UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - Giurisprudenza - Università ...

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20.05.2013 Views

La Corte di cassazione, nell’unica sentenza (Cass. 10 febbraio 1971, n. 357) in cui ha affrontato il problema della natura delle clausole di tregua sindacale, ha tuttavia ammesso la possibilità che queste ultime assumano una valenza normativa, senza per questo scontrarsi con l’art. 40 Cost. La Cassazione ha argomentato tale conclusione distinguendo tra rinuncia al diritto di sciopero (che sarebbe insanabilmente in contrasto con l’art. 40 Cost.) e regolamentazione dell’esercizio del diritto (compatibile con l’art. 40 Cost.), affermando che con la clausola di tregua sindacale, più che rinunciare al diritto di sciopero, si regolamenta per un arco di tempo definito e per un oggetto definito l’esercizio del diritto. Alla luce di questa impostazione, la qualificazione della clausola di tregua come obbligatoria o normativa non è per così dire necessitata: essa si risolve essenzialmente in un problema di interpretazione della volontà contrattuale. Nella nostra esperienza contrattuale, le clausole di tregua hanno generalmente natura obbligatoria, ponendo obblighi unicamente in capo alle associazioni sindacali. Nello stesso accordo interconfederale del 28 giugno 2011 si prevede espressamente che i contratti collettivi aziendali, che definiscono clausole di tregua sindacale al fine di “garantire la esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva hanno effetto vincolante esclusivamente per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori ed associazioni sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale operanti all’interno della azienda e non per i singoli lavoratori”. Naturalmente, nel caso di efficacia meramente obbligatoria, non si pone alcun problema di contrasto con l’art. 40 Cost., rimanendo intatto il diritto dei singoli lavoratori a scioperare. Questi ultimi, scegliendo di astenersi dal lavoro nonostante l’obbligo di tregua assunto dal sindacato, non incorrono 104 Clausole di tregua con valenza obbligatoria e conseguenze in caso di inadempi- mento

in alcuna responsabilità per inadempimento nei confronti del datore di lavoro; essi, tutt’al più, possono essere assoggettati al potere disciplinare dell’associazione sindacale cui aderiscono in base allo statuto dell’associazione medesima. Se, al contrario, è il sindacato a violare l’obbligo di tregua, il datore di lavoro può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno per inadempimento. Soluzione, questa, che tuttavia risulta poco praticabile, sia per il problema della prova e della quantificazione del danno, sia per il problema della capienza del patrimonio delle associazioni sindacali. Si aggiunga che, se l’impegno di tregua è assunto nel contratto di categoria dal sindacato nazionale, si profila un ulteriore profilo problematico, vale a dire se le associazioni sindacali di livello superiore siano in grado di vincolare i livelli inferiori delle medesime associazioni. A questo problema si tende a dare risposta negativa, escludendo perfino che possa configurarsi un’assunzione di garanzia per il fatto del terzo ai sensi dell’art. 1381c.c 3.12. La contrattazione collettiva nel pubblico impiego. Nel settore del pubblico impiego (del lavoro cioè che viene svolto alle dipendenze della pubblica amministrazione), la contrattazione collettiva è regolata da norme di legge. Si può dire che tutti quegli aspetti che non sono normativamente disciplinati nel settore privato lo sono invece nel settore pubblico. La prima legge che ha consacrato il metodo contrattuale nel pubblico impiego è stata la cd. legge-quadro del 29 marzo 1983, n. 93. Successivamente con la cd. privatizzazione o, meglio, contrattualizzazione del rapporto del pubblico impiego, avvenuta con il d.lgs. 29 del 1993, il legislatore ha compiutamente regolato i diversi aspetti della contrattazione 105 Le fonti di disciplina

in alcuna responsabilità per inadempimento nei confronti del datore di<br />

lavoro; essi, tutt’al più, possono essere assoggettati al potere disciplinare<br />

dell’associazione sindacale cui aderiscono in base allo statuto<br />

dell’associazione medesima.<br />

Se, al contrario, è il sindacato a violare l’obbligo di tregua, il datore di<br />

lavoro può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno per<br />

inadempimento. Soluzione, questa, che tuttavia risulta poco praticabile, sia<br />

per il problema della prova e della quantificazione del danno, sia per il<br />

problema della capienza del patrimonio delle associazioni sindacali. Si<br />

aggiunga che, se l’impegno di tregua è assunto nel contratto di categoria<br />

dal sindacato nazionale, si profila un ulteriore profilo problematico, vale a<br />

dire se le associazioni sindacali di livello superiore siano in grado di<br />

vincolare i livelli inferiori delle medesime associazioni. A questo problema<br />

si tende a dare risposta negativa, escludendo perfino che possa configurarsi<br />

un’assunzione di garanzia per il fatto del terzo ai sensi dell’art. 1381c.c<br />

3.12. La contrattazione collettiva nel pubblico impiego.<br />

Nel settore del pubblico impiego (del lavoro cioè che viene svolto alle<br />

dipendenze della pubblica amministrazione), la contrattazione collettiva è<br />

regolata da norme di legge. Si può dire che tutti quegli aspetti che non sono<br />

normativamente disciplinati nel settore privato lo sono invece nel settore<br />

pubblico.<br />

La prima legge che ha consacrato il metodo contrattuale nel pubblico<br />

impiego è stata la cd. legge-quadro del 29 marzo 1983, n. 93.<br />

Successivamente con la cd. privatizzazione o, meglio, contrattualizzazione<br />

del rapporto del pubblico impiego, avvenuta con il d.lgs. 29 del 1993, il<br />

legislatore ha compiutamente regolato i diversi aspetti della contrattazione<br />

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Le fonti di<br />

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