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Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

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E io ero insieme a lui quella sera, quando quel lampo<br />

uscì dal buio e sfiorò prima i nostri visi come in una<br />

sventagliata di mitra, poi tornò a concentrarsi sul suo<br />

e quasi nello stesso momento ci fu l’esplosione.<br />

Eravamo stati insieme sin dal pomeriggio. Tra un<br />

bicchiere e l’altro, avevamo aiutato a preparare le cataste<br />

per i falò di S. Antonio. Poi gli altri che avevano<br />

moglie e figli se ne erano andati, e noi eravamo rimasti,<br />

tre o quattro, a continuare a bere.<br />

Io, nonostante il vino, avevo come una tristezza grande<br />

dentro di me, che mi faceva il cuore pesante. E ogni<br />

volta che mancava la corrente, lì dalla bettola dove ci<br />

trovavamo, con quella oscillante candelina da morti,<br />

mi pareva che i fuochi nella piazza fossero già i fuochi<br />

dell’inferno.<br />

Per sfogarmi, proposi una partita alla morra, ma<br />

quando cominciammo a diventare troppo chiassosi,<br />

la Milese ci mise alla porta. E così in qualche modo<br />

fui io, perché ero stato io che avevo proposto il gioco,<br />

che resi possibile la vendetta. Ma le altre cose che si<br />

dissero dopo sono calunnie. Io non sono un Giuda. Io<br />

non avevo parlato.<br />

Io non avevo e non ho parlato con nessuno. Neanche<br />

con lui ne ho mai parlato. E con gli altri neppure.<br />

Perché se non ne parlavamo era come se la cosa<br />

non fosse mai avvenuta. Perciò io non parlai, ne sono<br />

sicuro. Non parlai neppure da ubriaco, anche se persino<br />

nell’ubriachezza e nel sonno mi perseguitava il<br />

ricordo di quel pezzo di lingua sanguinante fra le sue<br />

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dita, e il suono di quel lamento più bestiale che umano.<br />

Certe volte gli guardavo le dita che stringevano il<br />

bicchiere e mi pareva impossibile che fossero quelle<br />

stesse dita che avevo visto coperte di sangue, mentre<br />

ci mostrava quella cosa atroce.<br />

Se questa visione mi assaliva mentre giocavamo alla<br />

morra, mi imbambolavo e non riuscivo più a contare.<br />

E lui mi insultava e diceva che ero alcoolizzato e che<br />

fra poco mi sarei fatto ridere dietro dai bambini del<br />

paese, come quell’altro disgraziato.<br />

Ma non gli dicevo che non era il vino che m’incantava,<br />

ma quelle sue mani e il segreto che io conoscevo<br />

e di cui non dovevo parlare. E più lo odiavo, più quelle<br />

sue dita mi facevano orrore, più avevo bisogno di vederlo,<br />

di stargli vicino. Come un cane col suo padrone.<br />

Ricordare, purtroppo, non riuscivo a non farlo perché,<br />

ho paura a pensarlo ma ne ho quasi la certezza, al<br />

momento di morire l’anima di quel bambino disgraziato<br />

si è impadronita della mia. Ed era lui, il morto,<br />

che mi ordinava di restare attaccato al suo nemico, per<br />

impedirmi di dimenticare ciò che gli era stato fatto.<br />

Ma io non avevo parlato. Questo è certo. Io non parlai.<br />

Come avrei potuto parlarne se tutto ciò che facevo<br />

non era che un tentativo per riuscire a dimenticare?<br />

Fu il vento o le anime dei senza pace che misero in<br />

giro la storia. Perché in un modo o nell’altro, dopo<br />

solo qualche giorno la storia la sapevano tutti. Me ne<br />

accorgevo quando passavo per la strada o entravo in<br />

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