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Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

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puntati sulle costole. Voi che cosa avreste fatto? Che<br />

cosa avreste fatto voi?<br />

Che cosa avrei fatto io? Io, io, io li avrei fatti a pezzetti<br />

con la sola forza del mio odio, loro e i loro maledetti<br />

mitra. Li avrei schiacciati col mio odio. Come<br />

scarafaggi. In polvere. In polvere li avrei ridotti.<br />

Ma sapevo che non era vero, nessuno avrebbe potuto<br />

opporsi. E a che cosa serviva umiliare il ragazzo?<br />

Serviva solo a farmi salire la pressione al punto che le<br />

vene delle tempie me le sentivo prossime a esplodere.<br />

Dopo avergli gridato, dopo averlo scosso come un<br />

fantoccio di stracci, artigliandolo per quelle spallucce<br />

magre che sotto la pressione delle mie dita rivelavano<br />

la loro gracilità femminea, il vento della mia ira cambiò<br />

direzione e la furia per l’insulto si trasformò in una<br />

più chiara consapevolezza della rovina che ci incombeva.<br />

E più forte divenne l’angoscia per la miseria di<br />

quel meschino di figlio che la sorte ci aveva dato. Quel<br />

figlio che avrebbe dovuto essere il nostro sostegno e<br />

che invece sarò io a dover aiutare e proteggere sino a<br />

che una goccia di sangue continuerà a scorrermi nelle<br />

vene. Quel figlio la cui debolezza mi aveva convinto a<br />

vendere il gregge per trasformarci, noi pastori di pecore<br />

brade, in vaccari moderni.<br />

Era per lui, per il suo futuro, che ora, subito, senza<br />

perdere un altro minuto, dovevo mettermi a inseguirli,<br />

i maledetti. Avevano già troppe ore di vantaggio<br />

su di noi e, se non volevo rinunziare a qualunque<br />

speranza, era ora, subito, che dovevo mettermi a inse-<br />

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guirli. Mandai il ragazzo a chiedere aiuto ai vicini, e<br />

mi avviai.<br />

La terra era dura come roccia, dopo tanto vento e siccità,<br />

ma venti vacche e tre cavalli fortunatamente non<br />

possono non lasciare tracce del loro passaggio.<br />

Era uno schifoso periodo di reumatismi. Uno di quei<br />

periodi in cui le mie ossa diventano un mucchio disordinato<br />

di carboni accesi, e non una goccia di sudore<br />

riesce a spremersi da questa pesante carcassa incendiata<br />

in cui si è trasformato il mio corpo.<br />

Dopo che a febbraio si erano sciolte le ultime nevi,<br />

non era caduta una goccia d’umidità sulla terra che<br />

era secca e bruciata dal vento come se anziché dall’inverno<br />

stessimo uscendo da una lunga estate. Le nuvole<br />

passavano alte sopra di noi, ma non davano pioggia<br />

né neve come se non contenessero altro che vento.<br />

Anche quella notte correvano per il cielo nascondendo<br />

e rivelando la luna, e facendo scricchiolare le mie<br />

vecchie ossa quando, per non perdere le tracce, ogni<br />

tanto dovevo smontare da cavallo e camminare a piedi<br />

sino a che non mi accertavo di essere ancora sulla<br />

strada giusta.<br />

Ma anche a costo di morire, a costo di spaccarmi il<br />

cuore, a costo di girare tutta l’isola, avrei dovuto raggiungerli<br />

quei maledetti e riprendermi ciò che era<br />

mio. Le mie venti vacche selezionate. Il frutto di tutta<br />

una vita di fatiche. Ma meglio spaccarlo a loro il cuore,<br />

a quei maledetti che avrei voluto vedere sbranati dai<br />

miei cani.<br />

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