro: uno alla<br />

capopattuglia, uno a me, uno all'Ingegnere, uno ad Angela (che al solito lo<br />

guar<strong>da</strong> stonata senza riuscire a coordinare occhio, cervello e mano e il<br />

bicchiere le resta sospeso per quindici secondi <strong>da</strong>vanti al naso prima che il<br />

fighetto sgami la situazione e se lo ritiri).<br />

L'Ingegnere ed io ci guardiamo e alziamo con solennità i bicchieri di<br />

plastica: "Buon anno!". Beve la Wasp con la medesima battuta e beve il<br />

ragazzo Massimo nella plastica originariamente destinata alla Angela.<br />

Okkèi, missione compiuta.<br />

"Sono le dieci e venti", comunica la Sabrina, prima e ultima battuta sua<br />

del copione. "È tardi, dobbiamo an<strong>da</strong>re..." fa l'altra, "Ma prego, si figuri" la<br />

cerimonia, pronto, l'Ingegnere. I tre se ne vanno con sorrisi e con sollievo,<br />

noi restiamo con le plastiche in mano. Senza consultarci io e l'Ingegnere<br />

buttiamo bicchieri e contenuti sul binario mentre Angela è ancora là che<br />

pensa e forse le sta albeggiando sulle labbra un sorriso che tuttavia non ha


nulla a che vedere coi tre fighetti, ma risale evidentemene a qualche<br />

dimenticata locazione del suo hard-disk che ora chissà <strong>da</strong> dove torna a galla.<br />

"Bene - fa l'Ingegnere - io ora mi metterei a dormire" e in quella arriva<br />

Schillaci la guardia e ha un termos di caffé caldo e noi beviamo grati e poi<br />

lo sbirro Schillaci fa una cosa meravigliosa e tira fuori due mignon di<br />

Grappa Rododendro o qualche schifezza del genere e "...anno!" fa e ne gira<br />

una a me e una all'Ingegnere e poi volta le spalle e mentre s'allontana ne tira<br />

fuori una terza che apre coi denti e si beve fottendosene con tal gesto del<br />

Regolamento di servizio. È capo<strong>da</strong>nno, giorno poco favorevole al rispetto<br />

dei regolamenti, difatti: a) la stazione resta aperta tutta la notte<br />

contrariamente al solito; b) si lascia dormire in sala d'attesa; c) si lasciano<br />

accesi tutti i riscal<strong>da</strong>menti in stazione. Non male.<br />

Ognuno con la sua bottiglietta - i panettoncini sono tutti per Angela, che<br />

senza precisamente percepirli si affretta a tesaurizzarli: domattina forse si<br />

renderà conto che sono <strong>da</strong> mangiare - l'Ingegnere ed io ci separiamo.<br />

Siccome adesso, graziadìo, siamo fra persone civili, non servono<br />

chiacchiere per farci i complimenti, ma un cenno della testa basta a<br />

sintetizzare il reciproco augurio di arrivare in qualche modo al capo<strong>da</strong>nno<br />

dell'anno dopo.<br />

Dopodiché ci allontaniamo lui verso la sala d'attesa stanotte disponibile e<br />

illuminata e io a fare due passi lungo i binari. Mi piace moltissimo vedere<br />

arrivare i treni e stasera sono particolarmente ottimista perché ho <strong>da</strong><br />

mangiare per almeno 4 giorni e forse sono riuscito a risolvere il problema<br />

non facile di come modificare in parallelo un file Gif destinato a Internet e<br />

uno sempre Gif destinato invece, ma a più alta risoluzione, ad essere<br />

regolarmente impaginato su XPress, escamotage utilissimo che<br />

probabilmente un giorno applicherò non so come non so dove ma tuttavia<br />

bisogna ragionare regolarmente "come se" facendo somma attenzione a non<br />

perdere il ritmo e l'abitudine e in ogni caso a continuar regolarmente sia<br />

pure in condizioni difficili il cammino intrapreso eccetera eccetera.<br />

E in quella ti arriva in rapi<strong>da</strong> successione un flash proprio di capo<strong>da</strong>nno:<br />

tuo nonno ha detto qualcosa fra le luci e tutti ridono - ma era capo<strong>da</strong>nno? o<br />

era il matrimonio di Enzo e Nuccia? il '63, il '66? no, nel '66 era già morto.<br />

Dov'ero io nel '66? Era l'anno di Salina, del coman<strong>da</strong>nte Pojero, di Giusi?<br />

Quello dell'autostop? No, l'autostop era il '67. Già. E poi, alla fine del '67 ci<br />

fu Panaiota, quella storia dei greci e poi... E intanto lungo la banchina la<br />

gente si muove rapi<strong>da</strong>, era il treno <strong>da</strong> Pisa, e fra la folla del treno di Pisa<br />

improvvisamente una ragazza ti guar<strong>da</strong> <strong>da</strong> sopra la spalla e ti sorride<br />

luminossissima - a te? sì proprio a te, non c'è dubbio - per un attimo<br />

interminabile e intenso.


STAZIONE TERMINI 2<br />

Ossigeno, marzo 1997<br />

Stazione Termini la domenica pomeriggio è sempre stata piena di italiani,<br />

gente con la valigia in una pensione e la nostalgia dello struscio, la sera del<br />

dì di festa, su e giù per la via del paese (Caltanissetta o Rovigo, non ha<br />

importanza: italiani, venuti a conquistare la Lambretta, o la Seicento, o una<br />

laurea in lettere o un impiego). Adesso gli italiani di Termini, fra l'ora della<br />

schedina e la sera, sono di pelle nera. Vanno su e giù per l'atrio coperto, a<br />

crocchi apparentemente casuali, a smicciare le ragazze del paese. Noi siamo<br />

gli svizzeri o i tedeschi. Crediamo di vedere "extracomunitari"<br />

(Gasterarbeiter, Macaroni) laddove invece si tratta molto semplicemente di<br />

noialtri vent'anni dopo.<br />

Il Dante che ha fatto Termini ha statuito dei gironi ben precisi, che<br />

variano con le annate ma sono sostanzialmente gli stessi. I sotterranei del<br />

metrò, ai diversi livelli, sono dedicati ai corpi stesi a) per dormire b) per<br />

crepare c) per le varianti intermedie. Negli ultimi anni, diciamo <strong>da</strong> dopo la<br />

lampa<strong>da</strong> Osram, la variante a) tende a prevalere sulla b), ma è, come si dice,<br />

un'ipotesi non suffragata. Il cuore del girone sotterraneo, che un tempo stava<br />

nei bagni diurni, adesso dovrebbe coincidere - in teoria - col megadrugstore<br />

all'americana inaugurato con molti buoni propositi sotto Rutelli: folla<br />

aeroportuale, si progettava, e luci al posto degli angoli bui e dei barboni. Il<br />

drugstore in realtà, salvo che in alcuni momenti, gira ben poco. E' vuoto,<br />

comunque, esattamente nei momenti in cui avrebbe dovuto politicamente<br />

essere pieno. Dopo la mezzanotte c'è qualche povero diavolo che ciondola<br />

poco convinto fra le vetrine, marcato con diffidenza <strong>da</strong>lle guardie in<br />

borghese, e questo è tutto.<br />

I binari di deposito, <strong>da</strong>l lato opposto, hanno conosciuto una stagione di<br />

gloria ai tempi dei primi magazine dei quotidiani: il venerdì di Repubblica,<br />

il Sette del Corriere e così via; roba <strong>da</strong> fare in fretta, senza tempo <strong>da</strong><br />

perdere, per i lettori della cronaca, mica per gl'intellettuali che leggevano<br />

Panorama o Espresso. Così bastava trovare una pattuglia di Polfer,<br />

convincerla a fare una ron<strong>da</strong> fra i treni morti, e tenere il flash carico e la<br />

macchinetta pronta: nel giro di due ore te ne tornavi col carniere pieno di<br />

facce insonnolite, spacciatori ipotetici, ragazzi scappati di casa,<br />

gasterarbeiter senza futuro, gente che dormiva là di passaggio fra una<br />

pagina di Dickens e un mattinale di questura. Copertine. Adesso però<br />

persino i magazine dei quotidiani si sono sofisticati, e le storie dei binari<br />

morti si vendono molto meno.<br />

Le storie dei sotterranei e quelle dei binari e diverse altre confluiscono in


verità (ma non è una verità <strong>da</strong> copertina) nella guerra che la società civile<br />

che circon<strong>da</strong> la stazione conduce contro i preti. I preti (Caritas e roba del<br />

genere) sono assolutamente contrari alla disinfestazione della stazione; e<br />

ospitano i disinfestandi, con la scusa che sono umani, nei centri<br />

d'accoglienza della stazione. La società civile è rappresentata <strong>da</strong>i padroni<br />

degli alberghi della zona, che periodicamente montano campagne contro<br />

gasterarbeiter e preti per chiedere l'eliminazione dei primi e<br />

l'allontanamento dei secondi.<br />

Sotterranei e binari morti sono i gironi. L'atrio coperto, la domenica<br />

pomeriggio, invece è il Limbo. Quello in cui gli esseri umani non destinati<br />

al paradiso vivono tuttavia una loro vita - almeno per qualche ora - senza<br />

torture. Su e giù, a gruppi - o femminili o maschili - d'emigranti,<br />

incrociandosi con sorrisi che noi non capiamo, frullando incomprensibili<br />

dialetti non più calabresi o di Burinia ma nigeriani o zairoti. Ed ecco quella<br />

ragazza <strong>da</strong>l viso grave, fasciata con maestosa eleganza in un vestituccio<br />

lieve, che guar<strong>da</strong> con ironia - seduta al bar della cooperativa - a due tavolini<br />

più in là... Ed ecco il ragazzo nero e incravattato, col notes degli appunti e la<br />

borsa, che è qua perché è troppo triste studiare in pensione. Da dieci minuti<br />

lui la puntava, alzando gli occhi <strong>da</strong>l libro con aria indifferente e<br />

ripiombandoli subito dopo giù. Lei, che ha qualche anno in più, o forse ha<br />

vent'anni anche lei ma in più è una donna, se l'è sgamato subito, ma è troppo<br />

ragazzino; o forse - oggi, liberi! - vuole giocarci. Lui la guar<strong>da</strong> di nascosto,<br />

lei placca al volo lo sguardo e glielo restituisce con ironia. Potrebbe an<strong>da</strong>re<br />

avanti moltissimo, se il cameriere tedesco o svizzero non si piantasse<br />

<strong>da</strong>vanti al ragazzo che è qui <strong>da</strong> un quarto d'ora per un unico e già consumato<br />

cappuccino <strong>da</strong> tremila lire. Il ragazzo raccoglie i libri e si alza, <strong>da</strong> sopra la<br />

spalla guar<strong>da</strong> con rimpianto alla donna che sta sorridendo sarcastica e si<br />

avvia verso l'uscita della stazione. E lei, sempre con un sorriso alla Lauren<br />

Bacall, si stacca <strong>da</strong> dove stava appoggiata e muove un passo distratto e<br />

forse, chissà, lo segue...<br />

* * *<br />

Stazione Termini, bianco/nero, regia di Vittorio De Sica, con Montgomery<br />

Clift e Jennifer Jones. (Non c'entra niente). Millenovecentocinquantatré...


ARIEL<br />

Ariel, giornale di detenuti di Palermo e Pescara, maggio 1997<br />

Questo giornale è senza censure. Potete non essere d'accordo con quel che<br />

c'è dentro - e neanche noi che l'abbiamo fatto siamo tutti unanimi su tutto -<br />

però una cosa è certa: che abbiamo scritto esattamente quello che<br />

pensavamo. Per questo, e non per altro, questo è un giornale "strano":<br />

perché è libero. Alcuni dei nostri re<strong>da</strong>ttori, la sera, tornano in carcere:<br />

eppure, sono più liberi della maggior parte dei loro colleghi giornalisti dei<br />

giornali "veri": perché loro, quello che pensano, lo possono dire. Non hanno<br />

privilegi che gli tappino la bocca, né mostri <strong>da</strong> sbattere in prima pagina, né<br />

poltrone <strong>da</strong> tenersi buone. Così scrivono, ingenuamente, nella convinzione<br />

che fare un giornale sia una cosa nobile e bella, che sia giusto informare il<br />

pubblico di quel che a nostro avviso succede, che le opinioni di una persona<br />

possano interessare ad altre persone. E' una buona cosa, scrivere in un<br />

giornale come questo, ed è un bene che un simile giornale ci sia.<br />

Adesso, ho alcune poche cose <strong>da</strong> chiedere - senza illusioni, s'intende; ma<br />

tanto per adempiere a un dovere - a coloro che di giornali e di carceri, nel<br />

mondo a cui appartenevo una volta, hanno la responsabilità istituzionale.<br />

Agli uni - ai magistrati, ai giudici di sorveglianza, ai ministri di grazia e<br />

giustizia, a quelli che qui rappresentano "lo Stato" - chiedo di rispettare in<br />

queste povere pagine lo spirito, che qui è presente, della Costituzione<br />

repubblicana; quella del "tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge",<br />

quella del "tutti hanno diritto a esprimere"; e chiedo di aiutare a diffondersi,<br />

nel loro regno, ogni iniziativa come questa. Un foglio come questo in più<br />

oggi, è una galera in meno domani.<br />

Ai giornalisti, ai colleghi, a quelli che teoricamente farebbero il mio<br />

stesso mestiere, chiedo di far quello che possono per diffondere questa<br />

nostra voce. E possono molto. Insertare per una volta queste quattro pagine<br />

nel quotidiano locale, questo si può fare. Dare un supporto tecnico alla<br />

composizione e alla stampa, si può fare. Venire a confrontarsi qui, alla pari,<br />

coi nostri re<strong>da</strong>ttori, perdere ventiquattr'ore del proprio tempo per insegnar<br />

loro qualche trucco del mestiere, per imparare la loro speranza: questo si<br />

può fare.<br />

C' è un sacco di cose che si possono fare per aiutare una libertà; si<br />

possono fare, e si può anche non farle. Ma in ogni caso è una scelta, non<br />

una dimenticanza, un "non lo sapevo".<br />

* * *<br />

Ariel fa parte di un progetto dell'Associazione Ora d'aria d'Abruzzo, e<br />

questo primo numero esce in corrispondenza di un corso di formazione alla


stampa e all'editoria per detenuti ed ex. Adesso, l'idea sarebbe di: 1)<br />

continuare con regolarità, a partire <strong>da</strong>ll'autunno, la produzione di questo<br />

giornale; b) estendere questa esperienza, e questa prospettiva, ad altre città<br />

d'Italia, a cominciare <strong>da</strong> Palermo e Lecce dove l'organizzazione è già in fase<br />

avanzata.<br />

Non abbiamo la minima idea di fare un giornale di carcerati. Vogliamo<br />

fare un giornale che parli "anche" dei problemi del carcere (che in questa<br />

società ti accompagnano anche molto tempo dopo che ne sei uscito), ma<br />

solo come caso particolare dei problemi che cascano addosso a tutti coloro<br />

che per una ragione o l'altra si trovano tagliati fuori <strong>da</strong>lla maniera "ufficiale"<br />

di vivere, che non sono cioé al cento per cento Telespettatori, Consumatori,<br />

Proprietari d'Automobile, Titolari di Bancomat, Cittadini Comunitari<br />

(possibilmente non-meridionali). Riteniamo di avere molte cose <strong>da</strong> dire, a<br />

quelli dentro e a quelli fuori: <strong>da</strong>l carcere, e <strong>da</strong>ll'Italia ufficiale.<br />

Ariel è un personaggio di Shakespeare che vive fuori <strong>da</strong>lla "società". Vive<br />

in un'isola del mondo che non è segnata nelle normali rotte di navigazione.<br />

Un giorno, per puro caso, alcuni cittadini "perbene" capitano in quest'isola.<br />

In un primo momento, ne hanno paura. Poi cominciano a pensare che visto<br />

che sono tanto civili debbono volenterosamente mettersi a insegnare agli<br />

abitanti dell'isola i principi della civiltà. Infine - ma solo i migliori di essi -<br />

capiscono che forse loro, <strong>da</strong> Ariel, potrebbero addirittura imparare qualcosa.<br />

Se ne tornano <strong>da</strong>ll'isola meno "normali". Più liberi, più - felici?


ALBERI<br />

Ossigeno, maggio 1997<br />

Gli alberi non possono scappare, devono starsene lì buoni e tranquilli e a<br />

tenersi dentro tutte le storie che gli passano <strong>da</strong>vanti, a volte sono storie<br />

simpatiche ma certe altre no e allora alcuni di loro somatizzano (quelli con<br />

meno pelo sullo stomaco, quelli che "signora albera mia dove andremo a<br />

finire") e restano letteralmente senza una foglia addosso. Succede in via<br />

Merulana d'inverno, tigli o ippocastani o quel che razza d'albero sono (io<br />

non riesco a distinguerli l'uno <strong>da</strong>ll'altro) con l'aria tutta cupa e preoccupata e<br />

rami nodosi e spogli come giunture di vecchi.<br />

Gli alberi, per me, sono: a) ulivi; b) fichi; c) mandorli; d) tutto il resto.<br />

Tutto il resto significa alberi perbene e inutili, decorativi, alberi <strong>da</strong> città<br />

decorosa. Alberi-vigili urbani, se mi capite. Ma come i vigili urbani<br />

capitolini, coi loro gesti larghi e il loro inglese romanesco, restano infine<br />

delle Autorità cordialone a dispetto della montura, così gli alberi romani<br />

sono in sostanza dei gran bravi alberi nonostante l'autorevolezza<br />

istituzionale. Ombreggiare Goethe, circon<strong>da</strong>re Caracalla, stormire con<br />

eleganza ai concorsi ippici a Piazza di Siena - non è che gli alberi di Roma<br />

non abbiano le loro soddisfazioni nella vita. Con tutto ciò non si sono<br />

montati la testa e ad esempio se an<strong>da</strong>te a piazza Vittorio la domenica nel<br />

primo pomeriggio vedete due o tre palme maghrebine ondeggiare<br />

tranquillamente al sole, e gli alberi romaneschi tutt'intorno accoglierle<br />

protettivamente nel giardino. E il vecchietto con "Liberazione" e la famiglia<br />

borghese e i bambini; e alcuni di questi bambini sono magrebini come le<br />

palme ma i romani uomini - a differenza degli alberi - non li guar<strong>da</strong>no con<br />

civile simpatia.<br />

Mhm. Un fico, all'improvviso, lo trovi per la salita al Campidoglio, <strong>da</strong>l<br />

lato di dietro. Non è un fico turistico, devi sporgerti <strong>da</strong>l parapetto per<br />

vederlo tutto - poche foglie si affacciano all'ombra al lato dell'antica via. E'<br />

una via lastricata, un opus qualchecosa, qualche migliaio di anni fa; arriva il<br />

presidente del Messico, o anche l'ambasciatore dell'Empire, e Scalfaro lo<br />

accoglie là, in quei trenta passi scarsi di stra<strong>da</strong> romana, con due sol<strong>da</strong>tini di<br />

scorta, un paio di segretari e forse un cerimoniere, vicino all'ombra antica<br />

degli alberi e alla non lontana presenza di Cola di Rienzi e di Marc'Aurelio.<br />

E invece no: hanno dovuto fare Hollywood, gli imbecilli; buttar giù case<br />

antiche e devastare il colle, e alzare quella grandguignolesca torta di<br />

marmo, incubo di generale piemontese, che incombe selvaggiamente sul<br />

Campidoglio; e là cerimoniare cerimoniosamente le Cerimonie di Stato, fra<br />

drappi, cavalli di marmo e musiche d'ordinanza come una qualsiasi


epubblicuccia - Dios, Familia y Nacion - nata l'altroieri. Duci, re e<br />

presidenti, tutti perfettamente a loro agio, pancia in dentro petto in fuori, e<br />

le bandiere garrivano e le fanfare squillavano e i discorsi vibravano - e il<br />

fico, inascoltato, stormiva lieve.<br />

* * *<br />

La lampa<strong>da</strong> Osram non era un albero, non ufficialmente, ma noi la<br />

mettiamo ad honorem nel catalogo degli alberi di Roma. Uno stelo d'acciaio<br />

altissimo, e un'unica enorme lampadina elettrica risplendente in cima; "ci<br />

vediamo alla lampa<strong>da</strong>"; "io ero alla lampa<strong>da</strong>, a mezzogiorno, ma tu non sei<br />

venuta". La sera, la lampa<strong>da</strong> - <strong>da</strong>vanti a Termini - illuminava i dolori, e le<br />

vite sbattute, e l'affaccen<strong>da</strong>to sopravvivere degli esseri umani. La piazza dei<br />

Cinquecento conteneva, allora, il macinacarne di Roma; la lampa<strong>da</strong> gettava<br />

ombre lunghe ai piedi dei ragazzi di vita. Ma c'era un momento di grazia,<br />

fra il sole turisticamente ipocrita del pomeriggio e le lampade prossenetiche<br />

della sera. Esso era quasi esattamente al crepuscolo, quando - la lampa<strong>da</strong><br />

accesa già, palli<strong>da</strong> nel cielo roseo, <strong>da</strong> un'ora - improvvisamente fra gli alberi<br />

della piazza passava un frullare, e subito gli storni a nuvole riempivano tutto<br />

il cielo della stazione, fluttuando con gentile eleganza in alto in alto. "E<br />

come li stornei ne portan l'ali/ nel freddo tempo, a schiera larga e piena,/<br />

così quel fiato li spiriti mali/ di qua, di là, di giù, di sù li mena...". Ma non<br />

era l'inferno, quello, sibbene - nella luce cal<strong>da</strong> del crepuscolo romano - il<br />

paradiso; felici le creature là in alto, la città delle nuvole, la libertà: senza<br />

capi, spontanei, in ordine disordinato gli stormi evoluivano l'uno sull'altro,<br />

viravano - milioni d'individui non soggetti a nessuno - armonicamente,<br />

s'intersecavano con noncurante precisione. Li si guar<strong>da</strong>va vivere, l'occhio in<br />

su, l'animo alleggerito. ma già piombava rapi<strong>da</strong> la sera, già nel buio<br />

disvanivano gli stormi; gli alberi, masse cupe; sagome sfuggenti, in uno dei<br />

tanti loro inferni, gli umani; e la lampa<strong>da</strong> cru<strong>da</strong> illuminava goyescamente<br />

ogni cosa.<br />

* * *<br />

"Dormono gli animali sulla terra/ dormono gli stormi alati...". Dormono<br />

gli uccellini di Roma, sugli alberi del lungofiume o fra i rami di Villa<br />

Pamphili. Dormono i senegalesi sulla banchina del Tevere, dorme il polacco<br />

là sui gradini della chiesa. "Viva la Polonia, e birra!" c'è scritto a pennarello<br />

sopra il muro. "L'anima a Dio Signore, il corpo all'Italia, il cuore alla<br />

Polonia", dice <strong>un'altra</strong> loro scritta sui monti di Cassino. Un ippocastano,<br />

adesso, stormisce a pochi passi <strong>da</strong>ll'uomo che dorme ed è l'unico rumore<br />

della notte.<br />

* * *<br />

Adesso non sono a Roma però. Ho un abete <strong>da</strong>vanti, non un ippocastano;


quasi sotto l'abete c'è un cesto <strong>da</strong> pallacanestro, due ragazzi con un pallone<br />

<strong>da</strong> basket e questa è piazza dell'Unità qui a Bologna, alla Bolognina anzi, il<br />

quartiere "rosso" dove Achille Occhetto qualche decina d'anni fa annunciò il<br />

pensionamento del vecchio partito comunista. Ci sono tre pensionati nella<br />

piazza, uno qui accanto a me sulla panchina e due all'edicola dei giornali.<br />

C'è una famigliola coreana e tre signore anziane, due col bastone, che<br />

chiaccherano sorridendo sapute <strong>da</strong>ll'altro lato della piazza; un uomo di<br />

mezzetà col cappello, una ragazza in bicicletta, un cane vecchissimo -<br />

sdraiato irregolarmente sull'erba: ma alla sua età glielo si consente - e<br />

dignitoso. Dall'altro lato della stra<strong>da</strong> c'è un chiosco con dei tavolinetti,<br />

fanno un caffé non straordinario ma dei gelati <strong>da</strong>vvero buoni, le gelataie<br />

sono due - madre e figlia -, sorridono gentili e sicure mentre ti contano il<br />

resto e ti augurano la buonasera. Fra le aiuole una piccola lapide: "Cittadino<br />

che passi/ se alzi lo sguardo vedi il fabbricato al civico 5/ ove caddero 6<br />

giovani patrioti/ combattendo per l'indipendenza della patria...". Poi c'è un<br />

manifesto del consiglio di quartiere su un concorso per giovani scrittori, una<br />

bacheca con avvisi vari, un paio di manifesti commerciali, la trattoria sul<br />

marciapiede, la gentilezza del prossimo, e nessuno che dorme per terra.<br />

Un'aria di fuorimo<strong>da</strong>. Farà fresco stasera, guar<strong>da</strong> come si muovono i rami<br />

dell'abete.


DI LIEGRO<br />

ottobre 1997<br />

Purtroppo, alla fine, lo faranno santo. Con la sua brava chiesa<br />

parrocchiale, in qualche angolo dignitoso di Monteverde o di Prati, con la<br />

sua gente perbene col suo vassoio delle paste, la domenica a mezzogiorno<br />

sul sagrato, e colla sua zingara sui gradini - forse, <strong>da</strong>to che la chiesa è la<br />

sua, tollerata - e la zingarellina accanto. A San Giovanni in Laterano, alla<br />

sua messa <strong>da</strong> morto, la zingara non c'era, non ce l'avrebbero lasciata, così<br />

come non hanno lasciato entrare i barboni. C'era solo qualcuno - non<br />

moltissimi - dei governatori cittadini, e c'era il cardinale più cardinalizio di<br />

Roma, l'Eminenza Ruini, tanto saviamente ostile alle utopie di lui vivo<br />

quanto eloquentemente celebrativo, delle utopie medesime, di lui morto.<br />

Niente cau<strong>da</strong>tari in livrea, d'altro canto, per Sua Eminenza; niente<br />

portantine rococò - ma semplici automobili blu - ad aspettare le Eccellenze<br />

sul sagrato. Il resto, tolto questo, era l'eterna Roma borrominiana. Roma di<br />

don Luigi di Liegro, o di don Filippo Neri.<br />

Un centro d'accoglienza di questi preti, maleducatamente, stava in piena<br />

stazione Termini. Periodicamente, nella zona, usciva un giornaletto - lo<br />

trovavi gratuitamente nelle tabaccherie e nei bar - finanziato <strong>da</strong>i grossi<br />

albergatori del quartiere, quelli di via Cavour e di via Nazionale; ma è<br />

fortissima la presenza economica del Vaticano in quella zona - e lanciava le<br />

sue brave campagne contro l'invasione dei vagabondi: attirati, come le<br />

mosche al miele, <strong>da</strong>i maledetti letti puliti e pasti caldi di monsignor Filippo<br />

Neri. Ohimè, il povero viaggiatore che viene <strong>da</strong>lle Castiglie o d'Alemagna,<br />

per visitar le Basiliche, e si trova - appena messo piede nell'Urbe - in una<br />

corte dei miracoli siffatta: o perché non istituirli al Raccordo, se proprio <strong>da</strong><br />

fare s'hanno, codesti benemeriti centri d'accoglienza? Perché proprio nel<br />

centro cittadino, nel cuore di una capitale come Roma, in mezzo alla vita<br />

normale? Di Liegro non si ribellava agli Eminenti albergatori, non faceva<br />

baccano; i santi - in tempo di Controriforma - è bene che siano dei santi-delsorriso,<br />

sennò Campo de' Fiori è lì che aspetta. Ma lavorava, tesseva, aveva<br />

le sue brave aderenze a Corte. Una rete impalpabile e sofisticata di amicizie<br />

importanti, di strategie diplomatiche, di politiche mazzariniane, di manovre,<br />

teneva lontani i barboni di don Di Liegro <strong>da</strong>i due gradi sottozero<br />

dell'inverno. La carità di Cristo, <strong>da</strong> sola - nella Roma delle Eccellenze e dei<br />

Papi - non sarebbe bastata.<br />

La carità di Cristo a Roma la trovi forse, ma totalmente inutile, solo nei<br />

Pasolini e dei Caravaggio. La puttana annegata che fa, nel quadro del pittore<br />

romano, <strong>da</strong> madonna; i ragazzi di vita, i bacchi e i sangiovannini, i


francocitti; altra pietà non trovi, nelle controriforme. I poveri, per servirli di<br />

questi tempi, bisogna essere scaltri. Scaltri vuol dire parlare con sua<br />

Eminenza o con Rutelli, è ma vuol dire anche parlare con i briganti della<br />

Campagna romana, con gli autonomi, addirittura coi comunisti. Avete<br />

presente Celio Azzurro, la cooperativa organizzata <strong>da</strong>l Centro sociale Corto<br />

Circuito per accogliere i bambini delle varie etnie - bianchi, neri, gialli,<br />

marrone e quant'altro - che popolano la città di Roma? E' stata finanziata<br />

<strong>da</strong>lla Provincia grazie all'intervento di monsignor Di Liegro. Avrebbe potuto<br />

essere, quest'incontro, un inizio di alternativa.


MODESTA PROPOSTA PER SALVARE L'ORDINE<br />

(E L'ANTICO MESTIERE) DEI GIORNALISTI<br />

OG, luglio 1997<br />

Situazione della stampa italiana:<br />

- il giornale ormai è quella cosa che vien <strong>da</strong>ta in omaggio con le<br />

videocassette;<br />

- il giornalista è sempre più un deskista e sempre meno un cronista;<br />

- il direttore è sempre più un manager e sempre meno un giornalista;<br />

- l'editore è sempre più un imprenditore d'altro e sempre meno un editore;<br />

- i contenuti pubblicitari (anche mascherati) prevalgono su tutto;<br />

- le tecnologie vengono utilizzate non per allargare, ma per centralizzare e<br />

fordizzare il prodotto;<br />

- l'editore chiede sempre meno giornalismo e sempre più marketing;<br />

- il prodotto finale è quindi vecchio, grasso e ridon<strong>da</strong>nte;<br />

- e alla fine, il giornale NUN SE VENDE e l'editore chiede aiuto ai<br />

politici.<br />

* * *<br />

In questo quadro, noi giornalisti contiamo come il settebello a briscola. La<br />

crisi dei giornali italiani nasce esattamente <strong>da</strong>lla sempre minor presenza di<br />

cultura giornalistica nella gestione non dell'articolo o della pagina, ma del<br />

prodotto e, in definitiva, dell'azien<strong>da</strong>-giornale. O Pavarotti o Fantozzi: il<br />

ruolo del giornalista oggi, alla fine, non sfugge a una di queste due<br />

categorie. Entrambe sostanzialmente senza potere. Sì, è vero, Fantozzi ha la<br />

quattordicesima e Pavarotti dà del tu al ministro: ma sostanzialmente<br />

nessuno dei due conta niente.<br />

Eppure, il giornalista in quanto tale ha delle specificità culturali che<br />

nessun altro possiede. Il giornalista sa prendere appunti, il giornalista sa<br />

impaginare - ma sostanzialmente il giornalista, e solo il giornalista, sa<br />

ascoltare. Il medico non è semplicemente colui che esercita la medicina, né<br />

l'architetto colui che progetta; c'è sempre un imprinting - umanistico - in<br />

più. E così, il medico è la scienza chirurgica, più la pietà; l'architetto, la<br />

scienza delle costruzioni più l'armonia. E il giornalista? E' essenzialmente<br />

un essere umano curioso; a cui appropriate tecniche, che variano <strong>da</strong> una<br />

generazione all'altra, <strong>da</strong>nno la possibilità di contare. Tutto il resto - e il<br />

giornale e il prodotto e l'azien<strong>da</strong> - debbono partire <strong>da</strong> qui; se no, nascono<br />

morti.<br />

Il nostro compito di "giornalisti", qui ed ora, è dunque semplicemente<br />

quello di riaffermare noi stessi nell'esercizio del nostro mestiere; di<br />

difenderlo contro noi stessi - contro i privilegi e i lustrini che possono


farcelo dimenticare - e contro i poteri forti, che proprio in questi mesi si<br />

vanno ricreando. Nel mondo "nuovo", sempre più monolitico e sempre più<br />

"imprenditoriale" che s'avanza, non c'è posto per imprinting umanistici nelle<br />

professioni: il medico, l'architetto, il giornalista, la prostituta, il prete<br />

possono ambire al mero status di tecnici - del corpo, della casa, dell'anima,<br />

del sesso, dell'informazione - ma senza che la complessiva cultura dei poteri<br />

forti, il loro monopolio del consenso, ne sia minimamente disturbata. E<br />

questa è la situazione.<br />

Abbiamo tuttavia, per uno strano gioco del caso, un'ultima occasione. Noi<br />

giornalisti siamo raggruppati in Italia in un libero Ordine professionale;<br />

accolta di vecchi tromboni forse, ma sicuramente onesti e dunque<br />

incontrollabili; e dunque pericolosi. Hanno provato a togliere di mezzo<br />

quest'Ordine, col referendum di Pannusconi (indirettamente sostenuto, non<br />

foss'altro che col silenzio, <strong>da</strong>i principali manager-direttori); ma non ci sono<br />

riusciti. E ora la mossa tocca a noi.<br />

E' l'ultima, dobbiamo saperlo; e quindi dev'essere fatta in fretta, e col<br />

massimo della determinazione. Per prima cosa, non dobbiamo difendere<br />

semplicemente, e principalmente, noi stessi; dobbiamo difendere il lettore.<br />

Il telespettatore, il target, la massa consumatrice, l'imbecille <strong>da</strong> fottere col<br />

gadget: questo essere che gli esperti del management hanno <strong>da</strong> tempo<br />

incasellato nelle loro categorie, per noi è ancora, del tutto fuori mo<strong>da</strong>, il<br />

Signor Lettore. Come Ordine dei Giornalisti, dobbiamo proporre<br />

pubblicamente dei rigidi meccanismi di difesa, che lo proteggano - e<br />

dobbiamo essere noi a proteggerlo - <strong>da</strong>lle prepotenze e <strong>da</strong>gl'imbrogli. Senza<br />

di che, egli continuerà a leggere libri, ma non giornali.<br />

In secondo luogo, dobbiamo an<strong>da</strong>re professionalmente avanti. Dobbiamo<br />

essere noi a contestare l'attuale obsoleto modello di giornale, noi a esplorare<br />

il nuovo. Se fossimo nell'Ottocento, direi che dovremmo essere noi a<br />

scoprire l'uso del telegrafo e a imporlo agli editori (creando così, fra l'altro,<br />

la figura dell'inviato speciale). Oggi noi dobbiamo imparare a gestire le<br />

tecnologie prima del padrone, meglio del padrone, alla faccia del padrone.<br />

Non ripetiamo l'errore dei tempi in cui arrivarono in re<strong>da</strong>zione i primi<br />

computer, che noi non abbiamo visto e il padrone sì: perché è quello che<br />

paghiamo oggi.<br />

* * *<br />

La battaglia per l'autonomia, dunque, comincia ora. Da un lato, gli editori<br />

cercheranno nei prossimi mesi di chiudere d'autorità la questione con una<br />

leggina. Dall'altro lato, noi possiamo prendere l'iniziativa con un pacchetto<br />

di proposte concrete che ora come non mai possono trovare udienza,<br />

rivolgendoci direttamente alle istituzioni politiche e, nello stesso momento,


al lettore.<br />

L'Ordine dei Giornalisti potrà dunque chiedere di essere considerato per<br />

legge unico responsabile, direttamente e in prima persona, di due terreni<br />

fon<strong>da</strong>mentali:<br />

1) la deontologia professionale;<br />

2) la formazione (scuole di giornalismo) e la determinazione dell'accesso<br />

alla professione.<br />

* * *<br />

1) La deontologia:<br />

Ogni giornalista, all'atto della consegna del tesserino, s'impegna<br />

solennemente con una specie di giuramento di Ippocrate a rispettare una<br />

serie di norme etiche e ad evitare una serie di comportamenti. Per tutta il<br />

resto della sua vita professionale dovrà attenersi ad esso. L'Ordine avrà<br />

poteri disciplinari e di arbitrato per tutto ciò che riguardi l'applicazione e le<br />

eventuali violazioni del giuramento.<br />

La Commissione deontologica dell'Ordine vigila su:<br />

- la distinzione fra contenuti re<strong>da</strong>zionali e pubblicità; in caso di violazione<br />

imporrà multe ai direttori;<br />

- le balle in malafede (tipo la lebbra a Messina); in caso di violazione,<br />

sospenderà i direttori;<br />

- la difesa dei soggetti deboli (bambini ecc.); in caso di violazione,<br />

sospenderà i direttori e li deferirà all'autorità giudiziaria nei casi previsti<br />

<strong>da</strong>lla legge;<br />

Ai giornali con tiratura superiore alle 5.000 copie, e alle emittenti di peso<br />

equivalente, viene assegnato <strong>da</strong>ll'Ordine dei Giornalisti un Garante del<br />

Lettore. I lettori potranno rivolgersi al esso presso le sedi dell'Ordine. Il<br />

Garante svolgerà la sua attività, nell'esclusivo interesse del lettore, al di<br />

fuori delle re<strong>da</strong>zioni.<br />

2) Formazione e accesso:<br />

Debbono essere assunti come giornalisti professionisti solo i praticanti<br />

diplomati <strong>da</strong>lle scuole di giornalismo:<br />

prima diplomati, poi assunti. In ogni testata, il Comitato di Re<strong>da</strong>zione<br />

dev'essere incaricato <strong>da</strong>ll'Ordine di vigilare, sotto responsabilità personale,<br />

sull'osservanza di questa norma.<br />

Le aziende possono essere lasciate libere di accettare o meno questo<br />

vincolo. La non accettazione, che dev'essere resa pubblica, implica tuttavia<br />

l'esclusione dell'azien<strong>da</strong> <strong>da</strong> ogni e qualsiasi beneficio di legge.<br />

Le scuole di giornalismo debbono essere gestite direttamente ed<br />

esclusivamente <strong>da</strong>ll'Ordine dei Giornalisti. Una o due scuole per Regione,<br />

possibilmente con sede fisica nelle Università. Le scuole debbono insegnare


non solo gli elementi tradizionali della professione, ma anche e soprattutto<br />

le tecnologie: internet + gli scarponi;<br />

Il praticantato dovrebbe durare due anni, così ripartiti:<br />

sei mesi di insegnamento in Istituto, con particolare riguardo alle nuove<br />

tecnologie;<br />

sei mesi di attività non retribuita presso testate no profit;<br />

un anno di attività non retribuita presso le testate convenzionate (cioè<br />

tutte quelle che intendono godere in qualsiasi maniera di agevolazioni di<br />

legge);<br />

alla fine del corso, esame di Stato, consegna del tesserino e giuramento.<br />

* * *<br />

E questo è quanto. Se ci muoviamo in fretta, forse ce la facciamo.<br />

Diversamente, assisteremo in tempi rapidi alla scomparsa non solo<br />

dell'Ordine dei Giornalisti, ma della stessa professione giornalistica come<br />

esercizio indipendente di un servizio al cittadino. Il giornalismo libero, oggi<br />

- come il magistrato indipendente; ma questa è <strong>un'altra</strong> storia - non conviene<br />

a nessuno. Tranne che a noi cronistacci vecchia maniera, ai giovani<br />

maghetti di Internet, al ragazzo che rischia la pelle per man<strong>da</strong>re il pezzo<br />

sulla mafia del suo paesello, e ai lettori. Ma forse bastano questi.


LETTERA A PALERMO<br />

novembre 1997<br />

Un foglio in formato tabloid, a 3 o 4 colori. E' un giornale? No, non<br />

esattamente: diciamo che è un volantino evoluto, professionalizzato,<br />

periodico e basato sulle notizie e non sulla propagan<strong>da</strong>. Però possiamo<br />

anche considerarlo un giornale: diciamo che è il modello di giornale del<br />

Duemila: agile, breve, denso, allegro <strong>da</strong> leggere e molto molto veloce<br />

(sapendo che nel frattempo hanno inventato la tv).<br />

Quando esce? Una o due volte la settimana, secondo la necessità. Dove<br />

esce? Innanzitutto, naturalmente, a Palermo. Ma a volte anche in qualche<br />

altro posto dei Sud: in una grande città del Mediterraneo - per esempio,<br />

Barcellona - o in una grande città che ha bisogno di saperne di più sul<br />

Mediterraneo - per esempio, Milano. Quante copie? Variabili, secondo<br />

scelta e necessità. Di solito, non più di 5.000, diffuse quasi tutte a Palermo.<br />

Ma quando abbiamo bisogno di dire qualcosa al resto dell'umanità,ci<br />

regoliamo di conseguenza. Un giorno possiamo decidere di man<strong>da</strong>re 1000<br />

copie in più a Milano; un altro giorno, decidiamo che a Barcelona hanno<br />

bisogno urgente di sentire quel che stiamo facendo su una <strong>da</strong>ta questione (e<br />

allora, potremmo fare un numero in italiano e in spagnolo). Almeno una<br />

volta ogni due mesi, facciamo un numero ad alta tiratura <strong>da</strong> <strong>da</strong>re a tutte le<br />

famiglie di Palermo: e ci mettiamo dentro quel che è successo in quei due<br />

mesi nella loro casa comune, cioé nel Comune di Palermo.<br />

Che altro ci mettiamo dentro? Innanzi tutto le storie, gli avvenimenti che<br />

capitano, le notizie: si scrive chiaro e semplice, qui, si scrive netto, perché<br />

non è mica un giornale fatto per leggerselo fra Persone Importanti. E' fatto<br />

per leggerlo tutti, e per capire tutti cosa c'è dentro. Avete presente don<br />

Milani?<br />

E che c'entra il Comune? Beh, immagina che dentro ci sia una grande<br />

cartina di Palermo. Coloratissima. Oggi c'è dentro la mappa di tutte le<br />

fermate dei bus. Domani, quella dei consultori. Venerdì prossimo, quella dei<br />

palazzi in ristrutturazione. Oppure tutte le prossime dieci partite del<br />

Palermo. Oppure i documenti che bisogna fare per ottenere il permesso di<br />

soggiorno. Oppure la storia della statua di Re Palermo. Oppure... Insomma,<br />

tutto quel che a un palermitano può servire, qua dentro c'è. Da leggere e <strong>da</strong><br />

capire, al primo sguardo. La computergrafica in fondo dovrebbe servire a<br />

questo.<br />

L'informazione non è per pochi intimi. L'informazione NON dev'essere<br />

mai pallosa.<br />

Che cosa ci vuole per farlo?


Un giornalista poco serio che conosca tutte le tecniche ma sia capace di<br />

scherzarci sopra e usarle come una tastiera di pianoforte, allegramente. Ma<br />

poi soprattutto una scuola, una scuola nel senso antico, una bottega.<br />

Un gruppetto d'una decina di ragazzi, senza "professionalità" ma creativi<br />

e con la voglia di far cose belle e d'imparare. Sei computer in rete. Forse un<br />

telefonino. Una stampante laser, un paio d'accessi in rete. Dei corrispondenti<br />

<strong>da</strong>ppertutto, via Internet, a Roma a Milano e a Corleone, con le stesse<br />

caratteristiche dei ragazzi di bottega (Mark Twain parlava di una"fabbrica di<br />

uomini", e l'idea sarebbe esattamente quella). Di tanto in tanto, anche<br />

qualche Collaboratore Importante come Aurelio, Vincenzo, Goffredo e<br />

compagnia bella: ma senza strafare e mettendoli magari in caratteri piccoli<br />

così.<br />

E poi c'è l'arma segreta. A Palermo ci sono un casino di associazioni,<br />

parrini, volontari garibaldini e non, più che in ogni altro posto d'Italia. Bene,<br />

questo è il loro giornale. Non in senso buonista, tanto per dire: ma proprio<br />

nel senso che se ne gestiscono un pezzo ciascuno, a giro. E questa sarebbe<br />

anche una faccen<strong>da</strong> pericolosa e bellissima, <strong>da</strong>l punto di vista della<br />

burocrazia.<br />

E poi c'è il Partito. "Il partito di Falcone e dei ragazzini", se qualcuno si<br />

ricor<strong>da</strong> ancora dei Siciliani. Ogni mese, a turno, il giornale viene appoggiato<br />

<strong>da</strong> una scuola. Organizzazione, supporto alla re<strong>da</strong>zione, ricerca di notizie,<br />

coordinamento fra le associazioni e gli altri soggetti operanti sul territorio<br />

(<strong>da</strong>teci un capannone per lavorare). Voi vi fi<strong>da</strong>te? Io mi fido. La bottega,<br />

periodicamente, metterebbe le gabbie grafiche a disposizione di chi, senza<br />

fini di lucro, le richie<strong>da</strong>: studenti di Lentini, un liceo di Verona, un gruppo<br />

d'immigrati marocchini a Catania, un gruppo di ragazze di Torino (sono<br />

esempi reali: quelli a cui distribuivamo le gabbie dei vecchI Siciliani).<br />

E adesso un po' di propagan<strong>da</strong>.<br />

Un giornale così è uno strumento completamente nuovo, tanto nuovo che<br />

fra tutti i posti della terra non può venire fuori che <strong>da</strong> Palermo. I giornali<br />

tradizionali sono vecchi, pesanti, noiosi e - quasi tutti - servili. Questo non<br />

ha poteri <strong>da</strong> difendere, non ha status ma funzioni. (La gente non legge i<br />

giornali attuali. Vi siete mai chiesti perché?). Un giornale così è un biglietto<br />

<strong>da</strong> visita per Palermo, fa capire meglio di ogni altra cosa che Palermo non<br />

solo sta in Europa, ma sta anche in un'Europa più gentile. E' come Pavarotti<br />

al Massimo, ma più adolescente e meno trombone. E costa molto di meno di<br />

Pavarotti. Ed è uno strumento utile, ed è una cosa che dura.


UN VOLANTINO<br />

5 gennaio 1998<br />

"A CHE SERVE VIVERE, SE NON C'E'<br />

IL CORAGGIO DI LOTTARE?"<br />

1984: "A Catania la mafia non c'è". Si formano comitati per "difendere il<br />

buon nome" della città contro quei pochi che sostengono il contrario e<br />

accusano politici e Cavalieri.<br />

1998: "A Catania la mafia non c'è più". Settanta per cento dei voti ai<br />

progressisti, più che a Stoccolma, più che a Londra: che mafia può esserci<br />

mai in una città così civile?<br />

A Catania, insomma, la mafia qualche volta non c'è e qualche volta c'era<br />

prima ma ora non più: perché Catania, come tutti sanno, è una città<br />

laboriosa e felice. I suoi imprenditori - ieri Rendo e Costanzo, oggi Virlinzi<br />

e Rendo - portano benessere e lavoro. I suoi politici sono tutti concordi -<br />

tranne qualche matto esaltato - per il benessere della città. I suoi giornalisti -<br />

ieri pagati <strong>da</strong> Ciancio, oggi con Ciancio che li paga - informano i cittadini<br />

sulle numerose e benefiche iniziative di politici e imprenditori. Non ci sono<br />

più mafiosi a Catania: esattamente come nel 1945 non c'erano più fascisti e<br />

nel 1860 non c'erano più borbonici. E quanto ai garibaldini, o mettono <strong>da</strong><br />

parte le utopie e si fanno buoni monarchici e piemontesi, o vengono<br />

semplicemente dimenticati.<br />

Nel 1984, uno dei più collusi magistrati catanesi (costretto al<br />

trasferimento per i servizi resi ai Cavalieri) era il giudice Grassi. Nel 1998,<br />

Grassi è consigliere di Cassazione e appare destinato a una brillante<br />

carriera, forse a sostituire il suo ex superiore, il giudice Carnevale.<br />

Nel 1984 nessun giornale italiano osava parlare dei quattro Cavalieri di<br />

Catania, e in particolare dell'impresa Rendo. Nel 1997, nessun giornale<br />

italiano ha <strong>da</strong>to notizia della confessione ("ho <strong>da</strong>to tangenti alla democrazia<br />

cristiana e ai socialisti") fatta <strong>da</strong>vanti ai giudici <strong>da</strong> Eugenio Rendo.<br />

Nel 1984, i catanesi emigravano per quattro soldi nelle fabbriche del nord.<br />

Nel 1997, le grandi ditte del nord (Armani e gli altri) scendono fino a<br />

Bronte per fare lavoro nero e sfuttare - a tre soldi - i giovani catanesi.<br />

Nel 1984 nessuno faceva inchiesta sugli esatti confini dell'impero<br />

industriale che aveva in mano la città, quello dei Cavalieri: non se ne sapeva<br />

niente. Nel 1998, nessuno sa niente dell'impero Virlinzi e nessuno ne vuol<br />

sapere di più.<br />

Nel 1984, <strong>da</strong> Catania al governo ci an<strong>da</strong>vano o i politici mafiosi o innocui<br />

tromboni che, senza fare <strong>da</strong>nno, gli <strong>da</strong>vano copertura. Nel 1998, c'è nel<br />

governo un vecchio democristiano catanese come Mirone, esponente del


"rinnovamento" concor<strong>da</strong>to degli anni Ottanta. Degli antimafiosi veri, di<br />

quegli stessi anni, nessuno vuol sapere nemmeno il nome: né a <strong>sinistra</strong>, né a<br />

destra.<br />

Nel 1984 l'unico quotidiano di Catania era La Sicilia di Ciancio, che se ne<br />

stava zitto sui mafiosi: Ciancio è quello che non ha voluto pubblicare il<br />

necrologio di Montana perché conteneva parole offensive per i mafiosi. Nel<br />

1998, l'unico editore non solo di Catania ma di tutta la Sicilia e Calabria, e<br />

fra poco della Puglia, è ancora Ciancio: né la destra né la <strong>sinistra</strong> ne<br />

sembrano particolarmente preoccupate.<br />

Chi vuole ricor<strong>da</strong>re Giuseppe Fava lo ricordi così, controcorrente. Non è<br />

vero che siamo tutti unanimi, tutti d'accordo. Ci sono i ricchi e ci sono i<br />

poveri, ci sono i fighetti alla mo<strong>da</strong> e ci sono i dimenticati, ci sono coloro<br />

che vanno in televisione e ci sono coloro che si gua<strong>da</strong>gnano la propria vita<br />

giorno per giorno. Bisogna scegliere <strong>da</strong> che parte stare: con tutt'e due non si<br />

può. Questo è ciò che ci ha lasciato Giuseppe Fava.


TRENO DI NOTTE<br />

Italia Democratica, settembre 98<br />

Non so. C'è un espresso di notte, un Torino-Agrigento, un treno di Natale.<br />

Sol<strong>da</strong>ti <strong>da</strong>ppertutto, tutti meridionali: parlano ad alta voce, si chiamano fra<br />

loro, <strong>da</strong>nno fastidio. Qui sul predellino della secon<strong>da</strong> classe ce ne sono<br />

almeno una decina, non c'è un millimetro per muoversi. "Talé, Saru, u viisti<br />

che minnazzi c'avia chid<strong>da</strong>?". Sono le due di notte e fa freddo. A ogni<br />

stazione qualcuno apre lo sportello, guar<strong>da</strong> il mucchio di valigie, scatole<br />

con lo spago, borse militari e sol<strong>da</strong>ti: scuote la testa e si tira indietro, fra un<br />

coro di sghignazzate. Ma adesso lo sportello si apre per la quarantesima<br />

volta: una gran borsa viene spinta dentro, dietro la borsa spunta la faccia di<br />

una ragazza, e infine la figura della ragazza intera. Si arrampica per i<br />

gradini ed è bella. Ha in braccio un bambino. Immediatamente si forma uno<br />

spazio libero in mezzo alla massa dei militari. Il treno riparte, la ragazza è<br />

seduta sul suo borsone, circon<strong>da</strong>ta <strong>da</strong> almeno cinquanta centimetri di spazio<br />

intangibile tutt'attorno. Il tema della conversazione adesso è "che facevo<br />

prima di partire militare". Nessuno più alza la voce, nessuno fuma. E il<br />

treno va.<br />

Oppure quei due contadini, marito e moglie, la sera dell'eruzione, a<br />

Nicolosi. Avevano staccato il cancello <strong>da</strong>i cardini e se lo caricavano sulla<br />

motoape - la lava era a centocinquanta metri. La casa, non c'era niente <strong>da</strong><br />

fare; ma il cancello si poteva ancora recuperare. Lavoravano con calma e<br />

senza fretta. Il cancello sarebbe tornato utile, nella casa nuova. Oppure la<br />

casa di Stefano, a Santo Pietro di Milazzo: pareti pulitissime imbiancate a<br />

calce, la vanga <strong>da</strong> bracciante appoggiata al muro e i quindici libri nello<br />

scaffale, ognuno accuratamente rilegato con la carta velina: l'Origine della<br />

Specie, il Diciotto Brumaio, I Promessi Sposi. Oppure la piazza del paese,<br />

col circolo dei civili <strong>da</strong> una parte, la lega bracciantile <strong>da</strong>ll'altra e in messo<br />

quei venti metri di selciato bianco e ostile.<br />

La mafia, nella Sicilia che ho conosciuto <strong>da</strong> ragazzo, non era affatto<br />

un'organizzazione criminale. Era il governo riconosciuto della regione.<br />

Ottimo per i grandi proprietari, che <strong>da</strong> noi hanno sempre avuto un peso<br />

molto maggiore che altrove; tollerabile per il medio ceto; ferocissimo e<br />

oppressivo per la grande massa dei contadini. I sol<strong>da</strong>ti del treno, i contadini<br />

di Nicolosi, i braccianti di Santo Pietro - tutti erano sotto qusto governo.<br />

Non era un governo clandestino. Mio padre, come tutti gli altri siciliani,<br />

an<strong>da</strong>va regolarmente a pagare le tasse ai mafiosi; e non in qualche<br />

restrobottega di bar, ma a un regolare e pubblico sportello: le tasse della<br />

Regione Siciliana erano infatti - legalissimamente - <strong>da</strong>ti in appalto a una


società di mafiosi, i cugini Salvo di Salemi. Non era un governo scomodo,<br />

non per i ricchi: delle sei-sette rapine quotidiane di Catania, nessuna toccava<br />

mai ai grandi negozi del centro; le rapine "sbagliate" venivano punite con la<br />

pena di morte. E non era un governo clandestino.<br />

Si sapeva benissimo, per esempio, <strong>da</strong> dove venisse la forza elettorale<br />

siciliana di Andreotti. Ma, a Roma, non puzzava (non puzzava peraltro<br />

nemmeno ai tempi di Giolitti). Si ebbero, non una volta soltanto ma più<br />

d'una, incontri semiufficiali fra autorità di governo e boss mafiosi. Le logge<br />

massoniche, in città come Trapani o Palermo, fungevano <strong>da</strong> camere di<br />

compensazione. "La mafia contro lo Stato": una battuta sarcastica, agli<br />

occhi di un siciliano.<br />

Era un'occupazione militare, non una cultura. Oltre cento sin<strong>da</strong>calisti e<br />

militanti contadisi sono stati uccisi, combattendo per il loro popolo, negli<br />

anni Quaranta e Cinquanta. Ness<strong>un'altra</strong> regione ha pagato, dopo la<br />

Resistenza, un prezzo tanto alto per la difesa della democrazia. Morivano<br />

nel silenzio, senza che nessuno si curasse di loro: la mafia era un<br />

"complotto dei comunisti per screditare la Sicilia" - calunniatori i La Torre e<br />

i Li Causi, calunniati i cugini Salvo e i Ciancimino. I giornali, i politici, il<br />

governo, la Chiesa - Cardinale Arcivescovo in testa - difendevano i mafiosi<br />

accusati e ingiuriavano a gran voce i sovversivi.<br />

Negli anni Sessanta la mafia, <strong>da</strong> polizia degli agrari contro i contadini,<br />

divenne il braccio armato della speculazione edilizia, prima a Palermo e poi<br />

nelle altre città; rendendosi ancor più indispensabile per l'ordinato<br />

svolgimento del progresso sociale. Negli anni Settanta scoprì l'eroina; e<br />

accumulò una ricchezza finanziaria tale <strong>da</strong> rendersi non più interlocutore<br />

subalterno ma partner alla pari, almeno in diversi settori, della classe<br />

dirigente nazionale. Ma qui, s'intoppò qualcosa.<br />

C'è un buco di trent'anni, fra le lotte antimafiose del dopoguerra e quelle<br />

dei primi anni Ottanta. Ma un filo sotterraneo rimase sempre, una memoria.<br />

Quando La Torre e <strong>da</strong>lla Chiesa e Chinnici, <strong>da</strong>pprima come "tecnici" poi<br />

facendo appello sempre più apertamente alle energie popolari, riaprirono la<br />

lotta al potere mafioso, non rimasero soli. Una fortissima minoranza della<br />

società siciliana colse rapi<strong>da</strong>mente l'occasione, appena in presenza di un<br />

interlocutore credibile (ancorché non egemone) nello Stato, e si gettò senza<br />

riserve nella lotta.<br />

Fu una lotta politica, contro una classe dirigente al potere e per una nuova<br />

e più libera visione della società; ebbe una sua memoria, e delle sue radici.<br />

Seppe costruirsi le sue alleanze, i suoi progetti politici, le sue culture; non fu<br />

un "in galera!" e un "abbasso!" (come in parte fu, invece, la percezione<br />

"popolare" di Mani Pulite). Nell'Italia dei tardi anni Ottanta fu forse l'unico


fenomeno compiutamente e profon<strong>da</strong>mente democratico registrato nel<br />

Paese.<br />

E' per questo che, nel momento della crisi del Craxi-Andreotti, i valori e<br />

le culture della lotta antimafiosa apparvero per alcuni mesi un'alternativa<br />

non solo auspicabile ma possibile alle culture e ai valori del regime fallito.<br />

Ed è ancora per questo che a tutt'oggi qualunque elemento che richiami<br />

anche lontanamente quei valori viene immediatamente preso a bersaglio<br />

prioritario <strong>da</strong>i media dell'establishment. Il panico di quei mesi, il terrore che<br />

culture e valori realmente alternativi possano sedimentarsi attorno a<br />

qualcosa, è infatti ancora vivo.<br />

Come molti prima di noi - i mazziniani al tempo dell'Unità, i partigiani -<br />

noi antimafiosi non siamo riusciti a <strong>da</strong>re una veste politica adeguata al<br />

consenso popolare di cui abbiamo potuto disporre nel periodo della<br />

transizione. E siamo rimasti sconfitti; non <strong>da</strong>lla destra che ormai (oggi come<br />

allora) è più uno spauracchio per i democratici che un'alternativa politica<br />

reale, bensì <strong>da</strong>lla "<strong>sinistra</strong>" moderata e "realista" che riafferma il primato<br />

della politica professionale, del "queta non movere", delle larghissime<br />

intese. Niente di nuovo. E' dolce esser perdenti, se proprio perdere si deve,<br />

insieme col proprio popolo, senza tradire; e c'è abbastanza memoria, delle<br />

vicende recenti e delle più remote, per sostener la fiducia che il filo, prima o<br />

poi, sarà ripreso <strong>da</strong> <strong>un'altra</strong> generazione. Ci rassicurano moltissimo, in<br />

questo senso, gli attacchi sotto qualunque pretesto al pool di Milano o a<br />

Caselli: significano che i nemici della democrazia hanno capito benissimo<br />

come stanno le cose, quali sono i pericoli per il loro potere e come tutto<br />

sommato essi continuino ad essere sempre potenzialmente attuali. E se<br />

l'hanno capito i nemici, chissà che prima o poi non lo capiscano pure gli<br />

amici.


LA MEMORIA<br />

Due Punti, ottobre 98<br />

I vecchi c'erano. I giovanissimi, pure. Quelli che mancavano, e<br />

mancavano totalmente, erano i trenta-cinquanta, quelli che stanno facendo<br />

carriera ora. Stiamo parlando di giornalisti. Quelli che c'erano e quelli che<br />

non c'erano alla celebrazione di Alberto Cavallari, il sedici ottobre qui a<br />

Milano (che non ci fossero sin<strong>da</strong>ci, assessori e milanesi-<strong>da</strong>-bere è tutt'un<br />

altro discorso, che per il momento lasciamo).<br />

Si crede comunemente che compito del giornalista sia di cercare le notizie<br />

d'oggi. Non è nel tutto esatto. Il compito del giornalista è di cercare le<br />

notizie, *e* di conservare la memoria. Un giovane romanista aggredisce un<br />

laziale; un giovane romanista aggedisce un ebreo: le due "notizie"<br />

differiscono drammaticamente perché diversamente correlate alla memoria.<br />

La parola "extracomunitario" in Italia, e tutte le "notizie" ad essa legate, non<br />

può assolutamente essere letta <strong>da</strong>vvero se non in relazione alla parola<br />

"Garsterarbeiter", fornita (o colpevolmente rimossa) <strong>da</strong>lla memoria. E così<br />

via.<br />

Alberto Cavallari, per chi fa il mestiere di giornalista, è una cifra della<br />

memoria. Non si può lavorare senza. Il test del sedici ottobre dimostra che i<br />

giornalisti milanesi (ma senz'altro, in tal caso: i giornalisti italiani) mancano<br />

di questa cifra; mancano di memoria. Come possono dunque fare questo<br />

mestiere? Anzi, in realtà, è proprio vero che essi facciano questo mestiere?<br />

E se il giornalismo in realtà fosse estinto, se i "giornalisti" e i "giornali"<br />

fossero già diventati, nella sostanza dei fatti, <strong>un'altra</strong> cosa? E se giornalismo<br />

e giornalisti e giornali fossero oramai <strong>da</strong> ricercare - come delle spore sperse<br />

al vento; o forse come dei semi - soltanto in fogli minimi come questo? Qui<br />

dove c'è ancora memoria?


IL GIORNO DELLE ELEZIONI<br />

giugno 1999<br />

Il 6 gennaio del 1984, <strong>da</strong>vanti alla sede del mio giornale - il direttore era<br />

stato ammazzato <strong>da</strong>lla mafia il giorno prima - c'era un gruppo di ragazzi fra<br />

i sedici e i diciott'anni. Erano le otto del mattino e la saracinesce del<br />

giornale era ancora chiusa. "Che cosa volete? - li apostrofai bruscamente -<br />

Abbiamo <strong>da</strong> fare, oggi. Molto <strong>da</strong> fare". "Siamo venuti per fare la diffusione<br />

militante del giornale" rispose il più anziano di loro. Io non sapevo ancora<br />

se sarebbe uscito, quel giorno, il mio giornale. Ma loro sì. Non ne avevano<br />

il minimo dubbio,e venivano - com'era stato loro insegnato - a mettersi a<br />

disposizione nel momento del pericolo. Erano comunisti.<br />

Nessuno di quei ragazzi - Federazione Giovanile Comunista Italiana,<br />

Circolo di Sant'Agata Battiati, provincia di Catania, Sicilia - ha fatto una<br />

carriera nel partito. Ho incontrato quest'anno, per puro caso, il loro "capo"<br />

(si chiamava Maurizio Parisi, se può interessare il nome di un comunista<br />

che non conta) adesso è un giovane disoccupato sulla trentina, ma<br />

all'ingresso di casa sua c'è sempre il manifesto col viso del Che Guevara.<br />

Un ragazzo era stato ucciso in quegli anni, in provincia di Catania, solo<br />

perché era della Fgci: suo padre, che era un mafioso, non si fi<strong>da</strong>va di lui,che<br />

era un comunista. Il più famoso avvocato comunista dell'isola, l'avvocato<br />

Riela, si rese in quegli stessi anni protagonista di una polemica, perché<br />

difendeva i mafiosi. "Professionalità: difendo chi mi paga", rispose il<br />

compagno avvocato; e la polemica finì lì.<br />

Ricordo i compagni del mio paese passarsi i sacchetti di sabbia, nel<br />

Settantadue lungo l'argine, il giorno della grande alluvione. Ricordo i<br />

figiciotti col sacco a pelo, nel 1976 su in Friuli, i primi <strong>da</strong> tutta Italia - e, per<br />

qualche giorno, i soli - venuti inquadrati e compatti a soccorrere i<br />

terremotati. Ricordo la compagna Eliana, ex staffetta partigiana e adesso<br />

organizzatrice sin<strong>da</strong>cale, percorrere in bicicletta i villaggi della pianura per<br />

organizzare le contadine.<br />

Ecco, questo partito - i comunisti - è quello che ha perduto le elezioni.<br />

Non le ha perdute adesso, le ha perse molti anni fa. Ed è l'unico, adesso,<br />

chepossa salvare il paese. Sottrarci alla nostra vergogna di annegatori<br />

d'albanesi, di bombar<strong>da</strong>tori <strong>da</strong>ll'alto, di padroni. Si contano le percentuali e i<br />

centesimi, adesso, si disputa su chi sia il proprietario, adesso, della parola<br />

"di <strong>sinistra</strong>". Ma a Maurizio Parisi e ai suoi compagni nessuno ha più niente<br />

<strong>da</strong> dire.


QUASI UN PROMEMORIA<br />

ai ragazzi dell'Alba, 1994<br />

Scacciato <strong>da</strong>i padroni della terra<br />

anche il ragazzo Michele molti anni fa se ne partiva<br />

per città senza mare, schiavo<br />

- come tanti prima di lui - dei vincitori<br />

Se la Sicilia ha bandiera, non ha trinacrie alate,<br />

non colori brillanti di baroni e di re.<br />

Una zappa fangosa è il nostro unico stemma,<br />

una valigia pesante, per le strade del mondo, il nostro regno.<br />

Così per molti secoli. Antichi padroni di schiavi<br />

e baroni feu<strong>da</strong>li, "sorci" di Re Ferdinando,<br />

e borghesi di "Talia", notabili grigi di paese<br />

e rozzi gerarchi neri, padroni dell'eroina e Cavalieri:<br />

<strong>da</strong>lla Sicilia stessa in una ininterrotta catena<br />

sortivano gli sfruttatori dei siciliani.<br />

E così per molti anni. Di quando in quando<br />

uno degli sfruttati gri<strong>da</strong>va. Capi di ribelli organizzarono<br />

- alle radici del tempo, sotto Roma - tre rivolte di schiavi:<br />

Spartaco, loro fratello, lottò contemporaneamente a loro<br />

che fecero della rocca di Enna la capitale degli schiavi.<br />

Furono crocifissi. Re Federico, nel medioevo,<br />

squartò e arse vivi a decine i servi della gleba ribelli:<br />

fuggivano nei <strong>da</strong>mmusi. Il conte<br />

di Modica, signore di vita e di morte<br />

dovette fuggire una volta <strong>da</strong>lla folla<br />

- che pochi giorni dopo fu decimata - dei contadini.<br />

Così passarono i secoli. Poi gli antichi baroni,<br />

man mano che il progresso cresceva<br />

e nuove cose venivano <strong>da</strong>ll'Europa<br />

si trasformarono - ma sempre<br />

restando se stessi - in "galantuomini" e "civili".<br />

Arrivò Garibaldi: ma <strong>un'altra</strong> abile trasformazione<br />

li mise per altre sette generazioni al riparo<br />

<strong>da</strong>lla sete di vivere dei siciliani. Ed è passato il tempo<br />

e i Cavalieri di oggi non sono affatto casuali:<br />

catene infinite li legano alle radici


dell'ingiustizia arcaica, nata all'origine, su questa terra.<br />

Neanche noi lo siamo. Dopo generazioni di sconfitti<br />

le generazioni dei giovani sempre si sono rianno<strong>da</strong>te<br />

all'insaputa di tutti. Le bandiere rosse nei feudi<br />

- Portella delle Ginestre, Turiddu Carnevale, Miraglia -<br />

fiorirono sulla lunghissima catena.<br />

Ed altro tempo è passato. Oggi i discendenti degli schiavi<br />

hanno finalmente un ponte <strong>da</strong> attraversare:<br />

possono forse vincere, dopo anni e anni,<br />

se fantasia e ragione s'allargheranno <strong>da</strong>ppertutto<br />

a partire <strong>da</strong> qui. E questo è tutto. Nelle poche ore<br />

e nelle cose modeste che ci tocca fare<br />

c'è un concentrato antichissimo, grande, di lotte e di dolori<br />

che ora vengono al nodo. Per questo esistiamo,<br />

ora che una strana ironia - benevola, probabilmente -<br />

affi<strong>da</strong> ai deboli, agli sparpagliati, ai ragazzini<br />

la sorte dei cavalieri e degli ultimi baroni.


COLOPHON<br />

QUESTO LIBRO<br />

E’ STATO COMPOSTO<br />

IN CARATTERE TIMES NEW ROMAN<br />

NEL DICEMBRE 2005,<br />

DA QUALCHE PARTE IN ITALIA,<br />

PER I SUOI AMICI<br />

MARDIPONENTE


mardiponente


mardiponente

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