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Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

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tro, un’astrazione, un’invenzione, quasi. Lui, il processo<br />

e, forse, la sua assoluzione erano la causa e lo scopo<br />

ufficiale della mia performance, ma in quel momento,<br />

mentre poteva sembrare che di nuovo generosamente<br />

mi adoperassi per salvare una vita umana, per la giustizia,<br />

per la verità, io ero solo concentrata a “fare bene”<br />

ciò che mi era stato chiesto di fare, a recitare bene<br />

il mio ruolo che consisteva fra l’altro nell’affascinare<br />

quegli uomini che pendevano dalle mie labbra.<br />

Non so che cosa venne chiesto agli uomini in fustagno<br />

verde e puzzolenti di sego e di capra. Nessuno di<br />

loro era figlio di un distinto professionista, nessuno di<br />

loro era apparentato con un giudice, nessuno di loro<br />

aveva pubblicato un libro, nessuno di loro aveva un titolo<br />

di studio, nessuno di loro aveva fatto un’operazione<br />

azzardata e quasi criminale che, per il buon risultato<br />

che aveva dato, ora veniva definita eroica, nessuno<br />

di loro era una giovane signora carina ed elegante,<br />

nessuno di loro parlava l’italiano correttamente.<br />

La lingua che provavano a parlare era una lingua bastarda<br />

che non poteva che suonare sgradevole e forse<br />

comica alle orecchie italiane dei magistrati, la loro verità<br />

riguardo al delitto di cui il ragazzo era accusato<br />

avrebbe avuto difficoltà a farsi strada in quell’aula. Ma<br />

cos’è la verità? Una verità che puzza di sego e di capra?<br />

Mi svegliai su un lettino nel pronto soccorso dell’ospedale<br />

San Giacomo. Lorenzo era ancora accanto a me<br />

e mi stringeva le mani.<br />

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– Cos’è stato? – gli chiesi.<br />

– C’è stato che sei svenuta e che ora devi pensare a<br />

star bene e riposarti… Perché non me l’avevi detto?<br />

– Detto… che cosa?<br />

– Come… che cosa? Del bambino!<br />

Pensai a Oreste dentro la gabbia, la rapida occhiata<br />

che gli avevo gettato, e non capivo perché Lorenzo lo<br />

chiamava “bambino”, e che cosa avrei dovuto dirgli di<br />

lui che già non sapesse.<br />

Mi aveva posato una mano sul ventre e, attraverso le<br />

coperte, sentivo la tenerezza lieve della sua mano. All’improvviso<br />

capii e mi venne quasi da ridere. A tutto,<br />

io, la grande dottoressa, avevo pensato: ulcera, cancro,<br />

altro… ma a una gravidanza… una gravidanza non mi<br />

era venuta in mente. E sarebbe stata la prima cosa alla<br />

quale avrei pensato se una delle mie pazienti, della<br />

mia età, fosse venuta da me con gli stessi sintomi.<br />

Dal grande orologio sulla parete bianca e spoglia di<br />

fronte a me capii che dovevano essere passate molte ore.<br />

– E il processo, hai notizie? Com’è andato?<br />

– Assolto. Fortunatamente. E anche per merito tuo.<br />

– Assolto? – domandai, più per darmi tempo di prender<br />

coscienza di tutti quei cambiamenti che sembravano<br />

essere avvenuti nel mondo dentro di me e fuori di<br />

me, che per avere una conferma e una spiegazione.<br />

– Assolto per non aver commesso il fatto.<br />

– Credi che non abbiano capito, o che anche per i<br />

giudici la verità abbia molti aspetti, ma che anche loro<br />

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