cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica
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Rocco Verduci. Nacque a Caraffa del Bianco il 1° agosto 1824 da Antonio ed Elisabetta Mezzatesta.<br />
Studiò nel Seminario di Gerace, presso i padri Filippini di Reggio e poi a Napoli, in cui avrebbe dovuto<br />
conseguire il diploma in magistratura; ma venne espulso dalla polizia nel ‘44. Ritorna a Caraffa, dove il<br />
giudice Parandelli lo fece arrestare per le sue idee sovversive, dalle quali sarà assolto per mancanze di prove.<br />
I figli del sindaco di Caraffa, Pietro Mezzatesta 58 , Francesco e Giulio ed i fratelli del Verduci,<br />
facevano opera di proselitismo tra gli operai e i contadini 59 .<br />
Alla figura di Verduci il Bonafede dedica molto spazio, appellandolo giovane d’animo impetuoso,<br />
persona di spicco nella rivolta. In effetti tra i cinque fu veramente quello che ebbe un animo rivoluzionario<br />
(contro il moderatismo degli altri). Anche se durante il processo i testimoni lo descrissero come un uomo<br />
terribile, gli atti e le azioni parlano chiaro: quando ebbe l’opportunità di farlo non colpì il Bonafede, suo<br />
nemico più diretto. Dalla Giunta di Reggio, alla vigilia dei moti insurrezionali, fu eletto comandante supremo<br />
della Truppa Nazionale del Distretto di Gerace.<br />
6. Il sottintendente Antonio Bonafede<br />
Verso la fine di giugno del 1847 il sottintendente Ignazio Romeo veniva surrogato dal cavalier<br />
Antonio Bonafede. Il nome di Bonafede è legato principalmente a due operazioni di polizia attraverso cui si<br />
guadagnò l’odio dei liberali calabresi: la cattura dei fratelli Bandiera e del loro seguito quando era<br />
sottintendente di Crotone e l’arresto dei 5 giovani del Distretto di Gerace.<br />
Durante i moti liberali geracesi, Bonafede era stato arrestato dai rivoluzionari e liberato non appena<br />
gli eventi favorirono la sua parte. La dura repressione intrapresa all’indomani della sua liberazione portò alla<br />
fucilazione di Cinque giovani considerati i capi della rivolta; nei confronti dei quali, da come emerge dal<br />
carteggio, egli si preoccupò di sveltire il procedimento penale.<br />
D’altra parte, «Il Bonafede, come del resto tutti i funzionari statali della Calabria, trovasi nella<br />
delicata condizione di doversi barcamenare tra gli interessi costituiti delle potenti oligarchie locali, il<br />
fermento delle sette e dei cospiratori, l’inquietudine delle masse contadine e l’imperativo di mantenere<br />
l’ordine costituito ad ogni costo» 60 .<br />
D’origine siciliana, nato sul finire del XVIII secolo, fu impiegato a Palermo presso il Ministero degli<br />
Affari Interni. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, era un uomo di cultura, avendo scritto quattro<br />
volumi dal titolo “Memorie sui luoghi pii laicali avulsi dalla soggezione di Vescovi, e su le Opere di<br />
Beneficenza in Sicilia”, una palese rivendicazione, cioè, dei diritti statali contro le usurpazioni religiose. La<br />
“bravata” gli valse la scomunica da parte ecclesiastica, dalla quale fu assolto, più tardi, nel 1843. Inviato nel<br />
1842 a Crotone, due anni dopo sventò la spedizione dei fratelli Bandiera per la quale cattura venne nominato<br />
cavaliere e gli si attribuì un premio in danaro. Nel 1847 fu trasferito alla Sottintendenza di Gerace.<br />
Il conte Domenico Antonio Grillo lo descrisse come un «omiciattolo mal fatto, [che] avea la faccia<br />
butterata e di color terreo, gli occhi piccoli, grigi ed infossati quasi nell’orbita» 61 . Spiccatamente di<br />
sentimenti reazionari, Bonafede era un funzionario modello, fedelissimo alla monarchia borbonica; un<br />
burocrate attivo alla causa da lui servita: «Impiegato a Parigi o sulle rive del Don sarei sempre impiegato di<br />
onore, perché non ingannerei, non tradirei, né cospirerei contro il Governo che servo, ed agirei da<br />
Repubblicano a Parigi, e da Cosacco tra i Zaporiski, senza rinunciare però à principi, pei quali preferirei il<br />
Don alla Senna» 62 . Un poliziotto, ma anche un acuto osservatore della realtà sociale e politica che si andava<br />
delineando in quel frangente, per ciò che riguarda l’annosa questione demaniale. A riprova di ciò, il<br />
Bonafede il 9 giugno 1845, quando ancora era sottintendente di Crotone, in una lettera all’Intendente di<br />
Calabria Ultra Seconda sottolineava la deficienza di alcune disposizioni contenute negli artt. 14 e 31 della<br />
legge 3/12/1808 promulgata da Re Gioacchino, attraverso cui i latifondisti con un magistrale coupe de coude<br />
legalizzato, portavano «a loro profitto il vantaggio destinato alle masse» 63 .<br />
La legge, dunque, aveva dato risultati diametralmente opposti a quelli enunciati, provocando una<br />
ennesima e beffarda spoliazione delle risorse del territorio a vantaggio dei proprietari terrieri di antica o<br />
nuova data.<br />
L’articolo 14 aveva sottratto alla divisione le colonie. Infatti se il decreto mirava alla creazione di tante piccole proprietà<br />
non sarebbe stato utile abolirle, anzi bisognava sottrarle alla divisione. Il difetto stette nell’applicazione, poiché si trascurò di notare<br />
quali fossero le vere colonie al momento dell’emanazione del decreto talché trascurato questo punto, i grossi proprietari fecero in<br />
progresso passare per coloni coloro che non lo erano, o i cui nomi erano fittizi ed insussistenti, e quindi mostrano occupati i fondi<br />
pressoché in tutta la loro estensione li sottrassero alla divisione. E più innanzi progredendo finsero compere oltre al vil prezzo, e<br />
forzando i coloni si effettuarono le porzioni libere tra una colonia ed un’altra usurparono, e coll’andar del tempo, e lo dimenticar<br />
delle cose sono rimaste in possesso delle terre 64 .