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Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

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po martoriato gli abiti ormai ridotti a brandelli. All’improvviso<br />

però si era accorta d’avere ancora stretto<br />

in pugno un baccello intatto. L’aveva aperto, ma i chicchi<br />

che ne sgranava erano secchi e deformi come aborti.<br />

Solo uno era riuscito a raggiungere una grandezza<br />

normale, ma era nero, come bruciato dal fuoco o coperto<br />

di fuliggine. Nonna l’aveva stretto con rabbia fra<br />

il pollice e l’indice per schiacciarlo e gettarlo via. Così<br />

facendo però si era accorta che quel nero era solo una<br />

patina e che sotto quella patina il chicco era d’oro. Allora<br />

l’aveva scagliato contro la nuvola nera che copriva<br />

l’azzurro del cielo e lo splendore del sole, e lì dove aveva<br />

colpito era scaturita una goccia di sangue velenoso,<br />

nero come inchiostro. E fu come se in quella goccia di<br />

sangue si concentrasse tutta la malvagia potenza della<br />

nuvola e della tempesta. La goccia di sangue nero cadde<br />

sulla terra che si chiuse silenziosamente sopra di essa<br />

inghiottendola, e subito il sole di nuovo splendette<br />

e la primavera tornò sull’orto. In quello stesso momento<br />

l’organo e il coro dentro la chiesa iniziavano il Te Deum<br />

Laudamus. Uscendo di chiesa, accanto al falò che era<br />

stato appena acceso nella piazza, aveva visto il nostro<br />

nemico che già semiubriaco giocava alla morra con un<br />

gruppo di pari suoi.<br />

Nell’angoscia in cui la visione di nonna mi aveva<br />

gettato, mi riassalì il ricordo d’un incubo che avevo<br />

avuto quella notte e che, colmo come mi era parso di<br />

funesti presagi, mi aveva perseguitato tutto il giorno<br />

nonostante i miei sforzi per dimenticarlo. A fatica ero<br />

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riuscita a non raccontarlo a nessuno, neppure a Oreste<br />

che di solito ascoltava volentieri i miei sogni. E anche<br />

i miei incubi, che erano più frequenti dei sogni.<br />

Il cortile di casa era affollato d’uomini vestiti degli<br />

abiti di fustagno verde dei pastori e con i berretti a visiera<br />

calati sugli occhi. Delle donne sconosciute si<br />

muovevano in mezzo a loro, offrendo in giro del vino.<br />

Forse era una festa, ma nessuno cantava o giocava alla<br />

morra. <strong>Gli</strong> uomini, divisi in piccoli crocchi, parlavano<br />

a voce bassa, come fanno ai funerali. I crocchi si<br />

scioglievano continuamente e si riformavano in costellazioni<br />

diverse. Era un via vai silenzioso, come di<br />

formiche attorno a un cumulo di grano. Le donne, i<br />

cui visi non riuscivo a scorgere, si muovevano anch’esse<br />

come ombre. La luce era scarsa e gli occhi mi<br />

bruciavano per lo sforzo di voler distinguere le fisionomie<br />

e le espressioni. Un terrore grigio mi coprì. Sapevo<br />

che stava succedendo qualcosa d’ineluttabile e<br />

tremendo. Con le gambe pesanti come piombo cominciai<br />

a salire la scaletta esterna verso il fienile. Le<br />

gambe mi pesavano tanto che alla fine caddi in ginocchio<br />

e per poter avanzare dovetti aiutarmi con le<br />

braccia, tendendo i muscoli sino allo spasimo. Ma l’ascesa<br />

diventava sempre più difficile, perché ora anche<br />

le braccia erano come morte e non riuscivano a sostenere<br />

il peso del mio corpo. Quando mi accorsi che,<br />

per di più, nella scaletta a pioli sulla quale mi trovavo<br />

mancavano gli ultimi gradini, disperai di poter mai<br />

trovare un’uscita dalla situazione nella quale mi ero<br />

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