20.05.2013 Views

Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

immaginavo che un giorno sarei emigrato e avrei trovato<br />

lavoro da cuoco o da cameriere in un ristorante di<br />

una grande città o in qualcuna di quelle navi che attraversano<br />

gli oceani.<br />

Con Giosuè desideravamo entrare in marina per poter<br />

viaggiare e vedere il mare. Pensavamo che, finito il<br />

servizio militare, avremmo trovato un ingaggio su qualche<br />

nave da trasporto e avremmo continuato a viaggiare<br />

per vedere anche l’Africa e l’Asia e l’America che<br />

ci immaginavamo bellissime. Soprattutto l’America.<br />

In quei mesi, mentre lavoravo a casa della dottoressa<br />

Rudas, speravo di poter restare lì molti anni, in quella<br />

bella casa, insieme a quelle persone buone, e che dopo,<br />

forse, si sarebbero realizzati anche i progetti che avevo<br />

fatto insieme a Giosuè. Avevo sentito dire che i morti<br />

vivono nel ricordo e nelle speranze dei vivi e, se era<br />

vero, così avrei aiutato Giosuè a vivere di nuovo, almeno<br />

un poco, dentro di me.<br />

Spesso cercavo d’immaginarmi l’America e mi pareva<br />

impossibile che non avrei mai più potuto parlarne<br />

con Giosuè. Anzi mi pareva che Giosuè forse in America<br />

c’era già arrivato e che mi aspettava, lì, in qualche<br />

posto bellissimo. Chissà se l’avrei riconosciuto. Forse<br />

lui sarebbe stato così ricco ed elegante che mi sarebbe<br />

stato difficile capire chi era, se lui, vedendomi, non mi<br />

avesse detto: – Ehi, compare, ne avete messo di tempo<br />

per venire! Sono anni che vi aspetto. Ma ora venite,<br />

che vi voglio mostrare l’America!<br />

Mi immaginavo i fiumi grandissimi e le città piene<br />

196<br />

di gente ricca e allegra, e desideravo poterli vedere almeno<br />

una volta nella vita. Ma quello che soprattutto<br />

desideravo vedere era la statua della libertà.<br />

Euriclea aveva una cartolina che le aveva mandato<br />

un nipote che lavorava a Nuova York. La cartolina era<br />

a colori e rappresentava la statua della libertà come<br />

una bellissima donna, alta e vestita come un’antica romana.<br />

In testa questa donna aveva una corona scintillante<br />

e in mano teneva una fiaccola.<br />

Quando me l’aveva mostrata, Euriclea aveva detto<br />

che la statua della libertà stava su un’isola in mezzo al<br />

porto di Nuova York, per dare il benvenuto agli emigranti<br />

che arrivavano. Diceva anche che era più alta<br />

dell’ospedale di Trezene e che la corona che le cingeva<br />

la testa era così grande che i visitatori vi salivano per<br />

ammirare il panorama come da un balcone. Dalla fotografia<br />

era difficile immaginare che davvero fosse così<br />

grande.<br />

L’inverno e la primavera erano finiti ed era arrivata<br />

l’estate. <strong>Gli</strong> alberi del giardino erano pieni di cicale, e<br />

i pomeriggi erano caldi e lunghissimi. Quando tutti<br />

dormivano io m’arrampicavo su una quercia nel giardino.<br />

Lì mi ero fatto un nido con delle frasche e mi<br />

portavo dei libri da leggere. Il libro che mi piaceva di<br />

più e che non mi stancavo di rileggere era intitolato La<br />

capanna dello zio Tom. Si svolgeva in America quando<br />

ancora c’era la schiavitù. Oggi in America tutti sono<br />

liberi e ricchi.<br />

A parte lo zio Tom, che era uno schiavo vecchio e<br />

197

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!