UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - Giurisprudenza - Università ...

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20.05.2013 Views

conseguirebbe, tuttavia, unicamente l’obbligo dei singoli lavoratori e dei singoli datori di lavoro di mantenere ferma la disciplina posta a livello collettivo. Nel momento in cui i singoli stipulassero un contratto individuale difforme da quanto previsto dal contratto collettivo, non si potrebbe in alcun modo argomentare la nullità delle clausole difformi del contratto individuale; nullità che potrebbe derivare solo dalla violazione di una norma imperativa. Quand’anche questa costruzione, così come quella precedente, fosse fondata, ne potrebbe conseguire solo una responsabilità (di tipo risarcitorio) nei confronti dell’associazione sindacale, per non aver tenuta ferma la disciplina collettiva, non la nullità delle clausole individuali difformi. Per poter argomentare l’efficacia reale del contratto collettivo sul contratto individuale (cioè appunto la nullità delle clausole individuali difformi e l’automatica sostituzione con quelle del contratto collettivo) occorrerebbe una norma di legge che attribuisse al contratto collettivo la stessa forza della norma imperativa. Come si ricorderà, questa era la conclusione cui già perveniva Messina, ragionando, nel periodo pre-corporativo, unicamente sulla base del diritto comune (vedi retro cap. I, par. 4). La giurisprudenza ritiene di poter rinvenire questa norma nell’art. 2077 c.c. di cui afferma la perdurante vigenza. La disposizione, così come tutte le disposizioni del codice civile sul contratto collettivo, disciplina il contratto collettivo stipulato nel periodo corporativo, affermando il principio della inderogabilità in peius del contratto collettivo ad opera del contratto individuale. Secondo la giurisprudenza, la norma è applicabile (ed addirittura in via diretta e non analogica) anche agli odierni contratti collettivi cd. di diritto comune, perché l’inderogabilità sarebbe una caratteristica intrinseca ad ogni contratto collettivo, senza la quale esso 78 La giurisprudenza e la tesi della perdurante vigenza dell’art. 2077 c.c.

perderebbe la sua tipica funzione economico-sociale di tutela del lavoratore - contraente debole. La dottrina ha, peraltro, sempre criticato questo orientamento, affermando che la giurisprudenza dà per scontato quel che invece sarebbe da dimostrare: cioè la coessenzialità del requisito della inderogabilità in peius ad ogni tipo di contratto collettivo. Si intende, neppure la dottrina dubita dell’inderogabilità del contratto collettivo da parte del contratto individuale; e la storia dell’inderogabilità è la storia dei tentativi dottrinali di fondarla. Per argomentare l’efficacia reale del contratto collettivo, la dottrina attualmente si basa sul disposto dell’art. 2113 c.c., novellato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, che ha riformato il processo del lavoro e che stabilisce: “Le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi, concernenti i rapporti di cui all’art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide”. Nel 1973, il legislatore mette dunque sullo stesso piano le disposizioni inderogabili della legge e quelle del contratto collettivo: dall’art. 2113 c.c. può desumersi che le disposizioni del contratto collettivo non dichiarate derogabili dalle parti concorrono a definire la disciplina del rapporto individuale di lavoro alla stessa stregua delle disposizioni inderogabili di legge. La dottrina ha dunque trovato finalmente nell’art. 2113 c.c. il fondamento dell’inderogabilità in peius (e della derogabilità in melius) del contratto collettivo, cui la giurisprudenza, come visto, arriva per altra via, cioè applicando l’art. 2077 c.c. In altre parole, nella soluzione del problema del rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale, giurisprudenza e dottrina pervengono alla 79 La desumibilità della regola della inderogabilità in peius dall’art. 2113 c.c.

conseguirebbe, tuttavia, unicamente l’obbligo dei singoli lavoratori e dei<br />

singoli datori di lavoro di mantenere ferma la disciplina posta a livello<br />

collettivo. Nel momento in cui i singoli stipulassero un contratto<br />

individuale difforme da quanto previsto dal contratto collettivo, non si<br />

potrebbe in alcun modo argomentare la nullità delle clausole difformi del<br />

contratto individuale; nullità che potrebbe derivare solo dalla violazione di<br />

una norma imperativa. Quand’anche questa costruzione, così come quella<br />

precedente, fosse fondata, ne potrebbe conseguire solo una responsabilità<br />

(di tipo risarcitorio) nei confronti dell’associazione sindacale, per non aver<br />

tenuta ferma la disciplina collettiva, non la nullità delle clausole individuali<br />

difformi.<br />

Per poter argomentare l’efficacia reale del contratto collettivo sul contratto<br />

individuale (cioè appunto la nullità delle clausole individuali difformi e<br />

l’automatica sostituzione con quelle del contratto collettivo) occorrerebbe<br />

una norma di legge che attribuisse al contratto collettivo la stessa forza<br />

della norma imperativa. Come si ricorderà, questa era la conclusione cui<br />

già perveniva Messina, ragionando, nel periodo pre-corporativo,<br />

unicamente sulla base del diritto comune (vedi retro cap. I, par. 4).<br />

La giurisprudenza ritiene di poter rinvenire questa norma nell’art. 2077 c.c.<br />

di cui afferma la perdurante vigenza. La disposizione, così come tutte le<br />

disposizioni del codice civile sul contratto collettivo, disciplina il contratto<br />

collettivo stipulato nel periodo corporativo, affermando il principio della<br />

inderogabilità in peius del contratto collettivo ad opera del contratto<br />

individuale. Secondo la giurisprudenza, la norma è applicabile (ed<br />

addirittura in via diretta e non analogica) anche agli odierni contratti<br />

collettivi cd. di diritto comune, perché l’inderogabilità sarebbe una<br />

caratteristica intrinseca ad ogni contratto collettivo, senza la quale esso<br />

78<br />

La giurisprudenza<br />

e la tesi<br />

della perdurante<br />

vigenza<br />

dell’art. 2077<br />

c.c.

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