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Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

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che c’ero stata avevo visto che di finocchietti ce n’erano<br />

moltissimi, e ormai dovevano essere da cogliere.<br />

Se ci arrivavo prima che altri li scoprissero, ed ero sola<br />

a coglierli, ce n’erano tanti che, vendendoli, potevo guadagnare<br />

abbastanza da potergli comprare un paio di<br />

pantaloncini nuovi ad Astianatte. Che ormai quelli che<br />

ha sono così stracciati che non si possono neppure aggiustare.<br />

Avevo acceso il fuoco e messo una patata ad arrostire<br />

nella cenere, in modo che Astianatte la trovasse<br />

quando si alzava per andare a scuola. Ed ero uscita che<br />

faceva ancora buio. Anzi dopo capii che doveva essere<br />

notte piena, molto lontana dall’alba.<br />

C’è chi dice che io non gli voglio bene, a mio figlio.<br />

E perciò, e perché il padre è come morto, lo chiamano<br />

Astianatte-Il-Disgraziato. E anch’io mi sono abituata<br />

a questo nome, perché è vero che è disgraziato. E se<br />

non è disgraziato lui, chi lo sarebbe? Sì, quel poverino<br />

in un lago di sangue… che Dio ci liberi. Ma anche<br />

Astianatte è disgraziato, col padre in prigione che forse<br />

non lo conoscerà mai, e io, la più povera e misera<br />

del paese. Dicono che io non gli voglio bene, perché<br />

lo lascio solo per giornate intere, e quando mi chiamano<br />

nelle case ricche ad aiutare a fare il pane, anche<br />

la notte… Ma che cosa posso fare? Se non lavoro io,<br />

chi lavora per noi? Chi ci dà da mangiare?<br />

Dicono che non gli voglio bene perché non lo vesto<br />

meglio, non lo tengo pulito, non gli dò da mangiare<br />

le cose buone che si comprano nella bottega, perché<br />

64<br />

lo faccio dormire per terra… La maestra mi ha chiamato<br />

per rimproverarmi, e ha minacciato che se “non<br />

cambio” sarà costretta a denunziarmi perché non faccio<br />

il mio “dovere di madre”. Ma anche io dormo per<br />

terra, e anche io sono vestita di stracci, e se sto fuori<br />

dalla mattina alla sera, e qualche volta anche la notte,<br />

è perché è necessario anche per lui. Anche per la stanza<br />

dove abitiamo, insieme alle blatte e ai topi, devo<br />

ogni mese pagare l’affitto, se non voglio che ci buttino<br />

fuori. E allora che cosa facciamo? Andiamo a dormire<br />

nelle grotte o dentro i cespugli, come gli uccelli?<br />

E anche l’avvocato devo pagarlo. Per quello che ha<br />

fatto e che fa. Cioè niente. Chi era in prigione c’è rimasto.<br />

Ma lui, l’avvocato, dice che quello che gli dò non basta<br />

neppure a pagare la carta da bollo. E quanti chili<br />

di cicoria e finocchietti selvatici, o di funghi devo raccogliere<br />

io per quella carta da bollo, e quante notti in<br />

bianco, impastando e infornando il pane degli altri,<br />

devo passare per dargli quello che gli dò e che a lui<br />

sembra così poco.<br />

Che la gente dica quello che vuole. Io lo so che a mio<br />

figlio gli voglio bene quanto le altre madri, e che non<br />

è colpa mia se sono la più misera e disprezzata del<br />

paese. E in più, ora, con quel ricordo sempre qui, davanti<br />

agli occhi, del bambino sgozzato, in un lago di<br />

sangue che non sapevo neppure che ce ne fosse tanto in<br />

un corpo così piccolo. E anche l’altro ricordo. Il ricordo<br />

dei loro passi e delle loro voci, e di quello che dicevano,<br />

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