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Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

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paura, ci tenevamo abbracciati. Poi di giorno facevamo<br />

finta di niente, come se non avessimo avuto paura e<br />

non ci fossimo abbracciati. Perché avevamo vergogna<br />

d’aver avuto paura e di esserci tenuti abbracciati come<br />

due bambini. <strong>Gli</strong> uomini non hanno paura, e noi volevamo<br />

essere uomini.<br />

Paura di che cosa poi? Dei rumori del vento nei cespugli,<br />

delle erbe che si muovevano per il passaggio di<br />

un topo o di una volpe, di qualche uccello che si scuoteva<br />

nel sonno… Mamma ci aveva detto che non c’era<br />

nulla da temere, che nessuno era interessato a rubare i<br />

nostri maiali, che la nostra famiglia non aveva mai<br />

fatto male a nessuno e che perciò nessuno voleva farci<br />

del male. Così aveva detto mamma. E non era colpa<br />

sua se si sbagliava, lei credeva così.<br />

Ma noi la notte, quando ci tenevamo abbracciati, non<br />

era degli uomini che avevamo paura, avevamo paura di<br />

quelle cose che quasi non hanno nome, o che sono innominabili.<br />

Avevamo paura della luna e dei fantasmi<br />

che si vestivano dei lenzuoli bianchi della sua luce,<br />

avevamo paura del vento e dei morti che si muovevano<br />

e gridavano dentro il vento, avevamo paura del buio e<br />

dei diavoli che come serpenti e scorpioni si nascondono<br />

nel buio e di altre cose ancora avevamo paura, cose<br />

peggiori, se possibile…<br />

Di giorno con Giosuè di queste cose ce ne ridevamo,<br />

ma la notte avevamo paura anche a nominarle e perciò<br />

ci tenevamo abbracciati, perché questo ci dava coraggio.<br />

166<br />

Ma Giosuè, e il suo corpo e le cose che ci dicevamo,<br />

e i giochi che avevamo fatto insieme, erano diventati<br />

come un sogno che io avevo sognato da solo. Una cosa<br />

che mi ero inventato e che più ci pensavo più mi sembrava<br />

pallida e lontana.<br />

“Che Dio ti benedica e ti ricompensi”, aveva detto<br />

mamma. “Prendi per le viottole e le scorciatoie e cerca<br />

di non farti vedere da nessuno. Ma una volta arrivato<br />

alla zona della Serra, dopo il valico, sarà verso l’alba,<br />

sarebbe addirittura meglio che qualcuno ti veda. Allora,<br />

se incontri qualcuno, fa finta di esserti appena<br />

svegliato da un lungo sonno e che stai per rimetterti<br />

in marcia verso Trezene. Dobbiamo far credere che sei<br />

partito stamattina. Devi perciò camminare molto in<br />

fretta, correre anche, se puoi, almeno nelle discese e<br />

quando sei sicuro che nessuno ti vede, per non attirare<br />

l’attenzione”.<br />

Mamma sapeva tutto e aveva pensato a tutto:<br />

“Quando arrivi a Trezene vai subito dalla dottoressa<br />

Rudas. A casa sua ci sei stato insieme a me quando eri<br />

piccolo e quando la buon’anima del dottor Rudas, suo<br />

padre, che Dio l’abbia accolto nella gloria del suo<br />

cielo, era ancora vivo. Ma non te ne puoi ricordare. Tu<br />

e Giosuè eravate ancora piccoli. Daniela non era ancora<br />

nata.<br />

“La casa del dottor Rudas è una casa grande, circondata<br />

su tre lati da un giardino bellissimo in cima alla<br />

valle di Isperósile, all’ingresso della città se si viene da<br />

Oroslè, cioè dalla parte opposta a quella da dove tu ar-<br />

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