UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - Giurisprudenza - Università ...
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UNIVERSITÀ <strong>DEGLI</strong> <strong>STU<strong>DI</strong></strong> <strong>DI</strong> <strong>PAVIA</strong><br />
Facoltà di <strong>Giurisprudenza</strong><br />
Corso di Diritto del lavoro<br />
Prof. Mariella Magnani<br />
Lezioni di diritto sindacale<br />
Soggetti, Contratto, Conflitto collettivo<br />
Anno Accademico<br />
2011-2012
LEZIONI <strong>DI</strong> <strong>DI</strong>RITTO SINDACALE<br />
Soggetti, Contratto, Conflitto collettivo<br />
IN<strong>DI</strong>CE<br />
Capitolo I<br />
INTRODUZIONE<br />
1.1. L’oggetto del diritto del lavoro ………………………….. 6<br />
1.2. Le partizioni della materia ………………………………. 8<br />
1.3. Le fonti di disciplina dei rapporti di lavoro ……………... 9<br />
1.4.<br />
1.5.<br />
Dalle origini del diritto sindacale all’art. 39, seconda<br />
parte, della Costituzione ………………………………….<br />
Le ragioni della mancata attuazione dell’art. 39 Cost.,<br />
seconda parte ……………………………………………..<br />
Capitolo II<br />
I SOGGETTI DEL <strong>DI</strong>RITTO SINDACALE<br />
2.1. Il principio di libertà sindacale …………………………... 22<br />
2.2. Struttura del sindacato in Italia ………………………….. 26<br />
2.3. Il sindacato come associazione non riconosciuta ………... 29<br />
2.4. Il sindacato maggiormente rappresentativo ……………... 33<br />
2.5.<br />
2.6.<br />
Il sindacato comparativamente più rappresentativo ……...<br />
Costituzione e struttura delle RSA ……………………….<br />
2.7. Le RSU …………………………………………………... 47<br />
2<br />
12<br />
18<br />
41<br />
44
2.8. La rappresentanza sindacale aziendale negli altri Paesi<br />
europei …….…………...…………………………..…….<br />
2.9. I diritti sindacali:<br />
a) Diritto di assemblea .………………………………<br />
b) Referendum .…………...…………………………..<br />
c) Diritto di affissione ...…...…………………………<br />
d) Locali ......………………...………………………..<br />
e) Guarentigie ………………...………………………<br />
f) Permessi ………………………………………...…<br />
g) Campo di applicazione ..…………………………...<br />
Capitolo III<br />
IL CONTRATTO COLLETTIVO <strong>DI</strong> LAVORO<br />
3.1. L’inattuazione dell’art. 39 Cost., seconda parte, ed il<br />
3.2.<br />
3.3.<br />
3.4.<br />
contratto collettivo cd. di diritto comune ............................<br />
Il contenuto del contratto collettivo. La distinzione tra<br />
parte normativa e parte obbligatoria ……………………..<br />
Struttura della contrattazione collettiva in Italia ….……...<br />
L’ambito soggettivo di efficacia del contratto collettivo ...<br />
3.4.1. (segue) Le operazioni estensive della<br />
giurisprudenza ………………………..……………<br />
3.4.2. (segue) Le operazioni estensive del legislatore ..<br />
3.5. Inderogabilità del contratto collettivo da parte del<br />
contratto individuale ......………………………….………<br />
3.6. La successione dei contratti collettivi nel tempo e il<br />
3<br />
50<br />
51<br />
52<br />
53<br />
53<br />
54<br />
54<br />
54<br />
55<br />
57<br />
60<br />
66<br />
69<br />
73<br />
76
problema dei diritti quesiti ....………………….………… 82<br />
3.7. Il rapporto tra legge e contratto collettivo ……………….. 85<br />
3.8. Gli accordi di concertazione ………….………..………… 88<br />
3.9. Il concorso/conflitto tra contratti collettivi di diverso<br />
livello ………………………………………………….….<br />
3.10. L’ambito soggettivo di efficacia del contratto aziendale .<br />
In particolare, i contratti cd. gestionali……...…………..<br />
3.11. Le clausole di tregua sindacale ………………………….. 103<br />
3.12. La contrattazione collettiva nel pubblico impiego ………. 105<br />
3.12.1. L’efficacia del contratto collettivo nel settore<br />
pubblico ……………………………………………<br />
3.12.2. L’inderogabilità del contratto collettivo nel<br />
settore pubblico …………………………......……..<br />
3.13. L’art. 28 St. lav.: la repressione della condotta<br />
antisindacale ………………………………………….…..<br />
3.13.1. I soggetti legittimati ad agire ………………...<br />
3.13.2. La fattispecie “condotta antisindacale” ……...<br />
3.13.3. La violazione delle clausole dei contratti<br />
collettivi ……………………………………………<br />
92<br />
98<br />
107<br />
109<br />
110<br />
111<br />
114<br />
115<br />
3.13.4. Condotta antisindacale ed obbligo di trattare .. 116<br />
Capitolo IV<br />
IL CONFLITTO<br />
4.1. Il diritto di sciopero ……………………………………… 119<br />
4.2. Limiti interni e limiti esterni del diritto di sciopero ...…… 121<br />
4
4.3. La titolarità del diritto di sciopero ………………………. 126<br />
4.4.<br />
4.5.<br />
La struttura del diritto di sciopero ……………………….<br />
I modi attuativi ………………… ………………………..<br />
127<br />
127<br />
4.6. Le finalità. In particolare, lo sciopero politico ………… 129<br />
4.7. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali ………………. 131<br />
4.8.<br />
ALLEGATI:<br />
4.7.1. La definizione di servizio pubblico essenziale ..<br />
4.7.2. Le regole dello sciopero ………………………<br />
4.7.3. Apparato sanzionatorio ………………………<br />
La serrata …………………………………………………<br />
4.8.1. Qualificazione e disciplina della serrata dal<br />
punto di vista penale… ……………………….……<br />
4.8.2. … e dal punto di vista civile ……………….....<br />
4.8.3. La serrata di ritorsione ………………………..<br />
PROTOCOLLO 23 luglio 1993 (Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli<br />
assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo).<br />
ACCORDO INTERCONFEDERALE 20 dicembre 1993 (per la costituzione delle<br />
rappresentanze sindacali unitarie).<br />
ACCORDO QUADRO 22 gennaio 2009 (riforma degli assetti contrattuali).<br />
ACCORDO INTERCONFEDERALE 15 aprile 2009 (per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla<br />
riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009).<br />
ACCORDO 30 aprile 2009 (intesa per l’applicazione dell’Accordo quadro sulla riforma degli<br />
assetti contrattuali del 22 gennaio ai comparti contrattuali del settore pubblico).<br />
ACCORDO POMIGLIANO D’ARCO (15 giugno 2010).<br />
ACCORDO FIAT MIRAFIORI (23 dicembre 2010).<br />
ACCORDO CONFINDUSTRIA-CGIL-CISL-UIL (28 giugno 2011).<br />
ARTICOLO 8 D.L. N. 138 DEL 2011 “Misure a sostegno della disoccupazione”.<br />
IMPEGNO INTERCONFEDERALE (21 settembre 2011).<br />
5<br />
133<br />
136<br />
141<br />
143<br />
144<br />
149<br />
150
Capitolo I<br />
1.1. L’oggetto del diritto del lavoro.<br />
INTRODUZIONE<br />
Tradizionalmente il diritto del lavoro concerne i rapporti di lavoro<br />
subordinato ex art. 2094 c.c. E’ una materia relativamente nuova se<br />
confrontata con le tradizionali discipline giuridiche, affrancatasi dalla più<br />
generale disciplina privatistica, via via che si è formato un nucleo speciale<br />
di disciplina speciale di quei rapporti.<br />
Il perimetro del diritto del lavoro è segnato dalle norme costituzionali che<br />
lo contemplano: a parte l’art. 1 (che proclama che “l’Italia è una<br />
Repubblica democratica fondata sul lavoro”), gli artt. 4 (sul diritto al<br />
lavoro), 35 (sulla tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni), 36<br />
(sulla retribuzione proporzionata e sufficiente), 37 (sulla parità uomo-<br />
donna e sulla tutela dei minori), 38, 2° co. (sulla previdenza sociale), 39<br />
(sulla libertà sindacale), 40 (sul diritto di sciopero), 46 (sulla<br />
collaborazione dei lavoratori alla gestione delle imprese), 99 (sulla<br />
costituzione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro). Ma<br />
dovrebbero essere ricordati, in quanto riferibili pure al lavoratore come<br />
cittadino, i principi di cui agli artt. 2, 3, 2° co., 38,1°co., 41, 2°co.<br />
In passato, nella norma base di tutela del lavoro (art. 35) è stata vista<br />
l’affermazione della linea di tendenza a sostegno della classe lavoratrice, e,<br />
dunque, il lavoro è stato identificato con i valori e le esigenze di questa<br />
classe. In tale linea di pensiero il “lavoro” coincideva con il lavoro<br />
dipendente.<br />
6<br />
L’oggetto del<br />
diritto del<br />
lavoro<br />
Il significato<br />
di lavoro nelle<br />
norme<br />
costituzionali
Alcuni per la verità hanno ritenuto già in passato che il lavoro tutelato fosse<br />
anche quello autonomo, purchè sottoprotetto e, dunque, fosse da escludere<br />
solo il lavoro imprenditoriale (R. Scognamiglio).<br />
Oggi è sempre più avvertita in dottrina l’esigenza di una rilettura delle<br />
norme costituzionali alla luce delle modificazioni intervenute nella società<br />
che rendono inattuale la visione dicotomica e classista che sta alla base di<br />
gran parte della lettura del sistema giuslavoristico.<br />
La lettura aggiornata della Carta Costituzionale, scevra da quella lettura<br />
dicotomica di cui si diceva, ha indotto ormai a concludere che, a parte che<br />
negli artt. 36, 37, 46, e nell’art. 51, 3° co. – i quali, secondo la visione<br />
tradizionale, visualizzano il lavoro subordinato – per il resto la Costituzione<br />
esprime piena neutralità circa le forme di lavoro.<br />
***<br />
Rispetto alla tradizionale impostazione del diritto del lavoro si sono<br />
peraltro verificati fenomeni nuovi che attengono alla tipologia di rapporti di<br />
lavoro e che finiscono per investire lo stesso oggetto della materia.<br />
Da un parte, vi è stata una proliferazione, assecondata dall’ordinamento, di<br />
tipologie di lavoro subordinato: la categoria “lavoro subordinato” non è più<br />
monolitica (come quando ospitava essenzialmente il rapporto a tempo<br />
pieno ed indeterminato), ma articolata al suo interno in figure contrattuali<br />
diverse (lavoro a tempo parziale, somministrato, a termine, ripartito,<br />
intermittente, ecc.), che pongono, dal punto di vista interpretativo, problemi<br />
di adattamento della normativa generale; dal punto di vista sistematico,<br />
problemi di sistemazione concettuale.<br />
Dall’altra parte, vi è stata la diffusione di forme di lavoro autonomo che<br />
presentano forti assonanze con il lavoro subordinato. Si pensi ai rapporti di<br />
collaborazione coordinata, continuativa e prevalentemente personale, che,<br />
7<br />
Frammentazione<br />
ed<br />
estensione<br />
dell’oggetto<br />
del diritto<br />
del lavoro
proprio per questo motivo, sono divenuti oggetto di regolazione legislativa<br />
(cfr. da ultimo il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276).<br />
Da queste considerazioni emerge che l’oggetto del diritto del lavoro, da un<br />
canto, si è, in un certo senso, frammentato, dall’altro, si è esteso, nel senso<br />
di riguardare anche i rapporti di lavoro autonomo, essendo stati estesi ad<br />
alcuni di essi spezzoni di disciplina generale conformata su quella tipica del<br />
lavoro subordinato.<br />
1.2. Le partizioni della materia.<br />
Nell’ambito della materia si suole effettuare una tripartizione,<br />
scomponendola in “diritto sindacale”, “diritto del lavoro” in senso stretto (o<br />
“diritto del rapporto di lavoro”) e “diritto della previdenza sociale” o della<br />
“sicurezza sociale”.<br />
Il diritto sindacale ha per oggetto le associazioni ovvero le organizzazioni<br />
sindacali e la loro caratteristica attività: innanzitutto, la contrattazione<br />
collettiva delle condizioni di lavoro e, in secondo luogo, il cd. conflitto<br />
collettivo, vale a dire le forme di lotta sindacale (in particolare, lo sciopero<br />
e la serrata).<br />
Il diritto del lavoro in senso stretto visualizza il contratto e il rapporto<br />
individuale di lavoro e, di conseguenza, ha per oggetto l’insieme dei diritti<br />
e degli obblighi posti in capo a lavoratore e datore di lavoro come parti di<br />
siffatto rapporto.<br />
Infine il diritto della previdenza sociale o della sicurezza sociale ha per<br />
oggetto la disciplina dell’erogazione di beni e servizi da parte dello Stato o<br />
di Enti pubblici (ora anche privati) per far fronte a situazioni di bisogno<br />
(infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria:<br />
8<br />
Diritto<br />
sindacale<br />
Diritto del<br />
rapporto<br />
individuale di<br />
lavoro<br />
Diritto della<br />
previdenza o<br />
della<br />
sicurezza<br />
sociale
cfr. art. 38, 2° co., Cost.) in cui i lavoratori possono incorrere: si pensi, ad<br />
esempio, al sistema pensionistico. Tale branca del diritto ha assunto una<br />
notevole autonomia scientifica e didattica. Proprio per questo non viene<br />
normalmente ricompresa nei corsi di diritto del lavoro, salvi alcuni cenni<br />
essenziali per la piena comprensione della materia.<br />
1.3. Le fonti di disciplina dei rapporti di lavoro.<br />
L’assetto delle fonti di disciplina dei rapporti di lavoro è del tutto peculiare.<br />
Oltre alla legge ed al contratto individuale (che naturalmente non è fonte di<br />
diritto in senso tecnico) ritroviamo l’istituto del contratto collettivo, che è<br />
ad un tempo contratto ed atto normativo. Di esso si tratterà<br />
approfonditamente nel 3° capitolo.<br />
Per quanto riguarda la legge, deve ricordarsi che a fianco della legge statale<br />
si trova la legge regionale. Con la l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3,<br />
modificativa del Titolo V, Parte II, della Costituzione, in particolare<br />
dell’art. 117 (1°, 2°, 3°, 4° co.), il legislatore costituzionale ha invertito<br />
l’attribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, attribuendo<br />
competenza legislativa generale alle Regioni ed enumerando –<br />
individuandole dunque specificamente – le materie riservate alla<br />
competenza legislativa statuale.<br />
Per quanto riguarda il diritto del lavoro, questa riforma è importante perché<br />
viene riservata alla competenza concorrente Stato-Regioni la materia della<br />
“tutela e sicurezza del lavoro”. Tale espressione, secondo un’opinione,<br />
sarebbe talmente ampia da far ritenere che l’intero diritto del lavoro possa<br />
essere oggetto della competenza concorrente Stato-Regioni. Muovendo<br />
tuttavia dalla considerazione che, ai sensi dell’art. 117, lett. l), Cost.,<br />
9<br />
L’assetto<br />
delle fonti del<br />
diritto del<br />
lavoro: legge<br />
e contratto<br />
collettivo<br />
Legge statale<br />
e legge<br />
regionale
continua ad essere riservata alla competenza statale esclusiva la materia<br />
dell’ “ordinamento civile” e che il contratto e i rapporti di lavoro attengono<br />
indubbiamente a questa materia, si tende ad attribuire all’espressione<br />
“tutela e sicurezza del lavoro” un significato più ristretto, coerente con la<br />
esperienza di decentramento amministrativo attuato con la cd. legge<br />
Bassanini (legge 15 marzo 1997, n. 59). Secondo tale più condivisibile<br />
opinione, oggetto di potestà legislativa concorrente Stato-Regioni è la<br />
disciplina dell’organizzazione e del funzionamento del mercato del lavoro;<br />
mentre le materie dell’istruzione e della formazione professionale<br />
sarebbero riservate alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni.<br />
La materia lavoristica risulta così ripartita nell’area di competenza statale<br />
esclusiva, nell’area di competenza concorrente Stato-Regioni, nell’area di<br />
competenza regionale cosiddetta esclusiva. La logica che presiede a tale<br />
organizzazione non appare del tutto congruente, sembrando essa piuttosto il<br />
frutto della stabilizzazione di assetti normativi precedenti, cui si<br />
accompagnano nuovi innesti non del tutto meditati. Basti pensare ad<br />
esempio che, alla stregua di siffatta organizzazione, i contratti di lavoro cd.<br />
formativi (apprendistato, contratto di inserimento) finiscono per<br />
coinvolgere “verticalmente” sia la competenza esclusiva dello Stato, sia la<br />
competenza concorrente Stato-Regioni, sia infine la competenza esclusiva<br />
delle Regioni. I nessi esistenti, peraltro, tra la materia tipicamente di<br />
competenza regionale esclusiva, l’istruzione e la formazione professionale,<br />
ed altre materie – che sono ora in dominio della legislazione esclusiva<br />
statale, ora in regime di legislazione concorrente, ad esempio, il mercato<br />
del lavoro – inducono a ritenere che questa competenza esclusiva finisca<br />
per essere in realtà fortemente condizionata.<br />
Per quanto riguarda più specificamente il diritto sindacale, la legislazione<br />
ordinaria è scarsa non dal punto di vista quantitativo, ma dal punto di vista<br />
10<br />
Legge<br />
ordinaria e<br />
Costituzione
della sua organicità. Le uniche leggi organiche sono la l. 12 giugno 1990,<br />
n. 146, così come modificata dalla l. 11 aprile 2000, n. 83 sullo sciopero nei<br />
pubblici servizi e il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (confluito nel testo unico<br />
approvato con d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165) che disciplina la<br />
contrattazione collettiva nel pubblico impiego. Ci sono poi numerosi<br />
riferimenti normativi al sindacato e all’attività sindacale, senza che però<br />
venga disciplinato compiutamente il fenomeno dei rapporti sindacali e della<br />
contrattazione collettiva.<br />
Le norme fondamentali del diritto sindacale si ritrovano nella Costituzione<br />
e sono rappresentate dagli artt. 39, 40, 46.<br />
Tutte e tre queste norme (espressamente gli artt. 40 e 46, implicitamente<br />
l’art. 39) rinviano a leggi ordinarie per la loro attuazione. Sennonché leggi<br />
ordinarie organiche di attuazione non sono state emanate per nessuna delle<br />
tre norme; anche se recentemente tale situazione di anomia è stata<br />
parzialmente corretta per lo sciopero (v. la legge n. 146 del 1990, sullo<br />
sciopero nei servizi pubblici essenziali, infra, cap. IV, par. 7) e per il<br />
contratto collettivo aziendale e territoriale (v. art. 8, d.l. 13 agosto 2011, n.<br />
138 conv. nella l. 14 settembre 2011, n. 148: infra, cap. III, par. 10).<br />
Questa peculiarità del diritto del lavoro e, segnatamente, del diritto<br />
sindacale italiano, che si dice cresciuto “all’insegna dell’informalità”, lo<br />
rende accostabile per certi versi ad esperienze di Paesi di common law (in<br />
particolare al diritto sindacale inglese).<br />
Evidentemente, la mancanza di leggi ordinarie che dessero un’attuazione<br />
organica ai principi costituzionali in materia di diritto sindacale ha<br />
enfatizzato il ruolo della giurisprudenza.<br />
11<br />
Il ruolo fondamentale<br />
della giurisprudenza
1.4. Dalle origini del diritto sindacale all’art. 39, seconda parte, della<br />
Costituzione.<br />
Per comprendere appieno i contenuti dell’art. 39 Cost., uno dei capisaldi<br />
del diritto sindacale, occorre considerare diacronicamente il regime<br />
giuridico del sindacato e del contratto collettivo durante il periodo pre-<br />
corporativo e il periodo “corporativo-fascista”.<br />
I) Il periodo “pre-corporativo”.<br />
Il codice civile del 1865 non conteneva una disciplina specifica dei<br />
contratti di lavoro subordinato, che, pertanto, venivano ricondotti alla<br />
figura civilistica della locatio operarum. Tuttavia, anche nel nostro Paese,<br />
seppure in ritardo rispetto ad altri, la rivoluzione industriale determinò la<br />
diffusione del lavoro salariato subordinato e la nascita della cd. questione<br />
sociale.<br />
In questo primo periodo di tempo, lo Stato mancò di svolgere una funzione<br />
riequilibratrice. La tutela dei lavoratori dipendenti si ebbe attraverso la<br />
coalizione sindacale.<br />
Per vincere la situazione di debolezza contrattuale in cui si trovavano se<br />
contrattavano individualmente le condizioni di lavoro, i lavoratori si<br />
coalizzarono costituendo i sindacati, associazioni volontarie per la difesa<br />
dei propri interessi professionali. I sindacati, agendo attraverso lo<br />
strumento dello sciopero (che, a differenza di quanto poi previsto durante il<br />
regime fascista, era allora penalmente lecito), ottenevano di essere<br />
riconosciuti dai datori di lavoro come controparti contrattuali.<br />
Furono così stipulati i primi contratti collettivi, concernenti inizialmente la<br />
sola retribuzione (venivano infatti denominati “concordati di tariffa”) per<br />
poi disciplinare, col tempo, anche altri profili del rapporto di lavoro.<br />
12<br />
Il codice<br />
civile del<br />
1865 e la cd.<br />
questione<br />
sociale<br />
La nascita del<br />
sindacato e<br />
del contratto<br />
collettivo
Contemporaneamente, anche i datori di lavoro si associarono, a loro volta,<br />
per meglio contrastare, nella dialettica negoziale, i sindacati dei lavoratori.<br />
Come è ovvio, nel codice del 1865 non esisteva alcuna previsione<br />
normativa neppure (anzi, a fortiori) relativamente al contratto collettivo.<br />
Si deve all’opera pionieristica del giurista Giuseppe Messina (v. il suo<br />
saggio pubblicato nella Rivista di Diritto Commerciale del 1904, I, 458 ss.)<br />
l’inquadramento giuridico dei problemi da esso scaturenti. Messina per<br />
primo ha evidenziato che il contratto collettivo non è una sommatoria di<br />
singoli contratti di lavoro, ma un contratto normativo, cioè un contratto per<br />
mezzo del quale le parti predeterminano il contenuto di una futura attività<br />
negoziale. Per spiegare l’efficacia del contratto collettivo sui contratti<br />
individuali di lavoro, Messina deve fare ricorso, in mancanza di una<br />
disciplina specifica, al diritto contrattuale comune.<br />
In questa prospettiva, come ora si chiarirà, il contratto collettivo, da una<br />
parte, non ha efficacia inderogabile nei confronti dei singoli contratti<br />
individuali; dall’altra, riguarda unicamente gli iscritti alle associazioni<br />
sindacali stipulanti.<br />
Per spiegare come un contratto collettivo, stipulato da contrapposte<br />
associazioni sindacali, possa produrre effetti nella sfera giuridica del<br />
singolo datore di lavoro e del singolo lavoratore, già Messina faceva<br />
riferimento alla figura privatistica della rappresentanza: nel momento in<br />
cui i singoli si iscrivono alle proprie associazioni sindacali conferirebbero<br />
loro un potere di rappresentanza nella regolazione delle condizioni di<br />
lavoro. Ne consegue che coloro che non sono iscritti alle associazioni<br />
sindacali stipulanti il contratto sono terzi rispetto ad esso e, dunque, nei<br />
loro confronti il contratto collettivo non produce effetti.<br />
Dall’applicazione dell’istituto della rappresentanza al fine di spiegare gli<br />
effetti del contratto collettivo sul contratto individuale consegue altresì che<br />
13<br />
L’opera<br />
pionieristica di<br />
G. Messina<br />
nell’inquadramento<br />
del<br />
contratto<br />
collettivo<br />
L’utilizzazio-<br />
ne della<br />
figura della<br />
rappresentanza<br />
per<br />
spiegare gli<br />
effetti del<br />
contratto<br />
collettivo sul<br />
contratto individuale<br />
di<br />
lavoro
il singolo datore di lavoro ed il singolo lavoratore possano modificare, in<br />
sede di stipulazione del contratto individuale di lavoro, la disciplina<br />
prevista dal contratto collettivo. Il rappresentato è infatti dominus negotii e,<br />
dunque, può sempre modificare la regolamentazione dell’affare posta in<br />
essere dal rappresentante.<br />
Se questo è vero, si riduce di molto la funzione economico-sociale tipica<br />
del contratto collettivo, cioè la rimozione della debolezza contrattuale dei<br />
singoli lavoratori. Ma, secondo Messina, questa era l’unica conclusione cui<br />
si poteva pervenire applicando il comune diritto dei contratti.<br />
II) Il periodo “corporativo”.<br />
La legge 3 aprile 1926, n. 563, in conformità con l’ideologia del periodo<br />
corporativo-fascista, segnò l’allontanamento definitivo dalla posizione<br />
“agnostica”, di tendenziale indifferenza, che aveva caratterizzato lo Stato<br />
liberale nei confronti della dialettica tra le parti sociali nel conflitto<br />
industriale.<br />
Con la legge del 1926, il sindacato venne infatti attratto nella struttura<br />
organizzativa dello Stato. La legge prevedeva che i sindacati, una volta<br />
ottenuta la personalità giuridica (di diritto pubblico), avrebbero acquisito<br />
la rappresentanza legale di tutti i lavoratori – iscritti e non iscritti –<br />
appartenenti a una data categoria.<br />
Per ciascuna delle categorie professionali (le quali venivano individuate<br />
autoritativamente) era ammessa la registrazione di un solo sindacato. Pur<br />
non essendo formalmente affermata l’unicità del sindacato – pur essendo,<br />
cioè, consentita la costituzione di più sindacati per una stessa categoria di<br />
lavoratori – solo un sindacato poteva ottenere la registrazione e con essa la<br />
personalità giuridica. Il sindacato cui veniva attribuita la personalità<br />
giuridica di diritto pubblico aveva poi il potere di stipulare un contratto<br />
14<br />
La cd. legge<br />
sindacale del<br />
1926<br />
Il sindacato<br />
con<br />
personalità<br />
giuridica di<br />
diritto pubblico<br />
e rappresentanza<br />
legale di tutti<br />
i membri<br />
della categoria
collettivo dotato, per previsione legislativa, di efficacia generalizzata (erga<br />
omnes) nei confronti di tutti i lavoratori e datori di lavoro appartenenti alla<br />
categoria, indipendentemente dalla loro iscrizione.<br />
La legge del 1926 si occupava anche di definire il tipo di efficacia del<br />
contratto collettivo sul contratto individuale. Essa infatti stabiliva che, in<br />
ipotesi di difformità delle disposizioni del secondo rispetto a quelle del<br />
primo (e salvo che il contratto individuale non contenesse disposizioni più<br />
favorevoli per i lavoratori), le disposizioni del contratto individuale<br />
difformi dovessero essere sostituite automaticamente da quelle del<br />
contratto collettivo. Si affermava, pertanto, il principio di inderogabilità in<br />
peius del contratto collettivo da parte del contratto individuale, principio<br />
poi ripreso dal codice civile del 1942.<br />
La legge del 1926 prevedeva inoltre l’istituzione della Magistratura del<br />
lavoro, un organismo composto da magistrati togati e da esperti designati<br />
dalle parti contrapposte, con lo scopo di dirimere le controversie relative ai<br />
rapporti di lavoro. All’esame della Magistratura del lavoro potevano essere<br />
portate sia controversie collettive cd. giuridiche, relative cioè<br />
all’interpretazione ed all’applicazione dei contratti collettivi esistenti; sia<br />
controversie collettive cd. economiche, relative cioè alla determinazione dei<br />
contenuti dei contratti collettivi (ed in tal caso era in sostanza la stessa<br />
Magistratura a fissare detti contenuti).<br />
Per comprendere le ragioni dell’istituzione della Magistratura del lavoro<br />
occorre premettere che il legislatore del 1926 qualificava e puniva sia lo<br />
sciopero, sia la serrata come reati contro l’economia nazionale. Siffatte<br />
previsioni furono poi riprodotte dal codice penale del 1930.<br />
La repressione penale dello sciopero rappresentava in effetti il principale<br />
elemento di negazione della libera determinazione dei rapporti sindacali.<br />
Infatti, in un sistema di libertà sindacale e contrattuale le associazioni<br />
15<br />
Il contratto<br />
collettivo con<br />
efficacia erga<br />
omnes ed<br />
inderogabilità<br />
da parte del<br />
contratto<br />
individuale<br />
La<br />
Magistratura<br />
del lavoro<br />
Sciopero e<br />
serrata<br />
configurati<br />
come reati<br />
contro<br />
l’economia<br />
nazionale
sindacali dei lavoratori tipicamente avanzano rivendicazioni nei confronti<br />
della controparte datoriale; ed in tale confronto dialettico accade<br />
fisiologicamente che le pretese vengano sostenute attraverso lo strumento<br />
dello sciopero. In un sistema, come quello corporativo fascista, che<br />
sancisce l’illiceità penale dello sciopero, il legislatore deve porsi il<br />
problema degli strumenti atti a rimuovere l’eventuale situazione di stallo<br />
che si produca nella contrattazione collettiva, non rimuovibile appunto<br />
attraverso il ricorso alle forme di cd. lotta sindacale. E, nella legge del<br />
1926, egli individua tale strumento nella Magistratura del lavoro, organo<br />
deputato, appunto, a risolvere le controversie, anche di natura economica,<br />
tra le parti sociali.<br />
Le disposizioni della legge del 1926, come detto, vengono trasferite, in<br />
parte, nel codice penale del 1930, in parte, nel codice civile del 1942 (cfr.<br />
libro V, Titolo I, capo III, artt. 2067 ss.).<br />
Il codice civile finalmente disciplina anche il rapporto di lavoro<br />
subordinato (cfr. artt. 2094 ss.), con disposizioni che contengono ampi e<br />
numerosi rinvii alla contrattazione collettiva; esso disciplina specificamente<br />
anche il contratto collettivo (v. artt. 2067 ss.), riproducendo la disciplina<br />
della legge del 1926. Nel considerare le disposizioni del codice civile del<br />
1942 occorre essere avvertiti che ciò che viene disciplinato è il contratto<br />
collettivo corporativo, stipulato dai sindacati registrati, in un sistema<br />
sostanzialmente negatorio della libertà sindacale. Appunto per questo si<br />
ritiene che le disposizioni sul contratto collettivo contenute nel codice<br />
civile non concernano i cd. contratti collettivi di diritto comune (v. infra,<br />
cap. III, par. 1).<br />
Ad ogni buon conto disciolte nel 1943 le corporazioni e nel 1944 i sindacati<br />
fascisti, per non lasciare i lavoratori privi di tutela, furono mantenuti in vita<br />
16<br />
Codice<br />
penale del<br />
1930 e codice<br />
civile del<br />
1942
i contratti collettivi stipulati fino a quel momento (cfr. d.lgvo lgt. 23<br />
novembre 1944, n. 369).<br />
Caduto il sistema corporativo, i sindacati, (ri)costituitisi sulla base del<br />
principio di libertà sindacale, si trovarono ad operare in una situazione di<br />
anomia paragonabile a quella in cui operavano nel periodo pre-corporativo.<br />
III) L’entrata in vigore della Costituzione ed il periodo post-costituzionale.<br />
Nel 1948 entra in vigore la Costituzione e, con essa, l’art. 39, il quale, al 1°<br />
comma, dispone: “L’organizzazione sindacale è libera”. Questa<br />
proposizione evidenzia il distacco del modello sindacale della nostra<br />
Costituzione, rispetto a quello delineato dalla legislazione corporativo-<br />
fascista, sostanzialmente negatoria della libertà sindacale.<br />
Nei commi secondo e successivi, l’art. 39 dispone che ai sindacati non può<br />
essere imposto altro obbligo se non quello della “registrazione”. A loro<br />
volta, i sindacati registrati hanno la personalità giuridica e possono,<br />
“rappresentati unitariamente in proporzione al numero degli iscritti,<br />
stipulare contratti collettivi con efficacia obbligatoria per tutti gli<br />
appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce”.<br />
In quest’ottica, l’art. 39 è il frutto del tentativo del Costituente di conciliare<br />
la libertà sindacale, che implica il pluralismo sindacale, con l’esigenza del<br />
contratto collettivo cui si riconosce efficacia generalizzata.<br />
Mentre però il primo comma dell’art. 39 è norma precettiva, cioè<br />
immediatamente applicabile nei rapporti interprivati (e, come vedremo,<br />
gravida di significato), i commi 2°, 3°, 4° (la cd. seconda parte dell’art. 39)<br />
necessitano, per la loro attuazione, di una legge ordinaria che definisca, ad<br />
esempio, le condizioni e le modalità della registrazione e della costituzione<br />
della rappresentanza unitaria.<br />
17<br />
La caduta del<br />
sistema<br />
corporativo<br />
Libertà sindacali<br />
e rappresentanza<br />
unitaria nella<br />
contrattazionecollettiva
Una legge ordinaria di attuazione dell’art. 39 non è però mai stata emanata,<br />
tanto che in dottrina si è anche arrivati a prospettare l’opportunità di<br />
abrogare i commi 2°, 3° e 4°, attraverso il meccanismo di revisione<br />
costituzionale. Da ultimo, i fenomeni di contrapposizione registratisi tra le<br />
principali organizzazioni sindacali hanno indotto il legislatore ad<br />
individuare condizioni e modalità per l’attribuzione di efficacia erga omnes<br />
ai contratti collettivi “aziendali e territoriali”. Dei problemi di legittimità<br />
costituzionale di siffatta normativa si tratterà infra (v. infra, cap. III, par.<br />
10).<br />
1.5. Le ragioni della mancata attuazione dell’art. 39 Cost., seconda<br />
parte.<br />
Le ragioni della mancata attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost.,<br />
seconda parte, sono diverse. Si tratta di ragioni di carattere politico e di<br />
carattere tecnico.<br />
Sul piano politico, le motivazioni sono sintetizzabili nell’avversione<br />
sindacale, manifestata dapprima da una componente dei nostri sindacati,<br />
ma poi condivisa anche dalle altre, nei confronti dell’idea dell’attuazione<br />
costituzionale.<br />
E’ stata inizialmente la CISL a manifestare tale avversione. E ciò per<br />
ragioni pratiche (trattandosi, infatti, di un sindacato minoritario rispetto alla<br />
tradizionale rivale, la CGIL, nel meccanismo di rappresentanza unitaria<br />
costituita proporzionalmente al numero degli iscritti essa avrebbe finito per<br />
occupare una posizione di minoranza) e teoriche (è stata la CISL ad<br />
elaborare la teoria del cd. pan-contrattualismo, volta a privilegiare, nella<br />
tutela dei lavoratori, l’attività sindacale rispetto all’intervento dello Stato).<br />
18<br />
L’inattuazione<br />
della II parte<br />
dell’art. 39<br />
Cost<br />
Ragioni di<br />
carattere<br />
politico
Peraltro, anche la CGIL ha in seguito fatto proprio l’atteggiamento di<br />
avversione nei confronti di una legge attuativa dell’art. 39 Cost., per il<br />
timore che da essa scaturissero forme di ingerenza e di controllo dello Stato<br />
sull’attività sindacale.<br />
Per comprendere meglio tale atteggiamento del sindacato bisogna ricordare<br />
che, all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, e per tutti gli<br />
anni cinquanta del secolo scorso, vi fu un intenso dibattito su come l’art. 39<br />
Cost. avrebbe dovuto essere attuato.<br />
Il dibattito, dottrinale e politico-sindacale, ha riguardato i possibili<br />
contenuti della legge sindacale che avrebbe attuato la seconda parte<br />
dell’art. 39 Cost. In discussione erano diversi profili: quali uffici dovessero<br />
provvedere alla registrazione dei sindacati; se la registrazione dovesse<br />
essere condizionata ad una consistenza numerica minima, onde evitare la<br />
registrazione di sindacati di totale non rappresentatività o addirittura di<br />
“comodo”; se la personalità del sindacato dovesse essere di diritto privato o<br />
di diritto pubblico, con i conseguenti penetranti controlli da parte dello<br />
Stato; secondo quali criteri (ad es., quello di maggioranza ovvero di<br />
unanimità) si sarebbero dovuti comporre gli eventuali contrasti all’interno<br />
della rappresentanza unitaria.<br />
Evidentemente, la mancata attuazione dell’art. 39 Cost. scaturì dal timore<br />
dei sindacati che una legge di attuazione potesse essere fortemente invasiva<br />
delle loro libertà ed autonomia interna ed esterna. Certo, sarebbe stata<br />
possibile anche un’attuazione rispettosa di esse, ma la prospettiva storico-<br />
sociale in cui bisogna inserire il dibattito è quella del periodo<br />
immediatamente successivo al regime corporativo, con la conseguente<br />
vischiosità di un passato ancora troppo recente.<br />
Quanto alle ragioni di carattere tecnico, occorre segnalare che l’attuazione<br />
dell’art. 39 avrebbe comportato (e comporterebbe) la soluzione di problemi<br />
19<br />
Ragioni di<br />
carattere<br />
tecnico
non irrilevanti: in primis, la verifica del numero degli iscritti nel caso di<br />
conflitto tra le organizzazioni sindacali in merito alla reciproca consistenza<br />
associativa. Occorre, infatti, ricordare che, secondo il meccanismo previsto<br />
dall’art. 39 Cost., le rappresentanze unitarie sono costituite in proporzione<br />
al numero degli iscritti. In caso di contrasto tra i sindacati circa la loro<br />
reciproca consistenza associativa occorrerebbe affidare ad una pubblica<br />
autorità il compito, non agevole, di verificare il numero degli iscritti.<br />
In secondo luogo, problematica è la questione della definizione della<br />
categoria di riferimento per la stipulazione dei contratti collettivi. Nel<br />
periodo corporativo v’era infatti una predeterminazione statale delle<br />
categorie; e ciò, mentre si ritiene che il principio di libertà sindacale<br />
implichi anche la libertà dei sindacati di determinare l’ambito di<br />
riferimento della propria attività (ad es., gli addetti ai cantieri navali sono<br />
ora ricompresi nella generale categoria dei “metalmeccanici”; tuttavia, in<br />
un regime di libertà sindacale, nulla impedirebbe la costituzione di un<br />
sindacato autonomo, rappresentante specificamente gli addetti ai cantieri<br />
navali, con la pretesa di stipulare un autonomo contratto per gli stessi).<br />
Come si è detto, l’art. 39 contempla contratti collettivi aventi efficacia<br />
obbligatoria nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il<br />
contratto si riferisce. Nel caso di conflitto tra i sindacati circa i confini<br />
della categoria (cd. conflitto giurisdizionale: se, ad esempio, la “categoria”<br />
debba essere quella dei metalmeccanici o quella, più specifica, degli addetti<br />
ai cantieri navali) bisognerebbe allora attribuire ad una autorità pubblica il<br />
compito di definirli o, comunque, individuare un meccanismo attraverso il<br />
quale dirimere siffatto conflitto.<br />
Ma questo è uno dei punti più delicati del diritto sindacale: come si è detto,<br />
il principio di libertà sindacale implica la libertà del sindacato di definire<br />
l’ambito di riferimento della sua attività (vale a dire la categoria) e<br />
20<br />
Il problema<br />
della<br />
definizione<br />
della<br />
categoria
qualsiasi meccanismo di risoluzione autoritativa dei conflitti cd.<br />
giurisdizionali tocca in misura più o meno rilevante questa libertà.<br />
Va da sé che l’art. 39, seconda parte, seppure inattuato, non è privo di<br />
effetti giuridici: esso impedisce, infatti, al legislatore ordinario di attribuire<br />
efficacia erga omnes ai contratti collettivi con un meccanismo diverso da<br />
quello descritto. Da ciò i problemi di legittimità costituzionale ad esempio<br />
sollevati per il recente art. 8, d.l. n. 138, conv. nella l. n. 148 del 2011.<br />
Il fatto che il legislatore ordinario non abbia mai proceduto ad attuare le<br />
previsioni dell’art. 39 Cost. non significa che egli non sia mai intervenuto<br />
in materia sindacale.<br />
L’intervento principale è indubbiamente costituito dal cd. “Statuto dei<br />
diritti dei lavoratori”, ossia la legge 20 maggio 1970, n. 300. Lo Statuto dei<br />
lavoratori contiene una parte (segnatamente il titolo III) funzionale alla<br />
promozione dell’attività sindacale all’interno delle imprese, promozione<br />
che si realizza mediante la previsione di una serie di diritti in capo alle<br />
rappresentanze sindacali aziendali. Il legislatore intende così sostenere<br />
l’attività sindacale nelle imprese, senza però regolare il sindacato.<br />
Ulteriore caratteristica che emerge dalla legislazione postcostituzionale in<br />
materia sindacale è il sostegno ai sindacati maggiormente rappresentativi<br />
e, più di recente, a quelli comparativamente più rappresentativi. Nozioni,<br />
queste, attraverso cui il legislatore seleziona alcuni sindacati al fine<br />
dell’attribuzione di particolari diritti o prerogative (v. infra, cap. II, parr. 4<br />
e 5).<br />
21<br />
La valenza<br />
della II parte<br />
dell’art. 39<br />
Cost., pur<br />
inattuata<br />
Il sostegno<br />
del sindacato<br />
nella legislazione<br />
postcostitu-<br />
zionale;<br />
il cd. Statuto<br />
dei lavoratori<br />
Il sostegno dei<br />
sindacati<br />
maggiormente<br />
rappresentativi
Capitolo II<br />
I SOGGETTI DEL <strong>DI</strong>RITTO SINDACALE<br />
2.1. Il principio di libertà sindacale.<br />
L’art. 39 Cost. si apre con la solenne affermazione: “l’organizzazione<br />
sindacale è libera”.<br />
Il primo problema che si pone è in quale rapporto si trovi l’art. 39 rispetto<br />
all’art. 18 che sancisce il diritto di libertà di associazione. In proposito, si<br />
ritiene che le due norme si trovino in un rapporto di genere a specie. L’art.<br />
39 Cost. rappresenta una norma speciale rispetto all’art. 18 Cost. Tale<br />
rapporto di specialità emerge con maggior evidenza se consideriamo che<br />
nell’art. 39 si sancisce la libertà, non di associazione, ma di organizzazione<br />
sindacale. Ci possono essere, infatti, forme organizzative diverse dalle<br />
associazioni; e pure esse ricevono protezione dalla norma costituzionale.<br />
Il termine organizzazione è specificato dal predicato “sindacale”. Che cosa<br />
sia “sindacale” non si può stabilire sulla base di una mera analisi lessicale<br />
della norma costituzionale. Si ritiene giustamente che la norma faccia<br />
rinvio a dati di tipicità sociale; ed in base a questi dati di tipicità sociale si<br />
può ritenere sindacale “ogni atto o attività che sia diretta all’autotutela di<br />
interessi connessi a relazioni giuridiche in cui sia dedotta l’attività di<br />
lavoro” (G. Giugni).<br />
Ci si è domandati se, oltre i lavoratori subordinati, anche i lavoratori<br />
autonomi siano titolari della libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost.: siano<br />
cioè ricompresi nel suo campo di applicazione. La risposta deve essere<br />
positiva – ed è normalmente positiva – per i lavoratori autonomi che<br />
svolgono a favore del committente un’attività di tipo personale e duratura<br />
trovandosi nei suoi confronti in una condizione di sottoprotezione<br />
22<br />
Libertà di<br />
organizzazione<br />
sindacale ex<br />
art. 39 e libertà<br />
di associazione<br />
ex art. 18 Cost.<br />
Libertà di<br />
organizzazione<br />
sindacale e<br />
lavoratori<br />
autonomi
paragonabile a quella dei lavoratori parasubordinati. Ad esempio, nessuno<br />
dubita che siano titolari di libertà sindacale ex art. 39 Cost. gli agenti di<br />
commercio ex artt. 1742 ss. c.c. e in generale i lavoratori cd.<br />
parasubordinati (ad es. i medici convenzionati con il servizio sanitario<br />
nazionale).<br />
Il primo comma dell’art. 39 Cost. è una norma immediatamente precettiva<br />
e bidirezionale, contenendo un nucleo di garanzie sia nei confronti dello<br />
Stato, sia nei confronti del datore di lavoro.<br />
Dal punto di vista contenutistico, esso sancisce un insieme di garanzie sia<br />
per gli individui sia per gli stessi gruppi (sindacali) organizzati.<br />
Per quanto riguarda, innanzitutto, i singoli, esso implica la libertà di<br />
costituire un’organizzazione sindacale, di aderirvi e di svolgere attività di<br />
proselitismo (cd. libertà sindacale positiva).<br />
Ci si è chiesti se l’art. 39, 1° co., comprenda anche la libertà sindacale cd.<br />
negativa, vale a dire quella di non aderire ad alcuna associazione sindacale.<br />
Alla questione è stata data tendenzialmente risposta positiva. Il problema si<br />
è posto perché nella normativa dell’Organizzazione internazionale del<br />
lavoro (OIL) (Convenzioni n. 87/1948 e n. 98/1949, entrambe ratificate nel<br />
nostro paese con legge 23 marzo 1958, n. 367) viene menzionata la libertà<br />
positiva, ma non quella negativa. L’OIL, infatti, ha dovuto tenere conto<br />
dell’esperienza di Paesi anglosassoni, soprattutto gli USA, che conoscono<br />
le cd. clausole di sicurezza sindacale. Si tratta di clausole, contenute nei<br />
contratti collettivi, che prevedono, quale condizione per l’assunzione,<br />
l’iscrizione dei lavoratori ai sindacati (cd. closed shop), oppure l’adesione<br />
successiva all’assunzione (cd. union shop) quale condizione per il<br />
mantenimento dell’impiego. E’ da segnalare, al riguardo, che la Corte<br />
europea dei diritti dell’uomo, con sentenza 13 agosto 1981, caso Young,<br />
James e Webster, in un caso riguardante il Regno Unito ha affermato<br />
23<br />
Il contenuto<br />
del principio<br />
di libertà<br />
sindacale per<br />
i singoli<br />
Libertà<br />
sindacale<br />
positiva e<br />
negativa<br />
Le clausole di<br />
sicurezza<br />
sindacale
l’illegittimità di tali clausole per violazione della Convenzione europea per<br />
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950<br />
(CEDU, ratificata con l. n. 848 del 1955).<br />
Corollario del principio di libertà sindacale è il pluralismo sindacale. In<br />
esso è infatti implicita la possibilità che sorgano più sindacati, anche<br />
nell’ambito della stessa categoria.<br />
Si è detto che il principio di libertà sindacale implica un insieme di<br />
garanzie per gli stessi gruppi sindacali organizzati.<br />
Esse consistono, in primo luogo, nella libera scelta delle forme<br />
organizzative e delle regole che disciplinano l’assetto interno, nonché nella<br />
libertà di aderire ad organizzazioni complesse (le confederazioni sindacali).<br />
Ciò è vietato, per espressa disposizione di legge ordinaria, ai soli<br />
appartenenti alla Polizia di Stato, i cui sindacati non possono confluire in<br />
associazioni di secondo grado e, segnatamente, nelle confederazioni<br />
generali che rappresentano tutti i lavoratori (l. 1° aprile 1981, n. 121).<br />
In secondo luogo, la libertà sindacale implica la libertà di scegliere<br />
l’ambito di riferimento della propria azione e, dunque, la categoria di<br />
riferimento soprattutto ai fini della contrattazione collettiva.<br />
Il principio di libertà di organizzazione sindacale peraltro non può essere<br />
inteso in senso statico. La libertà di organizzazione sindacale comporta<br />
necessariamente la libertà di azione sindacale e, dunque, di<br />
contrattazione collettiva.<br />
Dal fatto che, correttamente, si ritenga che il principio di libertà sindacale<br />
contenga il principio di libertà contrattuale derivano importanti<br />
conseguenze. In particolare, il problema della costituzionale di interventi<br />
legislativi che pongano alla contrattazione dei tetti massimi (v. infra, cap.<br />
III, par. 7).<br />
24<br />
Le garanzie<br />
per i gruppi<br />
organizzati<br />
La libertà di<br />
organizzazione<br />
sindacale<br />
implica la<br />
libertà di agire<br />
e dunque di<br />
organizzazione<br />
sindacale
Per quanto concerne i datori di lavoro, in particolare, nessuno dubita che<br />
essi godano di libertà sindacale. Si discute tuttavia se tale libertà trovi<br />
fondamento nell’art. 39, 1° co., Cost. o nell’art. 18 Cost. in combinato<br />
disposto con l’art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica privata).<br />
Non è irrilevante stabilire il fondamento normativo della libertà sindacale<br />
dei datori di lavoro e, in particolare, degli imprenditori. Dalla formulazione<br />
dell’art. 41 (e soprattutto dei commi 2° e 3°) emerge che la libertà di<br />
iniziativa economica privata è, sì, riconosciuta, ma non è priva di limiti; e<br />
ciò, mentre l’affermazione della libertà sindacale nell’art. 39 è<br />
incondizionata (salvi i temperamenti che possono discendere dalla<br />
eventuale attuazione della seconda parte dello stesso art. 39).<br />
Più convincente sembra però la tesi, confortata anche dal contenuto delle<br />
convenzioni OIL n. 87/1948 e n. 98/1949 e dell’art. 28 della Carta dei<br />
diritti fondamentali (cd. Carta di Nizza), che non esclude il sindacalismo<br />
degli imprenditori dal campo di applicazione dell’art. 39 Cost. E’ bensì<br />
vero che il legislatore accorda talora un trattamento preferenziale alle<br />
associazioni sindacali dei lavoratori (v., ad es., l’art. 28 dello Statuto dei<br />
lavoratori, il quale prevede che, in caso di condotta antisindacale, su ricorso<br />
delle associazioni sindacali nazionali dei lavoratori che vi abbiano<br />
interesse, il giudice pronunci un decreto immediatamente esecutivo volto a<br />
far cessare il comportamento illegittimo e alla rimozione dei suoi effetti).<br />
Ma, per giustificare un trattamento differenziato eventualmente riservato<br />
alle associazioni sindacali dei lavoratori rispetto a quelle dei datori di<br />
lavoro, non è necessario sposare una lettura asimmetrica della libertà<br />
sindacale: esso si potrebbe giustificare semplicemente richiamando il 2°<br />
comma dell’art. 3 Cost. (cd. principio di eguaglianza sostanziale).<br />
25<br />
La libertà<br />
sindacale dei<br />
datori di<br />
lavoro e in<br />
particolare<br />
degli<br />
imprenditori
2.2. Struttura del sindacato in Italia.<br />
Storicamente, si sono concretamente configurati due grandi modelli<br />
organizzativi del sindacalismo: il sindacato di mestiere (secondo<br />
l’espressione inglese, craft union), che associa i lavoratori svolgenti la<br />
stessa attività (ad es., sindacato dei tipografi); il sindacato per ramo<br />
d’industria.<br />
In questo secondo modello, il sindacato organizza i lavoratori secondo il<br />
tipo di attività esercitata dal datore di lavoro (ad es. il sindacato dei<br />
lavoratori metalmeccanici, che associa i dipendenti delle imprese<br />
metalmeccaniche, indipendentemente dal tipo di mestiere svolto da ciascun<br />
lavoratore).<br />
La seconda forma organizzativa è tradizionalmente prevalente in Italia,<br />
anche se non sono mai mancati i sindacati di mestiere (ad es. il sindacato<br />
dei dirigenti d’azienda, i sindacati dei piloti dell’aviazione civile, ecc.).<br />
Il nostro ordinamento è caratterizzato da una situazione di pluralismo<br />
sindacale su base ideologica.<br />
Le tre principali confederazioni sindacali sono CGIL, CISL, UIL, nate dalla<br />
scissione della CGL unitaria.<br />
Dalla CGL unitaria è dapprima (nel 1948) fuoriuscita la componente<br />
cattolica, per costituire la CISL e, successivamente (nel 1949), la<br />
componente repubblicana e socialista, per costituire la UIL. Oltre alle tre<br />
confederazioni storiche, tendenzialmente caratterizzate da unità di azione,<br />
deve ricordarsi la CISNAL, oggi UGL, sindacato legato ai partiti della<br />
destra politica.<br />
Accanto al sindacato confederale, abbiamo un arcipelago, non ben<br />
conosciuto, di sindacati cosiddetti autonomi (nel senso che non aderiscono<br />
26<br />
Sindacato di<br />
mestiere e per<br />
ramo di<br />
industria<br />
I sindacati<br />
confederati e<br />
i sindacati cd.<br />
autonomi
ad alcuna delle tradizionali confederazioni sindacali), rispetto ai quali non è<br />
raro trovarsi di fronte a sindacati di mestiere.<br />
Quanto alla struttura organizzativa dei sindacati, le tre confederazioni<br />
storiche, le uniche di cui conosciamo struttura ed ordinamento interno,<br />
sono strutturate secondo una linea verticale ed una linea orizzontale.<br />
Per quanto riguarda la prima, alla base vi sono le rappresentanze sindacali<br />
aziendali, che rappresentano i lavoratori iscritti al sindacato in ciascuna<br />
unità produttiva. Le rappresentanze sindacali aziendali confluiscono nel<br />
sindacato provinciale; i sindacati provinciali nel sindacato regionale e i<br />
sindacati regionali nel sindacato nazionale.<br />
Per quanto attiene alla linea orizzontale, tutti i sindacati provinciali di<br />
categoria confluiscono in una struttura organizzativa unica che assume<br />
diverse denominazioni a seconda della confederazione sindacale (Camera<br />
del lavoro per la CGIL, Unione sindacale territoriale per la CISL e Camera<br />
sindacale per la UIL), che a sua volta confluisce in una struttura regionale.<br />
Le federazioni nazionali di categoria e le strutture orizzontali regionali<br />
confluiscono, infine, nella confederazione sindacale (sindacato a struttura<br />
complessa, o di secondo grado) che è “somma” di tutte.<br />
L’articolazione della struttura organizzativa secondo una linea verticale ed<br />
una linea orizzontale risponde ad una differenziazione di funzioni<br />
nell’ambito del sindacato.<br />
La struttura verticale definisce le linee rivendicative sindacali nell’ambito<br />
di una categoria (ad es. i metalmeccanici), mentre quella orizzontale<br />
definisce le linee di azione valide per tutte le associazioni di categoria<br />
(metalmeccanici, tessili, chimici, ecc.) che aderiscono alla medesima<br />
confederazione.<br />
Nel nostro Paese si registra una situazione di pluralismo sindacale anche<br />
per quanto riguarda i datori di lavoro, tuttavia non su base ideologica,<br />
27<br />
Le strutture<br />
organizzative<br />
delle<br />
tradizionali<br />
confederazioni<br />
sindacali<br />
Il<br />
sindacalismo<br />
dei datori di<br />
lavoro, in<br />
particolare<br />
degli<br />
imprenditori
ensì in base al settore merceologico. Confindustria, Confcommercio,<br />
Confagricoltura, Confartigianato associano rispettivamente le imprese<br />
industriali, del commercio, agricole ed artigiane. Talora il pluralismo<br />
sindacale è determinato dalle dimensioni dell’impresa: ad es. Confapi<br />
costituisce una confederazione sindacale che associa esclusivamente le<br />
piccole e medie imprese.<br />
Il sindacalismo dei datori di lavoro si definisce comunemente sindacalismo<br />
di risposta, per indicare che esso è un fenomeno “indotto”<br />
dall’aggregazione sindacale dei lavoratori e non, per così dire, originario,<br />
“necessitato” come il sindacalismo dei lavoratori.<br />
I singoli datori di lavoro non hanno alcuna necessità originaria di<br />
coalizzarsi per contrattare le condizioni di lavoro: sono essi stessi una<br />
“coalizione”. Tuttavia, nel momento in cui i lavoratori si organizzano, non<br />
solo a livello aziendale, ma anche a livello territoriale (costituendo i<br />
sindacati provinciali, regionali, nazionali), nasce per il datore di lavoro<br />
l’esigenza di dotarsi di analoghe strutture organizzative che possano<br />
rappresentare le interlocutrici, specie nella contrattazione collettiva, dei<br />
primi. Di qui, appunto, la denominazione di sindacato “di risposta”.<br />
Per le pubbliche amministrazioni la funzione di contrattazione viene svolta<br />
ex lege dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche<br />
amministrazioni (ARAN).<br />
La scelta del legislatore (art. 2, 1° co., lett. b, legge delega 23 ottobre 1992,<br />
n. 421) di affidare ad un organismo tecnico, dotato di personalità giuridica,<br />
la rappresentanza legale per la stipulazione dei contratti collettivi nazionali<br />
(e di assistenza nella contrattazione collettiva integrativa) di tutte le<br />
pubbliche amministrazioni (ai sensi dell’art. 46, 13° co., d. lgs. 165/2001,<br />
le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano<br />
possono avvalersi di agenzie tecniche istituite con legge regionale o<br />
28<br />
Il<br />
sindacalismo<br />
dei datori di<br />
lavoro come<br />
sindacalismo<br />
di risposta<br />
L’Aran per la<br />
rappresentanzanegoziale<br />
delle<br />
pubbliche<br />
amministrazioni
provinciale, ovvero della sola assistenza dell'ARAN) risponde ad un<br />
duplice obiettivo: far sì che il contratto produca i suoi effetti nei confronti<br />
di tutte le pubbliche amministrazioni interessate, senza necessità di un atto<br />
di ricezione da parte degli organi di governo di ciascuna di esse; favorire la<br />
creazione di un quadro unitario delle politiche contrattuali seguite nei<br />
diversi comparti (v. infra, cap. III, par. 12).<br />
2.3. Il sindacato come associazione non riconosciuta.<br />
La prima conseguenza della mancata attuazione dell’art. 39 Cost., seconda<br />
parte, è che gli attuali sindacati, costituitisi sulla base del principio di<br />
libertà sindacale, non hanno potuto ottenere la personalità giuridica, né lo<br />
potranno fino a che la seconda parte dell’art. 39 Cost. non verrà attuata o<br />
abrogata. Allo stato attuale, le associazioni sindacali non possono attivare i<br />
mezzi di riconoscimento ordinario previsti dall’art. 12 del codice civile.<br />
E ciò poiché il legislatore costituzionale ha tipizzato le modalità di<br />
attribuzione della personalità giuridica alle associazioni sindacali,<br />
assoggettandole ad una disciplina peculiare, contenuta, appunto, nella<br />
seconda parte dell’art. 39 Cost.<br />
Negli anni ’50 del secolo scorso la Confcommercio – così come l’Unione<br />
alimentare – tentò di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica<br />
attraverso il meccanismo previsto dall’art. 12 c.c.: giustamente, in quel<br />
caso, il riconoscimento fu condizionato all’eliminazione della finalità<br />
sindacale dallo statuto dell’associazione.<br />
La mancata attuazione dell’art. 39 Cost., si riconnette, peraltro, ad una<br />
precisa opzione del sindacato, volta ad assicurarsi l’immunità da indebite<br />
interferenze dell’ordinamento statuale.<br />
29<br />
Il sindacato<br />
come<br />
associazione<br />
non<br />
riconosciuta<br />
ex art. 36 ss.<br />
c.c.
E, comunque, il mancato riconoscimento come persona giuridica non<br />
implica che l’associazione sindacale non possa essere considerata come<br />
soggetto di diritto distinto ed autonomo rispetto ai singoli soci.<br />
Le attuali associazioni sindacali sono da qualificare come associazioni non<br />
riconosciute, come persone giuridiche, assoggettate alla disciplina degli<br />
artt. 36, 37, 38 del codice civile.<br />
Il problema della soggettività giuridica delle associazioni non riconosciute<br />
come persone giuridiche è un problema di carattere generale e non<br />
concerne specificamente il diritto del lavoro. Prima del codice del 1942,<br />
l’ordinamento riconosceva come soggetti di diritto, vale a dire come<br />
centro di imputazione di effetti giuridici, solo le persone fisiche e le<br />
persone giuridiche. L’opinione venne mantenuta per un certo periodo di<br />
tempo anche dopo l’emanazione del codice, senza considerare attentamente<br />
la disciplina dell’associazione non riconosciuta, contenuta negli artt. 36-38<br />
c.c.<br />
Sennonché, una più moderna corrente di pensiero ha messo in evidenza la<br />
falsità dell’equazione: soggetto di diritto = persona giuridica.<br />
Si considerino in particolare la norma sulla capacità di stare in giudizio<br />
(art. 36) dell’associazione non riconosciuta e quella sul fondo comune (art.<br />
38). La prima prevede che “dette associazioni possono stare in giudizio<br />
nella persona di coloro ai quali (...) è conferita la presidenza o la<br />
direzione”. La seconda che “per le obbligazioni assunte dalle persone che<br />
rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul<br />
fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e<br />
solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto<br />
dell’associazione”.<br />
Dunque, non solo le associazioni non riconosciute hanno capacità di stare<br />
in giudizio, ma delle obbligazioni assunte risponde l’associazione stessa<br />
30<br />
La<br />
soggettività<br />
delle<br />
associazioni<br />
non<br />
riconosciute e<br />
del sindacato<br />
in particolare<br />
La capacità a<br />
stare in<br />
giudizio e la<br />
autonomia<br />
patrimoniale<br />
(“imperfetta”)
con il fondo comune, oltreché personalmente e solidalmente coloro che<br />
hanno agito in nome e per conto dell’associazione.<br />
Dal che si desume che anche le associazioni non riconosciute come persone<br />
giuridiche hanno soggettività distinta ed autonoma rispetto ai soggetti che<br />
ne fanno parte. In realtà la personalità giuridica è solo il mezzo tecnico<br />
mediante il quale la legge conferisce certe prerogative ai gruppi organizzati<br />
secondo il metodo collegiale ed il principio di maggioranza per la<br />
formazione della volontà del gruppo: prerogative riassumibili<br />
nell’autonomia patrimoniale perfetta. E ciò, mentre nel caso delle<br />
associazioni non riconosciute come persona giuridica, l’autonomia<br />
patrimoniale è imperfetta, poiché per le obbligazioni assunte vi è<br />
responsabilità, non solo dell’associazione attraverso il patrimonio sociale,<br />
ma anche dei soggetti che hanno agito in nome e per conto<br />
dell’associazione.<br />
***<br />
La disciplina dell’associazione non riconosciuta è, invero, più attenta a<br />
tutelare la posizione dei terzi che entrano in contatto con l’associazione<br />
stessa (cfr., appunto, l’art. 38 c.c.) che a tutelare la posizione dei membri<br />
all’interno dell’associazione. A tale riguardo, è stata dettata solo una norma<br />
molto scarna, vale a dire l’art. 36, 1° co., c.c., secondo cui “l’ordinamento e<br />
l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone<br />
giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati”, cioè, essenzialmente,<br />
dall’atto costitutivo e dallo statuto.<br />
Ciò si può spiegare storicamente tenendo conto che, quando il legislatore<br />
del codice dettava le norme relative alle associazioni non riconosciute, non<br />
pensava a fenomeni complessi come i partiti politici ed i sindacati (si tenga<br />
conto che il codice civile è stato adottato nel periodo corporativo quando<br />
ancora i sindacati erano dotati di personalità giuridica).<br />
31<br />
La tutela dei<br />
soci<br />
all’interno<br />
delle<br />
associazioni
A partire dagli anni ’70 del secolo scorso una linea di pensiero, muovendo<br />
soprattutto dalla valorizzazione dell’art. 2 Cost., ha affermato<br />
l’applicabilità in via analogica (qualora cioè mancasse una diversa<br />
regolamentazione espressa nell’atto costitutivo o nello statuto) o addirittura<br />
in via diretta (e, dunque, anche se vi fosse una diversa regolamentazione<br />
espressa nell’atto costitutivo o nello statuto) di alcune norme dettate dal<br />
codice civile per le associazioni riconosciute come persone giuridiche, che<br />
non siano connesse con la presenza della personalità giuridica.<br />
Una di queste norme riguarda, in particolare, l’esclusione dell’associato<br />
che, in base all’art. 24 c.c., è deliberata dall’assemblea solo in presenza di<br />
“gravi motivi”, ovviamente sempre sindacabili dal giudice.<br />
Dunque, nel caso, ad es., di espulsione dal sindacato, il giudice potrebbe<br />
sindacare la sussistenza dei gravi motivi posti alla base del provvedimento;<br />
e ciò indipendentemente dalle previsioni dell’atto costitutivo o dello<br />
statuto.<br />
Si tratta di tesi certamente suggestiva, priva però di significativi riscontri<br />
giurisprudenziali e grandemente controversa. E’ stata anche argomentata in<br />
maniera incisiva (sia da civilisti, sia da giuslavoristi) la tesi contraria:<br />
l’immunità del sindacato (e in generale dell’associazione non riconosciuta)<br />
da simili forme di controllo sarebbe, tutto al contrario, perfettamente<br />
rispondente ai principi vuoi di libertà di associazione (art. 18 Cost.), vuoi di<br />
libertà di organizzazione sindacale (art. 39 Cost.).<br />
Si è più volte ricordato che l’associazione non esaurisce il fenomeno<br />
sindacale, che può esprimersi in forme organizzative non basate sul<br />
principio associativo (si pensi alle coalizioni spontanee). Non rispondendo<br />
al modulo associativo, tali forme di organizzazione sindacale dovranno<br />
32<br />
Le forme di<br />
organizzazione<br />
sindacale non<br />
costituenti<br />
associazione
trovare disciplina nelle altre forme organizzatorie previste dal diritto<br />
privato. In particolare, è stata evocata la figura del comitato (art. 39 c.c.) o,<br />
in modo più pertinente, la figura del mandato collettivo (G. Giugni).<br />
2.4. Il sindacato maggiormente rappresentativo.<br />
Il fatto che il legislatore ordinario non abbia mai dato piena attuazione<br />
all’art. 39 Cost. non significa che non abbia mai preso in considerazione le<br />
associazioni sindacali e la loro attività tipica (a cominciare dalla<br />
contrattazione collettiva). Nella legislazione ordinaria si trovano molte<br />
disposizioni che si occupano del sindacato e della attività sindacale; solo<br />
che esse se ne occupano, non per regolare il sindacato e la sua attività, ma<br />
per promuovere la presenza del sindacato in differenti contesti.<br />
Dapprima è stata prevista la partecipazione del sindacato ad istituzioni<br />
pubbliche (sia con ruoli prettamente consultivi, come avviene nel CNEL,<br />
sia con funzioni cogestive, come avviene per gli enti previdenziali).<br />
In un secondo tempo, l’intervento del legislatore è stato caratterizzato,<br />
soprattutto in seguito all’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, da<br />
finalità di sostegno e promozione della presenza del sindacato nei<br />
luoghi di lavoro.<br />
L’art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (il cd. Statuto dei lavoratori)<br />
prevede la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (RSA)<br />
all’interno delle unità produttive (per la nozione, cfr. art. 35 St. lav.), cui<br />
sono attribuite una serie di diritti e prerogative: il diritto di convocare<br />
l’assemblea dei lavoratori (art. 20 St. lav.), di indire il referendum fra i<br />
medesimi (art. 21 St. lav.), di avere locali per le proprie riunioni (art. 27 St.<br />
lav.), di avere una bacheca, all’interno dei locali di lavoro, per affiggere i<br />
33<br />
Il sostegno<br />
della<br />
presenza del<br />
sindacato nei<br />
luoghi di<br />
lavoro
comunicati sindacali (art. 25 St. lav.), di avere permessi retribuiti e no per<br />
lo svolgimento del proprio incarico sindacale (artt. 23 e 24 St. lav.).<br />
Nello Statuto dei lavoratori ci si muove in una prospettiva diversa rispetto a<br />
quella dell’art. 39 Cost.: l’art. 39 prende in considerazione il sindacato per<br />
regolarlo e regolarne la attività (in particolare la contrattazione collettiva).<br />
Il legislatore del 1970 prende in considerazione il sindacato per sostenerne<br />
la presenza all’interno dei luoghi di lavoro. Si tratta di piani differenti di<br />
intervento legislativo.<br />
Originariamente, nella legislazione ordinaria si faceva riferimento ai<br />
“sindacati più importanti” (cfr. l. 5 gennaio 1957, n. 33); successivamente<br />
si è cominciato ad utilizzare la nozione di sindacato maggiormente<br />
rappresentativo.<br />
Ciò è avvenuto anche nello Statuto dei lavoratori per quanto riguarda la<br />
costituzione delle RSA. L’art. 19 St. lav., nella versione originaria del<br />
1970 – poi modificata da un referendum abrogativo nel 1995 (v. infra) –<br />
disponeva che RSA potessero essere costituite, ad iniziativa dei lavoratori,<br />
in ogni unità produttiva, nell’ambito:<br />
“a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente<br />
rappresentative sul piano nazionale;<br />
b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni,<br />
… firmatarie di contratti collettivi, nazionali o provinciali di lavoro,<br />
applicati nell’unità produttiva”.<br />
Ebbene, la maggior rappresentatività, qui della confederazione, costituisce<br />
requisito per l’attribuzione di particolari prerogative al sindacato:<br />
precisamente, nel caso dell’art. 19 St. lav., la possibilità di avere<br />
rappresentanze aziendali dotate di particolari diritti.<br />
La legislazione che adotta il criterio selettivo della maggiore<br />
rappresentatività pone – ed in effetti ha posto – due ordini di problemi: i)<br />
34<br />
L’emersione<br />
della nozione<br />
di sindacato<br />
maggiormente<br />
rappresentativo
un problema di ordine interpretativo, essendo necessario stabilire l’esatto<br />
significato della nozione “sindacato maggiormente rappresentativo”; ii) un<br />
problema di legittimità costituzionale in relazione al combinato disposto<br />
degli artt. 3 e 39 Cost., a causa del trattamento differenziato riservato ad<br />
alcuni sindacati (quelli maggiormente rappresentativi) rispetto agli altri.<br />
***<br />
Per quanto concerne la nozione di sindacato maggiormente<br />
rappresentativo, il problema sorge perché il legislatore italiano, a<br />
differenza di altri, che pure vi fanno riferimento, non indica i criteri per<br />
accertare la rappresentatività sindacale. Essi sono, dunque, frutto della<br />
elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.<br />
Il primo criterio è quello quantitativo (numero degli iscritti). Ma oltre al<br />
criterio quantitativo si fa riferimento anche a criteri di tipo qualitativo:<br />
ampiezza e diffusione delle strutture organizzative del sindacato, esercizio<br />
dell’attività di autotutela, consistente nell’effettiva partecipazione alla<br />
stipulazione dei contratti collettivi (v. infra), nonché nella partecipazione<br />
alla trattazione e risoluzione delle controversie individuali e collettive di<br />
lavoro.<br />
I criteri qualitativi, in aggiunta a quello quantitativo rappresentato dal<br />
numero degli iscritti, si spiegano perché danno rilievo alla anzianità di<br />
impianto e, dunque, alla serietà del sindacato.<br />
E’ da segnalare l’enfasi posta sull’effettività della partecipazione alla<br />
stipulazione dei contratti collettivi: essa si spiega con il fatto che spesso il<br />
contratto collettivo viene stipulato da alcuni sindacati, mentre altri sindacati<br />
si limitano a sottoscriverlo per adesione. Ebbene, l’accreditamento, cioè il<br />
riconoscimento come effettiva controparte contrattuale da parte del datore<br />
di lavoro o dell’associazione dei datori di lavoro non può che essere<br />
considerato un importante indice di rappresentatività del sindacato.<br />
35<br />
Maggior rappresentatività
Nell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, poiché il requisito della maggior<br />
rappresentatività era riferito, non al sindacato nel cui ambito si poteva<br />
costituire la RSA, ma alla confederazione sindacale cui esso aderiva, si<br />
aggiungeva un ulteriore criterio: quello cioè della equilibrata consistenza<br />
associativa nell’ambito di tutte le categorie che, per statuto, la<br />
confederazione è chiamata a rappresentare. In sostanza, la confederazione,<br />
in tanto può dirsi maggiormente rappresentativa, in quanto il numero dei<br />
suoi iscritti sia diffuso in modo equilibrato nell’ambito di tutte le<br />
associazioni che ne fanno parte.<br />
Da questo punto di vista, qualcuno ha parlato di rappresentatività presunta<br />
o per irradiamento delle associazioni sindacali di categoria. Se, cioè, la<br />
confederazione è maggiormente rappresentativa, si presume che lo siano<br />
anche le singole associazioni che ad essa aderiscono. Le confederazioni<br />
“irradiano” quindi la loro (maggior) rappresentatività sulle singole<br />
associazioni.<br />
***<br />
Quanto ai problemi di legittimità costituzionale derivanti dall’uso del<br />
criterio selettivo della maggior rappresentatività, l’art. 19 St. lav. ha<br />
rappresentato l’occasione per alcune storiche puntualizzazioni ad opera<br />
della Corte costituzionale.<br />
I dubbi di legittimità costituzionale sono stati avanzati, anzitutto, in<br />
relazione al principio di libertà sindacale (art. 39 Cost.) e al principio di<br />
eguaglianza (art. 3 Cost.). La Corte costituzionale ha respinto le eccezioni<br />
di illegittimità costituzionale con una fondamentale sentenza del 1974<br />
(cfr. Corte cost. 6 marzo 1974, n. 54).<br />
In primo luogo, non vi sarebbe lesione del principio di libertà sindacale, in<br />
relazione all’art. 39, 1° co. e all’art. 3 Cost. giacché anche associazioni<br />
sindacali diverse da quelle previste dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori<br />
36<br />
Gli indici<br />
della maggior<br />
rappresentatività<br />
in caso<br />
di confederazionesindacale<br />
Le questioni di<br />
legittimità<br />
costituzionale<br />
in relazione<br />
agli artt. 3 e 39,<br />
1° co., Cost.
possono costituire rappresentanze sindacali all’interno dei luoghi di lavoro<br />
(ex artt. 39 Cost. e 14 St. lav.).<br />
Ma il punto è che queste rappresentanze sindacali non sarebbero titolari dei<br />
diritti previsti dalla legislazione di sostegno; e, secondo i giudici remittenti,<br />
sarebbe stato in tal modo compromesso il principio di eguaglianza. La<br />
Corte costituzionale non ha dato credito a questa tesi, ricordando che il<br />
principio di uguaglianza non è da intendere in senso automaticamente<br />
livellatore: esso implica unicamente che a situazioni uguali deve<br />
corrispondere un trattamento uguale, mentre a situazioni diverse può<br />
corrispondere un trattamento differenziato, purché tale differenziazione<br />
risponda a criteri di ragionevolezza. Ebbene, la Corte ha ritenuto che la<br />
differenziazione di trattamento introdotta dallo Statuto dei lavoratori<br />
risponda a criteri di ragionevolezza, poiché il criterio di rappresentatività in<br />
concreto è a garanzia dell’effettività dell’azione sindacale all’interno<br />
dell’azienda. I sindacati individuati dall’art. 19 St. lav. sarebbero i garanti<br />
dell’esercizio effettivo e responsabile dei diritti sindacali previsti dal Titolo<br />
III. E ciò anche al fine di evitare di compromettere la funzionalità<br />
dell’impresa (attraverso la concessione indiscriminata, “a un numero<br />
imprevedibile di organismi, ciascuno rappresentante pochi lavoratori”, se<br />
non, addirittura, ad organismi di “comodo”, di diritti sindacali che<br />
comportano significativi oneri sul datore di lavoro).<br />
Successivamente, con sentenza 24 marzo 1988, n. 334, la Corte<br />
costituzionale è stata chiamata ad esprimersi sulla legittimità dello stesso art.<br />
19 sotto altri profili.<br />
Poiché il requisito della maggiore rappresentatività (menzionato nell’art.<br />
19, lett. a)) era riferito alle confederazioni sindacali, ne sarebbe scaturita,<br />
secondo i giudici remittenti, la violazione dell’ultimo comma dell’art. 39<br />
Cost.<br />
37<br />
… e in<br />
relazione<br />
all’art. 39, 4°<br />
co., Cost.
Secondo tale prospettazione, nella norma costituzionale ad assumere rilievo<br />
centrale sarebbe il sindacato di categoria e non la confederazione sindacale:<br />
infatti nel 4° comma dell’art. 39 Cost. si fa riferimento al sindacato ed al<br />
contratto collettivo di categoria.<br />
L’eccezione di incostituzionalità è stata respinta dalla Corte costituzionale<br />
sul rilievo che il riferimento all’associazione sindacale di categoria, di cui<br />
all’art. 39, 4° co., Cost., è funzionale alla contrattazione collettiva, mentre<br />
l’art. 19 St. lav. inerisce alla rappresentanza e all’attività sindacale e non<br />
alla contrattazione collettiva in azienda. In buona sostanza, non c’è un<br />
problema di contrasto con la norma costituzionale, in quanto le materie<br />
regolate nell’art. 19 St. lav. e nell’art. 39, co. 4°, Cost. sono diverse. La<br />
norma costituzionale attiene alla contrattazione collettiva, mentre con lo<br />
Statuto dei lavoratori ed, in particolare, con il suo art. 19, il legislatore non<br />
si propone affatto di regolare la contrattazione collettiva.<br />
Nel 1995, a seguito di referendum popolare, sono state abrogate (v. d.p.r.<br />
28 luglio 1995, n. 312) la lett. a) e parte della lett. b) dell’art. 19.<br />
Come si ricorderà, il primo periodo della lett. a) consentiva di costituire<br />
RSA “nell’ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni<br />
maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. I sindacati autonomi<br />
(non aderenti alle confederazioni considerate sicuramente maggiormente<br />
rappresentative, vale a dire CGIL, CISL e UIL) erano nondimeno in grado<br />
di costituire RSA, sulla base della lett. b), purché fossero firmatari “di<br />
contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità<br />
produttiva”. Secondo tale criterio, il sindacato che avesse avuto rilevanza<br />
meramente aziendale risultava perciò escluso dalla possibilità di costituire<br />
RSA.<br />
Con il referendum del ’95, venendo abrogata la lett. a) dell’art. 19,<br />
scompare il concetto di rappresentatività presunta (o per irradiazione).<br />
38<br />
Il nuovo testo<br />
dell’art. 19<br />
St. lav.
D’altro canto, venendo soppressa l’espressione “nazionali o provinciali”<br />
contenuta nella lettera b), ogni sindacato che sia firmatario di un<br />
contratto collettivo, anche solo aziendale, può costituire RSA ai sensi<br />
dell’art. 19.<br />
Viene così data rilevanza alla rappresentatività effettiva, al fatto cioè di<br />
essere firmatari di un contratto collettivo.<br />
In dottrina, la novità non è stata accolta da tutti con favore. Si è infatti<br />
sostenuto che la nuova formulazione della norma, scaturente dal<br />
referendum abrogativo, subordini oggi la costituzione di RSA al potere di<br />
accreditamento da parte dei datori di lavoro, in violazione dell’art. 39, 1°<br />
co., Cost. Il datore potrebbe infatti escludere un sindacato dalle trattative,<br />
dunque, dalla possibilità di stipulare un contratto collettivo ed impedire<br />
così la costituzione di RSA ex art. 19 St. lav.<br />
La questione è stata portata davanti alla Corte costituzionale, che ha<br />
respinto siffatta eccezione di illegittimità con la sentenza 12 luglio 1996, n.<br />
244. La sentenza ha costituito l’occasione per importanti indicazioni<br />
interpretative. La Corte ha puntualizzato, infatti, che, non è sufficiente il<br />
dato formale dell’apposizione di una “firma” al contratto collettivo per<br />
essere considerati sindacato “firmatario” ex art. 19 St. lav., ma è<br />
necessaria un’effettiva partecipazione alla stipulazione del contratto (questo<br />
è il vero significato, secondo dottrina e giurisprudenza, dell’espressione<br />
“firmatari”). Neppure è sufficiente la stipulazione di un contratto collettivo<br />
qualsiasi: è necessario che il contratto sia un contratto normativo, “che<br />
regola in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un<br />
istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello<br />
aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa<br />
unità produttiva”. La Corte sottolinea che l’art. 19 “valorizza l’effettività<br />
dell’azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla formazione della<br />
39<br />
Questioni di<br />
illegittimità<br />
costituzionale<br />
Il significato<br />
di firmatari…<br />
… di contratto<br />
collettivo
normativa contrattuale collettiva” (sent. n. 492 del 1995) quale indicatore<br />
di rappresentatività già apprezzato dalla sent. n. 54 del 1974 come “non<br />
attribuibile arbitrariamente o artificialmente, ma sempre direttamente<br />
conseguibile e realizzabile da ogni associazione sindacale in base a propri<br />
atti concreti e oggettivamente accertabili dal giudice”. E continua<br />
osservando: “respinto dalla volontà popolare il principio della<br />
rappresentatività presunta sotteso all’abrogata lett. a), l’avere tenuto fermo,<br />
come unico indice giuridicamente rilevante di rappresentatività effettiva, il<br />
criterio della lett. b), esteso però all’intera gamma della contrattazione<br />
collettiva, si giustifica, in linea storico-sociologica e quindi di razionalità<br />
pratica, per la corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione<br />
della forza di un sindacato, e di riflesso della sua rappresentatività,<br />
tipicamente proprio dell’ordinamento sindacale.<br />
Così interpretata, in conformità della sua ratio, la norma impugnata non<br />
contrasta con nessuno dei parametri costituzionali richiamati. Non viola<br />
l’art. 39 Cost. perché le norme di sostegno dell’azione sindacale nelle unità<br />
produttive, in quanto sopravanzavano la garanzia costituzionale della<br />
libertà sindacale, ben possono essere riservate a certi sindacati identificati<br />
mediante criteri scelti discrezionalmente nei limiti della razionalità; non<br />
viola l’art. 3 Cost. perché, una volta riconosciuto il potere discrezionale del<br />
legislatore di selezionare i beneficiari di quelle norme, le associazioni<br />
sindacali rappresentate nelle aziende vengono differenziate in base a<br />
(ragionevoli) criteri prestabiliti dalla legge, di guisa che la possibilità di<br />
dimostrare la propria rappresentatività per altre vie diventa irrilevante ai<br />
fini del principio di eguaglianza”.<br />
Come si è detto, al concetto di rappresentatività presunta (contenuto nella<br />
lett. a) dell’art. 19, ora abrogata, ove si faceva riferimento al sindacato<br />
maggiormente rappresentativo) si sostituisce un criterio di rappresentatività<br />
40<br />
Il sindacato<br />
meramente<br />
aziendale
effettiva; e il sindacato meramente aziendale è oggi considerato<br />
diversamente dal passato, perché, se è in grado di stipulare un contratto<br />
collettivo applicato nell’azienda, è legittimato a “costituire” rappresentanze<br />
sindacali aziendali.<br />
2.5. Il sindacato comparativamente più rappresentativo.<br />
A partire dalla seconda metà degli anni ’90, il legislatore ha preso a<br />
sostituire alla formula sindacato maggiormente rappresentativo quella di<br />
sindacato comparativo più rappresentativo. La formula ambigua di<br />
sindacato comparativamente più rappresentativo, utilizzata come si è<br />
detto, nei più recenti provvedimenti legislativi, da taluno è considerata<br />
equivalente a quella di “sindacato maggiormente rappresentativo”,<br />
sostituita poiché ritenuta delegittimata dal referendum del 1995.<br />
Autorevole dottrina contesta, tuttavia, questo orientamento, in quanto il<br />
referendum del 1995 non ha delegittimato il criterio della maggiore<br />
rappresentatività, ma solo una certa utilizzazione dello stesso: quella di cui<br />
alla lett. a) dell’art. 19 St. lav. (la maggior rappresentatività per<br />
irradiamento o presunta).<br />
La formula “sindacato comparativamente più rappresentativo”, è stata<br />
utilizzata, per la prima volta, in relazione alla nozione di retribuzione<br />
imponibile a fini previdenziali, nella legge 28 dicembre 1995, n. 549. Ai<br />
sensi della legge 7 dicembre 1989, n. 389, i contributi previdenziali, che<br />
devono essere versati dal datore di lavoro all’INPS, vanno calcolati sulla<br />
retribuzione dovuta, anche quando la stessa non sia stata effettivamente<br />
versata. Occorre perciò determinare l’importo della retribuzione dovuta. Ed<br />
a tal fine il legislatore indica, appunto, come base per il computo dei<br />
41<br />
La formula<br />
“sindacato<br />
comparativamente<br />
più<br />
rappresentativo”:<br />
funzioni<br />
e significato
contributi previdenziali, la retribuzione prevista dai contratti collettivi<br />
stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.<br />
Quello che si voleva ottenere con questa nuova formula era di sconfiggere<br />
la prassi dei cd. “contratti pirata”, volti a fissare retribuzioni sensibilmente<br />
inferiori rispetto a quelle stipulate dai sindacati tradizionali. Si trattava di<br />
contratti collettivi stipulati da sindacati minori dei lavoratori e dei datori di<br />
lavoro, in certe zone del Paese.<br />
La formula del sindacato “comparativamente più rappresentativo” nasce<br />
dunque con finalità diverse rispetto a quelle perseguite dal criterio della<br />
maggiore rappresentatività; perciò, essa non è necessariamente “in<br />
opposizione” ed in collisione logica con quest’ultima, essendo stata<br />
prevista dal legislatore per risolvere un problema diverso, ossia quello<br />
dell’eventuale compresenza di più contratti collettivi.<br />
A partire dal 1995 sono stati numerosi i casi in cui il legislatore ha<br />
utilizzato il criterio della maggior rappresentatività comparata. Ciò è quasi<br />
sempre avvenuto a fronte di ipotesi di cd. rinvio legale alla contrattazione<br />
collettiva, ossia nei casi in cui il legislatore ha demandato ai contratti<br />
collettivi il compito di regolare determinati profili di una materia. Ad<br />
esempio, quando, nel 1997, è stato introdotto il cd. lavoro interinale, il<br />
legislatore ha rinviato alla contrattazione collettiva per la determinazione<br />
delle fattispecie in cui la stipulazione di tali contratti poteva ritenersi<br />
ammessa; in questo caso, di fronte alla possibile stipulazione di una<br />
pluralità di contratti collettivi, la legge n. 24 giugno 1997, n. 196, ha voluto<br />
attribuire ad un solo contratto collettivo (quello concluso dalle associazioni<br />
sindacali comparativamente più rappresentative) l’idoneità ad attuare il<br />
rinvio legale.<br />
Con l’entrata in vigore del d. lgs. n. 276/2003, il criterio della<br />
rappresentatività comparata è stato utilizzato in maniera ancora più diffusa,<br />
42
essendo numerosi i rinvii operati dal legislatore del 2003 alla contrattazione<br />
collettiva. In verità, la nozione di “sindacato comparativamente più<br />
rappresentativo” viene usata nel d. lgs. n. 276/2003 in modo ambivalente:<br />
ora come criterio di selezione tra una possibile pluralità di contratti<br />
collettivi (al fine di individuare l’unico applicabile), ora come criterio di<br />
legittimazione soggettiva delle diverse associazioni sindacali. Quest’ultima<br />
ipotesi si verifica, ad esempio, nell’art. 86, 13° co.: si tratta di una sorta di<br />
norma-annuncio, attraverso la quale si prevede che il Ministro del lavoro<br />
convochi, entro cinque giorni dall’entrata in vigore del decreto, le<br />
associazioni sindacali “comparativamente più rappresentative”, al fine di<br />
verificare la possibilità di demandare ad accordi interconfederali<br />
l’attuazione di alcune parti del decreto legislativo. Nel caso della norma<br />
citata, il criterio selettivo non è calibrato sulla comparazione tra contratti<br />
collettivi, al fine di stabilire quale tra essi sia espressione di sindacati più<br />
rappresentativi, bensì opera come criterio di legittimazione soggettiva delle<br />
associazioni sindacali a cui viene attribuita una patente di interlocutore<br />
qualificato dei pubblici poteri.<br />
Aumenta l’ambiguità (o plurivalenza) del concetto – anche quando esso<br />
appaia criterio di selezione della disciplina contrattuale applicabile – con la<br />
sostituzione, avvenuta a partire dal d.lgs n. 276/2003, della formula<br />
“contratti stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più<br />
rappresentative”, con la formula “contratti collettivi stipulati da<br />
associazioni sindacali comparativamente più rappresentative”.<br />
Il legislatore – attraverso la sostituzione della preposizione articolata<br />
“dalle” con la preposizione semplice “da” – vuole sottolineare che, al fine<br />
di integrare il precetto legale, là dove vi sia rinvio alla contrattazione<br />
collettiva, non è necessario il consenso unanime di tutte le associazioni<br />
sindacali “comparativamente più rappresentative”: è chiaro, in questo caso,<br />
43
che la locuzione non assume un significato dissimile da sindacati<br />
maggiormente rappresentativi.<br />
2.6. Costituzione e struttura delle RSA.<br />
Le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) sono titolari dei diritti di cui al<br />
titolo III dello Statuto dei lavoratori. Certamente, possono costituirsi anche<br />
rappresentanze sindacali che non presentano i requisiti fissati dall’art. 19 (e<br />
ciò in forza vuoi dell’art. 39, 1° co., Cost., vuoi dell’art. 14 St. lav.): esse<br />
però non godono dei diritti riconosciuti dal titolo III dello Statuto dei<br />
lavoratori.<br />
In base all’art. 19, RSA possono essere costituite ad iniziativa dei<br />
lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito di determinate associazioni<br />
sindacali (oggi, come si è visto, nell’ambito di associazioni sindacali che<br />
siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità<br />
produttiva). La legge, dunque, non definisce la struttura della RSA. Si<br />
limita a porre due requisiti minimali per la costituzione di RSA, indicati<br />
dall’art.19 St. lav.: i) da una parte, l’iniziativa dei lavoratori; ii) dall’altra,<br />
la riconducibilità ai “sindacati firmatari di contratti collettivi applicati<br />
nell’unità produttiva”.<br />
Si deve porre in evidenza che si tratta di requisiti minimali: l’iniziativa dei<br />
lavoratori può manifestarsi in qualsiasi modo ed anche il collegamento tra<br />
le RSA e le associazioni sindacali è definito in termini molto flessibili,<br />
attraverso l’ampia espressione “nell’ambito”.<br />
La formula della rappresentanza sindacale aziendale di cui all’art. 19 St.<br />
lav. è così idonea ad ospitare le più svariate forme organizzative, purché<br />
ricorrano detti requisiti.<br />
44<br />
Requisiti<br />
minimali per<br />
la<br />
costituzione<br />
di r.s.a.
Esaminiamo in primis il requisito della iniziativa dei lavoratori. Nel testo<br />
originario del disegno di legge che sarebbe poi divenuto lo Statuto dei<br />
lavoratori questa precisazione non compariva. In effetti il (futuro)<br />
legislatore visualizzava essenzialmente la figura della sezione sindacale<br />
aziendale: la forma di rappresentanza, a livello aziendale, dei lavoratori<br />
iscritti al sindacato, sperimentata negli anni ‘60 del secolo scorso dalla<br />
CISL. Tuttavia, durante l’iter parlamentare di approvazione della legge,<br />
cadde quel periodo storico culminato nel cd. “autunno caldo”: periodo di<br />
grande contestazione, rivolta anche verso i sindacati tradizionali,<br />
considerati troppo burocratizzati e lontani dalla “base” dei lavoratori<br />
rappresentati.<br />
Nacque in quel periodo, in contestazione non solo dei poteri del datore di<br />
lavoro ma anche dell’operato dei sindacati tradizionali, il movimento dei<br />
delegati, forma di rappresentanza spontaneistica dei lavoratori appartenenti<br />
ad un “gruppo omogeneo” (reparto, linea, ufficio, ecc.). Essi erano eletti da<br />
tutti gli appartenenti al gruppo omogeneo, iscritti e non iscritti al sindacato<br />
e, a loro volta, potevano essere iscritti o non iscritti allo stesso. L’insieme<br />
dei delegati costituiva il cd. consiglio di fabbrica, che spesso si poneva<br />
come interlocutore diretto del datore di lavoro, scavalcando le stesse<br />
associazioni sindacali.<br />
Proprio in quel periodo era, come si è detto, in via di approvazione lo<br />
Statuto dei lavoratori: il legislatore ebbe la preoccupazione che, nel<br />
momento della sua approvazione, lo Statuto fosse già superato nei fatti. Di<br />
qui la modifica inserita nell’originario testo di quello che sarebbe divenuto<br />
l’art. 19 St. lav., con l’aggiunta dell’espressione “ad iniziativa dei<br />
lavoratori…”; e ciò per indicare che le RSA avrebbero dovuto avere<br />
un’investitura da parte dei lavoratori, da parte, cioè, della “base”.<br />
45<br />
Iniziativa dei<br />
lavoratori<br />
I delegati e i<br />
consigli di<br />
fabbrica
Negli anni successivi all’emanazione dello Statuto dei lavoratori v’è stata<br />
una progressiva svalutazione di questo requisito, fino a ritenersi sufficiente<br />
una generica intesa tra lavoratori, o gruppi di essi, e le associazioni<br />
sindacali al fine di giungere alla costituzione delle RSA. Questo requisito<br />
(l’iniziativa dei lavoratori), si è osservato, non implica necessariamente una<br />
modalità elettiva di formazione delle RSA: atteso il suo carattere elastico, è<br />
sufficiente che la formazione della RSA sia in qualche modo riferibile alla<br />
volontà dei lavoratori appartenenti alla unità produttiva.<br />
Come detto, il movimento dei delegati e dei consigli di fabbrica nacque<br />
sull’onda della contestazione, non solo dei rapporti di produzione e dei<br />
poteri del datore di lavoro all’interno dell’impresa, ma anche dell’operato<br />
dei sindacati tradizionali: dunque originariamente, non solo al di fuori, ma<br />
anche “contro” il sindacato.<br />
L’art. 19 dello Statuto dei lavoratori consentì, in un certo senso, il recupero<br />
e il riassorbimento di tali forme organizzative da parte delle associazioni<br />
sindacali tradizionali, dal momento che esse, solo se avessero avuto un<br />
collegamento con associazioni sindacali, e con associazioni sindacali<br />
qualificate, potevano essere considerate RSA ex art. 19 St. lav. e godere dei<br />
diritti e delle prerogative di cui al tit. III dello Statuto dei lavoratori.<br />
Nel 1972, CGIL, CISL e UIL stipularono il cd. “patto federativo”, un<br />
accordo per giungere ad una sostanziale unità di azione, che avrebbe<br />
dovuto essere addirittura prodromico all’unità organica (cui, come noto,<br />
non si è mai arrivati). Con esso gli stipulanti riconobbero i consigli di<br />
fabbrica come proprie strutture organizzative di base all’interno dei luoghi<br />
di lavoro. Stante la genericità del requisito del collegamento con i sindacati<br />
posto dall’art. 19 St. lav., il riconoscimento fu sufficiente a far considerare<br />
tali organismi elettivi (consigli di fabbrica) quali RSA ai sensi della norma<br />
statutaria.<br />
46
Per lungo tempo, i consigli di fabbrica hanno costituito l’unica forma di<br />
rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda.<br />
Tale situazione si è però modificata con la rottura, nel 1984, dell’unità tra i<br />
sindacati tradizionali (determinata da posizioni diverse, anzi antitetiche, di<br />
CGIL, da una parte, e CISL e UIL dall’altra, per quanto attiene alle vicende<br />
della indennità di contingenza). Si è assistito così alla rottura dell’unità dei<br />
consigli di fabbrica e, talora, alla costituzione di separate RSA ai sensi<br />
dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori. Nello stesso tempo si sono<br />
presentati sulla scena sindacati non riconducibili a quelli tradizionali (ad<br />
es., in quel periodo, il sindacato dei quadri intermedi) che pretendevano di<br />
costituire proprie RSA. Ne è conseguita una situazione di frammentazione<br />
delle rappresentanze sindacali, anche a livello aziendale.<br />
Il consiglio di fabbrica come organismo tendenzialmente unitario di<br />
rappresentanza dei lavoratori dunque venne meno, sia perché era venuta<br />
meno l’unità di azione dei sindacati storici, sia perché alcuni gruppi di<br />
lavoratori non si riconoscevano più nelle medesime associazioni sindacali.<br />
Cominciò così un tentativo da parte dei sindacati tradizionali di modificare<br />
e ridefinire le forme delle RSA.<br />
2.7. Le RSU.<br />
Uno di questi tentativi ha avuto esito positivo, traducendosi in una<br />
regolamentazione contrattuale delle rappresentanze sindacali aziendali, che<br />
è quella attualmente vigente: si tratta del Protocollo del 23 luglio 1993 e<br />
dell’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 (stipulati da CGIL,<br />
CISL e UIL, da una parte, e Confindustria e le altre principali<br />
confederazioni datoriali, dall’altra).<br />
47
Con questi accordi viene prevista la costituzione di rappresentanze<br />
sindacali unitarie (RSU), organi elettivi e, nelle intenzioni, rappresentativi<br />
dei lavoratori di una determinata impresa.<br />
La RSU è composta per 2/3 da membri eletti dai lavoratori sulla base di<br />
liste presentate sia dai sindacati firmatari dei contratti collettivi nazionali di<br />
lavoro applicati nell’unità produttiva, sia da parte di associazioni sindacali<br />
non firmatarie, a condizione che accettino la disciplina delle RSU<br />
contenuta dall’accordo interconfederale del dicembre del 1993 e abbiano<br />
raccolto un numero minimo di firme di lavoratori dipendenti dell’unità<br />
produttiva, pari al 5% degli aventi diritto al voto. Il restante terzo è<br />
riservato alle liste presentate dalle associazioni sindacali firmatarie del<br />
contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell'unità produttiva e alla<br />
sua copertura si procede mediante elezione o designazione, in proporzione<br />
ai voti ricevuti (art. 2, accordo interconfederale 20 dicembre 1993).<br />
In ciò consiste la clausola del cd. terzo riservato (ai sindacati firmatari dei<br />
contratti collettivi nazionali) la cui funzione è di attribuire ai sindacati<br />
stipulanti il contratto nazionale applicato nell’unità produttiva un minimo<br />
di controllo sulle strutture di rappresentanza dei lavoratori nell’impresa,<br />
soprattutto nell’ottica di governo della contrattazione collettiva. Le RSU<br />
sono individuate, infatti, dal protocollo del luglio 1993 quali soggetti<br />
legittimati alla stipulazione dei contratti collettivi aziendali, sia pure<br />
congiuntamente con gli organismi territoriali delle associazioni sindacali<br />
nazionali (diversamente è avvenuto con l’accordo interconfederale del 28<br />
giugno 2011; v. infra, cap. III, par. 3).<br />
Ci si deve a questo punto chiedere se le RSU (previste dall’accordo del<br />
1993) siano da considerare RSA ai sensi dell’art. 19 dello Statuto dei<br />
lavoratori.<br />
48<br />
Composizione<br />
delle r.s.u.<br />
La clausola<br />
del cd. terzo<br />
riservato
In proposito occorre ricordare che, perché si possa parlare di RSA ai sensi<br />
dell’art. 19 St. lav., è necessario che siano presenti i due requisiti previsti<br />
dalla norma: l’iniziativa dei lavoratori e il collegamento con i sindacati<br />
qualificati indicati dalla medesima. Ebbene, la “iniziativa dei lavoratori” è<br />
garantita dal fatto che le RSU sono, almeno in parte, organo elettivo. Il<br />
“collegamento” con i sindacati indicati dall’art. 19 (quelli cioè firmatari di<br />
contratti collettivi applicati nell’unità produttiva) parimenti si riscontra,<br />
poiché le liste sono presentate, innanzitutto, sebbene non solo, dai sindacati<br />
firmatari di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva.<br />
Pertanto, le RSU, dal punto di vista della legge, possono considerarsi RSA.<br />
Più precisamente, dal punto di vista tecnico, la RSU può essere considerata<br />
come un’ipotesi di costituzione di un’unica RSA nell’ambito di più<br />
associazioni legittimate a costituirne (realizzando l’ipotesi delineata<br />
nell’art. 29 dello Statuto dei lavoratori).<br />
In Italia le associazioni sindacali firmatarie di ciascun contratto collettivo<br />
nazionale – ed anche aziendale – possono essere molteplici, attesa la<br />
situazione di pluralismo sindacale e teoricamente potrebbero costituirsi<br />
RSA autonome, separate, distinte. Il legislatore, però, nell’art. 29 dello<br />
Statuto dei lavoratori contempla l’ipotesi sia della costituzione di un’unica<br />
RSA nell’ambito di due o più associazioni sindacali legittimate a<br />
costituirne, sia della fusione delle RSA già costituite.<br />
Di qui la possibilità di considerare la RSU come costituzione di un’unica<br />
RSA nell’ambito delle diverse associazioni sindacali legittimate a<br />
costituirne.<br />
Teoricamente RSU e RSA potrebbero convivere all’interno della stessa<br />
unità produttiva. Immaginiamo l’ipotesi di un sindacato firmatario di un<br />
contratto collettivo solo aziendale: nel momento in cui i sindacati firmatari<br />
del contratto nazionale indicono le elezioni per le RSU, il sindacato<br />
49<br />
L’art. 29<br />
dello Statuto<br />
dei lavoratori
aziendale potrebbe presentare una sua lista e partecipare alla competizione<br />
elettorale per la costituzione della RSU (confluendo quindi in essa). Esso<br />
però potrebbe anche non aderire all’accordo del 1993 e mantenere intatto il<br />
suo diritto di costituire una RSA, ai sensi dell’art. 19 St. lav.<br />
E’ da rilevare tuttavia che, da un punto di vista fattuale, anche se non<br />
giuridico, la RSU è tendenzialmente il modello di rappresentanza esclusivo<br />
dei lavoratori a livello aziendale.<br />
2.8. La rappresentanza sindacale aziendale negli altri Paesi europei.<br />
Negli altri Paesi europei, eccettuato il Regno Unito, la materia della<br />
rappresentanza sindacale è disciplinata in maniera più organica. Tali Paesi<br />
conoscono il cd. doppio canale di rappresentanza sindacale, in base al<br />
quale, all’interno dell’unità produttiva, vi sono sia forme elettive di<br />
rappresentanza della generalità dei lavoratori dell’impresa – iscritti e non<br />
iscritti ai sindacati –, sia forme di rappresentanza (associativa) dei soli<br />
lavoratori iscritti al sindacato. A questa duplicità di struttura della<br />
rappresentanza dei lavoratori, all’interno dell’azienda, corrisponde<br />
solitamente una duplicità di funzioni.<br />
Le funzioni cd. partecipative (ad es. i diritti di informazione in materia di<br />
igiene e sicurezza sul lavoro) spettano alle strutture rappresentative elette<br />
dalla generalità dei lavoratori. Le funzioni di contrattazione spettano invece<br />
alle forme di rappresentanza associativa dei lavoratori.<br />
In Italia si riscontra invece un cd. canale unico di rappresentanza. Nella<br />
RSU, tuttavia, si cerca di effettuare una combinazione sia della<br />
rappresentanza generale dei lavoratori che della rappresentanza dei<br />
lavoratori iscritti al sindacato. Un canale unico, dunque, nel quale<br />
50
convivono però le caratteristiche delle due strutture, quella elettiva di<br />
rappresentanza generale e quella associativa.<br />
Parte della dottrina non ha mancato di affermare che anche nel nostro Paese<br />
sarebbe auspicabile, de iure condendo, la creazione di una duplice struttura:<br />
una rappresentanza generale dei lavoratori dell’impresa o dell’unità<br />
produttiva, con funzioni consultive e partecipative, e una rappresentanza<br />
degli iscritti al sindacato, con funzioni di contrattazione, secondo il<br />
modello del doppio canale.<br />
2.9. I diritti sindacali: a) diritto di assemblea; b) referendum; c) diritto<br />
di affissione; d) locali; e) guarentigie; f) permessi; g) campo di<br />
applicazione.<br />
a) Diritto di assemblea.<br />
Lo Statuto dei lavoratori riconosce alle RSA, accanto agli altri diritti di cui<br />
al titolo III, il diritto di convocare assemblee dei lavoratori. Invero, l’art. 20<br />
St. lav. riconosce espressamente il diritto di tutti i lavoratori a riunirsi in<br />
assemblea nei luoghi di lavoro, fuori dall’orario di lavoro o all’interno<br />
dell’orario stesso nei limiti di 10 ore annue retribuite (limite che può essere<br />
elevato dai contratti collettivi). Il diritto di riunirsi in assemblea costituisce<br />
diritto potestativo di sospendere l’esecuzione della prestazione lavorativa.<br />
Il diritto di “convocare” l’assemblea spetta però alle RSA, singolarmente o<br />
congiuntamente.<br />
L’art. 20 St. lav. dispone che l’assemblea dei lavoratori riguardi “materie di<br />
interesse sindacale e del lavoro”. La locuzione “materie di interesse<br />
sindacale e del lavoro” escluderebbe, secondo una prima interpretazione,<br />
qualsiasi controllo di merito, sull’oggetto dell’assemblea, vuoi da parte del<br />
51<br />
Diritto di<br />
riunirsi in<br />
assemblea e di<br />
convocare<br />
un’assemblea<br />
L’oggetto<br />
dell’assemblea:<br />
materie di<br />
interesse<br />
sindacale e del<br />
lavoro
datore di lavoro, vuoi da parte del giudice. Secondo questo orientamento, le<br />
materie di interesse sindacale e del lavoro sarebbero tutte quelle che il<br />
sindacato assume concretamente quale oggetto del suo intervento.<br />
Sul rilievo che, se così fosse, non si spiegherebbe la specificazione<br />
legislativa, è tuttavia prevalsa la tesi contraria, per la quale è sempre<br />
ammesso un controllo da parte del datore di lavoro e, in caso di<br />
contestazione, da parte del giudice. Secondo questa prospettazione, per<br />
interpretare la formula legislativa (“materie di interesse sindacale e del<br />
lavoro”) si possono utilizzare i risultati dell’elaborazione in materia di<br />
sciopero politico e segnatamente di sciopero politico-economico (v. infra,<br />
cap. IV, par. 6). Ne deriva che oggetto di assemblea possono essere, non<br />
solo le questioni che attengono alle condizioni del rapporto contrattuale (di<br />
lavoro), ma anche quelle che hanno a che fare in senso lato con le<br />
condizioni generali economiche dei lavoratori subordinati.<br />
Sulla base di tale impostazione, sarebbe del tutto conforme alle previsioni<br />
dell’art. 20 St. lav. un’assemblea avente ad oggetto materie di interesse<br />
economico per i lavoratori (ad es. un’assemblea avente ad oggetto la<br />
riforma pensionistica o la politica fiscale). Non altrettanto potrebbe dirsi<br />
per un’assemblea in cui si voglia discutere delle ragioni di un intervento<br />
militare in una data area del pianeta. Il tema della pace, pur essendo in<br />
senso lato un argomento che interessa il mondo sindacale, non riguarda le<br />
condizioni economiche dei lavoratori e pertanto fuoriesce dalle “materie”<br />
di cui all’art. 20.<br />
b) Referendum.<br />
L’art. 21 St. lav. riconosce il diritto delle RSA di indire – in questo caso<br />
solo congiuntamente – referendum tra i lavoratori, fuori dall’orario di<br />
lavoro, su materie di interesse sindacale. La prassi ha tradizionalmente<br />
52
affermato la funzione secondaria del referendum nel nostro sistema di<br />
relazioni industriali, soprattutto rispetto al diritto di assemblea. Tuttavia, in<br />
tempi recenti, si è avvertita la tendenza a rivalutare l’istituto quale<br />
strumento idoneo a ridurre lo scollamento tra sindacato e “base”.<br />
Il ricorso alla prassi referendaria si verifica in circostanze diverse: ex ante<br />
per approvare piattaforme contrattuali e, soprattutto, ex post per approvare<br />
accordi collettivi già conclusi, specie aziendali e di tipo derogatorio (si<br />
veda, da ultimo, l’accordo Fiat Mirafiori del 23 dicembre 2010).<br />
Il problema più delicato concerne, in tali ipotesi, le conseguenze giuridiche<br />
dell’esito negativo del voto. Dottrina e giurisprudenza, a meno che l’esito<br />
positivo del referendum non sia espressamente previsto come condizione<br />
risolutiva o sospensiva dell’efficacia dell’accordo, hanno optato per la<br />
conclusione che l’eventuale esito negativo ha solo una valenza politica e<br />
non giuridica (Cass. 28 novembre 1994, n. 10119).<br />
c) Diritto di affissione.<br />
L’art. 25 St. lav. riconosce il diritto delle RSA di affiggere, su appositi<br />
spazi, che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre in luoghi<br />
accessibili a tutti i lavoratori all’interno dell’unità produttiva,<br />
pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e<br />
del lavoro.<br />
d) Locali.<br />
L’art. 27 St. lav. riconosce alle RSA, ove ne facciano richiesta, il diritto di<br />
usufruire di un locale per le loro riunioni. Nel caso in cui nell’unità<br />
produttiva vi siano almeno 200 dipendenti il datore di lavoro deve porre<br />
permanentemente a disposizione delle RSA, per l’esercizio delle loro<br />
53
funzioni, un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle<br />
immediate vicinanze di essa.<br />
e) Guarentigie.<br />
I rappresentanti sindacali aziendali godono di particolari garanzie in caso di<br />
licenziamento o trasferimento (cfr. artt. 22 e 18 St. lav.).<br />
f) Permessi.<br />
Infine, i dirigenti delle rappresentanze sindacali hanno diritto a permessi<br />
retribuiti (art. 23 St. lav.) e no (art. 24 St. lav.) per lo svolgimento del<br />
proprio incarico sindacale.<br />
g) Campo di applicazione.<br />
E’ importante sottolineare che il campo di applicazione del Titolo III dello<br />
Statuto dei lavoratori è limitato, per le imprese industriali e commerciali,<br />
alle unità produttive che occupino più di quindici dipendenti (ciascuna<br />
sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, in cui si articola<br />
l’azienda: cfr. art. 35 St. lav.). Sempre per le imprese industriali e<br />
commerciali le medesime norme si applicano quando le unità produttive<br />
nell’ambito dello stesso comune occupino più di quindici dipendenti. I<br />
limiti dimensionali sono ridotti a cinque dipendenti (qui riferiti all’impresa<br />
nel suo complesso) per le imprese agricole.<br />
54<br />
Le unità<br />
produttive<br />
con più di 15<br />
dipendenti
Capitolo III<br />
IL CONTRATTO COLLETTIVO <strong>DI</strong> LAVORO<br />
3.1. L’inattuazione dell’art. 39 Cost., seconda parte, ed il contratto<br />
collettivo cd. di diritto comune.<br />
Come già precisato (v. supra, cap. I, par. 4), la prima conseguenza della<br />
mancata attuazione dell’art. 39 Cost. (più precisamente, dei commi 2°, 3° e<br />
4°) è che il sindacato non ha potuto acquisire la personalità giuridica né<br />
potrà acquisirla – attraverso gli strumenti di riconoscimento ordinari –<br />
finché l’art. 39 Cost. rimarrà inattuato.<br />
La seconda conseguenza della mancata attuazione dell’art. 39 Cost. è che il<br />
contratto collettivo stipulato dagli attuali sindacati ricade nell’ambito del<br />
diritto contrattuale comune. Di qui la denominazione di contratto<br />
collettivo di diritto comune, per indicare che esso trova (o dovrebbe<br />
trovare) disciplina unicamente nelle norme dettate dal codice civile sui<br />
contratti in generale (art. 1321 ss c.c.).<br />
La stessa possibilità di ammettere la cittadinanza, nel nostro ordinamento,<br />
di un contratto collettivo non riconducibile alle previsioni dell’art. 39 Cost.<br />
è dipesa dalla interpretazione storicamente affermatasi della norma,<br />
interpretazione in base alla quale la stessa norma costituzionale non<br />
determinerebbe la forma necessitata del contratto collettivo, ma<br />
prefigurerebbe le condizioni in presenza delle quali al contratto collettivo<br />
può essere attribuita efficacia erga omnes (efficacia vincolante nei<br />
confronti di tutti gli appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce).<br />
I punti chiave di questa interpretazione sono costituiti dall’accentuazione<br />
del valore precettivo del 1° co. dell’art. 39 Cost. (“l’organizzazione<br />
55<br />
Il contratto<br />
collettivo cd.<br />
di diritto<br />
comune
sindacale è libera”) e dalla corrispondente svalutazione del termine<br />
“obbligo” contenuto nel 2° co.<br />
Poiché la registrazione è necessaria al fine di poter stipulare contratti<br />
collettivi con efficacia erga omnes, si è detto (F. Santoro Passarelli) che<br />
essa è oggetto più propriamente di un onere: un onere per i sindacati che<br />
appunto vogliano ottenere simile diritto. Ma la norma costituzionale non<br />
esclude che i sindacati possano stipulare contratti collettivi che non abbiano<br />
quel particolare effetto. E ciò, in base al principio di libertà sindacale, che è<br />
libertà di organizzazione e di azione e, dunque, di contrattazione.<br />
La norma costituzionale, insomma, non inibisce al sindacato di non<br />
chiedere la registrazione, né, pur avendola chiesta ed ottenuta, di stipulare<br />
contratti collettivi senza seguire il procedimento di cui all’ultimo comma<br />
dell’art. 39 Cost.<br />
Al contratto stipulato dal sindacato non registrato o dai sindacati registrati<br />
ma al di fuori del procedimento di cui all’art. 39 Cost. non potranno<br />
imputarsi gli effetti previsti dalla norma costituzionale. Si tratterà più<br />
semplicemente di una fattispecie regolata dal diritto contrattuale comune.<br />
La mancata attuazione della norma costituzionale ha portato come<br />
conseguenza necessitata che il contratto collettivo attualmente stipulato dai<br />
sindacati sia un contratto regolato dal diritto contrattuale comune, vale a<br />
dire, come si è anticipato, dalle norme del codice civile sui contratti in<br />
generale.<br />
E spesso si è ricondotto il contratto collettivo cd. di diritto comune oltre<br />
che all’art. 39 Cost., all’art. 1322 c.c., in base al quale le parti possono<br />
stipulare anche contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina<br />
particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela<br />
secondo l’ordinamento giuridico; e tale sarebbe da ritenere appunto il<br />
contratto collettivo.<br />
56<br />
Registrazione<br />
come onere<br />
per il<br />
sindacato<br />
Il contratto di<br />
diritto<br />
comune<br />
nell’ambito<br />
del principio<br />
di libertà<br />
sindacale
La qualificazione del contratto collettivo come contratto di diritto comune<br />
non poteva tuttavia considerarsi soddisfacente già originariamente, perché<br />
la giurisprudenza non ha mai applicato tout court al contratto collettivo le<br />
norme del codice civile sui contratti in generale, applicando, anzi, in via<br />
diretta e non analogica alcune norme – si pensi in particolare all’art. 2077<br />
c.c. – dettate dal codice civile per il contratto collettivo corporativo. Tanto<br />
meno può considerarsi soddisfacente al momento attuale, perché il<br />
legislatore rinvia sempre più spesso al contratto collettivo, attribuendogli<br />
determinati effetti giuridici. Ora vi è anche da considerare l’art. 8 della l. n.<br />
148 del 2011 che ha dettato una peculiare disciplina, quanto meno per il<br />
contratto aziendale e territoriale.<br />
Nel settore del pubblico impiego, che ormai a seguito della privatizzazione<br />
fa pienamente parte dello statuto scientifico del diritto del lavoro, il<br />
contratto collettivo deve sicuramente considerarsi un contratto atipico,<br />
avendo ricevuto una specifica disciplina legislativa (v. ora d.lgvo n.<br />
165/2001)<br />
3.2. Il contenuto del contratto collettivo. La distinzione tra parte<br />
normativa e parte obbligatoria.<br />
Si può definire contratto collettivo di lavoro quel contratto che ha come<br />
precipua funzione economico-sociale quella di comporre conflitti<br />
concernenti diritti e interessi tra gruppi professionali contrapposti (G.<br />
Giugni).<br />
E’ un istituto che tradizionalmente concerne il lavoro subordinato, pur se si<br />
conoscono esperienze di contrattazione collettiva anche per alcune<br />
57<br />
La funzione<br />
del contratto<br />
collettivo:<br />
composizione<br />
dei conflitti<br />
di interessi e<br />
di diritti tra<br />
gruppi<br />
professionali<br />
contrapposti
categorie di lavoratori autonomi. Si pensi agli agenti i cui contratti<br />
collettivi (denominati Accordi economici collettivi) risalgono al periodo<br />
corporativo. Essi vengono tuttora stipulati per regolare istituti importanti<br />
del rapporto di agenzia (ad es. le provvigioni) ed, anzi, la normativa<br />
civilistica sul contratto di agenzia (artt. 1742 ss. c.c.) rinvia ampiamente<br />
proprio alla disciplina contenuta negli accordi economici-collettivi. Anche<br />
per altre categorie di lavoratori, cd. parasubordinati, si conoscono<br />
esperienze di vera e propria contrattazione collettiva.<br />
L’aggettivo “collettivo” sta a significare che il contratto viene stipulato da<br />
due soggetti collettivi. Tipicamente, si tratta delle associazioni sindacali<br />
che rappresentano i lavoratori, da un lato, e di quelle che rappresentano i<br />
datori di lavoro, dall’altro; ma anche il contratto aziendale stipulato dalle<br />
RSA o da sindacati provinciali di categoria con il singolo<br />
imprenditore/datore di lavoro si considera un contratto collettivo.<br />
Agli albori del fenomeno sindacale, i contratti collettivi avevano quale<br />
contenuto tipico ed esclusivo la determinazione dei livelli di retribuzione<br />
dei lavoratori (di qui la denominazione di “concordati di tariffa”). Con il<br />
passare del tempo, i contratti collettivi di lavoro si sono arricchiti di<br />
contenuti ulteriori (per es., la durata delle ferie, dell’orario di lavoro, del<br />
preavviso in caso di licenziamento, ecc.), sempre attinenti alla disciplina<br />
del rapporto individuale di lavoro subordinato. In seguito, accanto a queste<br />
clausole (dette normative), sono comparse le clausole cd. obbligatorie, che<br />
regolano, non già le condizioni dei singoli rapporti individuali di lavoro,<br />
bensì i rapporti tra i soggetti collettivi stipulanti (ad es. la costituzione di<br />
commissioni paritetiche, le clausole procedurali relative al rinnovo del<br />
contratto collettivo, ecc.).<br />
58<br />
Contratto<br />
collettivo e<br />
lavoro<br />
autonomo<br />
Evoluzione<br />
dei contenuti<br />
del contratto<br />
collettivo
All’interno del contratto collettivo possiamo quindi distinguere le clausole<br />
normative, che hanno per oggetto la disciplina dei rapporti individuali di<br />
lavoro, e le clausole obbligatorie, che non incidono direttamente sulla<br />
disciplina dei singoli rapporti di lavoro, ma regolano i rapporti reciproci tra i<br />
soggetti collettivi stipulanti il contratto collettivo (cioè, prevalentemente,<br />
associazioni sindacali di lavoratori e di datori di lavoro).<br />
All’interno delle clausole obbligatorie si possono distinguere le clausole cd.<br />
istituzionali (relative all’istituzione di organismi paritetici sindacali – si<br />
pensi, in passato, alle Casse edili ed oggi agli enti bilaterali); le clausole di<br />
amministrazione del contratto (ad es. quelle che disciplinano le procedure di<br />
conciliazione e arbitrato, o l’istituzione di commissioni tecniche); le<br />
clausole relative alla produzione negoziale (ad es. le clausole di rinvio alla<br />
disciplina di una determinata materia dal contratto nazionale al contratto<br />
aziendale) e le clausole di tregua sindacale (con cui le associazioni<br />
sindacali si impegnano a non proclamare e a non sostenere scioperi per il<br />
periodo di vigenza del contratto stesso).<br />
Per un certo periodo, si è ritenuto che aspetto qualificante del contratto<br />
collettivo fosse di contenere clausole normative. Come è stato giustamente<br />
evidenziato (G. Giugni), ciò era frutto di una visione aporistica del<br />
contratto collettivo, che, non dimentichiamolo, è contratto non regolato o<br />
non regolato integralmente – meno che mai per quanto riguarda i contenuti<br />
– dalla legge. Oggi si ritiene, giustamente, che sia qualificabile come<br />
contratto collettivo pure quello che abbia un contenuto meramente<br />
obbligatorio, anche se i problemi giuridici che le due tipologie di clausole<br />
– normative ed obbligatorie – pongono sono differenti.<br />
Nonostante si tratti di distinzione fondamentale, qualificare una clausola<br />
come normativa ovvero obbligatoria non è sempre facile. La dottrina ha<br />
59<br />
Clausole<br />
normative e<br />
clausole<br />
obbligatorie<br />
Esempi di<br />
clausole<br />
obbligatorie<br />
Le clausole<br />
cd. bivalenti
ecentemente evidenziato l’esistenza di clausole ibride o bivalenti in quanto<br />
hanno valenza, ad un tempo, normativa e obbligatoria.<br />
Si pensi ad es. alle clausole, spesso presenti nei contratti collettivi, con le<br />
quali si sottopongono a controllo sindacale gli atti di esercizio di<br />
determinati poteri datoriali.<br />
Si faccia l’ipotesi del “trasferimento collettivo”. La legge dispone, all’art.<br />
2103 c.c., che il lavoratore possa essere trasferito da un’unità produttiva ad<br />
un’altra, purché sussistano comprovate ragioni tecniche, organizzative e<br />
produttive. Ebbene, in caso di trasferimento collettivo dei lavoratori, spesso<br />
i contratti collettivi impongono al datore di lavoro un obbligo di<br />
informazione preventiva delle associazioni sindacali, che, così, possono<br />
cercare di condizionare la decisione del datore di lavoro. Una clausola<br />
siffatta è da considerare obbligatoria, perché fonda un diritto di<br />
informazione in capo al sindacato, al fine di consentirgli una sorta di<br />
controllo sulla decisione imprenditoriale; nello stesso tempo essa fonda un<br />
diritto del lavoratore a subire un esercizio controllato (dal sindacato) del<br />
potere di trasferimento. Sotto questo profilo finisce per incidere sulla<br />
disciplina del rapporto individuale di lavoro e, dunque, è da considerare<br />
(anche) normativa.<br />
Buona parte delle clausole relative agli obblighi di informazione e<br />
consultazione preventiva del sindacato, rispetto all’adozione di<br />
provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro, è, appunto, di<br />
natura bivalente.<br />
3.3. Struttura della contrattazione collettiva in Italia.<br />
Quanto alla struttura della contrattazione collettiva in Italia è possibile<br />
operare una periodizzazione.<br />
60
Negli anni ‘50 dello scorso secolo ad assumere centrale, se non esclusivo,<br />
rilievo è stato il livello confederale di contrattazione: le condizioni di<br />
lavoro venivano disciplinate da accordi interconfederali, cioè da contratti<br />
collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali, con cui si stabilivano i<br />
livelli retributivi dei lavoratori, indipendentemente dal settore produttivo di<br />
appartenenza.<br />
Le differenze di redditività esistenti tra i diversi settori produttivi portarono<br />
tuttavia, ben presto, e diremmo inevitabilmente, al predominio della<br />
contrattazione collettiva cd. di categoria (ad es. metalmeccanici, chimici,<br />
tessili, ecc.), per regolare, vuoi i livelli retributivi, vuoi le altre condizioni<br />
di lavoro.<br />
Sopravvissero gli accordi interconfederali, ma per regolare aspetti generali<br />
dei rapporti di lavoro che riguardano tutti i settori produttivi. Si vedano ad<br />
es. gli accordi interconfederali del 20 dicembre 1950 e del 5 maggio 1965<br />
sui licenziamenti collettivi; gli accordi interconfederali del 18 ottobre 1950<br />
e 29 aprile 1965 sui licenziamenti individuali e gli accordi interconfederali<br />
dell’ 8 maggio 1953 e 18 aprile 1966 sulle Commissioni Interne.<br />
La contrattazione collettiva, sia pure spostata a livello del sindacato di<br />
categoria, restava tuttavia centralizzata. All’inizio degli anni ‘60 del secolo<br />
scorso cominciarono le pressioni delle associazioni sindacali per giungere<br />
ad una contrattazione collettiva di impresa, non in sostituzione, ma in<br />
aggiunta alla contrattazione collettiva di categoria. E ciò per il fatto che la<br />
contrattazione collettiva di categoria non poteva che rispecchiare il livello<br />
di redditività delle imprese dell’intero settore e dunque anche di quelle<br />
marginali; non si teneva cioè conto del livello di redditività (che poteva<br />
essere molto superiore) delle singole imprese.<br />
Alla rivendicazione sindacale di un livello (aggiuntivo) di contrattazione,<br />
cioè quello aziendale, si opposero le associazioni sindacali dei datori di<br />
61<br />
L’iniziale<br />
centralizzazio-<br />
ne della<br />
contrattazione<br />
collettiva
lavoro privati. Al contrario, la rivendicazione venne accolta dalle<br />
associazioni sindacali delle imprese a prevalente partecipazione statale.<br />
Non bisogna dimenticare, infatti, che nel 1956 venne istituito il Ministero<br />
delle partecipazioni statali e che, in base alla legge n. 1589/1956 (cd. legge<br />
di sganciamento delle imprese a prevalente partecipazione statale da<br />
Confindustria) fu disposto che le imprese a prevalente partecipazione<br />
statale dovessero cessare il proprio rapporto associativo con Confindustria<br />
e costituire apposite associazioni sindacali. Ebbene, il 5 luglio 1962<br />
Intersind ed Asap stipularono, con le associazioni dei metalmeccanici che<br />
allora rappresentavano le aziende a partecipazione statale, un Protocollo<br />
che fissava i principi generali di un nuovo sistema di contrattazione, detto<br />
di “contrattazione articolata”, che fu poi recepito dai contratti collettivi<br />
dell’intero settore industriale.<br />
Il sistema di contrattazione era articolato: al livello nazionale si<br />
affiancava un livello provinciale e, soprattutto, aziendale. Esso era ordinato<br />
nel senso che era il contratto collettivo nazionale a rinviare (cd. clausola di<br />
rinvio), per la disciplina di certe materie, alla contrattazione collettiva<br />
(provinciale o aziendale). E chiave di volta dell’intero sistema erano le cd.<br />
clausole di tregua sindacale, attraverso le quali i sindacati si impegnavano a<br />
non proclamare e a non sostenere scioperi per la modifica di quanto<br />
convenuto nel contratto collettivo nazionale, nell’arco temporale di vigenza<br />
dello stesso.<br />
Nel 1969 il sistema di contrattazione articolata, pur rimasto formalmente<br />
inalterato, di fatto venne meno a seguito delle vicende del cd. autunno<br />
caldo: le forme di rappresentanza spontanea dei lavoratori, in particolare i<br />
consigli di fabbrica (v. supra), che nacquero e al di fuori delle (e in<br />
opposizione alle) associazioni sindacali, non riconobbero le limitazioni di<br />
competenza contrattuale poste dal contratto nazionale. Si passò così ad un<br />
62<br />
Il sistema di<br />
contratta zio-<br />
ne articolata<br />
degli anni ’60<br />
del secolo<br />
scorso<br />
La cd.<br />
contrattazio-<br />
ne non<br />
vincolata<br />
degli anni ’70
sistema di contrattazione cd. non vincolata: la contrattazione aziendale<br />
poteva svolgersi su qualsiasi oggetto; dunque, anche materie già<br />
disciplinate dal contratto nazionale.<br />
Negli anni ’80 del secolo scorso si assiste ad una ri-centralizzione della<br />
contrattazione collettiva, riacquisendo importanza il livello<br />
interconfederale.<br />
Nello stesso periodo si registra altresì la nascita dei primi accordi di<br />
concertazione, accordi triangolari che vedono come parti, non solo le<br />
associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, ma anche lo<br />
Stato con il ruolo, più che di mediatore, di negoziatore delle proprie risorse<br />
(si veda, ad es., il Protocollo del 22 gennaio 1983).<br />
Il contesto di sovrapposizione tra le competenze dei diversi livelli (in<br />
particolare nazionale ed aziendale) è rimasto inalterato fino a quando non è<br />
stato stipulato lo storico Protocollo del 23 luglio 1993, attraverso il quale<br />
si è cercato di riordinare il sistema di contrattazione collettiva. Il<br />
“Protocollo” è un accordo di concertazione, che vede come parti le<br />
organizzazioni sindacali dei lavoratori, quelle degli imprenditori e il<br />
Governo. Per la parte relativa agli assetti contrattuali (punto 2), è un vero e<br />
proprio contratto collettivo che disciplina, appunto, il sistema di<br />
contrattazione collettiva. Vi si prevedono due livelli di contrattazione<br />
collettiva (quello nazionale e quello aziendale), senza alcuna<br />
sovrapposizione di competenze. Nel Protocollo del 1993 si prevede infatti<br />
espressamente che “la contrattazione aziendale riguarda materie ed istituti<br />
diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL”; e che<br />
le “erogazioni del livello di contrattazione aziendale” sono strettamente<br />
legate alla produttività o alla redditività di impresa.<br />
Dopo molteplici tentativi di aggiornamento del Protocollo del 1993 e dopo<br />
63<br />
Il riordino dei<br />
livelli di<br />
contrattazione<br />
collettiva e il<br />
Protocollo del<br />
23 luglio 1993<br />
L’accordo<br />
“separato”<br />
del 2009
una lunga trattativa, il 22 gennaio 2009 le Associazioni imprenditoriali e<br />
CISL, UIL, UGL hanno sottoscritto un “Accordo quadro per la riforma<br />
degli assetti contrattuali”, della durata sperimentale di quattro anni. Già la<br />
denominazione di Accordo quadro mette sull’avviso che si tratta di una<br />
cornice, di un accordo destinato ad essere completato con altri accordi. Ed<br />
infatti il 15 aprile 2009 è stato stipulato, tra le stesse parti, un accordo per<br />
l’attuazione dell’accordo quadro del 22 gennaio 2009; analoga intesa è<br />
stata stipulata il 30 aprile per il pubblico impiego.<br />
L’accordo quadro, conferma i due livelli di contrattazione, nazionale e<br />
aziendale, cercando di valorizzare la contrattazione di secondo livello; esso<br />
porta inoltre a tre anni la durata dei contratti collettivi, sia per la parte<br />
normativa, sia per la parte economica.<br />
Per inciso va sottolineato che l’accordo quadro, così come i successivi<br />
accordi attuativi, non è stato sottoscritto dalla CGIL: si tratta di un cd.<br />
accordo separato. Dal che nascono delicati problemi applicativi (v. infra,<br />
cap. III, par. 9). Il 28 giugno 2011, peraltro, è stato stipulato un accordo<br />
interconfederale unitario, in cui nuovamente viene affrontata la questione<br />
delle competenze dei livelli di contrattazione collettiva: si prevede<br />
nuovamente un sistema articolato su due livelli, nazionale ed aziendale, in<br />
cui “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate,<br />
in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o<br />
dalla legge”.<br />
Ma la prospettiva che interessa maggiormente gli stipulanti, e che aveva<br />
fatto registrare il dissenso della CGIL in occasione della stipulazione<br />
dell’Accordo interconfederale del 2009, è quella dei limiti in cui il<br />
contratto aziendale può derogare in peius al contratto nazionale. È questo il<br />
tema oggi all’ordine del giorno non solo nel nostro ordinamento, ma in tutti<br />
gli ordinamenti europei che tradizionalmente hanno visto la centralità del<br />
64<br />
L’accordo<br />
“unitario” del<br />
28 giugno 2011<br />
La contrattazione<br />
aziendale<br />
derogatoria
contratto nazionale di categoria: consentire, ed anzi, incentivare, la<br />
contrattazione aziendale anche derogatoria rispetto alla disciplina del<br />
contratto nazionale, là dove si tratti di risolvere situazioni di crisi aziendali<br />
o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa. In<br />
questo accordo interconfederale si prevede espressamente che i contratti<br />
collettivi aziendali possono modificare le “regolamentazioni contenute nei<br />
contratti collettivi nazionali di lavoro”, sebbene “nei limiti e con le<br />
procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro”. Col<br />
che l’enfasi viene spostata dalla contrattazione aziendale migliorativa a<br />
quella peggiorativa. E le stesse parti stipulanti si preoccupano, a fronte<br />
delle sempre più frequenti manifestazioni di dissenso tra i sindacati<br />
tradizionali, di definire le condizioni per l’attribuzione di efficacia erga<br />
omnes ai contratti aziendali. Ovviamente, trattandosi di disciplina pattizia,<br />
è persino superfluo sottolinearlo, essa è priva di natura imperativa. E<br />
tuttavia il consenso ritrovato tra le principali organizzazioni sindacali, in<br />
relazione al ruolo del contratto nazionale e del contratto aziendale e in<br />
relazione ai criteri di misurazione della rappresentatività, gli conferiscono<br />
un’indubbia valenza pratico-giuridica (per via dell’efficacia persuasiva che<br />
l’accordo può avere sui sindacati di categoria e sulle rappresentanze in<br />
azienda).<br />
Ad ogni buon conto, dal fatto che in Italia il sistema della contrattazione<br />
collettiva sia comunque articolato su più livelli (principalmente,<br />
interconfederale, nazionale di categoria ed aziendale) deriva che un singolo<br />
rapporto di lavoro può trovare contestualmente disciplina in differenti<br />
contratti collettivi (interconfederale, nazionale di categoria, territoriale,<br />
aziendale). Nel caso di conflitto tra le discipline collettive astrattamente<br />
applicabili, si pone il problema giuridico di stabilire quale disciplina<br />
65
prevalga (è il problema del concorso-conflitto tra contratti di diverso<br />
livello, su cui si tornerà più avanti).<br />
3.4. L’ambito soggettivo di efficacia del contratto collettivo.<br />
Nell’esaminare i problemi giuridici posti dal contratto collettivo occorre<br />
distinguere tra parte normativa e parte obbligatoria del medesimo.<br />
Il primo problema giuridico posto dalla parte normativa del contratto<br />
collettivo concerne il suo ambito soggettivo di efficacia.<br />
Nel sistema corporativo il contratto collettivo aveva efficacia erga omnes<br />
(cioè trovava applicazione nei confronti di tutti coloro che appartenevano<br />
ad una data categoria, determinata autoritativamente a priori, e<br />
indipendentemente dall’iscrizione all’associazione sindacale).<br />
Analogamente, se fosse stato realizzato il sistema previsto dal Costituente<br />
nella seconda parte dell’art. 39, i contratti collettivi avrebbero avuto<br />
efficacia “obbligatoria” per tutti gli appartenenti alla categoria. Ma, come si<br />
è visto, la legge ordinaria organica che avrebbe dovuto attuare il sistema<br />
delineato dall’art. 39, seconda parte, Cost., non è mai stata emanata;<br />
cosicché il regime giuridico dei contratti collettivi può essere determinato<br />
solo con riferimento ai principi del diritto comune dei contratti (artt. 1321 e<br />
ss. c.c.).<br />
A tale stregua, si pone il problema di spiegare in quale modo un contratto<br />
collettivo, stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e da quelle<br />
dei datori di lavoro, possa dispiegare efficacia nella sfera giuridica di<br />
soggetti diversi, ossia nei confronti dei singoli lavoratori e dei singoli datori<br />
di lavoro.<br />
Per spiegare questa efficacia del contratto collettivo sul contratto<br />
individuale si è fatto riferimento all’istituto civilistico della rappresentanza.<br />
66<br />
Il contratto<br />
collettivo<br />
normativo e<br />
il suo<br />
ambito<br />
soggettivo<br />
di efficacia
Nel momento in cui il lavoratore e il datore di lavoro si iscrivono alle<br />
rispettive associazioni sindacali conferirebbero alle medesime il potere di<br />
determinare le condizioni di lavoro in loro nome e per loro conto. In altre<br />
parole, le associazioni sindacali, quando stipulano un contratto collettivo,<br />
agirebbero in qualità di rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori<br />
che vi sono iscritti.<br />
Se questo è vero, deve allora concludersi che il contratto collettivo dispiega<br />
efficacia unicamente nei confronti degli iscritti alle associazioni sindacali<br />
stipulanti, mentre coloro che non vi sono iscritti restano terzi rispetto al<br />
contratto collettivo. Ed invero, come noto, il contratto non può produrre, di<br />
norma, effetti ultra partes.<br />
Secondo i principi del diritto comune, quindi, il contratto collettivo avrebbe<br />
un’efficacia soggettiva limitata agli iscritti alle associazioni sindacali<br />
stipulanti.<br />
Questo, tuttavia, vale solo in via di prima approssimazione, poiché<br />
dottrina e giurisprudenza, ed in certi casi lo stesso legislatore, hanno<br />
cercato di dilatare l’ambito soggettivo di efficacia del contratto collettivo.<br />
Naturalmente il problema non si pone quando il singolo datore di lavoro e<br />
il singolo lavoratore, pur non iscritti alle associazioni sindacali che hanno<br />
stipulato il contratto collettivo, rinviino, nel contratto individuale di lavoro,<br />
alla disciplina contrattuale collettiva.<br />
E’, questa, una situazione frequente, perché difficilmente i contratti<br />
individuali di lavoro sono costruiti in modo tale da regolare tutti i possibili<br />
profili inerenti al rapporto di lavoro e, conseguentemente, rinviano, di<br />
norma, alla disciplina del contratto collettivo di riferimento.<br />
Questo rinvio, a sua volta, può essere esplicito, allorché il contratto<br />
individuale contenga un’espressa clausola di rinvio; ovvero implicito,<br />
quando, pur mancando una clausola espressa nel contratto individuale, le<br />
67<br />
L’efficacia<br />
soggettiva<br />
limitata agli<br />
iscritti<br />
secondo il<br />
diritto<br />
comune<br />
Le clausole di<br />
rinvio del<br />
contratto<br />
individuale<br />
alla disciplina<br />
del contratto<br />
collettivo<br />
Rinvio<br />
esplicito e<br />
rinvio per<br />
comportamenti<br />
concludenti
parti applichino di fatto, nei reciproci rapporti, la disciplina prevista dal<br />
contratto collettivo (rinvio tacito o per comportamento concludente).<br />
La giurisprudenza afferma che, perché si possa parlare di rinvio per<br />
comportamento concludente, non è necessario che le parti applichino nei<br />
propri rapporti il contratto collettivo nella sua integralità, essendo<br />
sufficiente che del contratto applichino parti importanti e significative. Se<br />
le parti applicano di fatto parti importanti e significative del contratto<br />
collettivo (ad es., la parte relativa alla retribuzione), si può presumere,<br />
secondo la giurisprudenza, che esse vogliano applicare integralmente la<br />
disciplina collettiva (Cass. 4 marzo 1996, n. 1672; Cass. 7 agosto 1998, n.<br />
7795).<br />
Il rinvio del contratto individuale al contratto collettivo può essere formale,<br />
quando il rinvio è alla fonte di produzione normativa, ossia non ad un<br />
determinato contratto collettivo, ma a tutti i contratti collettivi che si<br />
susseguono nel tempo (cosicché le parti rinviano già anche al contenuto<br />
dei periodici e successivi rinnovi del contratto collettivo); ovvero<br />
recettizio, quando il rinvio è al contratto collettivo vigente in quel<br />
momento, ed a quello soltanto.<br />
Nel caso del rinvio per comportamento concludente (cd. rinvio implicito),<br />
si ritiene che, in linea di massima, esso sia di tipo recettizio, perché le parti<br />
implicitamente esprimono la volontà di vincolarsi a quel testo contrattuale.<br />
Una conclusione diversa sarebbe possibile solo se, considerando un arco di<br />
tempo molto lungo, ci si avvedesse che le parti non iscritte alle associazioni<br />
sindacali, pur mancando nel loro contratto individuale di lavoro un rinvio<br />
esplicito, hanno sempre applicato di fatto i contratti collettivi che si sono<br />
succeduti nel tempo: probabilmente in una tale situazione si può ricostruire<br />
una volontà implicita di rinvio formale, cioè di vincolarsi stabilmente alla<br />
fonte di produzione normativa.<br />
68<br />
Rinvio<br />
formale o<br />
rinvio<br />
recettizio
3.4.1. (segue) Le operazioni estensive della giurisprudenza.<br />
Alcune deviazioni rispetto alla regola generale (per cui il contratto<br />
collettivo vincola solo gli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti) sono<br />
state introdotte dalla giurisprudenza. In particolare, la giurisprudenza ha<br />
tradizionalmente ritenuto non necessaria, ai fini dell’applicazione del<br />
contratto collettivo, l’iscrizione bilaterale. Sarebbe cioè sufficiente<br />
l’iscrizione del datore di lavoro all’associazione sindacale dei datori di<br />
lavoro che ha stipulato il contratto; mentre non sarebbe rilevante la mancata<br />
iscrizione del lavoratore alla rispettiva associazione sindacale. Secondo la<br />
giurisprudenza, nel momento in cui il lavoratore rivendica l’applicazione<br />
del contratto collettivo non farebbe altro che manifestare la propria volontà<br />
di aderire (ciò che è sempre giuridicamente possibile) alle previsioni del<br />
contratto collettivo, cui il datore di lavoro è già vincolato in forza della sua<br />
iscrizione al sindacato.<br />
Invero, nell’ipotesi appena menzionata, vale a dire di iscrizione del datore<br />
di lavoro e non iscrizione del lavoratore – in una situazione fisiologica di<br />
unicità del contratto collettivo nell’ambito della categoria –, di fatto non<br />
vengono a porsi particolari problemi. Ben difficilmente un datore di lavoro<br />
differenzierà la posizione dei propri dipendenti a seconda che essi siano<br />
iscritti o no alla associazione sindacale: se così operasse, infatti, dovrebbe<br />
sobbarcarsi l’onere di una doppia contabilità e, probabilmente,<br />
incentiverebbe la sindacalizzazione dei lavoratori.<br />
Il vero problema pratico sorge quando il datore di lavoro non sia iscritto<br />
all’associazione sindacale che ha stipulato il contratto collettivo. Infatti, in<br />
tale ultima ipotesi, egli potrebbe eccepire la sua assoluta estraneità al<br />
contratto collettivo, sottoscritto da soggetti cui non ha conferito alcun<br />
mandato rappresentativo. Di conseguenza, potrebbe pretendere di applicare<br />
69<br />
La sufficienza<br />
dell’iscrizione<br />
del datore ai<br />
fini<br />
dell’applicabi-<br />
lità del<br />
contratto<br />
collettivo<br />
nazionale
ai propri dipendenti condizioni economiche inferiori rispetto a quelle<br />
previste dal contratto collettivo. Va da sé che, se questo avvenisse ne<br />
verrebbe svilita la funzione economico-sociale del contratto collettivo (che<br />
nasce proprio per sovvenire alla situazione di debolezza contrattuale del<br />
lavoratore in cui si trova il lavoratore di fronte al datore di lavoro in un<br />
mercato del lavoro a lui sfavorevole).<br />
Così si spiega l’operazione giurisprudenziale “correttiva” delle<br />
conseguenze che si produrrebbero applicando il diritto comune dei<br />
contratti. Un’operazione che si basa sull’applicazione dell’art. 36 della<br />
Costituzione e dell’art. 2099 del codice civile.<br />
L’art. 36 Cost., primo co., dispone: “il lavoratore ha diritto ad una<br />
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni<br />
caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia una esistenza libera e<br />
dignitosa”.<br />
Il primo problema che ha posto la norma costituzionale è se essa fosse da<br />
ritenere “programmatica” (richiedendosi in tal caso un intervento del<br />
legislatore ordinario per renderla operante nei rapporti interprivati) ovvero<br />
“precettiva” (cioè immediatamente applicabile nei suddetti rapporti).<br />
La soluzione in termini di qualificazione precettiva o programmatica non è<br />
scontata. In molti Paesi – pressoché in tutti i Paesi dell’Unione europea,<br />
oltre che negli Usa – vi sono disposizioni legislative che fissano i saggi<br />
minimi di salari, cosicché ben si potrebbe scorgere nell’art. 36 Cost. un<br />
rinvio alla legislazione per la determinazione di una “retribuzione<br />
proporzionata e sufficiente”.<br />
Tuttavia, già dalle prime sentenze degli anni ‘50, la Corte di cassazione<br />
(cfr., tra le tante, Cass. 5 febbraio 1958, n. 338) ha inteso questa norma<br />
come precettiva, cioè immediatamente applicabile ai rapporti interprivati.<br />
Ne consegue che il giudice potrebbe sindacare la clausola retributiva<br />
70<br />
L’estensione<br />
indiretta e<br />
parziale<br />
dell’applica-<br />
zione<br />
del contratto<br />
collettivo ex<br />
art. 36 Cost.
contenuta nel contratto individuale di lavoro al fine di verificare se sia<br />
rispettosa del precetto di cui all’art. 36 Cost. e, in caso contrario,<br />
dichiararla nulla per contrasto con la norma imperativa (ex art. 1418 c.c.).<br />
Ciò posto, occorre evidenziare che la giurisprudenza utilizza normalmente,<br />
come parametro di riferimento della “giusta retribuzione”, conforme ai<br />
criteri di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., i livelli<br />
salariali fissati dai contratti collettivi. La retribuzione determinata dal<br />
contratto collettivo è perciò assistita, secondo l’elaborazione<br />
giurisprudenziale, da una presunzione di conformità all’art. 36 Cost.<br />
La giurisprudenza della Corte di cassazione sottolinea come,<br />
nell’applicazione dell’art. 36 Cost., il riferimento alle clausole retributive<br />
del contratto collettivo sia per il giudice puramente orientativo. Al tempo<br />
stesso, però, ritiene che esso debba fornire adeguata motivazione delle<br />
ragioni per le quali, nello stabilire quale sia la retribuzione proporzionata e<br />
sufficiente, eventualmente si discosti dalle previsioni dei contratti collettivi;<br />
il che attribuisce a questi ultimi, in definitiva, un certo grado di<br />
vincolatività.<br />
I contratti collettivi nazionali di lavoro non distinguono, nel determinare i<br />
livelli retributivi, tra le diverse aree geografiche del Paese. Un datore di<br />
lavoro iscritto all’associazione sindacale firmataria, in qualunque area<br />
geografica si trovi ad operare, dovrà applicarne le previsioni. Ma se il<br />
datore di lavoro non è iscritto e, quindi, in linea teorica, è svincolato<br />
dall’osservanza del contratto collettivo (essendovi egli obbligato solo in via<br />
indiretta, in seguito all’applicazione dell’art. 36 Cost.), si può ipotizzare<br />
che un giudice ritenga proporzionata e sufficiente, per certe aree territoriali<br />
ad es. del Mezzogiorno, una retribuzione inferiore a quella prevista dal<br />
contratto collettivo nazionale. In effetti, qualche decisione (pur a fronte di<br />
altre di segno contrario) ha affermato che il giudice può tenere conto delle<br />
71<br />
Le tariffe<br />
retributive<br />
dei contratti<br />
collettivi<br />
come criterio<br />
orientativo<br />
per il giudizio<br />
La possibilità<br />
di differenziazione<br />
delle<br />
tariffe retributive<br />
a seconda<br />
delle<br />
aree geografiche<br />
del paese
condizioni locali del mercato del lavoro e del costo della vita (Cass. 26<br />
luglio 2001, n. 10260; Cass. 15 novembre 2001, n. 14211).<br />
Ciò posto in ordine al significato delle letture giurisprudenziali dell’art. 36<br />
Cost., occorre ora verificare con quali concrete modalità tale norma viene<br />
applicata. Ipotizziamo che un lavoratore ricorra in giudizio lamentando che<br />
la sua retribuzione non sarebbe proporzionata e sufficiente, con<br />
conseguente nullità della clausola retributiva del contratto individuale (in<br />
quanto contraria all’art. 36 Cost.). Il giudice verificherà se la retribuzione è<br />
conforme a quella prevista dal contratto collettivo e, nel caso in cui essa sia<br />
inferiore ed il giudice ritenga tale scostamento non ragionevole, dichiarerà<br />
la nullità della clausola retributiva del contratto individuale, che sarà<br />
sostituita dalla norma legale (art. 36 Cost.), così come specificata dalla<br />
clausola retributiva contenuta nel contratto collettivo.<br />
L’applicazione dell’art. 36 Cost. non determina, dunque, una diretta<br />
operatività del contratto collettivo sul contratto individuale; semplicemente,<br />
la norma costituzionale funge da norma imperativa che (riempita di<br />
contenuto attraverso il riferimento orientativo alle tariffe fissate dai<br />
contratti collettivi) provoca la nullità della clausola retributiva del contratto<br />
individuale e la sua sostituzione di diritto.<br />
La giurisprudenza fa spesso riferimento anche all’art. 2099 c.c. per<br />
sostenere questa operazione. La parte dell’art. 2099 c.c. che ci interessa è il<br />
secondo comma: “in mancanza di norme corporative o di accordo tra le<br />
parti, la retribuzione è determinata dal giudice tenuto conto del parere delle<br />
associazioni sindacali”.<br />
I giudici ricorrono in tal modo ad un’operazione giustamente definita in<br />
dottrina “barocca”: richiamano l’art. 2099, 2° co. c.c., ed equiparano la<br />
nullità della clausola retributiva del contratto individuale di lavoro,<br />
contrastante con l’art. 36 Cost., alla mancanza di clausola ex art. 2099 c.c.<br />
72
Ma, a ben vedere, questa operazione della giurisprudenza è poco rigorosa,<br />
perché equipara il diverso caso di mancanza della clausola retributiva a<br />
quello della sua nullità (per contrasto con l’art. 36 Cost.); essa è inoltre<br />
inutile, essendo sufficiente utilizzare l’art. 36 Cost., una volta che se ne sia<br />
affermata la natura di norma precettiva.<br />
Resta comunque il fatto che attraverso questa importantissima operazione<br />
giurisprudenziale, che muove dall’art. 36 Cost., si realizza, seppure<br />
indirettamente, un’estensione dell’efficacia del contratto collettivo<br />
(altrimenti teoricamente applicabile, come si è detto, ai soli iscritti ai<br />
sindacati stipulanti).<br />
Questa estensione concerne però solo le clausole retributive (oggetto<br />
dell’art. 36 Cost. è, infatti, solo la retribuzione). Non si può dunque parlare<br />
di un’estensione - sia pure indiretta - della disciplina del contratto collettivo<br />
nella sua interezza. Non solo: sebbene con una tesi giustamente contrastata<br />
in dottrina, alcuni giudici ritengono che unicamente la cd. retribuzione<br />
base sia suscettibile di questa estensione, come se le ulteriori voci<br />
retributive non rientrassero nella nozione di retribuzione proporzionata e<br />
sufficiente (ma autorevole dottrina sostiene la tesi contraria a tale<br />
orientamento giurisprudenziale).<br />
3.4.2. (Segue) Le operazioni estensive del legislatore.<br />
Anche il legislatore, pur non avventurandosi lungo la strada dell’attuazione<br />
dell’art. 39 Cost., ha cercato, in alcuni casi, di estendere l’ambito di<br />
efficacia degli attuali contratti collettivi oltre il limite degli iscritti alle<br />
associazioni sindacali stipulanti.<br />
73
L’intervento più importante in questo senso è rappresentato dalla legge<br />
delega 14 luglio 1959, n. 741. Attraverso questa legge il Parlamento ha<br />
delegato il Governo a fissare minimi inderogabili di trattamento economico<br />
e normativo e, nell’emanazione delle norme, il Governo avrebbe dovuto<br />
uniformarsi “a tutte le clausole dei singoli accordi economici e contratti<br />
collettivi, anche intercategoriali, stipulati dalle associazioni sindacali<br />
anteriormente all’entrata in vigore della legge”.<br />
“Trattamento economico e normativo” è espressione descrittiva, tratta dal<br />
linguaggio sindacale, nel quale si distingue tra retribuzione (trattamento<br />
economico) e altre condizioni di lavoro (trattamento normativo); essa è<br />
priva di una valenza tecnico-giuridica propria. Dal punto di vista giuridico,<br />
l’unica distinzione rilevante è quella, già vista, tra clausole normative e<br />
clausole obbligatorie.<br />
Dando attuazione alla delega, il Governo ha in effetti emanato i decreti<br />
delegati che fissano i minimi di trattamento economico, recependo quanto<br />
previsto dai contratti collettivi. Il Parlamento ha poi reiterato la delega per<br />
un anno e mezzo (legge 1 ottobre 1960, n. 1027). La legge delega e la legge<br />
di proroga di efficacia della delega hanno rappresentato una tecnica di<br />
estensione sostanziale ed indiretta dell’ambito di efficacia soggettiva dei<br />
contratti collettivi (infatti, venendone travasato il contenuto all’interno di<br />
un decreto legislativo, essi assumevano necessariamente efficacia erga<br />
omnes). Si è pertanto posto un problema di legittimità costituzionale, per<br />
contrasto della legge delega n. 741/1959 e della successiva legge n.<br />
1027/1960, con il disposto dell’art. 39, 2°, 3°, 4° co., sul presupposto che la<br />
legge delega (e la legge di proroga della delega) avrebbero determinato una<br />
sostanziale elusione della seconda parte dell’art. 39 Cost., attribuendo di<br />
fatto efficacia erga omnes ai contratti collettivi secondo modi e forme<br />
diversi da quelli prefigurati dalla Costituzione.<br />
74<br />
I minimi di<br />
trattamento<br />
“economico e<br />
normativo”<br />
ex l. n. 74 del<br />
1959
La Corte costituzionale, investita della questione, ha respinto – con la<br />
sentenza 19 dicembre 1962, n. 106 – l’eccezione di illegittimità<br />
costituzionale sollevata nei riguardi della legge n. 741/59, accogliendola<br />
invece per l’art. 2 della legge di proroga del 1960. La Corte ha elaborato la<br />
tesi della cd. costituzionalità provvisoria. Secondo la Consulta, il<br />
meccanismo ex lege n. 741/59 può considerarsi come un meccanismo<br />
provvisorio per raggiungere lo stesso effetto che conseguirebbe<br />
dall’attuazione dell’art. 39 della Cost., nell’attesa che ciò avvenga. Ma se il<br />
sistema da provvisorio tende a diventare permanente – come sarebbe<br />
dimostrato dalla legge di proroga dell’efficacia temporale della delega –<br />
allora se ne dovrebbe affermare l’incostituzionalità.<br />
Peraltro, il ragionamento sotteso a questa pronuncia della Corte<br />
costituzionale non è esente da un’imprecisione logica, perché fa coincidere<br />
la “provvisorietà” con l’unicità della delega: non può, in altri termini,<br />
escludersi la provvisorietà solo perché il legislatore con legge successiva ha<br />
“prorogato” la delega. In realtà la Corte ha voluto impedire in radice la<br />
reiterazione di un meccanismo che, se lasciato operare nel tempo, avrebbe<br />
effettivamente eluso quanto previsto dall’art. 39 Cost.<br />
Di tutt’altro tipo è la vicenda legislativa relativa all’estensione indiretta<br />
dell’efficacia dei contratti collettivi aziendali, conseguita mediante<br />
l’applicazione dell’art. 36 dello Statuto dei lavoratori. Tale norma<br />
prevede che, nei provvedimenti di concessione di benefici finanziari a<br />
carico dello Stato e nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione di opere<br />
pubbliche, debba essere inserita una clausola esplicita che obblighi il<br />
beneficiario o l’appaltatore ad applicare trattamenti non inferiori a quelli<br />
stabiliti dai contratti collettivi. Conseguentemente, il beneficiario e<br />
l’appaltatore hanno l’onere di applicare “condizioni non inferiori a quelle<br />
75<br />
Incostituzio-<br />
nalità della<br />
proroga della<br />
delega: la<br />
teoria della<br />
costituziona-<br />
lità<br />
provvisoria<br />
Onere di<br />
applicazione<br />
dei minimi<br />
contrattuali<br />
per<br />
appaltatori di<br />
opere<br />
pubbliche e<br />
beneficiari di<br />
agevolazioni<br />
finanziare a<br />
carico dello<br />
Stato ex art.<br />
36 St. lav.
isultanti dai contratti collettivi” indipendentemente dalla loro iscrizione ai<br />
sindacati.<br />
Trattasi in definitiva di un’altra ipotesi di estensione dell’efficacia dei<br />
contratti collettivi oltre gli appartenenti alle associazioni sindacali<br />
stipulanti. In questo caso, però, non si pone il problema di costituzionalità:<br />
con riferimento all’art. 36 St. lav. non si può parlare di efficacia<br />
obbligatoria del contratto collettivo, perché l’art. 36 non fonda un obbligo<br />
in capo a soggetti non iscritti alle associazioni sindacali di applicarlo:<br />
l’applicazione di trattamenti non inferiori a quelli stabiliti dai contratti<br />
collettivi costituisce, infatti, solamente un onere per l’imprenditore che<br />
voglia accedere a questi benefici o aggiudicarsi l’appalto.<br />
La tecnica di estensione de facto (indiretta) dell’efficacia del contratto<br />
collettivo è stata applicata nel tempo anche in altri casi (ad es., in<br />
determinati periodi, per la fiscalizzazione degli oneri di previdenza sociale<br />
a carico del datore di lavoro).<br />
3.5. Inderogabilità del contratto collettivo da parte del contratto<br />
individuale.<br />
Per capire come il contratto collettivo spieghi efficacia sul contratto<br />
individuale si è fatto ricorso al meccanismo della rappresentanza (le<br />
associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo sarebbero<br />
rappresentanti dei singoli datori di lavoro e lavoratori).<br />
Se utilizziamo l’istituto della rappresentanza, dobbiamo però concludere<br />
che il singolo lavoratore ed il singolo datore di lavoro, pur essendo iscritti<br />
alle rispettive associazioni sindacali, possono, stipulando il contratto<br />
individuale di lavoro, regolare diversamente il loro rapporto rispetto a<br />
76
quanto stabilito dal contratto collettivo, perché, essendo i rappresentati i<br />
domini negotii, hanno la piena titolarità del potere contrattuale. Così<br />
verrebbe, però, del tutto vanificata la funzione economico-sociale del<br />
contratto collettivo (che consiste, come più volte ribadito, nel rimuovere la<br />
debolezza negoziale dei lavoratori uti singuli nei confronti dei datori di<br />
lavoro).<br />
L’insufficienza di questa soluzione, fondata sul solo istituto civilistico della<br />
rappresentanza, ha portato prima la dottrina e poi la giurisprudenza a<br />
negarne la validità e a cercare di fondare comunque, con diverse<br />
argomentazioni, l’inderogabilità in peius del contratto collettivo da parte<br />
del contratto individuale.<br />
In un primo tempo, un civilista, Francesco Santoro Passarelli ha fatto<br />
riferimento alla normativa sul mandato conferito anche nell’interesse del<br />
mandatario o di terzi, ex art. 1723, 2° co., c.c. Questa dottrina si è basata<br />
sull’irrevocabilità del mandato conferito anche nell’interesse del<br />
mandatario o di terzi per argomentare l’inderogabilità del contratto<br />
collettivo. Poiché, in base all’art. 1723 c.c., il mandato conferito anche<br />
nell’interesse del mandatario o di terzi “non si estingue per revoca del<br />
mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta causa di<br />
revoca”, se ne è inferita la superiorità dell’interesse collettivo sull’interesse<br />
individuale e, dunque, l’inderogabilità del contratto collettivo da parte del<br />
contratto individuale.<br />
Altra dottrina (A. Cessari) ha elaborato la teoria della dismissione dei<br />
poteri negoziali: i lavoratori e i datori di lavoro, nel momento in cui si<br />
iscrivono al sindacato, dismetterebbero il proprio potere di regolazione<br />
autonoma del rapporto contrattuale. Ammettendo che ciò sia vero - vale a<br />
dire che l’iscrizione al sindacato possa essere interpretata come dismissione<br />
del proprio potere di regolazione autonoma del rapporto di lavoro - ne<br />
77<br />
Il fondamento<br />
della<br />
inderogabilità<br />
in peius<br />
La normativa<br />
sul<br />
concordato<br />
collettivo e la<br />
prevalenza<br />
dell’interesse<br />
individuale<br />
su quello<br />
collettivo<br />
La teoria della<br />
dismissione dei<br />
poteri
conseguirebbe, tuttavia, unicamente l’obbligo dei singoli lavoratori e dei<br />
singoli datori di lavoro di mantenere ferma la disciplina posta a livello<br />
collettivo. Nel momento in cui i singoli stipulassero un contratto<br />
individuale difforme da quanto previsto dal contratto collettivo, non si<br />
potrebbe in alcun modo argomentare la nullità delle clausole difformi del<br />
contratto individuale; nullità che potrebbe derivare solo dalla violazione di<br />
una norma imperativa. Quand’anche questa costruzione, così come quella<br />
precedente, fosse fondata, ne potrebbe conseguire solo una responsabilità<br />
(di tipo risarcitorio) nei confronti dell’associazione sindacale, per non aver<br />
tenuta ferma la disciplina collettiva, non la nullità delle clausole individuali<br />
difformi.<br />
Per poter argomentare l’efficacia reale del contratto collettivo sul contratto<br />
individuale (cioè appunto la nullità delle clausole individuali difformi e<br />
l’automatica sostituzione con quelle del contratto collettivo) occorrerebbe<br />
una norma di legge che attribuisse al contratto collettivo la stessa forza<br />
della norma imperativa. Come si ricorderà, questa era la conclusione cui<br />
già perveniva Messina, ragionando, nel periodo pre-corporativo,<br />
unicamente sulla base del diritto comune (vedi retro cap. I, par. 4).<br />
La giurisprudenza ritiene di poter rinvenire questa norma nell’art. 2077 c.c.<br />
di cui afferma la perdurante vigenza. La disposizione, così come tutte le<br />
disposizioni del codice civile sul contratto collettivo, disciplina il contratto<br />
collettivo stipulato nel periodo corporativo, affermando il principio della<br />
inderogabilità in peius del contratto collettivo ad opera del contratto<br />
individuale. Secondo la giurisprudenza, la norma è applicabile (ed<br />
addirittura in via diretta e non analogica) anche agli odierni contratti<br />
collettivi cd. di diritto comune, perché l’inderogabilità sarebbe una<br />
caratteristica intrinseca ad ogni contratto collettivo, senza la quale esso<br />
78<br />
La giurisprudenza<br />
e la tesi<br />
della perdurante<br />
vigenza<br />
dell’art. 2077<br />
c.c.
perderebbe la sua tipica funzione economico-sociale di tutela del lavoratore<br />
- contraente debole.<br />
La dottrina ha, peraltro, sempre criticato questo orientamento, affermando<br />
che la giurisprudenza dà per scontato quel che invece sarebbe da<br />
dimostrare: cioè la coessenzialità del requisito della inderogabilità in peius<br />
ad ogni tipo di contratto collettivo.<br />
Si intende, neppure la dottrina dubita dell’inderogabilità del contratto<br />
collettivo da parte del contratto individuale; e la storia dell’inderogabilità è<br />
la storia dei tentativi dottrinali di fondarla.<br />
Per argomentare l’efficacia reale del contratto collettivo, la dottrina<br />
attualmente si basa sul disposto dell’art. 2113 c.c., novellato dalla legge 11<br />
agosto 1973, n. 533, che ha riformato il processo del lavoro e che<br />
stabilisce: “Le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del<br />
prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei<br />
contratti o accordi collettivi, concernenti i rapporti di cui all’art. 409 del<br />
codice di procedura civile, non sono valide”.<br />
Nel 1973, il legislatore mette dunque sullo stesso piano le disposizioni<br />
inderogabili della legge e quelle del contratto collettivo: dall’art. 2113 c.c.<br />
può desumersi che le disposizioni del contratto collettivo non dichiarate<br />
derogabili dalle parti concorrono a definire la disciplina del rapporto<br />
individuale di lavoro alla stessa stregua delle disposizioni inderogabili di<br />
legge.<br />
La dottrina ha dunque trovato finalmente nell’art. 2113 c.c. il fondamento<br />
dell’inderogabilità in peius (e della derogabilità in melius) del contratto<br />
collettivo, cui la giurisprudenza, come visto, arriva per altra via, cioè<br />
applicando l’art. 2077 c.c.<br />
In altre parole, nella soluzione del problema del rapporto tra contratto<br />
collettivo e contratto individuale, giurisprudenza e dottrina pervengono alla<br />
79<br />
La desumibilità<br />
della regola<br />
della<br />
inderogabilità<br />
in peius<br />
dall’art. 2113<br />
c.c.
medesima conclusione, pur divergendo per le argomentazioni utilizzate per<br />
affermarla.<br />
***<br />
Una volta stabilito che, nei rapporti tra contratto collettivo - ovviamente<br />
applicabile tra le parti - e contratto individuale, la regola è quella della<br />
derogabilità in melius e della inderogabilità in peius, si pone il problema<br />
di stabilire, in concreto, se, in caso di disciplina difforme del contratto<br />
individuale rispetto a quello collettivo, questa sia migliorativa ovvero<br />
peggiorativa per il lavoratore.<br />
Astrattamente, il raffronto potrebbe essere effettuato in due diversi modi: si<br />
potrebbe procedere ad un raffronto del contenuto dei due contratti nella<br />
loro interezza; ovvero procedere ad un confronto analitico clausola per<br />
clausola.<br />
Entrambi i metodi di raffronto sono criticabili. Il primo criterio, quello del<br />
confronto globale, è impraticabile perché vorrebbe mettere a confronto<br />
disposizioni del tutto eterogenee e quindi incommensurabili (ad es., misura<br />
della retribuzione e durata delle ferie).<br />
Il secondo criterio, quello del raffronto clausola per clausola, è, a sua volta,<br />
inappagante, poiché cogliendo il fior da fiore, cioè cumulando il meglio del<br />
contratto collettivo con il meglio del contratto individuale, finisce per<br />
costruire un regolamento di interessi non voluto né dai contraenti collettivi<br />
né dai contraenti individuali.<br />
Non a caso è dunque prevalso un criterio intermedio: il raffronto va<br />
effettuato istituto per istituto. Non si procede, dunque, ad un raffronto tra<br />
l’intero contenuto dei due contratti, né un raffronto clausola per clausola,<br />
ma per l’insieme omogeneo di clausole che costituiscono “un istituto” (ad<br />
es. la malattia).<br />
80<br />
I criteri di<br />
raffronto tra<br />
contratto<br />
collettivo e<br />
contratto<br />
individuale<br />
Raffronto<br />
istituto per<br />
istituto
Col che non si sono risolti tutti i problemi perché incerti sono anche i<br />
confini di ciò che si deve intendere per istituto. Prendiamo ad esempio la<br />
retribuzione. La struttura della retribuzione, così come viene determinata<br />
dai contratti collettivi, è complessa, essendo essa composta da diversi<br />
elementi. Alla retribuzione base si affiancano una serie di emolumenti e di<br />
indennità di natura retributiva, variamente denominate (ad es. tredicesima<br />
mensilità, supplemento per lavoro festivo, indennità di turno, supplemento<br />
per il lavoro straordinario, ecc.). Si pone, pertanto, il problema di stabilire<br />
se la retribuzione nel suo complesso debba considerarsi come un istituto<br />
unico oppure se le singole componenti siano esse stesse da considerarsi<br />
come istituti distinti (con la conseguenza che, se si ritenesse, ad esempio, il<br />
compenso per lavoro straordinario come un istituto autonomo, non si<br />
potrebbe compensare l’eventuale minor supplemento per lo straordinario<br />
previsto dal contratto individuale con altri elementi retributivi migliorativi).<br />
La tesi assolutamente prevalente è che la retribuzione nel suo complesso sia<br />
un istituto unico: ciò che rileva è che la retribuzione complessivamente<br />
dovuta in base al contratto individuale non sia inferiore alla retribuzione<br />
complessivamente prevista sulla base del contratto collettivo.<br />
Il rilievo di tale orientamento è evidente rispetto al problema del cd.<br />
assorbimento dei superminimi. Supponiamo che il contratto collettivo<br />
preveda, a fronte dello svolgimento di una determinata mansione, una<br />
retribuzione pari a 100, mentre il contratto individuale preveda una<br />
retribuzione pari a 120. La differenza, pari a 20, costituisce il cd.<br />
superminimo, cioè la quota della retribuzione ottenuta in sede di<br />
negoziazione individuale, che si aggiunge a quella minima inderogabile<br />
dovuta sulla base del contratto collettivo.<br />
Se, a seguito del rinnovo del contratto collettivo, la retribuzione ivi prevista<br />
viene portata a 110, il lavoratore conserverà il superminimo di 20 (con<br />
81<br />
La regola del<br />
riassorbimento<br />
dei<br />
superminimi<br />
retributivi
etribuzione finale pari a 130) o vi sarà un assorbimento di tutto o parte del<br />
superminimo nella retribuzione base? La giurisprudenza tende a ritenere<br />
che la regola sia quella dell’assorbimento: il lavoratore, a meno che non<br />
dimostri (incombendo su di lui l’onere della prova) che quel superminimo è<br />
stato pattuito intuitu personae, per particolari meriti individuali (Cass. 22<br />
gennaio 1979, n. 491, Cass. 11 ottobre 1989, n. 4064), conserverà così una<br />
retribuzione complessiva sempre pari a 120.<br />
Questo orientamento della giurisprudenza è appunto determinato dal fatto<br />
che si considera la retribuzione come un istituto unitario, mettendo a<br />
confronto l’intero livello retributivo previsto dal contratto collettivo con<br />
l’intero livello retributivo previsto dal contratto individuale. Se si ritenesse,<br />
al contrario, che la retribuzione-base e il superminimo fossero istituti<br />
distinti si dovrebbe arrivare alla soluzione opposta, vale a dire quella del<br />
cumulo e non dell’assorbimento.<br />
3.6. La successione dei contratti collettivi nel tempo e il problema dei<br />
diritti quesiti.<br />
Il principio della inderogabilità in peius opera solo nei rapporti tra<br />
contratto collettivo e contratto individuale di lavoro; esso non opera nel<br />
caso di successione di contratti collettivi nel tempo (un contratto<br />
collettivo successivo può modificare in peius per il lavoratore il trattamento<br />
previsto dal precedente contratto collettivo, senza che possa ostarvi il<br />
principio dei cd. diritti acquisiti). Non esiste infatti un diritto alla<br />
intangibilità del regolamento contrattuale.<br />
Questa conclusione risulta chiara se si considera che il contratto collettivo<br />
non si “incorpora” nel contratto individuale. Il contratto collettivo<br />
82<br />
Il contratto<br />
collettivo<br />
conforma<br />
dall’esterno il<br />
contratto<br />
individuale e<br />
non si<br />
“incorpora”<br />
in esso
conforma solamente dall’esterno, operando al pari di una norma imperativa<br />
di legge, il contenuto del contratto individuale di lavoro e non si incorpora<br />
in esso, come per un certo tempo erroneamente si era creduto. Di<br />
conseguenza è ben possibile che un contratto collettivo modifichi<br />
peggiorativamente, per il futuro, il trattamento previsto da un contratto<br />
collettivo precedente.<br />
Di diritto quesito si può parlare propriamente e correttamente in un altro<br />
senso: cioè nel senso che il contratto collettivo non può disporre dei diritti<br />
che sono già maturati e entrati nel patrimonio del lavoratore sulla base della<br />
preesistente regolamentazione contrattuale.<br />
Si ipotizzi che il contratto collettivo preveda una retribuzione pari a 100 e<br />
che un successivo contratto collettivo preveda una retribuzione pari a 80. Si<br />
ponga anche l’ipotesi che questo successivo contratto collettivo preveda la<br />
propria efficacia retroattiva (il che è perfettamente ammissibile perché l’art.<br />
11, 2° co., delle disposizioni preliminari del codice civile, in base al quale<br />
“i contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro efficacia una<br />
data anteriore alla pubblicazione, purché non preceda quella della<br />
stipulazione”, concerne solo i contratti collettivi corporativi).<br />
Il contratto collettivo peggiorativo con efficacia retroattiva incontra,<br />
appunto, il limite dei diritti quesiti (nel caso di specie, il diritto già maturato<br />
ad una retribuzione pari a 100). Infatti, il contratto collettivo successivo<br />
può sempre modificare in peius quello precedente, ma solo per il futuro. Il<br />
contratto collettivo non può invece incidere sul passato o, per meglio dire,<br />
sui diritti dei lavoratori che siano già sorti e siano già entrati nel patrimonio<br />
giuridico di questi ultimi.<br />
La regola – tradizionale – della indisponibilità da parte del contratto<br />
collettivo dei diritti quesiti dei lavoratori non discende dall’art. 2113 c.c.<br />
che si limita a disciplinare gli atti di disposizioni individuali; essa discende<br />
83<br />
La<br />
successione<br />
di contratti<br />
collettivi e il<br />
problema dei<br />
diritti quesiti
sostanzialmente dall’interpretazione del contenuto mandato sindacale,<br />
poiché si ritiene che il mandato conferito dai lavoratori al sindacato<br />
comprenda solo il potere di regolare rapporti di lavoro, non di disporre dei<br />
diritti già entrati a far parte del patrimonio dei singoli. Una disposizione di<br />
tali diritti necessiterebbe di un atto individuale (nei limiti dell’art. 2113<br />
c.c.).<br />
Nulla vieta invece al contratto collettivo, come detto, di introdurre per il<br />
futuro un trattamento peggiore di quello previsto dal precedente contratto<br />
collettivo, poiché in tal caso il lavoratore non è ancora titolare di un diritto<br />
(che in effetti non è ancora maturato), ma di una mera aspettativa alla<br />
percezione, in futuro, di un certo trattamento economico.<br />
Il problema dei diritti quesiti nasce, non soltanto con riguardo ai contratti<br />
collettivi peggiorativi con efficacia retroattiva, ma anche con riguardo ai<br />
cd. contratti collettivi transattivi. Poniamo il caso che sorga una<br />
controversia sull’interpretazione di una clausola del contratto collettivo<br />
relativa, ad esempio, ad un elemento della retribuzione. Le parti contrattuali<br />
che avevano stipulato il contratto collettivo su cui è sorta la controversia<br />
possono comporla stipulando un nuovo contratto, appunto, transattivo, in<br />
cui si prevede che i lavoratori, per il passato, abbiano diritto a percepire una<br />
determinata somma, mentre per il futuro varrà una nuova disciplina della<br />
materia.<br />
È evidente che i contratti collettivi transattivi finiscono per scontrarsi con il<br />
principio dei diritti quesiti, per la parte in cui vanno ad incidere su diritti<br />
già maturati ed entrati a far parte del patrimonio dei lavoratori. Ed analogo<br />
problema sorge per i contratti collettivi interpretativi.<br />
84<br />
I contratti<br />
collettivi<br />
transattivi e<br />
interpretativi
3.7. Il rapporto tra legge e contratto collettivo.<br />
Il contratto collettivo è un atto giuridico del tutto peculiare, che si può<br />
definire al tempo stesso contratto ed atto normativo. Infatti, pur operando<br />
sul contratto individuale alla stregua di una norma imperativa di legge, esso<br />
rimane pur sempre un contratto e da questa qualificazione contrattuale<br />
discende una serie di conseguenze.<br />
Talora si discute se esso possa essere considerato una fonte e, in caso<br />
positivo, quale tipo di fonte. Certamente non può essere considerato una<br />
fonte di diritto obiettivo, come il contratto collettivo corporativo,<br />
espressamente incluso nell’elenco delle fonti dall’art. 1 delle disposizioni<br />
preliminari del codice civile (“Sono fonti del diritto: 1. le leggi; 2. i<br />
regolamenti; 3. le norme corporative; 4. gli usi”).<br />
Neppure può essere considerato assurto tra le fonti del diritto in seguito al<br />
d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che ha introdotto, tra i motivi di ricorso per<br />
cassazione, la violazione o la falsa applicazione dei “contratti e accordi<br />
collettivi nazionali di lavoro”, estendendo così il regime già previsto per il<br />
pubblico impiego (v. ora art. 63 ult. co. d. lgs. 165/2001) anche al contratto<br />
collettivo nel settore privato. La norma non necessariamente implica che il<br />
contratto collettivo sia considerato come fonte: la funzione nomofilattica<br />
della Corte di cassazione si può spiegare con la necessità di controllare<br />
tanto l’interpretazione quanto l’applicazione di tutte le norme giuridiche<br />
provviste di un certo grado di generalità, comprendendo in tale categoria<br />
anche le norme poste da fonti extrastatuali (così la dottrina processualistica,<br />
in particolare B.Sassani).<br />
Ad esempio, al contratto collettivo si applicano le disposizioni dettate dal<br />
codice civile per l’interpretazione dei contratti (artt. 1362 ss. c.c.). Ancora,<br />
poiché il contratto collettivo è un atto di autonomia privata non vale il<br />
85<br />
Il contratto<br />
collettivo non<br />
è fonte di<br />
diritto<br />
obiettivo<br />
Contratto<br />
collettivo e<br />
ricorribilità in<br />
Cassazione<br />
Contratto<br />
collettivo e<br />
interpretazione
principio iura novit curia e, dunque, chi agisce in giudizio sulla base dello<br />
stesso ha l’onere di produrlo.<br />
Inoltre, il contratto collettivo è sottordinato rispetto alla legge: le sue<br />
clausole non possono derogare a norme imperative di legge. Più<br />
precisamente, il contratto collettivo (come quello individuale) non può<br />
derogare in peius alle norme imperative di legge, mentre può derogarvi in<br />
melius.<br />
L’inderogabilità è dunque relativa, non assoluta, essendo vietate solo le<br />
deroghe peggiorative per il lavoratore. La regola dell’inderogabilità<br />
unilaterale risponde alla stessa natura del diritto del lavoro, che nasce come<br />
disciplina protettiva dei lavoratori. Una disposizione che deroghi in melius<br />
ad una norma imperativa di legge non si pone perciò in contrasto con<br />
quest’ultima, giacché non fa altro che sviluppare il programma protettivo<br />
del lavoratore contenuto nelle stesse disposizioni di legge.<br />
Se questa è la regola generale che governa i rapporti tra legge ed<br />
autonomia collettiva, va tuttavia osservato che essa incontra alcune<br />
eccezioni.<br />
In certi casi, infatti, la legge ha consentito ai contratti collettivi di disporre<br />
anche in peius rispetto alla stessa (v. da ultimo art. 8, l. n. 148/2011); in<br />
altri casi la legge ha previsto la sua inderogabilità assoluta, con<br />
conseguente nullità delle clausole dei contratti collettivi derogative sia in<br />
peius sia in melius (come è avvenuto, ad es., per quelle disposizioni che<br />
hanno posto tetti massimi alla dinamica dell’indennità di contingenza, con<br />
il fine di contenere l’andamento del costo del lavoro e, attraverso di esso,<br />
dell’inflazione: cfr. legge 31 marzo 1977, n. 91; legge 12 giugno 1984, n.<br />
219; legge 26 febbraio 1986, n. 38).<br />
Negli anni ’90 del secolo scorso il legislatore ha spesso consentito in<br />
ipotesi specifiche (v. ad es. art. 4, co. 11°, l. n. 223 del 1991), ai contratti<br />
86<br />
La regola<br />
della<br />
inderogabilità<br />
in peius delle<br />
norme<br />
interpretative<br />
di legge<br />
L’emergere di<br />
norme<br />
semimperative<br />
in quanto<br />
derogabili<br />
anche in peius<br />
dai contratti<br />
collettivi<br />
L’art. 8 della<br />
l. n. 148 del<br />
2011
collettivi di derogare a norme imperative di legge, flessibilizzandone il<br />
contenuto (si è aperta in quel periodo la stagione della flessibilità<br />
contrattata o controllata dal sindacato); con l’art. 8, della l. n. 148 del 2011<br />
si è attribuito ai contrati collettivi, però solo aziendali e territoriali, il potere<br />
di derogare non solo alle disposizioni contenute nei contratti nazionali ma<br />
anche alle disposizioni imperative di legge in una ampia serie di materie;<br />
disposizioni che così divengono semimperative.<br />
A questi contratti è stata attribuita anche efficacia erga omes. L’ampiezza<br />
delle materie nell’ambito delle quali la disciplina è derogabile dai contratti<br />
collettivi indica una chiara tendenza alla ritrazione delle norme<br />
inderogabili, sul presupposto dell’esistenza di un doppio livello di<br />
imperatività: quello irrinunciabile, segnato dalle norme costituzionali<br />
comunitarie ed internazionali, e quello derivante dalla legge ordinaria su<br />
cui il legislatore può sempre incidere. E in questo caso egli l’ha fatto<br />
indirettamente, accordando tale potere ai contratti collettivi.<br />
Nel caso di norma di legge che fissi tetti massimi alla contrattazione<br />
collettiva sancendo la propria assoluta inderogabilità, si pone un problema<br />
di legittimità costituzionale, giacché il principio di libertà sindacale, di cui<br />
al 1° co. dell’art. 39 Cost., implica, come si è visto, anche la libertà di<br />
azione sindacale, che a sua volta implica la libertà di contrattazione.<br />
In effetti, con riferimento alle norme introdotte in materia di indennità di<br />
contingenza, tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, del secolo<br />
scorso, la Corte costituzionale è stata investita a più riprese della questione.<br />
In un primo momento, la Corte costituzionale (cfr. Corte cost. n. 141/1980)<br />
ha “eluso” il problema, limitandosi ad osservare che, fino a quando l’art. 39<br />
Cost. non fosse attuato, non si porrebbe nemmeno il problema del contrasto<br />
tra attività normativa del Parlamento e attività normativa del sindacato (ma<br />
l’argomentazione non convince, perché l’ipotizzato contrasto non<br />
87<br />
Eccezioni<br />
alla regola<br />
della<br />
derogabilità<br />
in melius: i<br />
cd. massimi<br />
legislativi
iguardava la seconda parte dell’art. 39 Cost., bensì il primo comma, che è<br />
norma immediatamente precettiva).<br />
In una seconda sentenza (v. Corte cost. n. 34/1985) la Corte ha avuto modo<br />
di effettuare un’ulteriore precisazione: dall’art. 39 Cost. non deriva una<br />
riserva di competenza normativa a favore delle associazioni sindacali in<br />
materia di lavoro e, là dove interessi generali debbano essere perseguiti, il<br />
legislatore può sempre intervenire, anche limitando l’azione contrattuale<br />
delle associazioni sindacali. E’ stato però lasciato in ombra il problema dei<br />
limiti all’intervento legislativo.<br />
Solo successivamente, nella sentenza n. 697 del 1988, la giurisprudenza ha<br />
cominciato ad affrontare anche questo profilo, per trattarne infine in modo<br />
consapevole nella sentenza Corte cost. n. 124 del 1991 (nonostante che la<br />
questione di legittimità costituzionale fosse stata in questo caso sollevata in<br />
relazione all’art. 36 Cost.). Sebbene riferita alle limitazioni legali del<br />
meccanismo d’indicizzazione dei salari, contenuto nel d.l. 1 febbraio 1977,<br />
n. 12, la decisione contiene indicazioni che vanno ben oltre la specifica<br />
questione esaminata, in particolare il monito che interventi coercitivi da<br />
parte della legge, sotto forma di limiti massimi alla contrattazione<br />
collettiva, sono ammissibili solo per ragioni eccezionali, o in situazioni di<br />
emergenza, e di conseguenza devono essere di natura transitoria.<br />
3.8. Gli accordi di concertazione.<br />
La cd. politica concertativa ha interessato il nostro diritto sindacale dagli<br />
anni ’80 in poi. Inizialmente, nell’ambito della politica dei redditi, si sono<br />
stipulati accordi tra le cd. “parti sociali” (cioè le associazioni sindacali dei<br />
datori di lavoro e quelle dei lavoratori) da una parte, ed il Governo,<br />
dall’altra: si è trattato di accordi trilaterali, per i quali viene utilizzato il<br />
88<br />
Le politiche<br />
concertative<br />
dagli anni ’80<br />
in poi
nome di “protocolli”, generalmente finalizzati, come si è detto, alla<br />
definizione delle politiche dei redditi.<br />
Il primo, più significativo, accordo di concertazione è quello del 22 gennaio<br />
1983. Anche il famoso Protocollo del 23 luglio 1993 è un accordo di<br />
concertazione, perché contiene, non solo una parte relativa alle RSU e agli<br />
assetti della contrattazione collettiva, ma anche una parte che specifica gli<br />
impegni, assunti dal Governo, in materia di politica fiscale, di politica<br />
tariffaria, etc.<br />
Nel 1998 con il cd. “Patto di Natale” (stipulato il 22 dicembre) addirittura il<br />
metodo concertativo viene delineato come strutturale: vi si prevede infatti<br />
che, per le materie di politica sociale che comportino un impegno a carico<br />
del bilancio dello Stato, il Governo proceda ad un confronto preventivo con<br />
le parti sociali, stabilendo anche il termine per la formulazione di<br />
valutazioni ed eventuali proposte collettive. Sostanzialmente tutte le<br />
decisioni che attengono alla politica sociale dovrebbero, in base<br />
all’accordo, passare attraverso questo tavolo concertativo.<br />
Il Libro bianco sul mercato del lavoro dell’ottobre 2001 (che contiene le<br />
linee di politica del lavoro del governo allora in carica) adotta, nei confronti<br />
della concertazione, un atteggiamento ambiguo. Da un lato, preferisce<br />
usare l’espressione dialogo sociale in luogo dell’espressione abituale<br />
“concertazione”, mutuando la nuova terminologia dal contesto comunitario.<br />
In effetti, il Trattato istitutivo della Comunità europea, modificato con il<br />
Trattato di Amsterdam nel 1999, prevede che, prima di assumere una<br />
qualsiasi iniziativa di tipo legislativo in materia di politica sociale, la<br />
Commissione convochi le associazioni sindacali europee dei lavoratori e<br />
dei datori di lavoro, chiedendo se non intendano adottare esse stesse una<br />
disciplina di natura contrattual-collettiva. Questa eventuale disciplina<br />
89<br />
Dalla<br />
concertazione<br />
al dialogo<br />
sociale
contrattuale può essere recepita poi in una decisione del Consiglio (art. 155<br />
TFUE).<br />
Dunque, il Libro bianco mutua il termine dialogo sociale dal diritto<br />
comunitario. La soluzione del Libro bianco si ispira alla metodologia<br />
comunitaria: solo nel caso di rifiuto delle parti sociali di impegnarsi in un<br />
negoziato, l’iniziativa legislativa promanante dal Governo o dalla Regione<br />
potrà prendere il suo corso. Nel caso, invece, in cui un negoziato sia<br />
concluso positivamente, si prevede l’impegno del Governo alla recezione<br />
legislativa dell’accordo tra le parti sociali.<br />
L’uso dell’espressione dialogo sociale, in luogo di concertazione, sembra<br />
sottendere una visione politica differente, perché la politica concertativa<br />
mirava di fatto alla ricerca di un consenso tra le parti sociali, come<br />
presupposto necessario per poter legiferare. Qui invece si prevede<br />
espressamente l’ipotesi di una mancanza di accordo: le materie inerenti alla<br />
politica sociale devono essere prima sottoposte all’attenzione della parti<br />
sociali, ma, nel caso in cui non venga raggiunto un accordo tra esse, ciò<br />
non può costituire un ostacolo all’intervento legislativo dello Stato o delle<br />
Regioni.<br />
Inoltre, si prevede addirittura l’ipotesi di mancanza di accordo dovuta a<br />
dissenso tra le associazioni sindacali situate, per così dire, sullo stesso<br />
versante (ad es. tra le diverse associazioni sindacali dei lavoratori). Così<br />
prevede il Libro bianco: “naturalmente l’adozione di tale metodologia (…)<br />
non può compromettere la rapidità del procedimento decisionale. In caso di<br />
disaccordo tra gli stessi attori sociali sarà necessario ricorrere alla regola<br />
della maggioranza, senza pretendere unanimismi che pregiudicherebbero il<br />
buon funzionamento dello stesso dialogo sociale”.<br />
E’ da notare che dopo il Libro bianco è stato stipulato, nel luglio 2002, il<br />
cd. “Patto per l’Italia”, anch’esso un accordo concertativo, che contiene<br />
90
alcune previsioni da adottarsi in materia di politica dei redditi e politica<br />
sociale. Questo accordo è stato concluso tra il Governo, da una parte, e le<br />
parti sociali, dall’altra, ad eccezione della CGIL. Si può dunque constatare<br />
il mutamento di linea politica, che non cerca l’unanimità dei consensi.<br />
L’accordo quadro del 22 gennaio 2009, rispetto al protocollo del 23 luglio<br />
1993, ha una natura “pura” di accordo interconfederale (ed analogamente<br />
l’accordo del 28 giugno 2011): il Governo non è presente come terzo che<br />
mette a disposizione risorse normative e finanziarie come, appunto, nel<br />
protocollo del 23 luglio 1993. Incidentalmente si ricordi, peraltro, che<br />
l’accordo del 2009 non è stato sottoscritto dalla CGIL.<br />
Così inquadrati gli accordi concertativi nel quadro della politica sindacale,<br />
dal punto di vista giuridico occorre valutarli alla luce delle norme<br />
costituzionali.<br />
Il punto di partenza, per affrontare la questione, è la sentenza della Corte<br />
costituzionale del 7 febbraio 1985, n. 34. In tale occasione, la Consulta ha<br />
avuto modo di precisare che gli accordi di concertazione - nei quali il<br />
Governo compare, non come mero mediatore, bensì come soggetto che<br />
assume in proprio una serie di impegni politici - non rientrano nel quadro<br />
delineato dall’art. 39 della Costituzione, perché non si tratta di<br />
contrattazione collettiva in senso proprio.<br />
Ciò ovviamente non significa che gli accordi di concertazione, pur non<br />
ricadendo sotto la protezione dell’art. 39 Cost., contrastino con il quadro<br />
costituzionale. Invero, taluno si è chiesto se da questi accordi di<br />
concertazione non nasca una limitazione del potere legislativo. Ma<br />
l’impegno che il Governo assume è un impegno di carattere politico, a<br />
presentare disegni di legge e ad adoperarsi affinché il Parlamento approvi<br />
provvedimenti legislativi che siano coerenti con gli accordi presi,<br />
rimanendo in ogni caso indiscussa la sovranità del Parlamento.<br />
91<br />
La<br />
collocazione<br />
degli accordi di<br />
concertazione<br />
nel quadro<br />
costituzionale
Al di là della loro qualificazione rispetto al quadro costituzionale, gli<br />
accordi di concertazione pongono problemi più specifici, inerenti al loro<br />
contenuto. Ad esempio, il protocollo del luglio del 1993 ha contenuti<br />
complessi: v’è una parte che riguarda gli impegni del Governo e v’è<br />
un’altra parte che riguarda i profili più squisitamente contrattuali (cioè la<br />
regolazione degli assetti che deve assumere la contrattazione collettiva,<br />
articolata su due livelli, nazionale e aziendale).<br />
Ci si chiede quale sia la relazione tra le diverse parti di cui si compongono<br />
questi protocolli e se l’eventuale inadempimento, da parte del Governo,<br />
degli impegni assunti in materia di politica fiscale e di politica sociale<br />
possa riverberarsi sulla validità della parte inerente i profili contrattuali. Ci<br />
si chiede insomma se le due parti siano legate da un nesso funzionale, tale<br />
per cui l’inadempimento di un parte, quella politica, possa ripercuotersi<br />
sulla parte propriamente contrattuale.<br />
La questione è per ora solo teorica. Secondo dottrina autorevole (G.<br />
Giugni) sarebbe da preferire la tesi negativa.<br />
3.9. Il concorso/conflitto tra contratti collettivi di diverso livello.<br />
Come si è già detto, in Italia, il sistema di contrattazione collettiva è<br />
articolato: vengono infatti stipulati accordi collettivi interconfederali,<br />
contratti collettivi nazionali e contratti collettivi decentrati, per lo più<br />
aziendali.<br />
In ragione dell’articolazione dei diversi livelli contrattuali è possibile che<br />
ad un determinato rapporto di lavoro siano astrattamente applicabili più<br />
contratti collettivi [ad esempio, un accordo interconfederale (accordo<br />
interconfederale sulle RSU), un contratto nazionale di categoria (contratto<br />
92
nazionale di categoria dei metalmeccanici), un contratto aziendale]. Il<br />
prestatore di lavoro vede dunque spesso regolato il proprio rapporto di<br />
lavoro, oltre che dalle disposizioni del contratto individuale, dalle<br />
disposizioni di più contratti collettivi.<br />
Nulla quaestio nel caso di semplice concorso di contratti collettivi di<br />
diverso livello. Il problema sorge, invero, quando i diversi contratti<br />
collettivi, astrattamente applicabili al rapporto di lavoro, entrino in conflitto<br />
tra loro, regolando le medesime materie con contenuti diversi (ad es.,<br />
prevedendo una differente misura della retribuzione).<br />
Nel caso di concorso/conflitto tra contratti collettivi di diverso livello, tutti<br />
astrattamente applicabili al rapporto di lavoro, sorge il problema di<br />
selezionare la disciplina applicabile.<br />
Nella prassi, la questione si è posta essenzialmente in ordine al rapporto tra<br />
contratto nazionale e contratto aziendale. In particolare, la giurisprudenza<br />
ha dovuto pronunciarsi sulla idoneità del contratto aziendale a derogare in<br />
peius al contenuto delle disposizioni del contratto nazionale.<br />
Parte della dottrina ha ritenuto che la soluzione della questione andasse<br />
cercata anzitutto negli statuti delle associazioni sindacali, verificando se<br />
essi contenessero criteri per la selezione del contratto collettivo applicabile.<br />
Gli statuti delle associazioni sindacali appaiono però muti in ordine ai<br />
rapporti tra i diversi livelli dell’associazione sindacale.<br />
La giurisprudenza ha fatto allora riferimento a criteri di soluzione “esterni”.<br />
In un primo tempo essa ha invocato l’art. 2077 c.c. (che, come si è già<br />
visto, regola i rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale).<br />
L’applicazione, nel caso, dell’art. 2077 c.c. appare tuttavia oltremodo<br />
problematica.<br />
In primo luogo, vi è da superare il problema della sua applicabilità al<br />
contratto collettivo postcorporativo. In secondo luogo, l’art. 2077 c.c. detta<br />
93<br />
Il concorso<br />
tra contratti<br />
collettivi di<br />
diverso<br />
livello<br />
Il conflitto tra<br />
contratti<br />
collettivi di<br />
diverso<br />
livello<br />
Il criterio del<br />
favor
criteri per risolvere il problema del rapporto tra contratto collettivo e<br />
contratto individuale: nel nostro caso, invece, la questione è ben diversa,<br />
concernendo il rapporto tra due contratti pur sempre collettivi, benché<br />
stipulati a diverso livello (nazionale e aziendale).<br />
L’orientamento si è formato negli anni ‘60 quando i contratti aziendali<br />
erano stipulati dalle commissioni interne, forme di rappresentanza di tutti i<br />
lavoratori nell’azienda, elette da tutti i lavoratori, iscritti o non iscritti al<br />
sindacato. Gli accordi interconfederali disciplinavano la costituzione ed il<br />
funzionamento delle commissioni interne, escludendone però proprio la<br />
competenza contrattuale (v. accordi interconfederali dell’ 8 maggio 1953 e<br />
18 aprile 1966). La combinazione di questi due fattori (da un lato, le<br />
commissioni interne non erano considerate organismi “sindacali” in senso<br />
proprio; dall’altro, gli accordi che le istituivano ne escludevano la<br />
competenza contrattuale) ha fatto sì che la giurisprudenza negasse la<br />
qualificazione di contratto collettivo agli accordi stipulati dalle<br />
commissioni interne, ritenendoli una somma di contratti individuali o<br />
qualificandoli come “stipulazioni plurisoggettive”.<br />
Considerando i contratti stipulati dalle commissioni interne come una<br />
somma di contratti individuali, la giurisprudenza poteva applicare l’art.<br />
2077 c.c., arrivando a sostenere che il contratto aziendale stipulato dalle<br />
commissioni interne non potesse derogare in peius al contratto collettivo<br />
nazionale.<br />
Non appena però la giurisprudenza si rese conto – in concomitanza con<br />
l’avvento delle RSA – che il contratto aziendale era anch’esso – al pari di<br />
quello nazionale – un contratto collettivo (sia pure di ambito di<br />
applicazione più limitato, riguardando solo i lavoratori di una determinata<br />
impresa), il ricorso all’art. 2077 c.c. si rivelò impraticabile.<br />
Si andò pertanto alla ricerca di altri criteri.<br />
94
In un primo tempo, la giurisprudenza ha utilizzato il criterio gerarchico,<br />
istituendo una sorta di gerarchia nei rapporti tra i contratti collettivi.<br />
L’utilizzazione del criterio gerarchico ha, tuttavia, condotto la<br />
giurisprudenza della Corte di cassazione ad adottare nello stesso anno, il<br />
1978, due decisioni completamente opposte. In una prima decisione, la<br />
Corte ritenne il contratto nazionale prevalente su quello aziendale (Cass. 18<br />
gennaio 1978, n. 233); nella seconda decisione, ritenne che il contratto<br />
aziendale dovesse prevalere su quello nazionale (Cass. 18 aprile 1978, n.<br />
2018).<br />
La prima sentenza affermò l’esistenza di un mandato discendente, dal<br />
livello superiore della associazione sindacale al livello inferiore, con<br />
conseguente prevalenza del contratto nazionale. Nella seconda sentenza la<br />
Corte ricostruì invece i rapporti all’interno dell’associazione sindacale in<br />
chiave di mandato ascendente, affermando che la contrattazione nazionale<br />
si svolgerebbe in forza di un mandato conferito dalle strutture di livello<br />
inferiore; mandato, questo, che dovrebbe intendersi revocato per effetto<br />
della stipulazione, a livello decentrato, di un contratto collettivo di<br />
contenuto difforme rispetto a quello nazionale.<br />
L’essere la giurisprudenza giunta a conclusioni opposte utilizzando il<br />
criterio gerarchico è chiaro indice della sua inconsistenza. Così si spiega<br />
che i giudici abbiano dovuto ricercare altri e più persuasivi criteri, finendo<br />
per attingere, come si vedrà, agli stessi criteri che generalmente si<br />
utilizzano per risolvere le antinomie tra le norme di legge.<br />
In primo luogo il criterio temporale; in secondo luogo, il criterio di<br />
specialità.<br />
Secondo un’impostazione, nella selezione della disciplina contrattuale<br />
collettiva applicabile ad un rapporto di lavoro deve prevalere la fonte<br />
posteriore, a nulla rilevando il giudizio circa il suo maggiore o minore<br />
95<br />
Il criterio<br />
gerarchico<br />
Il criterio<br />
della<br />
posteriorità<br />
nel tempo
favore per il lavoratore. Se è successivo il contratto nazionale, prevarrà il<br />
contratto nazionale; se è successivo il contratto aziendale, si applicherà<br />
siffatto contratto.<br />
Per la verità, anche questo criterio si presta, di per sé, a critiche. Infatti,<br />
solo se il contratto aziendale succede ad un contratto nazionale è possibile<br />
supporre una volontà dei contraenti a livello aziendale di modificare la<br />
disciplina del contratto nazionale. Altra cosa è, invece, quando un contratto<br />
nazionale difforme succede ad un contratto aziendale, giacché appare<br />
dubbio affermare l’esistenza di una volontà modificativa delle disposizioni<br />
del contratto aziendale da parte dei contraenti nazionali.<br />
Il fondamento della prevalenza della fonte normativa successiva nel tempo<br />
riposa proprio sulla volontà del soggetto, che ha prodotto l’atto normativo<br />
successivo, di modificare o sostituire la disciplina precedente. Ma assai<br />
difficilmente i contraenti a livello nazionale conosceranno quella<br />
particolare regolamentazione di livello aziendale; e perciò non si potrà<br />
ravvisare una loro volontà modificativa. Per tali ragioni, in dottrina si è<br />
osservato che il principio della posteriorità nel tempo risulta inapplicabile<br />
quando non vi sia identità tra i soggetti stipulanti.<br />
In dottrina, con ormai significative adesioni da parte della giurisprudenza<br />
(Cass. 12 luglio 1986 n. 4517), è stata proposta l’utilizzazione del criterio<br />
della specialità (o di “specializzazione” o di “prevalenza della fonte più<br />
vicina al rapporto da regolare”).<br />
In tal modo si è affermata la prevalenza della disciplina speciale rispetto<br />
alla disciplina generale e, di conseguenza, la prevalenza in ogni caso del<br />
contratto aziendale, sia esso migliorativo o peggiorativo, quale fonte di<br />
disciplina più vicina ai rapporti di lavoro e agli interessi che si intendono<br />
regolare.<br />
96<br />
Il criterio di<br />
specialità
L’importante conclusione attinta dall’evoluzione giurisprudenziale – e ciò,<br />
sia che si utilizzi il criterio della posteriorità nel tempo, sia che si utilizzi il<br />
criterio di specialità – è che il contratto aziendale può derogare anche in<br />
peius al contratto collettivo nazionale. Viene dunque smentita l’esistenza di<br />
un supposto principio di favore, secondo cui - come riteneva erroneamente<br />
la giurisprudenza negli anni ’60 del secolo scorso - dovrebbe sempre<br />
prevalere la disciplina più favorevole per il lavoratore.<br />
Un siffatto principio di favor in realtà non esiste, se non nel caso dei<br />
rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale.<br />
***<br />
Per verità, il problema del conflitto tra contratti collettivi di diverso livello<br />
è sembrato ridimensionarsi, soprattutto dopo la stipulazione del Protocollo<br />
del 23 luglio del 1993. Tale accordo ha infatti inteso riordinare i rapporti<br />
tra i diversi livelli della contrattazione collettiva, prevedendo che il<br />
contratto aziendale non potesse riguardare la stessa materia e gli stessi<br />
istituti già regolati dal contratto nazionale. In particolare, per quanto<br />
riguarda la retribuzione, si prevedeva che il contratto aziendale<br />
disciplinasse (solo) elementi retributivi legati alla redditività ed alla<br />
produttività dell’impresa.<br />
L’accordo quadro del 22 gennaio 2009 e il successivo accordo del 15 aprile<br />
2009 a loro volta prevedono che “la contrattazione di secondo livello si<br />
esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo<br />
nazionale di lavoro di categoria o dalla legge e deve riguardare materie ed<br />
istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione,<br />
secondo il principio del ne bis in idem”.<br />
In più, gli accordi del 2009 hanno previsto che i contratti nazionali di<br />
categoria consentano ai contratti aziendali di derogare anche in peius per i<br />
lavoratori alle proprie previsioni. E ciò soprattutto in presenza di situazioni<br />
97<br />
Il contratto<br />
aziendale<br />
può<br />
derogare<br />
anche in<br />
peius al<br />
contratto<br />
nazionale<br />
Le regole<br />
negoziali in<br />
ordine al<br />
riparto di<br />
competenze e<br />
le conseguenze<br />
della loro<br />
violazione
di crisi aziendali. L’accordo interconfederale (unitario) del 28 giugno 2011,<br />
a sua volta, conferma che la contrattazione aziendale può svolgersi sulle<br />
materie delegate dal contratto nazionale e che questo può consentire al<br />
primo di derogare in peius alle sue previsioni.<br />
Vi è, dunque, la tendenza ad un riordino del sistema di contrattazione<br />
collettiva, che potrebbe prevenire la sovrapposizione di discipline<br />
confliggenti, eliminando alla radice il problema del potenziale conflitto tra<br />
contratti collettivi.<br />
A ben guardare, però, nemmeno in tal modo il problema può dirsi<br />
definitivamente, da un punto di vista giuridico, risolto.<br />
Nel settore del lavoro privato, le regole relative alla ripartizione delle<br />
competenze tra contratto nazionale e contratto aziendale sono di carattere<br />
pattizio. La loro violazione non potrebbe, dunque, mai determinare la<br />
nullità delle pattuizioni difformi, ai sensi dell’art. 1418 c.c., non<br />
possedendo né il Protocollo del 1993, prima, né gli accordi del 2009 e del<br />
2011, oggi, il carattere e la forza della norma imperativa di legge.<br />
E ciò a differenza di quanto avviene nel pubblico impiego ove, essendo il<br />
riparto di competenze tra il livello nazionale e quello decentrato frutto di<br />
una norma imperativa di legge, il contratto aziendale che violasse tale<br />
riparto è nullo (v. art. 40, co. 3-quinquies d.lgs. n. 165/2001 ed infra par.<br />
3.12)<br />
3.10. L’ambito soggettivo di efficacia del contratto aziendale. In<br />
particolare, i cd. contratti gestionali.<br />
Il contratto aziendale può dunque derogare al contratto nazionale, anche in<br />
peius.<br />
98
In tale ipotesi, non si pone certo un problema di efficacia del contratto<br />
collettivo nei confronti del datore di lavoro (è infatti questo stesso soggetto<br />
che stipula il contratto collettivo con la RSA o con il sindacato<br />
provinciale). Si pone, semmai, un problema di determinazione dell’ambito<br />
soggettivo di efficacia del contratto collettivo aziendale sul versante dei<br />
lavoratori.<br />
Fino a quando i contratti aziendali hanno avuto un contenuto<br />
tendenzialmente migliorativo rispetto a quanto previsto dai contratti<br />
nazionali, il problema praticamente non si è posto. Non vi era ovviamente<br />
alcuna manifestazione di dissenso, neppure da parte dei lavoratori non<br />
iscritti, nei confronti dell’applicazione di siffatti accordi aziendali. Ma, al<br />
manifestarsi di dinamiche economiche recessive e di tendenze alla<br />
contrazione dell’occupazione, hanno iniziato a diffondersi accordi aziendali<br />
peggiorativi. In alcuni casi, tali accordi hanno previsto una diminuzione<br />
della retribuzione al fine di evitare la riduzione dell’organico aziendale; in<br />
altri casi, essi hanno dovuto affrontare fasi di crisi dell’azienda, anche<br />
determinando i criteri di scelta dei lavoratori in esubero. Il vento della<br />
globalizzazione ha poi portato recentemente alla stipulazione di accordi<br />
aziendali fortemente innovativi rispetto al contenuto del contratto nazionale<br />
con norme anche peggiorative rispetto a quest’ultimo (v. da ultimi gli<br />
accordi Fiat Pomigliano d’Arco del 15 giugno 2010 e Fiat Mirafiori del 23<br />
dicembre 2010, in appendice).<br />
Ben si comprende, dunque, che in tali situazioni siano emerse<br />
manifestazioni di dissenso, da parte dei lavoratori, rispetto all’applicazione<br />
nei loro confronti di contratti aziendali ritenuti peggiorativi.<br />
Quale è la rilevanza giuridica di tali manifestazioni di dissenso?<br />
99<br />
La rilevanza<br />
giuridica del<br />
dissenso dei<br />
lavoratori
In dottrina e giurisprudenza si ritiene pacificamente che il dissenso<br />
manifestato dai lavoratori iscritti al sindacato stipulante non abbia rilevanza<br />
giuridica.<br />
Più complessa è invece la questione nel caso di lavoratori non iscritti al<br />
sindacato stipulante. Si potrebbe dire, in via di prima approssimazione, che<br />
il contratto collettivo aziendale non li concerna, essendo stato sottoscritto<br />
da un soggetto collettivo che non li rappresenta. Sennonché, questa<br />
conclusione deve essere in parte corretta. Occorrerà, infatti, verificare se<br />
nel contratto individuale di lavoro vi è una clausola di rinvio; essa potrebbe<br />
contenere anche un rinvio formale alla contrattazione collettiva e dunque a<br />
tutti i contratti collettivi che si succedono nel tempo, siano essi nazionali o<br />
aziendali, migliorativi o peggiorativi (v. supra par. 3.4).<br />
Il meccanismo del rinvio, peraltro, può ridurre il problema del dissenso, ma<br />
non eliminarlo del tutto. Infatti, il rinvio, anche formale e non recettizio, a<br />
nulla rileva in caso di rottura dell’unità contrattuale con la stipulazione di<br />
accordi cd. separati. Si ipotizzi che il contratto aziendale peggiorativo non<br />
sia stipulato da tutti i sindacati stipulanti il contratto nazionale.<br />
In questo caso, è evidente che ai lavoratori iscritti ai sindacati stipulanti il<br />
contratto aziendale lo stesso andrà applicato; ma è altrettanto evidente che,<br />
nei confronti dei lavoratori iscritti agli altri sindacati stipulanti il contratto<br />
nazionale, non si realizza alcuna sostituzione della disciplina prevista da<br />
quest’ultimo con quella prevista dal contratto aziendale (che supporrebbe<br />
identità di parti stipulanti).<br />
Nel caso di rottura dell’unità sindacale nella contrattazione collettiva, non<br />
può funzionare neppure il meccanismo del rinvio del contratto individuale<br />
al contratto collettivo quale veicolo di estensione dell’efficacia ai non<br />
iscritti ad alcun sindacato: infatti sarebbero contemporaneamente presenti<br />
ed operanti due differenti regolamentazioni collettive (quella del contratto<br />
100<br />
I lavoratori<br />
non iscritti al<br />
sindacato<br />
stipulante e la<br />
clausola di<br />
rinvio<br />
La rilevanza<br />
giuridica del<br />
dissenso in<br />
caso di<br />
accordi<br />
separati
aziendale e quella del contratto nazionale che, per non esservi identità di<br />
soggetti, non è stata sostituita dalla prima). L’art. 8 del d. l. n. 138 del<br />
2011, convertito nella l. n. 148 del 2011, ha ora previsto la possibilità di<br />
attribuire efficacia erga omnes ai contratti collettivi aziendali stipulati dai<br />
sindacati “comparativamente più rappresentativi” ovvero dalle loro<br />
rappresentanze presenti in azienda, a condizione di essere sottoscritti “sulla<br />
base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze”.<br />
Sembra che il legislatore richiami i criteri previsti per l’acquisizione di<br />
efficacia erga omnes dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Al<br />
di là dei problemi interpretativi che la disposizione suscita, essa ha evocato<br />
dubbi di legittimità costituzionale, specie in relazione all’art. 39, 4° co.,<br />
Cost. E ciò anche se, occorre rammentarlo, si dubita che il meccanismo<br />
configurato dal costituente per l’attribuzione di efficacia erga omnes<br />
concerna anche il contratto collettivo aziendale e non solo quello<br />
(nazionale) di categoria.<br />
***<br />
Non si può concludere questo argomento senza sottolineare che una<br />
raffinata dottrina ha evidenziato che non tutti i contratti collettivi aziendali<br />
porrebbero il problema di ambito soggettivo di efficacia dianzi evidenziato<br />
(e quindi di applicazione ai lavoratori non iscritti): in particolare esso non<br />
si pone per i contratti collettivi cd. gestionali o di procedimentalizzazione<br />
dei poteri imprenditoriali.<br />
Il datore di lavoro è titolare di una serie di prerogative e di poteri<br />
unilaterali, sia come creditore delle prestazioni lavorative, sia come titolare<br />
dell’organizzazione in cui la prestazione si inserisce. Il datore di lavoro, ad<br />
esempio, in caso di crisi di mercato o di ristrutturazione dell’impresa, può<br />
sospendere i lavoratori o ridurre unilateralmente l’orario di lavoro,<br />
richiedendo l’intervento della Cassa integrazione guadagni, che eroga il<br />
101<br />
L’efficacia<br />
erga omnes<br />
prevista<br />
dall’art. 8<br />
della l. n. 148<br />
del 2011<br />
I contratti<br />
collettivi cd.<br />
gestionali
trattamento di integrazione salariale in sostituzione della retribuzione<br />
perduta.<br />
Si ravvisa comunemente nella normativa sulla cassa integrazione una<br />
deroga al diritto comune secondo cui, in caso di modificazione dell’oggetto<br />
del contratto (il quantum della prestazione dovuta), sarebbe necessario un<br />
accordo tra le parti stesse. Più precisamente, si ravvisa nella normativa<br />
sulla cassa integrazione – a condizione che l’intervento venga disposto –<br />
l’attribuzione di un potere unilaterale, in capo al datore di lavoro, di<br />
sospendere dal lavoro i lavoratori ovvero ridurre l’orario di lavoro,<br />
riducendo proporzionalmente la retribuzione.<br />
La legge però prevede che, prima di accedere alla Cassa integrazione, il<br />
datore di lavoro informi e consulti le associazioni sindacali (art. 5, legge 20<br />
maggio 1975, n. 164). Nell’ambito di questa procedura di informazione e<br />
consultazione può essere stipulato un accordo (ad esempio sulla durata<br />
dell’intervento della Cassa integrazione, sui criteri di scelta dei lavoratori<br />
da mettere in Cassa integrazione) che limita l’esercizio del potere<br />
unilaterale del datore di lavoro.<br />
Per questo contratto cd. gestionale un problema di ambito soggettivo di<br />
efficacia neppure si pone: esso infatti non fa che limitare un potere<br />
comunque riconosciuto dalla legge (o talora dal contratto collettivo) al<br />
datore di lavoro, potere che si esercita erga omnes. Il contratto collettivo<br />
che limita siffatto potere partecipa del carattere “generalizzato” del<br />
medesimo.<br />
102
3.11. Le clausole di tregua sindacale.<br />
Venendo alle clausole obbligatorie del contratto collettivo (le clausole che<br />
regolano i rapporti reciproci tra le associazioni sindacali stipulanti e non<br />
conformano il contenuto del contratto individuale di lavoro), possono<br />
essere prese in considerazione le cd. clausole di tregua sindacale sia perché<br />
emblematiche dei problemi giuridici posti da questa tipologia di clausole,<br />
sia per la loro rilevanza intrinseca nell’economia del contratto collettivo.<br />
Con le clausole di tregua sindacale, l’associazione sindacale assume<br />
l’obbligo di non proclamare o sostenere scioperi diretti ad ottenere una<br />
modifica di quanto previsto dal contratto collettivo, fino al termine di<br />
vigenza dello stesso. I contratti collettivi hanno un arco temporale<br />
normalmente di efficacia limitato: l’accordo quadro del 2009 prevede che i<br />
contratti collettivi nazionali di categoria (così come quelli aziendali)<br />
abbiano durata triennale, tanto per la parte economica che per quella<br />
normativa.<br />
Nell’ordinamento italiano si tende ad escludere, anche se con motivazione<br />
non sempre pertinente, che dalla semplice stipulazione del contratto<br />
collettivo discenda, in capo ai sindacati stipulanti, un obbligo di tregua<br />
sindacale: che vi sia un obbligo implicito di tregua sindacale.<br />
Affinché questo obbligo sia configurabile occorrerebbe una clausola<br />
esplicita. Ciò posto, la prima questione che si pone è di stabilire se le<br />
clausole di tregua sindacale vincolino anche i singoli a non scioperare,<br />
esplicando in tal modo efficacia non solo obbligatoria ma anche normativa.<br />
Secondo un primo orientamento, tali clausole hanno esclusivamente natura<br />
obbligatoria. Se avessero natura normativa, dovrebbero considerarsi nulle<br />
per contrarietà a norma imperativa, entrando in insanabile contrasto con<br />
l’art. 40 Cost., che riconosce il diritto di sciopero.<br />
103<br />
Obbligo<br />
implicito di<br />
pace<br />
sindacale<br />
Valenza<br />
obbligatoria<br />
o solo<br />
normativa<br />
delle<br />
clausole di<br />
tregua
La Corte di cassazione, nell’unica sentenza (Cass. 10 febbraio 1971, n.<br />
357) in cui ha affrontato il problema della natura delle clausole di tregua<br />
sindacale, ha tuttavia ammesso la possibilità che queste ultime assumano<br />
una valenza normativa, senza per questo scontrarsi con l’art. 40 Cost. La<br />
Cassazione ha argomentato tale conclusione distinguendo tra rinuncia al<br />
diritto di sciopero (che sarebbe insanabilmente in contrasto con l’art. 40<br />
Cost.) e regolamentazione dell’esercizio del diritto (compatibile con l’art.<br />
40 Cost.), affermando che con la clausola di tregua sindacale, più che<br />
rinunciare al diritto di sciopero, si regolamenta per un arco di tempo<br />
definito e per un oggetto definito l’esercizio del diritto.<br />
Alla luce di questa impostazione, la qualificazione della clausola di tregua<br />
come obbligatoria o normativa non è per così dire necessitata: essa si<br />
risolve essenzialmente in un problema di interpretazione della volontà<br />
contrattuale.<br />
Nella nostra esperienza contrattuale, le clausole di tregua hanno<br />
generalmente natura obbligatoria, ponendo obblighi unicamente in capo<br />
alle associazioni sindacali. Nello stesso accordo interconfederale del 28<br />
giugno 2011 si prevede espressamente che i contratti collettivi aziendali,<br />
che definiscono clausole di tregua sindacale al fine di “garantire la<br />
esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva hanno<br />
effetto vincolante esclusivamente per tutte le rappresentanze sindacali dei<br />
lavoratori ed associazioni sindacali firmatarie del presente accordo<br />
interconfederale operanti all’interno della azienda e non per i singoli<br />
lavoratori”.<br />
Naturalmente, nel caso di efficacia meramente obbligatoria, non si pone<br />
alcun problema di contrasto con l’art. 40 Cost., rimanendo intatto il diritto<br />
dei singoli lavoratori a scioperare. Questi ultimi, scegliendo di astenersi dal<br />
lavoro nonostante l’obbligo di tregua assunto dal sindacato, non incorrono<br />
104<br />
Clausole di<br />
tregua con<br />
valenza<br />
obbligatoria e<br />
conseguenze<br />
in caso di<br />
inadempi-<br />
mento
in alcuna responsabilità per inadempimento nei confronti del datore di<br />
lavoro; essi, tutt’al più, possono essere assoggettati al potere disciplinare<br />
dell’associazione sindacale cui aderiscono in base allo statuto<br />
dell’associazione medesima.<br />
Se, al contrario, è il sindacato a violare l’obbligo di tregua, il datore di<br />
lavoro può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno per<br />
inadempimento. Soluzione, questa, che tuttavia risulta poco praticabile, sia<br />
per il problema della prova e della quantificazione del danno, sia per il<br />
problema della capienza del patrimonio delle associazioni sindacali. Si<br />
aggiunga che, se l’impegno di tregua è assunto nel contratto di categoria<br />
dal sindacato nazionale, si profila un ulteriore profilo problematico, vale a<br />
dire se le associazioni sindacali di livello superiore siano in grado di<br />
vincolare i livelli inferiori delle medesime associazioni. A questo problema<br />
si tende a dare risposta negativa, escludendo perfino che possa configurarsi<br />
un’assunzione di garanzia per il fatto del terzo ai sensi dell’art. 1381c.c<br />
3.12. La contrattazione collettiva nel pubblico impiego.<br />
Nel settore del pubblico impiego (del lavoro cioè che viene svolto alle<br />
dipendenze della pubblica amministrazione), la contrattazione collettiva è<br />
regolata da norme di legge. Si può dire che tutti quegli aspetti che non sono<br />
normativamente disciplinati nel settore privato lo sono invece nel settore<br />
pubblico.<br />
La prima legge che ha consacrato il metodo contrattuale nel pubblico<br />
impiego è stata la cd. legge-quadro del 29 marzo 1983, n. 93.<br />
Successivamente con la cd. privatizzazione o, meglio, contrattualizzazione<br />
del rapporto del pubblico impiego, avvenuta con il d.lgs. 29 del 1993, il<br />
legislatore ha compiutamente regolato i diversi aspetti della contrattazione<br />
105<br />
Le fonti di<br />
disciplina
collettiva: i soggetti, la procedura, la struttura e l’efficacia del contratto<br />
collettivo.<br />
La regolamentazione della contrattazione collettiva nel settore del pubblico<br />
impiego è stata poi trasfusa nel cd. Testo Unico sul pubblico impiego,<br />
approvato con il d. lgs. n. 165/2001 (v. artt. 40 - 50).<br />
La recente legge delega del 3 marzo 2009, n. 15 ed il successivo d. lgs. 27<br />
ottobre 2009, n. 150 (cd. decreto Brunetta) hanno ulteriormente affinato la<br />
disciplina del T.U., in punto di contrattazione collettiva, anche se, come<br />
qualcuno ha fatto notare in dottrina, con tale ultima riforma risulta<br />
fortemente attenuato il principio di contrattualizzazione del rapporto di<br />
lavoro nel pubblico impiego.<br />
Quanto alla struttura della contrattazione collettiva, nel settore pubblico<br />
opera lo stesso modello del settore privato. La contrattazione è su due<br />
livelli: nazionale e decentrato.<br />
Il rapporto tra i diversi livelli di contrattazione e la ripartizione delle<br />
competenze sono però disciplinate dal legislatore, che attribuisce al livello<br />
di contrattazione decentrato solo le materie ad esso demandate dal contratto<br />
nazionale (v. ora art. 40, co. 3-quinquies del d. lgs. n. 165/2001). Eventuali<br />
clausole del contratto decentrato che disciplinano materie fuori dalla<br />
competenza di questo livello di contrattazione sono colpite da nullità (v. il<br />
già citato art. 40, co. 3-quinquies del d. lgs. n. 165/2001).<br />
Si può sostenere che la riforma Brunetta abbia ristretto, e non poco, il<br />
campo di intervento della contrattazione collettiva, peraltro anche su<br />
materie e istituti costituenti oggetto del rapporto di lavoro.<br />
Ad esempio, il nuovo art. 40 del d.lgs. n. 165/2001 dispone che, in materia<br />
di sanzioni disciplinari e valutazione delle prestazioni ai fini della<br />
determinazione del trattamento economico, la contrattazione collettiva è<br />
consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.<br />
106<br />
I livelli della<br />
contratta zio-<br />
ne collettiva<br />
nel pubblico<br />
impiego<br />
Legge e<br />
contratta zio-<br />
ne collettiva
La legge disciplina anche i soggetti della contrattazione collettiva nel<br />
pubblico impiego. Vi sono filtri che limitano l’accesso alla contrattazione:<br />
alla contrattazione collettiva del settore pubblico possono accedere solo i<br />
sindacati che abbiano nel comparto o nell’area almeno rappresentatività<br />
pari al 5%, calcolata sulla base dei voti riportati nell’elezione delle RSU e<br />
del numero degli iscritti rispetto a quelli dei lavoratori occupati in quel<br />
comparto (art. 43 T.U.).<br />
Sul fronte della pubblica amministrazione, il d.lgs. 29/1993 ha istituito<br />
un’agenzia, l’ARAN, persona giuridica di diritto pubblico dotata di<br />
rappresentanza legale della medesima nella contrattazione collettiva<br />
nazionale (di comparto) (v. retro cap. II, par. 2). L’ARAN può altresì<br />
svolgere consulenza e assistenza alla singola pubblica amministrazione che<br />
stipula un contratto collettivo a livello decentrato (v. art. 46 d.lgs. n.<br />
165/2001).<br />
Per quanto riguarda i comparti e i comitati di settore, già l’accordo<br />
interconfederale del 22 gennaio 2009 aveva individuato l’obiettivo della<br />
riduzione dei comparti di contrattazione. Il legislatore delegato del 2009 ha<br />
accolto questo invito, demandando ad appositi accordi tra ARAN e<br />
Confederazioni rappresentative la definizione dei comparti di<br />
contrattazione collettiva nazionale col limite espresso di quattro comparti.<br />
3.12.1. L’efficacia del contratto collettivo nel settore pubblico.<br />
Nel settore del pubblico impiego, la legge regola anche l’efficacia del<br />
contratto collettivo. Il contratto collettivo stipulato tra i sindacati<br />
rappresentativi e l’ARAN ha efficacia erga omnes: si applica, cioè, a tutti i<br />
107<br />
I soggetti<br />
della<br />
contratta zio-<br />
ne collettiva
lavoratori appartenenti al comparto di riferimento, indipendentemente dalla<br />
affiliazione o meno ai sindacati che lo hanno stipulato.<br />
Non esiste invero un’affermazione esplicita in tal senso nel decreto n.<br />
29/1993 e nelle sue successive integrazioni e modificazioni. Esistono però<br />
una serie di norme che inducono a questa conclusione. Prima fra tutte,<br />
quella che dispone che, in sede di stipulazione del contratto collettivo<br />
nazionale di comparto, le Pubbliche Amministrazioni siano tutte<br />
necessariamente rappresentate dall’ARAN (sul versante del datore di<br />
lavoro il contratto collettivo ha quindi sicuramente efficacia erga omnes).<br />
Nel decreto n. 29/1993 v’è poi una norma (ora art. 40, 4° co., T.U. n.<br />
165/2001) in cui esplicitamente si prevede che “le pubbliche<br />
amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi<br />
nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne<br />
assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti”.<br />
Dal che si può desumere l’obbligo di applicare il contratto collettivo a tutti<br />
i lavoratori (indipendentemente dall’iscrizione ai sindacati stipulanti).<br />
Obbligo che risulta poi ribadito anche da un’altra disposizione (art. 45, 2°<br />
co. del Testo Unico), che impone di prevedere parità di trattamento<br />
economico-retributivo tra tutti i dipendenti.<br />
Sulla base dei dati normativi che precedono si può affermare che l’efficacia<br />
erga omnes del contratto collettivo sia indubitabile. Per questo motivo,<br />
taluno ha sostenuto che il contenuto del decreto del ’93, poi confluito nel<br />
T.U. del 2001, nella parte in cui attribuisce (o presuppone) l’efficacia erga<br />
omnes al contratto collettivo nel settore pubblico, sarebbe incostituzionale<br />
per violazione della seconda parte dell’art. 39 Cost. (che, come noto,<br />
tipizza il meccanismo attraverso il quale può essere attribuita efficacia erga<br />
omnes ai contratti collettivi).<br />
108<br />
Efficacia erga<br />
omnes del<br />
contratto<br />
collettivo e<br />
problemi di<br />
legittimità<br />
costituzionale
La Corte costituzionale, con sentenza 16 ottobre 1997, n. 309, ha respinto<br />
l’eccezione di incostituzionalità, argomentando che il decreto legislativo n.<br />
29/1993 non attribuisce espressamente efficacia erga omnes al contratto<br />
collettivo: l’efficacia erga omnes deriverebbe solo indirettamente dalle<br />
norme richiamate, in particolare dell’obbligo imposto alle pubbliche<br />
amministrazioni di osservare gli impegni assunti con i contratti collettivi. Si<br />
tratta di un meccanismo che non realizzerebbe l’efficacia erga omnes di cui<br />
all’art. 39, 4° co. Cost.: infatti “può dirsi che l’osservanza, da parte delle<br />
amministrazioni degli obblighi assunti con i contratti collettivi rappresenta<br />
il conseguente e non irragionevole esito dell’intera procedura di<br />
contrattazione, la quale prende le mosse dalla determinazione dei comparti<br />
e si conclude con l’autorizzazione governativa alla sottoscrizione delle<br />
ipotesi di accordo, che, almeno sin quando verrà esercitata la delega ex lege<br />
n. 59 del 1997, interessa a sua volta molteplici profili, non solo di controllo<br />
ma anche di verifica della compatibilità finanziaria”.<br />
3.12.2. L’inderogabilità del contratto collettivo nel settore pubblico.<br />
Nel pubblico impiego, scontata l’inderogabilità in peius del contratto<br />
collettivo da parte del contratto individuale, si è posto il problema se esso<br />
possa essere derogato in melius (ciò che, come si è visto, costituisce la<br />
regola nel settore privato).<br />
La tesi prevalente è nel senso che l’inderogabilità sia assoluta (in peius e in<br />
melius); e questo sulla base di molteplici indici normativi.<br />
In particolare, l’art. 45, 1° co., del d. lgs. n. 165/2001 dispone che i<br />
contratti collettivi stabiliscono il trattamento economico fondamentale<br />
ed accessorio dei pubblici dipendenti. Dal che si dovrebbe desumere non<br />
109<br />
L’inderogabi-<br />
lità<br />
(assoluta?)<br />
del contratto<br />
collettivo da<br />
parte del<br />
contratto<br />
individuale
esservi spazio per la contrattazione individuale. Si aggiunga quanto<br />
previsto dall’art. 45, 2° co., vale a dire che le pubbliche amministrazioni<br />
garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale.<br />
Parte della dottrina ha tuttavia fatto notare che, se la norma prevede parità<br />
di trattamento contrattuale, aggiunge “e comunque trattamenti non inferiori<br />
rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi”. Da questa angolazione,<br />
l’avverbio “comunque” non si spiegherebbe se non si ammettesse una<br />
diversificazione di trattamento. Il principio di parità di trattamento non<br />
esclude, del resto, trattamenti differenziati, purché essi rispondano a<br />
giustificazioni oggettive. In tale prospettiva deroghe migliorative in sede di<br />
contrattazione individuale sarebbero ammissibili purché obiettivamente<br />
giustificate.<br />
Anche in tal modo emerge, tuttavia, la differenza rispetto al settore del<br />
lavoro privato, dove non esiste un principio di parità di trattamento e,<br />
dunque, eventuali “superminimi” possono essere previsti in sede di<br />
contratto individuale, senza alcuna possibilità di controllo della loro<br />
congruità in sede giurisdizionale.<br />
3.13. L’art. 28 St. lav.: la repressione della condotta antisindacale del<br />
datore di lavoro.<br />
L’art. 28 della l. 20 maggio 1970 n. 300, una delle norme baricentriche del<br />
cd. Statuto dei lavoratori, è considerata generalmente norma di chiusura del<br />
sistema in quanto garantisce l’effettività dei diritti sindacali, sia quelli<br />
sanciti dal titolo III della legge sia quelli desumibili da altre fonti.<br />
Esso prevede un particolare procedimento giurisdizionale improntato<br />
all’informalità e alla celerità, all’esito del quale, in caso di accertamento<br />
della condotta antisindacale, il giudice con un decreto motivato e<br />
110<br />
L’art. 28<br />
come<br />
norma di<br />
chiusura
immediatamente esecutivo ordina al datore di lavoro la “cessazione del<br />
comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”. Più precisamente<br />
l’art. 28, 1° co., dispone: “Qualora il datore di lavoro ponga in essere<br />
comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e<br />
dell’attività sindacale, nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli<br />
organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano<br />
interesse il pretore (oggi Tribunale) del luogo ove è posto in essere il<br />
comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti e<br />
assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di<br />
cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed<br />
immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e<br />
la rimozione degli effetti”.<br />
3.13.1. I soggetti legittimati ad agire.<br />
Legittimati ad agire tramite il procedimento delineato dall’art. 28 St. lav.<br />
non sono i singoli lavoratori, ma le associazioni sindacali. Più<br />
correttamente, “gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali<br />
che vi abbiano interesse”.<br />
Facendo riferimento agli “organismi locali”, il legislatore intende attribuire<br />
legittimazione ad agire alla strutture più periferiche delle associazioni<br />
sindacali nazionali, così come individuate dai loro statuti.<br />
La tesi maggioritaria ritiene che le RSA – di cui all’art. 19 St. lav. – non<br />
rientrino tra gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali ai<br />
sensi dell’art. 28. Usando l’aggettivo “locale”, il legislatore indicherebbe<br />
una struttura sindacale presente nel territorio e non in una sola azienda (in<br />
questo senso l’aggettivo “locale” sarebbe contrapposto ad “aziendale”).<br />
111<br />
Il significato<br />
di organismi<br />
locali
Normalmente si tratta delle associazioni provinciali, o, se lo statuto<br />
dell’associazione sindacale prevede una struttura sub-provinciale,<br />
quest’ultima.<br />
La legittimazione ad agire è conferita agli organismi locali delle sole<br />
associazioni sindacali nazionali. Quando fu emanato lo Statuto dei<br />
lavoratori, il requisito della “nazionalità” era di facile, anzi immediata,<br />
identificazione. Si era infatti in presenza di un sindacalismo, quello<br />
confederale, consolidato: le associazioni sindacali nazionali erano le<br />
associazioni nazionali di categoria aderenti alle confederazioni sindacali<br />
principali.<br />
Il problema è sorto recentemente quando hanno cominciato a presentarsi<br />
sulla scena sindacati nuovi, diversi rispetto a quelli tradizionali. A fronte di<br />
sindacati di nuova costituzione, alcuni giudici, per accertare la sussistenza<br />
del requisito della nazionalità, si sono limitati al riscontro del dato formale:<br />
per poter essere qualificato come “nazionale”, un sindacato deve per<br />
statuto operare a livello nazionale. La verifica della “nazionalità” andrebbe<br />
perciò operata esclusivamente sulla base delle previsioni statutarie.<br />
Altra parte della giurisprudenza ha elaborato una diversa tesi (che infine è<br />
prevalsa), ritenendo necessario verificare che il sindacato operi<br />
effettivamente a livello nazionale. In questa ottica, è da considerare<br />
“nazionale” innanzitutto il sindacato che sia diffuso con le proprie strutture<br />
organizzative su tutto il territorio nazionale o, quanto meno, in un numero<br />
significativo di province e di regioni. In alcuni casi, si è attribuito rilievo<br />
allo svolgimento a livello nazionale di una effettiva attività. Ad esempio, se<br />
il sindacato è stato in grado di stipulare un contratto collettivo nazionale di<br />
categoria, anche se la struttura organizzativa dello stesso sindacato è<br />
circoscritta ad alcune regioni, sembra pacifico che quel sindacato debba<br />
essere considerato “nazionale” ai sensi dell’art. 28.<br />
112<br />
Il significato<br />
di<br />
associazione<br />
sindacale<br />
“nazionale”<br />
Gli indici della<br />
nazionalità<br />
della<br />
associazione<br />
sindacale
***<br />
L’art. 28 ha ingenerato, oltre che problemi interpretativi rilevanti, anche<br />
problemi di legittimità costituzionale, sotto il profilo della limitazione della<br />
legittimazione ad agire. E in effetti alcuni giudici hanno sollevato la<br />
relativa eccezione in relazione agli artt. 24, 39 e 3 Cost.<br />
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 54/1974, ha respinto le<br />
eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate. Per quanto riguarda l’art.<br />
24 Cost., la Corte ha osservato che l’art. 28 nulla toglie alla tutela<br />
giurisdizionale né dei singoli, né delle associazioni sindacali diverse da<br />
quelle nazionali, i quali possono agire con gli strumenti giurisdizionali<br />
ordinari. Per quanto riguarda, invece, gli artt. 39 e 3 Cost., ritenuti violati<br />
in quanto la norma riserva un trattamento privilegiato ai sindacati nazionali,<br />
la Corte ha respinto la relativa eccezione con argomentazioni simili a quelle<br />
già utilizzate per respingere l’eccezione di incostituzionalità relativa all’art.<br />
19 St. lav. Essa ha rilevato che ancorare la possibilità di utilizzare questo<br />
strumento ad un criterio di rappresentatività – quale quello costituito dalla<br />
dimensione nazionale – è del tutto ragionevole. E’ ragionevole cioè<br />
differenziare il trattamento delle diverse associazioni sindacali a seconda<br />
del grado di rappresentatività, sia perché le associazioni sindacali di una<br />
certa consistenza sono in grado di rappresentare in maniera più adeguata gli<br />
interessi dei lavoratori, sia perché un criterio di selezione consente di<br />
evitare una proliferazione di ricorsi che danneggerebbero la stessa<br />
funzionalità dell’impresa.<br />
113<br />
Legittimazione<br />
ad agire e<br />
questioni di<br />
legittimità<br />
costituzionale
3.13.2. La fattispecie “condotta antisindacale”.<br />
L’art. 28 St. lav. mira a reprimere “i comportamenti diretti ad impedire o<br />
limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto<br />
di sciopero”.<br />
All’indomani dell’entrata in vigore dello Statuto, era stata sostenuta la tesi<br />
secondo cui solo la violazione dei diritti sindacali previsti dallo statuto al<br />
Titolo III del medesimo sarebbe stata reprimibile attraverso questo<br />
procedimento.<br />
Tale tesi è stata abbandonata rapidamente, in quanto la definizione della<br />
fattispecie contenuta nell’art. 28 è solo teleologicamente e non<br />
strutturalmente determinata (la legge fa riferimento a “comportamenti<br />
diretti a impedire o limitare…”). Qualsiasi comportamento oggettivamente<br />
idoneo a impedire o limitare la libertà o l’attività sindacale, nonché<br />
l’esercizio del diritto di sciopero rientra nella fattispecie di cui all’art. 28.<br />
Sarebbe dunque arbitrario limitare l’utilizzazione della norma alla sola<br />
violazione dei diritti sindacali specificamente sanciti dallo Statuto dei<br />
lavoratori.<br />
V’è ancora controversia in dottrina e in giurisprudenza in merito alla<br />
rilevanza o meno dell’elemento soggettivo, ossia dell’intenzionalità della<br />
condotta datoriale. La tesi più corretta appare comunque quella per cui<br />
rientrano nella fattispecie “condotta antisindacale” tutti i comportamenti<br />
obiettivamente idonei a ledere i beni protetti dalla norma,<br />
indipendentemente dalla prova di uno specifico elemento intenzionale del<br />
datore di lavoro.<br />
Va tuttavia chiarito che non tutti i possibili comportamenti illegittimi del<br />
datore di lavoro sono, per ciò solo, antisindacali. Può infatti aversi un<br />
comportamento illegittimo – ad esempio il licenziamento di un lavoratore –<br />
114<br />
Fattispecie<br />
solo<br />
teleologica-<br />
mente e non<br />
struttural-<br />
mente<br />
determinata<br />
La rilevanza<br />
dell’elemento<br />
intenzionale
senza che ciò integri gli estremi della condotta antisindacale: un<br />
licenziamento ingiustificato non è, in generale, antisindacale, a meno che<br />
non si tratti di licenziamento discriminatorio per motivi sindacali, ad es.,<br />
irrogato perché il lavoratore è un attivista sindacale.<br />
Ciò che rileva è, dunque, verificare se il comportamento del datore di<br />
lavoro sia idoneo a ledere i beni protetti (libertà e attività sindacale, diritto<br />
di sciopero). Tale lesione può anche derivare da un comportamento che<br />
colpisce il singolo lavoratore, purché si tratti di un cd. comportamento<br />
plurioffensivo, come nell’esempio appena formulato (in cui viene al<br />
contempo leso l’interesse del singolo lavoratore a non essere licenziato<br />
illegittimamente e quello del gruppo organizzato al libero svolgimento<br />
dell’attività sindacale).<br />
Così come la fattispecie “condotta antisindacale” non è strutturalmente ma<br />
teleologicamente definita, neppure il contenuto dell’ordine del giudice è<br />
strutturalmente determinato e può assumere i contenuti più diversi. Il<br />
giudice può adottare, con decreto, ogni provvedimento che ritiene<br />
necessario al fine di ripristinare la normalità sindacale (anche, ad esempio,<br />
l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro).<br />
3.13.3. La violazione delle clausole dei contratti collettivi.<br />
Di particolare interesse appare verificare se la violazione delle disposizioni<br />
dei contratti collettivi integri o no una condotta antisindacale.<br />
Ebbene, la violazione delle sole clausole normative del contratto collettivo<br />
non costituisce, di per sé, una condotta antisindacale. In dottrina si è però<br />
ritenuto che possano sussistere gli estremi dell’antisindacalità qualora il<br />
datore di lavoro ponesse in essere sistematiche e reiterate violazioni delle<br />
115<br />
Parte<br />
normativa e<br />
parte<br />
obbligatoria<br />
del contratto<br />
collettivo
clausole contrattuali, tali da tradursi in un attentato all’ordine contrattuale e<br />
dunque all’effettività dell’azione contrattuale del sindacato.<br />
Quanto alla violazione di una clausola obbligatoria del contratto collettivo,<br />
quale ad es. una clausola che preveda un diritto d’informazione in capo al<br />
sindacato, essa costituisce certamente condotta antisindacale: venendo<br />
negata una prerogativa sindacale, ne consegue evidentemente una<br />
compressione dell’attività sindacale.<br />
Qualcuno ha però avanzato un’obiezione di principio rispetto alla tesi per<br />
cui anche la violazione di disposizioni contrattuali può costituire condotta<br />
antisindacale: così ragionando, si è detto, si finirebbe per sanzionare<br />
penalmente (si ricordi che la violazione dell’ordine del giudice è sanzionata<br />
con l’applicazione dell’art. 650 c.p.: cfr. art. 28, 3° co., St. lav.), ma<br />
unilateralmente, vale a dire solo quando essa sia posta in essere dal datore<br />
di lavoro, l’inosservanza dei contratti collettivi.<br />
Invero, questa obiezione non appare convincente, perché la sanzione penale<br />
non colpisce, di per sé, l’inosservanza delle disposizioni del contratto<br />
collettivo, ma l’inosservanza dell’ordine del giudice.<br />
3.13.4. Condotta antisindacale ed obbligo di trattare.<br />
C’è ancora da domandarsi se il rifiuto, da parte del datore di lavoro, di<br />
trattare con le associazioni sindacali sia da considerare condotta<br />
antisindacale ex art. 28 St. lav.<br />
Nel nostro ordinamento non è ricostruibile un obbligo generale di trattare.<br />
Parte della dottrina ritiene che tale obbligo possa essere tutt’al più<br />
configurato nel pubblico impiego, in quanto il sistema della contrattazione<br />
collettiva è regolato dalla legge e, in particolare, sono individuati i soggetti<br />
116<br />
Il rifiuto di<br />
trattare
competenti a trattare e stipulare i contratti collettivi. Nel settore del lavoro<br />
privato, invece, la contrattazione collettiva non è regolata dalla legge e non<br />
è stabilito, in capo ad alcun sindacato, un diritto di trattare.<br />
Per tali ragioni, il rifiuto di trattare deve considerarsi, in generale, legittimo.<br />
Esclusa l’esistenza di un generale obbligo di trattare, va però segnalata la<br />
previsione di specifici obblighi di trattare imposti da singole leggi o da<br />
clausole dei contratti collettivi. Ciò avviene, ad esempio, in materia di<br />
ricorso alla Cassa integrazione guadagni ed in materia di licenziamenti<br />
collettivi, poiché la legge prevede un obbligo di informazione sindacale<br />
preventiva, cui segue un obbligo di “esame congiunto”, da considerare<br />
come obbligo di trattare. Ebbene, va da sé che, là dove un obbligo di<br />
trattare sia specificamente previsto, il rifiuto della trattativa costituisce<br />
condotta antisindacale.<br />
Non esistendo un obbligo generale di trattare, il datore di lavoro può<br />
prescegliere con chi trattare, anche eventualmente escludendo alcuni<br />
sindacati. A ciò osta solo un limite. La trattativa con alcuni sindacati, e non<br />
con altri, non deve essere irragionevole in relazione alla rappresentatività<br />
dell’associazione sindacale esclusa; più precisamente, non deve essere<br />
talmente irragionevole da integrare la fattispecie del sostegno a sindacati<br />
“di comodo”, ex art. 17 St. lav.<br />
Quest’ultima norma, sotto la rubrica “sindacati di comodo”, vieta “ai datori<br />
di lavoro e alle associazioni dei datori di lavoro di costituire o sostenere<br />
con mezzi finanziari o altrimenti le associazioni sindacali dei lavoratori”.<br />
La ratio della norma è di impedire che i datori di lavoro (o le associazioni<br />
dei datori di lavoro) creino o sostengano sindacati che non siano<br />
genuinamente rappresentativi degli interessi dei lavoratori, al fine di avere<br />
una controparte “compiacente”. Va da sé che la semplice contrattazione<br />
117<br />
La<br />
“discrimina-<br />
zione” nelle<br />
trattative
con un sindacato, che sia genuino, non integra la fattispecie del sindacato di<br />
comodo e non può essere considerata condotta antisindacale.<br />
Resta infine da verificare se la trattativa condotta dal datore di lavoro con i<br />
singoli lavoratori, scavalcando le associazioni sindacali, costituisca<br />
condotta antisindacale. Si ipotizzi che il sindacato rivendichi un aumento<br />
salariale per i lavoratori o l’introduzione di un premio di produzione<br />
aziendale ed il datore di lavoro rifiuti la trattativa sindacale, privilegiando<br />
trattative svolte direttamente con i singoli lavoratori.<br />
Una volta negata l’esistenza di un obbligo generale di trattare con le<br />
associazioni sindacali, se ne dovrebbe inferire logicamente la possibilità di<br />
trattare direttamente con i singoli, escludendo le associazioni sindacali.<br />
Eppure la giurisprudenza (Cass. 23 marzo 2006, n. 6429) talora ritiene che<br />
il datore di lavoro, pur restando libero di non trattare affatto, debba<br />
rivolgersi necessariamente all’interlocutore collettivo nel momento in cui<br />
decide di trattare. La bontà di tale conclusione risulta però, come si è<br />
anticipato, pregiudicata da un salto di carattere logico, poiché, se è vero che<br />
non esiste un obbligo di trattare e vi è la libertà del datore di rifiutare la<br />
trattativa col sindacato, non si vede come possa essere repressa la trattativa<br />
diretta con i singoli lavoratori.<br />
118<br />
La trattativa<br />
con i<br />
singoli<br />
lavoratori
4.1. Il diritto di sciopero.<br />
Capitolo IV<br />
IL CONFLITTO<br />
Nonostante l’art. 40 della Costituzione disponga che “il diritto di sciopero<br />
si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, non esiste in Italia una<br />
disciplina generale dello sciopero (cioè del mezzo di lotta sindacale dei<br />
lavoratori) e della serrata (tradizionalmente considerata la “tipica” forma di<br />
lotta sindacale dei datori di lavoro, attuata tramite la chiusura dell’azienda<br />
ed il rifiuto delle prestazioni lavorative dei dipendenti).<br />
Il fatto che non esista una disciplina di carattere generale – ad esclusione,<br />
come vedremo, del settore dei servizi pubblici essenziali – non significa<br />
tuttavia che il vuoto normativo sia assoluto. Qualche indicazione può essere<br />
ricavata dalla Costituzione: mentre lo sciopero è menzionato e riconosciuto<br />
come diritto, nell’art. 40, nessun riferimento viene fatto alla serrata, con la<br />
conseguenza che essa non è qualificabile quale diritto come lo sciopero.<br />
Nel corso dei lavori preparatori della Costituzione, si era proposto di<br />
rendere lo sciopero oggetto di una formula categorica, del tipo “è assicurato<br />
a tutti i lavoratori il diritto di sciopero” oppure “tutti i lavoratori hanno<br />
diritto di sciopero”. Invece, ne è scaturito un testo compromissorio, ove<br />
l’accento è posto, più che sul riconoscimento del diritto di sciopero, sul<br />
preannuncio delle leggi che ne dovrebbero regolare l’esercizio.<br />
L’art. 40 Cost., è scomponibile in due proposizioni normative: lo sciopero è<br />
un diritto; il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo<br />
regolano.<br />
Quali sono le conseguenze giuridiche della qualificazione dello sciopero<br />
come diritto?<br />
119<br />
Lo sciopero<br />
come diritto
E’ utile, a tal fine, considerare quali sono i possibili atteggiamenti che un<br />
ordinamento giuridico può assumere nei confronti dello sciopero.<br />
Esso può essere considerato come un reato, una libertà o un diritto;<br />
dunque, può essere vietato, permesso, protetto.<br />
Nel periodo pre-corporativo, l’ordinamento giuridico italiano considerava<br />
lo sciopero come una libertà: esso non era vietato dal codice penale<br />
Zanardelli del 1889, a differenza di quanto previsto dal successivo codice<br />
penale Rocco del 1930.<br />
Lo sciopero era quindi penalmente lecito. Semmai erano considerate reati<br />
le minacce o violenze eventualmente poste in essere in occasione dello<br />
sciopero.<br />
In un’ottica prettamente civilistica, lo sciopero – che si concretizza in<br />
un’astensione dal lavoro – sarebbe da considerare un inadempimento<br />
contrattuale. Nello Stato liberale, lo sciopero non era considerato illecito<br />
penalmente; ma appunto era considerato civilmente illecito (come si è<br />
detto, in quanto inadempimento contrattuale).Tale visione, peraltro, era del<br />
tutto coerente con l’ideologia dello Stato liberale, equidistante rispetto alle<br />
parti sociali contrapposte.<br />
Nel periodo corporativo, si assiste ad un mutamento radicale di prospettiva,<br />
prima con l’entrata in vigore della legge sindacale del 1926, poi con il<br />
codice penale del 1930: lo sciopero, al pari della serrata, viene considerato<br />
come un reato contro l’economia nazionale e, dunque, illecito non solo<br />
civilmente ma anche penalmente.<br />
Il codice penale Rocco configura, negli artt. 502 ss., diverse fattispecie –<br />
sciopero per fini contrattuali, sciopero per fini non contrattuali o per fini<br />
politici, sciopero di coazione contro la Pubblica Autorità, sciopero di<br />
solidarietà e di protesta – e stabilisce pene diverse, a seconda della<br />
tipologia di sciopero.<br />
120
Con l’entrata in vigore della Costituzione, lo sciopero viene riconosciuto,<br />
come si è anticipato, come diritto. Ciò, in primo luogo, implica che lo Stato<br />
non può reprimerlo penalmente. Non solo: la qualificazione dello sciopero<br />
come diritto sottrae all’astensione del lavoro quel carattere di<br />
inadempimento contrattuale che altrimenti avrebbe secondo il diritto<br />
comune delle obbligazioni e dei contratti.<br />
4.2. Limiti interni e limiti esterni del diritto di sciopero.<br />
Come sottolineato, l’art. 40 Cost. non si limita a riconoscere lo sciopero<br />
come diritto, ma, allo stesso tempo, rinvia alla legge (ordinaria) per la<br />
fissazione dei limiti del medesimo.<br />
L’art. 40 contiene una riserva di legge, demandando la regolamentazione<br />
del diritto di sciopero esclusivamente a norme di legge. Tuttavia,<br />
disposizioni di carattere generale sullo sciopero non sono mai state<br />
emanate. Solo per i servizi pubblici essenziali, e solo nel 1990, è stata<br />
dettata una disciplina specifica (v. l. 12 giugno 1990, n. 146,<br />
successivamente modificata dalla l. 11 aprile 2000, n. 83).<br />
Come aveva preconizzato un famoso giurista (P. Calamandrei), in<br />
mancanza di norme di legge, i limiti del diritto di sciopero sono stati scritti<br />
dalla giurisprudenza, principalmente dalla Corte costituzionale.<br />
Più precisamente, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla<br />
legittimità costituzionale delle norme del codice penale del 1930 che<br />
prevedevano e punivano lo sciopero come reato, in relazione all’art. 40<br />
Cost., non ha seguito la strada della dichiarazione di illegittimità<br />
costituzionale in blocco di tutte le disposizioni del codice penale che<br />
punivano lo sciopero come reato; ha preferito seguire una via<br />
121<br />
La riserva di<br />
legge<br />
contenuta<br />
nell’art. 40<br />
Cost.
“gradualistica”, ritagliando in alcuni casi, all’interno delle fattispecie<br />
previste dal codice penale, fattispecie “minori” (con sentenze interpretative<br />
di rigetto o di accoglimento parziale manipolative) in cui la punibilità<br />
penale dello sciopero non poteva ritenersi contrastante con l’art. 40 Cost.<br />
La Corte costituzionale, mentre ha dichiarato l’illegittimità costituzionale<br />
dell’art. 502 c.p., relativo allo sciopero – e alla serrata – “per fini<br />
contrattuali” (vale a dire lo sciopero attraverso il quale i lavoratori<br />
sostengono le proprie rivendicazioni economiche in vista della<br />
contrattazione collettiva), non ha dichiarato totalmente illegittimo l’art 503<br />
c.p., avente ad oggetto lo sciopero per fini non contrattuali, ovvero politici.<br />
In questo caso, la Corte costituzionale ha ritenuto che debbano qualificarsi<br />
come reato lo sciopero politico diretto a sovvertire l’ordinamento<br />
costituzionale ovvero quello che impedisca il libero svolgimento dei diritti<br />
e dei poteri in cui si sostanzia la sovranità popolare. Ha dunque ritagliato,<br />
all’interno della fattispecie “sciopero per fini non contrattuali”, una<br />
fattispecie minore in cui lo sciopero può ben qualificarsi reato senza che<br />
insorga alcun contrasto con l’art. 40 Cost.<br />
In definitiva, la Corte costituzionale ha sostanzialmente riscritto i limiti del<br />
diritto di sciopero nel momento in cui è stata chiamata a valutare la<br />
legittimità costituzionale delle norme del codice penale del 1930 che<br />
puniscono lo sciopero come reato.<br />
Oltre però alla Corte costituzionale, anche la Corte di cassazione ha<br />
individuato limiti al diritto di sciopero. In particolare, essa è stata chiamata<br />
a giudicare delle forme cd. anomale di sciopero, quelle cioè che non si<br />
traducono in una semplice e totale astensione dal lavoro dei lavoratori. La<br />
Corte di cassazione è partita dal presupposto che ciò che la Costituzione<br />
riconosce come diritto, dunque lecito sia sul piano civile, sia sul piano<br />
122
penale, è lo sciopero, con la conseguenza che tutto quello che non rientra<br />
nella nozione di sciopero non gode della tutela di cui all’art. 40 Cost.<br />
La Corte ha così dato nel corso del tempo diverse definizioni di sciopero.<br />
In un primo tempo, la Cassazione ha adottato una definizione piuttosto<br />
restrittiva: è sciopero l’astensione concertata, contestuale e continuativa, di<br />
tutti i lavoratori dell’impresa. In virtù di tale definizione né lo sciopero cd.<br />
a singhiozzo (brevi periodi di astensione dal lavoro intervallati da brevi<br />
periodi di svolgimento dell’attività lavorativa), né quello cd. a scacchiera<br />
(l’astensione dal lavoro è effettuata in tempi diversi da differenti gruppi di<br />
lavoratori, che svolgono attività interdipendenti nell’organizzazione<br />
produttiva) potevano essere considerati sciopero.<br />
Con il passare del tempo, la definizione è diventata più ampia. Accogliendo<br />
le critiche provenienti dalla dottrina, i giudici di legittimità hanno<br />
riconosciuto che l’interprete non deve fornire una definizione aprioristica,<br />
costruita a tavolino, di sciopero. In mancanza di una definizione legislativa,<br />
deve attribuirsi alla parola “sciopero” il significato che essa ha “nel comune<br />
linguaggio adottato nell’ambiente sociale”. E per la Cassazione con la<br />
parola “sciopero”, nel nostro contesto sociale, suole intendersi nulla più<br />
che “un’astensione collettiva dal lavoro, disposta da una pluralità dei<br />
lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune” (Cass. 30 gennaio<br />
1980, n. 711).<br />
In tal modo, la Corte costituzionale e la Corte di cassazione hanno<br />
elaborato la cd. teoria dei limiti interni e dei limiti esterni del diritto di<br />
sciopero.<br />
I limiti interni sono quelli che derivano dalla stessa nozione di sciopero.<br />
Nel momento in cui la Cassazione adotta una nozione ampia di sciopero, è<br />
chiaro che i limiti interni diventano meno consistenti. Essi, tuttavia,<br />
continuano a sussistere: finché si definisce lo sciopero come astensione<br />
123<br />
La<br />
definizione<br />
di sciopero<br />
Limiti interni<br />
e limiti<br />
esterni del<br />
diritto di<br />
sciopero
collettiva dal lavoro, è evidente che tutte le forme di lotta sindacale che non<br />
si riducono ad una semplice astensione non possono essere qualificate<br />
come tale (ad es., lo sciopero cd. pignolo, cioè l’osservanza pedante dei<br />
regolamenti). Ciò vuol dire non che esse devono essere necessariamente<br />
considerate illecite, ma che devono essere valutate alla stregua delle<br />
comuni norme civilistiche e penalistiche (al di fuori, dunque, dell’ombrello<br />
protettivo dell’art. 40 Cost.).<br />
Sono limiti esterni quelli che derivano dal necessario contemperamento<br />
del diritto di sciopero con altri diritti costituzionalmente garantiti, che sono<br />
da considerare sovra-ordinati o almeno pari-ordinati rispetto al diritto di<br />
sciopero e che quindi non possono essere compromessi dall’esercizio dello<br />
stesso.<br />
Il problema è di stabilire, quali diritti sono sovra-ordinati o almeno para-<br />
ordinati e quali sono sotto-ordinati. Per alcuni di essi, come il diritto alla<br />
vita, o all’integrità fisica, non vi sono dubbi: essi sono certamente<br />
sovraordinati rispetto al diritto di sciopero. Più dubbia è la posizione di altri<br />
diritti, che trovano un riconoscimento diretto o indiretto nella Costituzione,<br />
rispetto al diritto di sciopero.<br />
Per quanto riguarda il diritto di iniziativa economica privata, di cui all’art.<br />
41 Cost., si è argomentato giustamente che, se questo fosse uno dei diritti<br />
pari-ordinati rispetto al diritto di sciopero, allora non si dovrebbe mai<br />
ammettere la legittimità dello stesso, dato che esso è finalizzato ad arrecare<br />
un danno all’impresa e dunque all’iniziativa economica privata.<br />
La giurisprudenza ha ritenuto che anche l’art. 41 Cost. deve entrare in<br />
gioco per il contemperamento dei diritti e degli interessi; ma ciò che deve<br />
essere salvaguardata non è la produzione dell’impresa, bensì la capacità<br />
produttiva della stessa (l’iniziativa economica privata nella sua accezione<br />
dinamica). Uno sciopero che danneggi gli impianti industriali fino a farli<br />
124<br />
Le forme di<br />
lotta<br />
sindacale che<br />
non si<br />
esauriscono<br />
in una<br />
astensione<br />
dal lavoro<br />
I diritti<br />
pariordinati o<br />
sovraordinati<br />
rispetto al<br />
diritto di<br />
sciopero
diventare inservibili, compromettendo l’iniziativa economica privata nel<br />
suo nucleo essenziale, è da considerare illegittimo. Uno sciopero che,<br />
invece, comprometta la produttività dell’impresa, senza compromettere<br />
l’impresa come organizzazione istituzionale, deve considerarsi legittimo<br />
(Cass. 30 gennaio 1980, n. 711).<br />
La teoria dei limiti esterni del diritto di sciopero, elaborata dalla Corte<br />
costituzionale, ha costituito poi un’indicazione per il legislatore ordinario<br />
nel momento in cui ha deciso di legiferare nel settore dei servizi pubblici<br />
essenziali con la l. n. 146/1990, successivamente modificata dalla l. n.<br />
83/2000.<br />
Ci si può chiedere per quale motivo il legislatore non sia intervenuto con<br />
una legge di portata generale e si sia giunti fino al 1990 per legiferare in un<br />
settore nevralgico come quello dei servizi pubblici essenziali.<br />
Le ragioni dell’inattuazione dell’art. 40 Cost. sono sufficientemente<br />
acquisite e consistono essenzialmente nell’ostilità manifestata dalle<br />
associazioni sindacali nei confronti delle ipotesi di regolamentazione<br />
legislativa del diritto di sciopero, il principale strumento di lotta dei<br />
sindacati.<br />
Del resto, è opinione comune (e fondata) che una legislazione in materia di<br />
sciopero che incontri l’opposizione delle forze sindacali è destinata a<br />
rimanere ineffettiva. Un fenomeno di rilevanza social-collettiva, come lo<br />
sciopero, non è realisticamente contenibile in regole che non siano<br />
condivise, almeno nelle linee di fondo, dalle forze sociali.<br />
125
4.3. La titolarità del diritto di sciopero.<br />
Il diritto di sciopero viene comunemente definito come diritto individuale<br />
ad esercizio collettivo, per il quale non è necessaria la proclamazione da<br />
parte di un’associazione sindacale stabile. La proclamazione da parte del<br />
sindacato è solamente un atto interno, un invito rivolto ai lavoratori a<br />
scioperare, ma non è un requisito di legittimità dello sciopero.<br />
Con l’espressione “ad esercizio collettivo” si vuole affermare che, alla base<br />
dello sciopero, vi deve essere un interesse collettivo, al cui soddisfacimento<br />
è finalizzata l’astensione dei lavoratori.<br />
Se lo sciopero viene proclamato da un sindacato, si ritiene per definizione<br />
sussistente un interesse collettivo, perché il sindacato è, per sua stessa<br />
natura, l’ente esponenziale dell’interesse collettivo. Se lo sciopero non<br />
viene proclamato da un’associazione sindacale, bisognerà verificare, di<br />
volta in volta, se sussiste o meno l’interesse collettivo (se dieci lavoratori,<br />
ad esempio, si astengono per sostenere rivendicazioni attinenti alle proprie<br />
condizioni di lavoro si è senz’altro in presenza di uno sciopero).<br />
L’adesione anche di un solo lavoratore ad uno sciopero proclamato da un<br />
sindacato configura uno sciopero, perché sussiste l’interesse collettivo. Se<br />
invece, in mancanza di proclamazione da parte di un sindacato, una<br />
pluralità di lavoratori si astiene dal lavoro bisognerà verificare di volta in<br />
volta la sussistenza di un interesse comune-collettivo.<br />
Sotto altro profilo, la titolarità del diritto di sciopero spetta ai lavoratori<br />
subordinati e parasubordinati (vale a dire i lavoratori autonomi che<br />
svolgono una prestazione coordinata, continuativa e prevalentemente<br />
personale a favore del committente: v. retro cap. I, par. 1). La legge sullo<br />
sciopero nei servizi pubblici essenziali, come si vedrà, disciplina anche<br />
l’astensione dei lavoratori autonomi tout court (ad es. degli avvocati),<br />
126<br />
Diritto di<br />
sciopero e<br />
rilevanza<br />
della<br />
proclamazione<br />
sindacale:<br />
essa non fa<br />
parte della<br />
struttura del<br />
diritto (tranne<br />
che nello<br />
sciopero nei<br />
servizi<br />
pubblici<br />
essenziali)<br />
Diritto di<br />
sciopero e<br />
lavoro<br />
autonomo
sebbene in tal caso non si possa parlare propriamente di sciopero, ma di<br />
astensione dalle prestazioni che troverebbe tutela costituzionale nell’art. 18<br />
Cost., sul diritto di associazione (Corte cost. 23 marzo 1994, n. 114; Corte<br />
cost. 27 maggio 1996, n. 171).<br />
4.4. La struttura del diritto di sciopero.<br />
Se dal punto di vista fattuale lo sciopero è un’astensione dal lavoro, dal<br />
punto di vista giuridico esso è un diritto potestativo cui corrisponde una<br />
mera soggezione della controparte.<br />
Parte della dottrina ha contestato tale qualificazione, sostenendo che il<br />
diritto di sciopero sarebbe un diritto della personalità. In realtà, non vi è<br />
contraddizione tra la configurazione del diritto di sciopero come diritto<br />
potestativo e la sua configurazione come diritto della personalità: la<br />
qualificazione come diritto della personalità attiene alla finalità del<br />
riconoscimento del diritto di sciopero, mentre la qualificazione come diritto<br />
potestativo attiene alla sua struttura, vale a dire al suo modo di operare<br />
all’interno del rapporto obbligatorio con il datore di lavoro.<br />
4.5. I modi attuativi.<br />
Due sono i problemi principali che la giurisprudenza ha dovuto affrontare,<br />
stante la mancanza, già ricordata, di una definizione esplicita di sciopero<br />
nel testo dell’art. 40 Cost. L’uno è relativo alle modalità attuative dello<br />
sciopero; l’altro è relativo alle finalità in vista delle quali lo sciopero viene<br />
attuato.<br />
127<br />
La<br />
qualificazione<br />
in termini di<br />
diritto<br />
potestativo<br />
La<br />
qualificazione<br />
in termini di<br />
diritto della<br />
personalità
Per quanto attiene alle modalità, la giurisprudenza ha dovuto affrontare il<br />
problema della legittimità dello sciopero articolato (sciopero a singhiozzo<br />
e sciopero a scacchiera; v. retro, cap. IV, par. 2).<br />
Si è detto che, in una prima fase, la giurisprudenza – definendo lo sciopero<br />
come un’astensione dal lavoro contestuale e continuativa – ha ritenuto che<br />
le forme di lotta sindacale sopra descritte non costituissero esercizio dello<br />
sciopero. E ciò anche perché esse avrebbero recato un danno ingiusto alla<br />
controparte: un danno – la disorganizzazione dell’attività produttiva –<br />
sproporzionato rispetto a quello ricevuto dai lavoratori a seguito dello<br />
sciopero, vale a dire la perdita della retribuzione. A sostegno della tesi si<br />
invocavano altresì gli obblighi di correttezza e buona fede.<br />
A seguito delle critiche avanzate dalla dottrina, (sia perché la<br />
giurisprudenza assumeva una nozione aprioristica, costruita a tavolino, di<br />
sciopero; sia perché nessuna norma indicava quale dovesse essere la misura<br />
del danno “giusto” arrecata da uno sciopero, sia perché gli obblighi di<br />
correttezza e buona fede assistono l’esecuzione della prestazione lavorativa<br />
quando lo sciopero determina la sospensione del relativo obbligo) la<br />
Cassazione, già dalla fine degli anni ’70, mutò indirizzo. E con la storica<br />
sentenza n. 711/1980 consacrò la legittimità dello sciopero articolato.<br />
A partire dalla fondamentale decisione del 1980, l’accento si è così<br />
spostato sull’individuazione dei confini dell’obbligo retributivo gravante<br />
sul datore di lavoro per le prestazioni offerte o rese, in caso di sciopero a<br />
singhiozzo, negli intervalli lavorati e, in caso di sciopero a scacchiera, dai<br />
lavoratori attualmente non scioperanti. Naturalmente lo stesso problema si<br />
pone per uno sciopero parziale nei confronti dei lavoratori che non vi<br />
aderiscono.<br />
A questo proposito, l’alternativa di fondo è se assuma rilievo la non<br />
proficuità della prestazione offerta o resa secondo lo standard normale,<br />
128<br />
Liceità dello<br />
sciopero cd.<br />
articolato<br />
Il problema<br />
della<br />
persistenza<br />
dell’obbligo<br />
retributivo<br />
per<br />
prestazioni<br />
lavorative<br />
rese<br />
nell’ambito<br />
di uno<br />
sciopero<br />
articolato
ovvero la sua assoluta non proficuità (id est inutilizzabilità). E’ infatti<br />
scontato che il lavoratore sia tenuto a fornire, non semplici energie, ma<br />
“prestazioni lavorative utili”. A chi ha sostenuto la prima tesi, è stato<br />
obiettato che essa finisce per accollare al prestatore di lavoro il compito di<br />
effettuare non un prestazione che sia utile in sé, bensì una prestazione che<br />
realizzi l’utilità economica finale cui è preposta l’organizzazione<br />
produttiva. In sostanza l’utilità del risultato – che costituisce indice esatto<br />
adempimento – andrebbe misurata in relazione non al risultato finale cui<br />
l’imprenditore tende, bensì alla natura della singola prestazione. Pertanto,<br />
al lavoratore nulla spetterebbe solo quando la prestazione sia scesa al di<br />
sotto di quel livello di normalità tecnica, mancando la quale essa viene a<br />
perdere la sua identità originaria.<br />
Questa pare la conclusione raggiunta dalla giurisprudenza più recente,<br />
allorché per escludere l’obbligo retributivo richiama la nozione della<br />
impossibilità e non di semplice difficultas di utilizzazione della prestazione,<br />
anche se nei casi concreti gli indici della ricorrenza dell’impossibilità non<br />
sempre sono individuati con rigore.<br />
4.6. Le finalità. In particolare, lo sciopero politico.<br />
Non sempre uno sciopero viene proclamato al fine di fare pressione sui<br />
datori di lavoro o sulle relative associazioni sindacali in funzione della<br />
stipulazione o del rinnovo del contratto collettivo. Assai frequentemente<br />
sono attuate forme di sciopero rivolte contro la pubblica autorità, al fine di<br />
ottenere od escludere l’adozione di un determinato provvedimento (ad es.<br />
la modifica della legislazione vigente).<br />
129
La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità<br />
costituzionale delle norme del codice penale del 1930, ha senz’altro, e<br />
senza esitazione, dichiarato incostituzionale l’art. 502 c.p., relativo allo<br />
sciopero per fini contrattuali; successivamente in una serie di pronunce ha<br />
definito i limiti dello sciopero per fini non contrattuali o di coazione alla<br />
pubblica autorità (artt. 503 – 504 c.p.).<br />
Si tratta dello sciopero comunemente definito come politico, vale a dire<br />
quello che, pur avendo come soggetto passivo il datore di lavoro, è in realtà<br />
diretto ad esercitare una pressione su una pubblica autorità (parlamento,<br />
governo ecc.) per propiziare o scongiurare l’adozione di un determinato<br />
provvedimento.<br />
Tracciando una sintesi del contenuto di queste sentenze, si può affermare<br />
che la Corte costituzionale ha ritagliato tre aree all’interno dello sciopero<br />
in senso lato politico.<br />
In certi casi, lo sciopero indirizzato nei confronti della pubblica autorità<br />
deve essere ancora oggi considerato un reato: si tratta dello sciopero diretto<br />
a sovvertire l’ordinamento costituzionale e dello sciopero diretto a limitare<br />
e ad impedire l’esercizio di quelle prerogative in cui si sostanzia la<br />
sovranità popolare (ad es. lo sciopero diretto ad impedire il diritto di voto<br />
ovvero a limitare o impedire la regolare attività del Parlamento) (Corte<br />
cost. 27 dicembre 1974, n. 290); in altri casi, lo sciopero politico deve<br />
essere considerato un diritto (e quindi non sanzionabile penalmente e<br />
nemmeno civilmente); in altri casi ancora deve essere considerato una mera<br />
libertà.<br />
Lo sciopero di imposizione economico-politica, vale a dire lo sciopero<br />
diretto ad ottenere o scongiurare un provvedimento che incide sulle<br />
condizioni dei lavoratori, costituisce un’astensione pienamente<br />
riconducibile alla nozione di sciopero di cui all’art. 40 (quindi costituisce<br />
130<br />
Lo sciopero<br />
politico-reato<br />
Lo sciopero<br />
politicodiritto
esercizio di un diritto). Deve considerarsi tale, ad esempio, lo sciopero<br />
contro la riforma dell’art. 18 St. lav., o per la riforma delle pensioni o per<br />
una diversa politica fiscale (Corte cost. 28 dicembre 1962, n. 123).<br />
Lo sciopero politico in senso stretto, che si indirizza contro la pubblica<br />
autorità, con contenuti afferenti a temi di politica generale, per lo più di<br />
politica estera, che non hanno attinenza con le condizioni lavorative in<br />
quanto tali (ad es. sciopero contro l’intervento militare in Afghanistan)<br />
costituisce esercizio di una semplice libertà (Corte cost. 27 dicembre 1974,<br />
n. 290).<br />
Questo assetto derivante dalla giurisprudenza costituzionale, che pareva<br />
oramai cristallizzato, è stato peraltro messo di recente in discussione da<br />
parte della giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. 21 agosto 2004,<br />
n. 16515) che ha affermato che anche lo sciopero politico tout court<br />
dovrebbe essere considerato come un diritto e non una semplice libertà.<br />
4.7. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali.<br />
Verso la fine degli anni ’70, in connessione con la cd. “terziarizzazione del<br />
conflitto”, l’atteggiamento delle associazioni sindacali nei confronti della<br />
regolamentazione dello sciopero muta: il conflitto sociale, infatti, interessa<br />
sempre meno l’industria e sempre più il settore dei servizi pubblici, i cui<br />
utenti sono innanzitutto lavoratori subordinati.<br />
Lo sciopero dei trasporti ad esempio danneggia, probabilmente più di tutti,<br />
i lavoratori subordinati pendolari.<br />
In connessione con lo spostamento dell’interesse nei confronti del settore<br />
terziario, muta quindi la sensibilità delle associazioni sindacali in merito<br />
all’ipotesi di una regolamentazione dello sciopero.<br />
131<br />
Lo sciopero<br />
politico-libertà
Inizialmente i sindacati “scommettono” sulla autoregolamentazione, cioè<br />
su una disciplina elaborata dallo stesso sindacato, che limita<br />
volontariamente il ricorso allo sciopero e ne regola le modalità di esercizio.<br />
Nasce così nel 1983 il primo codice sindacale di autoregolamentazione nel<br />
settore dei trasporti, adottato da Cgil, Cisl e Uil.<br />
La debolezza dell’autoregolamentazione si manifesta tuttavia nell’apparato<br />
sanzionatorio.<br />
Le previsioni di un codice di autoregolamentazione sono in tutto<br />
assimilabili alle disposizioni statutarie e, pertanto, non possono riguardare i<br />
lavoratori non iscritti al sindacato.<br />
Inoltre, anche per i lavoratori iscritti, la violazione del codice può<br />
comportare esclusivamente l’applicazione delle sanzioni disciplinari<br />
previste dallo statuto dell’associazione sindacale per i soci che non ne<br />
osservano le regole. Ma l’associazione sindacale difficilmente arriva ad<br />
applicare sanzioni disciplinari interne che potrebbero condurre alla perdita<br />
dell’iscritto.<br />
Constatata la debolezza della strada dell’autoregolamentazione, le<br />
associazioni sindacali hanno consentito, ed addirittura promosso, una<br />
regolamentazione dello sciopero nei pubblici servizi del settore. CGIL,<br />
CISL, e UIL, verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso, hanno dato<br />
incarico ad un gruppo di giuristi di elaborare un progetto per una<br />
regolamentazione legislativa dello sciopero nei pubblici servizi; e alcune<br />
idee di questo progetto sono state recepite e tradotte infine nella l. n.<br />
146/1990.<br />
Sotto questo profilo la l. n. 146/1990 è definibile come una legge<br />
“contrattata”.<br />
Nel settore dei servizi pubblici, la complessità è accentuata dalla forte<br />
frammentazione sindacale, con conseguente moltiplicazione dei conflitti,<br />
132<br />
L’autoregolamentazione<br />
dello<br />
sciopero e i<br />
suoi limiti
giacché i sindacati utilizzano lo strumento dello sciopero per acquisire<br />
visibilità; il che non avviene nel settore industriale anche per la meno<br />
accentuata frammentazione sindacale.<br />
4.7.1. La definizione di servizio pubblico essenziale.<br />
L’art. 1 della l. n. 146, così come modificata dalla l. n. 83/2000, contiene la<br />
definizione di servizio pubblico essenziale, che costituisce l’ambito di<br />
applicazione della legge.<br />
La definizione data dall’art. 1, 1° co., è una definizione di tipo teleologico e<br />
non di tipo strutturale: “Ai fini della presente legge sono considerati servizi<br />
pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto<br />
di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione,<br />
quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona,<br />
costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla<br />
sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale,<br />
all'istruzione ed alla libertà di comunicazione”.<br />
Il servizio pubblico essenziale è, dunque, individuato attraverso il<br />
riferimento ai diritti della persona costituzionalmente tutelati elencati nel<br />
primo comma della norma citata.<br />
A questo primo comma, segue un secondo comma che contiene una<br />
elencazione di servizi (e, per la verità, talora di prestazioni indispensabili).<br />
“Allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il<br />
godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al 1°<br />
co., la presente legge dispone le regole da rispettare e le procedure da<br />
seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettività, nel loro<br />
contenuto essenziale, dei diritti medesimi, in particolare nei seguenti<br />
133<br />
Definizione<br />
del tipo<br />
teleologico e<br />
non<br />
strutturale di<br />
servizio<br />
pubblico<br />
essenziale
servizi e limitatamente all'insieme delle prestazioni individuate come<br />
indispensabili ai sensi dell'art. 2:<br />
a) per quanto concerne la tutela della vita, della salute, della libertà e della<br />
sicurezza della persona, dell'ambiente e del patrimonio storico artistico: la<br />
sanità; l'igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento<br />
dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane,<br />
limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili;<br />
l'approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni<br />
di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi<br />
impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi;<br />
l'amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai<br />
provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed<br />
urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i<br />
servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali;<br />
b) per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione: i trasporti<br />
pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei,<br />
aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole;<br />
c) per quanto concerne l'assistenza e la previdenza sociale, nonché gli<br />
emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al<br />
soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona<br />
costituzionalmente garantiti: i servizi di erogazione dei relativi importi<br />
anche effettuati a mezzo del servizio bancario;<br />
d) per quanto riguarda l'istruzione: l'istruzione pubblica, con particolare<br />
riferimento all'esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili<br />
nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento<br />
degli scrutini finali e degli esami, e l'istruzione universitaria, con<br />
particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione;<br />
134
e) per quanto riguarda la libertà di comunicazione: le poste, le<br />
telecomunicazioni e l'informazione radiotelevisiva pubblica”.<br />
Non è opportuno soffermarsi analiticamente sull’elenco dei servizi che<br />
sono indicati nel co. 2 dell’art. 1. L’aspetto più problematico concerne la<br />
natura tassativa ovvero esemplificativa di tale elencazione. La tesi<br />
prevalente, anzi ormai unanime, è quella secondo la quale l’elencazione è<br />
esemplificativa e non tassativa.<br />
Se la definizione non fosse esemplificativa non si capirebbe, infatti, il<br />
significato della definizione di servizio pubblico contenuta nel 1° co.<br />
dell’art. 1. Ricordiamo che il primo comma dà una definizione, non<br />
strutturale, ma solo teleologica (sono servizi pubblici quelli diretti al<br />
soddisfacimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati). Se il<br />
comma 2° volesse dare una elencazione tassativa, non avrebbe senso la<br />
definizione teleologica di cui al comma 1°.<br />
Inoltre, negli ordinamenti nei quali v’è una regolamentazione dello<br />
sciopero nei servizi pubblici essenziali, con relativa elencazione dei servizi,<br />
si prevede qualche meccanismo, di tipo amministrativo, per aggiornare<br />
siffatta elencazione. Poiché nella legge n. 146/1990 questo meccanismo<br />
non è previsto, è del tutto logico ritenere che l’elenco non sia tassativo ma,<br />
appunto, solo esemplificativo. Occorre infine sottolineare come la nozione<br />
di servizio pubblico essenziale non sia immutabile dipendendo anche<br />
dall’evoluzione e dall’organizzazione della società (il trasporto aereo, ad<br />
esempio, 40 anni fa non poteva essere considerato servizio pubblico<br />
essenziale). Di qui l’opportunità di una definizione aperta, solo<br />
teleologicamente orientata, di servizi pubblici essenziali.<br />
Il servizio pubblico (come stabilisce il 1° co.: “indipendentemente dalla<br />
natura giuridica del rapporto di lavoro…”) può essere gestito anche da<br />
un’impresa privata. Il servizio è infatti pubblico in quanto diretto al<br />
135<br />
L’elencazione<br />
del 2° co.<br />
dell’art. 1 è<br />
solo<br />
esemplificativa
pubblico, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del datore di<br />
lavoro: ad esempio, l’attività di una clinica privata costituisce senz’altro<br />
servizio pubblico essenziale poiché vi viene tutelato il diritto alla salute e<br />
alla vita.<br />
In conclusione, si può dire che servizio pubblico essenziale è il servizio<br />
diretto a garantire i diritti della persona costituzionalmente tutelati indicati<br />
nel 1° co. dell’art. 1 della l. n. 146/1990, con la precisazione per cui<br />
l’elencazione dei diritti tutelati indicati nel 1° comma è tassativa, mentre<br />
quella dei servizi al 2° comma è solo esemplificativa.<br />
4.7.2. Le regole dello sciopero.<br />
La l. n. 146 del 1990 fissa direttamente pochi principi sostanziali<br />
demandando la fissazione delle regole a fonti secondarie, segnatamente ai<br />
contratti collettivi (oltre che ai codici di autoregolamentazione).<br />
Gli obblighi principali fissati dall’art. 2 della legge sono di dare un<br />
preavviso dello sciopero e di garantire le prestazioni indispensabili.<br />
a) Innanzitutto, deve essere dato un preavviso, non inferiore ai 10 giorni da<br />
parte dei soggetti sindacali che proclamano lo sciopero. La finalità del<br />
preavviso è soprattutto di consentire alle aziende o gli enti erogatori dei<br />
servizi pubblici di adottare le misure necessarie per assicurare le<br />
prestazioni indispensabili e effettuare le necessarie comunicazioni ed<br />
informazioni agli utenti.<br />
b) Occorre poi che siano garantite le prestazioni indispensabili. La legge<br />
definisce le prestazioni indispensabili come quelle necessarie per<br />
garantire i diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui al co. 1°<br />
dell’art. 1. Va infatti sottolineato che, all’interno di un servizio<br />
136<br />
Il preavviso<br />
Le prestazioni<br />
indispensabili
pubblico, non tutte le prestazioni rese dai lavoratori sono indispensabili<br />
ai fini del soddisfacimento dei diritti della persona costituzionalmente<br />
garantiti; tant’è vero che qualcuno, giustamente, ha detto che il concetto<br />
centrale nell’ambito di applicazione della legge non è tanto quello di<br />
servizio pubblico quanto quello di prestazione indispensabile.<br />
La distinzione tra servizio pubblico e prestazione indispensabile, fatta<br />
propria dal legislatore del 1990, era stata peraltro già formulata dalla Corte<br />
costituzionale. Ed in effetti, come si è già anticipato, l’elaborazione della<br />
giurisprudenza costituzionale in materia di sciopero è stata molto<br />
importante, perché ha delineato le linee interpretative per il legislatore<br />
ordinario.<br />
La Corte costituzionale era stata chiamata a giudicare della legittimità<br />
costituzionale degli artt. 330, 333 del c.p. (ora abrogati dalla legge n.<br />
146/1990) che prevedevano e punivano l’abbandono dei pubblici servizi<br />
come reato. E la Corte aveva ritenuto che potesse considerarsi reato non<br />
qualsiasi abbandono di pubblici servizi, uffici o lavori, ma solo quello che<br />
comprometta “funzioni e servizi pubblici essenziali, aventi carattere di<br />
preminente interesse generale ai sensi della Costituzione” (Corte cost. 17<br />
marzo 1969, n. 31).<br />
La Corte aveva poi affermato che all’interno di quello che può definirsi<br />
servizio pubblico essenziale (ad esempio, il servizio reso da un ospedale),<br />
non tutti gli scioperi dovessero essere considerati reato, ma solo quelli che<br />
non assicurassero le prestazioni indispensabili (nel caso, ad esempio, di uno<br />
sciopero degli infermieri in un ospedale psichiatrico, la Corte ha ritenuto<br />
che tale sciopero non fosse illecito penalmente, perché nel caso era<br />
rispettato il rapporto tra numero degli infermieri e ricoverati, previsti dalla<br />
normativa in materia di sanità. Secondo la Corte costituzionale, una volta<br />
137
assicurato tale rapporto, lo sciopero è legittimo: Corte cost. 3 agosto 1976,<br />
n. 222).<br />
Il concetto di prestazione indispensabile, che qualcuno chiama<br />
impropriamente “servizio minimo”, deriva proprio dall’idea della Corte<br />
costituzionale secondo la quale, all’interno del servizio pubblico, non tutte<br />
le prestazioni debbono ritenersi indispensabili per la garanzia dei diritti<br />
della persona costituzionalmente tutelati.<br />
Una volta chiarito che la l. n. 146/1990, all’art. 2, impone, oltre all’obbligo<br />
del preavviso, anche la garanzia delle prestazioni indispensabili, ci si<br />
chiede come esse vadano determinate.<br />
Ovviamente non era pensabile che il legislatore fissasse analiticamente le<br />
prestazioni indispensabili per ciascun singolo servizio pubblico: esso rinvia<br />
dunque a “fonti secondarie”, segnatamente ai contratti collettivi, in<br />
coerenza con la natura di “legge contrattata” del provvedimento.<br />
La prestazione indispensabile è, quindi, concretamente determinata dai<br />
contratti collettivi, di qualsiasi livello: si può trattare di un contratto<br />
nazionale o di un contratto aziendale.<br />
Può configurarsi un obbligo a trattare per raggiungere l’accordo sulle<br />
prestazioni indispensabili previsto nella legge; il che però non significa<br />
certo che si sia in presenza di un obbligo a contrarre, essendo ovviamente<br />
possibile che le parti non riescano a concludere un accordo per la<br />
determinazione delle prestazioni indispensabili.<br />
In caso di mancato accordo, nella versione originaria della legge, si<br />
determinava una situazione di vuoto normativo che finiva per essere<br />
colmato, ancora una volta, dai giudici. È pur vero che, già nella legge n.<br />
146 del 1990, era stata prevista l’istituzione di una “Commissione di<br />
garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici<br />
essenziali” (composta da 9 membri nominati dal Presidente della<br />
138<br />
La<br />
determinazione<br />
delle<br />
prestazioni<br />
indispensabili<br />
Mancata<br />
fissazione in<br />
via<br />
contrattuale<br />
delle<br />
prestazioni<br />
indispensabili<br />
e ruolo della<br />
Commissione<br />
di Garanzia
Repubblica, tra esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del<br />
lavoro e di relazioni industriali); tuttavia, al fine di garantire l’applicazione<br />
della legge, la Commissione non aveva alcun potere normativo, non<br />
potendo sostituirsi al mancato accordo tra le parti, a meno che non fossero<br />
entrambe a richiedere alla medesima l’emissione di un lodo per la<br />
fissazione delle prestazioni indispensabili. In base al testo originario della l.<br />
n. 146/1990, cioè, la Commissione aveva solo compiti di proposta, di<br />
stimolo e di verifica della congruità degli accordi raggiunti, ma non aveva<br />
il potere di sostituirsi al mancato accordo tra le parti.<br />
Il vuoto è stato colmato con la legge n. 83 del 2000 attraverso il<br />
conferimento alla Commissione di garanzia, non solo del potere di valutare<br />
la congruità degli accordi raggiunti in relazione agli obiettivi che si<br />
prefigge la legge, ma anche del potere di sostituirsi al mancato accordo tra<br />
le parti, adottando quella che l’art. 13 della l. n. 146/1990, denomina<br />
regolamentazione “provvisoria”.<br />
Insomma, la Commissione di garanzia, per indurre le parti a raggiungere un<br />
accordo, fa una propria proposta di regolamentazione. Se le parti collettive<br />
non raggiungono l’accordo, adotta una regolamentazione provvisoria.<br />
La l. n. 83/2000 ha poi introdotto ulteriori obblighi che possono essere<br />
considerati collaterali rispetto ai due obblighi fondamentali del preavviso e<br />
dell’erogazione delle prestazioni indispensabili. In particolare, devono<br />
essere previste (nei contratti o negli accordi collettivi che fissano le<br />
prestazioni indispensabili) procedure di raffreddamento e di conciliazione,<br />
obbligatorie per entrambe le parti, da esperirsi prima della proclamazione<br />
dello sciopero. Se le parti non intendono avvalersi delle procedure di<br />
raffreddamento e di conciliazione contenute negli accordi o nei contratti<br />
collettivi, è previsto un tentativo di conciliazione presso la Prefettura o il<br />
Comune, nel caso di scioperi nei servizi pubblici di rilievo locale, o presso<br />
139<br />
Le procedure<br />
di<br />
raffreddamento<br />
e di<br />
conciliazione
la competente struttura del Ministero del lavoro e della previdenza sociale,<br />
nel caso di scioperi di rilievo nazionale.<br />
Con la l. n. 83 del 2000 è stata poi introdotta la regola della cd.<br />
rarefazione. Per effetto di tale regola, gli accordi devono altresì indicare<br />
intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la<br />
proclamazione di quello successivo, quando ciò sia necessario ad evitare<br />
che, per effetto di scioperi proclamati in successione da soggetti sindacali<br />
diversi e che incidano sullo stesso servizio finale o sullo stesso bacino<br />
d’utenza, sia oggettivamente compromessa la continuità dei servizi pubblici<br />
di cui all’art. 1.<br />
La regola legale è espressa come intervallo minimo oggettivo, riguardando<br />
scioperi proclamati in successione da soggetti sindacali diversi, ma essa si<br />
ritiene applicabile anche nel caso in cui lo sciopero sia proclamato dallo<br />
stesso sindacato.<br />
La finalità dell’intervallo minimo è, per l’appunto, quella di garantire una<br />
certa “rarefazione”. Si tratta sostanzialmente di un rimedio per far fronte al<br />
problema dell’estrema frammentazione sindacale presente nel settore dei<br />
servizi pubblici. Infatti, nel caso in cui le organizzazioni sindacali siano,<br />
come in certi settori dei servizi pubblici, trenta o quaranta, se ogni<br />
sindacato ogni giorno potesse proclamare uno sciopero si verificherebbero<br />
situazioni assai problematiche.<br />
Ad ogni modo, l’applicazione della regola dell’intervallo minimo non è<br />
agevole, perché ogni sindacato per poter proclamare uno sciopero deve<br />
essere a conoscenza degli altri scioperi precedentemente proclamati, anche<br />
a livello locale. In alternativa, il problema della frammentazione sindacale<br />
poteva essere risolto o ammettendo solo gli scioperi approvati con<br />
referendum tra i lavoratori (prevedendo cioè un referendum come<br />
condizione di legittimità dello sciopero, per cui solo quello sciopero che<br />
140<br />
La regola del<br />
cd. intervallo<br />
minimo
abbia il consenso della maggioranza dei lavoratori può essere ammesso),<br />
oppure legittimando solo gli scioperi proclamati dai sindacati che abbiano<br />
un minimo di rappresentatività.<br />
Il referendum, tuttavia, oltre al problema di carattere politico-sindacale,<br />
pone anche quello della identificazione dei soggetti che devono essere<br />
chiamati a votare in ordine alla effettuazione o meno dello sciopero (si<br />
tratta sempre del problema della categoria).<br />
4.7.3. Apparato sanzionatorio.<br />
L’apparato sanzionatorio si articola in una serie di previsioni che<br />
concernono non solo i singoli lavoratori e le associazioni sindacali, ma<br />
anche i dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e i legali<br />
rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i servizi pubblici.<br />
Dunque, sanzioni civili ed amministrative in conformità con la precisa<br />
scelta legislativa di escludere la sanzione penale: ed invero proprio la l. n.<br />
146 del 1990 ha abrogato gli artt. 330 e 333 c.p. (si discute, peraltro, sul<br />
campo di applicazione del sopravvissuto reato di interruzione di pubblici<br />
uffici o servizi previsto dall’art. 340 c.p.).<br />
La violazione delle regole contenute nei commi 1°, 2° e 3° dell’art. 2, l. n.<br />
146/1990, comporta per i lavoratori l’adozione di sanzioni disciplinari<br />
proporzionate alla gravità dell’infrazione, con esclusione delle misure<br />
estintive del rapporto di lavoro (licenziamento). Possono dunque essere<br />
adottate le sanzioni del rimprovero, della multa (una trattenuta sulla<br />
retribuzione pari ad un massimo di 4 ore), ovvero della sospensione dal<br />
lavoro e dalla retribuzione fino a 10 giorni.<br />
141<br />
Abrogazione<br />
degli artt. 330<br />
e 333 c.p.<br />
Le sanzioni<br />
disciplinari in<br />
capo ai<br />
lavoratori
Il profilo particolarmente interessante riguarda la circostanza per cui le<br />
sanzioni sono adottate dal datore di lavoro, benché le regole violate non<br />
siano poste nel suo interesse, bensì nell’interesse di terzi (ossia gli utenti<br />
del servizio). Si tratta di una situazione anomala, tanto che in passato ci si<br />
era chiesti per quale motivo il datore di lavoro avrebbe dovuto essere<br />
obbligato ad applicare le sanzioni disciplinari se le regole della legge n.<br />
146/1990 sono poste a difesa dell’interesse pubblico.<br />
Sul punto è intervenuta la legge n. 83/2000, secondo cui compete alla<br />
Commissione di garanzia valutare il comportamento dei soggetti collettivi<br />
che hanno proclamato lo sciopero e, ove essa rilevi violazioni della legge,<br />
prescrivere l’adozione di sanzioni disciplinari al datore di lavoro (art. 13, 1°<br />
co., lett. i). Se i datori di lavoro non adottano le sanzioni disciplinari, sono<br />
assoggettati a loro volta a sanzioni (art. 4, 4° sexies co.).<br />
Per contro nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori che proclamano<br />
uno sciopero, o ad esso aderiscono, in violazione delle disposizioni di cui<br />
all’art. 2 , sono previste, vuoi sanzioni di ordine patrimoniale (sospensione<br />
dei permessi sindacali retribuiti ovvero dei contributi sindacali comunque<br />
trattenuti dalle retribuzioni dei lavoratori per un ammontare economico<br />
complessivo oggi non inferiore a € 5.000 e non superiore a € 50.000), vuoi<br />
la sanzione dell’esclusione dalle trattative per la stipulazione dei contratti<br />
collettivi, in quanto vi partecipino, per un periodo di due mesi dalla<br />
cessazione del comportamento. Si tratta di sanzione ipotizzabile solo per il<br />
settore del pubblico impiego, ove è disciplinato il procedimento di<br />
contrattazione collettiva e si configura in capo ai sindacati legittimati a<br />
stipulare contratti un vero e proprio diritto di trattare.<br />
Nel caso di impossibilità di applicare le suddette sanzioni poiché le<br />
organizzazioni sindacali non fruiscono dei citati benefici di ordine<br />
patrimoniale o non partecipano alle trattative, la Commissione di garanzia<br />
142<br />
Le sanzioni<br />
nei confronti<br />
delle<br />
organizzazioni<br />
sindacali
delibera in via sostitutiva una sanzione amministrativa pecuniaria a carico<br />
di coloro che rispondono legalmente per l’organizzazione sindacale<br />
responsabile, pari all’importo di cui sopra (cfr. art. 4, 4° bis co.).<br />
Infine, anche in capo ai dirigenti delle amministrazioni e ai legali<br />
rappresentanti delle imprese che violano gli obblighi posti a loro carico<br />
(dalla garanzia delle prestazioni indispensabili, ai diversi obblighi di<br />
informazione vuoi all’utenza, vuoi alla Commissione di garanzia) si<br />
configura l’applicazione, da parte della Commissione, di una sanzione<br />
amministrativa pecuniaria per un ammontare, oggi, da € 5.000 a € 50.000<br />
(art. 4, co. 4).<br />
4.8. La serrata.<br />
La serrata consiste nella chiusura dell’azienda, con il conseguente rifiuto<br />
delle prestazioni offerte dai lavoratori. Essa è considerata la tradizionale<br />
forma di “lotta sindacale” dei datori di lavoro.<br />
La serrata può essere totale o parziale, a seconda che l’attività lavorativa<br />
venga sospesa totalmente o solo in parte.<br />
Da un punto di vista soggettivo, la serrata può essere individuale o<br />
collettiva: è individuale se è ad iniziativa di un solo datore di lavoro; è<br />
collettiva se attuata da più datori di lavoro concordemente e<br />
contestualmente per un fine comune.<br />
La serrata è per sua natura uno strumento di sospensione dell’attività<br />
lavorativa di tipo temporaneo; in caso contrario, si ricadrebbe nella diversa<br />
fattispecie della cessazione della attività dell’impresa.<br />
143<br />
Le sanzioni in<br />
capo ai<br />
dirigenti delle<br />
amministrazioni<br />
e ai<br />
legali<br />
rappresentanti<br />
delle imprese
Rispetto alle modalità attuative, la serrata si distingue in offensiva e<br />
difensiva: si definisce offensiva quando è diretta a sostenere una<br />
rivendicazione del datore di lavoro; è difensiva quando il datore reagisce ad<br />
una iniziativa dei sindacati dei lavoratori (un esempio rilevante di serrata<br />
difensiva è la cd. serrata di ritorsione; mentre un esempio di serrata di<br />
carattere offensivo, è la serrata di solidarietà).<br />
Così come lo sciopero, anche la serrata può essere diretta nei confronti<br />
delle controparti contrattuali o nei confronti della pubblica autorità ed avere<br />
dunque un fine politico (si pensi alla serrata di protesta dei piccoli<br />
esercenti).<br />
4.8.1. Qualificazione e disciplina della serrata dal punto di vista<br />
penale…<br />
Nel codice penale Rocco del 1930 la serrata è posta sullo stesso piano dello<br />
sciopero; nel codice penale adottato nel periodo corporativo fascista sia la<br />
sospensione dell’attività lavorativa ad opera dei lavoratori, sia la<br />
sospensione dell’attività lavorativa, con la chiusura dei locali dell’azienda,<br />
da parte dei datori di lavoro, erano considerate reati contro l’economia<br />
nazionale.<br />
Come si è già visto, l’ordinamento corporativo non si fondava sul principio<br />
di libertà sindacale, bensì sul principio del sindacato unico (con personalità<br />
giuridica e con rappresentanza legale degli appartenenti alla categoria). In<br />
tale sistema di contrattazione collettiva con efficacia erga omnes le<br />
controversie, sia giuridiche sia economiche, erano risolte dallo Stato<br />
attraverso la Magistratura del lavoro.<br />
144
La Costituzione, entrata in vigore nel 1948, prevede come diritto lo<br />
sciopero (art. 40), ma nulla dice della serrata. Proprio da questo deve<br />
desumersi che la serrata, non menzionata dal Costituente, non sia da<br />
considerare diritto al pari dello sciopero.<br />
Sia la dottrina, sia la giurisprudenza hanno ricondotto il diritto di sciopero,<br />
non solo all’art. 40 Cost., ma anche all’art. 3 Cost. 2° co., configurandolo<br />
quale strumento diretto a garantire l’eguaglianza sostanziale dei cittadini.<br />
Se il diritto di sciopero ha la finalità di consentire ai lavoratori subordinati<br />
di raggiungere l’uguaglianza sostanziale, alla serrata, strumento di lotta<br />
sindacale dei datori di lavoro, non può essere riconosciuta la natura di<br />
diritto. Sulla base di queste argomentazioni parte della dottrina sostiene che<br />
nemmeno il legislatore potrebbe elevare a rango di diritto la serrata.<br />
Se la serrata non è un diritto, ci si può interrogare sulla sua qualificazione<br />
giuridica. Su tale profilo è intervenuta la Corte costituzionale con tre<br />
sentenze.<br />
La prima è la sentenza del 4 maggio 1960, n. 29, relativa alla legittimità<br />
costituzionale dell’art. 502 del c.p. Esso puniva la serrata, al pari dello<br />
sciopero, per fini contrattuali: “Il datore di lavoro che, col solo scopo di<br />
imporre ai suoi dipendenti modificazioni ai patti stabiliti, o di opporsi a<br />
modificazioni di tali patti, ovvero di ottenere o impedire una diversa<br />
applicazione dei patti o usi esistenti, sospende in tutto o in parte il lavoro<br />
nei suoi stabilimenti, aziende o uffici, è punito con la multa non inferiore a<br />
lire due milioni”.<br />
La serrata per fini contrattuali è quella che si rivolge alla controparte<br />
contrattuale, lavoratori e sindacati dei lavoratori, per fini attinenti alla<br />
disciplina del contratto di lavoro.<br />
La Corte costituzionale, nella sentenza del 1960, ha affermato che l’art. 502<br />
c.p. si inserisce nella logica del periodo corporativo, nel contesto del quale<br />
145
tanto lo sciopero quanto la serrata venivano considerati reati. Ma, poiché<br />
l’ordinamento corporativo è venuto meno e l’attuale ordinamento si fonda<br />
su principi diversi, improntati alla libertà sindacale, i divieti penali di<br />
sciopero e serrata non si giustificano.<br />
Essi potevano avere un senso nell’ordinamento corporativo ove non v’era<br />
un libero confronto tra le parti sociali, datori di lavoro e sindacati dei<br />
lavoratori. Ora, caduto l’ordinamento corporativo e tutto il sistema su cui<br />
esso si basava, devono ritenersi caduti anche i divieti penali tanto di<br />
sciopero, quanto di serrata.<br />
La Corte utilizza non solo un argomento di carattere storico, ma argomenta<br />
anche ex art. 39, 1° co., Cost., “il quale, esprimendo un indirizzo<br />
nettamente democratico, dichiara il principio della libertà sindacale”;<br />
dunque “la posizione che, rispetto allo sciopero e alla serrata è venuta a<br />
determinarsi nell’ambito del sistema di libertà sancita dagli art. 39 e 40<br />
è…questa: che lo sciopero è riconosciuto costituzionalmente come un<br />
diritto, destinato però secondo il preciso dettato dell’art. 40, ad essere<br />
regolato dalla legge; e che la serrata, priva di un tal riconoscimento, ma in<br />
pari tempo anche della qualificazione giuridico-penale a suo tempo posta<br />
dall’ordinamento corporativo, si presenta attualmente come un atto<br />
penalmente non vietato o, come si suol dire, penalmente lecito”.<br />
In una seconda decisione, la n. 141 del 1967, la Corte costituzionale è stata<br />
chiamata a pronunciarsi sull’art. 505 c.p. relativo allo sciopero e alla serrata<br />
per protesta. Nella fattispecie si trattava di un’impresa che aveva interrotto<br />
l’attività lavorativa per protestare per una disciplina fiscale troppo onerosa.<br />
La Corte costituzionale ha ritenuto che, quando la serrata sia attuata per<br />
ragioni estranee alla disciplina del rapporto di lavoro, essa non è coperta<br />
dalla libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost., in quanto l’imprenditore non<br />
agisce come datore di lavoro, bensì come libero soggetto economico.<br />
146
“Non pertinente – osserva la Corte –, anzitutto è il richiamo all’art. 35<br />
Cost., il quale “tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”. È<br />
evidente, infatti, che “il soggetto di tale previsione costituzionale è il<br />
lavoratore e non già il datore di lavoro, la cui libertà di iniziativa e di<br />
azione trova garanzia, su altro piano e con ben diverso regime, nell’art. 41<br />
Cost., il quale, come innanzi si è detto, non viene qui in discussione”.<br />
Quanto all’art. 39 Cost., la Corte ritiene che “non vi sia dubbio che la<br />
libertà di organizzazione sindacale debba trovare il necessario suo<br />
corollario nella libertà di azione sindacale, giacché ove quest’ultima fosse<br />
rinnegata anche la prima finirebbe col ridursi ad un principio privo di<br />
contenuto e di significato. Tuttavia proprio l’intima connessione fra l’una e<br />
l’altra sta a dimostrare che l’azione sindacale deve essere definita nei<br />
termini che alla sua funzione sono coessenziali (cfr., a proposito dello<br />
sciopero, sent. n. 123 del 1962) e che vanno precisati nel quadro del<br />
rapporto fra datori di lavoro e lavoratori: con la conseguenza che ad essa ed<br />
alla sua tutela costituzionale appaiono estranei tutti quei comportamenti che<br />
non si collochino nell’ambito di quei rapporti. Non può perciò accogliersi<br />
l’opinione del giudice a quo, secondo la quale la serrata dovrebbe essere<br />
lecita “ogni volta sia diretta al conseguimento di un fine economico<br />
connesso con l’attività aziendale”.<br />
Vero è che nella sent. n. 123 del 1962 la Corte aveva ritenuto che il diritto<br />
di sciopero è legittimamente esercitabile in funzione di tutte le<br />
rivendicazioni riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che<br />
trovano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo terzo della parte<br />
prima della Costituzione. Ma, – osserva ancora Corte cost, n. 141/1967 – è<br />
da considerare che ciò trova fondamento nella circostanza che le varie<br />
provvidenze ivi previste ineriscano tutte alla qualifica del soggetto come<br />
lavoratore, laddove “il fine economico connesso con l’attività aziendale” va<br />
147
collegato all’interesse del soggetto considerato come imprenditore: in<br />
funzione, cioè, di un’attività che non rientra nella garanzia offerta dall’art.<br />
39 Cost”.<br />
Qualcuno ha sottolineato in dottrina che una soluzione così rigida è<br />
destinata a scontare una sua implicita contraddizione. Una volta individuata<br />
nell’art. 39, c. 1°, Cost., la tutela di “una libertà di azione sindacale”,<br />
relativa così allo sciopero come alla serrata, e nell’art. 40 Cost. l’elevazione<br />
di simile tutela a diritto limitatamente allo sciopero; una volta posta una<br />
premessa siffatta, risulta difficile concludere per una libertà di serrata<br />
limitata solo a quella a fine contrattuale e non estesa almeno anche a quella<br />
a fine di solidarietà e di protesta.<br />
Sembra tanto più difficile, via via che la stessa Corte, amplia l’ambito del<br />
diritto di sciopero, considerando garantito dall’art. 40 Cost. pure lo<br />
sciopero d’imposizione politico-economica (sent. n. 123/1962).<br />
Altri hanno sottolineato che la Corte costituzionale, interpretando l’art. 505<br />
c.p. in senso restrittivo, vale a dire nel senso che esuli dal suo campo di<br />
applicazione la serrata attuata per protesta contro fatti che al rapporto di<br />
lavoro “si riferiscano”, lascia aperto uno spiraglio per ritenere penalmente<br />
lecita quella serrata che, pur non essendo dettata da fini contrattuali, attenga<br />
comunque alla disciplina del rapporto di lavoro. Se il Parlamento stesse per<br />
emanare una legge in materia di lavoro, avversata dai datori di lavoro,<br />
l’eventuale serrata sarebbe attuata per fini non contrattuali, ma pur sempre<br />
attinenti alla disciplina del rapporto di lavoro; essa, pertanto dovrebbe<br />
essere ritenuta penalmente lecita.<br />
Con la sentenza n. 222 del 1975, la Corte costituzionale si è pronunciata<br />
sull’art. 506 c.p., che puniva come reato la “serrata di esercenti di aziende<br />
industriali e commerciali” senza “lavoratori alle loro dipendenze”.<br />
148<br />
La serrata di<br />
protesta dei<br />
piccoli<br />
esercenti
La Corte costituzionale ne ha affermato l’illegittimità costituzionale, in<br />
quanto i piccoli commercianti o i piccoli esercenti, ove siano privi di<br />
dipendenti, sono da considerare alla stregua di lavoratori, ancorché<br />
autonomi. Se la serrata è la sospensione dell’attività lavorativa con<br />
impossibilità per i dipendenti di prestare lavoro subordinato, quando i<br />
dipendenti non vi siano, la chiusura dell’azienda è da assimilare nella<br />
sostanza ad uno sciopero (ex art. 40 Cost.). Anzi, la Corte costituzionale<br />
arriva a definire impropria la qualificazione della astensione dal lavoro di<br />
questi soggetti come serrata, la cui “forma di autotutela, strutturata dallo<br />
stesso codice sul modello di quella dei lavoratori dipendenti; non può non<br />
essere compresa in quel più ampio concetto di sciopero che ha trovato<br />
modo di esprimersi nell’attuale mondo del lavoro”. Di conseguenza la<br />
Corte costituzionale dichiara l’incostituzionalità dell’art. 506 c.p. per<br />
contrasto con l’art. 40 Cost. proprio in quanto la serrata di piccoli esercenti<br />
va considerata come se fosse uno sciopero.<br />
4.8.2. … e dal punto di vista civile.<br />
Se la serrata, almeno per fini contrattuali, pur non costituendo un illecito<br />
penale, non è da considerare un diritto ma una semplice libertà, ciò<br />
significa che essa deve essere valutata alla luce del diritto comune delle<br />
obbligazioni.<br />
Il rifiuto del datore di lavoro di ricevere le prestazioni lavorative, in cui si<br />
sostanzia la serrata, integra, secondo la tesi più accreditata, un’ipotesi di<br />
mora credendi di cui all’art. 1206 c.c.: essa comporta la persistenza del<br />
debito retributivo in capo al datore di lavoro, sia pure secondo qualcuno a<br />
titolo di risarcimento del danno ex art. 1207, 2° co. c.c., da parametrarsi<br />
149<br />
La serrata come<br />
ipotesi di mora<br />
credendi
alla integrale retribuzione, in base all’art. 6 del r.d. 13 novembre 1924, n.<br />
1825 (cd. legge sull’impiego privato). Secondo altri, l’obbligo di pagare la<br />
retribuzione troverebbe fondamento nel 1° co. dell’art. 1207 c.c.; altri<br />
ancora hanno fatto perno sullo stesso principio di corrispettività,<br />
svalutandosi, per le peculiari caratteristiche del rapporto di lavoro, la stessa<br />
necessità dell’intimazione a ricevere ai fini della produzione degli effetti<br />
della mora.<br />
In ogni caso, l’unico limite della mora del creditore, e dunque della<br />
persistenza del debito retributivo, è l’impossibilità della prestazione dovuta<br />
dalla controparte. E’ appena il caso di sottolineare che l’impostazione<br />
tradizionale assume una nozione stretta di impossibilità (impossibilità<br />
oggettiva ed assoluta).<br />
4.8.3. La serrata di ritorsione.<br />
Alla luce dei principi suindicati va valutata la liceità della cd. serrata di<br />
ritorsione. Essa è un tipo di serrata difensiva, vale a dire attuata dal datore<br />
di lavoro per contenere gli effetti dannosi dello sciopero.<br />
La cd. serrata di ritorsione è normalmente finalizzata ad impedire gli effetti<br />
dannosi di uno sciopero articolato che, per le sue caratteristiche, risulta<br />
particolarmente incisivo sull’organizzazione aziendale. E’ comune la<br />
valutazione – a prescindere dalla valutazione in termini di liceità o di<br />
illiceità della forma di lotta – che la reazione del datore di lavoro,<br />
consistente nella chiusura temporanea dell’azienda o di parte di essa,<br />
colpirebbe indiscriminatamente tanto i lavoratori che avevano intenzione di<br />
aderire all’agitazione – senza peraltro avere la certezza della concreta<br />
effettuazione della medesima – quanto quelli ad essa estranei; e ciò sulla<br />
150<br />
Il limite della<br />
impossibilità<br />
della<br />
prestazione<br />
dovuta dalla<br />
controparte
ase dell’affermazione di una sorta di responsabilità collettiva dei<br />
lavoratori, in contrasto col fatto che l’ordinamento ha escluso l’esistenza di<br />
un diritto di serrata nel conflitto collettivo.<br />
Pertanto anche la serrata di ritorsione va valutata alla stregua del diritto<br />
comune delle obbligazioni, con la conseguenza che essa sarebbe da<br />
considerare lecita solo nel caso di una obiettiva impossibilità, quale esito<br />
delle forme cd. anomale di sciopero, della gestione della impresa. E’<br />
emersa, peraltro, in dottrina, l’opinione in base alla quale, nel caso in cui lo<br />
sciopero, per le sue modalità attuative, esponga a rischio qualche valore o<br />
bene preminente – quale la vita o l’integrità psico-fisica delle persone,<br />
nonché l’impresa come organizzazione istituzionale (id est: la sicurezza<br />
degli impianti) – sarebbe consentita al datore di lavoro, a stregua di buona<br />
fede, la chiusura o l’interruzione dell’attività aziendale, sulla base della<br />
semplice situazione di pericolo.<br />
151<br />
Serrata di<br />
ritorsione da<br />
valutare alla<br />
stregua del<br />
diritto<br />
comune delle<br />
obbligazioni
UNIVERSITA’ <strong>DEGLI</strong> <strong>STU<strong>DI</strong></strong> <strong>DI</strong> <strong>PAVIA</strong><br />
Facoltà di <strong>Giurisprudenza</strong><br />
Corso di Diritto del lavoro<br />
Prof. Mariella Magnani<br />
Lezioni di diritto<br />
sindacale<br />
Soggetti, Contratto, Conflitto collettivo<br />
ALLEGATI<br />
152<br />
Protocollo 23 luglio 1993<br />
Accordo interconfederale 20 dicembre 1993<br />
Accordo quadro 22 gennaio 2009<br />
Accordo interconfederale 15 aprile 2009<br />
Accordo 30 aprile 2009<br />
Accordo Pomigliano d'Arco (15 giugno 2010)<br />
Accordo Fiat Mirafiori (23 dicembre 2010)<br />
Accordo Confindustria-cgil-cisl-uil (28 giugno 2011)<br />
Articolo 8 d.l. n 138 del 2011 "Misure a sostegno della<br />
disoccupazione"<br />
Impegno interconfederale (21settembre 2011)
PROTOCOLLO 23 LUGLIO 1993<br />
Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti<br />
contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo.<br />
VERBALE <strong>DI</strong> INTESA<br />
Il 23 luglio 1993, presso la Presidenza deI Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri dott. Carlo<br />
Azeglio Ciampi, con il Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale sen. Gino Giugni, con il Ministro della Funzione<br />
Pubblica, prof. Sabino Cassese, hanno incontrato i rappresentanti delle seguenti organizzazioni sindacali dei lavoratori e<br />
dei datori di lavoro:<br />
CGIL Segr. Gen. B. TRENTIN<br />
CISL Segr. Gen. S. D'ANTONI<br />
UIL Segr. Gen. P. LARIZZA<br />
CONFINDUSTRIA Pres. L. ABETE<br />
INTERSIND Pres. A. PACI<br />
ASAP Pres. F. BAZZOLI<br />
CONFAPI Pres. A. COCIRIO<br />
CONFCOMMERCIO Pres. F. COLUCCI<br />
CONFESERCENTI Pres. G. BONINO<br />
ASSICRE<strong>DI</strong>TO Pres. T. BIANCHI<br />
CISPEL Pres. R. SANTINI<br />
CONFETRA Pres. G. CREMONESE<br />
FED. TERZIARIO AVANZATO V. Pres. Regg. M. MIRAGLIA<br />
LEGA COOPERATIVE Pres. G. PASQUINI<br />
CONFCOOPERATIVE Pres. L. MARINO<br />
CNA Pres. F. MINOTTI<br />
CASA Pres. G. GUARINO<br />
CLAAI Pres. G. FACCINI<br />
CONFARTIGIANATO Pres. I. SPALANZANI<br />
UNCI Pres. L. D'ULIZIA<br />
AGCI Pres. L. ZIGNANI<br />
ANIA Pres. A. LONGO<br />
ACRI Pres. R. MAZZOTTA<br />
CIDA Pres. G. CARROZZA<br />
UNIONQUADRI Pres. C. ROSSITTO<br />
CONFEDERQUADRI Pres. A. MACCHIAVELLI<br />
CONFE<strong>DI</strong>R Pres. R. CONFALONIERI<br />
CONFAIL Segr. Gen. S. L. ZACCARIA<br />
ITALQUADRI Pres. U. GRASSI<br />
Al termine della riunione le parti hanno sottoscritto il Protocollo del 3 luglio 1993 sulla politica dei redditi e<br />
dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al<br />
sistema produttivo, definito a seguito dell'accordo del 31 luglio 1992.<br />
PROTOCOLLO SULLA POLITICA DEI RED<strong>DI</strong>TI E DELL'OCCUPAZIONE, SUGLI<br />
ASSETTI CONTRATTUALI, SULLE POLITICHE DEL LAVORO E SUL SOSTEGNO AL<br />
SISTEMA PRODUTTIVO<br />
1. POLITICA DEI RED<strong>DI</strong>TI E DELL'OCCUPAZIONE.<br />
La politica dei redditi è uno strumento indispensabile della politica economica, finalizzato a<br />
conseguire una crescente equità nella distribuzione del reddito attraverso il contenimento<br />
153
dell'inflazione e dei redditi nominali, per favorire lo sviluppo economico e la crescita occupazionale<br />
mediante l'allargamento della base produttiva e una maggiore competitività del sistema delle<br />
imprese.<br />
In particolare il Governo, d'intesa con le parti sociali, opererà con politiche di bilancio tese:<br />
a) all'ottenimento di un tasso di inflazione allineato alla media dei Paesi comunitari<br />
economicamente più virtuosi;<br />
b) alla riduzione del debito e del deficit dello Stato e alla stabilità valutaria.<br />
L'attuale fase d'inserimento nell'Unione Europea sottolinea la centralità degli obiettivi indicati e la<br />
necessità di pervenire all'ampliamento delle opportunità di lavoro attraverso il rafforzamento<br />
dell'efficienza e della competitività delle imprese, con particolare riferimento ai settori non esposti<br />
alla concorrenza internazionale, e della Pubblica Amministrazione.<br />
Una politica dei redditi così definita, unitamente all'azione di riduzione dell'inflazione, consente di<br />
mantenere l'obiettivo della difesa del potere d'acquisto delle retribuzioni e dei trattamenti<br />
pensionistici.<br />
Le parti ritengono che azioni coerenti di politica di bilancio e di politica dei redditi, quali quelle<br />
sopra indicate, concorreranno ad allineare il costo del denaro in Italia con quello del resto d'Europa.<br />
Il Governo dichiara di voler collocare le sessioni di confronto con le parti sociali sulla politica dei<br />
redditi in tempi coerenti con i processi decisionali in materia di politica economica, in modo da<br />
tener conto dell'esito del confronto nell'esercizio dei propri poteri e delle proprie responsabilità.<br />
Sessione di maggio-giugno<br />
Saranno indicati, prima della presentazione deI Documento di programmazione<br />
economicofinanziaria,<br />
gli obiettivi della politica di bilancio per il successivo triennio.<br />
La sessione punterà a definire, previa una fase istruttoria che selezioni e qualifichi gli elementi di<br />
informazione necessari comunicandoli preventivamente alle parti, con riferimento anche alla<br />
dinamica della spesa pubblica, obiettivi comuni sui tassi d'inflazione programmati, sulla crescita del<br />
PIL e sull'occupazione.<br />
Sessione di settembre<br />
Nell'ambito degli aspetti attuativi della politica di bilancio, da trasporre nella legge finanziaria,-<br />
saranno definite le misure applicative degli strumenti di attuazione della politica dei redditi,<br />
individuando le coerenze dei comportamenti delle parti nell'ambito dell'autonomo esercizio delle<br />
rispettive responsabilità.<br />
Impegni delle parti<br />
A partire dagli obiettivi comuni sui tassi di inflazione programmati, il Governo e le parti sociali<br />
individueranno i comportamenti da assumere per conseguire i risultati previsti.<br />
I titolari d'impresa, tra cui lo Stato e i soggetti pubblici gestori di imprese, perseguiranno indirizzi di<br />
efficienza, innovazione e sviluppo delle proprie attività che, nelle compatibilità di mercato, siano<br />
tali da poter contenere i prezzi entro livelli necessari alla politica dei redditi.<br />
Il Governo come datore di lavoro terrà un coerente comportamento anche nella contrattazione delle<br />
retribuzioni dei pubblici dipendenti e nelle dinamiche salariali non soggette alla contrattazione.<br />
Le parti perseguiranno comportamenti, politiche contrattuali e politiche salariali coerenti con gli<br />
obiettivi di inflazione programmata.<br />
Nell'ambito delle suddette sessioni il Governo definirà i modi ed i tempi di attivazione di interventi<br />
tempestivi di correzione di comportamenti difformi dalla politica dei redditi. Il Governo opererà in<br />
primo luogo nell'ambito della politica della concorrenza attivando tutte le misure necessarie ad una<br />
154
maggiore apertura al mercato. Il Governo dovrà altresì disporre di strumenti fiscali e parafiscali,<br />
con particolare riferimento agli oneri componenti il costo del lavoro, atti a dissuadere<br />
comportamenti difformi.<br />
Si ribadisce l'opportunità di creare idonei strumenti per l'accertamento delle reali dinamiche<br />
dell'intero processo di formazione dei prezzi. E' perciò necessaria la costituzione di uno specifico<br />
Osservatorio dei prezzi, che verifichi le dinamiche - sulla base di appositi studi economici di<br />
settore.<br />
Rapporto annuale sull'occupazione<br />
Nella sessione di maggio il Governo predisporrà un rapporto annuale sull'occupazione, corredato di<br />
dati aggiornati per settori ed aree geografiche, nel quale saranno identificati gli effetti<br />
sull'occupazione del complesso delle politiche di bilancio, dei redditi e monetarie, nonché dei<br />
comportamenti dei soggetti privati.<br />
Sulla base di tali dati, il Governo sottoporrà alle parti le misure, rientranti nelle sue responsabilità,<br />
capaci di consolidare o allargare la base occupazionale. Tra esse, con particolare riguardo alle aree<br />
di crisi occupazionale e con specifica attenzione alla necessità di accrescere l'occupazione<br />
femminile così come previsto dalla legge 125/91:<br />
a) la programmazione e, quando necessaria, l'accelerazione degli investimenti pubblici, anche<br />
di concerto con le amministrazioni regionali;<br />
b) la programmazione coordinata del Fondo per l'occupazione e degli altri Fondi aventi rilievo<br />
per l'occupazione, compresa la definizione e finalizzazione delle risorse destinate<br />
all'attivazione di nuove iniziative produttive economicamente valide;<br />
c) la definizione di programmi di interesse collettivo, predisposti dallo Stato d'intesa con le<br />
Regioni, nei quali avvalersi di giovani disoccupati di lunga durata e di lavoratori in Cigs o in<br />
mobilità, affidando la realizzazione di tali programmi a soggetti qualificati e verificandone<br />
costantemente l'efficacia e gli effetti occupazionali attraverso gli organi preposti.<br />
d) la programmazione del Fondo per la formazione professionale e dell'utilizzo dei fondi<br />
comunitari, d'intesa con le Regioni.<br />
2. ASSETTI CONTRATTUALI<br />
1. Gli assetti contrattuali prevedono:<br />
- un contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria;<br />
- un secondo livello di contrattazione, aziendale o alternativamente territoriale, laddove<br />
previsto, secondo l'attuale prassi, nell'ambito di specifici settori.<br />
2. Il CCNL ha durata quadriennale per la materia normativa e biennale per la materia retributiva.<br />
La dinamica degli effetti economici del contratto sarà coerente con i tassi di inflazione<br />
programmata assunti come obiettivo comune.<br />
Per la definizione di detta dinamica . sarà tenuto conto delle politiche concordate nelle sessioni di<br />
politica dei redditi e dell'occupazione, dell'obiettivo mirato alla salvaguardia deI potere d'acquisto<br />
delle retribuzioni, delle tendenze generali dell'economia e del mercato del lavoro, del raffronto<br />
competitivo e degli andamenti specifici del settore. In sede di rinnovo biennale dei minimi<br />
contrattuali, ulteriori punti di riferimento del negoziato saranno costituiti dalla comparazione tra<br />
l'inflazione programmata e quella effettiva intervenuta nel precedente biennio, da valutare anche<br />
alla luce delle eventuali variazioni delle ragioni di scambio del Paese, nonché dall'andamento delle<br />
retribuzioni.<br />
155
3. La contrattazione aziendale riguarda materie e istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli<br />
retributivi propri deI CCNL. Le erogazioni del livello di contrattazione aziendale sono strettamente<br />
correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati tra le parti, aventi come<br />
obiettivo incrementi di produttività, di qualità ed altri elementi di competitività di cui le imprese<br />
dispongano, compresi i margini di produttività, che potrà essere impegnata per accordo tra le parti,<br />
eccedente quella eventualmente già utilizzata per riconoscere gli aumenti retributivi a livello di<br />
CCNL, nonché ai risultati legati all'andamento economico dell'impresa.<br />
Le parti prendono atto che, in ragione della funzione specifica ed innovativa degli istituti della<br />
contrattazione aziendale e dei vantaggi che da essi possono derivare all'intero sistema produttivo<br />
attraverso il miglioramento dell'efficienza aziendale e dei risultati di gestione, ne saranno definiti le<br />
caratteristiche ed il regime contributivo-previdenziale mediante un apposito provvedimento<br />
legislativo promosso dal Governo, tenuto conto dei vincoli di finanza pubblica e della salvaguardia<br />
della prestazione previdenziale dei lavoratori.<br />
La contrattazione aziendale o territoriale è prevista secondo le modalità e negli ambiti di<br />
applicazione che saranno definiti dal contratto nazionale di categoria nello spirito dell'attuale prassi<br />
negoziale con particolare riguardo alle piccole imprese. Il contratto nazionale di categoria stabilisce<br />
anche la tempistica, secondo il principio dell'autonomia dei cicli negoziali, le materie e le voci nelle<br />
quali essa si articola.<br />
Al fine dell'acquisizione di elementi di conoscenza comune per la definizione degli obiettivi della<br />
contrattazione aziendale, le parti valutano le condizioni dell'impresa e del lavoro, le sue prospettive<br />
di sviluppo anche occupazionale, tenendo conto dell'andamento e delle prospettive della<br />
competitività e delle condizioni essenziali di redditività.<br />
L'accordo di secondo livello ha durata quadriennale. Nel corso della sua vigenza le parti, nei tempi<br />
che saranno ritenuti necessari, svolgeranno procedure di informazione, consultazione, verifica o<br />
contrattazione previste dalle leggi, dai CCNL, dagli accordi collettivi e dalla prassi negoziale<br />
vigente, per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali quali le<br />
innovazioni tecnologiche, organizzative e i processi di ristrutturazione che influiscono sulle<br />
condizioni di sicurezza, di lavoro e di occupazione, anche in relazione alla legge sulle pari<br />
opportunità.<br />
4. Il CCNL di categoria definisce le procedure per la presentazione delle piattaforme contrattuali<br />
nazionali, aziendali o territoriali, nonché i tempi di apertura dei negoziati al fine di minimizzare i<br />
costi connessi ai rinnovi contrattuali ed evitare periodi di vacanze contrattuali.<br />
Le piattaforme contrattuali per il rinnovo dei CCNL saranno presentate in tempo utile per consentire<br />
l'apertura delle trattativa tre mesi prima della scadenza dei contratti. Durante tale periodo, e per il<br />
mese successivo alla scadenza, le parti non assumeranno iniziative unilaterali né procederanno ad<br />
azioni dirette. La violazione di tale periodo di raffreddamento comporterà come conseguenza a<br />
carico della parte che vi avrà dato causa, l'anticipazione o lo slittamento di tre mesi del termine a<br />
partire dal quale decorre l'indennità di vacanza contrattuale.<br />
5. Il Governo si impegna a promuovere, entro la fine del 1997, un incontro di verifica tra le parti<br />
finalizzato alla valutazione del sistema contrattuale previsto dal presente protocollo al fine di<br />
apportare, ove necessario, gli eventuali correttivi.<br />
Indennità di vacanza contrattuale<br />
Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a 3 mesi dalla data di scadenza del CCNL, ai<br />
lavoratori dipendenti ai quali si applica il contratto medesimo non ancora rinnovato sarà<br />
corrisposto, a partire dal mese successivo ovvero dalla data di presentazione delle piattaforme ove<br />
successiva, un elemento provvisorio della retribuzione.<br />
156
L'importo di tale elemento sarà pari al 30% del tasso di inflazione programmato, applicato ai<br />
minimi retributivi contrattuali vigenti, inclusa la ex indennità di contingenza.<br />
Dopo 6 mesi di vacanza contrattuale, detto importo sarà pari al 50% dell'inflazione programmata.<br />
Dalla decorrenza dell'accordo di rinnovo del contratto l'indennità di vacanza contrattuale cessa di<br />
essere erogata.<br />
Tale meccanismo sarà unico per tutti i lavoratori.<br />
Rappresentanze sindacali<br />
Le parti, al fine di una migliore regolamentazione del sistema di relazioni industriali e contrattuali,<br />
concordano quanto segue:<br />
a) le organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente protocollo riconoscono come<br />
rappresentanza sindacale aziendale unitaria nelle singole unità produttive quella disciplinata<br />
dall'intesa quadro tra CGIL-CISL-UIL sulle Rappresentanze sindacali unitarie, sottoscritta<br />
in data 1 marzo 1991. Al fine di assicurare il necessario raccordo tra le organizzazioni<br />
stipulanti i contratti nazionali e le rappresentanze aziendali titolari delle deleghe assegnate<br />
dai contratti medesimi, la composizione delle rappresentanze deriva per 2/3 da elezione da<br />
parte di tutti i lavoratori e per 1/3 da designazione o elezione da parte delle organizzazioni<br />
stipulanti il CCNL, che hanno presentato liste, in proporzione ai voti ottenuti;<br />
b) il passaggio dalla disciplina delle RSA a quello delle RSU deve avvenire a parità di<br />
trattamento legislativo e contrattuale, nonché a parità di costi per l'azienda in riferimento a<br />
tutti gli istituti;<br />
c) la comunicazione all'azienda e all'organizzazione imprenditoriale di appartenenza dei<br />
rappresentanti sindacali componenti le RSU ai sensi del punto a) sarà effettuata per iscritto a<br />
cura delle organizzazioni sindacali;<br />
d) le imprese, secondo modalità previste nei CCNL, metteranno a disposizione delle<br />
organizzazioni sindacali quanto è necessario per lo svolgimento delle attività strumentali<br />
all'elezione delle predette rappresentanze sindacali unitarie, come, in particolare, l'elenco dei<br />
dipendenti e gli spazi per l'effettuazione delle operazioni di voto e di scrutinio;<br />
e) la legittimazione a negoziare al secondo livello le materie oggetto di rinvio da parte del<br />
CCNL è riconosciuta alle rappresentanze sindacali unitarie ed alle organizzazioni sindacali<br />
territoriali dei lavoratori aderenti alle organizzazioni stipulanti il medesimo CCNL, secondo<br />
le modalità determinate dal CCNL;<br />
f) le parti auspicano un intervento legislativo finalizzato, tra l'altro, ad una generalizzazione<br />
dell'efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali che siano espressione della<br />
maggioranza dei lavoratori, nonché alla eliminazione delle norme legislative in contrasto<br />
con tali princìpi. Il Governo si impegna ad emanare un apposito provvedimento legislativo<br />
inteso a garantire l'efficacia "erga omnes" nei settori produttivi dove essa appaia necessaria<br />
al fine di normalizzare le condizioni concorrenziali delle aziende.<br />
Nota.<br />
Il presente capitolo sugli assetti contrattuali contiene princìpi validi per ogni tipo di rapporto di<br />
lavoro. Per il rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione resta fermo il D.L. 29/1993.<br />
Nota.<br />
CGIL-CISL-UIL e CNA CONFARTIGIANATO CASA e CLAAI dichiarano che per quanto riguarda<br />
la struttura contrattuale e retributiva l'Accordo interconfederale 3 agosto/3 dicembre 1992 tra le<br />
Organizzazioni dei lavoratori e le Organizzazioni artigiane per il comparto dell'artigianato è<br />
157
compatibile con il presente protocollo, fatta salva la clausola di armonizzazione prevista<br />
dall'Accordo interconfederale stesso nella norma transitoria.<br />
3. POLITICHE DEL LAVORO.<br />
Il Governo predisporrà un organico disegno di legge per modificare il quadro normativo in materia<br />
di gestione del mercato del lavoro e delle crisi occupazionali, al fine di renderlo più adeguato alle<br />
esigenze di un governo attivo e consensuale e di valorizzare le opportunità occupazionali che il<br />
mercato del lavoro può offrire se dotato di una più ricca strumentazione che lo avvicini agli assetti<br />
in atto negli altri paesi europei.<br />
Il disegno di legge verrà redatto, attraverso un costruttivo confronto con le parti sociali, sulla base<br />
delle linee guida di seguito indicate.<br />
Il Governo si impegna, inoltre, a completare la disciplina del mercato del lavoro operata con la<br />
legge n. 223/91, integrandola con la nuova normativa sul collocamento obbligatorio per gli invalidi<br />
già in discussione in Parlamento.<br />
Gestione delle crisi occupazionali<br />
a) revisione della normativa della Cassa Integrazione per crisi aziendale onde renderla più<br />
funzionale al governo delle eccedenze di personale e delle connesse vertenze. Si dovrà<br />
mirare, in particolare, alla semplificazione ed accelerazione delle procedure di concessione<br />
dell'intervento, prevedendo un termine massimo di 40 giorni. Nell'ambito dei limiti<br />
finanziari annuali stabiliti dal CIPI, il Ministro del Lavoro gestisce l'intervento con l'ausilio<br />
degli organi collegiali, periferici e centrali, di governo del mercato del lavoro.<br />
L'intervento della Cigs per crisi può essere richiesto dall'impresa anche durante le procedure<br />
iniziate ai sensi dell'art. 24 della legge 223/91 quando sia intervenuto accordo sindacale in<br />
vista dell'obiettivo di ricercare soluzioni funzionali al reimpiego dei lavoratori eccedenti con<br />
la collaborazione degli organismi periferici del Ministero del Lavoro, ed in particolare delle<br />
Agenzie per l'Impiego, della Regione, delle associazioni imprenditoriali e dei lavoratori o<br />
degli enti bilaterali da esse costituiti;<br />
b) previsione delle modalità per la valorizzazione del contributo che le Regioni e gli enti locali<br />
possono offrire alla composizione delle controversie in materia di eccedenze del personale<br />
attraverso l'utilizzazione delle competenze in materia di formazione professionale e di tutte<br />
le altre risorse di cui essi dispongono;<br />
c) con la gradualità richiesta dalle condizioni della finanza pubblica, elevazione del trattamento<br />
ordinario di disoccupazione, sino al 40%, per consentire un suo più efficiente impiego sia da<br />
un punto di vista generale, per soddisfare in maniera adeguata le esigenze di protezione del<br />
reddito e le esigenze di razionale governo del mercato del lavoro, sia, in particolare, con<br />
riferimento ai settori che non ricadono nel campo di applicazione della Cigs nonché alle<br />
forme di lavoro discontinuo e stagionale;<br />
d) adozione di misure legislative che fino aI 31 dicembre 1995 consentano alle imprese che<br />
occupano fino a 5O dipendenti e rientrano nel campo di applicazione della Cigo, di usufruire<br />
di quest'ultimo trattamento in termini più ampi degli attuali.<br />
Modificazione della disciplina della Cigo, prevedendo che nel computo della durata del<br />
predetto trattamento il periodo settimanale venga determinato con riferimento ad un monte<br />
ore correlato al numero di dipendenti occupati nell'impresa;<br />
e) al fine di conseguire il mantenimento e la crescita occupazionale nel settore dei servizi, si<br />
ritiene ormai matura una riconsiderazione del sistema degli sgravi contributivi concessi in<br />
alcune aree del Paese, del sistema di fiscalizzazione degli oneri sociali, nonché degli<br />
158
ammortizzatori sociali, al fine dell'approntamento di una disciplina di agevolazione e di<br />
gestione delle crisi che tenga conto delle peculiarità operative deI settore terziario. Si<br />
prevede pertanto l'istituzione di un tavolo specifico, coordinato dal Ministero del Lavoro,<br />
con le parti sociali del settore, e delle diverse categorie in esso incluse, per la<br />
predisposizione dei necessari provvedimenti di legge, in armonia con la politica della<br />
concorrenza a livello comunitario, e nel quadro delle compatibilità finanziarie del bilancio<br />
dello Stato.<br />
Occupazione giovanile e formazione<br />
a) il contratto di apprendistato va mantenuto nella funzione tradizionale di accesso teoricopratico<br />
a qualifiche specifiche di tipo tecnico. Ne va comunque valorizzata la funzione di<br />
sviluppo della professionalità, anche mediante l'intervento degli enti bilaterali e delle<br />
Regioni, e la certificazione dei risultati. I programmi di insegnamento complementare<br />
potranno essere presentati alle Regioni per il successivo inoltro al Fondo sociale europeo. In<br />
relazione all'ampliamento dell'obbligo scolastico sarà consentito, attraverso la contrattazione<br />
collettiva, uno spostamento della soglia di età;<br />
b) la disciplina del contratto di formazione-lavoro va ridefinita prevedendo una<br />
generalizzazione del limite di età a 32 anni, ed individuando due diverse tipologie<br />
contrattuali, che consentano di modularne l'intervento formativo e la durata in funzione delle<br />
diverse esigenze.<br />
Ferme rimanendo le attuali disposizioni in materia di durata massima del contratto, per le<br />
professionalità medio-alte sarà previsto un potenziamento ed una migliore programmazione<br />
degli impegni formativi.<br />
Per le professionalità medio-basse ovvero per quelle più elevate che richiedano solamente<br />
un'integrazione formativa, il contratto di formazione-lavoro per il primo anno di durata sarà<br />
caratterizzato da formazione minima di base (informazione sul rapporto di lavoro, sulla<br />
specifica organizzazione del lavoro e sulla prevenzione ambientale ed anti-infortunistica) e<br />
da un'acquisizione formativa derivante dalla esperienza lavorativa e dall'affiancamento. I<br />
contratti collettivi potranno inquadrare i giovani assunti con questa tipologia di contratto a<br />
livelli inferiori rispetto a quelli cui esso è finalizzato.<br />
Non potranno aver luogo assunzioni con il contratto di formazione-lavoro presso imprese<br />
nelle quali non siano stati convertiti a tempo indeterminato almeno il 60% dei contratti di<br />
formazione-lavoro stipulati precedentemente.<br />
Va inoltre prevista una verifica dei risultati formativi raggiunti, da compiere, con la<br />
partecipazione degli enti bilaterali, secondo la classificazione CEE delle qualifiche, e che<br />
potrà consistere, per le qualifiche medio-alte, in un'apposita certificazione. Le Regioni<br />
dovranno disciplinare, secondo criteri uniformi, le modalità di accesso dei progetti formativi<br />
ai finanziamenti del Fondo sociale europeo. L'armonizzazione con il sistema formativo<br />
avverrà nella riforma della legge 845/1978.<br />
Riattivazione del mercato del lavoro<br />
a) nell'ambito delle iniziative previste nella sezione "politica dei redditi e dell'occupazione",<br />
oltre ai programmi di interesse collettivo a favore dei giovani disoccupati del Mezzogiorno<br />
ivi previsti, per agevolare l'insediamento di nuove iniziative produttive nelle aree deboli, di<br />
cui alla legge 488/92, le parti sociali potranno contrattare appositi pacchetti di misure di<br />
politica attiva, di flessibilità e di formazione professionale, con la collaborazione delle<br />
Agenzie per l'impiego e delle Regioni. Tali pacchetti potranno prevedere una qualifica di<br />
159
ase e la corresponsione di un salario corrispondente alle ore di lavoro prestato, escluse le<br />
ore devolute alla formazione;<br />
b) saranno definite le azioni positive per le pari opportunità uomo-donna che considerino<br />
l'occupazione femminile come una priorità nei progetti e negli interventi, attraverso la piena<br />
applicazione delle leggi n. 125 e n. 215, un ampliamento del loro finanziamento, una loro<br />
integrazione con gli altri strumenti legislativi e contrattuali, con particolare riferimento alla<br />
politica attiva del lavoro;<br />
c) ferme restando le misure già approntate sui contratti di solidarietà, si procederà ad una<br />
modernizzazione della normativa vigente in materia di regimi di orario, valorizzando<br />
pienamente le acquisizioni contrattuali del nostro Paese e sostenendone l'ulteriore sviluppo,<br />
nella tutela dei diritti fondamentali alla sicurezza, con l'obiettivo di favorire lo sviluppo<br />
dell'occupazione e l'incremento della competitività delle imprese;<br />
d) per rendere più efficiente il mercato del lavoro va disciplinato anche nel nostro Paese il<br />
lavoro interinale. La disciplina deve offrire garanzie idonee ad evitare che il predetto istituto<br />
possa rappresentare il mezzo per la destrutturazione di lavori stabili.<br />
In particolare, il ricorso al lavoro interinale sarà consentito alle aziende del settore<br />
industriale e terziario, con esclusione delle qualifiche di esiguo contenuto professionale. Il<br />
ricorso al lavoro interinale sarà ammesso nei casi di temporanea utilizzazione in qualifiche<br />
non previste dai normali assetti produttivi dell'azienda, nei casi di sostituzione dei lavoratori<br />
assenti nonché nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali applicati dall'azienda<br />
utilizzatrice.<br />
La disciplina deve prevedere: che l'impresa fornitrice sia munita di apposita autorizzazione<br />
pubblica; che i trattamenti economici e normativi del rapporto di lavoro alle dipendenze<br />
delle dette imprese siano disciplinati da contratti collettivi; che si agevoli la continuità del<br />
rapporto con l'impresa fornitrice; che quest'ultima si impegni a garantire un trattamento<br />
minimo mensile; che il lavoratore abbia diritto, per i periodi lavorati presso l'impresa<br />
utilizzatrice, ad un trattamento non inferiore a quello previsto per i lavoratori dipendenti da<br />
quest'ultima.<br />
Trascorsi sei mesi senza che sia intervenuta la stipula del contratto collettivo, la disciplina<br />
che sarebbe stata di competenza dello stesso, sarà emanata con regolamento del Ministro del<br />
Lavoro, sentite le parti sociali. Dopo due anni di applicazione, va prevista una verifica tra le<br />
parti, promossa dal Governo, mirante a valutare la possibilità di un ampliamento dell'ambito<br />
di applicazione dell'istituto;<br />
e) forme particolari di lavoro a tempo determinato, gestite da organismi promossi o autorizzati<br />
dalle Agenzie per l'impiego, possono essere previste in funzione della promozione della<br />
ricollocazione e riqualificazione dei lavoratori in mobilità o titolari di trattamenti speciali di<br />
disoccupazione.<br />
Il Ministro del Lavoro si impegna ad approfondire la possibilità di una riforma delle<br />
Agenzie per l'impiego mirata a consentire ad esse di operare nel predetto campo, escludendo<br />
comunque l'ipotesi della instaurazione di un rapporto di lavoro con le stesse;<br />
f) il Ministro del Lavoro si impegna a predisporre attraverso il confronto con le parti sociali,<br />
una riforma degli strumenti di governo del mercato del lavoro agricolo, mirata a favorire<br />
l'occupazione ed un uso più efficiente e razionale delle risorse pubbliche;<br />
g) il Ministro del Lavoro si impegna a ridefinire l'assetto organizzativo degli Uffici periferici<br />
del Ministero del Lavoro perché questi possano adempiere ai necessari compiti di politica<br />
attiva del lavoro e di esprimere il massimo di sinergie con la Regione e le parti sociali. Si<br />
impegna inoltre perché ne risulti un rafforzamento della funzione ispettiva.<br />
160
4. SOSTEGNO AL SISTEMA PRODUTTIVO<br />
1. Ricerca ed innovazione tecnologica.<br />
Nella nuova divisione internazionale del lavoro e delle produzioni tra le economie dei paesi più<br />
evoluti e le nuove vaste economie caratterizzate da bassi costi del lavoro, un più intenso e diffuso<br />
progresso tecnologico è condizione essenziale per la competitività dei sistemi economicoindustriali<br />
dell'Italia e dell'Europa. Negli anni '90 scienza e tecnologia dovranno assumere, più che<br />
nel passato, un ruolo primario.<br />
Una più intensa ricerca scientifica, una più estesa innovazione tecnologica ed una più efficace<br />
sperimentazione dei nuovi processi e prodotti saranno in grado di assicurare il mantenimento nel<br />
tempo della capacità competitiva dinamica dell'industria italiana. Alle strutture produttive di ricerca<br />
scientifica e tecnologica, il Paese deve guardare come ad uno dei principali destinatari di<br />
investimenti per il proprio futuro.<br />
Ma non basta incrementare le risorse, occorre avviare quell'effettivo progresso<br />
scientifico/tecnologico per l'industria che nasce prevalentemente dal lavoro organizzato di strutture<br />
adeguatamente dotate di uomini e mezzi, impegnati permanentemente in singoli campi o settori. E'<br />
in particolare nell'organizzazione strutturata dell'attività di ricerca che si alimentano le reciproche<br />
sollecitazioni a lavorare nei diversi campi di indagine, che si favorisce lo scambio di conoscenze,<br />
che si moltiplicano e si accelerano gli effetti indotti dell'indagine e della sperimentazione.<br />
Pari urgenza e importanza riveste per il Paese l'obiettivo dell'innovazione tecnologica nelle attività<br />
di servizio, commerciali ed agricole.<br />
L'efficienza e l'evoluzione tecnologica dei servizi (da quello bancario a quello del trasporto a quello<br />
dei servizi di tele-comunicazione e di informatica) sono condizione essenziale per la<br />
concorrenzialità delle imprese in ogni settore di attività.<br />
E, d'altra parte, la modernizzazione dell'agricoltura, oltre a preservare importanti quote del reddito<br />
nazionale e contenere il deficit della bilancia commerciale, costituisce, se raccordata alla ricerca<br />
scientifica, il mezzo privilegiato di una effettiva politica di difesa del territorio e di tutela<br />
dell'equilibrio ambientale fondata sulla continuità della presenza e dell'attività delle comunità rurali.<br />
L'attuale sistema della ricerca e dell'innovazione è inadeguato a questi fini. Occorre una nuova<br />
politica per dotare il Paese di risorse, strumenti e "capitale umano" di entità e qualità appropriata ad<br />
un sistema innovativo, moderno finalizzato e orientato dal mercato. Interventi miranti a dare al<br />
Paese una adeguata infrastruttura di ricerca scientifica e tecnologica industriale, si dovranno ispirare<br />
al consolidamento, adeguamento ed armonizzazione delle strutture esistenti, alla realizzazione di<br />
nuove strutture di adeguata dimensione nonché ad una sempre maggiore<br />
interconnessione tra pubblico e privato.<br />
Tutto ciò nelle tre direzioni:<br />
a) del riordino, valorizzazione e rafforzamento delle strutture di ricerca pubbliche quali<br />
l'<strong>Università</strong>, il CNR, l'ENEA, anche in direzione di una migliore finalizzazione delle loro<br />
attività.<br />
b) della valorizzazione delle strutture organizzate interne alle imprese;<br />
c) della creazione di strutture di ricerca esterne sia ai complessi aziendali che alle strutture<br />
pubbliche, alla cui promozione, sostegno ed amministrazione siano chiamati soggetti privati<br />
e pubblici in forme costitutive diverse;<br />
Tra gli obiettivi della politica dei redditi va annoverato quello della creazione di adeguati margini<br />
nei conti economici delle imprese per le risorse finalizzate a sostenere i costi della ricerca.<br />
161
Per supportare una infrastruttura scientifica e tecnologica che sostenga un sistema di ricerca ed<br />
innovazione si richiede:<br />
a) la presentazione al Parlamento entro tre mesi del piano triennale della ricerca ai sensi<br />
dell'art. 2 della legge 168 del 1989, al fine di definire le scelte programmatiche, le modalità<br />
per il coordinamento delle risorse, dei programmi e dei soggetti, nonché le forme attuative di<br />
raccordo tra politica nazionale e comunitaria. La presentazione di tale piano sarà preceduta<br />
da una consultazione con le parti sociali;<br />
b) un aumento ed una razionalizzazione delle risorse destinate all'attività di ricerca e<br />
all'innovazione, concentrando gli interventi nelle aree e nei settori prioritari del sistema<br />
produttivo italiano privilegiando le intese e le sinergie realizzate in sede europea, anche<br />
rafforzando l'azione sul sistema delle piccole e medie imprese e sui loro consorzi.<br />
A tali fini saranno adottate misure di rifinanziamento, riorientamento e, ove necessario, di<br />
riforma della legislazione esistente. In particolare, il rifinanziamento è necessario per le<br />
leggi 46/82 e 346/88 per la ricerca applicata, per le nuove finalità dell'intervento ordinario<br />
nelle aree depresse del Paese, per la legge 317/91;<br />
c) l'introduzione, attraverso la presentazione di un apposito provvedimento legislativo, di<br />
nuove misure automatiche di carattere fiscale e contributivo, in particolare mediante la<br />
defiscalizzazione delle spese finalizzate all'attività di ricerca delle imprese nonché la<br />
deducibilità delle erogazioni liberali a favore di specifici soggetti operanti nel campo della<br />
ricerca;<br />
d) la revisione e semplificazione del regime esistente di sostegno alle imprese, con l'obiettivo<br />
di accelerare i meccanismi di valutazione dei progetti e di erogazione dei fondi;<br />
e) l'attivazione ed il potenziamento di "luoghi" di insediamento organico di iniziative di<br />
ricerca, quali i parchi scientifici e tecnologici, con la finalità, tra l'altro, di promuovere la<br />
nascita di istituti dedicati alla ricerca settoriale interessante le problematiche specifiche della<br />
economia del territorio funzionali alla crescita ed alla nascita di iniziative imprenditoriali<br />
private.<br />
Si potranno collocare in tale ambito e nelle forme di collaborazione che esso comporta tra<br />
università, enti pubblici e imprese, i progetti rivolti alla innovazione tecnologica nei settori<br />
di interesse prioritario delle amministrazioni locali quali, in primo luogo, la tutela<br />
dell'ambiente, le reti locali ed i sistemi di mobilità. Per il reperimento delle risorse<br />
necessarie potrà essere utilizzato lo strumento degli accordi di programma previsto dall'art. 3<br />
comma 3 della legge 168/89 con specifici finanziamenti. Al finanziamento di tali iniziative<br />
dovranno concorrere capitali privati;<br />
f) il ricorso al mercato finanziario e creditizio, ad oggi praticamente inoperante, attraverso la<br />
creazione di appositi canali e l'utilizzo di specifici strumenti capaci di attrarre capitale di<br />
rischio su iniziative e progetti nel settore della ricerca e dell'innovazione.<br />
Interessanti prospettive possono discendere dalla recente introduzione di nuovi intermediari<br />
finanziari rivolti al capitale di rischio (fondi chiusi, fondi d'investimento, venture capital,<br />
previdenza complementare);<br />
g) lo sviluppo di progetti di ricerca promossi dalle imprese sui quali far convergere la<br />
collaborazione delle università. Un più stretto rapporto tra mondo dell'impresa e mondo<br />
dell'università potrà inoltre rilanciare, anche attraverso maggiori disponibilità finanziarie,<br />
una politica di qualificazione e formazione delle "risorse umane", in grado di creare nuclei<br />
di ricercatori che, strettamente connessi con le esigenze delle attività produttive, possano<br />
generare una fertilizzazione tra innovazione e prodotti, ponendo una particolare attenzione<br />
anche ai processi di sviluppo delle piccole e medie imprese;<br />
162
h) l'attivazione di programmi di diffusione e trasferimento delle tecnologie a beneficio delle<br />
piccole medie e imprese e dei loro consorzi, che costituiscono obiettivo rilevante dei parchi<br />
tecnologici e scientifici, per i quali sono già previsti appositi stanziamenti di risorse, anche<br />
attraverso la rivitalizzazione delle stazioni sperimentali;<br />
i) la valorizzazione, nel processo di privatizzazione e riordino dell'apparato industriale<br />
pubblico, del patrimonio di ricerca ed innovazione presente al suo interno;<br />
l) l'attivazione di una politica della domanda pubblica maggiormente standardizzata e<br />
qualificata, attenta ai requisiti tecnologici dei prodotti nonché volta alla realizzazione di un<br />
sistema di reti tecnologicamente avanzate. A tali fini acquisisce particolare importanza il<br />
collegamento sistematico con l'attività delle strutture di coordinamento settoriale,<br />
immediatamente attivabile con l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione,<br />
ed estendibile ai settori della sanità e del trasporto locale.<br />
Per consentire la realizzazione degli obiettivi fin qui indicati è necessario che la spesa complessiva<br />
per il sistema della ricerca e dello sviluppo nazionale, pari a 1,4% del PIL, cresca verso i livelli su<br />
cui si attestano i paesi più industrializzati, 2,5-2,9% del PIL. Il tendenziale recupero di tale<br />
differenza è condizione essenziale perché la ricerca e l'innovazione tecnologica svolgano un ruolo<br />
primario per rafforzare la competitività del sistema produttivo nazionale. In tale quadro appare<br />
necessario perseguire nel prossimo triennio l'obiettivo di una spesa complessiva pari al 2% del PIL.<br />
Tale obiettivo non può essere realizzato con le sole risorse pubbliche. Queste dovranno essere<br />
accompagnate da una accresciuta capacità di auto-finanziamento delle imprese, da una maggiore<br />
raccolta di risparmio dedicato, da una maggiore propensione di investimento nel capitale di rischio<br />
delle strutture di ricerca e delle imprese ad alto contenuto innovativo. Dovrà necessariamente<br />
registrarsi l'avvio di un crescente impegno delle autonomie regionali e locali nell'ambito delle<br />
risorse proprie.<br />
Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sarà periodicamente svolto un confronto tra i<br />
soggetti istituzionali competenti e le parti sociali per una verifica dell'evoluzione delle politiche e<br />
delle azioni sopra descritte nonché dell'efficacia degli strumenti a tali fini predisposti.<br />
2. Istruzione e formazione professionale<br />
Le parti condividono l'obiettivo di una modernizzazione e riqualificazione dell'istruzione e dei<br />
sistemi formativi, finalizzati all'arricchimento delle competenze di base e professionali e al<br />
miglioramento della competitività del sistema produttivo e della qualità dei servizi.<br />
Tale processo comporta, da un lato decisi interventi di miglioramento e sviluppo delle diverse<br />
tipologie di offerte formative, dall'altro una evoluzione delle relazioni industriali e delle politiche<br />
aziendali per la realizzazione della formazione per l'inserimento, della riqualificazione<br />
professionale, della formazione continua. Risorse pubbliche e private dovranno contribuire a questo<br />
scopo.<br />
Su queste premesse, il Governo e le parti sociali ritengono che occorra:<br />
a) un raccordo sistematico tra il mondo dell'istruzione e il mondo del lavoro, anche tramite la<br />
partecipazione delle parti sociali negli organismi istituzionali dello Stato e delle Regioni<br />
dove vengono definiti gli orientamenti e i programmi e le modalità di valutazione e controllo<br />
del sistema formativo;<br />
b) realizzare un sistematico coordinamento inter-istituzionale tra i soggetti protagonisti del<br />
processo formativo (Ministero del Lavoro, Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero<br />
dell'<strong>Università</strong> e della Ricerca Scientifica, Regioni) al fine di garantire una effettiva gestione<br />
integrata del sistema;<br />
163
c) istituire il Consiglio Nazionale della Formazione Professionale, presso il Ministero del<br />
Lavoro con i rappresentanti dei Ministeri su indicati, del Ministero dell'Industria, delle<br />
Regioni e delle parti sociali;<br />
d) prontamente realizzare l'adeguamento del sistema di formazione professionale con la<br />
revisione della Legge quadro 845/78, secondo le linee già prefigurate, tenuto conto<br />
dell'apporto che può essere fornito dal sistema scolastico:<br />
- rilievo dell'orientamento professionale come fattore essenziale;<br />
- definizione di standards formativi unici nazionali coerenti con l'armonizzazione in<br />
atto in sede comunitaria;<br />
- ridefinizione delle responsabilità istituzionali tra il Ministero del Lavoro (potere di<br />
indirizzo e ruolo di garanzia sulla qualità della formazione e sulla validazione dei<br />
suoi risultati) e Regioni (ruolo di progettazione dell'offerta formativa coerentemente<br />
con le priorità individuate nel territorio). In questo ambito, alla Conferenza Stato-<br />
Regioni dovrà essere affidato il compito di ricondurre ad un processo unitario di<br />
programmazione e valutazione le politiche formative;<br />
- ruolo decisivo degli osservatori della domanda di professionalità istituiti<br />
bilateralmente dalle parti sociali;<br />
- specifica considerazione degli interventi per i soggetti deboli del mercato;<br />
- sistema gestionale pluralistico e flessibile;<br />
- avvio della formazione continua.<br />
e) elevare l'età dell'obbligo scolastico a 16 anni, mediante iniziativa legislativa che, fra l'altro,<br />
valorizzi gli apporti che al sistema scolastico possono essere offerti da interventi di<br />
formazione professionale; per assicurare la maggiore efficacia sociale a tale obiettivo, esso<br />
dovrà essere accompagnato dalla messa a punto di strumenti idonei alla prevenzione e al<br />
recupero della dispersione scolastica, individuando tra l'altro in tale attività uno dei possibili<br />
campi di applicazione dei programmi di interesse collettivo;<br />
f) portare a termine la riforma della scuola secondaria superiore, nell'ottica della costruzione di<br />
un sistema per il 2000, integrato e flessibile tra sistema scolastico nazionale e formazione<br />
professionale ed esperienze formative sul lavoro sino a 18 anni di età;<br />
g) valorizzare l'autonomia degli istituti scolastici ed universitari e delle sedi qualificate di<br />
formazione professionale, per allargare e migliorare l'offerta formativa post-qualifica,<br />
postdiploma e post- laurea, con particolare riferimento alla preparazione di quadri<br />
specializzati nelle nuove tecnologie, garantendo il necessario sostegno legislativo a tali<br />
percorsi formativi;<br />
h) finalizzare le risorse finanziarie derivanti dal prelievo dello 0,30% a carico delle imprese<br />
(1.845/78) alla formazione continua, al di là di quanto previsto nel D.L. n. 57/93,<br />
privilegiando tale asse di intervento nella futura riforma a livello comunitario del Fondo<br />
Sociale Europeo;<br />
i) prevedere un piano straordinario triennale di riqualificazione ed aggiornamento del<br />
personale, ivi compresi i docenti della scuola e della formazione professionale, per<br />
accompagnare il decollo delle linee di riforma su indicate.<br />
3. Finanza per le imprese ed internazionalizzazione<br />
Per il pieno inserimento del sistema produttivo italiano e quello europeo e per l'effettiva<br />
integrazione dei mercati finanziari italiani in quelli comunitari, occorre affrontare in tutta la sua<br />
portata il problema del trattamento fiscale delle attività economiche e delle attività finanziarie. Si<br />
164
tratta di un vasto campo di riforme da svolgere in armonia con gli obiettivi di controllo e di<br />
risanamento del bilancio pubblico per superare le numerose distorsioni del sistema attuale e rendere<br />
più equilibrate le condizioni operate dai mercati nel finanziamento delle imprese.<br />
L'esigenza di reperire le risorse utili alla crescita richiede un mercato finanziario più moderno ed<br />
efficace, in grado di assicurare un maggior raccordo diretto e diffuso tra risparmio privato ed<br />
imprese, anche ampliando la capacità delle imprese di ricorrere a nuovi strumenti di provvista.<br />
Va affrontato il problema del ritardo dei pagamenti del settore statale al sistema produttivo al fine di<br />
eliminare un ulteriore vincolo alla finanza d'impresa, attraverso la predisposizione di procedure,<br />
anche con eventuali possibili forme di compensazione, che impediscano il ripetersi dei ritardi.<br />
A tal fine vanno introdotti nel nostro ordinamento con rapidità i fondi chiusi ed i fondi immobiliari,<br />
va sviluppata la previdenza complementare, va dato impulso alla costituzione dei mercati mobiliari<br />
locali, vanno favorite forme di azionariato diffuso anche se in gestione fiduciaria, va infine<br />
sviluppata una politica delle garanzie, che tenga conto anche delle iniziative comunitarie.<br />
Si favorirà altresì la costituzione e lo sviluppo di consorzi di garanzia rischi, di consorzi produttivi<br />
tra imprese e di imprese di "venture capital" anche attraverso l'uso della 317/91.<br />
Quanto al sistema degli intermediari finanziari e alle possibilità concesse agli stessi dal recepimento<br />
della II direttiva sulle banche, va facilitata l'operatività nel campo dei finanziamenti a medio<br />
termine e di quelli miranti a rafforzare il capitale di rischio delle imprese, in primo luogo<br />
accelerando i processi di concentrazione e privatizzazione del sistema bancario e di una sua apertura<br />
alla concorrenza internazionale, in secondo luogo rimuovendo contestualmente gli ostacoli che<br />
ritardano l'attuazione concreta della suddetta direttiva.<br />
Per aumentare la penetrazione delle imprese italiane nei mercati internazionali occorre definire<br />
strumenti più efficaci e moderni per la politica di promozione e per il sistema di assicurazione dei<br />
crediti all'export. Dovrà essere sviluppata la capacità di promozione e gestione di strumenti<br />
operativi che riducano il rischio finanziario quali il "project financing" ed il "counter trade", anche<br />
promuovendo una più incisiva capacità di trading gestito da operatori nazionali.<br />
E' necessario razionalizzare e rendere più trasparente l'intervento pubblico a sostegno della presenza<br />
delle imprese italiane sui mercati internazionali, considerando anche le esigenze delle piccole e<br />
medie imprese, facilitando l'accesso di tutti gli operatori alle informazioni ed aumentando le<br />
capacità istruttorie al fine di rendere più produttivo l'uso delle risorse pubbliche e di orientare queste<br />
su obiettivi economici strategici e di politica estera definiti a livello di governo e in confronto con le<br />
imprese. Appare inoltre importante garantire un coerente coordinamento dei soggetti preposti al<br />
rafforzamento della penetrazione all'estero del sistema produttivo per offrire una più vasta e<br />
coordinata gamma di strumenti operativi.<br />
In questo quadro va riformata la SACE, aumentandone la capacità di valutazione dei progetti e del<br />
rischio paese. L'attività di copertura dei rischi di natura commerciale va nettamente separata da<br />
quella connessa ai rischi politici e svolta in più stretta collaborazione con le società assicurative<br />
private.<br />
4. Riequilibrio territoriale, infrastrutture e domanda pubblica<br />
La situazione di crisi e le tensioni sociali che si registrano in Italia si presentano differenziate a<br />
livello territoriale. In queste condizioni, un processo di ripresa economica, in assenza di una politica<br />
di riequilibrio territoriale, rischia di produrre un aumento del divario tra aree in ritardo di sviluppo,<br />
aree di declino industriale, aree di squilibrio tra domanda e offerta di lavoro.<br />
La tradizionale politica sulle aree deboli, incentrata soltanto sull'intervento straordinario nel<br />
Mezzogiorno, appare superata dai recenti provvedimenti governativi. Questi disegnano una nuova<br />
165
strategia di intervento, orientata su di una politica regionale "ordinaria" più ampia, mirata a<br />
sostenere e creare le premesse per lo sviluppo economico di tutte le aree deboli del Paese.<br />
Tale politica deve essere, inoltre, coordinata con i nuovi strumenti comunitari che divengono parte<br />
integrante dell'azione per il sostegno allo sviluppo e, allo stesso tempo, criterio guida per la<br />
definizione delle modalità e dell'intensità degli interventi. Occorre, pertanto, giungere ad una<br />
ottimizzazione delle risorse finanziarie provenienti dai Fondi strutturali della CEE, assicurandone il<br />
pieno utilizzo, soprattutto in vista del programma 1994-1999.<br />
Il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica diviene la sede centrale di indirizzo,<br />
coordinamento, programmazione e vigilanza per ottimizzare l'azione di governo e per massimizzare<br />
l'efficacia delle risorse pubbliche ordinarie a vario titolo disponibili. In questo modo sarà possibile<br />
dare maggiore trasparenza alle risorse destinate agli investimenti ed assicurarne una più rapida<br />
erogazione alle imprese. La creazione di un organo indipendente presso lo stesso Ministero del<br />
Bilancio e della Programmazione Economica, quale l'Osservatorio delle politiche regionali, per<br />
verificare l'andamento e l'efficacia degli interventi nelle aree deboli rappresenta un'ulteriore<br />
iniziativa per garantire l'effettivo dispiegarsi della politica regionale.<br />
La politica regionale, oltre a flussi finanziari diretti allo sviluppo, dovrà prevedere una forte e<br />
mirata azione di sostegno alla riduzione delle diseconomie esterne, individuate nei diversi livelli di<br />
infrastrutturazione, nello sviluppo dei servizi a rete, nel funzionamento della Pubblica<br />
Amministrazione. Per conseguire tale obiettivo va rilanciata l'azione di programmazione degli<br />
investimenti infrastrutturali, riqualificando la domanda pubblica come strumento di sostegno alle<br />
attività produttive. In particolare, devono essere sostenuti gli investimenti nelle infrastrutture<br />
metropolitane, viarie ed idriche, nei settori dei trasporti, energia e telecomunicazioni, nell'ambiente<br />
e nella riorganizzazione del settore della difesa. A tal fine, la Presidenza del Consiglio dovrà<br />
assumere compiti e responsabilità di coordinamento della domanda e della spesa pubblica di<br />
investimenti, istituendo specifiche strutture di coordinamento, quale quella introdotta per la spesa di<br />
informatica nella pubblica amministrazione, a partire dai settori di maggiore interesse per lo<br />
sviluppo produttivo e sociale.<br />
Questa politica regionale dovrà, infine, consentire l'avvio di azioni di politica industriale volte alla<br />
reindustrializzazione delle aree in declino industriale e alla promozione di nuove attività produttive.<br />
Il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica e il Comitato per il coordinamento<br />
delle iniziative per l'occupazione, istituito presso la Presidenza del Consiglio, svolgeranno un ruolo<br />
di indirizzo e di coordinamento delle iniziative in tali aree, che dovranno essere gestite con<br />
maggiore efficacia e finalizzazione e che saranno affidate alle agenzie ed ai comitati oggi esistenti,<br />
anche mediante accordi di programma.<br />
La politica regionale dovrà, altresì, promuovere la realizzazione delle condizioni ambientali che<br />
consentano un recupero di competitività delle imprese agricole e turistiche, considerata la loro<br />
importanza sia sotto l'aspetto produttivo, sia sotto quello della generazione di attività agroindustriali<br />
e di servizio ad esse collegate.<br />
Gli investimenti pubblici, anche in presenza di forti ristrettezze di bilancio, devono essere rilanciati<br />
attraverso una più efficace e piena utilizzazione delle risorse disponibili, riducendo la generazione<br />
di residui passivi per l'insorgere di problemi procedurali e di natura allocativa. In questa direzione si<br />
muovono i provvedimenti recentemente varati dal Governo e soprattutto la riforma degli appalti che<br />
appare idonea a rilanciare la realizzazione di opere di utilità pubblica oggi completamente ferme.<br />
Inoltre, l'azione di rilancio degli investimenti pubblici dovrà essere distribuita in modo tale da poter<br />
favorire l'impiego aggiuntivo di risorse private, insistendo in modo particolare nelle aree dove più<br />
grave è la crisi produttiva ed occupazionale. Pertanto, appare importante favorire il coinvolgimento<br />
del capitale privato, nazionale ed internazionale, nel finanziamento della dotazione infrastrutturale,<br />
garantendo la remunerazione dei capitali investiti, attraverso l'utilizzo di apposite strutture di<br />
166
"project financing". Tali strutture potrebbero interessare, in via sperimentale, le infrastrutture<br />
metropolitane, viarie ed idriche.<br />
In questo quadro è necessario perseguire un dialogo costruttivo tra le amministrazioni pubbliche<br />
centrali e regionali e le parti sociali per definire le linee di intervento più appropriate atte a<br />
promuovere le condizioni di sviluppo delle aree individuate, anche attraverso una valida politica di<br />
infrastrutturazione con particolare riferimento a quelle mirate allo sviluppo di attività produttive.<br />
I criteri di tale politica devono, pertanto, essere:<br />
a) la definizione di un nuovo ambito territoriale di intervento individuato in armonia con le<br />
scelte che verranno operate dalla Comunità Europea;<br />
b) l'individuazione di interventi infrastrutturali a livello regionale, interregionale e nazionale<br />
sulle grandi reti con l'obiettivo della riduzione dei costi del servizio e la sua<br />
qualificazione tecnologica;<br />
c) il mantenimento di un flusso di risorse finanziarie anche nella fase transitoria di<br />
definizione del nuovo intervento regionale;<br />
d) il rafforzamento del decentramento delle decisioni a livello regionale, con la realizzazione<br />
di accordi di programma Stato-Regioni ed attribuendo maggiore spazio al ruolo dei<br />
soggetti privati (partenariato);e) la revisione delle competenze delle amministrazioni<br />
interessate agli interventi pubblici e all'erogazione dei pubblici servizi, ai fini di una loro<br />
maggiore efficienza, efficacia e tempestività;<br />
f) la concentrazione nelle aree individuate dell'azione di qualificazione professionale del<br />
personale impiegato nelle realtà produttive a maggior specificazione tecnologica;<br />
g) la piena e completa attivazione della legge 317/91 al fine di promuovere lo sviluppo di<br />
servizi reali alle piccole e medie imprese.<br />
Gli strumenti guida attraverso cui sarà possibile sviluppare la nuova politica regionale possono<br />
essere così individuati:<br />
a) strutture di coordinamento settoriale (Authority), sulla base delle analoghe iniziative<br />
intraprese a livello nazionale, inizialmente limitate al settore sanitario ed in quello del<br />
trasporto locale;<br />
b) accordi di programma tra governo centrale e amministrazioni regionali, al fine di<br />
concertare le scelte prioritarie per l'infrastrutturazione del territorio ed accelerare le<br />
procedure relative ad atti di concessione ed autorizzazione;<br />
c) norme specifiche tendenti a rimuovere ostacoli di natura procedurale (anche in<br />
conseguenza del decreto legislativo n. 29/93), che permettano una rapida approvazione ed<br />
attuazione degli interventi. In tale quadro è necessario prevedere appropriati strumenti<br />
normativi finalizzati al riorientamento su obiettivi prioritari delle risorse disponibili, al<br />
fine di consentire una rapida cantierizzazione delle opere già approvate.<br />
5. Politica delle tariffe<br />
Il protocollo del 31 luglio 1992 conteneva l'impegno del Governo a perseguire una politica tariffaria<br />
per i pubblici servizi coerente con l'obiettivo di riduzione dell'inflazione. Tale obiettivo è stato<br />
perseguito, consentendo di ottenere risultati molto positivi. Al fine di mantenere l'obiettivo della<br />
riduzione dell'inflazione e, nel contempo, di consentire il mantenimento dei programmi di<br />
investimento, sarà svolto un confronto con le parti per verificare la politica tariffaria, già definita e<br />
da definire, per il periodo 1993-94.<br />
Una politica tariffaria di carattere europeo non può soltanto limitarsi al perseguimento di obiettivi<br />
di carattere macro-economico, quali il contenimento dell'inflazione, bensì deve anche essere<br />
utilizzata per lo sviluppo di un efficiente sistema di servizi pubblici.<br />
167
La necessità di rilanciare la domanda pubblica e quella di investimenti del sistema delle imprese,<br />
unitamente all'avvio del processo di riordino delle società di gestione dei servizi pubblici, impone<br />
l'esigenza di superare la logica del contenimento delle tariffe e di avviarsi verso un sistema che dia<br />
certezza alla redditività del capitale investito in dette imprese e che non limiti lo sviluppo degli<br />
investimenti.<br />
A tal fine, è necessario stimolare ampi recuperi di produttività, raccordare più direttamente il livello<br />
delle tariffe ai costi effettivi del servizio, garantendo altresì adeguati margini di auto-finanziamento<br />
in grado di favorire la realizzazione degli investimenti necessari. In questo quadro, appare<br />
altrettanto importante prevedere una graduale correzione della struttura delle tariffe vigenti, per<br />
avvicinarla a quelle in vigore nei maggiori Paesi europei. Dovranno essere liberalizzati i settori che<br />
non operano in regime di monopolio.<br />
Nella definizione dei criteri di determinazione tariffaria si dovranno inoltre tutelare le esigenze<br />
dell'utenza, anche con riferimento alle piccole e medie imprese e ai conseguenti effetti indotti sul<br />
livello dei prezzi, definendo standard qualitativi determinati, in linea con quelli vigenti nei maggiori<br />
paesi industrializzati, su cui si eserciterà l'attività di regolazione.<br />
A tal fine, infatti, si dovranno istituire appropriate autorità autonome che, in sostituzione dell'attività<br />
attualmente svolta dalle amministrazioni centrali e delle corrispondenti strutture, garantiscano, con<br />
una continua, indipendente e qualificata azione di controllo e regolamentazione, gli obiettivi sopra<br />
indicati. Dette autorità dovranno essere strutturate in modo tale da favorire l'espressione delle<br />
esigenze dell'utenza. Dovranno altresì adottare una metodologia di definizione dei prezzi dei<br />
pubblici servizi attraverso lo strumento del "price cap" e dei contratti di programma, che rispetti le<br />
differenti esigenze emergenti. Saranno previste conferenze di coordinamento tra dette autorità<br />
autonome al fine di assicurarne comportamenti coerenti.<br />
<strong>DI</strong>CHIARAZIONE A VERBALE DELLA CIDA<br />
Tenuto conto della legislazione vigente, della prassi contrattuale e dell'accordo sul costo del lavoro,<br />
la dirigenza (nel settore credito definita personale direttivo) continuerà a costituire proprie<br />
specifiche e separate rappresentanze sindacali nelle unità produttive.<br />
Tale specifica disciplina dovrà trovare adeguata conferma anche nell'eventuale successivo<br />
intervento del legislatore.<br />
Inoltre, il paragrafo sull'indennità di vacanza contrattuale non deve intendersi applicabile ai rapporti<br />
di lavoro disciplinati da contratti collettivi stipulati anteriormente al 1° luglio 1993 e contenenti<br />
clausole più favorevoli.<br />
Tali clausole si intendono fatte salve fino alla data di rinnovo dei contratti collettivi che le<br />
contengono.<br />
23.07.1993<br />
NOTA A VERBALE<br />
La CONFE<strong>DI</strong>R decide di apporre la propria sottoscrizione al protocollo sulla politica dei redditi e<br />
dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema<br />
produttivo, pur tuttavia dichiara che resta valido questo contenuto nella propria nota a verbale<br />
consegnata in occasione della sottoscrizione del protocollo del 31 luglio 1992. In particolare la<br />
CONFE<strong>DI</strong>R manifesta la propria più netta opposizione a qualsiasi innovazione peggiorativa per i<br />
pubblici dipendenti rispetto a quanto contenuto nel predetto protocollo del 31.7.1992 in materia<br />
pensionistica.<br />
La CONFE<strong>DI</strong>R non condivide altresì quanto previsto in materia di rappresentanze sindacali<br />
unitarie, materia per la quale ritiene necessario che si proceda alle seguenti modifiche:<br />
168
a) rendere totalmente elettive le rappresentanze sindacali unitarie;<br />
b) confermare esplicitamente che alle elezioni delle r.s.u. possono partecipare anche<br />
organizzazioni sindacali non firmatarie di accordi collettivi e, in genere, liste spontanee;<br />
c) stabilire che le organizzazioni sindacali presenti nelle r.s.u. di più aziende della medesima<br />
categoria merceologica hanno diritto di partecipare alle trattative nazionali;<br />
d) stabilire esplicitamente che si costituiscono r.s.u. per ciascuna categoria professionale dotata<br />
di un proprio accordo collettivo di lavoro;<br />
e) salvaguardare, comunque, con apposite norme, le categorie professionali minoritarie.<br />
169
Premessa<br />
ACCORDO INTERCONFEDERALE 20 dicembre 1993<br />
per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie.<br />
PARTE PRIMA<br />
Il presente accordo assume la disciplina generale in materia di rappresentanze sindacali unitarie,<br />
contenuta nel Protocollo stipulato fra Governo e parti sociali il 23 luglio 1993.<br />
Modalità di costituzione e di funzionamento<br />
1) Ambito ed iniziativa per la costituzione<br />
Rappresentanze sindacali unitarie possono essere costituite nelle unità produttive nelle quali<br />
l'azienda occupi più di 15 dipendenti, ad iniziativa delle associazioni sindacali firmatarie del<br />
Protocollo 23 luglio 1993.<br />
Hanno potere di iniziativa anche le associazioni sindacali firmatarie del c.c.n.l. applicato nell'unità<br />
produttiva ovvero le associazioni sindacali abilitate alla presentazione delle liste elettorali ai sensi<br />
del punto 4, parte seconda, a condizione che abbiano comunque espresso adesione formale al<br />
contenuto del presente accordo.<br />
L'iniziativa di cui al primo comma deve essere esercitata, congiuntamente o disgiuntamente, da<br />
parte delle associazioni sindacali come sopra individuate, entro tre mesi dalla stipula del presente<br />
accordo.<br />
In caso di oggettive difficoltà per l'esercizio dell'iniziativa entro il termine di cui sopra, l'iniziativa<br />
stessa potrà avere luogo anche dopo detto termine.<br />
La stessa iniziativa, per i successivi rinnovi, potrà essere assunta anche dalla R.S.U. e dovrà essere<br />
esercitata almeno tre mesi prima della scadenza del mandato.<br />
2) Composizione<br />
Alla costituzione della R.S.U. si procede, per due terzi dei seggi, mediante elezione a suffragio<br />
universale ed a scrutinio segreto tra liste concorrenti. Il residuo terzo viene assegnato alle liste<br />
presentate dalle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro<br />
applicato nell'unità produttiva, e alla sua copertura si procede, mediante elezione o designazione, in<br />
proporzione ai voti ricevuti.<br />
Nella definizione dei collegi elettorali, al fine della distribuzione dei seggi, le associazioni sindacali<br />
terranno conto delle categorie degli operai, impiegati e quadri di cui all'art. 2095 cod. civ., nei casi<br />
di incidenza significativa delle stesse nella base occupazionale dell'unità produttiva, per garantire<br />
un'adeguata composizione della rappresentanza.<br />
Nella composizione delle liste si perseguirà un'adeguata rappresentanza di genere, attraverso una<br />
coerente applicazione delle norme antidiscriminatorie.<br />
3) Numero dei componenti<br />
Fermo restando quanto previsto nel Protocollo d'intesa del 23 luglio 1993, sotto il titolo<br />
rappresentanze sindacali, al punto B (vincolo della parità di costi per le aziende), salvo clausole più<br />
favorevoli dei contratti o accordi collettivi di lavoro, il numero dei componenti le R.S.U. sarà pari<br />
almeno a:<br />
a) 3 componenti per la R.S.U. costituita nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti;<br />
b) 3 componenti ogni 300 o frazione di 300 dipendenti nelle unità produttive che occupano fino a 3<br />
mila dipendenti;<br />
c) 3 componenti ogni 500 o frazione di 500 dipendenti nelle unità produttive di maggiori<br />
dimensioni, in aggiunta al numero di cui alla precedente lett. b).<br />
170
4) Diritti, permessi, libertà sindacali, tutele e modalità di esercizio<br />
I componenti delle R.S.U. subentrano ai dirigenti delle R.S.A. nella titolarità dei diritti, permessi e<br />
libertà sindacali e tutele già loro spettanti per effetto delle disposizioni di cui al titolo 3° della legge<br />
n. 300/1970.<br />
Sono fatte salve le condizioni di miglior favore eventualmente già previste nei confronti delle<br />
associazioni sindacali dai c.c.n.l. o accordi collettivi di diverso livello, in materia di numero dei<br />
dirigenti della R.S.A., diritti, permessi e libertà sindacali.<br />
Nelle stesse sedi negoziali si procederà, nel principio dell'invarianza dei costi, all'armonizzazione<br />
nell'ambito dei singoli istituti contrattuali, anche in ordine alla quota eventualmente da trasferire ai<br />
componenti della R.S.U.<br />
In tale occasione, sempre nel rispetto dei principi sopra concordati, le parti definiranno in via<br />
prioritaria soluzioni in base alle quali le singole condizioni di miglior favore dovranno permettere<br />
alle organizzazioni sindacali con le quali si erano convenute, di mantenere una specifica agibilità<br />
sindacale.<br />
In tale ambito sono fatti salvi in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali<br />
stipulanti il c.c.n.l. applicato nell'unità produttiva, i seguenti diritti:<br />
a) diritto ad indire, singolarmente o congiuntamente l'assemblea dei lavoratori durante l'orario di<br />
lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex art. 20, L. n. 300/1970;<br />
b) diritto ai permessi non retribuiti di cui all'art. 24, L. n. 300/1970.<br />
c) diritto di affissione di cui all'art. 25, L. n. 300/1970.<br />
5) Compiti e funzioni<br />
Le R.S.U. subentrano alle R.S.A. ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle<br />
funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge.<br />
La R.S.U. e le competenti strutture territoriali delle associazioni sindacali firmatarie del contratto<br />
collettivo nazionale di lavoro, possono stipulare il contratto collettivo aziendale di lavoro nelle<br />
materie, con le procedure, modalità e nei limiti stabiliti dal contratto collettivo nazionale applicato<br />
nell'unità produttiva.<br />
6) Durata e sostituzione nell'incarico<br />
I componenti della R.S.U. restano in carica per tre anni, al termine dei quali decadono<br />
automaticamente. In caso di dimissioni di componente elettivo, lo stesso sarà sostituito dal primo<br />
dei non eletti appartenente alla medesima lista.<br />
Il componente dimissionario, che sia stato nominato su designazione delle associazioni sindacali<br />
stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell'unità produttiva, sarà sostituito<br />
mediante nuova designazione da parte delle stesse associazioni.<br />
Le dimissioni e conseguenti sostituzioni dei componenti le R.S.U. non possono concernere un<br />
numero superiore al 50% degli stessi, pena la decadenza della R.S.U. con conseguente obbligo di<br />
procedere al suo rinnovo, secondo le modalità previste dal presente accordo.<br />
7) Decisioni<br />
Le decisioni relative a materie di competenza delle R.S.U. sono assunte dalle stesse in base ai criteri<br />
previsti da intese definite dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente accordo.<br />
8) Clausola di salvaguardia<br />
171
Le organizzazioni sindacali, dotate dei requisiti di cui all'art. 19, L. 20 maggio 1970, n. 300, che<br />
siano firmatarie del presente accordo o comunque, aderiscano alla disciplina in esso contenuta,<br />
partecipando alla procedura di elezione della R.S.U., rinunciano formalmente ed espressamente a<br />
costituire R.S.A. ai sensi della norma sopra menzionata.<br />
Disciplina della elezione della R.S.U.<br />
PARTE SECONDA<br />
1) Modalità per indire le elezioni<br />
Almeno tre mesi prima della scadenza del mandato della R.S.U. le associazioni sindacali di cui al<br />
punto 1, parte prima, del presente accordo, congiuntamente o disgiuntamente, o la R.S.U. uscente,<br />
provvederanno ad indire le elezioni mediante comunicazione da affiggere nell'apposito albo che<br />
l'azienda metterà a disposizione della R.S.U. e da inviare alla Direzione aziendale. Il termine per la<br />
presentazione delle liste è di 15 giorni dalla data di pubblicazione dell'annuncio di cui sopra; l'ora di<br />
scadenza si intende fissata alla mezzanotte del quindicesimo giorno.<br />
2) Quorum per la validità delle elezioni<br />
Le organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente accordo favoriranno la più ampia<br />
partecipazione dei lavoratori alle operazioni elettorali.<br />
Le elezioni sono valide ove alle stesse abbia preso parte più della metà dei lavoratori aventi diritto<br />
al voto. Nei casi in cui detto quorum non sia stato raggiunto, la commissione elettorale e le<br />
organizzazioni sindacali prenderanno ogni determinazione in ordine alla validità della consultazione<br />
in relazione alla situazione venutasi a determinare nell'unità produttiva.<br />
3) Elettorato attivo e passivo<br />
Hanno diritto di votare tutti gli operai, gli impiegati e i quadri non in prova in forza all'unità<br />
produttiva alla data delle elezioni.<br />
Ferma restando l'eleggibilità degli operai, impiegati e quadri non in prova in forza all'unità<br />
produttiva, candidati nelle liste di cui al successivo punto 4, la contrattazione di categoria regolerà<br />
limiti ed esercizio del diritto di elettorato passivo dei lavoratori non a tempo indeterminato.<br />
4) Presentazione delle liste<br />
All'elezione della R.S.U. possono concorrere liste elettorali presentate dalle:<br />
a) associazioni sindacali firmatarie del presente accordo e del contratto collettivo nazionale di<br />
lavoro applicato nell'unità produttiva;<br />
b) associazioni sindacali formalmente costituite con un proprio statuto ed atto costitutivo a<br />
condizione che:<br />
1) accettino espressamente e formalmente la presente regolamentazione;<br />
2) la lista sia corredata da un numero di firme di lavoratori dipendenti dall'unità produttiva pari al<br />
5% degli aventi diritto al voto.<br />
Non possono essere candidati coloro che abbiano presentato la lista ed i membri della Commissione<br />
elettorale.<br />
Ciascun candidato può presentarsi in una sola lista. Ove, nonostante il divieto di cui al precedente<br />
comma, un candidato risulti compreso in più di una lista, la Commissione elettorale di cui al punto<br />
5, dopo la scadenza del termine per la presentazione delle liste e prima di procedere alla affissione<br />
delle liste stesse ai sensi del punto 7, inviterà il lavoratore interessato a optare per una delle liste.<br />
172
Il numero dei candidati per ciascuna lista non può superare di oltre 1/3 il numero dei componenti la<br />
R.S.U. da eleggere nel collegio.<br />
5) Commissione elettorale<br />
Al fine di assicurare un ordinato e corretto svolgimento della consultazione, nelle singole unità<br />
produttive viene costituita una commissione elettorale.<br />
Per la composizione della stessa ogni organizzazione abilitata alla presentazione di liste potrà<br />
designare un lavoratore dipendente dall'unità produttiva, non candidato.<br />
6) Compiti della Commissione<br />
La Commissione elettorale ha il compito di:<br />
a) ricevere la presentazione delle liste, rimettendo immediatamente dopo la sua completa<br />
integrazione ogni contestazione relativa alla rispondenza delle liste stesse ai requisiti previsti dal<br />
presente accordo;<br />
b) verificare la valida presentazione delle liste;<br />
c) costituire i seggi elettorali, presiedendo alle operazioni di voto che dovranno svolgersi senza<br />
pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale;<br />
d) assicurare la correttezza delle operazioni di scrutinio dei voti;<br />
e) esaminare e decidere su eventuali ricorsi proposti nei termini di cui al presente accordo;<br />
f) proclamare i risultati delle elezioni, comunicando gli stessi a tutti i soggetti interessati, ivi<br />
comprese le associazioni sindacali presentatrici di liste.<br />
7) Affissioni<br />
Le liste dei candidati dovranno essere portate a conoscenza dei lavoratori, a cura della Commissione<br />
elettorale, mediante affissione nell'albo di cui al punto 1, almeno otto giorni prima della data fissata<br />
per le elezioni.<br />
8) Scrutatori<br />
È in facoltà dei presentatori di ciascuna lista di designare uno scrutatore per ciascun seggio<br />
elettorale, scelto fra i lavoratori elettori non candidati.<br />
La designazione degli scrutatori deve essere effettuata non oltre le ventiquattro ore che precedono<br />
l'inizio delle votazioni.<br />
9) Segretezza del voto<br />
Nelle elezioni il voto è segreto e diretto e non può essere espresso per lettera nè per interposta<br />
persona.<br />
10) Schede elettorali<br />
La votazione ha luogo a mezzo di scheda unica, comprendente tutte le liste disposte in ordine di<br />
presentazione e con la stessa evidenza.<br />
In caso di contemporaneità della presentazione l'ordine di precedenza sarà estratto a sorte.<br />
Le schede devono essere firmate da almeno due componenti del seggio; la loro preparazione e la<br />
votazione devono avvenire in modo da garantire la segretezza e la regolarità del voto.<br />
La scheda deve essere consegnata a ciascun elettore all'atto della votazione dal Presidente del<br />
seggio.<br />
Il voto di lista sarà espresso mediante crocetta tracciata sulla intestazione della lista.<br />
Il voto è nullo se la scheda non è quella predisposta o se presenta tracce di scrittura o analoghi segni<br />
di individuazione.<br />
173
11) Preferenze<br />
L'elettore può manifestare la preferenza solo per un candidato della lista da lui votata.<br />
Il voto preferenziale sarà espresso dall'elettore mediante una crocetta apposta a fianco del nome del<br />
candidato preferito, ovvero segnando il nome del candidato preferito nell'apposito spazio della<br />
scheda.<br />
L'indicazione di più preferenze date alla stessa lista vale unicamente come votazione della lista,<br />
anche se non sia stato espresso il voto della lista. Il voto apposto a più di una lista, o l'indicazione di<br />
più preferenze date a liste differenti, rende nulla la scheda.<br />
Nel caso di voto apposto ad una lista e di preferenze date a candidati di liste differenti, si considera<br />
valido solamente il voto di lista e nulli i voti di preferenza.<br />
12) Modalità della votazione<br />
Il luogo e il calendario di votazione saranno stabiliti dalla Commissione elettorale, previo accordo<br />
con la Direzione aziendale, in modo tale da permettere a tutti gli aventi diritto l'esercizio del voto,<br />
nel rispetto delle esigenze della produzione.<br />
Qualora l'ubicazione degli impianti e il numero dei votanti lo dovessero richiedere, potranno essere<br />
stabiliti più luoghi di votazione, evitando peraltro eccessivi frazionamenti anche per conservare,<br />
sotto ogni aspetto, la segretezza del voto.<br />
Nelle aziende con più unità produttive le votazioni avranno luogo di norma contestualmente.<br />
Luogo e calendario di votazione dovranno essere portate a conoscenza di tutti i lavoratori, mediante<br />
comunicazione nell'albo esistente presso le aziende, almeno 8 giorni prima del giorno fissato per le<br />
votazioni.<br />
13) Composizione del seggio elettorale<br />
Il seggio è composto dagli scrutatori di cui al punto 8, parte seconda, del presente accordo e da un<br />
Presidente, nominato dalla Commissione elettorale.<br />
14) Attrezzatura del seggio elettorale<br />
A cura della Commissione elettorale ogni seggio sarà munito di un'urna elettorale, idonea ad una<br />
regolare votazione, chiusa e sigillata sino alla apertura ufficiale della stessa per l'inizio dello<br />
scrutinio.<br />
Il seggio deve inoltre poter disporre di un elenco completo degli elettori aventi diritto al voto presso<br />
di esso.<br />
15) Riconoscimento degli elettori<br />
Gli elettori, per essere ammessi al voto, dovranno esibire al Presidente del seggio un documento di<br />
riconoscimento personale. In mancanza di documento personale essi dovranno essere riconosciuti<br />
da almeno due degli scrutatori del seggio; di tale circostanza deve essere dato atto nel verbale<br />
concernente le operazioni elettorali.<br />
16) Compiti del Presidente<br />
Il Presidente farà apporre all'elettore, nell'elenco di cui al precedente punto 14, la firma accanto al<br />
suo nominativo.<br />
17) Operazioni di scrutinio<br />
174
Le operazioni di scrutinio avranno inizio subito dopo la chiusura delle operazioni elettorali di tutti i<br />
seggi dell'unità produttiva.<br />
Al termine dello scrutinio, a cura del Presidente del seggio, il verbale dello scrutinio, su cui dovrà<br />
essere dato atto anche delle eventuali contestazioni, verrà consegnato - unitamente al materiale della<br />
votazione (schede, elenchi, ecc.) - alla Commissione elettorale che, in caso di più seggi, procederà<br />
alle operazioni riepilogative di calcolo dandone atto nel proprio verbale.<br />
La Commissione elettorale al termine delle operazioni di cui al comma precedente provvederà a<br />
sigillare in un unico piego tutto il materiale (esclusi i verbali) trasmesso dai seggi; il piego sigillato,<br />
dopo la definitiva convalida della R.S.U. sarà conservato secondo accordi tra la Commissione<br />
elettorale e la Direzione aziendale in modo da garantirne la integrità e ciò almeno per tre mesi.<br />
Successivamente sarà distrutto alla presenza di un delegato della Commissione elettorale e di un<br />
delegato della Direzione.<br />
18) Attribuzione dei seggi<br />
Ai fini dell'elezione dei due terzi dei componenti della R.S.U., il numero dei seggi sarà ripartito,<br />
secondo il criterio proporzionale, in relazione ai voti perseguiti dalle singole liste concorrenti. Il<br />
residuo terzo dei seggi sarà attribuito in base al criterio di composizione della R.S.U. previsto<br />
dall'art. 2, 1° comma, parte prima, del presente accordo.<br />
Nell'ambito delle liste che avranno conseguito un numero di voti sufficiente all'attribuzione di<br />
seggi, i componenti saranno individuati seguendo l'ordine dei voti di preferenza ottenuti dai singoli<br />
candidati e, in caso di parità di voti di preferenza, in relazione all'ordine nella lista.<br />
19) Ricorsi alla Commissione elettorale<br />
La Commissione elettorale, sulla base dei risultati di scrutinio, procede alla assegnazione dei seggi e<br />
alla redazione di un verbale sulle operazioni elettorali, che deve essere sottoscritto da tutti i<br />
componenti della Commissione stessa.<br />
Trascorsi 5 giorni dalla affissione dei risultati degli scrutini senza che siano stati presentati ricorsi<br />
da parte dei soggetti interessati, si intende confermata l'assegnazione dei seggi di cui al primo<br />
comma e la Commissione ne dà atto nel verbale di cui sopra.<br />
Ove invece siano stati presentati ricorsi nei termini suddetti, la Commissione deve provvedere al<br />
loro esame entro 48 ore, inserendo nel verbale suddetto la conclusione alla quale è pervenuta.<br />
Copia di tale verbale e dei verbali di seggio dovrà essere notificata a ciascun rappresentante delle<br />
associazioni sindacali che abbiano presentato liste elettorali, entro 48 ore dal compimento delle<br />
operazioni di cui al comma precedente e notificata, a mezzo raccomandata con ricevuta, nel termine<br />
stesso, sempre a cura della Commissione elettorale, alla Associazione industriale territoriale, che, a<br />
sua volta, ne darà pronta comunicazione all'azienda.<br />
20) Comitato dei garanti<br />
Contro le decisioni della Commissione elettorale è ammesso ricorso entro 10 giorni ad apposito<br />
Comitato dei garanti.<br />
Tale Comitato è composto, a livello provinciale, da un membro designato da ciascuna delle<br />
organizzazioni sindacali, presentatrici di liste, interessate al ricorso, da un rappresentante<br />
dell'associazione industriale locale di appartenenza, ed è presieduto dal Direttore dell'UPLMO o da<br />
un suo delegato.<br />
Il Comitato si pronuncerà entro il termine perentorio di 10 giorni.<br />
21) Comunicazione della nomina dei componenti della R.S.U.<br />
175
La nomina, a seguito di elezione o designazione, dei componenti della R.S.U., una volta definiti gli<br />
eventuali ricorsi, sarà comunicata per iscritto alla direzione aziendale per il tramite della locale<br />
organizzazione imprenditoriale d'appartenenza a cura delle organizzazioni sindacali di rispettiva<br />
appartenenza dei componenti.<br />
22) Adempimenti della Direzione aziendale<br />
La Direzione aziendale metterà a disposizione della Commissione elettorale l'elenco dei dipendenti<br />
aventi diritto al voto nella singola unità produttiva e quanto necessario a consentire il corretto<br />
svolgimento delle operazioni elettorali.<br />
23) Clausola finale<br />
Il presente accordo potrà costituire oggetto di disdetta ad opera delle parti firmatarie, previo<br />
preavviso pari a 4 mesi.<br />
176
ACCORDO QUADRO 22 gennaio 2009<br />
Riforma degli assetti contrattuali.<br />
177
178
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181
ACCORDO INTERCONFEDERALE 15 aprile 2009<br />
Per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli<br />
assetti contrattuali del 22 gennaio 2009<br />
Premessa<br />
Le parti confermano che obiettivo dell’intesa è il rilancio della crescita economica, lo sviluppo<br />
occupazionale e l’aumento della produttività anche attraverso il rafforzamento dell’indicazione<br />
condivisa da Governo, organizzazioni di rappresentanza delle imprese ed organizzazioni sindacali<br />
dei lavoratori con l’accordo quadro del 22 gennaio 2009, cui viene data completa attuazione con la<br />
presente intesa, per una politica di riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese<br />
nell’ambito degli obiettivi e dei vincoli di finanza pubblica.<br />
Le parti convengono sulla necessità di realizzare un sistema di relazioni industriali che persegua<br />
condizioni di competitività e di produttività tali da consentire il rafforzamento del sistema<br />
produttivo, lo sviluppo dei fattori per l’occupabilità ed il miglioramento delle retribuzioni reali di<br />
tutti i lavoratori.<br />
Le parti, nel confermare un modello di assetti contrattuali su due livelli, esprimono l’essenziale<br />
esigenza di avere un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi in grado di dare<br />
certezze riguardo ai soggetti, ai tempi ed ai contenuti della contrattazione collettiva attraverso<br />
l’attuazione ed il rispetto delle regole.<br />
Le parti ritengono che la contrattazione collettiva rappresenti un valore nelle relazioni sindacali che<br />
hanno il compito di determinare le condizioni confacenti agli obiettivi generali dell’economia<br />
perseguendo l’incremento dei redditi di impresa e lavoro attraverso la spinta alla competitività,<br />
all’innovazione, alla flessibilità produttiva, alla definizione dei contenuti collettivi nel rapporto di<br />
lavoro ed alla promozione di servizi a favore dei lavoratori.<br />
Con il presente accordo le parti stipulanti concordano un sistema di relazioni industriali ed un<br />
modello di assetti della contrattazione collettiva che, con carattere sperimentale e per la durata di 4<br />
anni, sostituisce le regole già definite nel paragrafo “2. Assetti contrattuali” del Protocollo<br />
sottoscritto fra Governo e parti sociali il 23 luglio 1993 su “Politica dei redditi e dell’occupazione,<br />
assetti contrattuali, politiche del lavoro e sostegno al sistema produttivo”.<br />
Per la verifica del corretto funzionamento delle regole qui definite, le parti costituiscono a livello<br />
interconfederale un Comitato paritetico quale specifica sede di monitoraggio, analisi e raccordo<br />
costante anche con l’obiettivo di fornire, in una logica di diffusione delle best practices, linee di<br />
orientamento per i comportamenti dei rispettivi organismi e dei loro rappresentati ai vari livelli,<br />
secondo quanto stabilito con apposito regolamento che forma parte integrante del presente accordo.<br />
Tutto ciò premesso le parti concordano<br />
1) Gli assetti della contrattazione collettiva<br />
1.1. In coerenza con gli obiettivi individuati in Premessa le parti confermano un modello<br />
di assetti contrattuali che prevede:<br />
- un contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria con vigenza triennale<br />
sia per la parte normativa che per la parte economica<br />
- un secondo livello di contrattazione aziendale o alternativamente territoriale,<br />
laddove previsto, secondo l’attuale prassi, nell’ambito di specifici settori,<br />
con vigenza triennale.<br />
2) Il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria<br />
2.1. Il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria ha le seguenti caratteristiche:<br />
durata triennale tanto per la parte economica che normativa<br />
182
la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i<br />
lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale.<br />
2.2. Per la dinamica degli effetti economici dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria, le<br />
parti hanno individuato l’indicatore della crescita dei prezzi al consumo per il triennio - in<br />
sostituzione del tasso di inflazione programmata – in un nuovo indice previsionale costruito sulla<br />
base dell’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia),<br />
depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati.<br />
L’indice previsionale sarà elaborato da un soggetto terzo di riconosciuta autorevolezza ed<br />
affidabilità sulla base di una specifica lettera di incarico.<br />
Lo stesso soggetto procederà alla verifica circa eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista e<br />
quella reale effettivamente osservata, considerando i due indici sempre al netto della dinamica dei<br />
prezzi dei beni energetici importati.<br />
La verifica circa la significatività degli eventuali scostamenti registratisi sarà effettuata dal<br />
Comitato paritetico costituito a livello interconfederale.<br />
Il recupero degli eventuali scostamenti sarà effettuato entro la vigenza di ciascun contratto<br />
collettivo nazionale di lavoro in termini di variazione dei minimi.<br />
In sede di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria le parti stipulanti<br />
applicheranno il nuovo indice previsionale ad un valore retributivo medio assunto quale base di<br />
computo composto dai minimi tabellari, dal valore degli aumenti periodici di anzianità considerata<br />
l’anzianità media di settore e dalle altre eventuali indennità in cifra fissa stabilite dallo stesso<br />
contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria.<br />
2.3. Il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria regola il sistema di relazioni industriali a<br />
livello nazionale, territoriale e aziendale.<br />
A tal fine il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria definisce, a valere per il sistema<br />
delle imprese rientranti nel campo di applicazione, la disciplina dei diritti di informazione e<br />
consultazione in attuazione delle direttive europee nonché modelli, regole e procedure di<br />
funzionamento di eventuali organismi parititetici per approfondire i temi connessi agli andamenti<br />
economico-sociali ed alle politiche settoriali.<br />
Sui risultati delle iniziative di approfondimento possono essere realizzati avvisi comuni fra le parti<br />
stipulanti anche ai fini dell’emanazione di atti di indirizzo da parte delle Istituzioni competenti.<br />
È inoltre competenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria definire ulteriori forme<br />
di bilateralità, anche sulla base di specifici accordi interconfederali conclusi in relazione ad un<br />
quadro normativo che assicuri benefici fiscali ad incentivazione del funzionamento di servizi<br />
integrativi di welfare.<br />
Il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria definisce le modalità e gli ambiti di<br />
applicazione della contrattazione di secondo livello nello spirito dell’attuale prassi negoziale con<br />
particolare riguardo alle piccole imprese nonché la tempistica, secondo il principio dell’autonomia<br />
dei cicli negoziali, le materie e le voci nelle quali essa si articola.<br />
2.4. Per evitare situazioni di eccessivo prolungamento delle trattative di rinnovo, il contratto<br />
collettivo nazionale di lavoro di categoria definisce i tempi e le procedure per la presentazione delle<br />
proposte sindacali relative alla modifica delle disposizioni economiche e normative previste dalla<br />
contrattazione nazionale, aziendale o territoriale nonché i tempi di apertura e lo svolgimento dei<br />
negoziati.<br />
In ogni caso le proposte per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria<br />
saranno presentate in tempo utile per consentire l’apertura della trattativa sei mesi prima della<br />
scadenza del contratto.<br />
La parte che ha ricevuto le proposte per il rinnovo dovrà dare riscontro entro venti giorni decorrenti<br />
dalla data di ricevimento delle stesse.<br />
183
Al rispetto dei tempi e delle procedure definite è condizionata l’applicazione del meccanismo che,<br />
dalla data di scadenza del contratto precedente, riconosce una copertura economica, nella misura<br />
che sarà stabilita nei singoli contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria, a favore dei<br />
lavoratori in servizio alla data di raggiungimento dell’accordo di rinnovo.<br />
Durante i sei mesi antecedenti e nel mese successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale<br />
di lavoro di categoria e comunque per un periodo complessivamente pari a sette mesi dalla data di<br />
presentazione delle proposte di rinnovo, le parti non assumeranno iniziative unilaterali né<br />
procederanno ad azioni dirette.<br />
In caso di mancato rispetto della tregua sindacale sopra definita, si può esercitare il diritto di<br />
chiedere la revoca o la sospensione dell’azione messa in atto.<br />
Qualora dopo sei mesi dalla scadenza il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria non sia<br />
stato ancora rinnovato, è previsto l’interessamento del Comitato paritetico per la gestione del<br />
presente accordo interconfederale per valutare le ragioni che non hanno consentito il<br />
raggiungimento dell’accordo per il rinnovo del contratto.<br />
3) Il secondo livello di contrattazione<br />
3.1. Le parti, rilevato che nei principali Paesi dell’Unione europea si è sviluppata negli ultimi venti<br />
anni una generale tendenza a favorire un progressivo decentramento della contrattazione collettiva,<br />
ritengono che una maggiore diffusione della contrattazione di secondo livello possa consentire di<br />
rilanciare la crescita della produttività e quindi delle retribuzioni reali.<br />
Le parti, pertanto, con il presente accordo interconfederale confermano la necessità che vengano<br />
incrementate, rese strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte ad incentivare, in<br />
termini di riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello che collega aumenti<br />
salariali al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed<br />
altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati<br />
all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti.<br />
3.2. La contrattazione di secondo livello si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal<br />
contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge e deve riguardare materie ed<br />
istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione, secondo il principio del “ne<br />
bis in idem”.<br />
Gli accordi di secondo livello hanno durata triennale.<br />
Nella vigenza degli accordi di secondo livello le parti, nei tempi che saranno ritenuti necessari,<br />
svolgeranno procedure di informazione, consultazione, verifica o contrattazione previste dalle leggi,<br />
dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria, dagli accordi collettivi e dalla prassi<br />
negoziale vigente, per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali quali le<br />
innovazioni tecnologiche, organizzative ed i processi di ristrutturazione che influiscono sulle<br />
condizioni di salute e sicurezza, di lavoro e di occupazione anche in relazione alla legge sulle pari<br />
opportunità ed agli interventi volti a favorire l’occupazione femminile.<br />
3.3. Rispetto alla contrattazione aziendale con contenuti economici, il premio variabile sarà<br />
calcolato con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati fra le<br />
parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità, di redditività, di efficacia, di<br />
innovazione, di efficienza organizzativa ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della<br />
competitività aziendale nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa.<br />
Il premio deve avere caratteristiche tali da consentire l’applicazione dei particolari trattamenti<br />
contributivi e fiscali previsti dalla normativa di legge.<br />
Nel caso di contratti territoriali i criteri di misurazione e valutazione economica della produttività,<br />
della qualità e degli altri elementi di competitività, devono essere determinati sulla base di<br />
indicatori assunti a livello territoriale con riferimento alla specificità delle imprese del settore.<br />
184
Al fine di acquisire elementi di conoscenza comune per la definizione degli obiettivi della<br />
contrattazione aziendale, le parti esamineranno preventivamente le condizioni produttive ed<br />
occupazionali e le relative prospettive, tenendo conto dell’andamento della competitività e delle<br />
condizioni essenziali di redditività dell’azienda.<br />
Gli importi, i parametri ed i meccanismi utili alla determinazione quantitativa dell’erogazione<br />
connessa al premio variabile saranno definiti contrattualmente dalle parti in sede aziendale in<br />
coerenza con gli elementi di conoscenza di cui al comma precedente assicurando piena trasparenza<br />
sui parametri assunti ed il rispetto dei tempi delle verifiche ed una approfondita qualità dei processi<br />
di informazione e consultazione.<br />
3.4. Per favorire la diffusione della contrattazione aziendale con contenuti economici nelle imprese<br />
di minori dimensioni, con le incentivazioni previste dalla legge, le parti stipulanti i singoli contratti<br />
collettivi nazionali di lavoro di categoria, possono concordare linee guida utili a definire modelli di<br />
premio variabile con le caratteristiche di cui al precedente punto 3.3. che potranno essere adottate<br />
e/o riadattate in funzione delle concrete esigenze delle aziende interessate.<br />
Per valorizzare le esperienze realizzate ed i risultati conseguiti, anche attraverso le iniziative di<br />
categoria, in termini di miglioramento degli indicatori economici aziendali, possono essere costituiti<br />
in sede nazionale apposite commissioni paritetiche co il compito di monitorare ed analizzare la<br />
contrattazione di secondo livello.<br />
I risultati così raccolti saranno trasmessi in forma aggregata al Comitato paritetico interconfederale<br />
per ogni conseguente decisione circa il funzionamento del presente accordo ed ai fini delle verifiche<br />
richieste per legge allo scopo di ampliare, modificare o innovare gli strumenti di incentivazione<br />
della contrattazione di secondo livello.<br />
3.5. Le proposte di rinnovo dell’accordo di secondo livello, sottoscritte congiuntamente dalle<br />
rappresentanze sindacali unitarie costituite in azienda e dalle strutture territoriali delle<br />
organizzazioni sindacali stipulanti il contratto nazionale, devono essere presentate all’azienda e<br />
contestualmente all’Associazione industriale territoriale cui l’azienda è iscritta o ha conferito<br />
mandato, in tempo utile al fine di consentire l’apertura della trattativa due mesi prima della<br />
scadenza dell’accordo.<br />
L’azienda che ha ricevuto le proposte di rinnovo dovrà dare riscontro entro venti giorni decorrenti<br />
dalla data di ricevimento delle stesse.<br />
Durante i due mesi successivi alla data di presentazione delle proposte di rinnovo e per il mese<br />
successivo alla scadenza dell’accordo e comunque per un periodo complessivamente pari a tre mesi<br />
dalla data di presentazione delle proposte di rinnovo, le parti non assumeranno iniziative unilaterali<br />
né procederanno ad azioni dirette.<br />
Per le ipotesi in cui dopo cinque mesi dalla scadenza il contratto di secondo livello non sia stato<br />
ancora rinnovato, i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria possono prevedere che a<br />
livello territoriale l’Associazione industriale e le strutture delle organizzazioni sindacali stipulanti il<br />
contratto nazionale siano interessate dalle parti per valutare le ragioni che non hanno consentito il<br />
raggiungimento dell’accordo.<br />
3.6. Eventuali controversie che dovessero insorgere nella applicazione delle clausole tutte così come<br />
definite nel presente punto 3., saranno disciplinate fra le organizzazioni di rappresentanza delle<br />
imprese e dei lavoratori stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria, prima in<br />
sede territoriale e poi a livello nazionale.<br />
Qualora la controversia non trovi soluzione in sede di conciliazione, le stesse parti adiranno un<br />
collegio di arbitrato secondo modalità e procedure stabilite nel contratto collettivo nazionale di<br />
lavoro di categoria o con specifico accordo interconfederale.<br />
185
Per gli eventuali provvedimenti da applicare, il collegio arbitrale farà riferimento alle norme di<br />
legge vigenti in materia di responsabilità riguardanti esclusivamente i comportamenti posti in essere<br />
da organizzazioni di rappresentanza.<br />
Per la realizzazione di quanto qui stabilito, in sede di contrattazione collettiva nazionale di categoria<br />
le parti disciplineranno le specifiche procedure di conciliazione ed arbitrato.<br />
4) Elemento di garanzia retributiva<br />
4.1. Ai fini della effettività della diffusione della contrattazione di secondo livello, i contratti<br />
collettivi nazionali di lavoro di categoria stabiliscono che sia riconosciuto un importo, nella misura<br />
ed alle condizioni concordate nei medesimi contratti con particolare riguardo per le situazioni di<br />
difficoltà economico-produttiva, a titolo di elemento di garanzia retributiva, a favore dei lavoratori<br />
dipendenti da aziende prive di contrattazione di secondo livello e che non percepiscono altri<br />
trattamenti economici individuali o collettivi oltre a quanto spettante per contratto collettivo<br />
nazionale di categoria.<br />
Il beneficio sarà determinato con riferimento alla situazione rilevata nell’ultimo quadriennio.<br />
La verifica degli aventi diritto e l’erogazione dell’elemento di garanzia si colloca al termine della<br />
vigenza di ciascun contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria.<br />
5) Intese per il governo delle situazioni di crisi e per lo sviluppo economico ed<br />
occupazionale del territorio<br />
5.1. Al fine di governare direttamente nel territorio situazioni di crisi aziendali o per favorire lo<br />
sviluppo economico ed occupazionale dell’area, i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria<br />
possono consentire che in sede territoriale, fra le Associazioni industriali territoriali e le strutture<br />
territoriali delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto medesimo, siano raggiunte intese per<br />
modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o<br />
normativi disciplinati dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria.<br />
La capacità di modificare è esercitabile sulla base di parametri oggettivi individuati nel contratto<br />
nazionale quali, ad esempio, l’andamento del mercato del lavoro, i livelli di competenze e<br />
professionalità disponibili, il tasso di produttività, il tasso di avvio e di cessazione delle iniziative<br />
produttive, la necessità di determinare condizioni di attrattività per nuovi investimenti.<br />
In ogni caso le intese così raggiunte per essere efficaci devono essere preventivamente approvate<br />
dalle parti stipulanti i contratti collettivi nazionali di lavoro della categoria interessata.<br />
Sono fatte salve diverse soluzioni già definite in materia dai contratti collettivi nazionali<br />
di lavoro di categoria.<br />
6) Disposizioni transitorie<br />
6.1. Il presente accordo decorre dal 15 aprile 2009 ed avrà vigore fino al 15 aprile 2013.<br />
Sei mesi prima della scadenza le parti, anche sulla base dei rapporti di verifica eventualmente<br />
elaborati annualmente, procederanno ad una valutazione complessiva del funzionamento del<br />
sistema di relazioni industriali e della contrattazione collettiva ai vari livelli nel periodo di<br />
sperimentazione al fine di concordare le regole da valere per il successivo periodo apportando al<br />
presente accordo, ove necessario, correttivi, modifiche od integrazioni.<br />
6.2. Tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria e gli accordi di secondo livello, la cui<br />
scadenza biennale o quadriennale sia successiva alla data di entrata in vigore del presente accordo<br />
interconfederale, saranno rinnovati con l’applicazione delle condizioni, principi, regole, modalità,<br />
tempi stabiliti con il presente accordo interconfederale.<br />
Ai fini della presentazione delle richieste di rinnovo, i tempi stabiliti al punto 2.4. dovranno<br />
186
essere rispettati per i contratti in scadenza dal 1° novembre 2009. Nel frattempo devono essere<br />
rispettati i tempi previsti dal Protocollo del 23 luglio 1993 con le modalità in atto.<br />
In fase di prima applicazione del presente accordo interconfederale nel rinnovo di ciascun contratto<br />
collettivo nazionale di lavoro di categoria, ai fini dell’eventuale recupero degli scostamenti<br />
inflazionistici registrati nel biennio precedente si procederà secondo la disciplina prevista dal<br />
Protocollo del 23 luglio 1993.<br />
7) Rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva<br />
7.1. Le parti confermano l’interesse a definire uno specifico accordo interconfederale per rivedere<br />
ed aggiornare le regole pattizie che disciplinano la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro<br />
valutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo ivi compresa la certificazione<br />
all’INPS dei dati di iscrizione sindacale.<br />
7.2. Per un regolato sistema di relazioni industriali le parti si impegnano a rispettare ed a far<br />
rispettare – nell’esercizio del cosiddetto potere d’influsso proprio delle organizzazioni di<br />
rappresentanza delle imprese e dei lavoratori - tutte le regole che liberamente sono definite in<br />
materia di contrattazione collettiva.<br />
8) Razionalizzazione e riduzione del numero dei contratti collettivi nazionali di<br />
lavoro di categoria<br />
8.1. Le parti confermano l’interesse a proseguire nell’attività di verifica circa la possibilità di<br />
semplificazione ovvero di razionalizzazione od anche di riduzione del numero dei contratti collettivi<br />
nazionali di lavoro stipulati fra le rispettive organizzazioni nazionali di categoria.<br />
Per ognuna delle tre distinte ipotesi dovrà essere verificato lo specifico interesse reso esplicito dalle<br />
Associazioni/Federazioni di Categoria titolari dei rispettivi contratti nazionali.<br />
In funzione di detta verifica le parti potranno individuare ed essere garanti degli obiettivi comuni e<br />
condivisi che - su richiesta delle categorie interessate – possono eventualmente favorire operazioni<br />
di semplificazione ovvero di razionalizzazione od anche di riduzione del numero dei contratti<br />
collettivi nazionali di lavoro, secondo le decisioni assunte dalle categorie stesse.<br />
Nell’ambito dell’attività di verifica, che rientra nelle competenze del Comitato paritetico, saranno<br />
esaminate anche condizioni, tempi e modalità per la definizione di eventuali nuovi contratti<br />
collettivi per una adeguata e coerente gestione dei rapporti di lavoro in aree produttive prive di<br />
discipline contrattuali specifiche.<br />
Dichiarazione fra le parti<br />
In relazione a quanto previsto dalle disposizioni transitorie di cui al punto 6.2. le parti concordano<br />
che anche i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria e gli accordi di secondo livello con<br />
scadenza precedente alla firma del presente accordo inter-confederale ma per i quali non sia ancora<br />
iniziato il confronto negoziale per il rinnovo, saranno rinnovati con l’applicazione delle condizioni,<br />
principi, regole, modalità,<br />
tempi stabiliti con il presente accordo.<br />
CONFINDUSTRIA<br />
(Emma Marcegaglia)<br />
CISL<br />
(Raffaele Bonanni)<br />
UIL<br />
(Luigi Angeletti)<br />
187
ACCORDO 30 aprile 2009<br />
Intesa per l’applicazione dell’Accordo quadro sulla riforma<br />
degli assetti contrattuali del 22 gennaio ai comparti<br />
contrattuali del settore pubblico<br />
Premessa<br />
Confermando il comune obiettivo di una ripresa della crescita economica fondata sull'aumento della<br />
produttività e dell'occupazione, cui il settore pubblico contribuisce soprattutto con la qualità e<br />
quantità dei servizi offerti ai cittadini e alle imprese, con la presente intesa le parti danno piena<br />
applicazione in tutte le aree e i comparti contrattuali del pubblico impiego all’Accordo quadro sulla<br />
riforma degli assetti contrattuali sottoscritto il 22 gennaio 2009.<br />
Le parti convengono sulla necessità di realizzare un sistema di relazioni sindacali che persegua<br />
condizioni di produttività ed efficienza del pubblico impiego tali da consentire il rafforzamento del<br />
sistema produttivo, lo sviluppo dei fattori di occupabilità e il miglioramento delle retribuzioni reali<br />
di tutti i lavoratori.<br />
Le parti, nel confermare un modello di assetti contrattuali su due livelli, esprimono l'essenziale<br />
esigenza di realizzare un accordo sulle regole e le procedure della negoziazione e della gestione<br />
della contrattazione collettiva.<br />
Le parti ritengono che la contrattazione collettiva rappresenti un valore per la gestione delle risorse<br />
umane nel pubblico impiego e che le relazioni sindacali debbano essere tali da determinare nei<br />
luoghi di lavoro le condizioni confacenti agli obiettivi generali dell’economia, perseguendo<br />
l'incremento dei redditi dei cittadini, delle imprese e degli stessi dipendenti pubblici attraverso la<br />
spinta alla competitività, all'innovazione, alla flessibilità produttiva.<br />
Il presente accordo definisce un sistema di relazioni sindacali e un assetto della contrattazione<br />
collettiva che, con carattere sperimentale e per la durata di 4 anni, sostituisce le regole pattizie già<br />
definite e da esso difformi. Come concordato nel Protocollo del 30 ottobre 2008, il<br />
nuovo assetto contrattuale avrà decorrenza dal 2010.<br />
Per la verifica del corretto funzionamento delle regole qui definite, le parti costituiscono un<br />
Comitato paritetico - di cui fanno parte rappresentanti dei Comitati di settore e membri designati<br />
dalle Confederazioni sindacali rappresentative ai sensi della normativa vigente - quale specifica<br />
sede di monitoraggio e analisi degli effetti della contrattazione.<br />
1) Livelli contrattuali<br />
In coerenza con gli obiettivi indicati in premessa, si conferma un assetto della contrattazione<br />
collettiva su due livelli: il contratto collettivo nazionale di lavoro e la contrattazione di secondo<br />
livello, di amministrazione o alternativamente territoriale, nell'ambito di specifici<br />
compatti o aree.<br />
2) Il contratto collettivo nazionale di lavoro:<br />
a) ha una durata triennale, tanto per la parte economica che normativa;<br />
b) garantisce la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del<br />
comparto/area, ovunque impiegati nel territorio nazionale.<br />
2.1. La definizione del calcolo delle risorse da destinare agli incrementi salariali è effettuata dai<br />
Ministeri competenti, previa concertazione con le Confederazioni sindacali rappresentative nel<br />
pubblico impiego, nel rispetto e nei limiti della necessaria programmazione prevista dalla legge<br />
finanziaria, assumendo la previsione dell'indice IPCA, al netto dei prodotti energetici importati,<br />
quale parametro di riferimento per l’individuazione dell'indice previsionale da applicarsi ad una<br />
base di n calcolo costituita dalle voci di carattere stipendiale. Nella predetta sede saranno altresì<br />
verificate le eventuali risorse da destinare alla contrattazione integrativa.<br />
188
a) Il profilo previsionale dell'indice così definito verrà mantenuto invariato per il triennio di<br />
programmazione;<br />
b) l'elaborazione della previsione sarà affidata congiuntamente dalle parti ad un soggetto terzo di<br />
riconosciuta autorevolezza ed affidabilità, sulla base di una specifica lettera di incarico;<br />
c) lo stesso soggetto procederà alla verifica circa eventuali scostamenti tra l'inflazione prevista e<br />
quella reale effettivamente osservata, considerando i due indici sempre al netto della dinamica dei<br />
prezzi dei beni energetici importati;<br />
d) la verifica circa la significatività degli eventuali scostamenti registrati sarà effettuata previo<br />
confronto con le parti sociali e sarà effettuata alla scadenza del triennio contrattuale, tenendo conto<br />
dei reali andamenti delle retribuzioni di fatto dell'intero settore. Il recupero dell'eventuale<br />
scostamento avverrà entro il primo anno del successivo triennio contrattuale.<br />
2.2. Nel quadro della riforma e in applicazione della legge delega n. 15/2009, ai fini di migliorare<br />
l'efficienza e l'efficacia della contrattazione e la tempestività dei rinnovi, verrà attribuito un nuovo e<br />
più incisivo ruolo all'A.Ra.N., con un più diretto coinvolgimento dei Comitati di Settore, e si<br />
prevederà la riforma dell'iter negoziale dei contratti allo scopo di una loro più celere approvazione.<br />
2.3. 11 contratto collettivo nazionale di lavoro, inoltre, regola il sistema di relazioni sindacali a<br />
livello nazionale, territoriale e di amministrazione; a tal fine il contratto collettivo nazionale di<br />
lavoro definisce la disciplina dei diritti di informazione, consultazione e concertazione, in accordo<br />
con i principi della 1. 15/2009, nonché modelli, regole e procedure di funzionamento di eventuali<br />
organismi parititelici.<br />
2.4. 11 contratto collettivo nazionale definisce le modalità e gli ambiti di applicazione della<br />
contrattazione di secondo livello, le materie e le voci nelle quali essa si articola, nonché la relativa<br />
tempistica, secondo il principio dell'autonomia dei cicli negoziali.<br />
2.5. 11 contratto nazionale può definire eventuali forme di bilateralità per il funzionamento di<br />
servizi integrativi del welfare.<br />
3) Procedure contrattuali<br />
a) Per evitare situazioni di eccessivo prolungamento delle trattative di rinnovo, la presente intesa<br />
definisce i tempi e le procedure per la presentazione delle proposte sindacali relative alla modifica<br />
delle disposizioni economiche e normative previste dalla contrattazione nazionale, di<br />
amministrazione o territoriale, nonché i tempi di apertura e di svolgimento dei negoziati.<br />
b) In ogni caso le proposte si6dacali per il rinnovo del contratto collettivo nazionale saranno<br />
presentate sei mesi prima della scadenza del rinnovo del contratto e comunque in tempo utile per<br />
consentire l'apertura della trattativa tre mesi prima della scadenza del contratto.<br />
c) Al rispetto dei tempi e delle procedure definite è condizionata l'applicazione del meccanismo che,<br />
dalla .data di scadenza del contratto precedente, riconosce una copertura economica a favore dei<br />
lavoratori destinatari dell'accordo di rinnovo, nella misura e con le modalità che saranno stabilite<br />
nei singoli contratti collettivi nazionali di lavoro, entro i limiti previsti dalla legge finanziaria in<br />
sede di definizione delle risorse contrattuali.<br />
d) Durante i sei mesi antecedenti e nel mese successivo alla scadenza del contratto collettivo<br />
nazionale di lavoro e comunque per un periodo complessivamente pari a sette mesi dalla data di<br />
presentazione delle proposte di rinnovo, le parti non assumeranno iniziative unilaterali, né<br />
procederanno ad azioni dirette.<br />
e) In caso di mancato rispetto della tregua sindacale sopra definita, si può esercitare il diritto di<br />
chiedere la revoca o la sospensione dell'azione messa in atto.<br />
f) Qualora dopo sei mesi dalla scadenza il contratto collettivo nazionale di lavoro non sia stato<br />
ancora rinnovato, è previsto l'interessamento del Comitato paritetico indicato in premessa per<br />
189
valutare le ragioni che non hanno consentito il raggiungimento dell'accordo per il rinnovo del<br />
contratto e suggerire possibili soluzioni ai problemi riscontrati.<br />
4) Contrattazione decentrata<br />
4.1. Le parti, rilevato che nei principali Paesi delllUnione europea si è sviluppata negli ultimi venti<br />
anni una generale tendenza a favorire un progressivo decentramento della contrattazione collettiva,<br />
ritengono che la contrattazione di secondo livello possa costituire un valido strumento per<br />
migliorare la produttività e l'efficienza del lavoro pubblico.<br />
Le parti pertanto, con il presente accordo, confermano la necessità che, nel rispetto dei vincoli e<br />
degli obiettivi di ,finanza pubblica, vengano incrementate, diffuse, rese strutturali, certe e<br />
facilmente accessibili tutte le misure volte a incentivare, in termini di riduzione di tasse e contributi,<br />
la contrattazione di secondo livello che collega aumenti salariali al raggiungimento di obiettivi,<br />
concordati fra le parti, di produttività, qualità, efficienza, efficacia e altri elementi rilevanti ai fini<br />
del continuo miglioramento della performance delle pubbliche amministrazioni, anche in termini di<br />
risparmi di gestione.<br />
4.2. La contrattazione di secondo livello si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal<br />
contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge; e deve riguardare materie ed<br />
istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione, secondo il<br />
principio del "ne bis in idem".<br />
a) Gli accordi di secondo livello hanno durata 'triennale.<br />
b) Nella vigenza degli accordi di secondo livello le parti, nei tempi che saranno ritenuti necessari,<br />
svolgeranno procedure di informazione, consultazione, verifica, concertazione o contrattazione<br />
previste dalle leggi, dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria e dagli accordi collettivi<br />
per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni delle amministrazioni, quali le<br />
innovazioni tecnologiche, organizzative ed i processi di ristrutturazione che influiscono sulle<br />
condizioni di salute e sicurezza, di lavoro e di occupazione anche in relazione alle disposizioni di<br />
legge in tema di sicurezza del lavoro e sulle pari opportunità e agli interventi volti a<br />
favorire l'occupazione femminile.<br />
4.3. Nel quadro della contrattazione decentrata con contenuti economici, i premi variabili saranno<br />
calcolati con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati fra le<br />
parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, qualità, efficacia, innovazione, e1’efficienza<br />
organizzativa ed eventuali altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della perfomance delle<br />
amministrazioni, anche in termini di soddisfazione degli utenti, nonché<br />
ai risultati legati ai risparmi di gestione dell'amministrazione.<br />
a)Ai fini della valutazione della performance delle singole amministrazioni pubbliche e delle loro<br />
articolazioni funzionali/strutture dirigenziali possono essere necessari la qualificazione e il<br />
potenziamento dell'azione autonoma dei Nuclei di valutazione e dei Secin interni alle stesse, in<br />
accordo con quanto previsto dalla legge delega n. 15/2009.<br />
b) Per assicurare una più coerente responsabilizzazione della dirigenza sulla performance di ogni<br />
amministrazione e di ogni sua articolazione funzionale/struttura dirigenziale, si prevede, in<br />
applicazione dell'art. 4 della l. n. 15/2009, l’istituzione di un organismo centrale che opera con il<br />
compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di<br />
valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di cui alle lettere a) e b) del punto 2 del citato art.<br />
4, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale; l'esito di tale<br />
valutazione sarà reso pubblico e dovrà essere di facile comprensione da parte di cittadini e imprese;<br />
c) La valutazione di performance delle singole amministrazioni costituirà un elemento di<br />
riferimento per il confronto tra le parti; i CCNL, sulla base della valutazione di performance,<br />
fisseranno per ciascuna amministrazione le risorse utilizzabili per i contratti di secondo livello;<br />
190
questi, a loro volta, determineranno gli effetti economici sui singoli lavoratori, in accordo con<br />
quanto disposto dalla l. n. 15/2009.<br />
d) Le modalità di determinazione dei premi di risultato devono assicurare piena trasparenza<br />
dell'informazione sui parametri assunti, il rispetto dei tempi delle verifiche e la qualità dei processi<br />
di informazione e consultazione, anche ai fini del miglioramento organizzativo.<br />
e) I premi devono avere caratteristiche tali da consentire l'applicazione degli eventuali trattamenti<br />
contributivi e fiscali favorevoli che saranno ", previsti dalla normativa di legge gradualmente e<br />
compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica.<br />
f) Gli importi e i meccanismi utili alla determinazione quantitativa delle erogazioni connesse ai<br />
premi varia bili saranno definiti contrattualmente dalle parti a livello di amministrazione, in<br />
coerenza con gli elementi di conoscenza di cui al comma precedente assicurando piena trasparenza<br />
sui parametri assunti, il rispetto dei tempi delle verifiche e un’approfondita qualità dei processi di<br />
informazione e consultazione.<br />
4.4. Per favorire la diffusione e l'efficacia della contrattazione di amministrazione con contenuti<br />
economici nelle pubbliche amministrazioni di minori dimensioni, con le eventuali incentivazioni<br />
previste dalla legge, le parti stipulanti i singoli contratti collettivi nazionali di lavoro possono<br />
individuare le soluzioni più idonee, nonché concordare linee guida utili a definire modelli di premi<br />
variabili con le caratteristiche di cui al precedente punto 4.3., che potranno essere<br />
adottate e/o riadattate in funzione delle concrete esigenze delle amministrazioni interessate.<br />
Per valorizzare le esperienze realizzate e i risultati conseguiti, anche attraverso la contrattazione di<br />
comparto, in termini di miglioramento degli indicatori di performance delle amministrazioni,<br />
possono essere costituite in sede nazionale apposite commissioni paritetiche con il compito di<br />
monitorare e analizzare la contrattazione di secondo livello. I risultati così raccolti saranno<br />
trasmessi in forma aggregata al Comitato paritetico per ogni conseguente decisione circa il<br />
funzionamento del presente accordo e allo scopo di ampliare, modificare o innovare gli strumenti di<br />
applicazione della contrattazione di secondo livello.<br />
5) Disposizioni transitorie<br />
5.1. Il presente accordo decorre dalla data della sua sottoscrizione ed avrà vigore fino al 31.12.2013.<br />
a) Ai fini della presentazione delle richieste di rinnovo, i tempi stabiliti al punto 3 dovranno essere<br />
rispettati per i contratti in scadenza dal 1 gennaio 2010.<br />
b) Sei mesi prima della scadenza le parti, anche sulla base dei rapporti e di verifica eventualmente<br />
elaborati annualmente dal Comitato paritetico, procederanno ad una valutazione complessiva del<br />
funzionamento del sistema di relazioni sindacali e della contrattazione collettiva ai vari livelli nel<br />
periodo di sperimentazione, al fine di concordare le regole da valere per il successivo periodo<br />
apportando al presente accordo, ove necessario, correttivi, modifiche o integrazioni.<br />
c) Per i contratti scadenti in periodi precedenti devono essere rispettati i tempi previsti dal<br />
Protocollo del 23 luglio 1993, con le modalità in atto.<br />
6) Disposizioni finali<br />
Per un regolato sistema di relazioni sindacali le parti si impegnano a rispettare e a far rispettare -<br />
nell'esercizio delle potestà e delle funzioni proprie di ciascuno dei soggetti firmatari - tutte le regole<br />
che liberamente sono definite in materia di contrattazione collettiva.<br />
191
Accordo di Pomigliano (15 giugno 2010)<br />
192
Accordo di Mirafiori (23 dicembre 2010)<br />
193
Accordo interconfederale fra CONFINDUSTRIA e CGIL, CISL e<br />
UIL del<br />
28 giugno 2011<br />
Le parti<br />
premesso che<br />
è interesse comune definire pattiziamente le regole in materia di rappresentatività<br />
delle organizzazioni sindacali dei lavoratori;<br />
è obiettivo comune l’impegno per realizzare un sistema di relazioni industriali che<br />
crei condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo,<br />
l’occupazione e le retribuzioni;<br />
la contrattazione deve esaltare la centralità del valore del lavoro anche<br />
considerando che sempre più è la conoscenza, patrimonio del lavoratore, a favorire<br />
le diversità della qualità del prodotto e quindi la competitività dell’impresa;<br />
la contrattazione collettiva rappresenta un valore e deve raggiungere risultati<br />
funzionali all’attività delle imprese ed alla crescita di un’occupazione stabile e<br />
tutelata e deve essere orientata ad una politica di sviluppo adeguata alle differenti<br />
necessità produttive da conciliare con il rispetto dei diritti e delle esigenze delle<br />
persone;<br />
è essenziale un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi in<br />
grado di dare certezze non solo riguardo ai soggetti, ai livelli, ai tempi e ai contenuti<br />
della contrattazione collettiva ma anche sull’affidabilità ed il rispetto delle regole<br />
stabilite;<br />
fermo restando il ruolo del contratto collettivo nazionale di lavoro, è comune<br />
l’obiettivo di favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione collettiva di<br />
secondo livello per cui vi è la necessità di promuoverne l’effettività e di garantire<br />
una maggiore certezza alle scelte operate d’intesa fra aziende e rappresentanze<br />
sindacali dei lavoratori,<br />
tutto ciò premesso le parti convengono che<br />
1. ai fini della certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali per la<br />
contrattazione collettiva nazionale di categoria, si assumono come base i dati associativi<br />
riferiti alle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori. Il numero delle<br />
deleghe viene certificato dall’INPS tramite un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali<br />
(Uniemens) che verrà predisposta a seguito di convenzione fra INPS e le parti stipulanti il<br />
presente accordo interconfederale. I dati così raccolti e certificati, trasmessi<br />
complessivamente al CNEL, saranno da ponderare con i consensi ottenuti nelle elezioni<br />
periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie da rinnovare ogni tre anni, e trasmessi<br />
dalle Confederazioni sindacali al CNEL. Per la legittimazione a negoziare è necessario<br />
che il dato di rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale<br />
superi il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo<br />
nazionale di lavoro;<br />
2. il contratto collettivo nazionale di lavoro ha la funzione di garantire la certezza dei<br />
trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati<br />
nel territorio nazionale;<br />
194
3. la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in<br />
parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge;<br />
4. i contratti collettivi aziendali per le parti economiche e normative sono efficaci per tutto il<br />
personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali firmatarie del presente<br />
accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda se approvati dalla maggioranza<br />
dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie elette secondo le regole<br />
interconfederali vigenti;<br />
5. in caso di presenza delle rappresentanze sindacali aziendali costituite ex art. 19 della<br />
legge n. 300/70, i suddetti contratti collettivi aziendali esplicano pari efficacia se approvati<br />
dalle rappresentanze sindacali aziendali costituite nell’ambito delle associazioni sindacali<br />
che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle<br />
deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno<br />
precedente a quello in cui avviene la stipulazione, rilevati e comunicati direttamente<br />
dall’azienda. Ai fini di garantire analoga funzionalità alle forme di rappresentanza dei<br />
lavoratori nei luoghi di lavoro, come previsto per le rappresentanze sindacali unitarie<br />
anche le rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 della legge 20 maggio<br />
1970, n. 300, quando presenti, durano in carica tre anni. Inoltre, i contratti collettivi<br />
aziendali approvati dalle rappresentanze sindacali aziendali con le modalità sopra indicate<br />
devono essere sottoposti al voto dei lavoratori promosso dalle rappresentanze sindacali<br />
aziendali a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni dalla conclusione del<br />
contratto, da almeno una organizzazione firmataria del presente accordo o almeno dal<br />
30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità della consultazione è necessaria la<br />
partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L’intesa è respinta con il voto<br />
espresso dalla maggioranza semplice dei votanti;<br />
6. i contratti collettivi aziendali, approvati alle condizioni di cui sopra, che definiscono<br />
clausole di tregua sindacale finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la<br />
contrattazione collettiva, hanno effetto vincolante esclusivamente per tutte le<br />
rappresentanze sindacali dei lavoratori ed associazioni sindacali firmatarie del presente<br />
accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda e non per i singoli lavoratori;<br />
7. i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale<br />
mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I<br />
contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e<br />
temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti<br />
collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti<br />
collettivi nazionali di lavoro. Ove non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la<br />
materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti<br />
collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa<br />
con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente accordo interconfederale,<br />
al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo<br />
sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative<br />
con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione<br />
lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definite<br />
esplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo;<br />
195
8. le parti con il presente accordo intendono dare ulteriore sostegno allo sviluppo della<br />
contrattazione collettiva aziendale per cui confermano la necessità che il Governo decida<br />
di incrementare, rendere strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure – che già<br />
hanno dimostrato reale efficacia – volte ad incentivare, in termini di riduzione di tasse e<br />
contributi, la contrattazione di secondo livello che collega aumenti di retribuzione al<br />
raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri<br />
elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati<br />
all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti in sede aziendale.<br />
martedì 28 giugno 2011<br />
CONFINDUSTRIA<br />
196<br />
CGIL<br />
CISL<br />
UIL
DECRETO-LEGGE 13 agosto 2011 n.138 (in Gazz. Uff., 13 agosto, n. 188). - Decreto<br />
convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011 n. 148. - Ulteriori misure urgenti per<br />
la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo (MANOVRA BIS) (1)<br />
(1) In riferimento al presente decreto vedi: Parere dell'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato<br />
n. AS864 del 26 agosto 2011.<br />
TITOLO III<br />
Titolo III<br />
MISURE A SOSTEGNO DELL'OCCUPAZIONE<br />
Art.8<br />
Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità<br />
Art. 8<br />
1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori<br />
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze<br />
sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti,<br />
compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia<br />
nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio<br />
maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla<br />
qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del<br />
lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e<br />
occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività (1).<br />
2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti<br />
l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento (2):<br />
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;<br />
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;<br />
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarieta'<br />
negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;<br />
d) alla disciplina dell'orario di lavoro;<br />
e) alle modalita' di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e<br />
continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle<br />
conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio , il<br />
licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice<br />
dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonche' fino ad un<br />
anno di eta' del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale<br />
e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di<br />
adozione o affidamento (3).<br />
2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonche' i vincoli derivanti dalle normative comunitarie<br />
e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in<br />
deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative<br />
regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro (4).<br />
3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima<br />
dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il<br />
personale delle unita' produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato<br />
con votazione a maggioranza dei lavoratori.<br />
3-bis. All'articolo 36, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, sono apportate le seguenti<br />
modifiche:<br />
a) all'alinea, le parole: "e la normativa regolamentare, compatibili con la legislazione comunitaria, ed<br />
applicate" sono sostituite dalle seguenti: "la normativa regolamentare ed i contratti collettivi nazionali di<br />
settore, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicati";<br />
b) dopo la lettera b), e' inserita la seguente:<br />
"b-bis) condizioni di lavoro del personale" (5).<br />
(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />
conversione.<br />
(2) Alinea modificato dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />
conversione.<br />
(3) Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />
197
conversione.<br />
(4) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />
conversione.<br />
(5) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />
conversione.<br />
198
Impegno interconfederale 21 settembre 2011<br />
199