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Gli arcipelaghi - Sardegna Cultura

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stato sulla provinciale e perdute per sempre sui marmi<br />

e nelle celle frigorifere di qualche macelleria cittadina?<br />

Era questo che dovevo fare? Rassegnarmi? E chi ce<br />

le avrebbe pagate, dopo, le tratte della banca? Chi ce<br />

l’avrebbe salvato quel pezzo di terra e questo tetto che<br />

ci copre la testa? Come avrei mai più potuto sollevare<br />

gli occhi di fronte ai cauzionisti, costretti a pagare il<br />

nostro debito? Tutto avremmo dovuto vendere, persino<br />

le scarpe che portiamo ai piedi e la camicia che ci<br />

copre il ventre, ma neppure così ci saremmo salvati<br />

dalla vergogna verso quelli che ci avevano aiutato con<br />

la loro firma e che avrebbero dovuto pentirsi amaramente<br />

della fiducia che mi avevano fatto.<br />

Perché quando ci ritornai quella sera la stalla era<br />

vuota come il palmo della mia mano, e di ciò che era<br />

stato il frutto del mio lavoro e che era la nostra assicurazione<br />

per la vecchiaia non restava che qualche traccia<br />

di sterco sul pavimento di cemento.<br />

Che cosa avrei raccontato alla banca che ci aveva<br />

concesso il mutuo, che cosa avrei detto? “Signori cari,<br />

per piacere cancellate il mio debito perché io non potrò<br />

mai pagarlo. I ladri mi hanno svuotato la stalla,<br />

mio figlio è una femmina, e il bambino del Passo della<br />

Croce era testardo e non mi ha voluto dire quale strada<br />

avevano preso e io, cercando e sbagliando, ho perduto<br />

tempo, il temporale ha cancellato le tracce e io, nel<br />

giro di poche ore, da proprietario, son diventato nullatenente.<br />

Avrei forse dovuto costringerlo con le male<br />

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maniere a parlare, il bambino del Passo della Croce che<br />

non voleva parlare? La legge non lo permette…”<br />

Questo avrei dovuto dirgli a quelli della banca che<br />

non sono pastori, che sono gente civile, come mia moglie.<br />

E loro, gentilmente, avrebbero strappato tutti i<br />

foglietti verdi che mi mandavano per ricordarmi di pagare,<br />

e noi saremmo rimasti poveri, sì poveri in canna,<br />

ma senza obblighi verso nessuno, senza vergogna.<br />

Così forse s’immaginava lei che sarebbe andata, se io<br />

quella notte non avessi fatto ciò che feci. E mi parlava<br />

di trave nel mio occhio, e del peccato che avevo commesso.<br />

Come se fosse stato un piacere farlo, come se<br />

ancora nel sonno e nella veglia non mi vedessi davanti<br />

quegli occhi supplichevoli e terrorizzati, e non mi sentissi<br />

nelle orecchie quel rumore di grandine che facevano<br />

i suoi denti.<br />

Lo scuotevo per le spalle, come qualche ora prima<br />

avevo fatto con mio figlio, e come allora mi pareva che,<br />

stringendo solo un altro poco, avrei potuto stritolare<br />

fra le dita quelle clavicole la cui fragilità, intenerendomi,<br />

ancora di più accendeva la mia ira.<br />

La testa gli sbatteva avanti indietro, come se fosse legata<br />

al corpo da uno straccio molle, senza ossa. Il suo<br />

cane abbaiava e ringhiava ma, dopo il primo calcio che<br />

gli sferrai, si teneva a distanza senza avere il coraggio<br />

d’aggredirmi. Un vecchio cane. Neppure un buon cane<br />

avevano procurato a quell’innocente, abbandonato<br />

in un luogo dove a mala pena un adulto con altre cartucce<br />

al suo fucile avrebbe potuto resisterci.<br />

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