UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - Giurisprudenza - Università ...

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20.05.2013 Views

ecentemente evidenziato l’esistenza di clausole ibride o bivalenti in quanto hanno valenza, ad un tempo, normativa e obbligatoria. Si pensi ad es. alle clausole, spesso presenti nei contratti collettivi, con le quali si sottopongono a controllo sindacale gli atti di esercizio di determinati poteri datoriali. Si faccia l’ipotesi del “trasferimento collettivo”. La legge dispone, all’art. 2103 c.c., che il lavoratore possa essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra, purché sussistano comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ebbene, in caso di trasferimento collettivo dei lavoratori, spesso i contratti collettivi impongono al datore di lavoro un obbligo di informazione preventiva delle associazioni sindacali, che, così, possono cercare di condizionare la decisione del datore di lavoro. Una clausola siffatta è da considerare obbligatoria, perché fonda un diritto di informazione in capo al sindacato, al fine di consentirgli una sorta di controllo sulla decisione imprenditoriale; nello stesso tempo essa fonda un diritto del lavoratore a subire un esercizio controllato (dal sindacato) del potere di trasferimento. Sotto questo profilo finisce per incidere sulla disciplina del rapporto individuale di lavoro e, dunque, è da considerare (anche) normativa. Buona parte delle clausole relative agli obblighi di informazione e consultazione preventiva del sindacato, rispetto all’adozione di provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro, è, appunto, di natura bivalente. 3.3. Struttura della contrattazione collettiva in Italia. Quanto alla struttura della contrattazione collettiva in Italia è possibile operare una periodizzazione. 60

Negli anni ‘50 dello scorso secolo ad assumere centrale, se non esclusivo, rilievo è stato il livello confederale di contrattazione: le condizioni di lavoro venivano disciplinate da accordi interconfederali, cioè da contratti collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali, con cui si stabilivano i livelli retributivi dei lavoratori, indipendentemente dal settore produttivo di appartenenza. Le differenze di redditività esistenti tra i diversi settori produttivi portarono tuttavia, ben presto, e diremmo inevitabilmente, al predominio della contrattazione collettiva cd. di categoria (ad es. metalmeccanici, chimici, tessili, ecc.), per regolare, vuoi i livelli retributivi, vuoi le altre condizioni di lavoro. Sopravvissero gli accordi interconfederali, ma per regolare aspetti generali dei rapporti di lavoro che riguardano tutti i settori produttivi. Si vedano ad es. gli accordi interconfederali del 20 dicembre 1950 e del 5 maggio 1965 sui licenziamenti collettivi; gli accordi interconfederali del 18 ottobre 1950 e 29 aprile 1965 sui licenziamenti individuali e gli accordi interconfederali dell’ 8 maggio 1953 e 18 aprile 1966 sulle Commissioni Interne. La contrattazione collettiva, sia pure spostata a livello del sindacato di categoria, restava tuttavia centralizzata. All’inizio degli anni ‘60 del secolo scorso cominciarono le pressioni delle associazioni sindacali per giungere ad una contrattazione collettiva di impresa, non in sostituzione, ma in aggiunta alla contrattazione collettiva di categoria. E ciò per il fatto che la contrattazione collettiva di categoria non poteva che rispecchiare il livello di redditività delle imprese dell’intero settore e dunque anche di quelle marginali; non si teneva cioè conto del livello di redditività (che poteva essere molto superiore) delle singole imprese. Alla rivendicazione sindacale di un livello (aggiuntivo) di contrattazione, cioè quello aziendale, si opposero le associazioni sindacali dei datori di 61 L’iniziale centralizzazio- ne della contrattazione collettiva

ecentemente evidenziato l’esistenza di clausole ibride o bivalenti in quanto<br />

hanno valenza, ad un tempo, normativa e obbligatoria.<br />

Si pensi ad es. alle clausole, spesso presenti nei contratti collettivi, con le<br />

quali si sottopongono a controllo sindacale gli atti di esercizio di<br />

determinati poteri datoriali.<br />

Si faccia l’ipotesi del “trasferimento collettivo”. La legge dispone, all’art.<br />

2103 c.c., che il lavoratore possa essere trasferito da un’unità produttiva ad<br />

un’altra, purché sussistano comprovate ragioni tecniche, organizzative e<br />

produttive. Ebbene, in caso di trasferimento collettivo dei lavoratori, spesso<br />

i contratti collettivi impongono al datore di lavoro un obbligo di<br />

informazione preventiva delle associazioni sindacali, che, così, possono<br />

cercare di condizionare la decisione del datore di lavoro. Una clausola<br />

siffatta è da considerare obbligatoria, perché fonda un diritto di<br />

informazione in capo al sindacato, al fine di consentirgli una sorta di<br />

controllo sulla decisione imprenditoriale; nello stesso tempo essa fonda un<br />

diritto del lavoratore a subire un esercizio controllato (dal sindacato) del<br />

potere di trasferimento. Sotto questo profilo finisce per incidere sulla<br />

disciplina del rapporto individuale di lavoro e, dunque, è da considerare<br />

(anche) normativa.<br />

Buona parte delle clausole relative agli obblighi di informazione e<br />

consultazione preventiva del sindacato, rispetto all’adozione di<br />

provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro, è, appunto, di<br />

natura bivalente.<br />

3.3. Struttura della contrattazione collettiva in Italia.<br />

Quanto alla struttura della contrattazione collettiva in Italia è possibile<br />

operare una periodizzazione.<br />

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