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20.05.2013 Views

una lunga trattativa, il 22 gennaio 2009 le Associazioni imprenditoriali e CISL, UIL, UGL hanno sottoscritto un “Accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali”, della durata sperimentale di quattro anni. Già la denominazione di Accordo quadro mette sull’avviso che si tratta di una cornice, di un accordo destinato ad essere completato con altri accordi. Ed infatti il 15 aprile 2009 è stato stipulato, tra le stesse parti, un accordo per l’attuazione dell’accordo quadro del 22 gennaio 2009; analoga intesa è stata stipulata il 30 aprile per il pubblico impiego. L’accordo quadro, conferma i due livelli di contrattazione, nazionale e aziendale, cercando di valorizzare la contrattazione di secondo livello; esso porta inoltre a tre anni la durata dei contratti collettivi, sia per la parte normativa, sia per la parte economica. Per inciso va sottolineato che l’accordo quadro, così come i successivi accordi attuativi, non è stato sottoscritto dalla CGIL: si tratta di un cd. accordo separato. Dal che nascono delicati problemi applicativi (v. infra, cap. III, par. 9). Il 28 giugno 2011, peraltro, è stato stipulato un accordo interconfederale unitario, in cui nuovamente viene affrontata la questione delle competenze dei livelli di contrattazione collettiva: si prevede nuovamente un sistema articolato su due livelli, nazionale ed aziendale, in cui “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”. Ma la prospettiva che interessa maggiormente gli stipulanti, e che aveva fatto registrare il dissenso della CGIL in occasione della stipulazione dell’Accordo interconfederale del 2009, è quella dei limiti in cui il contratto aziendale può derogare in peius al contratto nazionale. È questo il tema oggi all’ordine del giorno non solo nel nostro ordinamento, ma in tutti gli ordinamenti europei che tradizionalmente hanno visto la centralità del 64 L’accordo “unitario” del 28 giugno 2011 La contrattazione aziendale derogatoria

contratto nazionale di categoria: consentire, ed anzi, incentivare, la contrattazione aziendale anche derogatoria rispetto alla disciplina del contratto nazionale, là dove si tratti di risolvere situazioni di crisi aziendali o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa. In questo accordo interconfederale si prevede espressamente che i contratti collettivi aziendali possono modificare le “regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”, sebbene “nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro”. Col che l’enfasi viene spostata dalla contrattazione aziendale migliorativa a quella peggiorativa. E le stesse parti stipulanti si preoccupano, a fronte delle sempre più frequenti manifestazioni di dissenso tra i sindacati tradizionali, di definire le condizioni per l’attribuzione di efficacia erga omnes ai contratti aziendali. Ovviamente, trattandosi di disciplina pattizia, è persino superfluo sottolinearlo, essa è priva di natura imperativa. E tuttavia il consenso ritrovato tra le principali organizzazioni sindacali, in relazione al ruolo del contratto nazionale e del contratto aziendale e in relazione ai criteri di misurazione della rappresentatività, gli conferiscono un’indubbia valenza pratico-giuridica (per via dell’efficacia persuasiva che l’accordo può avere sui sindacati di categoria e sulle rappresentanze in azienda). Ad ogni buon conto, dal fatto che in Italia il sistema della contrattazione collettiva sia comunque articolato su più livelli (principalmente, interconfederale, nazionale di categoria ed aziendale) deriva che un singolo rapporto di lavoro può trovare contestualmente disciplina in differenti contratti collettivi (interconfederale, nazionale di categoria, territoriale, aziendale). Nel caso di conflitto tra le discipline collettive astrattamente applicabili, si pone il problema giuridico di stabilire quale disciplina 65

contratto nazionale di categoria: consentire, ed anzi, incentivare, la<br />

contrattazione aziendale anche derogatoria rispetto alla disciplina del<br />

contratto nazionale, là dove si tratti di risolvere situazioni di crisi aziendali<br />

o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa. In<br />

questo accordo interconfederale si prevede espressamente che i contratti<br />

collettivi aziendali possono modificare le “regolamentazioni contenute nei<br />

contratti collettivi nazionali di lavoro”, sebbene “nei limiti e con le<br />

procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro”. Col<br />

che l’enfasi viene spostata dalla contrattazione aziendale migliorativa a<br />

quella peggiorativa. E le stesse parti stipulanti si preoccupano, a fronte<br />

delle sempre più frequenti manifestazioni di dissenso tra i sindacati<br />

tradizionali, di definire le condizioni per l’attribuzione di efficacia erga<br />

omnes ai contratti aziendali. Ovviamente, trattandosi di disciplina pattizia,<br />

è persino superfluo sottolinearlo, essa è priva di natura imperativa. E<br />

tuttavia il consenso ritrovato tra le principali organizzazioni sindacali, in<br />

relazione al ruolo del contratto nazionale e del contratto aziendale e in<br />

relazione ai criteri di misurazione della rappresentatività, gli conferiscono<br />

un’indubbia valenza pratico-giuridica (per via dell’efficacia persuasiva che<br />

l’accordo può avere sui sindacati di categoria e sulle rappresentanze in<br />

azienda).<br />

Ad ogni buon conto, dal fatto che in Italia il sistema della contrattazione<br />

collettiva sia comunque articolato su più livelli (principalmente,<br />

interconfederale, nazionale di categoria ed aziendale) deriva che un singolo<br />

rapporto di lavoro può trovare contestualmente disciplina in differenti<br />

contratti collettivi (interconfederale, nazionale di categoria, territoriale,<br />

aziendale). Nel caso di conflitto tra le discipline collettive astrattamente<br />

applicabili, si pone il problema giuridico di stabilire quale disciplina<br />

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