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20.05.2013 Views

contrattuale può essere recepita poi in una decisione del Consiglio (art. 155 TFUE). Dunque, il Libro bianco mutua il termine dialogo sociale dal diritto comunitario. La soluzione del Libro bianco si ispira alla metodologia comunitaria: solo nel caso di rifiuto delle parti sociali di impegnarsi in un negoziato, l’iniziativa legislativa promanante dal Governo o dalla Regione potrà prendere il suo corso. Nel caso, invece, in cui un negoziato sia concluso positivamente, si prevede l’impegno del Governo alla recezione legislativa dell’accordo tra le parti sociali. L’uso dell’espressione dialogo sociale, in luogo di concertazione, sembra sottendere una visione politica differente, perché la politica concertativa mirava di fatto alla ricerca di un consenso tra le parti sociali, come presupposto necessario per poter legiferare. Qui invece si prevede espressamente l’ipotesi di una mancanza di accordo: le materie inerenti alla politica sociale devono essere prima sottoposte all’attenzione della parti sociali, ma, nel caso in cui non venga raggiunto un accordo tra esse, ciò non può costituire un ostacolo all’intervento legislativo dello Stato o delle Regioni. Inoltre, si prevede addirittura l’ipotesi di mancanza di accordo dovuta a dissenso tra le associazioni sindacali situate, per così dire, sullo stesso versante (ad es. tra le diverse associazioni sindacali dei lavoratori). Così prevede il Libro bianco: “naturalmente l’adozione di tale metodologia (…) non può compromettere la rapidità del procedimento decisionale. In caso di disaccordo tra gli stessi attori sociali sarà necessario ricorrere alla regola della maggioranza, senza pretendere unanimismi che pregiudicherebbero il buon funzionamento dello stesso dialogo sociale”. E’ da notare che dopo il Libro bianco è stato stipulato, nel luglio 2002, il cd. “Patto per l’Italia”, anch’esso un accordo concertativo, che contiene 90

alcune previsioni da adottarsi in materia di politica dei redditi e politica sociale. Questo accordo è stato concluso tra il Governo, da una parte, e le parti sociali, dall’altra, ad eccezione della CGIL. Si può dunque constatare il mutamento di linea politica, che non cerca l’unanimità dei consensi. L’accordo quadro del 22 gennaio 2009, rispetto al protocollo del 23 luglio 1993, ha una natura “pura” di accordo interconfederale (ed analogamente l’accordo del 28 giugno 2011): il Governo non è presente come terzo che mette a disposizione risorse normative e finanziarie come, appunto, nel protocollo del 23 luglio 1993. Incidentalmente si ricordi, peraltro, che l’accordo del 2009 non è stato sottoscritto dalla CGIL. Così inquadrati gli accordi concertativi nel quadro della politica sindacale, dal punto di vista giuridico occorre valutarli alla luce delle norme costituzionali. Il punto di partenza, per affrontare la questione, è la sentenza della Corte costituzionale del 7 febbraio 1985, n. 34. In tale occasione, la Consulta ha avuto modo di precisare che gli accordi di concertazione - nei quali il Governo compare, non come mero mediatore, bensì come soggetto che assume in proprio una serie di impegni politici - non rientrano nel quadro delineato dall’art. 39 della Costituzione, perché non si tratta di contrattazione collettiva in senso proprio. Ciò ovviamente non significa che gli accordi di concertazione, pur non ricadendo sotto la protezione dell’art. 39 Cost., contrastino con il quadro costituzionale. Invero, taluno si è chiesto se da questi accordi di concertazione non nasca una limitazione del potere legislativo. Ma l’impegno che il Governo assume è un impegno di carattere politico, a presentare disegni di legge e ad adoperarsi affinché il Parlamento approvi provvedimenti legislativi che siano coerenti con gli accordi presi, rimanendo in ogni caso indiscussa la sovranità del Parlamento. 91 La collocazione degli accordi di concertazione nel quadro costituzionale

contrattuale può essere recepita poi in una decisione del Consiglio (art. 155<br />

TFUE).<br />

Dunque, il Libro bianco mutua il termine dialogo sociale dal diritto<br />

comunitario. La soluzione del Libro bianco si ispira alla metodologia<br />

comunitaria: solo nel caso di rifiuto delle parti sociali di impegnarsi in un<br />

negoziato, l’iniziativa legislativa promanante dal Governo o dalla Regione<br />

potrà prendere il suo corso. Nel caso, invece, in cui un negoziato sia<br />

concluso positivamente, si prevede l’impegno del Governo alla recezione<br />

legislativa dell’accordo tra le parti sociali.<br />

L’uso dell’espressione dialogo sociale, in luogo di concertazione, sembra<br />

sottendere una visione politica differente, perché la politica concertativa<br />

mirava di fatto alla ricerca di un consenso tra le parti sociali, come<br />

presupposto necessario per poter legiferare. Qui invece si prevede<br />

espressamente l’ipotesi di una mancanza di accordo: le materie inerenti alla<br />

politica sociale devono essere prima sottoposte all’attenzione della parti<br />

sociali, ma, nel caso in cui non venga raggiunto un accordo tra esse, ciò<br />

non può costituire un ostacolo all’intervento legislativo dello Stato o delle<br />

Regioni.<br />

Inoltre, si prevede addirittura l’ipotesi di mancanza di accordo dovuta a<br />

dissenso tra le associazioni sindacali situate, per così dire, sullo stesso<br />

versante (ad es. tra le diverse associazioni sindacali dei lavoratori). Così<br />

prevede il Libro bianco: “naturalmente l’adozione di tale metodologia (…)<br />

non può compromettere la rapidità del procedimento decisionale. In caso di<br />

disaccordo tra gli stessi attori sociali sarà necessario ricorrere alla regola<br />

della maggioranza, senza pretendere unanimismi che pregiudicherebbero il<br />

buon funzionamento dello stesso dialogo sociale”.<br />

E’ da notare che dopo il Libro bianco è stato stipulato, nel luglio 2002, il<br />

cd. “Patto per l’Italia”, anch’esso un accordo concertativo, che contiene<br />

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