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Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

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La mensa per il banchetto, al quale partecipavano una<br />

trentina di persone, era stata apparecchiata su alcune lunghe<br />

assi, sotto gli elci in mezzo alle rocce. C’erano altri bambini<br />

dei quali uno, Pietro, aveva più o meno l’età di Lorenzo. Pietro<br />

era figlio d’un pastore che lavorava in quell’ovile, di cui<br />

perciò si considerava quasi proprietario. In principio aveva accolto<br />

Lorenzo con diffidenza, come un intruso, e non voleva<br />

parlargli. Poi avevano fatto la lotta ed erano diventati amici.<br />

Il pranzo non finiva mai, ma i bambini avevano il permesso,<br />

tra una pietanza e l’altra, di muoversi e di correre un<br />

po’ in giro purché stessero attenti a non sollevare polvere attorno<br />

alla mensa.<br />

Il banchetto era iniziato con del salame e del prosciutto di<br />

montagna, pane carasau, olive e sottaceti. Lorenzo doveva essersene<br />

ingozzato tanto che, quando erano arrivati i ravioli<br />

e poi gli arrosti allo spiedo e la carne bollita e i sanguinacci,<br />

che i pastori avevano preparato sotto la grande tettoia vicino<br />

alla stalla, lui non aveva più appetito. Ma le zie insistevano,<br />

perché volevano che assaggiasse tutto. “Almeno un<br />

poco”, dicevano quasi supplichevoli, e la madre e il padre gli<br />

facevano gli occhiacci perché si decidesse ad accontentarle.<br />

C’erano anche le sebade, servite caldissime con zucchero e<br />

miele, e molti altri dolci che di solito gli piacevano. Ma ora<br />

gli pareva di non avere più neppure un angolino vuoto nello<br />

stomaco, fatta eccezione per le lattughe fresche intinte nel miele<br />

appena tolto dalle arnie. Niente al mondo era più buono di<br />

una foglia di lattuga croccante e verde, intinta nel miele<br />

nuovo.<br />

Dopo pranzo, la mamma e le altre signore si erano ritirate<br />

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per riposare nelle fresche, grandi stanze al primo piano della<br />

vecchia casa, e gli uomini si erano sdraiati qua e là sotto le<br />

querce. Lui e Pietro avevano approfittato della libertà e della<br />

solitudine per fare un’escursione sino a una sorgente nascosta<br />

tra le rocce, vicino alle rovine di un nuraghe.<br />

Sull’acqua, dentro una grotticella inquadrata da quattro<br />

lastre di granito e velata di capelvenere, galleggiava una<br />

tazza di sughero. Pietro gli aveva insegnato che, dopo aver<br />

bevuto, si doveva gettare sull’erba il resto dell’acqua, dicendo:<br />

“Che sia per le anime del Purgatorio!”. Allora un’anima<br />

immersa nel fuoco avrebbe avuto un momento di sollievo nella<br />

sua pena.<br />

Il Purgatorio è come il carcere, e bisogna cercare d’aiutare le<br />

anime del Purgatorio, così come si devono aiutare i carcerati,<br />

perché “il carcere è fatto per gli uomini”, aveva citato Pietro<br />

che conosceva anche i proverbi, “e chi non c’è entrato può entrarci”.<br />

Pietro sapeva moltissime cose e parlava come un uomo.<br />

Senza però darsi delle arie. Per lui era naturale parlare così,<br />

e Lorenzo lo ascoltava con rispetto, come un maestro. Da lui<br />

aveva imparato che in una sorgente come quella si doveva<br />

sempre sciacquare la tazza prima di rimetterla al suo posto.<br />

Pietro gli aveva raccontato che la sorgente era opera dei maghi<br />

che più di cento anni prima abitavano in quel bosco e<br />

avevano costruito il nuraghe per il loro re che si chiamava<br />

Cristolu. Cristolu e i maghi adesso erano morti, ma i loro<br />

spiriti abitavano ancora quei luoghi ed erano molto potenti.<br />

Perciò bisognava rispettare loro e le loro leggi.<br />

Per esempio era molto importante rispettare la legge di non<br />

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