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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - Giurisprudenza - Università ...

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UNIVERSITÀ <strong>DEGLI</strong> <strong>STU<strong>DI</strong></strong> <strong>DI</strong> <strong>PAVIA</strong><br />

Facoltà di <strong>Giurisprudenza</strong><br />

Corso di Diritto del lavoro<br />

Prof. Mariella Magnani<br />

Lezioni di diritto sindacale<br />

Soggetti, Contratto, Conflitto collettivo<br />

Anno Accademico<br />

2011-2012


LEZIONI <strong>DI</strong> <strong>DI</strong>RITTO SINDACALE<br />

Soggetti, Contratto, Conflitto collettivo<br />

IN<strong>DI</strong>CE<br />

Capitolo I<br />

INTRODUZIONE<br />

1.1. L’oggetto del diritto del lavoro ………………………….. 6<br />

1.2. Le partizioni della materia ………………………………. 8<br />

1.3. Le fonti di disciplina dei rapporti di lavoro ……………... 9<br />

1.4.<br />

1.5.<br />

Dalle origini del diritto sindacale all’art. 39, seconda<br />

parte, della Costituzione ………………………………….<br />

Le ragioni della mancata attuazione dell’art. 39 Cost.,<br />

seconda parte ……………………………………………..<br />

Capitolo II<br />

I SOGGETTI DEL <strong>DI</strong>RITTO SINDACALE<br />

2.1. Il principio di libertà sindacale …………………………... 22<br />

2.2. Struttura del sindacato in Italia ………………………….. 26<br />

2.3. Il sindacato come associazione non riconosciuta ………... 29<br />

2.4. Il sindacato maggiormente rappresentativo ……………... 33<br />

2.5.<br />

2.6.<br />

Il sindacato comparativamente più rappresentativo ……...<br />

Costituzione e struttura delle RSA ……………………….<br />

2.7. Le RSU …………………………………………………... 47<br />

2<br />

12<br />

18<br />

41<br />

44


2.8. La rappresentanza sindacale aziendale negli altri Paesi<br />

europei …….…………...…………………………..…….<br />

2.9. I diritti sindacali:<br />

a) Diritto di assemblea .………………………………<br />

b) Referendum .…………...…………………………..<br />

c) Diritto di affissione ...…...…………………………<br />

d) Locali ......………………...………………………..<br />

e) Guarentigie ………………...………………………<br />

f) Permessi ………………………………………...…<br />

g) Campo di applicazione ..…………………………...<br />

Capitolo III<br />

IL CONTRATTO COLLETTIVO <strong>DI</strong> LAVORO<br />

3.1. L’inattuazione dell’art. 39 Cost., seconda parte, ed il<br />

3.2.<br />

3.3.<br />

3.4.<br />

contratto collettivo cd. di diritto comune ............................<br />

Il contenuto del contratto collettivo. La distinzione tra<br />

parte normativa e parte obbligatoria ……………………..<br />

Struttura della contrattazione collettiva in Italia ….……...<br />

L’ambito soggettivo di efficacia del contratto collettivo ...<br />

3.4.1. (segue) Le operazioni estensive della<br />

giurisprudenza ………………………..……………<br />

3.4.2. (segue) Le operazioni estensive del legislatore ..<br />

3.5. Inderogabilità del contratto collettivo da parte del<br />

contratto individuale ......………………………….………<br />

3.6. La successione dei contratti collettivi nel tempo e il<br />

3<br />

50<br />

51<br />

52<br />

53<br />

53<br />

54<br />

54<br />

54<br />

55<br />

57<br />

60<br />

66<br />

69<br />

73<br />

76


problema dei diritti quesiti ....………………….………… 82<br />

3.7. Il rapporto tra legge e contratto collettivo ……………….. 85<br />

3.8. Gli accordi di concertazione ………….………..………… 88<br />

3.9. Il concorso/conflitto tra contratti collettivi di diverso<br />

livello ………………………………………………….….<br />

3.10. L’ambito soggettivo di efficacia del contratto aziendale .<br />

In particolare, i contratti cd. gestionali……...…………..<br />

3.11. Le clausole di tregua sindacale ………………………….. 103<br />

3.12. La contrattazione collettiva nel pubblico impiego ………. 105<br />

3.12.1. L’efficacia del contratto collettivo nel settore<br />

pubblico ……………………………………………<br />

3.12.2. L’inderogabilità del contratto collettivo nel<br />

settore pubblico …………………………......……..<br />

3.13. L’art. 28 St. lav.: la repressione della condotta<br />

antisindacale ………………………………………….…..<br />

3.13.1. I soggetti legittimati ad agire ………………...<br />

3.13.2. La fattispecie “condotta antisindacale” ……...<br />

3.13.3. La violazione delle clausole dei contratti<br />

collettivi ……………………………………………<br />

92<br />

98<br />

107<br />

109<br />

110<br />

111<br />

114<br />

115<br />

3.13.4. Condotta antisindacale ed obbligo di trattare .. 116<br />

Capitolo IV<br />

IL CONFLITTO<br />

4.1. Il diritto di sciopero ……………………………………… 119<br />

4.2. Limiti interni e limiti esterni del diritto di sciopero ...…… 121<br />

4


4.3. La titolarità del diritto di sciopero ………………………. 126<br />

4.4.<br />

4.5.<br />

La struttura del diritto di sciopero ……………………….<br />

I modi attuativi ………………… ………………………..<br />

127<br />

127<br />

4.6. Le finalità. In particolare, lo sciopero politico ………… 129<br />

4.7. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali ………………. 131<br />

4.8.<br />

ALLEGATI:<br />

4.7.1. La definizione di servizio pubblico essenziale ..<br />

4.7.2. Le regole dello sciopero ………………………<br />

4.7.3. Apparato sanzionatorio ………………………<br />

La serrata …………………………………………………<br />

4.8.1. Qualificazione e disciplina della serrata dal<br />

punto di vista penale… ……………………….……<br />

4.8.2. … e dal punto di vista civile ……………….....<br />

4.8.3. La serrata di ritorsione ………………………..<br />

PROTOCOLLO 23 luglio 1993 (Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli<br />

assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo).<br />

ACCORDO INTERCONFEDERALE 20 dicembre 1993 (per la costituzione delle<br />

rappresentanze sindacali unitarie).<br />

ACCORDO QUADRO 22 gennaio 2009 (riforma degli assetti contrattuali).<br />

ACCORDO INTERCONFEDERALE 15 aprile 2009 (per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla<br />

riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009).<br />

ACCORDO 30 aprile 2009 (intesa per l’applicazione dell’Accordo quadro sulla riforma degli<br />

assetti contrattuali del 22 gennaio ai comparti contrattuali del settore pubblico).<br />

ACCORDO POMIGLIANO D’ARCO (15 giugno 2010).<br />

ACCORDO FIAT MIRAFIORI (23 dicembre 2010).<br />

ACCORDO CONFINDUSTRIA-CGIL-CISL-UIL (28 giugno 2011).<br />

ARTICOLO 8 D.L. N. 138 DEL 2011 “Misure a sostegno della disoccupazione”.<br />

IMPEGNO INTERCONFEDERALE (21 settembre 2011).<br />

5<br />

133<br />

136<br />

141<br />

143<br />

144<br />

149<br />

150


Capitolo I<br />

1.1. L’oggetto del diritto del lavoro.<br />

INTRODUZIONE<br />

Tradizionalmente il diritto del lavoro concerne i rapporti di lavoro<br />

subordinato ex art. 2094 c.c. E’ una materia relativamente nuova se<br />

confrontata con le tradizionali discipline giuridiche, affrancatasi dalla più<br />

generale disciplina privatistica, via via che si è formato un nucleo speciale<br />

di disciplina speciale di quei rapporti.<br />

Il perimetro del diritto del lavoro è segnato dalle norme costituzionali che<br />

lo contemplano: a parte l’art. 1 (che proclama che “l’Italia è una<br />

Repubblica democratica fondata sul lavoro”), gli artt. 4 (sul diritto al<br />

lavoro), 35 (sulla tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni), 36<br />

(sulla retribuzione proporzionata e sufficiente), 37 (sulla parità uomo-<br />

donna e sulla tutela dei minori), 38, 2° co. (sulla previdenza sociale), 39<br />

(sulla libertà sindacale), 40 (sul diritto di sciopero), 46 (sulla<br />

collaborazione dei lavoratori alla gestione delle imprese), 99 (sulla<br />

costituzione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro). Ma<br />

dovrebbero essere ricordati, in quanto riferibili pure al lavoratore come<br />

cittadino, i principi di cui agli artt. 2, 3, 2° co., 38,1°co., 41, 2°co.<br />

In passato, nella norma base di tutela del lavoro (art. 35) è stata vista<br />

l’affermazione della linea di tendenza a sostegno della classe lavoratrice, e,<br />

dunque, il lavoro è stato identificato con i valori e le esigenze di questa<br />

classe. In tale linea di pensiero il “lavoro” coincideva con il lavoro<br />

dipendente.<br />

6<br />

L’oggetto del<br />

diritto del<br />

lavoro<br />

Il significato<br />

di lavoro nelle<br />

norme<br />

costituzionali


Alcuni per la verità hanno ritenuto già in passato che il lavoro tutelato fosse<br />

anche quello autonomo, purchè sottoprotetto e, dunque, fosse da escludere<br />

solo il lavoro imprenditoriale (R. Scognamiglio).<br />

Oggi è sempre più avvertita in dottrina l’esigenza di una rilettura delle<br />

norme costituzionali alla luce delle modificazioni intervenute nella società<br />

che rendono inattuale la visione dicotomica e classista che sta alla base di<br />

gran parte della lettura del sistema giuslavoristico.<br />

La lettura aggiornata della Carta Costituzionale, scevra da quella lettura<br />

dicotomica di cui si diceva, ha indotto ormai a concludere che, a parte che<br />

negli artt. 36, 37, 46, e nell’art. 51, 3° co. – i quali, secondo la visione<br />

tradizionale, visualizzano il lavoro subordinato – per il resto la Costituzione<br />

esprime piena neutralità circa le forme di lavoro.<br />

***<br />

Rispetto alla tradizionale impostazione del diritto del lavoro si sono<br />

peraltro verificati fenomeni nuovi che attengono alla tipologia di rapporti di<br />

lavoro e che finiscono per investire lo stesso oggetto della materia.<br />

Da un parte, vi è stata una proliferazione, assecondata dall’ordinamento, di<br />

tipologie di lavoro subordinato: la categoria “lavoro subordinato” non è più<br />

monolitica (come quando ospitava essenzialmente il rapporto a tempo<br />

pieno ed indeterminato), ma articolata al suo interno in figure contrattuali<br />

diverse (lavoro a tempo parziale, somministrato, a termine, ripartito,<br />

intermittente, ecc.), che pongono, dal punto di vista interpretativo, problemi<br />

di adattamento della normativa generale; dal punto di vista sistematico,<br />

problemi di sistemazione concettuale.<br />

Dall’altra parte, vi è stata la diffusione di forme di lavoro autonomo che<br />

presentano forti assonanze con il lavoro subordinato. Si pensi ai rapporti di<br />

collaborazione coordinata, continuativa e prevalentemente personale, che,<br />

7<br />

Frammentazione<br />

ed<br />

estensione<br />

dell’oggetto<br />

del diritto<br />

del lavoro


proprio per questo motivo, sono divenuti oggetto di regolazione legislativa<br />

(cfr. da ultimo il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276).<br />

Da queste considerazioni emerge che l’oggetto del diritto del lavoro, da un<br />

canto, si è, in un certo senso, frammentato, dall’altro, si è esteso, nel senso<br />

di riguardare anche i rapporti di lavoro autonomo, essendo stati estesi ad<br />

alcuni di essi spezzoni di disciplina generale conformata su quella tipica del<br />

lavoro subordinato.<br />

1.2. Le partizioni della materia.<br />

Nell’ambito della materia si suole effettuare una tripartizione,<br />

scomponendola in “diritto sindacale”, “diritto del lavoro” in senso stretto (o<br />

“diritto del rapporto di lavoro”) e “diritto della previdenza sociale” o della<br />

“sicurezza sociale”.<br />

Il diritto sindacale ha per oggetto le associazioni ovvero le organizzazioni<br />

sindacali e la loro caratteristica attività: innanzitutto, la contrattazione<br />

collettiva delle condizioni di lavoro e, in secondo luogo, il cd. conflitto<br />

collettivo, vale a dire le forme di lotta sindacale (in particolare, lo sciopero<br />

e la serrata).<br />

Il diritto del lavoro in senso stretto visualizza il contratto e il rapporto<br />

individuale di lavoro e, di conseguenza, ha per oggetto l’insieme dei diritti<br />

e degli obblighi posti in capo a lavoratore e datore di lavoro come parti di<br />

siffatto rapporto.<br />

Infine il diritto della previdenza sociale o della sicurezza sociale ha per<br />

oggetto la disciplina dell’erogazione di beni e servizi da parte dello Stato o<br />

di Enti pubblici (ora anche privati) per far fronte a situazioni di bisogno<br />

(infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria:<br />

8<br />

Diritto<br />

sindacale<br />

Diritto del<br />

rapporto<br />

individuale di<br />

lavoro<br />

Diritto della<br />

previdenza o<br />

della<br />

sicurezza<br />

sociale


cfr. art. 38, 2° co., Cost.) in cui i lavoratori possono incorrere: si pensi, ad<br />

esempio, al sistema pensionistico. Tale branca del diritto ha assunto una<br />

notevole autonomia scientifica e didattica. Proprio per questo non viene<br />

normalmente ricompresa nei corsi di diritto del lavoro, salvi alcuni cenni<br />

essenziali per la piena comprensione della materia.<br />

1.3. Le fonti di disciplina dei rapporti di lavoro.<br />

L’assetto delle fonti di disciplina dei rapporti di lavoro è del tutto peculiare.<br />

Oltre alla legge ed al contratto individuale (che naturalmente non è fonte di<br />

diritto in senso tecnico) ritroviamo l’istituto del contratto collettivo, che è<br />

ad un tempo contratto ed atto normativo. Di esso si tratterà<br />

approfonditamente nel 3° capitolo.<br />

Per quanto riguarda la legge, deve ricordarsi che a fianco della legge statale<br />

si trova la legge regionale. Con la l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3,<br />

modificativa del Titolo V, Parte II, della Costituzione, in particolare<br />

dell’art. 117 (1°, 2°, 3°, 4° co.), il legislatore costituzionale ha invertito<br />

l’attribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, attribuendo<br />

competenza legislativa generale alle Regioni ed enumerando –<br />

individuandole dunque specificamente – le materie riservate alla<br />

competenza legislativa statuale.<br />

Per quanto riguarda il diritto del lavoro, questa riforma è importante perché<br />

viene riservata alla competenza concorrente Stato-Regioni la materia della<br />

“tutela e sicurezza del lavoro”. Tale espressione, secondo un’opinione,<br />

sarebbe talmente ampia da far ritenere che l’intero diritto del lavoro possa<br />

essere oggetto della competenza concorrente Stato-Regioni. Muovendo<br />

tuttavia dalla considerazione che, ai sensi dell’art. 117, lett. l), Cost.,<br />

9<br />

L’assetto<br />

delle fonti del<br />

diritto del<br />

lavoro: legge<br />

e contratto<br />

collettivo<br />

Legge statale<br />

e legge<br />

regionale


continua ad essere riservata alla competenza statale esclusiva la materia<br />

dell’ “ordinamento civile” e che il contratto e i rapporti di lavoro attengono<br />

indubbiamente a questa materia, si tende ad attribuire all’espressione<br />

“tutela e sicurezza del lavoro” un significato più ristretto, coerente con la<br />

esperienza di decentramento amministrativo attuato con la cd. legge<br />

Bassanini (legge 15 marzo 1997, n. 59). Secondo tale più condivisibile<br />

opinione, oggetto di potestà legislativa concorrente Stato-Regioni è la<br />

disciplina dell’organizzazione e del funzionamento del mercato del lavoro;<br />

mentre le materie dell’istruzione e della formazione professionale<br />

sarebbero riservate alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni.<br />

La materia lavoristica risulta così ripartita nell’area di competenza statale<br />

esclusiva, nell’area di competenza concorrente Stato-Regioni, nell’area di<br />

competenza regionale cosiddetta esclusiva. La logica che presiede a tale<br />

organizzazione non appare del tutto congruente, sembrando essa piuttosto il<br />

frutto della stabilizzazione di assetti normativi precedenti, cui si<br />

accompagnano nuovi innesti non del tutto meditati. Basti pensare ad<br />

esempio che, alla stregua di siffatta organizzazione, i contratti di lavoro cd.<br />

formativi (apprendistato, contratto di inserimento) finiscono per<br />

coinvolgere “verticalmente” sia la competenza esclusiva dello Stato, sia la<br />

competenza concorrente Stato-Regioni, sia infine la competenza esclusiva<br />

delle Regioni. I nessi esistenti, peraltro, tra la materia tipicamente di<br />

competenza regionale esclusiva, l’istruzione e la formazione professionale,<br />

ed altre materie – che sono ora in dominio della legislazione esclusiva<br />

statale, ora in regime di legislazione concorrente, ad esempio, il mercato<br />

del lavoro – inducono a ritenere che questa competenza esclusiva finisca<br />

per essere in realtà fortemente condizionata.<br />

Per quanto riguarda più specificamente il diritto sindacale, la legislazione<br />

ordinaria è scarsa non dal punto di vista quantitativo, ma dal punto di vista<br />

10<br />

Legge<br />

ordinaria e<br />

Costituzione


della sua organicità. Le uniche leggi organiche sono la l. 12 giugno 1990,<br />

n. 146, così come modificata dalla l. 11 aprile 2000, n. 83 sullo sciopero nei<br />

pubblici servizi e il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (confluito nel testo unico<br />

approvato con d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165) che disciplina la<br />

contrattazione collettiva nel pubblico impiego. Ci sono poi numerosi<br />

riferimenti normativi al sindacato e all’attività sindacale, senza che però<br />

venga disciplinato compiutamente il fenomeno dei rapporti sindacali e della<br />

contrattazione collettiva.<br />

Le norme fondamentali del diritto sindacale si ritrovano nella Costituzione<br />

e sono rappresentate dagli artt. 39, 40, 46.<br />

Tutte e tre queste norme (espressamente gli artt. 40 e 46, implicitamente<br />

l’art. 39) rinviano a leggi ordinarie per la loro attuazione. Sennonché leggi<br />

ordinarie organiche di attuazione non sono state emanate per nessuna delle<br />

tre norme; anche se recentemente tale situazione di anomia è stata<br />

parzialmente corretta per lo sciopero (v. la legge n. 146 del 1990, sullo<br />

sciopero nei servizi pubblici essenziali, infra, cap. IV, par. 7) e per il<br />

contratto collettivo aziendale e territoriale (v. art. 8, d.l. 13 agosto 2011, n.<br />

138 conv. nella l. 14 settembre 2011, n. 148: infra, cap. III, par. 10).<br />

Questa peculiarità del diritto del lavoro e, segnatamente, del diritto<br />

sindacale italiano, che si dice cresciuto “all’insegna dell’informalità”, lo<br />

rende accostabile per certi versi ad esperienze di Paesi di common law (in<br />

particolare al diritto sindacale inglese).<br />

Evidentemente, la mancanza di leggi ordinarie che dessero un’attuazione<br />

organica ai principi costituzionali in materia di diritto sindacale ha<br />

enfatizzato il ruolo della giurisprudenza.<br />

11<br />

Il ruolo fondamentale<br />

della giurisprudenza


1.4. Dalle origini del diritto sindacale all’art. 39, seconda parte, della<br />

Costituzione.<br />

Per comprendere appieno i contenuti dell’art. 39 Cost., uno dei capisaldi<br />

del diritto sindacale, occorre considerare diacronicamente il regime<br />

giuridico del sindacato e del contratto collettivo durante il periodo pre-<br />

corporativo e il periodo “corporativo-fascista”.<br />

I) Il periodo “pre-corporativo”.<br />

Il codice civile del 1865 non conteneva una disciplina specifica dei<br />

contratti di lavoro subordinato, che, pertanto, venivano ricondotti alla<br />

figura civilistica della locatio operarum. Tuttavia, anche nel nostro Paese,<br />

seppure in ritardo rispetto ad altri, la rivoluzione industriale determinò la<br />

diffusione del lavoro salariato subordinato e la nascita della cd. questione<br />

sociale.<br />

In questo primo periodo di tempo, lo Stato mancò di svolgere una funzione<br />

riequilibratrice. La tutela dei lavoratori dipendenti si ebbe attraverso la<br />

coalizione sindacale.<br />

Per vincere la situazione di debolezza contrattuale in cui si trovavano se<br />

contrattavano individualmente le condizioni di lavoro, i lavoratori si<br />

coalizzarono costituendo i sindacati, associazioni volontarie per la difesa<br />

dei propri interessi professionali. I sindacati, agendo attraverso lo<br />

strumento dello sciopero (che, a differenza di quanto poi previsto durante il<br />

regime fascista, era allora penalmente lecito), ottenevano di essere<br />

riconosciuti dai datori di lavoro come controparti contrattuali.<br />

Furono così stipulati i primi contratti collettivi, concernenti inizialmente la<br />

sola retribuzione (venivano infatti denominati “concordati di tariffa”) per<br />

poi disciplinare, col tempo, anche altri profili del rapporto di lavoro.<br />

12<br />

Il codice<br />

civile del<br />

1865 e la cd.<br />

questione<br />

sociale<br />

La nascita del<br />

sindacato e<br />

del contratto<br />

collettivo


Contemporaneamente, anche i datori di lavoro si associarono, a loro volta,<br />

per meglio contrastare, nella dialettica negoziale, i sindacati dei lavoratori.<br />

Come è ovvio, nel codice del 1865 non esisteva alcuna previsione<br />

normativa neppure (anzi, a fortiori) relativamente al contratto collettivo.<br />

Si deve all’opera pionieristica del giurista Giuseppe Messina (v. il suo<br />

saggio pubblicato nella Rivista di Diritto Commerciale del 1904, I, 458 ss.)<br />

l’inquadramento giuridico dei problemi da esso scaturenti. Messina per<br />

primo ha evidenziato che il contratto collettivo non è una sommatoria di<br />

singoli contratti di lavoro, ma un contratto normativo, cioè un contratto per<br />

mezzo del quale le parti predeterminano il contenuto di una futura attività<br />

negoziale. Per spiegare l’efficacia del contratto collettivo sui contratti<br />

individuali di lavoro, Messina deve fare ricorso, in mancanza di una<br />

disciplina specifica, al diritto contrattuale comune.<br />

In questa prospettiva, come ora si chiarirà, il contratto collettivo, da una<br />

parte, non ha efficacia inderogabile nei confronti dei singoli contratti<br />

individuali; dall’altra, riguarda unicamente gli iscritti alle associazioni<br />

sindacali stipulanti.<br />

Per spiegare come un contratto collettivo, stipulato da contrapposte<br />

associazioni sindacali, possa produrre effetti nella sfera giuridica del<br />

singolo datore di lavoro e del singolo lavoratore, già Messina faceva<br />

riferimento alla figura privatistica della rappresentanza: nel momento in<br />

cui i singoli si iscrivono alle proprie associazioni sindacali conferirebbero<br />

loro un potere di rappresentanza nella regolazione delle condizioni di<br />

lavoro. Ne consegue che coloro che non sono iscritti alle associazioni<br />

sindacali stipulanti il contratto sono terzi rispetto ad esso e, dunque, nei<br />

loro confronti il contratto collettivo non produce effetti.<br />

Dall’applicazione dell’istituto della rappresentanza al fine di spiegare gli<br />

effetti del contratto collettivo sul contratto individuale consegue altresì che<br />

13<br />

L’opera<br />

pionieristica di<br />

G. Messina<br />

nell’inquadramento<br />

del<br />

contratto<br />

collettivo<br />

L’utilizzazio-<br />

ne della<br />

figura della<br />

rappresentanza<br />

per<br />

spiegare gli<br />

effetti del<br />

contratto<br />

collettivo sul<br />

contratto individuale<br />

di<br />

lavoro


il singolo datore di lavoro ed il singolo lavoratore possano modificare, in<br />

sede di stipulazione del contratto individuale di lavoro, la disciplina<br />

prevista dal contratto collettivo. Il rappresentato è infatti dominus negotii e,<br />

dunque, può sempre modificare la regolamentazione dell’affare posta in<br />

essere dal rappresentante.<br />

Se questo è vero, si riduce di molto la funzione economico-sociale tipica<br />

del contratto collettivo, cioè la rimozione della debolezza contrattuale dei<br />

singoli lavoratori. Ma, secondo Messina, questa era l’unica conclusione cui<br />

si poteva pervenire applicando il comune diritto dei contratti.<br />

II) Il periodo “corporativo”.<br />

La legge 3 aprile 1926, n. 563, in conformità con l’ideologia del periodo<br />

corporativo-fascista, segnò l’allontanamento definitivo dalla posizione<br />

“agnostica”, di tendenziale indifferenza, che aveva caratterizzato lo Stato<br />

liberale nei confronti della dialettica tra le parti sociali nel conflitto<br />

industriale.<br />

Con la legge del 1926, il sindacato venne infatti attratto nella struttura<br />

organizzativa dello Stato. La legge prevedeva che i sindacati, una volta<br />

ottenuta la personalità giuridica (di diritto pubblico), avrebbero acquisito<br />

la rappresentanza legale di tutti i lavoratori – iscritti e non iscritti –<br />

appartenenti a una data categoria.<br />

Per ciascuna delle categorie professionali (le quali venivano individuate<br />

autoritativamente) era ammessa la registrazione di un solo sindacato. Pur<br />

non essendo formalmente affermata l’unicità del sindacato – pur essendo,<br />

cioè, consentita la costituzione di più sindacati per una stessa categoria di<br />

lavoratori – solo un sindacato poteva ottenere la registrazione e con essa la<br />

personalità giuridica. Il sindacato cui veniva attribuita la personalità<br />

giuridica di diritto pubblico aveva poi il potere di stipulare un contratto<br />

14<br />

La cd. legge<br />

sindacale del<br />

1926<br />

Il sindacato<br />

con<br />

personalità<br />

giuridica di<br />

diritto pubblico<br />

e rappresentanza<br />

legale di tutti<br />

i membri<br />

della categoria


collettivo dotato, per previsione legislativa, di efficacia generalizzata (erga<br />

omnes) nei confronti di tutti i lavoratori e datori di lavoro appartenenti alla<br />

categoria, indipendentemente dalla loro iscrizione.<br />

La legge del 1926 si occupava anche di definire il tipo di efficacia del<br />

contratto collettivo sul contratto individuale. Essa infatti stabiliva che, in<br />

ipotesi di difformità delle disposizioni del secondo rispetto a quelle del<br />

primo (e salvo che il contratto individuale non contenesse disposizioni più<br />

favorevoli per i lavoratori), le disposizioni del contratto individuale<br />

difformi dovessero essere sostituite automaticamente da quelle del<br />

contratto collettivo. Si affermava, pertanto, il principio di inderogabilità in<br />

peius del contratto collettivo da parte del contratto individuale, principio<br />

poi ripreso dal codice civile del 1942.<br />

La legge del 1926 prevedeva inoltre l’istituzione della Magistratura del<br />

lavoro, un organismo composto da magistrati togati e da esperti designati<br />

dalle parti contrapposte, con lo scopo di dirimere le controversie relative ai<br />

rapporti di lavoro. All’esame della Magistratura del lavoro potevano essere<br />

portate sia controversie collettive cd. giuridiche, relative cioè<br />

all’interpretazione ed all’applicazione dei contratti collettivi esistenti; sia<br />

controversie collettive cd. economiche, relative cioè alla determinazione dei<br />

contenuti dei contratti collettivi (ed in tal caso era in sostanza la stessa<br />

Magistratura a fissare detti contenuti).<br />

Per comprendere le ragioni dell’istituzione della Magistratura del lavoro<br />

occorre premettere che il legislatore del 1926 qualificava e puniva sia lo<br />

sciopero, sia la serrata come reati contro l’economia nazionale. Siffatte<br />

previsioni furono poi riprodotte dal codice penale del 1930.<br />

La repressione penale dello sciopero rappresentava in effetti il principale<br />

elemento di negazione della libera determinazione dei rapporti sindacali.<br />

Infatti, in un sistema di libertà sindacale e contrattuale le associazioni<br />

15<br />

Il contratto<br />

collettivo con<br />

efficacia erga<br />

omnes ed<br />

inderogabilità<br />

da parte del<br />

contratto<br />

individuale<br />

La<br />

Magistratura<br />

del lavoro<br />

Sciopero e<br />

serrata<br />

configurati<br />

come reati<br />

contro<br />

l’economia<br />

nazionale


sindacali dei lavoratori tipicamente avanzano rivendicazioni nei confronti<br />

della controparte datoriale; ed in tale confronto dialettico accade<br />

fisiologicamente che le pretese vengano sostenute attraverso lo strumento<br />

dello sciopero. In un sistema, come quello corporativo fascista, che<br />

sancisce l’illiceità penale dello sciopero, il legislatore deve porsi il<br />

problema degli strumenti atti a rimuovere l’eventuale situazione di stallo<br />

che si produca nella contrattazione collettiva, non rimuovibile appunto<br />

attraverso il ricorso alle forme di cd. lotta sindacale. E, nella legge del<br />

1926, egli individua tale strumento nella Magistratura del lavoro, organo<br />

deputato, appunto, a risolvere le controversie, anche di natura economica,<br />

tra le parti sociali.<br />

Le disposizioni della legge del 1926, come detto, vengono trasferite, in<br />

parte, nel codice penale del 1930, in parte, nel codice civile del 1942 (cfr.<br />

libro V, Titolo I, capo III, artt. 2067 ss.).<br />

Il codice civile finalmente disciplina anche il rapporto di lavoro<br />

subordinato (cfr. artt. 2094 ss.), con disposizioni che contengono ampi e<br />

numerosi rinvii alla contrattazione collettiva; esso disciplina specificamente<br />

anche il contratto collettivo (v. artt. 2067 ss.), riproducendo la disciplina<br />

della legge del 1926. Nel considerare le disposizioni del codice civile del<br />

1942 occorre essere avvertiti che ciò che viene disciplinato è il contratto<br />

collettivo corporativo, stipulato dai sindacati registrati, in un sistema<br />

sostanzialmente negatorio della libertà sindacale. Appunto per questo si<br />

ritiene che le disposizioni sul contratto collettivo contenute nel codice<br />

civile non concernano i cd. contratti collettivi di diritto comune (v. infra,<br />

cap. III, par. 1).<br />

Ad ogni buon conto disciolte nel 1943 le corporazioni e nel 1944 i sindacati<br />

fascisti, per non lasciare i lavoratori privi di tutela, furono mantenuti in vita<br />

16<br />

Codice<br />

penale del<br />

1930 e codice<br />

civile del<br />

1942


i contratti collettivi stipulati fino a quel momento (cfr. d.lgvo lgt. 23<br />

novembre 1944, n. 369).<br />

Caduto il sistema corporativo, i sindacati, (ri)costituitisi sulla base del<br />

principio di libertà sindacale, si trovarono ad operare in una situazione di<br />

anomia paragonabile a quella in cui operavano nel periodo pre-corporativo.<br />

III) L’entrata in vigore della Costituzione ed il periodo post-costituzionale.<br />

Nel 1948 entra in vigore la Costituzione e, con essa, l’art. 39, il quale, al 1°<br />

comma, dispone: “L’organizzazione sindacale è libera”. Questa<br />

proposizione evidenzia il distacco del modello sindacale della nostra<br />

Costituzione, rispetto a quello delineato dalla legislazione corporativo-<br />

fascista, sostanzialmente negatoria della libertà sindacale.<br />

Nei commi secondo e successivi, l’art. 39 dispone che ai sindacati non può<br />

essere imposto altro obbligo se non quello della “registrazione”. A loro<br />

volta, i sindacati registrati hanno la personalità giuridica e possono,<br />

“rappresentati unitariamente in proporzione al numero degli iscritti,<br />

stipulare contratti collettivi con efficacia obbligatoria per tutti gli<br />

appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce”.<br />

In quest’ottica, l’art. 39 è il frutto del tentativo del Costituente di conciliare<br />

la libertà sindacale, che implica il pluralismo sindacale, con l’esigenza del<br />

contratto collettivo cui si riconosce efficacia generalizzata.<br />

Mentre però il primo comma dell’art. 39 è norma precettiva, cioè<br />

immediatamente applicabile nei rapporti interprivati (e, come vedremo,<br />

gravida di significato), i commi 2°, 3°, 4° (la cd. seconda parte dell’art. 39)<br />

necessitano, per la loro attuazione, di una legge ordinaria che definisca, ad<br />

esempio, le condizioni e le modalità della registrazione e della costituzione<br />

della rappresentanza unitaria.<br />

17<br />

La caduta del<br />

sistema<br />

corporativo<br />

Libertà sindacali<br />

e rappresentanza<br />

unitaria nella<br />

contrattazionecollettiva


Una legge ordinaria di attuazione dell’art. 39 non è però mai stata emanata,<br />

tanto che in dottrina si è anche arrivati a prospettare l’opportunità di<br />

abrogare i commi 2°, 3° e 4°, attraverso il meccanismo di revisione<br />

costituzionale. Da ultimo, i fenomeni di contrapposizione registratisi tra le<br />

principali organizzazioni sindacali hanno indotto il legislatore ad<br />

individuare condizioni e modalità per l’attribuzione di efficacia erga omnes<br />

ai contratti collettivi “aziendali e territoriali”. Dei problemi di legittimità<br />

costituzionale di siffatta normativa si tratterà infra (v. infra, cap. III, par.<br />

10).<br />

1.5. Le ragioni della mancata attuazione dell’art. 39 Cost., seconda<br />

parte.<br />

Le ragioni della mancata attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost.,<br />

seconda parte, sono diverse. Si tratta di ragioni di carattere politico e di<br />

carattere tecnico.<br />

Sul piano politico, le motivazioni sono sintetizzabili nell’avversione<br />

sindacale, manifestata dapprima da una componente dei nostri sindacati,<br />

ma poi condivisa anche dalle altre, nei confronti dell’idea dell’attuazione<br />

costituzionale.<br />

E’ stata inizialmente la CISL a manifestare tale avversione. E ciò per<br />

ragioni pratiche (trattandosi, infatti, di un sindacato minoritario rispetto alla<br />

tradizionale rivale, la CGIL, nel meccanismo di rappresentanza unitaria<br />

costituita proporzionalmente al numero degli iscritti essa avrebbe finito per<br />

occupare una posizione di minoranza) e teoriche (è stata la CISL ad<br />

elaborare la teoria del cd. pan-contrattualismo, volta a privilegiare, nella<br />

tutela dei lavoratori, l’attività sindacale rispetto all’intervento dello Stato).<br />

18<br />

L’inattuazione<br />

della II parte<br />

dell’art. 39<br />

Cost<br />

Ragioni di<br />

carattere<br />

politico


Peraltro, anche la CGIL ha in seguito fatto proprio l’atteggiamento di<br />

avversione nei confronti di una legge attuativa dell’art. 39 Cost., per il<br />

timore che da essa scaturissero forme di ingerenza e di controllo dello Stato<br />

sull’attività sindacale.<br />

Per comprendere meglio tale atteggiamento del sindacato bisogna ricordare<br />

che, all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, e per tutti gli<br />

anni cinquanta del secolo scorso, vi fu un intenso dibattito su come l’art. 39<br />

Cost. avrebbe dovuto essere attuato.<br />

Il dibattito, dottrinale e politico-sindacale, ha riguardato i possibili<br />

contenuti della legge sindacale che avrebbe attuato la seconda parte<br />

dell’art. 39 Cost. In discussione erano diversi profili: quali uffici dovessero<br />

provvedere alla registrazione dei sindacati; se la registrazione dovesse<br />

essere condizionata ad una consistenza numerica minima, onde evitare la<br />

registrazione di sindacati di totale non rappresentatività o addirittura di<br />

“comodo”; se la personalità del sindacato dovesse essere di diritto privato o<br />

di diritto pubblico, con i conseguenti penetranti controlli da parte dello<br />

Stato; secondo quali criteri (ad es., quello di maggioranza ovvero di<br />

unanimità) si sarebbero dovuti comporre gli eventuali contrasti all’interno<br />

della rappresentanza unitaria.<br />

Evidentemente, la mancata attuazione dell’art. 39 Cost. scaturì dal timore<br />

dei sindacati che una legge di attuazione potesse essere fortemente invasiva<br />

delle loro libertà ed autonomia interna ed esterna. Certo, sarebbe stata<br />

possibile anche un’attuazione rispettosa di esse, ma la prospettiva storico-<br />

sociale in cui bisogna inserire il dibattito è quella del periodo<br />

immediatamente successivo al regime corporativo, con la conseguente<br />

vischiosità di un passato ancora troppo recente.<br />

Quanto alle ragioni di carattere tecnico, occorre segnalare che l’attuazione<br />

dell’art. 39 avrebbe comportato (e comporterebbe) la soluzione di problemi<br />

19<br />

Ragioni di<br />

carattere<br />

tecnico


non irrilevanti: in primis, la verifica del numero degli iscritti nel caso di<br />

conflitto tra le organizzazioni sindacali in merito alla reciproca consistenza<br />

associativa. Occorre, infatti, ricordare che, secondo il meccanismo previsto<br />

dall’art. 39 Cost., le rappresentanze unitarie sono costituite in proporzione<br />

al numero degli iscritti. In caso di contrasto tra i sindacati circa la loro<br />

reciproca consistenza associativa occorrerebbe affidare ad una pubblica<br />

autorità il compito, non agevole, di verificare il numero degli iscritti.<br />

In secondo luogo, problematica è la questione della definizione della<br />

categoria di riferimento per la stipulazione dei contratti collettivi. Nel<br />

periodo corporativo v’era infatti una predeterminazione statale delle<br />

categorie; e ciò, mentre si ritiene che il principio di libertà sindacale<br />

implichi anche la libertà dei sindacati di determinare l’ambito di<br />

riferimento della propria attività (ad es., gli addetti ai cantieri navali sono<br />

ora ricompresi nella generale categoria dei “metalmeccanici”; tuttavia, in<br />

un regime di libertà sindacale, nulla impedirebbe la costituzione di un<br />

sindacato autonomo, rappresentante specificamente gli addetti ai cantieri<br />

navali, con la pretesa di stipulare un autonomo contratto per gli stessi).<br />

Come si è detto, l’art. 39 contempla contratti collettivi aventi efficacia<br />

obbligatoria nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il<br />

contratto si riferisce. Nel caso di conflitto tra i sindacati circa i confini<br />

della categoria (cd. conflitto giurisdizionale: se, ad esempio, la “categoria”<br />

debba essere quella dei metalmeccanici o quella, più specifica, degli addetti<br />

ai cantieri navali) bisognerebbe allora attribuire ad una autorità pubblica il<br />

compito di definirli o, comunque, individuare un meccanismo attraverso il<br />

quale dirimere siffatto conflitto.<br />

Ma questo è uno dei punti più delicati del diritto sindacale: come si è detto,<br />

il principio di libertà sindacale implica la libertà del sindacato di definire<br />

l’ambito di riferimento della sua attività (vale a dire la categoria) e<br />

20<br />

Il problema<br />

della<br />

definizione<br />

della<br />

categoria


qualsiasi meccanismo di risoluzione autoritativa dei conflitti cd.<br />

giurisdizionali tocca in misura più o meno rilevante questa libertà.<br />

Va da sé che l’art. 39, seconda parte, seppure inattuato, non è privo di<br />

effetti giuridici: esso impedisce, infatti, al legislatore ordinario di attribuire<br />

efficacia erga omnes ai contratti collettivi con un meccanismo diverso da<br />

quello descritto. Da ciò i problemi di legittimità costituzionale ad esempio<br />

sollevati per il recente art. 8, d.l. n. 138, conv. nella l. n. 148 del 2011.<br />

Il fatto che il legislatore ordinario non abbia mai proceduto ad attuare le<br />

previsioni dell’art. 39 Cost. non significa che egli non sia mai intervenuto<br />

in materia sindacale.<br />

L’intervento principale è indubbiamente costituito dal cd. “Statuto dei<br />

diritti dei lavoratori”, ossia la legge 20 maggio 1970, n. 300. Lo Statuto dei<br />

lavoratori contiene una parte (segnatamente il titolo III) funzionale alla<br />

promozione dell’attività sindacale all’interno delle imprese, promozione<br />

che si realizza mediante la previsione di una serie di diritti in capo alle<br />

rappresentanze sindacali aziendali. Il legislatore intende così sostenere<br />

l’attività sindacale nelle imprese, senza però regolare il sindacato.<br />

Ulteriore caratteristica che emerge dalla legislazione postcostituzionale in<br />

materia sindacale è il sostegno ai sindacati maggiormente rappresentativi<br />

e, più di recente, a quelli comparativamente più rappresentativi. Nozioni,<br />

queste, attraverso cui il legislatore seleziona alcuni sindacati al fine<br />

dell’attribuzione di particolari diritti o prerogative (v. infra, cap. II, parr. 4<br />

e 5).<br />

21<br />

La valenza<br />

della II parte<br />

dell’art. 39<br />

Cost., pur<br />

inattuata<br />

Il sostegno<br />

del sindacato<br />

nella legislazione<br />

postcostitu-<br />

zionale;<br />

il cd. Statuto<br />

dei lavoratori<br />

Il sostegno dei<br />

sindacati<br />

maggiormente<br />

rappresentativi


Capitolo II<br />

I SOGGETTI DEL <strong>DI</strong>RITTO SINDACALE<br />

2.1. Il principio di libertà sindacale.<br />

L’art. 39 Cost. si apre con la solenne affermazione: “l’organizzazione<br />

sindacale è libera”.<br />

Il primo problema che si pone è in quale rapporto si trovi l’art. 39 rispetto<br />

all’art. 18 che sancisce il diritto di libertà di associazione. In proposito, si<br />

ritiene che le due norme si trovino in un rapporto di genere a specie. L’art.<br />

39 Cost. rappresenta una norma speciale rispetto all’art. 18 Cost. Tale<br />

rapporto di specialità emerge con maggior evidenza se consideriamo che<br />

nell’art. 39 si sancisce la libertà, non di associazione, ma di organizzazione<br />

sindacale. Ci possono essere, infatti, forme organizzative diverse dalle<br />

associazioni; e pure esse ricevono protezione dalla norma costituzionale.<br />

Il termine organizzazione è specificato dal predicato “sindacale”. Che cosa<br />

sia “sindacale” non si può stabilire sulla base di una mera analisi lessicale<br />

della norma costituzionale. Si ritiene giustamente che la norma faccia<br />

rinvio a dati di tipicità sociale; ed in base a questi dati di tipicità sociale si<br />

può ritenere sindacale “ogni atto o attività che sia diretta all’autotutela di<br />

interessi connessi a relazioni giuridiche in cui sia dedotta l’attività di<br />

lavoro” (G. Giugni).<br />

Ci si è domandati se, oltre i lavoratori subordinati, anche i lavoratori<br />

autonomi siano titolari della libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost.: siano<br />

cioè ricompresi nel suo campo di applicazione. La risposta deve essere<br />

positiva – ed è normalmente positiva – per i lavoratori autonomi che<br />

svolgono a favore del committente un’attività di tipo personale e duratura<br />

trovandosi nei suoi confronti in una condizione di sottoprotezione<br />

22<br />

Libertà di<br />

organizzazione<br />

sindacale ex<br />

art. 39 e libertà<br />

di associazione<br />

ex art. 18 Cost.<br />

Libertà di<br />

organizzazione<br />

sindacale e<br />

lavoratori<br />

autonomi


paragonabile a quella dei lavoratori parasubordinati. Ad esempio, nessuno<br />

dubita che siano titolari di libertà sindacale ex art. 39 Cost. gli agenti di<br />

commercio ex artt. 1742 ss. c.c. e in generale i lavoratori cd.<br />

parasubordinati (ad es. i medici convenzionati con il servizio sanitario<br />

nazionale).<br />

Il primo comma dell’art. 39 Cost. è una norma immediatamente precettiva<br />

e bidirezionale, contenendo un nucleo di garanzie sia nei confronti dello<br />

Stato, sia nei confronti del datore di lavoro.<br />

Dal punto di vista contenutistico, esso sancisce un insieme di garanzie sia<br />

per gli individui sia per gli stessi gruppi (sindacali) organizzati.<br />

Per quanto riguarda, innanzitutto, i singoli, esso implica la libertà di<br />

costituire un’organizzazione sindacale, di aderirvi e di svolgere attività di<br />

proselitismo (cd. libertà sindacale positiva).<br />

Ci si è chiesti se l’art. 39, 1° co., comprenda anche la libertà sindacale cd.<br />

negativa, vale a dire quella di non aderire ad alcuna associazione sindacale.<br />

Alla questione è stata data tendenzialmente risposta positiva. Il problema si<br />

è posto perché nella normativa dell’Organizzazione internazionale del<br />

lavoro (OIL) (Convenzioni n. 87/1948 e n. 98/1949, entrambe ratificate nel<br />

nostro paese con legge 23 marzo 1958, n. 367) viene menzionata la libertà<br />

positiva, ma non quella negativa. L’OIL, infatti, ha dovuto tenere conto<br />

dell’esperienza di Paesi anglosassoni, soprattutto gli USA, che conoscono<br />

le cd. clausole di sicurezza sindacale. Si tratta di clausole, contenute nei<br />

contratti collettivi, che prevedono, quale condizione per l’assunzione,<br />

l’iscrizione dei lavoratori ai sindacati (cd. closed shop), oppure l’adesione<br />

successiva all’assunzione (cd. union shop) quale condizione per il<br />

mantenimento dell’impiego. E’ da segnalare, al riguardo, che la Corte<br />

europea dei diritti dell’uomo, con sentenza 13 agosto 1981, caso Young,<br />

James e Webster, in un caso riguardante il Regno Unito ha affermato<br />

23<br />

Il contenuto<br />

del principio<br />

di libertà<br />

sindacale per<br />

i singoli<br />

Libertà<br />

sindacale<br />

positiva e<br />

negativa<br />

Le clausole di<br />

sicurezza<br />

sindacale


l’illegittimità di tali clausole per violazione della Convenzione europea per<br />

la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950<br />

(CEDU, ratificata con l. n. 848 del 1955).<br />

Corollario del principio di libertà sindacale è il pluralismo sindacale. In<br />

esso è infatti implicita la possibilità che sorgano più sindacati, anche<br />

nell’ambito della stessa categoria.<br />

Si è detto che il principio di libertà sindacale implica un insieme di<br />

garanzie per gli stessi gruppi sindacali organizzati.<br />

Esse consistono, in primo luogo, nella libera scelta delle forme<br />

organizzative e delle regole che disciplinano l’assetto interno, nonché nella<br />

libertà di aderire ad organizzazioni complesse (le confederazioni sindacali).<br />

Ciò è vietato, per espressa disposizione di legge ordinaria, ai soli<br />

appartenenti alla Polizia di Stato, i cui sindacati non possono confluire in<br />

associazioni di secondo grado e, segnatamente, nelle confederazioni<br />

generali che rappresentano tutti i lavoratori (l. 1° aprile 1981, n. 121).<br />

In secondo luogo, la libertà sindacale implica la libertà di scegliere<br />

l’ambito di riferimento della propria azione e, dunque, la categoria di<br />

riferimento soprattutto ai fini della contrattazione collettiva.<br />

Il principio di libertà di organizzazione sindacale peraltro non può essere<br />

inteso in senso statico. La libertà di organizzazione sindacale comporta<br />

necessariamente la libertà di azione sindacale e, dunque, di<br />

contrattazione collettiva.<br />

Dal fatto che, correttamente, si ritenga che il principio di libertà sindacale<br />

contenga il principio di libertà contrattuale derivano importanti<br />

conseguenze. In particolare, il problema della costituzionale di interventi<br />

legislativi che pongano alla contrattazione dei tetti massimi (v. infra, cap.<br />

III, par. 7).<br />

24<br />

Le garanzie<br />

per i gruppi<br />

organizzati<br />

La libertà di<br />

organizzazione<br />

sindacale<br />

implica la<br />

libertà di agire<br />

e dunque di<br />

organizzazione<br />

sindacale


Per quanto concerne i datori di lavoro, in particolare, nessuno dubita che<br />

essi godano di libertà sindacale. Si discute tuttavia se tale libertà trovi<br />

fondamento nell’art. 39, 1° co., Cost. o nell’art. 18 Cost. in combinato<br />

disposto con l’art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica privata).<br />

Non è irrilevante stabilire il fondamento normativo della libertà sindacale<br />

dei datori di lavoro e, in particolare, degli imprenditori. Dalla formulazione<br />

dell’art. 41 (e soprattutto dei commi 2° e 3°) emerge che la libertà di<br />

iniziativa economica privata è, sì, riconosciuta, ma non è priva di limiti; e<br />

ciò, mentre l’affermazione della libertà sindacale nell’art. 39 è<br />

incondizionata (salvi i temperamenti che possono discendere dalla<br />

eventuale attuazione della seconda parte dello stesso art. 39).<br />

Più convincente sembra però la tesi, confortata anche dal contenuto delle<br />

convenzioni OIL n. 87/1948 e n. 98/1949 e dell’art. 28 della Carta dei<br />

diritti fondamentali (cd. Carta di Nizza), che non esclude il sindacalismo<br />

degli imprenditori dal campo di applicazione dell’art. 39 Cost. E’ bensì<br />

vero che il legislatore accorda talora un trattamento preferenziale alle<br />

associazioni sindacali dei lavoratori (v., ad es., l’art. 28 dello Statuto dei<br />

lavoratori, il quale prevede che, in caso di condotta antisindacale, su ricorso<br />

delle associazioni sindacali nazionali dei lavoratori che vi abbiano<br />

interesse, il giudice pronunci un decreto immediatamente esecutivo volto a<br />

far cessare il comportamento illegittimo e alla rimozione dei suoi effetti).<br />

Ma, per giustificare un trattamento differenziato eventualmente riservato<br />

alle associazioni sindacali dei lavoratori rispetto a quelle dei datori di<br />

lavoro, non è necessario sposare una lettura asimmetrica della libertà<br />

sindacale: esso si potrebbe giustificare semplicemente richiamando il 2°<br />

comma dell’art. 3 Cost. (cd. principio di eguaglianza sostanziale).<br />

25<br />

La libertà<br />

sindacale dei<br />

datori di<br />

lavoro e in<br />

particolare<br />

degli<br />

imprenditori


2.2. Struttura del sindacato in Italia.<br />

Storicamente, si sono concretamente configurati due grandi modelli<br />

organizzativi del sindacalismo: il sindacato di mestiere (secondo<br />

l’espressione inglese, craft union), che associa i lavoratori svolgenti la<br />

stessa attività (ad es., sindacato dei tipografi); il sindacato per ramo<br />

d’industria.<br />

In questo secondo modello, il sindacato organizza i lavoratori secondo il<br />

tipo di attività esercitata dal datore di lavoro (ad es. il sindacato dei<br />

lavoratori metalmeccanici, che associa i dipendenti delle imprese<br />

metalmeccaniche, indipendentemente dal tipo di mestiere svolto da ciascun<br />

lavoratore).<br />

La seconda forma organizzativa è tradizionalmente prevalente in Italia,<br />

anche se non sono mai mancati i sindacati di mestiere (ad es. il sindacato<br />

dei dirigenti d’azienda, i sindacati dei piloti dell’aviazione civile, ecc.).<br />

Il nostro ordinamento è caratterizzato da una situazione di pluralismo<br />

sindacale su base ideologica.<br />

Le tre principali confederazioni sindacali sono CGIL, CISL, UIL, nate dalla<br />

scissione della CGL unitaria.<br />

Dalla CGL unitaria è dapprima (nel 1948) fuoriuscita la componente<br />

cattolica, per costituire la CISL e, successivamente (nel 1949), la<br />

componente repubblicana e socialista, per costituire la UIL. Oltre alle tre<br />

confederazioni storiche, tendenzialmente caratterizzate da unità di azione,<br />

deve ricordarsi la CISNAL, oggi UGL, sindacato legato ai partiti della<br />

destra politica.<br />

Accanto al sindacato confederale, abbiamo un arcipelago, non ben<br />

conosciuto, di sindacati cosiddetti autonomi (nel senso che non aderiscono<br />

26<br />

Sindacato di<br />

mestiere e per<br />

ramo di<br />

industria<br />

I sindacati<br />

confederati e<br />

i sindacati cd.<br />

autonomi


ad alcuna delle tradizionali confederazioni sindacali), rispetto ai quali non è<br />

raro trovarsi di fronte a sindacati di mestiere.<br />

Quanto alla struttura organizzativa dei sindacati, le tre confederazioni<br />

storiche, le uniche di cui conosciamo struttura ed ordinamento interno,<br />

sono strutturate secondo una linea verticale ed una linea orizzontale.<br />

Per quanto riguarda la prima, alla base vi sono le rappresentanze sindacali<br />

aziendali, che rappresentano i lavoratori iscritti al sindacato in ciascuna<br />

unità produttiva. Le rappresentanze sindacali aziendali confluiscono nel<br />

sindacato provinciale; i sindacati provinciali nel sindacato regionale e i<br />

sindacati regionali nel sindacato nazionale.<br />

Per quanto attiene alla linea orizzontale, tutti i sindacati provinciali di<br />

categoria confluiscono in una struttura organizzativa unica che assume<br />

diverse denominazioni a seconda della confederazione sindacale (Camera<br />

del lavoro per la CGIL, Unione sindacale territoriale per la CISL e Camera<br />

sindacale per la UIL), che a sua volta confluisce in una struttura regionale.<br />

Le federazioni nazionali di categoria e le strutture orizzontali regionali<br />

confluiscono, infine, nella confederazione sindacale (sindacato a struttura<br />

complessa, o di secondo grado) che è “somma” di tutte.<br />

L’articolazione della struttura organizzativa secondo una linea verticale ed<br />

una linea orizzontale risponde ad una differenziazione di funzioni<br />

nell’ambito del sindacato.<br />

La struttura verticale definisce le linee rivendicative sindacali nell’ambito<br />

di una categoria (ad es. i metalmeccanici), mentre quella orizzontale<br />

definisce le linee di azione valide per tutte le associazioni di categoria<br />

(metalmeccanici, tessili, chimici, ecc.) che aderiscono alla medesima<br />

confederazione.<br />

Nel nostro Paese si registra una situazione di pluralismo sindacale anche<br />

per quanto riguarda i datori di lavoro, tuttavia non su base ideologica,<br />

27<br />

Le strutture<br />

organizzative<br />

delle<br />

tradizionali<br />

confederazioni<br />

sindacali<br />

Il<br />

sindacalismo<br />

dei datori di<br />

lavoro, in<br />

particolare<br />

degli<br />

imprenditori


ensì in base al settore merceologico. Confindustria, Confcommercio,<br />

Confagricoltura, Confartigianato associano rispettivamente le imprese<br />

industriali, del commercio, agricole ed artigiane. Talora il pluralismo<br />

sindacale è determinato dalle dimensioni dell’impresa: ad es. Confapi<br />

costituisce una confederazione sindacale che associa esclusivamente le<br />

piccole e medie imprese.<br />

Il sindacalismo dei datori di lavoro si definisce comunemente sindacalismo<br />

di risposta, per indicare che esso è un fenomeno “indotto”<br />

dall’aggregazione sindacale dei lavoratori e non, per così dire, originario,<br />

“necessitato” come il sindacalismo dei lavoratori.<br />

I singoli datori di lavoro non hanno alcuna necessità originaria di<br />

coalizzarsi per contrattare le condizioni di lavoro: sono essi stessi una<br />

“coalizione”. Tuttavia, nel momento in cui i lavoratori si organizzano, non<br />

solo a livello aziendale, ma anche a livello territoriale (costituendo i<br />

sindacati provinciali, regionali, nazionali), nasce per il datore di lavoro<br />

l’esigenza di dotarsi di analoghe strutture organizzative che possano<br />

rappresentare le interlocutrici, specie nella contrattazione collettiva, dei<br />

primi. Di qui, appunto, la denominazione di sindacato “di risposta”.<br />

Per le pubbliche amministrazioni la funzione di contrattazione viene svolta<br />

ex lege dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche<br />

amministrazioni (ARAN).<br />

La scelta del legislatore (art. 2, 1° co., lett. b, legge delega 23 ottobre 1992,<br />

n. 421) di affidare ad un organismo tecnico, dotato di personalità giuridica,<br />

la rappresentanza legale per la stipulazione dei contratti collettivi nazionali<br />

(e di assistenza nella contrattazione collettiva integrativa) di tutte le<br />

pubbliche amministrazioni (ai sensi dell’art. 46, 13° co., d. lgs. 165/2001,<br />

le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano<br />

possono avvalersi di agenzie tecniche istituite con legge regionale o<br />

28<br />

Il<br />

sindacalismo<br />

dei datori di<br />

lavoro come<br />

sindacalismo<br />

di risposta<br />

L’Aran per la<br />

rappresentanzanegoziale<br />

delle<br />

pubbliche<br />

amministrazioni


provinciale, ovvero della sola assistenza dell'ARAN) risponde ad un<br />

duplice obiettivo: far sì che il contratto produca i suoi effetti nei confronti<br />

di tutte le pubbliche amministrazioni interessate, senza necessità di un atto<br />

di ricezione da parte degli organi di governo di ciascuna di esse; favorire la<br />

creazione di un quadro unitario delle politiche contrattuali seguite nei<br />

diversi comparti (v. infra, cap. III, par. 12).<br />

2.3. Il sindacato come associazione non riconosciuta.<br />

La prima conseguenza della mancata attuazione dell’art. 39 Cost., seconda<br />

parte, è che gli attuali sindacati, costituitisi sulla base del principio di<br />

libertà sindacale, non hanno potuto ottenere la personalità giuridica, né lo<br />

potranno fino a che la seconda parte dell’art. 39 Cost. non verrà attuata o<br />

abrogata. Allo stato attuale, le associazioni sindacali non possono attivare i<br />

mezzi di riconoscimento ordinario previsti dall’art. 12 del codice civile.<br />

E ciò poiché il legislatore costituzionale ha tipizzato le modalità di<br />

attribuzione della personalità giuridica alle associazioni sindacali,<br />

assoggettandole ad una disciplina peculiare, contenuta, appunto, nella<br />

seconda parte dell’art. 39 Cost.<br />

Negli anni ’50 del secolo scorso la Confcommercio – così come l’Unione<br />

alimentare – tentò di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica<br />

attraverso il meccanismo previsto dall’art. 12 c.c.: giustamente, in quel<br />

caso, il riconoscimento fu condizionato all’eliminazione della finalità<br />

sindacale dallo statuto dell’associazione.<br />

La mancata attuazione dell’art. 39 Cost., si riconnette, peraltro, ad una<br />

precisa opzione del sindacato, volta ad assicurarsi l’immunità da indebite<br />

interferenze dell’ordinamento statuale.<br />

29<br />

Il sindacato<br />

come<br />

associazione<br />

non<br />

riconosciuta<br />

ex art. 36 ss.<br />

c.c.


E, comunque, il mancato riconoscimento come persona giuridica non<br />

implica che l’associazione sindacale non possa essere considerata come<br />

soggetto di diritto distinto ed autonomo rispetto ai singoli soci.<br />

Le attuali associazioni sindacali sono da qualificare come associazioni non<br />

riconosciute, come persone giuridiche, assoggettate alla disciplina degli<br />

artt. 36, 37, 38 del codice civile.<br />

Il problema della soggettività giuridica delle associazioni non riconosciute<br />

come persone giuridiche è un problema di carattere generale e non<br />

concerne specificamente il diritto del lavoro. Prima del codice del 1942,<br />

l’ordinamento riconosceva come soggetti di diritto, vale a dire come<br />

centro di imputazione di effetti giuridici, solo le persone fisiche e le<br />

persone giuridiche. L’opinione venne mantenuta per un certo periodo di<br />

tempo anche dopo l’emanazione del codice, senza considerare attentamente<br />

la disciplina dell’associazione non riconosciuta, contenuta negli artt. 36-38<br />

c.c.<br />

Sennonché, una più moderna corrente di pensiero ha messo in evidenza la<br />

falsità dell’equazione: soggetto di diritto = persona giuridica.<br />

Si considerino in particolare la norma sulla capacità di stare in giudizio<br />

(art. 36) dell’associazione non riconosciuta e quella sul fondo comune (art.<br />

38). La prima prevede che “dette associazioni possono stare in giudizio<br />

nella persona di coloro ai quali (...) è conferita la presidenza o la<br />

direzione”. La seconda che “per le obbligazioni assunte dalle persone che<br />

rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul<br />

fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e<br />

solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto<br />

dell’associazione”.<br />

Dunque, non solo le associazioni non riconosciute hanno capacità di stare<br />

in giudizio, ma delle obbligazioni assunte risponde l’associazione stessa<br />

30<br />

La<br />

soggettività<br />

delle<br />

associazioni<br />

non<br />

riconosciute e<br />

del sindacato<br />

in particolare<br />

La capacità a<br />

stare in<br />

giudizio e la<br />

autonomia<br />

patrimoniale<br />

(“imperfetta”)


con il fondo comune, oltreché personalmente e solidalmente coloro che<br />

hanno agito in nome e per conto dell’associazione.<br />

Dal che si desume che anche le associazioni non riconosciute come persone<br />

giuridiche hanno soggettività distinta ed autonoma rispetto ai soggetti che<br />

ne fanno parte. In realtà la personalità giuridica è solo il mezzo tecnico<br />

mediante il quale la legge conferisce certe prerogative ai gruppi organizzati<br />

secondo il metodo collegiale ed il principio di maggioranza per la<br />

formazione della volontà del gruppo: prerogative riassumibili<br />

nell’autonomia patrimoniale perfetta. E ciò, mentre nel caso delle<br />

associazioni non riconosciute come persona giuridica, l’autonomia<br />

patrimoniale è imperfetta, poiché per le obbligazioni assunte vi è<br />

responsabilità, non solo dell’associazione attraverso il patrimonio sociale,<br />

ma anche dei soggetti che hanno agito in nome e per conto<br />

dell’associazione.<br />

***<br />

La disciplina dell’associazione non riconosciuta è, invero, più attenta a<br />

tutelare la posizione dei terzi che entrano in contatto con l’associazione<br />

stessa (cfr., appunto, l’art. 38 c.c.) che a tutelare la posizione dei membri<br />

all’interno dell’associazione. A tale riguardo, è stata dettata solo una norma<br />

molto scarna, vale a dire l’art. 36, 1° co., c.c., secondo cui “l’ordinamento e<br />

l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone<br />

giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati”, cioè, essenzialmente,<br />

dall’atto costitutivo e dallo statuto.<br />

Ciò si può spiegare storicamente tenendo conto che, quando il legislatore<br />

del codice dettava le norme relative alle associazioni non riconosciute, non<br />

pensava a fenomeni complessi come i partiti politici ed i sindacati (si tenga<br />

conto che il codice civile è stato adottato nel periodo corporativo quando<br />

ancora i sindacati erano dotati di personalità giuridica).<br />

31<br />

La tutela dei<br />

soci<br />

all’interno<br />

delle<br />

associazioni


A partire dagli anni ’70 del secolo scorso una linea di pensiero, muovendo<br />

soprattutto dalla valorizzazione dell’art. 2 Cost., ha affermato<br />

l’applicabilità in via analogica (qualora cioè mancasse una diversa<br />

regolamentazione espressa nell’atto costitutivo o nello statuto) o addirittura<br />

in via diretta (e, dunque, anche se vi fosse una diversa regolamentazione<br />

espressa nell’atto costitutivo o nello statuto) di alcune norme dettate dal<br />

codice civile per le associazioni riconosciute come persone giuridiche, che<br />

non siano connesse con la presenza della personalità giuridica.<br />

Una di queste norme riguarda, in particolare, l’esclusione dell’associato<br />

che, in base all’art. 24 c.c., è deliberata dall’assemblea solo in presenza di<br />

“gravi motivi”, ovviamente sempre sindacabili dal giudice.<br />

Dunque, nel caso, ad es., di espulsione dal sindacato, il giudice potrebbe<br />

sindacare la sussistenza dei gravi motivi posti alla base del provvedimento;<br />

e ciò indipendentemente dalle previsioni dell’atto costitutivo o dello<br />

statuto.<br />

Si tratta di tesi certamente suggestiva, priva però di significativi riscontri<br />

giurisprudenziali e grandemente controversa. E’ stata anche argomentata in<br />

maniera incisiva (sia da civilisti, sia da giuslavoristi) la tesi contraria:<br />

l’immunità del sindacato (e in generale dell’associazione non riconosciuta)<br />

da simili forme di controllo sarebbe, tutto al contrario, perfettamente<br />

rispondente ai principi vuoi di libertà di associazione (art. 18 Cost.), vuoi di<br />

libertà di organizzazione sindacale (art. 39 Cost.).<br />

Si è più volte ricordato che l’associazione non esaurisce il fenomeno<br />

sindacale, che può esprimersi in forme organizzative non basate sul<br />

principio associativo (si pensi alle coalizioni spontanee). Non rispondendo<br />

al modulo associativo, tali forme di organizzazione sindacale dovranno<br />

32<br />

Le forme di<br />

organizzazione<br />

sindacale non<br />

costituenti<br />

associazione


trovare disciplina nelle altre forme organizzatorie previste dal diritto<br />

privato. In particolare, è stata evocata la figura del comitato (art. 39 c.c.) o,<br />

in modo più pertinente, la figura del mandato collettivo (G. Giugni).<br />

2.4. Il sindacato maggiormente rappresentativo.<br />

Il fatto che il legislatore ordinario non abbia mai dato piena attuazione<br />

all’art. 39 Cost. non significa che non abbia mai preso in considerazione le<br />

associazioni sindacali e la loro attività tipica (a cominciare dalla<br />

contrattazione collettiva). Nella legislazione ordinaria si trovano molte<br />

disposizioni che si occupano del sindacato e della attività sindacale; solo<br />

che esse se ne occupano, non per regolare il sindacato e la sua attività, ma<br />

per promuovere la presenza del sindacato in differenti contesti.<br />

Dapprima è stata prevista la partecipazione del sindacato ad istituzioni<br />

pubbliche (sia con ruoli prettamente consultivi, come avviene nel CNEL,<br />

sia con funzioni cogestive, come avviene per gli enti previdenziali).<br />

In un secondo tempo, l’intervento del legislatore è stato caratterizzato,<br />

soprattutto in seguito all’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, da<br />

finalità di sostegno e promozione della presenza del sindacato nei<br />

luoghi di lavoro.<br />

L’art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (il cd. Statuto dei lavoratori)<br />

prevede la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (RSA)<br />

all’interno delle unità produttive (per la nozione, cfr. art. 35 St. lav.), cui<br />

sono attribuite una serie di diritti e prerogative: il diritto di convocare<br />

l’assemblea dei lavoratori (art. 20 St. lav.), di indire il referendum fra i<br />

medesimi (art. 21 St. lav.), di avere locali per le proprie riunioni (art. 27 St.<br />

lav.), di avere una bacheca, all’interno dei locali di lavoro, per affiggere i<br />

33<br />

Il sostegno<br />

della<br />

presenza del<br />

sindacato nei<br />

luoghi di<br />

lavoro


comunicati sindacali (art. 25 St. lav.), di avere permessi retribuiti e no per<br />

lo svolgimento del proprio incarico sindacale (artt. 23 e 24 St. lav.).<br />

Nello Statuto dei lavoratori ci si muove in una prospettiva diversa rispetto a<br />

quella dell’art. 39 Cost.: l’art. 39 prende in considerazione il sindacato per<br />

regolarlo e regolarne la attività (in particolare la contrattazione collettiva).<br />

Il legislatore del 1970 prende in considerazione il sindacato per sostenerne<br />

la presenza all’interno dei luoghi di lavoro. Si tratta di piani differenti di<br />

intervento legislativo.<br />

Originariamente, nella legislazione ordinaria si faceva riferimento ai<br />

“sindacati più importanti” (cfr. l. 5 gennaio 1957, n. 33); successivamente<br />

si è cominciato ad utilizzare la nozione di sindacato maggiormente<br />

rappresentativo.<br />

Ciò è avvenuto anche nello Statuto dei lavoratori per quanto riguarda la<br />

costituzione delle RSA. L’art. 19 St. lav., nella versione originaria del<br />

1970 – poi modificata da un referendum abrogativo nel 1995 (v. infra) –<br />

disponeva che RSA potessero essere costituite, ad iniziativa dei lavoratori,<br />

in ogni unità produttiva, nell’ambito:<br />

“a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente<br />

rappresentative sul piano nazionale;<br />

b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni,<br />

… firmatarie di contratti collettivi, nazionali o provinciali di lavoro,<br />

applicati nell’unità produttiva”.<br />

Ebbene, la maggior rappresentatività, qui della confederazione, costituisce<br />

requisito per l’attribuzione di particolari prerogative al sindacato:<br />

precisamente, nel caso dell’art. 19 St. lav., la possibilità di avere<br />

rappresentanze aziendali dotate di particolari diritti.<br />

La legislazione che adotta il criterio selettivo della maggiore<br />

rappresentatività pone – ed in effetti ha posto – due ordini di problemi: i)<br />

34<br />

L’emersione<br />

della nozione<br />

di sindacato<br />

maggiormente<br />

rappresentativo


un problema di ordine interpretativo, essendo necessario stabilire l’esatto<br />

significato della nozione “sindacato maggiormente rappresentativo”; ii) un<br />

problema di legittimità costituzionale in relazione al combinato disposto<br />

degli artt. 3 e 39 Cost., a causa del trattamento differenziato riservato ad<br />

alcuni sindacati (quelli maggiormente rappresentativi) rispetto agli altri.<br />

***<br />

Per quanto concerne la nozione di sindacato maggiormente<br />

rappresentativo, il problema sorge perché il legislatore italiano, a<br />

differenza di altri, che pure vi fanno riferimento, non indica i criteri per<br />

accertare la rappresentatività sindacale. Essi sono, dunque, frutto della<br />

elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.<br />

Il primo criterio è quello quantitativo (numero degli iscritti). Ma oltre al<br />

criterio quantitativo si fa riferimento anche a criteri di tipo qualitativo:<br />

ampiezza e diffusione delle strutture organizzative del sindacato, esercizio<br />

dell’attività di autotutela, consistente nell’effettiva partecipazione alla<br />

stipulazione dei contratti collettivi (v. infra), nonché nella partecipazione<br />

alla trattazione e risoluzione delle controversie individuali e collettive di<br />

lavoro.<br />

I criteri qualitativi, in aggiunta a quello quantitativo rappresentato dal<br />

numero degli iscritti, si spiegano perché danno rilievo alla anzianità di<br />

impianto e, dunque, alla serietà del sindacato.<br />

E’ da segnalare l’enfasi posta sull’effettività della partecipazione alla<br />

stipulazione dei contratti collettivi: essa si spiega con il fatto che spesso il<br />

contratto collettivo viene stipulato da alcuni sindacati, mentre altri sindacati<br />

si limitano a sottoscriverlo per adesione. Ebbene, l’accreditamento, cioè il<br />

riconoscimento come effettiva controparte contrattuale da parte del datore<br />

di lavoro o dell’associazione dei datori di lavoro non può che essere<br />

considerato un importante indice di rappresentatività del sindacato.<br />

35<br />

Maggior rappresentatività


Nell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, poiché il requisito della maggior<br />

rappresentatività era riferito, non al sindacato nel cui ambito si poteva<br />

costituire la RSA, ma alla confederazione sindacale cui esso aderiva, si<br />

aggiungeva un ulteriore criterio: quello cioè della equilibrata consistenza<br />

associativa nell’ambito di tutte le categorie che, per statuto, la<br />

confederazione è chiamata a rappresentare. In sostanza, la confederazione,<br />

in tanto può dirsi maggiormente rappresentativa, in quanto il numero dei<br />

suoi iscritti sia diffuso in modo equilibrato nell’ambito di tutte le<br />

associazioni che ne fanno parte.<br />

Da questo punto di vista, qualcuno ha parlato di rappresentatività presunta<br />

o per irradiamento delle associazioni sindacali di categoria. Se, cioè, la<br />

confederazione è maggiormente rappresentativa, si presume che lo siano<br />

anche le singole associazioni che ad essa aderiscono. Le confederazioni<br />

“irradiano” quindi la loro (maggior) rappresentatività sulle singole<br />

associazioni.<br />

***<br />

Quanto ai problemi di legittimità costituzionale derivanti dall’uso del<br />

criterio selettivo della maggior rappresentatività, l’art. 19 St. lav. ha<br />

rappresentato l’occasione per alcune storiche puntualizzazioni ad opera<br />

della Corte costituzionale.<br />

I dubbi di legittimità costituzionale sono stati avanzati, anzitutto, in<br />

relazione al principio di libertà sindacale (art. 39 Cost.) e al principio di<br />

eguaglianza (art. 3 Cost.). La Corte costituzionale ha respinto le eccezioni<br />

di illegittimità costituzionale con una fondamentale sentenza del 1974<br />

(cfr. Corte cost. 6 marzo 1974, n. 54).<br />

In primo luogo, non vi sarebbe lesione del principio di libertà sindacale, in<br />

relazione all’art. 39, 1° co. e all’art. 3 Cost. giacché anche associazioni<br />

sindacali diverse da quelle previste dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori<br />

36<br />

Gli indici<br />

della maggior<br />

rappresentatività<br />

in caso<br />

di confederazionesindacale<br />

Le questioni di<br />

legittimità<br />

costituzionale<br />

in relazione<br />

agli artt. 3 e 39,<br />

1° co., Cost.


possono costituire rappresentanze sindacali all’interno dei luoghi di lavoro<br />

(ex artt. 39 Cost. e 14 St. lav.).<br />

Ma il punto è che queste rappresentanze sindacali non sarebbero titolari dei<br />

diritti previsti dalla legislazione di sostegno; e, secondo i giudici remittenti,<br />

sarebbe stato in tal modo compromesso il principio di eguaglianza. La<br />

Corte costituzionale non ha dato credito a questa tesi, ricordando che il<br />

principio di uguaglianza non è da intendere in senso automaticamente<br />

livellatore: esso implica unicamente che a situazioni uguali deve<br />

corrispondere un trattamento uguale, mentre a situazioni diverse può<br />

corrispondere un trattamento differenziato, purché tale differenziazione<br />

risponda a criteri di ragionevolezza. Ebbene, la Corte ha ritenuto che la<br />

differenziazione di trattamento introdotta dallo Statuto dei lavoratori<br />

risponda a criteri di ragionevolezza, poiché il criterio di rappresentatività in<br />

concreto è a garanzia dell’effettività dell’azione sindacale all’interno<br />

dell’azienda. I sindacati individuati dall’art. 19 St. lav. sarebbero i garanti<br />

dell’esercizio effettivo e responsabile dei diritti sindacali previsti dal Titolo<br />

III. E ciò anche al fine di evitare di compromettere la funzionalità<br />

dell’impresa (attraverso la concessione indiscriminata, “a un numero<br />

imprevedibile di organismi, ciascuno rappresentante pochi lavoratori”, se<br />

non, addirittura, ad organismi di “comodo”, di diritti sindacali che<br />

comportano significativi oneri sul datore di lavoro).<br />

Successivamente, con sentenza 24 marzo 1988, n. 334, la Corte<br />

costituzionale è stata chiamata ad esprimersi sulla legittimità dello stesso art.<br />

19 sotto altri profili.<br />

Poiché il requisito della maggiore rappresentatività (menzionato nell’art.<br />

19, lett. a)) era riferito alle confederazioni sindacali, ne sarebbe scaturita,<br />

secondo i giudici remittenti, la violazione dell’ultimo comma dell’art. 39<br />

Cost.<br />

37<br />

… e in<br />

relazione<br />

all’art. 39, 4°<br />

co., Cost.


Secondo tale prospettazione, nella norma costituzionale ad assumere rilievo<br />

centrale sarebbe il sindacato di categoria e non la confederazione sindacale:<br />

infatti nel 4° comma dell’art. 39 Cost. si fa riferimento al sindacato ed al<br />

contratto collettivo di categoria.<br />

L’eccezione di incostituzionalità è stata respinta dalla Corte costituzionale<br />

sul rilievo che il riferimento all’associazione sindacale di categoria, di cui<br />

all’art. 39, 4° co., Cost., è funzionale alla contrattazione collettiva, mentre<br />

l’art. 19 St. lav. inerisce alla rappresentanza e all’attività sindacale e non<br />

alla contrattazione collettiva in azienda. In buona sostanza, non c’è un<br />

problema di contrasto con la norma costituzionale, in quanto le materie<br />

regolate nell’art. 19 St. lav. e nell’art. 39, co. 4°, Cost. sono diverse. La<br />

norma costituzionale attiene alla contrattazione collettiva, mentre con lo<br />

Statuto dei lavoratori ed, in particolare, con il suo art. 19, il legislatore non<br />

si propone affatto di regolare la contrattazione collettiva.<br />

Nel 1995, a seguito di referendum popolare, sono state abrogate (v. d.p.r.<br />

28 luglio 1995, n. 312) la lett. a) e parte della lett. b) dell’art. 19.<br />

Come si ricorderà, il primo periodo della lett. a) consentiva di costituire<br />

RSA “nell’ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni<br />

maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. I sindacati autonomi<br />

(non aderenti alle confederazioni considerate sicuramente maggiormente<br />

rappresentative, vale a dire CGIL, CISL e UIL) erano nondimeno in grado<br />

di costituire RSA, sulla base della lett. b), purché fossero firmatari “di<br />

contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità<br />

produttiva”. Secondo tale criterio, il sindacato che avesse avuto rilevanza<br />

meramente aziendale risultava perciò escluso dalla possibilità di costituire<br />

RSA.<br />

Con il referendum del ’95, venendo abrogata la lett. a) dell’art. 19,<br />

scompare il concetto di rappresentatività presunta (o per irradiazione).<br />

38<br />

Il nuovo testo<br />

dell’art. 19<br />

St. lav.


D’altro canto, venendo soppressa l’espressione “nazionali o provinciali”<br />

contenuta nella lettera b), ogni sindacato che sia firmatario di un<br />

contratto collettivo, anche solo aziendale, può costituire RSA ai sensi<br />

dell’art. 19.<br />

Viene così data rilevanza alla rappresentatività effettiva, al fatto cioè di<br />

essere firmatari di un contratto collettivo.<br />

In dottrina, la novità non è stata accolta da tutti con favore. Si è infatti<br />

sostenuto che la nuova formulazione della norma, scaturente dal<br />

referendum abrogativo, subordini oggi la costituzione di RSA al potere di<br />

accreditamento da parte dei datori di lavoro, in violazione dell’art. 39, 1°<br />

co., Cost. Il datore potrebbe infatti escludere un sindacato dalle trattative,<br />

dunque, dalla possibilità di stipulare un contratto collettivo ed impedire<br />

così la costituzione di RSA ex art. 19 St. lav.<br />

La questione è stata portata davanti alla Corte costituzionale, che ha<br />

respinto siffatta eccezione di illegittimità con la sentenza 12 luglio 1996, n.<br />

244. La sentenza ha costituito l’occasione per importanti indicazioni<br />

interpretative. La Corte ha puntualizzato, infatti, che, non è sufficiente il<br />

dato formale dell’apposizione di una “firma” al contratto collettivo per<br />

essere considerati sindacato “firmatario” ex art. 19 St. lav., ma è<br />

necessaria un’effettiva partecipazione alla stipulazione del contratto (questo<br />

è il vero significato, secondo dottrina e giurisprudenza, dell’espressione<br />

“firmatari”). Neppure è sufficiente la stipulazione di un contratto collettivo<br />

qualsiasi: è necessario che il contratto sia un contratto normativo, “che<br />

regola in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un<br />

istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello<br />

aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa<br />

unità produttiva”. La Corte sottolinea che l’art. 19 “valorizza l’effettività<br />

dell’azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla formazione della<br />

39<br />

Questioni di<br />

illegittimità<br />

costituzionale<br />

Il significato<br />

di firmatari…<br />

… di contratto<br />

collettivo


normativa contrattuale collettiva” (sent. n. 492 del 1995) quale indicatore<br />

di rappresentatività già apprezzato dalla sent. n. 54 del 1974 come “non<br />

attribuibile arbitrariamente o artificialmente, ma sempre direttamente<br />

conseguibile e realizzabile da ogni associazione sindacale in base a propri<br />

atti concreti e oggettivamente accertabili dal giudice”. E continua<br />

osservando: “respinto dalla volontà popolare il principio della<br />

rappresentatività presunta sotteso all’abrogata lett. a), l’avere tenuto fermo,<br />

come unico indice giuridicamente rilevante di rappresentatività effettiva, il<br />

criterio della lett. b), esteso però all’intera gamma della contrattazione<br />

collettiva, si giustifica, in linea storico-sociologica e quindi di razionalità<br />

pratica, per la corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione<br />

della forza di un sindacato, e di riflesso della sua rappresentatività,<br />

tipicamente proprio dell’ordinamento sindacale.<br />

Così interpretata, in conformità della sua ratio, la norma impugnata non<br />

contrasta con nessuno dei parametri costituzionali richiamati. Non viola<br />

l’art. 39 Cost. perché le norme di sostegno dell’azione sindacale nelle unità<br />

produttive, in quanto sopravanzavano la garanzia costituzionale della<br />

libertà sindacale, ben possono essere riservate a certi sindacati identificati<br />

mediante criteri scelti discrezionalmente nei limiti della razionalità; non<br />

viola l’art. 3 Cost. perché, una volta riconosciuto il potere discrezionale del<br />

legislatore di selezionare i beneficiari di quelle norme, le associazioni<br />

sindacali rappresentate nelle aziende vengono differenziate in base a<br />

(ragionevoli) criteri prestabiliti dalla legge, di guisa che la possibilità di<br />

dimostrare la propria rappresentatività per altre vie diventa irrilevante ai<br />

fini del principio di eguaglianza”.<br />

Come si è detto, al concetto di rappresentatività presunta (contenuto nella<br />

lett. a) dell’art. 19, ora abrogata, ove si faceva riferimento al sindacato<br />

maggiormente rappresentativo) si sostituisce un criterio di rappresentatività<br />

40<br />

Il sindacato<br />

meramente<br />

aziendale


effettiva; e il sindacato meramente aziendale è oggi considerato<br />

diversamente dal passato, perché, se è in grado di stipulare un contratto<br />

collettivo applicato nell’azienda, è legittimato a “costituire” rappresentanze<br />

sindacali aziendali.<br />

2.5. Il sindacato comparativamente più rappresentativo.<br />

A partire dalla seconda metà degli anni ’90, il legislatore ha preso a<br />

sostituire alla formula sindacato maggiormente rappresentativo quella di<br />

sindacato comparativo più rappresentativo. La formula ambigua di<br />

sindacato comparativamente più rappresentativo, utilizzata come si è<br />

detto, nei più recenti provvedimenti legislativi, da taluno è considerata<br />

equivalente a quella di “sindacato maggiormente rappresentativo”,<br />

sostituita poiché ritenuta delegittimata dal referendum del 1995.<br />

Autorevole dottrina contesta, tuttavia, questo orientamento, in quanto il<br />

referendum del 1995 non ha delegittimato il criterio della maggiore<br />

rappresentatività, ma solo una certa utilizzazione dello stesso: quella di cui<br />

alla lett. a) dell’art. 19 St. lav. (la maggior rappresentatività per<br />

irradiamento o presunta).<br />

La formula “sindacato comparativamente più rappresentativo”, è stata<br />

utilizzata, per la prima volta, in relazione alla nozione di retribuzione<br />

imponibile a fini previdenziali, nella legge 28 dicembre 1995, n. 549. Ai<br />

sensi della legge 7 dicembre 1989, n. 389, i contributi previdenziali, che<br />

devono essere versati dal datore di lavoro all’INPS, vanno calcolati sulla<br />

retribuzione dovuta, anche quando la stessa non sia stata effettivamente<br />

versata. Occorre perciò determinare l’importo della retribuzione dovuta. Ed<br />

a tal fine il legislatore indica, appunto, come base per il computo dei<br />

41<br />

La formula<br />

“sindacato<br />

comparativamente<br />

più<br />

rappresentativo”:<br />

funzioni<br />

e significato


contributi previdenziali, la retribuzione prevista dai contratti collettivi<br />

stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.<br />

Quello che si voleva ottenere con questa nuova formula era di sconfiggere<br />

la prassi dei cd. “contratti pirata”, volti a fissare retribuzioni sensibilmente<br />

inferiori rispetto a quelle stipulate dai sindacati tradizionali. Si trattava di<br />

contratti collettivi stipulati da sindacati minori dei lavoratori e dei datori di<br />

lavoro, in certe zone del Paese.<br />

La formula del sindacato “comparativamente più rappresentativo” nasce<br />

dunque con finalità diverse rispetto a quelle perseguite dal criterio della<br />

maggiore rappresentatività; perciò, essa non è necessariamente “in<br />

opposizione” ed in collisione logica con quest’ultima, essendo stata<br />

prevista dal legislatore per risolvere un problema diverso, ossia quello<br />

dell’eventuale compresenza di più contratti collettivi.<br />

A partire dal 1995 sono stati numerosi i casi in cui il legislatore ha<br />

utilizzato il criterio della maggior rappresentatività comparata. Ciò è quasi<br />

sempre avvenuto a fronte di ipotesi di cd. rinvio legale alla contrattazione<br />

collettiva, ossia nei casi in cui il legislatore ha demandato ai contratti<br />

collettivi il compito di regolare determinati profili di una materia. Ad<br />

esempio, quando, nel 1997, è stato introdotto il cd. lavoro interinale, il<br />

legislatore ha rinviato alla contrattazione collettiva per la determinazione<br />

delle fattispecie in cui la stipulazione di tali contratti poteva ritenersi<br />

ammessa; in questo caso, di fronte alla possibile stipulazione di una<br />

pluralità di contratti collettivi, la legge n. 24 giugno 1997, n. 196, ha voluto<br />

attribuire ad un solo contratto collettivo (quello concluso dalle associazioni<br />

sindacali comparativamente più rappresentative) l’idoneità ad attuare il<br />

rinvio legale.<br />

Con l’entrata in vigore del d. lgs. n. 276/2003, il criterio della<br />

rappresentatività comparata è stato utilizzato in maniera ancora più diffusa,<br />

42


essendo numerosi i rinvii operati dal legislatore del 2003 alla contrattazione<br />

collettiva. In verità, la nozione di “sindacato comparativamente più<br />

rappresentativo” viene usata nel d. lgs. n. 276/2003 in modo ambivalente:<br />

ora come criterio di selezione tra una possibile pluralità di contratti<br />

collettivi (al fine di individuare l’unico applicabile), ora come criterio di<br />

legittimazione soggettiva delle diverse associazioni sindacali. Quest’ultima<br />

ipotesi si verifica, ad esempio, nell’art. 86, 13° co.: si tratta di una sorta di<br />

norma-annuncio, attraverso la quale si prevede che il Ministro del lavoro<br />

convochi, entro cinque giorni dall’entrata in vigore del decreto, le<br />

associazioni sindacali “comparativamente più rappresentative”, al fine di<br />

verificare la possibilità di demandare ad accordi interconfederali<br />

l’attuazione di alcune parti del decreto legislativo. Nel caso della norma<br />

citata, il criterio selettivo non è calibrato sulla comparazione tra contratti<br />

collettivi, al fine di stabilire quale tra essi sia espressione di sindacati più<br />

rappresentativi, bensì opera come criterio di legittimazione soggettiva delle<br />

associazioni sindacali a cui viene attribuita una patente di interlocutore<br />

qualificato dei pubblici poteri.<br />

Aumenta l’ambiguità (o plurivalenza) del concetto – anche quando esso<br />

appaia criterio di selezione della disciplina contrattuale applicabile – con la<br />

sostituzione, avvenuta a partire dal d.lgs n. 276/2003, della formula<br />

“contratti stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più<br />

rappresentative”, con la formula “contratti collettivi stipulati da<br />

associazioni sindacali comparativamente più rappresentative”.<br />

Il legislatore – attraverso la sostituzione della preposizione articolata<br />

“dalle” con la preposizione semplice “da” – vuole sottolineare che, al fine<br />

di integrare il precetto legale, là dove vi sia rinvio alla contrattazione<br />

collettiva, non è necessario il consenso unanime di tutte le associazioni<br />

sindacali “comparativamente più rappresentative”: è chiaro, in questo caso,<br />

43


che la locuzione non assume un significato dissimile da sindacati<br />

maggiormente rappresentativi.<br />

2.6. Costituzione e struttura delle RSA.<br />

Le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) sono titolari dei diritti di cui al<br />

titolo III dello Statuto dei lavoratori. Certamente, possono costituirsi anche<br />

rappresentanze sindacali che non presentano i requisiti fissati dall’art. 19 (e<br />

ciò in forza vuoi dell’art. 39, 1° co., Cost., vuoi dell’art. 14 St. lav.): esse<br />

però non godono dei diritti riconosciuti dal titolo III dello Statuto dei<br />

lavoratori.<br />

In base all’art. 19, RSA possono essere costituite ad iniziativa dei<br />

lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito di determinate associazioni<br />

sindacali (oggi, come si è visto, nell’ambito di associazioni sindacali che<br />

siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità<br />

produttiva). La legge, dunque, non definisce la struttura della RSA. Si<br />

limita a porre due requisiti minimali per la costituzione di RSA, indicati<br />

dall’art.19 St. lav.: i) da una parte, l’iniziativa dei lavoratori; ii) dall’altra,<br />

la riconducibilità ai “sindacati firmatari di contratti collettivi applicati<br />

nell’unità produttiva”.<br />

Si deve porre in evidenza che si tratta di requisiti minimali: l’iniziativa dei<br />

lavoratori può manifestarsi in qualsiasi modo ed anche il collegamento tra<br />

le RSA e le associazioni sindacali è definito in termini molto flessibili,<br />

attraverso l’ampia espressione “nell’ambito”.<br />

La formula della rappresentanza sindacale aziendale di cui all’art. 19 St.<br />

lav. è così idonea ad ospitare le più svariate forme organizzative, purché<br />

ricorrano detti requisiti.<br />

44<br />

Requisiti<br />

minimali per<br />

la<br />

costituzione<br />

di r.s.a.


Esaminiamo in primis il requisito della iniziativa dei lavoratori. Nel testo<br />

originario del disegno di legge che sarebbe poi divenuto lo Statuto dei<br />

lavoratori questa precisazione non compariva. In effetti il (futuro)<br />

legislatore visualizzava essenzialmente la figura della sezione sindacale<br />

aziendale: la forma di rappresentanza, a livello aziendale, dei lavoratori<br />

iscritti al sindacato, sperimentata negli anni ‘60 del secolo scorso dalla<br />

CISL. Tuttavia, durante l’iter parlamentare di approvazione della legge,<br />

cadde quel periodo storico culminato nel cd. “autunno caldo”: periodo di<br />

grande contestazione, rivolta anche verso i sindacati tradizionali,<br />

considerati troppo burocratizzati e lontani dalla “base” dei lavoratori<br />

rappresentati.<br />

Nacque in quel periodo, in contestazione non solo dei poteri del datore di<br />

lavoro ma anche dell’operato dei sindacati tradizionali, il movimento dei<br />

delegati, forma di rappresentanza spontaneistica dei lavoratori appartenenti<br />

ad un “gruppo omogeneo” (reparto, linea, ufficio, ecc.). Essi erano eletti da<br />

tutti gli appartenenti al gruppo omogeneo, iscritti e non iscritti al sindacato<br />

e, a loro volta, potevano essere iscritti o non iscritti allo stesso. L’insieme<br />

dei delegati costituiva il cd. consiglio di fabbrica, che spesso si poneva<br />

come interlocutore diretto del datore di lavoro, scavalcando le stesse<br />

associazioni sindacali.<br />

Proprio in quel periodo era, come si è detto, in via di approvazione lo<br />

Statuto dei lavoratori: il legislatore ebbe la preoccupazione che, nel<br />

momento della sua approvazione, lo Statuto fosse già superato nei fatti. Di<br />

qui la modifica inserita nell’originario testo di quello che sarebbe divenuto<br />

l’art. 19 St. lav., con l’aggiunta dell’espressione “ad iniziativa dei<br />

lavoratori…”; e ciò per indicare che le RSA avrebbero dovuto avere<br />

un’investitura da parte dei lavoratori, da parte, cioè, della “base”.<br />

45<br />

Iniziativa dei<br />

lavoratori<br />

I delegati e i<br />

consigli di<br />

fabbrica


Negli anni successivi all’emanazione dello Statuto dei lavoratori v’è stata<br />

una progressiva svalutazione di questo requisito, fino a ritenersi sufficiente<br />

una generica intesa tra lavoratori, o gruppi di essi, e le associazioni<br />

sindacali al fine di giungere alla costituzione delle RSA. Questo requisito<br />

(l’iniziativa dei lavoratori), si è osservato, non implica necessariamente una<br />

modalità elettiva di formazione delle RSA: atteso il suo carattere elastico, è<br />

sufficiente che la formazione della RSA sia in qualche modo riferibile alla<br />

volontà dei lavoratori appartenenti alla unità produttiva.<br />

Come detto, il movimento dei delegati e dei consigli di fabbrica nacque<br />

sull’onda della contestazione, non solo dei rapporti di produzione e dei<br />

poteri del datore di lavoro all’interno dell’impresa, ma anche dell’operato<br />

dei sindacati tradizionali: dunque originariamente, non solo al di fuori, ma<br />

anche “contro” il sindacato.<br />

L’art. 19 dello Statuto dei lavoratori consentì, in un certo senso, il recupero<br />

e il riassorbimento di tali forme organizzative da parte delle associazioni<br />

sindacali tradizionali, dal momento che esse, solo se avessero avuto un<br />

collegamento con associazioni sindacali, e con associazioni sindacali<br />

qualificate, potevano essere considerate RSA ex art. 19 St. lav. e godere dei<br />

diritti e delle prerogative di cui al tit. III dello Statuto dei lavoratori.<br />

Nel 1972, CGIL, CISL e UIL stipularono il cd. “patto federativo”, un<br />

accordo per giungere ad una sostanziale unità di azione, che avrebbe<br />

dovuto essere addirittura prodromico all’unità organica (cui, come noto,<br />

non si è mai arrivati). Con esso gli stipulanti riconobbero i consigli di<br />

fabbrica come proprie strutture organizzative di base all’interno dei luoghi<br />

di lavoro. Stante la genericità del requisito del collegamento con i sindacati<br />

posto dall’art. 19 St. lav., il riconoscimento fu sufficiente a far considerare<br />

tali organismi elettivi (consigli di fabbrica) quali RSA ai sensi della norma<br />

statutaria.<br />

46


Per lungo tempo, i consigli di fabbrica hanno costituito l’unica forma di<br />

rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda.<br />

Tale situazione si è però modificata con la rottura, nel 1984, dell’unità tra i<br />

sindacati tradizionali (determinata da posizioni diverse, anzi antitetiche, di<br />

CGIL, da una parte, e CISL e UIL dall’altra, per quanto attiene alle vicende<br />

della indennità di contingenza). Si è assistito così alla rottura dell’unità dei<br />

consigli di fabbrica e, talora, alla costituzione di separate RSA ai sensi<br />

dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori. Nello stesso tempo si sono<br />

presentati sulla scena sindacati non riconducibili a quelli tradizionali (ad<br />

es., in quel periodo, il sindacato dei quadri intermedi) che pretendevano di<br />

costituire proprie RSA. Ne è conseguita una situazione di frammentazione<br />

delle rappresentanze sindacali, anche a livello aziendale.<br />

Il consiglio di fabbrica come organismo tendenzialmente unitario di<br />

rappresentanza dei lavoratori dunque venne meno, sia perché era venuta<br />

meno l’unità di azione dei sindacati storici, sia perché alcuni gruppi di<br />

lavoratori non si riconoscevano più nelle medesime associazioni sindacali.<br />

Cominciò così un tentativo da parte dei sindacati tradizionali di modificare<br />

e ridefinire le forme delle RSA.<br />

2.7. Le RSU.<br />

Uno di questi tentativi ha avuto esito positivo, traducendosi in una<br />

regolamentazione contrattuale delle rappresentanze sindacali aziendali, che<br />

è quella attualmente vigente: si tratta del Protocollo del 23 luglio 1993 e<br />

dell’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 (stipulati da CGIL,<br />

CISL e UIL, da una parte, e Confindustria e le altre principali<br />

confederazioni datoriali, dall’altra).<br />

47


Con questi accordi viene prevista la costituzione di rappresentanze<br />

sindacali unitarie (RSU), organi elettivi e, nelle intenzioni, rappresentativi<br />

dei lavoratori di una determinata impresa.<br />

La RSU è composta per 2/3 da membri eletti dai lavoratori sulla base di<br />

liste presentate sia dai sindacati firmatari dei contratti collettivi nazionali di<br />

lavoro applicati nell’unità produttiva, sia da parte di associazioni sindacali<br />

non firmatarie, a condizione che accettino la disciplina delle RSU<br />

contenuta dall’accordo interconfederale del dicembre del 1993 e abbiano<br />

raccolto un numero minimo di firme di lavoratori dipendenti dell’unità<br />

produttiva, pari al 5% degli aventi diritto al voto. Il restante terzo è<br />

riservato alle liste presentate dalle associazioni sindacali firmatarie del<br />

contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell'unità produttiva e alla<br />

sua copertura si procede mediante elezione o designazione, in proporzione<br />

ai voti ricevuti (art. 2, accordo interconfederale 20 dicembre 1993).<br />

In ciò consiste la clausola del cd. terzo riservato (ai sindacati firmatari dei<br />

contratti collettivi nazionali) la cui funzione è di attribuire ai sindacati<br />

stipulanti il contratto nazionale applicato nell’unità produttiva un minimo<br />

di controllo sulle strutture di rappresentanza dei lavoratori nell’impresa,<br />

soprattutto nell’ottica di governo della contrattazione collettiva. Le RSU<br />

sono individuate, infatti, dal protocollo del luglio 1993 quali soggetti<br />

legittimati alla stipulazione dei contratti collettivi aziendali, sia pure<br />

congiuntamente con gli organismi territoriali delle associazioni sindacali<br />

nazionali (diversamente è avvenuto con l’accordo interconfederale del 28<br />

giugno 2011; v. infra, cap. III, par. 3).<br />

Ci si deve a questo punto chiedere se le RSU (previste dall’accordo del<br />

1993) siano da considerare RSA ai sensi dell’art. 19 dello Statuto dei<br />

lavoratori.<br />

48<br />

Composizione<br />

delle r.s.u.<br />

La clausola<br />

del cd. terzo<br />

riservato


In proposito occorre ricordare che, perché si possa parlare di RSA ai sensi<br />

dell’art. 19 St. lav., è necessario che siano presenti i due requisiti previsti<br />

dalla norma: l’iniziativa dei lavoratori e il collegamento con i sindacati<br />

qualificati indicati dalla medesima. Ebbene, la “iniziativa dei lavoratori” è<br />

garantita dal fatto che le RSU sono, almeno in parte, organo elettivo. Il<br />

“collegamento” con i sindacati indicati dall’art. 19 (quelli cioè firmatari di<br />

contratti collettivi applicati nell’unità produttiva) parimenti si riscontra,<br />

poiché le liste sono presentate, innanzitutto, sebbene non solo, dai sindacati<br />

firmatari di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva.<br />

Pertanto, le RSU, dal punto di vista della legge, possono considerarsi RSA.<br />

Più precisamente, dal punto di vista tecnico, la RSU può essere considerata<br />

come un’ipotesi di costituzione di un’unica RSA nell’ambito di più<br />

associazioni legittimate a costituirne (realizzando l’ipotesi delineata<br />

nell’art. 29 dello Statuto dei lavoratori).<br />

In Italia le associazioni sindacali firmatarie di ciascun contratto collettivo<br />

nazionale – ed anche aziendale – possono essere molteplici, attesa la<br />

situazione di pluralismo sindacale e teoricamente potrebbero costituirsi<br />

RSA autonome, separate, distinte. Il legislatore, però, nell’art. 29 dello<br />

Statuto dei lavoratori contempla l’ipotesi sia della costituzione di un’unica<br />

RSA nell’ambito di due o più associazioni sindacali legittimate a<br />

costituirne, sia della fusione delle RSA già costituite.<br />

Di qui la possibilità di considerare la RSU come costituzione di un’unica<br />

RSA nell’ambito delle diverse associazioni sindacali legittimate a<br />

costituirne.<br />

Teoricamente RSU e RSA potrebbero convivere all’interno della stessa<br />

unità produttiva. Immaginiamo l’ipotesi di un sindacato firmatario di un<br />

contratto collettivo solo aziendale: nel momento in cui i sindacati firmatari<br />

del contratto nazionale indicono le elezioni per le RSU, il sindacato<br />

49<br />

L’art. 29<br />

dello Statuto<br />

dei lavoratori


aziendale potrebbe presentare una sua lista e partecipare alla competizione<br />

elettorale per la costituzione della RSU (confluendo quindi in essa). Esso<br />

però potrebbe anche non aderire all’accordo del 1993 e mantenere intatto il<br />

suo diritto di costituire una RSA, ai sensi dell’art. 19 St. lav.<br />

E’ da rilevare tuttavia che, da un punto di vista fattuale, anche se non<br />

giuridico, la RSU è tendenzialmente il modello di rappresentanza esclusivo<br />

dei lavoratori a livello aziendale.<br />

2.8. La rappresentanza sindacale aziendale negli altri Paesi europei.<br />

Negli altri Paesi europei, eccettuato il Regno Unito, la materia della<br />

rappresentanza sindacale è disciplinata in maniera più organica. Tali Paesi<br />

conoscono il cd. doppio canale di rappresentanza sindacale, in base al<br />

quale, all’interno dell’unità produttiva, vi sono sia forme elettive di<br />

rappresentanza della generalità dei lavoratori dell’impresa – iscritti e non<br />

iscritti ai sindacati –, sia forme di rappresentanza (associativa) dei soli<br />

lavoratori iscritti al sindacato. A questa duplicità di struttura della<br />

rappresentanza dei lavoratori, all’interno dell’azienda, corrisponde<br />

solitamente una duplicità di funzioni.<br />

Le funzioni cd. partecipative (ad es. i diritti di informazione in materia di<br />

igiene e sicurezza sul lavoro) spettano alle strutture rappresentative elette<br />

dalla generalità dei lavoratori. Le funzioni di contrattazione spettano invece<br />

alle forme di rappresentanza associativa dei lavoratori.<br />

In Italia si riscontra invece un cd. canale unico di rappresentanza. Nella<br />

RSU, tuttavia, si cerca di effettuare una combinazione sia della<br />

rappresentanza generale dei lavoratori che della rappresentanza dei<br />

lavoratori iscritti al sindacato. Un canale unico, dunque, nel quale<br />

50


convivono però le caratteristiche delle due strutture, quella elettiva di<br />

rappresentanza generale e quella associativa.<br />

Parte della dottrina non ha mancato di affermare che anche nel nostro Paese<br />

sarebbe auspicabile, de iure condendo, la creazione di una duplice struttura:<br />

una rappresentanza generale dei lavoratori dell’impresa o dell’unità<br />

produttiva, con funzioni consultive e partecipative, e una rappresentanza<br />

degli iscritti al sindacato, con funzioni di contrattazione, secondo il<br />

modello del doppio canale.<br />

2.9. I diritti sindacali: a) diritto di assemblea; b) referendum; c) diritto<br />

di affissione; d) locali; e) guarentigie; f) permessi; g) campo di<br />

applicazione.<br />

a) Diritto di assemblea.<br />

Lo Statuto dei lavoratori riconosce alle RSA, accanto agli altri diritti di cui<br />

al titolo III, il diritto di convocare assemblee dei lavoratori. Invero, l’art. 20<br />

St. lav. riconosce espressamente il diritto di tutti i lavoratori a riunirsi in<br />

assemblea nei luoghi di lavoro, fuori dall’orario di lavoro o all’interno<br />

dell’orario stesso nei limiti di 10 ore annue retribuite (limite che può essere<br />

elevato dai contratti collettivi). Il diritto di riunirsi in assemblea costituisce<br />

diritto potestativo di sospendere l’esecuzione della prestazione lavorativa.<br />

Il diritto di “convocare” l’assemblea spetta però alle RSA, singolarmente o<br />

congiuntamente.<br />

L’art. 20 St. lav. dispone che l’assemblea dei lavoratori riguardi “materie di<br />

interesse sindacale e del lavoro”. La locuzione “materie di interesse<br />

sindacale e del lavoro” escluderebbe, secondo una prima interpretazione,<br />

qualsiasi controllo di merito, sull’oggetto dell’assemblea, vuoi da parte del<br />

51<br />

Diritto di<br />

riunirsi in<br />

assemblea e di<br />

convocare<br />

un’assemblea<br />

L’oggetto<br />

dell’assemblea:<br />

materie di<br />

interesse<br />

sindacale e del<br />

lavoro


datore di lavoro, vuoi da parte del giudice. Secondo questo orientamento, le<br />

materie di interesse sindacale e del lavoro sarebbero tutte quelle che il<br />

sindacato assume concretamente quale oggetto del suo intervento.<br />

Sul rilievo che, se così fosse, non si spiegherebbe la specificazione<br />

legislativa, è tuttavia prevalsa la tesi contraria, per la quale è sempre<br />

ammesso un controllo da parte del datore di lavoro e, in caso di<br />

contestazione, da parte del giudice. Secondo questa prospettazione, per<br />

interpretare la formula legislativa (“materie di interesse sindacale e del<br />

lavoro”) si possono utilizzare i risultati dell’elaborazione in materia di<br />

sciopero politico e segnatamente di sciopero politico-economico (v. infra,<br />

cap. IV, par. 6). Ne deriva che oggetto di assemblea possono essere, non<br />

solo le questioni che attengono alle condizioni del rapporto contrattuale (di<br />

lavoro), ma anche quelle che hanno a che fare in senso lato con le<br />

condizioni generali economiche dei lavoratori subordinati.<br />

Sulla base di tale impostazione, sarebbe del tutto conforme alle previsioni<br />

dell’art. 20 St. lav. un’assemblea avente ad oggetto materie di interesse<br />

economico per i lavoratori (ad es. un’assemblea avente ad oggetto la<br />

riforma pensionistica o la politica fiscale). Non altrettanto potrebbe dirsi<br />

per un’assemblea in cui si voglia discutere delle ragioni di un intervento<br />

militare in una data area del pianeta. Il tema della pace, pur essendo in<br />

senso lato un argomento che interessa il mondo sindacale, non riguarda le<br />

condizioni economiche dei lavoratori e pertanto fuoriesce dalle “materie”<br />

di cui all’art. 20.<br />

b) Referendum.<br />

L’art. 21 St. lav. riconosce il diritto delle RSA di indire – in questo caso<br />

solo congiuntamente – referendum tra i lavoratori, fuori dall’orario di<br />

lavoro, su materie di interesse sindacale. La prassi ha tradizionalmente<br />

52


affermato la funzione secondaria del referendum nel nostro sistema di<br />

relazioni industriali, soprattutto rispetto al diritto di assemblea. Tuttavia, in<br />

tempi recenti, si è avvertita la tendenza a rivalutare l’istituto quale<br />

strumento idoneo a ridurre lo scollamento tra sindacato e “base”.<br />

Il ricorso alla prassi referendaria si verifica in circostanze diverse: ex ante<br />

per approvare piattaforme contrattuali e, soprattutto, ex post per approvare<br />

accordi collettivi già conclusi, specie aziendali e di tipo derogatorio (si<br />

veda, da ultimo, l’accordo Fiat Mirafiori del 23 dicembre 2010).<br />

Il problema più delicato concerne, in tali ipotesi, le conseguenze giuridiche<br />

dell’esito negativo del voto. Dottrina e giurisprudenza, a meno che l’esito<br />

positivo del referendum non sia espressamente previsto come condizione<br />

risolutiva o sospensiva dell’efficacia dell’accordo, hanno optato per la<br />

conclusione che l’eventuale esito negativo ha solo una valenza politica e<br />

non giuridica (Cass. 28 novembre 1994, n. 10119).<br />

c) Diritto di affissione.<br />

L’art. 25 St. lav. riconosce il diritto delle RSA di affiggere, su appositi<br />

spazi, che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre in luoghi<br />

accessibili a tutti i lavoratori all’interno dell’unità produttiva,<br />

pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e<br />

del lavoro.<br />

d) Locali.<br />

L’art. 27 St. lav. riconosce alle RSA, ove ne facciano richiesta, il diritto di<br />

usufruire di un locale per le loro riunioni. Nel caso in cui nell’unità<br />

produttiva vi siano almeno 200 dipendenti il datore di lavoro deve porre<br />

permanentemente a disposizione delle RSA, per l’esercizio delle loro<br />

53


funzioni, un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle<br />

immediate vicinanze di essa.<br />

e) Guarentigie.<br />

I rappresentanti sindacali aziendali godono di particolari garanzie in caso di<br />

licenziamento o trasferimento (cfr. artt. 22 e 18 St. lav.).<br />

f) Permessi.<br />

Infine, i dirigenti delle rappresentanze sindacali hanno diritto a permessi<br />

retribuiti (art. 23 St. lav.) e no (art. 24 St. lav.) per lo svolgimento del<br />

proprio incarico sindacale.<br />

g) Campo di applicazione.<br />

E’ importante sottolineare che il campo di applicazione del Titolo III dello<br />

Statuto dei lavoratori è limitato, per le imprese industriali e commerciali,<br />

alle unità produttive che occupino più di quindici dipendenti (ciascuna<br />

sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, in cui si articola<br />

l’azienda: cfr. art. 35 St. lav.). Sempre per le imprese industriali e<br />

commerciali le medesime norme si applicano quando le unità produttive<br />

nell’ambito dello stesso comune occupino più di quindici dipendenti. I<br />

limiti dimensionali sono ridotti a cinque dipendenti (qui riferiti all’impresa<br />

nel suo complesso) per le imprese agricole.<br />

54<br />

Le unità<br />

produttive<br />

con più di 15<br />

dipendenti


Capitolo III<br />

IL CONTRATTO COLLETTIVO <strong>DI</strong> LAVORO<br />

3.1. L’inattuazione dell’art. 39 Cost., seconda parte, ed il contratto<br />

collettivo cd. di diritto comune.<br />

Come già precisato (v. supra, cap. I, par. 4), la prima conseguenza della<br />

mancata attuazione dell’art. 39 Cost. (più precisamente, dei commi 2°, 3° e<br />

4°) è che il sindacato non ha potuto acquisire la personalità giuridica né<br />

potrà acquisirla – attraverso gli strumenti di riconoscimento ordinari –<br />

finché l’art. 39 Cost. rimarrà inattuato.<br />

La seconda conseguenza della mancata attuazione dell’art. 39 Cost. è che il<br />

contratto collettivo stipulato dagli attuali sindacati ricade nell’ambito del<br />

diritto contrattuale comune. Di qui la denominazione di contratto<br />

collettivo di diritto comune, per indicare che esso trova (o dovrebbe<br />

trovare) disciplina unicamente nelle norme dettate dal codice civile sui<br />

contratti in generale (art. 1321 ss c.c.).<br />

La stessa possibilità di ammettere la cittadinanza, nel nostro ordinamento,<br />

di un contratto collettivo non riconducibile alle previsioni dell’art. 39 Cost.<br />

è dipesa dalla interpretazione storicamente affermatasi della norma,<br />

interpretazione in base alla quale la stessa norma costituzionale non<br />

determinerebbe la forma necessitata del contratto collettivo, ma<br />

prefigurerebbe le condizioni in presenza delle quali al contratto collettivo<br />

può essere attribuita efficacia erga omnes (efficacia vincolante nei<br />

confronti di tutti gli appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce).<br />

I punti chiave di questa interpretazione sono costituiti dall’accentuazione<br />

del valore precettivo del 1° co. dell’art. 39 Cost. (“l’organizzazione<br />

55<br />

Il contratto<br />

collettivo cd.<br />

di diritto<br />

comune


sindacale è libera”) e dalla corrispondente svalutazione del termine<br />

“obbligo” contenuto nel 2° co.<br />

Poiché la registrazione è necessaria al fine di poter stipulare contratti<br />

collettivi con efficacia erga omnes, si è detto (F. Santoro Passarelli) che<br />

essa è oggetto più propriamente di un onere: un onere per i sindacati che<br />

appunto vogliano ottenere simile diritto. Ma la norma costituzionale non<br />

esclude che i sindacati possano stipulare contratti collettivi che non abbiano<br />

quel particolare effetto. E ciò, in base al principio di libertà sindacale, che è<br />

libertà di organizzazione e di azione e, dunque, di contrattazione.<br />

La norma costituzionale, insomma, non inibisce al sindacato di non<br />

chiedere la registrazione, né, pur avendola chiesta ed ottenuta, di stipulare<br />

contratti collettivi senza seguire il procedimento di cui all’ultimo comma<br />

dell’art. 39 Cost.<br />

Al contratto stipulato dal sindacato non registrato o dai sindacati registrati<br />

ma al di fuori del procedimento di cui all’art. 39 Cost. non potranno<br />

imputarsi gli effetti previsti dalla norma costituzionale. Si tratterà più<br />

semplicemente di una fattispecie regolata dal diritto contrattuale comune.<br />

La mancata attuazione della norma costituzionale ha portato come<br />

conseguenza necessitata che il contratto collettivo attualmente stipulato dai<br />

sindacati sia un contratto regolato dal diritto contrattuale comune, vale a<br />

dire, come si è anticipato, dalle norme del codice civile sui contratti in<br />

generale.<br />

E spesso si è ricondotto il contratto collettivo cd. di diritto comune oltre<br />

che all’art. 39 Cost., all’art. 1322 c.c., in base al quale le parti possono<br />

stipulare anche contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina<br />

particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela<br />

secondo l’ordinamento giuridico; e tale sarebbe da ritenere appunto il<br />

contratto collettivo.<br />

56<br />

Registrazione<br />

come onere<br />

per il<br />

sindacato<br />

Il contratto di<br />

diritto<br />

comune<br />

nell’ambito<br />

del principio<br />

di libertà<br />

sindacale


La qualificazione del contratto collettivo come contratto di diritto comune<br />

non poteva tuttavia considerarsi soddisfacente già originariamente, perché<br />

la giurisprudenza non ha mai applicato tout court al contratto collettivo le<br />

norme del codice civile sui contratti in generale, applicando, anzi, in via<br />

diretta e non analogica alcune norme – si pensi in particolare all’art. 2077<br />

c.c. – dettate dal codice civile per il contratto collettivo corporativo. Tanto<br />

meno può considerarsi soddisfacente al momento attuale, perché il<br />

legislatore rinvia sempre più spesso al contratto collettivo, attribuendogli<br />

determinati effetti giuridici. Ora vi è anche da considerare l’art. 8 della l. n.<br />

148 del 2011 che ha dettato una peculiare disciplina, quanto meno per il<br />

contratto aziendale e territoriale.<br />

Nel settore del pubblico impiego, che ormai a seguito della privatizzazione<br />

fa pienamente parte dello statuto scientifico del diritto del lavoro, il<br />

contratto collettivo deve sicuramente considerarsi un contratto atipico,<br />

avendo ricevuto una specifica disciplina legislativa (v. ora d.lgvo n.<br />

165/2001)<br />

3.2. Il contenuto del contratto collettivo. La distinzione tra parte<br />

normativa e parte obbligatoria.<br />

Si può definire contratto collettivo di lavoro quel contratto che ha come<br />

precipua funzione economico-sociale quella di comporre conflitti<br />

concernenti diritti e interessi tra gruppi professionali contrapposti (G.<br />

Giugni).<br />

E’ un istituto che tradizionalmente concerne il lavoro subordinato, pur se si<br />

conoscono esperienze di contrattazione collettiva anche per alcune<br />

57<br />

La funzione<br />

del contratto<br />

collettivo:<br />

composizione<br />

dei conflitti<br />

di interessi e<br />

di diritti tra<br />

gruppi<br />

professionali<br />

contrapposti


categorie di lavoratori autonomi. Si pensi agli agenti i cui contratti<br />

collettivi (denominati Accordi economici collettivi) risalgono al periodo<br />

corporativo. Essi vengono tuttora stipulati per regolare istituti importanti<br />

del rapporto di agenzia (ad es. le provvigioni) ed, anzi, la normativa<br />

civilistica sul contratto di agenzia (artt. 1742 ss. c.c.) rinvia ampiamente<br />

proprio alla disciplina contenuta negli accordi economici-collettivi. Anche<br />

per altre categorie di lavoratori, cd. parasubordinati, si conoscono<br />

esperienze di vera e propria contrattazione collettiva.<br />

L’aggettivo “collettivo” sta a significare che il contratto viene stipulato da<br />

due soggetti collettivi. Tipicamente, si tratta delle associazioni sindacali<br />

che rappresentano i lavoratori, da un lato, e di quelle che rappresentano i<br />

datori di lavoro, dall’altro; ma anche il contratto aziendale stipulato dalle<br />

RSA o da sindacati provinciali di categoria con il singolo<br />

imprenditore/datore di lavoro si considera un contratto collettivo.<br />

Agli albori del fenomeno sindacale, i contratti collettivi avevano quale<br />

contenuto tipico ed esclusivo la determinazione dei livelli di retribuzione<br />

dei lavoratori (di qui la denominazione di “concordati di tariffa”). Con il<br />

passare del tempo, i contratti collettivi di lavoro si sono arricchiti di<br />

contenuti ulteriori (per es., la durata delle ferie, dell’orario di lavoro, del<br />

preavviso in caso di licenziamento, ecc.), sempre attinenti alla disciplina<br />

del rapporto individuale di lavoro subordinato. In seguito, accanto a queste<br />

clausole (dette normative), sono comparse le clausole cd. obbligatorie, che<br />

regolano, non già le condizioni dei singoli rapporti individuali di lavoro,<br />

bensì i rapporti tra i soggetti collettivi stipulanti (ad es. la costituzione di<br />

commissioni paritetiche, le clausole procedurali relative al rinnovo del<br />

contratto collettivo, ecc.).<br />

58<br />

Contratto<br />

collettivo e<br />

lavoro<br />

autonomo<br />

Evoluzione<br />

dei contenuti<br />

del contratto<br />

collettivo


All’interno del contratto collettivo possiamo quindi distinguere le clausole<br />

normative, che hanno per oggetto la disciplina dei rapporti individuali di<br />

lavoro, e le clausole obbligatorie, che non incidono direttamente sulla<br />

disciplina dei singoli rapporti di lavoro, ma regolano i rapporti reciproci tra i<br />

soggetti collettivi stipulanti il contratto collettivo (cioè, prevalentemente,<br />

associazioni sindacali di lavoratori e di datori di lavoro).<br />

All’interno delle clausole obbligatorie si possono distinguere le clausole cd.<br />

istituzionali (relative all’istituzione di organismi paritetici sindacali – si<br />

pensi, in passato, alle Casse edili ed oggi agli enti bilaterali); le clausole di<br />

amministrazione del contratto (ad es. quelle che disciplinano le procedure di<br />

conciliazione e arbitrato, o l’istituzione di commissioni tecniche); le<br />

clausole relative alla produzione negoziale (ad es. le clausole di rinvio alla<br />

disciplina di una determinata materia dal contratto nazionale al contratto<br />

aziendale) e le clausole di tregua sindacale (con cui le associazioni<br />

sindacali si impegnano a non proclamare e a non sostenere scioperi per il<br />

periodo di vigenza del contratto stesso).<br />

Per un certo periodo, si è ritenuto che aspetto qualificante del contratto<br />

collettivo fosse di contenere clausole normative. Come è stato giustamente<br />

evidenziato (G. Giugni), ciò era frutto di una visione aporistica del<br />

contratto collettivo, che, non dimentichiamolo, è contratto non regolato o<br />

non regolato integralmente – meno che mai per quanto riguarda i contenuti<br />

– dalla legge. Oggi si ritiene, giustamente, che sia qualificabile come<br />

contratto collettivo pure quello che abbia un contenuto meramente<br />

obbligatorio, anche se i problemi giuridici che le due tipologie di clausole<br />

– normative ed obbligatorie – pongono sono differenti.<br />

Nonostante si tratti di distinzione fondamentale, qualificare una clausola<br />

come normativa ovvero obbligatoria non è sempre facile. La dottrina ha<br />

59<br />

Clausole<br />

normative e<br />

clausole<br />

obbligatorie<br />

Esempi di<br />

clausole<br />

obbligatorie<br />

Le clausole<br />

cd. bivalenti


ecentemente evidenziato l’esistenza di clausole ibride o bivalenti in quanto<br />

hanno valenza, ad un tempo, normativa e obbligatoria.<br />

Si pensi ad es. alle clausole, spesso presenti nei contratti collettivi, con le<br />

quali si sottopongono a controllo sindacale gli atti di esercizio di<br />

determinati poteri datoriali.<br />

Si faccia l’ipotesi del “trasferimento collettivo”. La legge dispone, all’art.<br />

2103 c.c., che il lavoratore possa essere trasferito da un’unità produttiva ad<br />

un’altra, purché sussistano comprovate ragioni tecniche, organizzative e<br />

produttive. Ebbene, in caso di trasferimento collettivo dei lavoratori, spesso<br />

i contratti collettivi impongono al datore di lavoro un obbligo di<br />

informazione preventiva delle associazioni sindacali, che, così, possono<br />

cercare di condizionare la decisione del datore di lavoro. Una clausola<br />

siffatta è da considerare obbligatoria, perché fonda un diritto di<br />

informazione in capo al sindacato, al fine di consentirgli una sorta di<br />

controllo sulla decisione imprenditoriale; nello stesso tempo essa fonda un<br />

diritto del lavoratore a subire un esercizio controllato (dal sindacato) del<br />

potere di trasferimento. Sotto questo profilo finisce per incidere sulla<br />

disciplina del rapporto individuale di lavoro e, dunque, è da considerare<br />

(anche) normativa.<br />

Buona parte delle clausole relative agli obblighi di informazione e<br />

consultazione preventiva del sindacato, rispetto all’adozione di<br />

provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro, è, appunto, di<br />

natura bivalente.<br />

3.3. Struttura della contrattazione collettiva in Italia.<br />

Quanto alla struttura della contrattazione collettiva in Italia è possibile<br />

operare una periodizzazione.<br />

60


Negli anni ‘50 dello scorso secolo ad assumere centrale, se non esclusivo,<br />

rilievo è stato il livello confederale di contrattazione: le condizioni di<br />

lavoro venivano disciplinate da accordi interconfederali, cioè da contratti<br />

collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali, con cui si stabilivano i<br />

livelli retributivi dei lavoratori, indipendentemente dal settore produttivo di<br />

appartenenza.<br />

Le differenze di redditività esistenti tra i diversi settori produttivi portarono<br />

tuttavia, ben presto, e diremmo inevitabilmente, al predominio della<br />

contrattazione collettiva cd. di categoria (ad es. metalmeccanici, chimici,<br />

tessili, ecc.), per regolare, vuoi i livelli retributivi, vuoi le altre condizioni<br />

di lavoro.<br />

Sopravvissero gli accordi interconfederali, ma per regolare aspetti generali<br />

dei rapporti di lavoro che riguardano tutti i settori produttivi. Si vedano ad<br />

es. gli accordi interconfederali del 20 dicembre 1950 e del 5 maggio 1965<br />

sui licenziamenti collettivi; gli accordi interconfederali del 18 ottobre 1950<br />

e 29 aprile 1965 sui licenziamenti individuali e gli accordi interconfederali<br />

dell’ 8 maggio 1953 e 18 aprile 1966 sulle Commissioni Interne.<br />

La contrattazione collettiva, sia pure spostata a livello del sindacato di<br />

categoria, restava tuttavia centralizzata. All’inizio degli anni ‘60 del secolo<br />

scorso cominciarono le pressioni delle associazioni sindacali per giungere<br />

ad una contrattazione collettiva di impresa, non in sostituzione, ma in<br />

aggiunta alla contrattazione collettiva di categoria. E ciò per il fatto che la<br />

contrattazione collettiva di categoria non poteva che rispecchiare il livello<br />

di redditività delle imprese dell’intero settore e dunque anche di quelle<br />

marginali; non si teneva cioè conto del livello di redditività (che poteva<br />

essere molto superiore) delle singole imprese.<br />

Alla rivendicazione sindacale di un livello (aggiuntivo) di contrattazione,<br />

cioè quello aziendale, si opposero le associazioni sindacali dei datori di<br />

61<br />

L’iniziale<br />

centralizzazio-<br />

ne della<br />

contrattazione<br />

collettiva


lavoro privati. Al contrario, la rivendicazione venne accolta dalle<br />

associazioni sindacali delle imprese a prevalente partecipazione statale.<br />

Non bisogna dimenticare, infatti, che nel 1956 venne istituito il Ministero<br />

delle partecipazioni statali e che, in base alla legge n. 1589/1956 (cd. legge<br />

di sganciamento delle imprese a prevalente partecipazione statale da<br />

Confindustria) fu disposto che le imprese a prevalente partecipazione<br />

statale dovessero cessare il proprio rapporto associativo con Confindustria<br />

e costituire apposite associazioni sindacali. Ebbene, il 5 luglio 1962<br />

Intersind ed Asap stipularono, con le associazioni dei metalmeccanici che<br />

allora rappresentavano le aziende a partecipazione statale, un Protocollo<br />

che fissava i principi generali di un nuovo sistema di contrattazione, detto<br />

di “contrattazione articolata”, che fu poi recepito dai contratti collettivi<br />

dell’intero settore industriale.<br />

Il sistema di contrattazione era articolato: al livello nazionale si<br />

affiancava un livello provinciale e, soprattutto, aziendale. Esso era ordinato<br />

nel senso che era il contratto collettivo nazionale a rinviare (cd. clausola di<br />

rinvio), per la disciplina di certe materie, alla contrattazione collettiva<br />

(provinciale o aziendale). E chiave di volta dell’intero sistema erano le cd.<br />

clausole di tregua sindacale, attraverso le quali i sindacati si impegnavano a<br />

non proclamare e a non sostenere scioperi per la modifica di quanto<br />

convenuto nel contratto collettivo nazionale, nell’arco temporale di vigenza<br />

dello stesso.<br />

Nel 1969 il sistema di contrattazione articolata, pur rimasto formalmente<br />

inalterato, di fatto venne meno a seguito delle vicende del cd. autunno<br />

caldo: le forme di rappresentanza spontanea dei lavoratori, in particolare i<br />

consigli di fabbrica (v. supra), che nacquero e al di fuori delle (e in<br />

opposizione alle) associazioni sindacali, non riconobbero le limitazioni di<br />

competenza contrattuale poste dal contratto nazionale. Si passò così ad un<br />

62<br />

Il sistema di<br />

contratta zio-<br />

ne articolata<br />

degli anni ’60<br />

del secolo<br />

scorso<br />

La cd.<br />

contrattazio-<br />

ne non<br />

vincolata<br />

degli anni ’70


sistema di contrattazione cd. non vincolata: la contrattazione aziendale<br />

poteva svolgersi su qualsiasi oggetto; dunque, anche materie già<br />

disciplinate dal contratto nazionale.<br />

Negli anni ’80 del secolo scorso si assiste ad una ri-centralizzione della<br />

contrattazione collettiva, riacquisendo importanza il livello<br />

interconfederale.<br />

Nello stesso periodo si registra altresì la nascita dei primi accordi di<br />

concertazione, accordi triangolari che vedono come parti, non solo le<br />

associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, ma anche lo<br />

Stato con il ruolo, più che di mediatore, di negoziatore delle proprie risorse<br />

(si veda, ad es., il Protocollo del 22 gennaio 1983).<br />

Il contesto di sovrapposizione tra le competenze dei diversi livelli (in<br />

particolare nazionale ed aziendale) è rimasto inalterato fino a quando non è<br />

stato stipulato lo storico Protocollo del 23 luglio 1993, attraverso il quale<br />

si è cercato di riordinare il sistema di contrattazione collettiva. Il<br />

“Protocollo” è un accordo di concertazione, che vede come parti le<br />

organizzazioni sindacali dei lavoratori, quelle degli imprenditori e il<br />

Governo. Per la parte relativa agli assetti contrattuali (punto 2), è un vero e<br />

proprio contratto collettivo che disciplina, appunto, il sistema di<br />

contrattazione collettiva. Vi si prevedono due livelli di contrattazione<br />

collettiva (quello nazionale e quello aziendale), senza alcuna<br />

sovrapposizione di competenze. Nel Protocollo del 1993 si prevede infatti<br />

espressamente che “la contrattazione aziendale riguarda materie ed istituti<br />

diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL”; e che<br />

le “erogazioni del livello di contrattazione aziendale” sono strettamente<br />

legate alla produttività o alla redditività di impresa.<br />

Dopo molteplici tentativi di aggiornamento del Protocollo del 1993 e dopo<br />

63<br />

Il riordino dei<br />

livelli di<br />

contrattazione<br />

collettiva e il<br />

Protocollo del<br />

23 luglio 1993<br />

L’accordo<br />

“separato”<br />

del 2009


una lunga trattativa, il 22 gennaio 2009 le Associazioni imprenditoriali e<br />

CISL, UIL, UGL hanno sottoscritto un “Accordo quadro per la riforma<br />

degli assetti contrattuali”, della durata sperimentale di quattro anni. Già la<br />

denominazione di Accordo quadro mette sull’avviso che si tratta di una<br />

cornice, di un accordo destinato ad essere completato con altri accordi. Ed<br />

infatti il 15 aprile 2009 è stato stipulato, tra le stesse parti, un accordo per<br />

l’attuazione dell’accordo quadro del 22 gennaio 2009; analoga intesa è<br />

stata stipulata il 30 aprile per il pubblico impiego.<br />

L’accordo quadro, conferma i due livelli di contrattazione, nazionale e<br />

aziendale, cercando di valorizzare la contrattazione di secondo livello; esso<br />

porta inoltre a tre anni la durata dei contratti collettivi, sia per la parte<br />

normativa, sia per la parte economica.<br />

Per inciso va sottolineato che l’accordo quadro, così come i successivi<br />

accordi attuativi, non è stato sottoscritto dalla CGIL: si tratta di un cd.<br />

accordo separato. Dal che nascono delicati problemi applicativi (v. infra,<br />

cap. III, par. 9). Il 28 giugno 2011, peraltro, è stato stipulato un accordo<br />

interconfederale unitario, in cui nuovamente viene affrontata la questione<br />

delle competenze dei livelli di contrattazione collettiva: si prevede<br />

nuovamente un sistema articolato su due livelli, nazionale ed aziendale, in<br />

cui “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate,<br />

in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o<br />

dalla legge”.<br />

Ma la prospettiva che interessa maggiormente gli stipulanti, e che aveva<br />

fatto registrare il dissenso della CGIL in occasione della stipulazione<br />

dell’Accordo interconfederale del 2009, è quella dei limiti in cui il<br />

contratto aziendale può derogare in peius al contratto nazionale. È questo il<br />

tema oggi all’ordine del giorno non solo nel nostro ordinamento, ma in tutti<br />

gli ordinamenti europei che tradizionalmente hanno visto la centralità del<br />

64<br />

L’accordo<br />

“unitario” del<br />

28 giugno 2011<br />

La contrattazione<br />

aziendale<br />

derogatoria


contratto nazionale di categoria: consentire, ed anzi, incentivare, la<br />

contrattazione aziendale anche derogatoria rispetto alla disciplina del<br />

contratto nazionale, là dove si tratti di risolvere situazioni di crisi aziendali<br />

o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa. In<br />

questo accordo interconfederale si prevede espressamente che i contratti<br />

collettivi aziendali possono modificare le “regolamentazioni contenute nei<br />

contratti collettivi nazionali di lavoro”, sebbene “nei limiti e con le<br />

procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro”. Col<br />

che l’enfasi viene spostata dalla contrattazione aziendale migliorativa a<br />

quella peggiorativa. E le stesse parti stipulanti si preoccupano, a fronte<br />

delle sempre più frequenti manifestazioni di dissenso tra i sindacati<br />

tradizionali, di definire le condizioni per l’attribuzione di efficacia erga<br />

omnes ai contratti aziendali. Ovviamente, trattandosi di disciplina pattizia,<br />

è persino superfluo sottolinearlo, essa è priva di natura imperativa. E<br />

tuttavia il consenso ritrovato tra le principali organizzazioni sindacali, in<br />

relazione al ruolo del contratto nazionale e del contratto aziendale e in<br />

relazione ai criteri di misurazione della rappresentatività, gli conferiscono<br />

un’indubbia valenza pratico-giuridica (per via dell’efficacia persuasiva che<br />

l’accordo può avere sui sindacati di categoria e sulle rappresentanze in<br />

azienda).<br />

Ad ogni buon conto, dal fatto che in Italia il sistema della contrattazione<br />

collettiva sia comunque articolato su più livelli (principalmente,<br />

interconfederale, nazionale di categoria ed aziendale) deriva che un singolo<br />

rapporto di lavoro può trovare contestualmente disciplina in differenti<br />

contratti collettivi (interconfederale, nazionale di categoria, territoriale,<br />

aziendale). Nel caso di conflitto tra le discipline collettive astrattamente<br />

applicabili, si pone il problema giuridico di stabilire quale disciplina<br />

65


prevalga (è il problema del concorso-conflitto tra contratti di diverso<br />

livello, su cui si tornerà più avanti).<br />

3.4. L’ambito soggettivo di efficacia del contratto collettivo.<br />

Nell’esaminare i problemi giuridici posti dal contratto collettivo occorre<br />

distinguere tra parte normativa e parte obbligatoria del medesimo.<br />

Il primo problema giuridico posto dalla parte normativa del contratto<br />

collettivo concerne il suo ambito soggettivo di efficacia.<br />

Nel sistema corporativo il contratto collettivo aveva efficacia erga omnes<br />

(cioè trovava applicazione nei confronti di tutti coloro che appartenevano<br />

ad una data categoria, determinata autoritativamente a priori, e<br />

indipendentemente dall’iscrizione all’associazione sindacale).<br />

Analogamente, se fosse stato realizzato il sistema previsto dal Costituente<br />

nella seconda parte dell’art. 39, i contratti collettivi avrebbero avuto<br />

efficacia “obbligatoria” per tutti gli appartenenti alla categoria. Ma, come si<br />

è visto, la legge ordinaria organica che avrebbe dovuto attuare il sistema<br />

delineato dall’art. 39, seconda parte, Cost., non è mai stata emanata;<br />

cosicché il regime giuridico dei contratti collettivi può essere determinato<br />

solo con riferimento ai principi del diritto comune dei contratti (artt. 1321 e<br />

ss. c.c.).<br />

A tale stregua, si pone il problema di spiegare in quale modo un contratto<br />

collettivo, stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e da quelle<br />

dei datori di lavoro, possa dispiegare efficacia nella sfera giuridica di<br />

soggetti diversi, ossia nei confronti dei singoli lavoratori e dei singoli datori<br />

di lavoro.<br />

Per spiegare questa efficacia del contratto collettivo sul contratto<br />

individuale si è fatto riferimento all’istituto civilistico della rappresentanza.<br />

66<br />

Il contratto<br />

collettivo<br />

normativo e<br />

il suo<br />

ambito<br />

soggettivo<br />

di efficacia


Nel momento in cui il lavoratore e il datore di lavoro si iscrivono alle<br />

rispettive associazioni sindacali conferirebbero alle medesime il potere di<br />

determinare le condizioni di lavoro in loro nome e per loro conto. In altre<br />

parole, le associazioni sindacali, quando stipulano un contratto collettivo,<br />

agirebbero in qualità di rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori<br />

che vi sono iscritti.<br />

Se questo è vero, deve allora concludersi che il contratto collettivo dispiega<br />

efficacia unicamente nei confronti degli iscritti alle associazioni sindacali<br />

stipulanti, mentre coloro che non vi sono iscritti restano terzi rispetto al<br />

contratto collettivo. Ed invero, come noto, il contratto non può produrre, di<br />

norma, effetti ultra partes.<br />

Secondo i principi del diritto comune, quindi, il contratto collettivo avrebbe<br />

un’efficacia soggettiva limitata agli iscritti alle associazioni sindacali<br />

stipulanti.<br />

Questo, tuttavia, vale solo in via di prima approssimazione, poiché<br />

dottrina e giurisprudenza, ed in certi casi lo stesso legislatore, hanno<br />

cercato di dilatare l’ambito soggettivo di efficacia del contratto collettivo.<br />

Naturalmente il problema non si pone quando il singolo datore di lavoro e<br />

il singolo lavoratore, pur non iscritti alle associazioni sindacali che hanno<br />

stipulato il contratto collettivo, rinviino, nel contratto individuale di lavoro,<br />

alla disciplina contrattuale collettiva.<br />

E’, questa, una situazione frequente, perché difficilmente i contratti<br />

individuali di lavoro sono costruiti in modo tale da regolare tutti i possibili<br />

profili inerenti al rapporto di lavoro e, conseguentemente, rinviano, di<br />

norma, alla disciplina del contratto collettivo di riferimento.<br />

Questo rinvio, a sua volta, può essere esplicito, allorché il contratto<br />

individuale contenga un’espressa clausola di rinvio; ovvero implicito,<br />

quando, pur mancando una clausola espressa nel contratto individuale, le<br />

67<br />

L’efficacia<br />

soggettiva<br />

limitata agli<br />

iscritti<br />

secondo il<br />

diritto<br />

comune<br />

Le clausole di<br />

rinvio del<br />

contratto<br />

individuale<br />

alla disciplina<br />

del contratto<br />

collettivo<br />

Rinvio<br />

esplicito e<br />

rinvio per<br />

comportamenti<br />

concludenti


parti applichino di fatto, nei reciproci rapporti, la disciplina prevista dal<br />

contratto collettivo (rinvio tacito o per comportamento concludente).<br />

La giurisprudenza afferma che, perché si possa parlare di rinvio per<br />

comportamento concludente, non è necessario che le parti applichino nei<br />

propri rapporti il contratto collettivo nella sua integralità, essendo<br />

sufficiente che del contratto applichino parti importanti e significative. Se<br />

le parti applicano di fatto parti importanti e significative del contratto<br />

collettivo (ad es., la parte relativa alla retribuzione), si può presumere,<br />

secondo la giurisprudenza, che esse vogliano applicare integralmente la<br />

disciplina collettiva (Cass. 4 marzo 1996, n. 1672; Cass. 7 agosto 1998, n.<br />

7795).<br />

Il rinvio del contratto individuale al contratto collettivo può essere formale,<br />

quando il rinvio è alla fonte di produzione normativa, ossia non ad un<br />

determinato contratto collettivo, ma a tutti i contratti collettivi che si<br />

susseguono nel tempo (cosicché le parti rinviano già anche al contenuto<br />

dei periodici e successivi rinnovi del contratto collettivo); ovvero<br />

recettizio, quando il rinvio è al contratto collettivo vigente in quel<br />

momento, ed a quello soltanto.<br />

Nel caso del rinvio per comportamento concludente (cd. rinvio implicito),<br />

si ritiene che, in linea di massima, esso sia di tipo recettizio, perché le parti<br />

implicitamente esprimono la volontà di vincolarsi a quel testo contrattuale.<br />

Una conclusione diversa sarebbe possibile solo se, considerando un arco di<br />

tempo molto lungo, ci si avvedesse che le parti non iscritte alle associazioni<br />

sindacali, pur mancando nel loro contratto individuale di lavoro un rinvio<br />

esplicito, hanno sempre applicato di fatto i contratti collettivi che si sono<br />

succeduti nel tempo: probabilmente in una tale situazione si può ricostruire<br />

una volontà implicita di rinvio formale, cioè di vincolarsi stabilmente alla<br />

fonte di produzione normativa.<br />

68<br />

Rinvio<br />

formale o<br />

rinvio<br />

recettizio


3.4.1. (segue) Le operazioni estensive della giurisprudenza.<br />

Alcune deviazioni rispetto alla regola generale (per cui il contratto<br />

collettivo vincola solo gli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti) sono<br />

state introdotte dalla giurisprudenza. In particolare, la giurisprudenza ha<br />

tradizionalmente ritenuto non necessaria, ai fini dell’applicazione del<br />

contratto collettivo, l’iscrizione bilaterale. Sarebbe cioè sufficiente<br />

l’iscrizione del datore di lavoro all’associazione sindacale dei datori di<br />

lavoro che ha stipulato il contratto; mentre non sarebbe rilevante la mancata<br />

iscrizione del lavoratore alla rispettiva associazione sindacale. Secondo la<br />

giurisprudenza, nel momento in cui il lavoratore rivendica l’applicazione<br />

del contratto collettivo non farebbe altro che manifestare la propria volontà<br />

di aderire (ciò che è sempre giuridicamente possibile) alle previsioni del<br />

contratto collettivo, cui il datore di lavoro è già vincolato in forza della sua<br />

iscrizione al sindacato.<br />

Invero, nell’ipotesi appena menzionata, vale a dire di iscrizione del datore<br />

di lavoro e non iscrizione del lavoratore – in una situazione fisiologica di<br />

unicità del contratto collettivo nell’ambito della categoria –, di fatto non<br />

vengono a porsi particolari problemi. Ben difficilmente un datore di lavoro<br />

differenzierà la posizione dei propri dipendenti a seconda che essi siano<br />

iscritti o no alla associazione sindacale: se così operasse, infatti, dovrebbe<br />

sobbarcarsi l’onere di una doppia contabilità e, probabilmente,<br />

incentiverebbe la sindacalizzazione dei lavoratori.<br />

Il vero problema pratico sorge quando il datore di lavoro non sia iscritto<br />

all’associazione sindacale che ha stipulato il contratto collettivo. Infatti, in<br />

tale ultima ipotesi, egli potrebbe eccepire la sua assoluta estraneità al<br />

contratto collettivo, sottoscritto da soggetti cui non ha conferito alcun<br />

mandato rappresentativo. Di conseguenza, potrebbe pretendere di applicare<br />

69<br />

La sufficienza<br />

dell’iscrizione<br />

del datore ai<br />

fini<br />

dell’applicabi-<br />

lità del<br />

contratto<br />

collettivo<br />

nazionale


ai propri dipendenti condizioni economiche inferiori rispetto a quelle<br />

previste dal contratto collettivo. Va da sé che, se questo avvenisse ne<br />

verrebbe svilita la funzione economico-sociale del contratto collettivo (che<br />

nasce proprio per sovvenire alla situazione di debolezza contrattuale del<br />

lavoratore in cui si trova il lavoratore di fronte al datore di lavoro in un<br />

mercato del lavoro a lui sfavorevole).<br />

Così si spiega l’operazione giurisprudenziale “correttiva” delle<br />

conseguenze che si produrrebbero applicando il diritto comune dei<br />

contratti. Un’operazione che si basa sull’applicazione dell’art. 36 della<br />

Costituzione e dell’art. 2099 del codice civile.<br />

L’art. 36 Cost., primo co., dispone: “il lavoratore ha diritto ad una<br />

retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni<br />

caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia una esistenza libera e<br />

dignitosa”.<br />

Il primo problema che ha posto la norma costituzionale è se essa fosse da<br />

ritenere “programmatica” (richiedendosi in tal caso un intervento del<br />

legislatore ordinario per renderla operante nei rapporti interprivati) ovvero<br />

“precettiva” (cioè immediatamente applicabile nei suddetti rapporti).<br />

La soluzione in termini di qualificazione precettiva o programmatica non è<br />

scontata. In molti Paesi – pressoché in tutti i Paesi dell’Unione europea,<br />

oltre che negli Usa – vi sono disposizioni legislative che fissano i saggi<br />

minimi di salari, cosicché ben si potrebbe scorgere nell’art. 36 Cost. un<br />

rinvio alla legislazione per la determinazione di una “retribuzione<br />

proporzionata e sufficiente”.<br />

Tuttavia, già dalle prime sentenze degli anni ‘50, la Corte di cassazione<br />

(cfr., tra le tante, Cass. 5 febbraio 1958, n. 338) ha inteso questa norma<br />

come precettiva, cioè immediatamente applicabile ai rapporti interprivati.<br />

Ne consegue che il giudice potrebbe sindacare la clausola retributiva<br />

70<br />

L’estensione<br />

indiretta e<br />

parziale<br />

dell’applica-<br />

zione<br />

del contratto<br />

collettivo ex<br />

art. 36 Cost.


contenuta nel contratto individuale di lavoro al fine di verificare se sia<br />

rispettosa del precetto di cui all’art. 36 Cost. e, in caso contrario,<br />

dichiararla nulla per contrasto con la norma imperativa (ex art. 1418 c.c.).<br />

Ciò posto, occorre evidenziare che la giurisprudenza utilizza normalmente,<br />

come parametro di riferimento della “giusta retribuzione”, conforme ai<br />

criteri di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., i livelli<br />

salariali fissati dai contratti collettivi. La retribuzione determinata dal<br />

contratto collettivo è perciò assistita, secondo l’elaborazione<br />

giurisprudenziale, da una presunzione di conformità all’art. 36 Cost.<br />

La giurisprudenza della Corte di cassazione sottolinea come,<br />

nell’applicazione dell’art. 36 Cost., il riferimento alle clausole retributive<br />

del contratto collettivo sia per il giudice puramente orientativo. Al tempo<br />

stesso, però, ritiene che esso debba fornire adeguata motivazione delle<br />

ragioni per le quali, nello stabilire quale sia la retribuzione proporzionata e<br />

sufficiente, eventualmente si discosti dalle previsioni dei contratti collettivi;<br />

il che attribuisce a questi ultimi, in definitiva, un certo grado di<br />

vincolatività.<br />

I contratti collettivi nazionali di lavoro non distinguono, nel determinare i<br />

livelli retributivi, tra le diverse aree geografiche del Paese. Un datore di<br />

lavoro iscritto all’associazione sindacale firmataria, in qualunque area<br />

geografica si trovi ad operare, dovrà applicarne le previsioni. Ma se il<br />

datore di lavoro non è iscritto e, quindi, in linea teorica, è svincolato<br />

dall’osservanza del contratto collettivo (essendovi egli obbligato solo in via<br />

indiretta, in seguito all’applicazione dell’art. 36 Cost.), si può ipotizzare<br />

che un giudice ritenga proporzionata e sufficiente, per certe aree territoriali<br />

ad es. del Mezzogiorno, una retribuzione inferiore a quella prevista dal<br />

contratto collettivo nazionale. In effetti, qualche decisione (pur a fronte di<br />

altre di segno contrario) ha affermato che il giudice può tenere conto delle<br />

71<br />

Le tariffe<br />

retributive<br />

dei contratti<br />

collettivi<br />

come criterio<br />

orientativo<br />

per il giudizio<br />

La possibilità<br />

di differenziazione<br />

delle<br />

tariffe retributive<br />

a seconda<br />

delle<br />

aree geografiche<br />

del paese


condizioni locali del mercato del lavoro e del costo della vita (Cass. 26<br />

luglio 2001, n. 10260; Cass. 15 novembre 2001, n. 14211).<br />

Ciò posto in ordine al significato delle letture giurisprudenziali dell’art. 36<br />

Cost., occorre ora verificare con quali concrete modalità tale norma viene<br />

applicata. Ipotizziamo che un lavoratore ricorra in giudizio lamentando che<br />

la sua retribuzione non sarebbe proporzionata e sufficiente, con<br />

conseguente nullità della clausola retributiva del contratto individuale (in<br />

quanto contraria all’art. 36 Cost.). Il giudice verificherà se la retribuzione è<br />

conforme a quella prevista dal contratto collettivo e, nel caso in cui essa sia<br />

inferiore ed il giudice ritenga tale scostamento non ragionevole, dichiarerà<br />

la nullità della clausola retributiva del contratto individuale, che sarà<br />

sostituita dalla norma legale (art. 36 Cost.), così come specificata dalla<br />

clausola retributiva contenuta nel contratto collettivo.<br />

L’applicazione dell’art. 36 Cost. non determina, dunque, una diretta<br />

operatività del contratto collettivo sul contratto individuale; semplicemente,<br />

la norma costituzionale funge da norma imperativa che (riempita di<br />

contenuto attraverso il riferimento orientativo alle tariffe fissate dai<br />

contratti collettivi) provoca la nullità della clausola retributiva del contratto<br />

individuale e la sua sostituzione di diritto.<br />

La giurisprudenza fa spesso riferimento anche all’art. 2099 c.c. per<br />

sostenere questa operazione. La parte dell’art. 2099 c.c. che ci interessa è il<br />

secondo comma: “in mancanza di norme corporative o di accordo tra le<br />

parti, la retribuzione è determinata dal giudice tenuto conto del parere delle<br />

associazioni sindacali”.<br />

I giudici ricorrono in tal modo ad un’operazione giustamente definita in<br />

dottrina “barocca”: richiamano l’art. 2099, 2° co. c.c., ed equiparano la<br />

nullità della clausola retributiva del contratto individuale di lavoro,<br />

contrastante con l’art. 36 Cost., alla mancanza di clausola ex art. 2099 c.c.<br />

72


Ma, a ben vedere, questa operazione della giurisprudenza è poco rigorosa,<br />

perché equipara il diverso caso di mancanza della clausola retributiva a<br />

quello della sua nullità (per contrasto con l’art. 36 Cost.); essa è inoltre<br />

inutile, essendo sufficiente utilizzare l’art. 36 Cost., una volta che se ne sia<br />

affermata la natura di norma precettiva.<br />

Resta comunque il fatto che attraverso questa importantissima operazione<br />

giurisprudenziale, che muove dall’art. 36 Cost., si realizza, seppure<br />

indirettamente, un’estensione dell’efficacia del contratto collettivo<br />

(altrimenti teoricamente applicabile, come si è detto, ai soli iscritti ai<br />

sindacati stipulanti).<br />

Questa estensione concerne però solo le clausole retributive (oggetto<br />

dell’art. 36 Cost. è, infatti, solo la retribuzione). Non si può dunque parlare<br />

di un’estensione - sia pure indiretta - della disciplina del contratto collettivo<br />

nella sua interezza. Non solo: sebbene con una tesi giustamente contrastata<br />

in dottrina, alcuni giudici ritengono che unicamente la cd. retribuzione<br />

base sia suscettibile di questa estensione, come se le ulteriori voci<br />

retributive non rientrassero nella nozione di retribuzione proporzionata e<br />

sufficiente (ma autorevole dottrina sostiene la tesi contraria a tale<br />

orientamento giurisprudenziale).<br />

3.4.2. (Segue) Le operazioni estensive del legislatore.<br />

Anche il legislatore, pur non avventurandosi lungo la strada dell’attuazione<br />

dell’art. 39 Cost., ha cercato, in alcuni casi, di estendere l’ambito di<br />

efficacia degli attuali contratti collettivi oltre il limite degli iscritti alle<br />

associazioni sindacali stipulanti.<br />

73


L’intervento più importante in questo senso è rappresentato dalla legge<br />

delega 14 luglio 1959, n. 741. Attraverso questa legge il Parlamento ha<br />

delegato il Governo a fissare minimi inderogabili di trattamento economico<br />

e normativo e, nell’emanazione delle norme, il Governo avrebbe dovuto<br />

uniformarsi “a tutte le clausole dei singoli accordi economici e contratti<br />

collettivi, anche intercategoriali, stipulati dalle associazioni sindacali<br />

anteriormente all’entrata in vigore della legge”.<br />

“Trattamento economico e normativo” è espressione descrittiva, tratta dal<br />

linguaggio sindacale, nel quale si distingue tra retribuzione (trattamento<br />

economico) e altre condizioni di lavoro (trattamento normativo); essa è<br />

priva di una valenza tecnico-giuridica propria. Dal punto di vista giuridico,<br />

l’unica distinzione rilevante è quella, già vista, tra clausole normative e<br />

clausole obbligatorie.<br />

Dando attuazione alla delega, il Governo ha in effetti emanato i decreti<br />

delegati che fissano i minimi di trattamento economico, recependo quanto<br />

previsto dai contratti collettivi. Il Parlamento ha poi reiterato la delega per<br />

un anno e mezzo (legge 1 ottobre 1960, n. 1027). La legge delega e la legge<br />

di proroga di efficacia della delega hanno rappresentato una tecnica di<br />

estensione sostanziale ed indiretta dell’ambito di efficacia soggettiva dei<br />

contratti collettivi (infatti, venendone travasato il contenuto all’interno di<br />

un decreto legislativo, essi assumevano necessariamente efficacia erga<br />

omnes). Si è pertanto posto un problema di legittimità costituzionale, per<br />

contrasto della legge delega n. 741/1959 e della successiva legge n.<br />

1027/1960, con il disposto dell’art. 39, 2°, 3°, 4° co., sul presupposto che la<br />

legge delega (e la legge di proroga della delega) avrebbero determinato una<br />

sostanziale elusione della seconda parte dell’art. 39 Cost., attribuendo di<br />

fatto efficacia erga omnes ai contratti collettivi secondo modi e forme<br />

diversi da quelli prefigurati dalla Costituzione.<br />

74<br />

I minimi di<br />

trattamento<br />

“economico e<br />

normativo”<br />

ex l. n. 74 del<br />

1959


La Corte costituzionale, investita della questione, ha respinto – con la<br />

sentenza 19 dicembre 1962, n. 106 – l’eccezione di illegittimità<br />

costituzionale sollevata nei riguardi della legge n. 741/59, accogliendola<br />

invece per l’art. 2 della legge di proroga del 1960. La Corte ha elaborato la<br />

tesi della cd. costituzionalità provvisoria. Secondo la Consulta, il<br />

meccanismo ex lege n. 741/59 può considerarsi come un meccanismo<br />

provvisorio per raggiungere lo stesso effetto che conseguirebbe<br />

dall’attuazione dell’art. 39 della Cost., nell’attesa che ciò avvenga. Ma se il<br />

sistema da provvisorio tende a diventare permanente – come sarebbe<br />

dimostrato dalla legge di proroga dell’efficacia temporale della delega –<br />

allora se ne dovrebbe affermare l’incostituzionalità.<br />

Peraltro, il ragionamento sotteso a questa pronuncia della Corte<br />

costituzionale non è esente da un’imprecisione logica, perché fa coincidere<br />

la “provvisorietà” con l’unicità della delega: non può, in altri termini,<br />

escludersi la provvisorietà solo perché il legislatore con legge successiva ha<br />

“prorogato” la delega. In realtà la Corte ha voluto impedire in radice la<br />

reiterazione di un meccanismo che, se lasciato operare nel tempo, avrebbe<br />

effettivamente eluso quanto previsto dall’art. 39 Cost.<br />

Di tutt’altro tipo è la vicenda legislativa relativa all’estensione indiretta<br />

dell’efficacia dei contratti collettivi aziendali, conseguita mediante<br />

l’applicazione dell’art. 36 dello Statuto dei lavoratori. Tale norma<br />

prevede che, nei provvedimenti di concessione di benefici finanziari a<br />

carico dello Stato e nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione di opere<br />

pubbliche, debba essere inserita una clausola esplicita che obblighi il<br />

beneficiario o l’appaltatore ad applicare trattamenti non inferiori a quelli<br />

stabiliti dai contratti collettivi. Conseguentemente, il beneficiario e<br />

l’appaltatore hanno l’onere di applicare “condizioni non inferiori a quelle<br />

75<br />

Incostituzio-<br />

nalità della<br />

proroga della<br />

delega: la<br />

teoria della<br />

costituziona-<br />

lità<br />

provvisoria<br />

Onere di<br />

applicazione<br />

dei minimi<br />

contrattuali<br />

per<br />

appaltatori di<br />

opere<br />

pubbliche e<br />

beneficiari di<br />

agevolazioni<br />

finanziare a<br />

carico dello<br />

Stato ex art.<br />

36 St. lav.


isultanti dai contratti collettivi” indipendentemente dalla loro iscrizione ai<br />

sindacati.<br />

Trattasi in definitiva di un’altra ipotesi di estensione dell’efficacia dei<br />

contratti collettivi oltre gli appartenenti alle associazioni sindacali<br />

stipulanti. In questo caso, però, non si pone il problema di costituzionalità:<br />

con riferimento all’art. 36 St. lav. non si può parlare di efficacia<br />

obbligatoria del contratto collettivo, perché l’art. 36 non fonda un obbligo<br />

in capo a soggetti non iscritti alle associazioni sindacali di applicarlo:<br />

l’applicazione di trattamenti non inferiori a quelli stabiliti dai contratti<br />

collettivi costituisce, infatti, solamente un onere per l’imprenditore che<br />

voglia accedere a questi benefici o aggiudicarsi l’appalto.<br />

La tecnica di estensione de facto (indiretta) dell’efficacia del contratto<br />

collettivo è stata applicata nel tempo anche in altri casi (ad es., in<br />

determinati periodi, per la fiscalizzazione degli oneri di previdenza sociale<br />

a carico del datore di lavoro).<br />

3.5. Inderogabilità del contratto collettivo da parte del contratto<br />

individuale.<br />

Per capire come il contratto collettivo spieghi efficacia sul contratto<br />

individuale si è fatto ricorso al meccanismo della rappresentanza (le<br />

associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo sarebbero<br />

rappresentanti dei singoli datori di lavoro e lavoratori).<br />

Se utilizziamo l’istituto della rappresentanza, dobbiamo però concludere<br />

che il singolo lavoratore ed il singolo datore di lavoro, pur essendo iscritti<br />

alle rispettive associazioni sindacali, possono, stipulando il contratto<br />

individuale di lavoro, regolare diversamente il loro rapporto rispetto a<br />

76


quanto stabilito dal contratto collettivo, perché, essendo i rappresentati i<br />

domini negotii, hanno la piena titolarità del potere contrattuale. Così<br />

verrebbe, però, del tutto vanificata la funzione economico-sociale del<br />

contratto collettivo (che consiste, come più volte ribadito, nel rimuovere la<br />

debolezza negoziale dei lavoratori uti singuli nei confronti dei datori di<br />

lavoro).<br />

L’insufficienza di questa soluzione, fondata sul solo istituto civilistico della<br />

rappresentanza, ha portato prima la dottrina e poi la giurisprudenza a<br />

negarne la validità e a cercare di fondare comunque, con diverse<br />

argomentazioni, l’inderogabilità in peius del contratto collettivo da parte<br />

del contratto individuale.<br />

In un primo tempo, un civilista, Francesco Santoro Passarelli ha fatto<br />

riferimento alla normativa sul mandato conferito anche nell’interesse del<br />

mandatario o di terzi, ex art. 1723, 2° co., c.c. Questa dottrina si è basata<br />

sull’irrevocabilità del mandato conferito anche nell’interesse del<br />

mandatario o di terzi per argomentare l’inderogabilità del contratto<br />

collettivo. Poiché, in base all’art. 1723 c.c., il mandato conferito anche<br />

nell’interesse del mandatario o di terzi “non si estingue per revoca del<br />

mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta causa di<br />

revoca”, se ne è inferita la superiorità dell’interesse collettivo sull’interesse<br />

individuale e, dunque, l’inderogabilità del contratto collettivo da parte del<br />

contratto individuale.<br />

Altra dottrina (A. Cessari) ha elaborato la teoria della dismissione dei<br />

poteri negoziali: i lavoratori e i datori di lavoro, nel momento in cui si<br />

iscrivono al sindacato, dismetterebbero il proprio potere di regolazione<br />

autonoma del rapporto contrattuale. Ammettendo che ciò sia vero - vale a<br />

dire che l’iscrizione al sindacato possa essere interpretata come dismissione<br />

del proprio potere di regolazione autonoma del rapporto di lavoro - ne<br />

77<br />

Il fondamento<br />

della<br />

inderogabilità<br />

in peius<br />

La normativa<br />

sul<br />

concordato<br />

collettivo e la<br />

prevalenza<br />

dell’interesse<br />

individuale<br />

su quello<br />

collettivo<br />

La teoria della<br />

dismissione dei<br />

poteri


conseguirebbe, tuttavia, unicamente l’obbligo dei singoli lavoratori e dei<br />

singoli datori di lavoro di mantenere ferma la disciplina posta a livello<br />

collettivo. Nel momento in cui i singoli stipulassero un contratto<br />

individuale difforme da quanto previsto dal contratto collettivo, non si<br />

potrebbe in alcun modo argomentare la nullità delle clausole difformi del<br />

contratto individuale; nullità che potrebbe derivare solo dalla violazione di<br />

una norma imperativa. Quand’anche questa costruzione, così come quella<br />

precedente, fosse fondata, ne potrebbe conseguire solo una responsabilità<br />

(di tipo risarcitorio) nei confronti dell’associazione sindacale, per non aver<br />

tenuta ferma la disciplina collettiva, non la nullità delle clausole individuali<br />

difformi.<br />

Per poter argomentare l’efficacia reale del contratto collettivo sul contratto<br />

individuale (cioè appunto la nullità delle clausole individuali difformi e<br />

l’automatica sostituzione con quelle del contratto collettivo) occorrerebbe<br />

una norma di legge che attribuisse al contratto collettivo la stessa forza<br />

della norma imperativa. Come si ricorderà, questa era la conclusione cui<br />

già perveniva Messina, ragionando, nel periodo pre-corporativo,<br />

unicamente sulla base del diritto comune (vedi retro cap. I, par. 4).<br />

La giurisprudenza ritiene di poter rinvenire questa norma nell’art. 2077 c.c.<br />

di cui afferma la perdurante vigenza. La disposizione, così come tutte le<br />

disposizioni del codice civile sul contratto collettivo, disciplina il contratto<br />

collettivo stipulato nel periodo corporativo, affermando il principio della<br />

inderogabilità in peius del contratto collettivo ad opera del contratto<br />

individuale. Secondo la giurisprudenza, la norma è applicabile (ed<br />

addirittura in via diretta e non analogica) anche agli odierni contratti<br />

collettivi cd. di diritto comune, perché l’inderogabilità sarebbe una<br />

caratteristica intrinseca ad ogni contratto collettivo, senza la quale esso<br />

78<br />

La giurisprudenza<br />

e la tesi<br />

della perdurante<br />

vigenza<br />

dell’art. 2077<br />

c.c.


perderebbe la sua tipica funzione economico-sociale di tutela del lavoratore<br />

- contraente debole.<br />

La dottrina ha, peraltro, sempre criticato questo orientamento, affermando<br />

che la giurisprudenza dà per scontato quel che invece sarebbe da<br />

dimostrare: cioè la coessenzialità del requisito della inderogabilità in peius<br />

ad ogni tipo di contratto collettivo.<br />

Si intende, neppure la dottrina dubita dell’inderogabilità del contratto<br />

collettivo da parte del contratto individuale; e la storia dell’inderogabilità è<br />

la storia dei tentativi dottrinali di fondarla.<br />

Per argomentare l’efficacia reale del contratto collettivo, la dottrina<br />

attualmente si basa sul disposto dell’art. 2113 c.c., novellato dalla legge 11<br />

agosto 1973, n. 533, che ha riformato il processo del lavoro e che<br />

stabilisce: “Le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del<br />

prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei<br />

contratti o accordi collettivi, concernenti i rapporti di cui all’art. 409 del<br />

codice di procedura civile, non sono valide”.<br />

Nel 1973, il legislatore mette dunque sullo stesso piano le disposizioni<br />

inderogabili della legge e quelle del contratto collettivo: dall’art. 2113 c.c.<br />

può desumersi che le disposizioni del contratto collettivo non dichiarate<br />

derogabili dalle parti concorrono a definire la disciplina del rapporto<br />

individuale di lavoro alla stessa stregua delle disposizioni inderogabili di<br />

legge.<br />

La dottrina ha dunque trovato finalmente nell’art. 2113 c.c. il fondamento<br />

dell’inderogabilità in peius (e della derogabilità in melius) del contratto<br />

collettivo, cui la giurisprudenza, come visto, arriva per altra via, cioè<br />

applicando l’art. 2077 c.c.<br />

In altre parole, nella soluzione del problema del rapporto tra contratto<br />

collettivo e contratto individuale, giurisprudenza e dottrina pervengono alla<br />

79<br />

La desumibilità<br />

della regola<br />

della<br />

inderogabilità<br />

in peius<br />

dall’art. 2113<br />

c.c.


medesima conclusione, pur divergendo per le argomentazioni utilizzate per<br />

affermarla.<br />

***<br />

Una volta stabilito che, nei rapporti tra contratto collettivo - ovviamente<br />

applicabile tra le parti - e contratto individuale, la regola è quella della<br />

derogabilità in melius e della inderogabilità in peius, si pone il problema<br />

di stabilire, in concreto, se, in caso di disciplina difforme del contratto<br />

individuale rispetto a quello collettivo, questa sia migliorativa ovvero<br />

peggiorativa per il lavoratore.<br />

Astrattamente, il raffronto potrebbe essere effettuato in due diversi modi: si<br />

potrebbe procedere ad un raffronto del contenuto dei due contratti nella<br />

loro interezza; ovvero procedere ad un confronto analitico clausola per<br />

clausola.<br />

Entrambi i metodi di raffronto sono criticabili. Il primo criterio, quello del<br />

confronto globale, è impraticabile perché vorrebbe mettere a confronto<br />

disposizioni del tutto eterogenee e quindi incommensurabili (ad es., misura<br />

della retribuzione e durata delle ferie).<br />

Il secondo criterio, quello del raffronto clausola per clausola, è, a sua volta,<br />

inappagante, poiché cogliendo il fior da fiore, cioè cumulando il meglio del<br />

contratto collettivo con il meglio del contratto individuale, finisce per<br />

costruire un regolamento di interessi non voluto né dai contraenti collettivi<br />

né dai contraenti individuali.<br />

Non a caso è dunque prevalso un criterio intermedio: il raffronto va<br />

effettuato istituto per istituto. Non si procede, dunque, ad un raffronto tra<br />

l’intero contenuto dei due contratti, né un raffronto clausola per clausola,<br />

ma per l’insieme omogeneo di clausole che costituiscono “un istituto” (ad<br />

es. la malattia).<br />

80<br />

I criteri di<br />

raffronto tra<br />

contratto<br />

collettivo e<br />

contratto<br />

individuale<br />

Raffronto<br />

istituto per<br />

istituto


Col che non si sono risolti tutti i problemi perché incerti sono anche i<br />

confini di ciò che si deve intendere per istituto. Prendiamo ad esempio la<br />

retribuzione. La struttura della retribuzione, così come viene determinata<br />

dai contratti collettivi, è complessa, essendo essa composta da diversi<br />

elementi. Alla retribuzione base si affiancano una serie di emolumenti e di<br />

indennità di natura retributiva, variamente denominate (ad es. tredicesima<br />

mensilità, supplemento per lavoro festivo, indennità di turno, supplemento<br />

per il lavoro straordinario, ecc.). Si pone, pertanto, il problema di stabilire<br />

se la retribuzione nel suo complesso debba considerarsi come un istituto<br />

unico oppure se le singole componenti siano esse stesse da considerarsi<br />

come istituti distinti (con la conseguenza che, se si ritenesse, ad esempio, il<br />

compenso per lavoro straordinario come un istituto autonomo, non si<br />

potrebbe compensare l’eventuale minor supplemento per lo straordinario<br />

previsto dal contratto individuale con altri elementi retributivi migliorativi).<br />

La tesi assolutamente prevalente è che la retribuzione nel suo complesso sia<br />

un istituto unico: ciò che rileva è che la retribuzione complessivamente<br />

dovuta in base al contratto individuale non sia inferiore alla retribuzione<br />

complessivamente prevista sulla base del contratto collettivo.<br />

Il rilievo di tale orientamento è evidente rispetto al problema del cd.<br />

assorbimento dei superminimi. Supponiamo che il contratto collettivo<br />

preveda, a fronte dello svolgimento di una determinata mansione, una<br />

retribuzione pari a 100, mentre il contratto individuale preveda una<br />

retribuzione pari a 120. La differenza, pari a 20, costituisce il cd.<br />

superminimo, cioè la quota della retribuzione ottenuta in sede di<br />

negoziazione individuale, che si aggiunge a quella minima inderogabile<br />

dovuta sulla base del contratto collettivo.<br />

Se, a seguito del rinnovo del contratto collettivo, la retribuzione ivi prevista<br />

viene portata a 110, il lavoratore conserverà il superminimo di 20 (con<br />

81<br />

La regola del<br />

riassorbimento<br />

dei<br />

superminimi<br />

retributivi


etribuzione finale pari a 130) o vi sarà un assorbimento di tutto o parte del<br />

superminimo nella retribuzione base? La giurisprudenza tende a ritenere<br />

che la regola sia quella dell’assorbimento: il lavoratore, a meno che non<br />

dimostri (incombendo su di lui l’onere della prova) che quel superminimo è<br />

stato pattuito intuitu personae, per particolari meriti individuali (Cass. 22<br />

gennaio 1979, n. 491, Cass. 11 ottobre 1989, n. 4064), conserverà così una<br />

retribuzione complessiva sempre pari a 120.<br />

Questo orientamento della giurisprudenza è appunto determinato dal fatto<br />

che si considera la retribuzione come un istituto unitario, mettendo a<br />

confronto l’intero livello retributivo previsto dal contratto collettivo con<br />

l’intero livello retributivo previsto dal contratto individuale. Se si ritenesse,<br />

al contrario, che la retribuzione-base e il superminimo fossero istituti<br />

distinti si dovrebbe arrivare alla soluzione opposta, vale a dire quella del<br />

cumulo e non dell’assorbimento.<br />

3.6. La successione dei contratti collettivi nel tempo e il problema dei<br />

diritti quesiti.<br />

Il principio della inderogabilità in peius opera solo nei rapporti tra<br />

contratto collettivo e contratto individuale di lavoro; esso non opera nel<br />

caso di successione di contratti collettivi nel tempo (un contratto<br />

collettivo successivo può modificare in peius per il lavoratore il trattamento<br />

previsto dal precedente contratto collettivo, senza che possa ostarvi il<br />

principio dei cd. diritti acquisiti). Non esiste infatti un diritto alla<br />

intangibilità del regolamento contrattuale.<br />

Questa conclusione risulta chiara se si considera che il contratto collettivo<br />

non si “incorpora” nel contratto individuale. Il contratto collettivo<br />

82<br />

Il contratto<br />

collettivo<br />

conforma<br />

dall’esterno il<br />

contratto<br />

individuale e<br />

non si<br />

“incorpora”<br />

in esso


conforma solamente dall’esterno, operando al pari di una norma imperativa<br />

di legge, il contenuto del contratto individuale di lavoro e non si incorpora<br />

in esso, come per un certo tempo erroneamente si era creduto. Di<br />

conseguenza è ben possibile che un contratto collettivo modifichi<br />

peggiorativamente, per il futuro, il trattamento previsto da un contratto<br />

collettivo precedente.<br />

Di diritto quesito si può parlare propriamente e correttamente in un altro<br />

senso: cioè nel senso che il contratto collettivo non può disporre dei diritti<br />

che sono già maturati e entrati nel patrimonio del lavoratore sulla base della<br />

preesistente regolamentazione contrattuale.<br />

Si ipotizzi che il contratto collettivo preveda una retribuzione pari a 100 e<br />

che un successivo contratto collettivo preveda una retribuzione pari a 80. Si<br />

ponga anche l’ipotesi che questo successivo contratto collettivo preveda la<br />

propria efficacia retroattiva (il che è perfettamente ammissibile perché l’art.<br />

11, 2° co., delle disposizioni preliminari del codice civile, in base al quale<br />

“i contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro efficacia una<br />

data anteriore alla pubblicazione, purché non preceda quella della<br />

stipulazione”, concerne solo i contratti collettivi corporativi).<br />

Il contratto collettivo peggiorativo con efficacia retroattiva incontra,<br />

appunto, il limite dei diritti quesiti (nel caso di specie, il diritto già maturato<br />

ad una retribuzione pari a 100). Infatti, il contratto collettivo successivo<br />

può sempre modificare in peius quello precedente, ma solo per il futuro. Il<br />

contratto collettivo non può invece incidere sul passato o, per meglio dire,<br />

sui diritti dei lavoratori che siano già sorti e siano già entrati nel patrimonio<br />

giuridico di questi ultimi.<br />

La regola – tradizionale – della indisponibilità da parte del contratto<br />

collettivo dei diritti quesiti dei lavoratori non discende dall’art. 2113 c.c.<br />

che si limita a disciplinare gli atti di disposizioni individuali; essa discende<br />

83<br />

La<br />

successione<br />

di contratti<br />

collettivi e il<br />

problema dei<br />

diritti quesiti


sostanzialmente dall’interpretazione del contenuto mandato sindacale,<br />

poiché si ritiene che il mandato conferito dai lavoratori al sindacato<br />

comprenda solo il potere di regolare rapporti di lavoro, non di disporre dei<br />

diritti già entrati a far parte del patrimonio dei singoli. Una disposizione di<br />

tali diritti necessiterebbe di un atto individuale (nei limiti dell’art. 2113<br />

c.c.).<br />

Nulla vieta invece al contratto collettivo, come detto, di introdurre per il<br />

futuro un trattamento peggiore di quello previsto dal precedente contratto<br />

collettivo, poiché in tal caso il lavoratore non è ancora titolare di un diritto<br />

(che in effetti non è ancora maturato), ma di una mera aspettativa alla<br />

percezione, in futuro, di un certo trattamento economico.<br />

Il problema dei diritti quesiti nasce, non soltanto con riguardo ai contratti<br />

collettivi peggiorativi con efficacia retroattiva, ma anche con riguardo ai<br />

cd. contratti collettivi transattivi. Poniamo il caso che sorga una<br />

controversia sull’interpretazione di una clausola del contratto collettivo<br />

relativa, ad esempio, ad un elemento della retribuzione. Le parti contrattuali<br />

che avevano stipulato il contratto collettivo su cui è sorta la controversia<br />

possono comporla stipulando un nuovo contratto, appunto, transattivo, in<br />

cui si prevede che i lavoratori, per il passato, abbiano diritto a percepire una<br />

determinata somma, mentre per il futuro varrà una nuova disciplina della<br />

materia.<br />

È evidente che i contratti collettivi transattivi finiscono per scontrarsi con il<br />

principio dei diritti quesiti, per la parte in cui vanno ad incidere su diritti<br />

già maturati ed entrati a far parte del patrimonio dei lavoratori. Ed analogo<br />

problema sorge per i contratti collettivi interpretativi.<br />

84<br />

I contratti<br />

collettivi<br />

transattivi e<br />

interpretativi


3.7. Il rapporto tra legge e contratto collettivo.<br />

Il contratto collettivo è un atto giuridico del tutto peculiare, che si può<br />

definire al tempo stesso contratto ed atto normativo. Infatti, pur operando<br />

sul contratto individuale alla stregua di una norma imperativa di legge, esso<br />

rimane pur sempre un contratto e da questa qualificazione contrattuale<br />

discende una serie di conseguenze.<br />

Talora si discute se esso possa essere considerato una fonte e, in caso<br />

positivo, quale tipo di fonte. Certamente non può essere considerato una<br />

fonte di diritto obiettivo, come il contratto collettivo corporativo,<br />

espressamente incluso nell’elenco delle fonti dall’art. 1 delle disposizioni<br />

preliminari del codice civile (“Sono fonti del diritto: 1. le leggi; 2. i<br />

regolamenti; 3. le norme corporative; 4. gli usi”).<br />

Neppure può essere considerato assurto tra le fonti del diritto in seguito al<br />

d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che ha introdotto, tra i motivi di ricorso per<br />

cassazione, la violazione o la falsa applicazione dei “contratti e accordi<br />

collettivi nazionali di lavoro”, estendendo così il regime già previsto per il<br />

pubblico impiego (v. ora art. 63 ult. co. d. lgs. 165/2001) anche al contratto<br />

collettivo nel settore privato. La norma non necessariamente implica che il<br />

contratto collettivo sia considerato come fonte: la funzione nomofilattica<br />

della Corte di cassazione si può spiegare con la necessità di controllare<br />

tanto l’interpretazione quanto l’applicazione di tutte le norme giuridiche<br />

provviste di un certo grado di generalità, comprendendo in tale categoria<br />

anche le norme poste da fonti extrastatuali (così la dottrina processualistica,<br />

in particolare B.Sassani).<br />

Ad esempio, al contratto collettivo si applicano le disposizioni dettate dal<br />

codice civile per l’interpretazione dei contratti (artt. 1362 ss. c.c.). Ancora,<br />

poiché il contratto collettivo è un atto di autonomia privata non vale il<br />

85<br />

Il contratto<br />

collettivo non<br />

è fonte di<br />

diritto<br />

obiettivo<br />

Contratto<br />

collettivo e<br />

ricorribilità in<br />

Cassazione<br />

Contratto<br />

collettivo e<br />

interpretazione


principio iura novit curia e, dunque, chi agisce in giudizio sulla base dello<br />

stesso ha l’onere di produrlo.<br />

Inoltre, il contratto collettivo è sottordinato rispetto alla legge: le sue<br />

clausole non possono derogare a norme imperative di legge. Più<br />

precisamente, il contratto collettivo (come quello individuale) non può<br />

derogare in peius alle norme imperative di legge, mentre può derogarvi in<br />

melius.<br />

L’inderogabilità è dunque relativa, non assoluta, essendo vietate solo le<br />

deroghe peggiorative per il lavoratore. La regola dell’inderogabilità<br />

unilaterale risponde alla stessa natura del diritto del lavoro, che nasce come<br />

disciplina protettiva dei lavoratori. Una disposizione che deroghi in melius<br />

ad una norma imperativa di legge non si pone perciò in contrasto con<br />

quest’ultima, giacché non fa altro che sviluppare il programma protettivo<br />

del lavoratore contenuto nelle stesse disposizioni di legge.<br />

Se questa è la regola generale che governa i rapporti tra legge ed<br />

autonomia collettiva, va tuttavia osservato che essa incontra alcune<br />

eccezioni.<br />

In certi casi, infatti, la legge ha consentito ai contratti collettivi di disporre<br />

anche in peius rispetto alla stessa (v. da ultimo art. 8, l. n. 148/2011); in<br />

altri casi la legge ha previsto la sua inderogabilità assoluta, con<br />

conseguente nullità delle clausole dei contratti collettivi derogative sia in<br />

peius sia in melius (come è avvenuto, ad es., per quelle disposizioni che<br />

hanno posto tetti massimi alla dinamica dell’indennità di contingenza, con<br />

il fine di contenere l’andamento del costo del lavoro e, attraverso di esso,<br />

dell’inflazione: cfr. legge 31 marzo 1977, n. 91; legge 12 giugno 1984, n.<br />

219; legge 26 febbraio 1986, n. 38).<br />

Negli anni ’90 del secolo scorso il legislatore ha spesso consentito in<br />

ipotesi specifiche (v. ad es. art. 4, co. 11°, l. n. 223 del 1991), ai contratti<br />

86<br />

La regola<br />

della<br />

inderogabilità<br />

in peius delle<br />

norme<br />

interpretative<br />

di legge<br />

L’emergere di<br />

norme<br />

semimperative<br />

in quanto<br />

derogabili<br />

anche in peius<br />

dai contratti<br />

collettivi<br />

L’art. 8 della<br />

l. n. 148 del<br />

2011


collettivi di derogare a norme imperative di legge, flessibilizzandone il<br />

contenuto (si è aperta in quel periodo la stagione della flessibilità<br />

contrattata o controllata dal sindacato); con l’art. 8, della l. n. 148 del 2011<br />

si è attribuito ai contrati collettivi, però solo aziendali e territoriali, il potere<br />

di derogare non solo alle disposizioni contenute nei contratti nazionali ma<br />

anche alle disposizioni imperative di legge in una ampia serie di materie;<br />

disposizioni che così divengono semimperative.<br />

A questi contratti è stata attribuita anche efficacia erga omes. L’ampiezza<br />

delle materie nell’ambito delle quali la disciplina è derogabile dai contratti<br />

collettivi indica una chiara tendenza alla ritrazione delle norme<br />

inderogabili, sul presupposto dell’esistenza di un doppio livello di<br />

imperatività: quello irrinunciabile, segnato dalle norme costituzionali<br />

comunitarie ed internazionali, e quello derivante dalla legge ordinaria su<br />

cui il legislatore può sempre incidere. E in questo caso egli l’ha fatto<br />

indirettamente, accordando tale potere ai contratti collettivi.<br />

Nel caso di norma di legge che fissi tetti massimi alla contrattazione<br />

collettiva sancendo la propria assoluta inderogabilità, si pone un problema<br />

di legittimità costituzionale, giacché il principio di libertà sindacale, di cui<br />

al 1° co. dell’art. 39 Cost., implica, come si è visto, anche la libertà di<br />

azione sindacale, che a sua volta implica la libertà di contrattazione.<br />

In effetti, con riferimento alle norme introdotte in materia di indennità di<br />

contingenza, tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, del secolo<br />

scorso, la Corte costituzionale è stata investita a più riprese della questione.<br />

In un primo momento, la Corte costituzionale (cfr. Corte cost. n. 141/1980)<br />

ha “eluso” il problema, limitandosi ad osservare che, fino a quando l’art. 39<br />

Cost. non fosse attuato, non si porrebbe nemmeno il problema del contrasto<br />

tra attività normativa del Parlamento e attività normativa del sindacato (ma<br />

l’argomentazione non convince, perché l’ipotizzato contrasto non<br />

87<br />

Eccezioni<br />

alla regola<br />

della<br />

derogabilità<br />

in melius: i<br />

cd. massimi<br />

legislativi


iguardava la seconda parte dell’art. 39 Cost., bensì il primo comma, che è<br />

norma immediatamente precettiva).<br />

In una seconda sentenza (v. Corte cost. n. 34/1985) la Corte ha avuto modo<br />

di effettuare un’ulteriore precisazione: dall’art. 39 Cost. non deriva una<br />

riserva di competenza normativa a favore delle associazioni sindacali in<br />

materia di lavoro e, là dove interessi generali debbano essere perseguiti, il<br />

legislatore può sempre intervenire, anche limitando l’azione contrattuale<br />

delle associazioni sindacali. E’ stato però lasciato in ombra il problema dei<br />

limiti all’intervento legislativo.<br />

Solo successivamente, nella sentenza n. 697 del 1988, la giurisprudenza ha<br />

cominciato ad affrontare anche questo profilo, per trattarne infine in modo<br />

consapevole nella sentenza Corte cost. n. 124 del 1991 (nonostante che la<br />

questione di legittimità costituzionale fosse stata in questo caso sollevata in<br />

relazione all’art. 36 Cost.). Sebbene riferita alle limitazioni legali del<br />

meccanismo d’indicizzazione dei salari, contenuto nel d.l. 1 febbraio 1977,<br />

n. 12, la decisione contiene indicazioni che vanno ben oltre la specifica<br />

questione esaminata, in particolare il monito che interventi coercitivi da<br />

parte della legge, sotto forma di limiti massimi alla contrattazione<br />

collettiva, sono ammissibili solo per ragioni eccezionali, o in situazioni di<br />

emergenza, e di conseguenza devono essere di natura transitoria.<br />

3.8. Gli accordi di concertazione.<br />

La cd. politica concertativa ha interessato il nostro diritto sindacale dagli<br />

anni ’80 in poi. Inizialmente, nell’ambito della politica dei redditi, si sono<br />

stipulati accordi tra le cd. “parti sociali” (cioè le associazioni sindacali dei<br />

datori di lavoro e quelle dei lavoratori) da una parte, ed il Governo,<br />

dall’altra: si è trattato di accordi trilaterali, per i quali viene utilizzato il<br />

88<br />

Le politiche<br />

concertative<br />

dagli anni ’80<br />

in poi


nome di “protocolli”, generalmente finalizzati, come si è detto, alla<br />

definizione delle politiche dei redditi.<br />

Il primo, più significativo, accordo di concertazione è quello del 22 gennaio<br />

1983. Anche il famoso Protocollo del 23 luglio 1993 è un accordo di<br />

concertazione, perché contiene, non solo una parte relativa alle RSU e agli<br />

assetti della contrattazione collettiva, ma anche una parte che specifica gli<br />

impegni, assunti dal Governo, in materia di politica fiscale, di politica<br />

tariffaria, etc.<br />

Nel 1998 con il cd. “Patto di Natale” (stipulato il 22 dicembre) addirittura il<br />

metodo concertativo viene delineato come strutturale: vi si prevede infatti<br />

che, per le materie di politica sociale che comportino un impegno a carico<br />

del bilancio dello Stato, il Governo proceda ad un confronto preventivo con<br />

le parti sociali, stabilendo anche il termine per la formulazione di<br />

valutazioni ed eventuali proposte collettive. Sostanzialmente tutte le<br />

decisioni che attengono alla politica sociale dovrebbero, in base<br />

all’accordo, passare attraverso questo tavolo concertativo.<br />

Il Libro bianco sul mercato del lavoro dell’ottobre 2001 (che contiene le<br />

linee di politica del lavoro del governo allora in carica) adotta, nei confronti<br />

della concertazione, un atteggiamento ambiguo. Da un lato, preferisce<br />

usare l’espressione dialogo sociale in luogo dell’espressione abituale<br />

“concertazione”, mutuando la nuova terminologia dal contesto comunitario.<br />

In effetti, il Trattato istitutivo della Comunità europea, modificato con il<br />

Trattato di Amsterdam nel 1999, prevede che, prima di assumere una<br />

qualsiasi iniziativa di tipo legislativo in materia di politica sociale, la<br />

Commissione convochi le associazioni sindacali europee dei lavoratori e<br />

dei datori di lavoro, chiedendo se non intendano adottare esse stesse una<br />

disciplina di natura contrattual-collettiva. Questa eventuale disciplina<br />

89<br />

Dalla<br />

concertazione<br />

al dialogo<br />

sociale


contrattuale può essere recepita poi in una decisione del Consiglio (art. 155<br />

TFUE).<br />

Dunque, il Libro bianco mutua il termine dialogo sociale dal diritto<br />

comunitario. La soluzione del Libro bianco si ispira alla metodologia<br />

comunitaria: solo nel caso di rifiuto delle parti sociali di impegnarsi in un<br />

negoziato, l’iniziativa legislativa promanante dal Governo o dalla Regione<br />

potrà prendere il suo corso. Nel caso, invece, in cui un negoziato sia<br />

concluso positivamente, si prevede l’impegno del Governo alla recezione<br />

legislativa dell’accordo tra le parti sociali.<br />

L’uso dell’espressione dialogo sociale, in luogo di concertazione, sembra<br />

sottendere una visione politica differente, perché la politica concertativa<br />

mirava di fatto alla ricerca di un consenso tra le parti sociali, come<br />

presupposto necessario per poter legiferare. Qui invece si prevede<br />

espressamente l’ipotesi di una mancanza di accordo: le materie inerenti alla<br />

politica sociale devono essere prima sottoposte all’attenzione della parti<br />

sociali, ma, nel caso in cui non venga raggiunto un accordo tra esse, ciò<br />

non può costituire un ostacolo all’intervento legislativo dello Stato o delle<br />

Regioni.<br />

Inoltre, si prevede addirittura l’ipotesi di mancanza di accordo dovuta a<br />

dissenso tra le associazioni sindacali situate, per così dire, sullo stesso<br />

versante (ad es. tra le diverse associazioni sindacali dei lavoratori). Così<br />

prevede il Libro bianco: “naturalmente l’adozione di tale metodologia (…)<br />

non può compromettere la rapidità del procedimento decisionale. In caso di<br />

disaccordo tra gli stessi attori sociali sarà necessario ricorrere alla regola<br />

della maggioranza, senza pretendere unanimismi che pregiudicherebbero il<br />

buon funzionamento dello stesso dialogo sociale”.<br />

E’ da notare che dopo il Libro bianco è stato stipulato, nel luglio 2002, il<br />

cd. “Patto per l’Italia”, anch’esso un accordo concertativo, che contiene<br />

90


alcune previsioni da adottarsi in materia di politica dei redditi e politica<br />

sociale. Questo accordo è stato concluso tra il Governo, da una parte, e le<br />

parti sociali, dall’altra, ad eccezione della CGIL. Si può dunque constatare<br />

il mutamento di linea politica, che non cerca l’unanimità dei consensi.<br />

L’accordo quadro del 22 gennaio 2009, rispetto al protocollo del 23 luglio<br />

1993, ha una natura “pura” di accordo interconfederale (ed analogamente<br />

l’accordo del 28 giugno 2011): il Governo non è presente come terzo che<br />

mette a disposizione risorse normative e finanziarie come, appunto, nel<br />

protocollo del 23 luglio 1993. Incidentalmente si ricordi, peraltro, che<br />

l’accordo del 2009 non è stato sottoscritto dalla CGIL.<br />

Così inquadrati gli accordi concertativi nel quadro della politica sindacale,<br />

dal punto di vista giuridico occorre valutarli alla luce delle norme<br />

costituzionali.<br />

Il punto di partenza, per affrontare la questione, è la sentenza della Corte<br />

costituzionale del 7 febbraio 1985, n. 34. In tale occasione, la Consulta ha<br />

avuto modo di precisare che gli accordi di concertazione - nei quali il<br />

Governo compare, non come mero mediatore, bensì come soggetto che<br />

assume in proprio una serie di impegni politici - non rientrano nel quadro<br />

delineato dall’art. 39 della Costituzione, perché non si tratta di<br />

contrattazione collettiva in senso proprio.<br />

Ciò ovviamente non significa che gli accordi di concertazione, pur non<br />

ricadendo sotto la protezione dell’art. 39 Cost., contrastino con il quadro<br />

costituzionale. Invero, taluno si è chiesto se da questi accordi di<br />

concertazione non nasca una limitazione del potere legislativo. Ma<br />

l’impegno che il Governo assume è un impegno di carattere politico, a<br />

presentare disegni di legge e ad adoperarsi affinché il Parlamento approvi<br />

provvedimenti legislativi che siano coerenti con gli accordi presi,<br />

rimanendo in ogni caso indiscussa la sovranità del Parlamento.<br />

91<br />

La<br />

collocazione<br />

degli accordi di<br />

concertazione<br />

nel quadro<br />

costituzionale


Al di là della loro qualificazione rispetto al quadro costituzionale, gli<br />

accordi di concertazione pongono problemi più specifici, inerenti al loro<br />

contenuto. Ad esempio, il protocollo del luglio del 1993 ha contenuti<br />

complessi: v’è una parte che riguarda gli impegni del Governo e v’è<br />

un’altra parte che riguarda i profili più squisitamente contrattuali (cioè la<br />

regolazione degli assetti che deve assumere la contrattazione collettiva,<br />

articolata su due livelli, nazionale e aziendale).<br />

Ci si chiede quale sia la relazione tra le diverse parti di cui si compongono<br />

questi protocolli e se l’eventuale inadempimento, da parte del Governo,<br />

degli impegni assunti in materia di politica fiscale e di politica sociale<br />

possa riverberarsi sulla validità della parte inerente i profili contrattuali. Ci<br />

si chiede insomma se le due parti siano legate da un nesso funzionale, tale<br />

per cui l’inadempimento di un parte, quella politica, possa ripercuotersi<br />

sulla parte propriamente contrattuale.<br />

La questione è per ora solo teorica. Secondo dottrina autorevole (G.<br />

Giugni) sarebbe da preferire la tesi negativa.<br />

3.9. Il concorso/conflitto tra contratti collettivi di diverso livello.<br />

Come si è già detto, in Italia, il sistema di contrattazione collettiva è<br />

articolato: vengono infatti stipulati accordi collettivi interconfederali,<br />

contratti collettivi nazionali e contratti collettivi decentrati, per lo più<br />

aziendali.<br />

In ragione dell’articolazione dei diversi livelli contrattuali è possibile che<br />

ad un determinato rapporto di lavoro siano astrattamente applicabili più<br />

contratti collettivi [ad esempio, un accordo interconfederale (accordo<br />

interconfederale sulle RSU), un contratto nazionale di categoria (contratto<br />

92


nazionale di categoria dei metalmeccanici), un contratto aziendale]. Il<br />

prestatore di lavoro vede dunque spesso regolato il proprio rapporto di<br />

lavoro, oltre che dalle disposizioni del contratto individuale, dalle<br />

disposizioni di più contratti collettivi.<br />

Nulla quaestio nel caso di semplice concorso di contratti collettivi di<br />

diverso livello. Il problema sorge, invero, quando i diversi contratti<br />

collettivi, astrattamente applicabili al rapporto di lavoro, entrino in conflitto<br />

tra loro, regolando le medesime materie con contenuti diversi (ad es.,<br />

prevedendo una differente misura della retribuzione).<br />

Nel caso di concorso/conflitto tra contratti collettivi di diverso livello, tutti<br />

astrattamente applicabili al rapporto di lavoro, sorge il problema di<br />

selezionare la disciplina applicabile.<br />

Nella prassi, la questione si è posta essenzialmente in ordine al rapporto tra<br />

contratto nazionale e contratto aziendale. In particolare, la giurisprudenza<br />

ha dovuto pronunciarsi sulla idoneità del contratto aziendale a derogare in<br />

peius al contenuto delle disposizioni del contratto nazionale.<br />

Parte della dottrina ha ritenuto che la soluzione della questione andasse<br />

cercata anzitutto negli statuti delle associazioni sindacali, verificando se<br />

essi contenessero criteri per la selezione del contratto collettivo applicabile.<br />

Gli statuti delle associazioni sindacali appaiono però muti in ordine ai<br />

rapporti tra i diversi livelli dell’associazione sindacale.<br />

La giurisprudenza ha fatto allora riferimento a criteri di soluzione “esterni”.<br />

In un primo tempo essa ha invocato l’art. 2077 c.c. (che, come si è già<br />

visto, regola i rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale).<br />

L’applicazione, nel caso, dell’art. 2077 c.c. appare tuttavia oltremodo<br />

problematica.<br />

In primo luogo, vi è da superare il problema della sua applicabilità al<br />

contratto collettivo postcorporativo. In secondo luogo, l’art. 2077 c.c. detta<br />

93<br />

Il concorso<br />

tra contratti<br />

collettivi di<br />

diverso<br />

livello<br />

Il conflitto tra<br />

contratti<br />

collettivi di<br />

diverso<br />

livello<br />

Il criterio del<br />

favor


criteri per risolvere il problema del rapporto tra contratto collettivo e<br />

contratto individuale: nel nostro caso, invece, la questione è ben diversa,<br />

concernendo il rapporto tra due contratti pur sempre collettivi, benché<br />

stipulati a diverso livello (nazionale e aziendale).<br />

L’orientamento si è formato negli anni ‘60 quando i contratti aziendali<br />

erano stipulati dalle commissioni interne, forme di rappresentanza di tutti i<br />

lavoratori nell’azienda, elette da tutti i lavoratori, iscritti o non iscritti al<br />

sindacato. Gli accordi interconfederali disciplinavano la costituzione ed il<br />

funzionamento delle commissioni interne, escludendone però proprio la<br />

competenza contrattuale (v. accordi interconfederali dell’ 8 maggio 1953 e<br />

18 aprile 1966). La combinazione di questi due fattori (da un lato, le<br />

commissioni interne non erano considerate organismi “sindacali” in senso<br />

proprio; dall’altro, gli accordi che le istituivano ne escludevano la<br />

competenza contrattuale) ha fatto sì che la giurisprudenza negasse la<br />

qualificazione di contratto collettivo agli accordi stipulati dalle<br />

commissioni interne, ritenendoli una somma di contratti individuali o<br />

qualificandoli come “stipulazioni plurisoggettive”.<br />

Considerando i contratti stipulati dalle commissioni interne come una<br />

somma di contratti individuali, la giurisprudenza poteva applicare l’art.<br />

2077 c.c., arrivando a sostenere che il contratto aziendale stipulato dalle<br />

commissioni interne non potesse derogare in peius al contratto collettivo<br />

nazionale.<br />

Non appena però la giurisprudenza si rese conto – in concomitanza con<br />

l’avvento delle RSA – che il contratto aziendale era anch’esso – al pari di<br />

quello nazionale – un contratto collettivo (sia pure di ambito di<br />

applicazione più limitato, riguardando solo i lavoratori di una determinata<br />

impresa), il ricorso all’art. 2077 c.c. si rivelò impraticabile.<br />

Si andò pertanto alla ricerca di altri criteri.<br />

94


In un primo tempo, la giurisprudenza ha utilizzato il criterio gerarchico,<br />

istituendo una sorta di gerarchia nei rapporti tra i contratti collettivi.<br />

L’utilizzazione del criterio gerarchico ha, tuttavia, condotto la<br />

giurisprudenza della Corte di cassazione ad adottare nello stesso anno, il<br />

1978, due decisioni completamente opposte. In una prima decisione, la<br />

Corte ritenne il contratto nazionale prevalente su quello aziendale (Cass. 18<br />

gennaio 1978, n. 233); nella seconda decisione, ritenne che il contratto<br />

aziendale dovesse prevalere su quello nazionale (Cass. 18 aprile 1978, n.<br />

2018).<br />

La prima sentenza affermò l’esistenza di un mandato discendente, dal<br />

livello superiore della associazione sindacale al livello inferiore, con<br />

conseguente prevalenza del contratto nazionale. Nella seconda sentenza la<br />

Corte ricostruì invece i rapporti all’interno dell’associazione sindacale in<br />

chiave di mandato ascendente, affermando che la contrattazione nazionale<br />

si svolgerebbe in forza di un mandato conferito dalle strutture di livello<br />

inferiore; mandato, questo, che dovrebbe intendersi revocato per effetto<br />

della stipulazione, a livello decentrato, di un contratto collettivo di<br />

contenuto difforme rispetto a quello nazionale.<br />

L’essere la giurisprudenza giunta a conclusioni opposte utilizzando il<br />

criterio gerarchico è chiaro indice della sua inconsistenza. Così si spiega<br />

che i giudici abbiano dovuto ricercare altri e più persuasivi criteri, finendo<br />

per attingere, come si vedrà, agli stessi criteri che generalmente si<br />

utilizzano per risolvere le antinomie tra le norme di legge.<br />

In primo luogo il criterio temporale; in secondo luogo, il criterio di<br />

specialità.<br />

Secondo un’impostazione, nella selezione della disciplina contrattuale<br />

collettiva applicabile ad un rapporto di lavoro deve prevalere la fonte<br />

posteriore, a nulla rilevando il giudizio circa il suo maggiore o minore<br />

95<br />

Il criterio<br />

gerarchico<br />

Il criterio<br />

della<br />

posteriorità<br />

nel tempo


favore per il lavoratore. Se è successivo il contratto nazionale, prevarrà il<br />

contratto nazionale; se è successivo il contratto aziendale, si applicherà<br />

siffatto contratto.<br />

Per la verità, anche questo criterio si presta, di per sé, a critiche. Infatti,<br />

solo se il contratto aziendale succede ad un contratto nazionale è possibile<br />

supporre una volontà dei contraenti a livello aziendale di modificare la<br />

disciplina del contratto nazionale. Altra cosa è, invece, quando un contratto<br />

nazionale difforme succede ad un contratto aziendale, giacché appare<br />

dubbio affermare l’esistenza di una volontà modificativa delle disposizioni<br />

del contratto aziendale da parte dei contraenti nazionali.<br />

Il fondamento della prevalenza della fonte normativa successiva nel tempo<br />

riposa proprio sulla volontà del soggetto, che ha prodotto l’atto normativo<br />

successivo, di modificare o sostituire la disciplina precedente. Ma assai<br />

difficilmente i contraenti a livello nazionale conosceranno quella<br />

particolare regolamentazione di livello aziendale; e perciò non si potrà<br />

ravvisare una loro volontà modificativa. Per tali ragioni, in dottrina si è<br />

osservato che il principio della posteriorità nel tempo risulta inapplicabile<br />

quando non vi sia identità tra i soggetti stipulanti.<br />

In dottrina, con ormai significative adesioni da parte della giurisprudenza<br />

(Cass. 12 luglio 1986 n. 4517), è stata proposta l’utilizzazione del criterio<br />

della specialità (o di “specializzazione” o di “prevalenza della fonte più<br />

vicina al rapporto da regolare”).<br />

In tal modo si è affermata la prevalenza della disciplina speciale rispetto<br />

alla disciplina generale e, di conseguenza, la prevalenza in ogni caso del<br />

contratto aziendale, sia esso migliorativo o peggiorativo, quale fonte di<br />

disciplina più vicina ai rapporti di lavoro e agli interessi che si intendono<br />

regolare.<br />

96<br />

Il criterio di<br />

specialità


L’importante conclusione attinta dall’evoluzione giurisprudenziale – e ciò,<br />

sia che si utilizzi il criterio della posteriorità nel tempo, sia che si utilizzi il<br />

criterio di specialità – è che il contratto aziendale può derogare anche in<br />

peius al contratto collettivo nazionale. Viene dunque smentita l’esistenza di<br />

un supposto principio di favore, secondo cui - come riteneva erroneamente<br />

la giurisprudenza negli anni ’60 del secolo scorso - dovrebbe sempre<br />

prevalere la disciplina più favorevole per il lavoratore.<br />

Un siffatto principio di favor in realtà non esiste, se non nel caso dei<br />

rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale.<br />

***<br />

Per verità, il problema del conflitto tra contratti collettivi di diverso livello<br />

è sembrato ridimensionarsi, soprattutto dopo la stipulazione del Protocollo<br />

del 23 luglio del 1993. Tale accordo ha infatti inteso riordinare i rapporti<br />

tra i diversi livelli della contrattazione collettiva, prevedendo che il<br />

contratto aziendale non potesse riguardare la stessa materia e gli stessi<br />

istituti già regolati dal contratto nazionale. In particolare, per quanto<br />

riguarda la retribuzione, si prevedeva che il contratto aziendale<br />

disciplinasse (solo) elementi retributivi legati alla redditività ed alla<br />

produttività dell’impresa.<br />

L’accordo quadro del 22 gennaio 2009 e il successivo accordo del 15 aprile<br />

2009 a loro volta prevedono che “la contrattazione di secondo livello si<br />

esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo<br />

nazionale di lavoro di categoria o dalla legge e deve riguardare materie ed<br />

istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione,<br />

secondo il principio del ne bis in idem”.<br />

In più, gli accordi del 2009 hanno previsto che i contratti nazionali di<br />

categoria consentano ai contratti aziendali di derogare anche in peius per i<br />

lavoratori alle proprie previsioni. E ciò soprattutto in presenza di situazioni<br />

97<br />

Il contratto<br />

aziendale<br />

può<br />

derogare<br />

anche in<br />

peius al<br />

contratto<br />

nazionale<br />

Le regole<br />

negoziali in<br />

ordine al<br />

riparto di<br />

competenze e<br />

le conseguenze<br />

della loro<br />

violazione


di crisi aziendali. L’accordo interconfederale (unitario) del 28 giugno 2011,<br />

a sua volta, conferma che la contrattazione aziendale può svolgersi sulle<br />

materie delegate dal contratto nazionale e che questo può consentire al<br />

primo di derogare in peius alle sue previsioni.<br />

Vi è, dunque, la tendenza ad un riordino del sistema di contrattazione<br />

collettiva, che potrebbe prevenire la sovrapposizione di discipline<br />

confliggenti, eliminando alla radice il problema del potenziale conflitto tra<br />

contratti collettivi.<br />

A ben guardare, però, nemmeno in tal modo il problema può dirsi<br />

definitivamente, da un punto di vista giuridico, risolto.<br />

Nel settore del lavoro privato, le regole relative alla ripartizione delle<br />

competenze tra contratto nazionale e contratto aziendale sono di carattere<br />

pattizio. La loro violazione non potrebbe, dunque, mai determinare la<br />

nullità delle pattuizioni difformi, ai sensi dell’art. 1418 c.c., non<br />

possedendo né il Protocollo del 1993, prima, né gli accordi del 2009 e del<br />

2011, oggi, il carattere e la forza della norma imperativa di legge.<br />

E ciò a differenza di quanto avviene nel pubblico impiego ove, essendo il<br />

riparto di competenze tra il livello nazionale e quello decentrato frutto di<br />

una norma imperativa di legge, il contratto aziendale che violasse tale<br />

riparto è nullo (v. art. 40, co. 3-quinquies d.lgs. n. 165/2001 ed infra par.<br />

3.12)<br />

3.10. L’ambito soggettivo di efficacia del contratto aziendale. In<br />

particolare, i cd. contratti gestionali.<br />

Il contratto aziendale può dunque derogare al contratto nazionale, anche in<br />

peius.<br />

98


In tale ipotesi, non si pone certo un problema di efficacia del contratto<br />

collettivo nei confronti del datore di lavoro (è infatti questo stesso soggetto<br />

che stipula il contratto collettivo con la RSA o con il sindacato<br />

provinciale). Si pone, semmai, un problema di determinazione dell’ambito<br />

soggettivo di efficacia del contratto collettivo aziendale sul versante dei<br />

lavoratori.<br />

Fino a quando i contratti aziendali hanno avuto un contenuto<br />

tendenzialmente migliorativo rispetto a quanto previsto dai contratti<br />

nazionali, il problema praticamente non si è posto. Non vi era ovviamente<br />

alcuna manifestazione di dissenso, neppure da parte dei lavoratori non<br />

iscritti, nei confronti dell’applicazione di siffatti accordi aziendali. Ma, al<br />

manifestarsi di dinamiche economiche recessive e di tendenze alla<br />

contrazione dell’occupazione, hanno iniziato a diffondersi accordi aziendali<br />

peggiorativi. In alcuni casi, tali accordi hanno previsto una diminuzione<br />

della retribuzione al fine di evitare la riduzione dell’organico aziendale; in<br />

altri casi, essi hanno dovuto affrontare fasi di crisi dell’azienda, anche<br />

determinando i criteri di scelta dei lavoratori in esubero. Il vento della<br />

globalizzazione ha poi portato recentemente alla stipulazione di accordi<br />

aziendali fortemente innovativi rispetto al contenuto del contratto nazionale<br />

con norme anche peggiorative rispetto a quest’ultimo (v. da ultimi gli<br />

accordi Fiat Pomigliano d’Arco del 15 giugno 2010 e Fiat Mirafiori del 23<br />

dicembre 2010, in appendice).<br />

Ben si comprende, dunque, che in tali situazioni siano emerse<br />

manifestazioni di dissenso, da parte dei lavoratori, rispetto all’applicazione<br />

nei loro confronti di contratti aziendali ritenuti peggiorativi.<br />

Quale è la rilevanza giuridica di tali manifestazioni di dissenso?<br />

99<br />

La rilevanza<br />

giuridica del<br />

dissenso dei<br />

lavoratori


In dottrina e giurisprudenza si ritiene pacificamente che il dissenso<br />

manifestato dai lavoratori iscritti al sindacato stipulante non abbia rilevanza<br />

giuridica.<br />

Più complessa è invece la questione nel caso di lavoratori non iscritti al<br />

sindacato stipulante. Si potrebbe dire, in via di prima approssimazione, che<br />

il contratto collettivo aziendale non li concerna, essendo stato sottoscritto<br />

da un soggetto collettivo che non li rappresenta. Sennonché, questa<br />

conclusione deve essere in parte corretta. Occorrerà, infatti, verificare se<br />

nel contratto individuale di lavoro vi è una clausola di rinvio; essa potrebbe<br />

contenere anche un rinvio formale alla contrattazione collettiva e dunque a<br />

tutti i contratti collettivi che si succedono nel tempo, siano essi nazionali o<br />

aziendali, migliorativi o peggiorativi (v. supra par. 3.4).<br />

Il meccanismo del rinvio, peraltro, può ridurre il problema del dissenso, ma<br />

non eliminarlo del tutto. Infatti, il rinvio, anche formale e non recettizio, a<br />

nulla rileva in caso di rottura dell’unità contrattuale con la stipulazione di<br />

accordi cd. separati. Si ipotizzi che il contratto aziendale peggiorativo non<br />

sia stipulato da tutti i sindacati stipulanti il contratto nazionale.<br />

In questo caso, è evidente che ai lavoratori iscritti ai sindacati stipulanti il<br />

contratto aziendale lo stesso andrà applicato; ma è altrettanto evidente che,<br />

nei confronti dei lavoratori iscritti agli altri sindacati stipulanti il contratto<br />

nazionale, non si realizza alcuna sostituzione della disciplina prevista da<br />

quest’ultimo con quella prevista dal contratto aziendale (che supporrebbe<br />

identità di parti stipulanti).<br />

Nel caso di rottura dell’unità sindacale nella contrattazione collettiva, non<br />

può funzionare neppure il meccanismo del rinvio del contratto individuale<br />

al contratto collettivo quale veicolo di estensione dell’efficacia ai non<br />

iscritti ad alcun sindacato: infatti sarebbero contemporaneamente presenti<br />

ed operanti due differenti regolamentazioni collettive (quella del contratto<br />

100<br />

I lavoratori<br />

non iscritti al<br />

sindacato<br />

stipulante e la<br />

clausola di<br />

rinvio<br />

La rilevanza<br />

giuridica del<br />

dissenso in<br />

caso di<br />

accordi<br />

separati


aziendale e quella del contratto nazionale che, per non esservi identità di<br />

soggetti, non è stata sostituita dalla prima). L’art. 8 del d. l. n. 138 del<br />

2011, convertito nella l. n. 148 del 2011, ha ora previsto la possibilità di<br />

attribuire efficacia erga omnes ai contratti collettivi aziendali stipulati dai<br />

sindacati “comparativamente più rappresentativi” ovvero dalle loro<br />

rappresentanze presenti in azienda, a condizione di essere sottoscritti “sulla<br />

base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze”.<br />

Sembra che il legislatore richiami i criteri previsti per l’acquisizione di<br />

efficacia erga omnes dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Al<br />

di là dei problemi interpretativi che la disposizione suscita, essa ha evocato<br />

dubbi di legittimità costituzionale, specie in relazione all’art. 39, 4° co.,<br />

Cost. E ciò anche se, occorre rammentarlo, si dubita che il meccanismo<br />

configurato dal costituente per l’attribuzione di efficacia erga omnes<br />

concerna anche il contratto collettivo aziendale e non solo quello<br />

(nazionale) di categoria.<br />

***<br />

Non si può concludere questo argomento senza sottolineare che una<br />

raffinata dottrina ha evidenziato che non tutti i contratti collettivi aziendali<br />

porrebbero il problema di ambito soggettivo di efficacia dianzi evidenziato<br />

(e quindi di applicazione ai lavoratori non iscritti): in particolare esso non<br />

si pone per i contratti collettivi cd. gestionali o di procedimentalizzazione<br />

dei poteri imprenditoriali.<br />

Il datore di lavoro è titolare di una serie di prerogative e di poteri<br />

unilaterali, sia come creditore delle prestazioni lavorative, sia come titolare<br />

dell’organizzazione in cui la prestazione si inserisce. Il datore di lavoro, ad<br />

esempio, in caso di crisi di mercato o di ristrutturazione dell’impresa, può<br />

sospendere i lavoratori o ridurre unilateralmente l’orario di lavoro,<br />

richiedendo l’intervento della Cassa integrazione guadagni, che eroga il<br />

101<br />

L’efficacia<br />

erga omnes<br />

prevista<br />

dall’art. 8<br />

della l. n. 148<br />

del 2011<br />

I contratti<br />

collettivi cd.<br />

gestionali


trattamento di integrazione salariale in sostituzione della retribuzione<br />

perduta.<br />

Si ravvisa comunemente nella normativa sulla cassa integrazione una<br />

deroga al diritto comune secondo cui, in caso di modificazione dell’oggetto<br />

del contratto (il quantum della prestazione dovuta), sarebbe necessario un<br />

accordo tra le parti stesse. Più precisamente, si ravvisa nella normativa<br />

sulla cassa integrazione – a condizione che l’intervento venga disposto –<br />

l’attribuzione di un potere unilaterale, in capo al datore di lavoro, di<br />

sospendere dal lavoro i lavoratori ovvero ridurre l’orario di lavoro,<br />

riducendo proporzionalmente la retribuzione.<br />

La legge però prevede che, prima di accedere alla Cassa integrazione, il<br />

datore di lavoro informi e consulti le associazioni sindacali (art. 5, legge 20<br />

maggio 1975, n. 164). Nell’ambito di questa procedura di informazione e<br />

consultazione può essere stipulato un accordo (ad esempio sulla durata<br />

dell’intervento della Cassa integrazione, sui criteri di scelta dei lavoratori<br />

da mettere in Cassa integrazione) che limita l’esercizio del potere<br />

unilaterale del datore di lavoro.<br />

Per questo contratto cd. gestionale un problema di ambito soggettivo di<br />

efficacia neppure si pone: esso infatti non fa che limitare un potere<br />

comunque riconosciuto dalla legge (o talora dal contratto collettivo) al<br />

datore di lavoro, potere che si esercita erga omnes. Il contratto collettivo<br />

che limita siffatto potere partecipa del carattere “generalizzato” del<br />

medesimo.<br />

102


3.11. Le clausole di tregua sindacale.<br />

Venendo alle clausole obbligatorie del contratto collettivo (le clausole che<br />

regolano i rapporti reciproci tra le associazioni sindacali stipulanti e non<br />

conformano il contenuto del contratto individuale di lavoro), possono<br />

essere prese in considerazione le cd. clausole di tregua sindacale sia perché<br />

emblematiche dei problemi giuridici posti da questa tipologia di clausole,<br />

sia per la loro rilevanza intrinseca nell’economia del contratto collettivo.<br />

Con le clausole di tregua sindacale, l’associazione sindacale assume<br />

l’obbligo di non proclamare o sostenere scioperi diretti ad ottenere una<br />

modifica di quanto previsto dal contratto collettivo, fino al termine di<br />

vigenza dello stesso. I contratti collettivi hanno un arco temporale<br />

normalmente di efficacia limitato: l’accordo quadro del 2009 prevede che i<br />

contratti collettivi nazionali di categoria (così come quelli aziendali)<br />

abbiano durata triennale, tanto per la parte economica che per quella<br />

normativa.<br />

Nell’ordinamento italiano si tende ad escludere, anche se con motivazione<br />

non sempre pertinente, che dalla semplice stipulazione del contratto<br />

collettivo discenda, in capo ai sindacati stipulanti, un obbligo di tregua<br />

sindacale: che vi sia un obbligo implicito di tregua sindacale.<br />

Affinché questo obbligo sia configurabile occorrerebbe una clausola<br />

esplicita. Ciò posto, la prima questione che si pone è di stabilire se le<br />

clausole di tregua sindacale vincolino anche i singoli a non scioperare,<br />

esplicando in tal modo efficacia non solo obbligatoria ma anche normativa.<br />

Secondo un primo orientamento, tali clausole hanno esclusivamente natura<br />

obbligatoria. Se avessero natura normativa, dovrebbero considerarsi nulle<br />

per contrarietà a norma imperativa, entrando in insanabile contrasto con<br />

l’art. 40 Cost., che riconosce il diritto di sciopero.<br />

103<br />

Obbligo<br />

implicito di<br />

pace<br />

sindacale<br />

Valenza<br />

obbligatoria<br />

o solo<br />

normativa<br />

delle<br />

clausole di<br />

tregua


La Corte di cassazione, nell’unica sentenza (Cass. 10 febbraio 1971, n.<br />

357) in cui ha affrontato il problema della natura delle clausole di tregua<br />

sindacale, ha tuttavia ammesso la possibilità che queste ultime assumano<br />

una valenza normativa, senza per questo scontrarsi con l’art. 40 Cost. La<br />

Cassazione ha argomentato tale conclusione distinguendo tra rinuncia al<br />

diritto di sciopero (che sarebbe insanabilmente in contrasto con l’art. 40<br />

Cost.) e regolamentazione dell’esercizio del diritto (compatibile con l’art.<br />

40 Cost.), affermando che con la clausola di tregua sindacale, più che<br />

rinunciare al diritto di sciopero, si regolamenta per un arco di tempo<br />

definito e per un oggetto definito l’esercizio del diritto.<br />

Alla luce di questa impostazione, la qualificazione della clausola di tregua<br />

come obbligatoria o normativa non è per così dire necessitata: essa si<br />

risolve essenzialmente in un problema di interpretazione della volontà<br />

contrattuale.<br />

Nella nostra esperienza contrattuale, le clausole di tregua hanno<br />

generalmente natura obbligatoria, ponendo obblighi unicamente in capo<br />

alle associazioni sindacali. Nello stesso accordo interconfederale del 28<br />

giugno 2011 si prevede espressamente che i contratti collettivi aziendali,<br />

che definiscono clausole di tregua sindacale al fine di “garantire la<br />

esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva hanno<br />

effetto vincolante esclusivamente per tutte le rappresentanze sindacali dei<br />

lavoratori ed associazioni sindacali firmatarie del presente accordo<br />

interconfederale operanti all’interno della azienda e non per i singoli<br />

lavoratori”.<br />

Naturalmente, nel caso di efficacia meramente obbligatoria, non si pone<br />

alcun problema di contrasto con l’art. 40 Cost., rimanendo intatto il diritto<br />

dei singoli lavoratori a scioperare. Questi ultimi, scegliendo di astenersi dal<br />

lavoro nonostante l’obbligo di tregua assunto dal sindacato, non incorrono<br />

104<br />

Clausole di<br />

tregua con<br />

valenza<br />

obbligatoria e<br />

conseguenze<br />

in caso di<br />

inadempi-<br />

mento


in alcuna responsabilità per inadempimento nei confronti del datore di<br />

lavoro; essi, tutt’al più, possono essere assoggettati al potere disciplinare<br />

dell’associazione sindacale cui aderiscono in base allo statuto<br />

dell’associazione medesima.<br />

Se, al contrario, è il sindacato a violare l’obbligo di tregua, il datore di<br />

lavoro può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno per<br />

inadempimento. Soluzione, questa, che tuttavia risulta poco praticabile, sia<br />

per il problema della prova e della quantificazione del danno, sia per il<br />

problema della capienza del patrimonio delle associazioni sindacali. Si<br />

aggiunga che, se l’impegno di tregua è assunto nel contratto di categoria<br />

dal sindacato nazionale, si profila un ulteriore profilo problematico, vale a<br />

dire se le associazioni sindacali di livello superiore siano in grado di<br />

vincolare i livelli inferiori delle medesime associazioni. A questo problema<br />

si tende a dare risposta negativa, escludendo perfino che possa configurarsi<br />

un’assunzione di garanzia per il fatto del terzo ai sensi dell’art. 1381c.c<br />

3.12. La contrattazione collettiva nel pubblico impiego.<br />

Nel settore del pubblico impiego (del lavoro cioè che viene svolto alle<br />

dipendenze della pubblica amministrazione), la contrattazione collettiva è<br />

regolata da norme di legge. Si può dire che tutti quegli aspetti che non sono<br />

normativamente disciplinati nel settore privato lo sono invece nel settore<br />

pubblico.<br />

La prima legge che ha consacrato il metodo contrattuale nel pubblico<br />

impiego è stata la cd. legge-quadro del 29 marzo 1983, n. 93.<br />

Successivamente con la cd. privatizzazione o, meglio, contrattualizzazione<br />

del rapporto del pubblico impiego, avvenuta con il d.lgs. 29 del 1993, il<br />

legislatore ha compiutamente regolato i diversi aspetti della contrattazione<br />

105<br />

Le fonti di<br />

disciplina


collettiva: i soggetti, la procedura, la struttura e l’efficacia del contratto<br />

collettivo.<br />

La regolamentazione della contrattazione collettiva nel settore del pubblico<br />

impiego è stata poi trasfusa nel cd. Testo Unico sul pubblico impiego,<br />

approvato con il d. lgs. n. 165/2001 (v. artt. 40 - 50).<br />

La recente legge delega del 3 marzo 2009, n. 15 ed il successivo d. lgs. 27<br />

ottobre 2009, n. 150 (cd. decreto Brunetta) hanno ulteriormente affinato la<br />

disciplina del T.U., in punto di contrattazione collettiva, anche se, come<br />

qualcuno ha fatto notare in dottrina, con tale ultima riforma risulta<br />

fortemente attenuato il principio di contrattualizzazione del rapporto di<br />

lavoro nel pubblico impiego.<br />

Quanto alla struttura della contrattazione collettiva, nel settore pubblico<br />

opera lo stesso modello del settore privato. La contrattazione è su due<br />

livelli: nazionale e decentrato.<br />

Il rapporto tra i diversi livelli di contrattazione e la ripartizione delle<br />

competenze sono però disciplinate dal legislatore, che attribuisce al livello<br />

di contrattazione decentrato solo le materie ad esso demandate dal contratto<br />

nazionale (v. ora art. 40, co. 3-quinquies del d. lgs. n. 165/2001). Eventuali<br />

clausole del contratto decentrato che disciplinano materie fuori dalla<br />

competenza di questo livello di contrattazione sono colpite da nullità (v. il<br />

già citato art. 40, co. 3-quinquies del d. lgs. n. 165/2001).<br />

Si può sostenere che la riforma Brunetta abbia ristretto, e non poco, il<br />

campo di intervento della contrattazione collettiva, peraltro anche su<br />

materie e istituti costituenti oggetto del rapporto di lavoro.<br />

Ad esempio, il nuovo art. 40 del d.lgs. n. 165/2001 dispone che, in materia<br />

di sanzioni disciplinari e valutazione delle prestazioni ai fini della<br />

determinazione del trattamento economico, la contrattazione collettiva è<br />

consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.<br />

106<br />

I livelli della<br />

contratta zio-<br />

ne collettiva<br />

nel pubblico<br />

impiego<br />

Legge e<br />

contratta zio-<br />

ne collettiva


La legge disciplina anche i soggetti della contrattazione collettiva nel<br />

pubblico impiego. Vi sono filtri che limitano l’accesso alla contrattazione:<br />

alla contrattazione collettiva del settore pubblico possono accedere solo i<br />

sindacati che abbiano nel comparto o nell’area almeno rappresentatività<br />

pari al 5%, calcolata sulla base dei voti riportati nell’elezione delle RSU e<br />

del numero degli iscritti rispetto a quelli dei lavoratori occupati in quel<br />

comparto (art. 43 T.U.).<br />

Sul fronte della pubblica amministrazione, il d.lgs. 29/1993 ha istituito<br />

un’agenzia, l’ARAN, persona giuridica di diritto pubblico dotata di<br />

rappresentanza legale della medesima nella contrattazione collettiva<br />

nazionale (di comparto) (v. retro cap. II, par. 2). L’ARAN può altresì<br />

svolgere consulenza e assistenza alla singola pubblica amministrazione che<br />

stipula un contratto collettivo a livello decentrato (v. art. 46 d.lgs. n.<br />

165/2001).<br />

Per quanto riguarda i comparti e i comitati di settore, già l’accordo<br />

interconfederale del 22 gennaio 2009 aveva individuato l’obiettivo della<br />

riduzione dei comparti di contrattazione. Il legislatore delegato del 2009 ha<br />

accolto questo invito, demandando ad appositi accordi tra ARAN e<br />

Confederazioni rappresentative la definizione dei comparti di<br />

contrattazione collettiva nazionale col limite espresso di quattro comparti.<br />

3.12.1. L’efficacia del contratto collettivo nel settore pubblico.<br />

Nel settore del pubblico impiego, la legge regola anche l’efficacia del<br />

contratto collettivo. Il contratto collettivo stipulato tra i sindacati<br />

rappresentativi e l’ARAN ha efficacia erga omnes: si applica, cioè, a tutti i<br />

107<br />

I soggetti<br />

della<br />

contratta zio-<br />

ne collettiva


lavoratori appartenenti al comparto di riferimento, indipendentemente dalla<br />

affiliazione o meno ai sindacati che lo hanno stipulato.<br />

Non esiste invero un’affermazione esplicita in tal senso nel decreto n.<br />

29/1993 e nelle sue successive integrazioni e modificazioni. Esistono però<br />

una serie di norme che inducono a questa conclusione. Prima fra tutte,<br />

quella che dispone che, in sede di stipulazione del contratto collettivo<br />

nazionale di comparto, le Pubbliche Amministrazioni siano tutte<br />

necessariamente rappresentate dall’ARAN (sul versante del datore di<br />

lavoro il contratto collettivo ha quindi sicuramente efficacia erga omnes).<br />

Nel decreto n. 29/1993 v’è poi una norma (ora art. 40, 4° co., T.U. n.<br />

165/2001) in cui esplicitamente si prevede che “le pubbliche<br />

amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi<br />

nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne<br />

assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti”.<br />

Dal che si può desumere l’obbligo di applicare il contratto collettivo a tutti<br />

i lavoratori (indipendentemente dall’iscrizione ai sindacati stipulanti).<br />

Obbligo che risulta poi ribadito anche da un’altra disposizione (art. 45, 2°<br />

co. del Testo Unico), che impone di prevedere parità di trattamento<br />

economico-retributivo tra tutti i dipendenti.<br />

Sulla base dei dati normativi che precedono si può affermare che l’efficacia<br />

erga omnes del contratto collettivo sia indubitabile. Per questo motivo,<br />

taluno ha sostenuto che il contenuto del decreto del ’93, poi confluito nel<br />

T.U. del 2001, nella parte in cui attribuisce (o presuppone) l’efficacia erga<br />

omnes al contratto collettivo nel settore pubblico, sarebbe incostituzionale<br />

per violazione della seconda parte dell’art. 39 Cost. (che, come noto,<br />

tipizza il meccanismo attraverso il quale può essere attribuita efficacia erga<br />

omnes ai contratti collettivi).<br />

108<br />

Efficacia erga<br />

omnes del<br />

contratto<br />

collettivo e<br />

problemi di<br />

legittimità<br />

costituzionale


La Corte costituzionale, con sentenza 16 ottobre 1997, n. 309, ha respinto<br />

l’eccezione di incostituzionalità, argomentando che il decreto legislativo n.<br />

29/1993 non attribuisce espressamente efficacia erga omnes al contratto<br />

collettivo: l’efficacia erga omnes deriverebbe solo indirettamente dalle<br />

norme richiamate, in particolare dell’obbligo imposto alle pubbliche<br />

amministrazioni di osservare gli impegni assunti con i contratti collettivi. Si<br />

tratta di un meccanismo che non realizzerebbe l’efficacia erga omnes di cui<br />

all’art. 39, 4° co. Cost.: infatti “può dirsi che l’osservanza, da parte delle<br />

amministrazioni degli obblighi assunti con i contratti collettivi rappresenta<br />

il conseguente e non irragionevole esito dell’intera procedura di<br />

contrattazione, la quale prende le mosse dalla determinazione dei comparti<br />

e si conclude con l’autorizzazione governativa alla sottoscrizione delle<br />

ipotesi di accordo, che, almeno sin quando verrà esercitata la delega ex lege<br />

n. 59 del 1997, interessa a sua volta molteplici profili, non solo di controllo<br />

ma anche di verifica della compatibilità finanziaria”.<br />

3.12.2. L’inderogabilità del contratto collettivo nel settore pubblico.<br />

Nel pubblico impiego, scontata l’inderogabilità in peius del contratto<br />

collettivo da parte del contratto individuale, si è posto il problema se esso<br />

possa essere derogato in melius (ciò che, come si è visto, costituisce la<br />

regola nel settore privato).<br />

La tesi prevalente è nel senso che l’inderogabilità sia assoluta (in peius e in<br />

melius); e questo sulla base di molteplici indici normativi.<br />

In particolare, l’art. 45, 1° co., del d. lgs. n. 165/2001 dispone che i<br />

contratti collettivi stabiliscono il trattamento economico fondamentale<br />

ed accessorio dei pubblici dipendenti. Dal che si dovrebbe desumere non<br />

109<br />

L’inderogabi-<br />

lità<br />

(assoluta?)<br />

del contratto<br />

collettivo da<br />

parte del<br />

contratto<br />

individuale


esservi spazio per la contrattazione individuale. Si aggiunga quanto<br />

previsto dall’art. 45, 2° co., vale a dire che le pubbliche amministrazioni<br />

garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale.<br />

Parte della dottrina ha tuttavia fatto notare che, se la norma prevede parità<br />

di trattamento contrattuale, aggiunge “e comunque trattamenti non inferiori<br />

rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi”. Da questa angolazione,<br />

l’avverbio “comunque” non si spiegherebbe se non si ammettesse una<br />

diversificazione di trattamento. Il principio di parità di trattamento non<br />

esclude, del resto, trattamenti differenziati, purché essi rispondano a<br />

giustificazioni oggettive. In tale prospettiva deroghe migliorative in sede di<br />

contrattazione individuale sarebbero ammissibili purché obiettivamente<br />

giustificate.<br />

Anche in tal modo emerge, tuttavia, la differenza rispetto al settore del<br />

lavoro privato, dove non esiste un principio di parità di trattamento e,<br />

dunque, eventuali “superminimi” possono essere previsti in sede di<br />

contratto individuale, senza alcuna possibilità di controllo della loro<br />

congruità in sede giurisdizionale.<br />

3.13. L’art. 28 St. lav.: la repressione della condotta antisindacale del<br />

datore di lavoro.<br />

L’art. 28 della l. 20 maggio 1970 n. 300, una delle norme baricentriche del<br />

cd. Statuto dei lavoratori, è considerata generalmente norma di chiusura del<br />

sistema in quanto garantisce l’effettività dei diritti sindacali, sia quelli<br />

sanciti dal titolo III della legge sia quelli desumibili da altre fonti.<br />

Esso prevede un particolare procedimento giurisdizionale improntato<br />

all’informalità e alla celerità, all’esito del quale, in caso di accertamento<br />

della condotta antisindacale, il giudice con un decreto motivato e<br />

110<br />

L’art. 28<br />

come<br />

norma di<br />

chiusura


immediatamente esecutivo ordina al datore di lavoro la “cessazione del<br />

comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”. Più precisamente<br />

l’art. 28, 1° co., dispone: “Qualora il datore di lavoro ponga in essere<br />

comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e<br />

dell’attività sindacale, nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli<br />

organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano<br />

interesse il pretore (oggi Tribunale) del luogo ove è posto in essere il<br />

comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti e<br />

assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di<br />

cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed<br />

immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e<br />

la rimozione degli effetti”.<br />

3.13.1. I soggetti legittimati ad agire.<br />

Legittimati ad agire tramite il procedimento delineato dall’art. 28 St. lav.<br />

non sono i singoli lavoratori, ma le associazioni sindacali. Più<br />

correttamente, “gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali<br />

che vi abbiano interesse”.<br />

Facendo riferimento agli “organismi locali”, il legislatore intende attribuire<br />

legittimazione ad agire alla strutture più periferiche delle associazioni<br />

sindacali nazionali, così come individuate dai loro statuti.<br />

La tesi maggioritaria ritiene che le RSA – di cui all’art. 19 St. lav. – non<br />

rientrino tra gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali ai<br />

sensi dell’art. 28. Usando l’aggettivo “locale”, il legislatore indicherebbe<br />

una struttura sindacale presente nel territorio e non in una sola azienda (in<br />

questo senso l’aggettivo “locale” sarebbe contrapposto ad “aziendale”).<br />

111<br />

Il significato<br />

di organismi<br />

locali


Normalmente si tratta delle associazioni provinciali, o, se lo statuto<br />

dell’associazione sindacale prevede una struttura sub-provinciale,<br />

quest’ultima.<br />

La legittimazione ad agire è conferita agli organismi locali delle sole<br />

associazioni sindacali nazionali. Quando fu emanato lo Statuto dei<br />

lavoratori, il requisito della “nazionalità” era di facile, anzi immediata,<br />

identificazione. Si era infatti in presenza di un sindacalismo, quello<br />

confederale, consolidato: le associazioni sindacali nazionali erano le<br />

associazioni nazionali di categoria aderenti alle confederazioni sindacali<br />

principali.<br />

Il problema è sorto recentemente quando hanno cominciato a presentarsi<br />

sulla scena sindacati nuovi, diversi rispetto a quelli tradizionali. A fronte di<br />

sindacati di nuova costituzione, alcuni giudici, per accertare la sussistenza<br />

del requisito della nazionalità, si sono limitati al riscontro del dato formale:<br />

per poter essere qualificato come “nazionale”, un sindacato deve per<br />

statuto operare a livello nazionale. La verifica della “nazionalità” andrebbe<br />

perciò operata esclusivamente sulla base delle previsioni statutarie.<br />

Altra parte della giurisprudenza ha elaborato una diversa tesi (che infine è<br />

prevalsa), ritenendo necessario verificare che il sindacato operi<br />

effettivamente a livello nazionale. In questa ottica, è da considerare<br />

“nazionale” innanzitutto il sindacato che sia diffuso con le proprie strutture<br />

organizzative su tutto il territorio nazionale o, quanto meno, in un numero<br />

significativo di province e di regioni. In alcuni casi, si è attribuito rilievo<br />

allo svolgimento a livello nazionale di una effettiva attività. Ad esempio, se<br />

il sindacato è stato in grado di stipulare un contratto collettivo nazionale di<br />

categoria, anche se la struttura organizzativa dello stesso sindacato è<br />

circoscritta ad alcune regioni, sembra pacifico che quel sindacato debba<br />

essere considerato “nazionale” ai sensi dell’art. 28.<br />

112<br />

Il significato<br />

di<br />

associazione<br />

sindacale<br />

“nazionale”<br />

Gli indici della<br />

nazionalità<br />

della<br />

associazione<br />

sindacale


***<br />

L’art. 28 ha ingenerato, oltre che problemi interpretativi rilevanti, anche<br />

problemi di legittimità costituzionale, sotto il profilo della limitazione della<br />

legittimazione ad agire. E in effetti alcuni giudici hanno sollevato la<br />

relativa eccezione in relazione agli artt. 24, 39 e 3 Cost.<br />

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 54/1974, ha respinto le<br />

eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate. Per quanto riguarda l’art.<br />

24 Cost., la Corte ha osservato che l’art. 28 nulla toglie alla tutela<br />

giurisdizionale né dei singoli, né delle associazioni sindacali diverse da<br />

quelle nazionali, i quali possono agire con gli strumenti giurisdizionali<br />

ordinari. Per quanto riguarda, invece, gli artt. 39 e 3 Cost., ritenuti violati<br />

in quanto la norma riserva un trattamento privilegiato ai sindacati nazionali,<br />

la Corte ha respinto la relativa eccezione con argomentazioni simili a quelle<br />

già utilizzate per respingere l’eccezione di incostituzionalità relativa all’art.<br />

19 St. lav. Essa ha rilevato che ancorare la possibilità di utilizzare questo<br />

strumento ad un criterio di rappresentatività – quale quello costituito dalla<br />

dimensione nazionale – è del tutto ragionevole. E’ ragionevole cioè<br />

differenziare il trattamento delle diverse associazioni sindacali a seconda<br />

del grado di rappresentatività, sia perché le associazioni sindacali di una<br />

certa consistenza sono in grado di rappresentare in maniera più adeguata gli<br />

interessi dei lavoratori, sia perché un criterio di selezione consente di<br />

evitare una proliferazione di ricorsi che danneggerebbero la stessa<br />

funzionalità dell’impresa.<br />

113<br />

Legittimazione<br />

ad agire e<br />

questioni di<br />

legittimità<br />

costituzionale


3.13.2. La fattispecie “condotta antisindacale”.<br />

L’art. 28 St. lav. mira a reprimere “i comportamenti diretti ad impedire o<br />

limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto<br />

di sciopero”.<br />

All’indomani dell’entrata in vigore dello Statuto, era stata sostenuta la tesi<br />

secondo cui solo la violazione dei diritti sindacali previsti dallo statuto al<br />

Titolo III del medesimo sarebbe stata reprimibile attraverso questo<br />

procedimento.<br />

Tale tesi è stata abbandonata rapidamente, in quanto la definizione della<br />

fattispecie contenuta nell’art. 28 è solo teleologicamente e non<br />

strutturalmente determinata (la legge fa riferimento a “comportamenti<br />

diretti a impedire o limitare…”). Qualsiasi comportamento oggettivamente<br />

idoneo a impedire o limitare la libertà o l’attività sindacale, nonché<br />

l’esercizio del diritto di sciopero rientra nella fattispecie di cui all’art. 28.<br />

Sarebbe dunque arbitrario limitare l’utilizzazione della norma alla sola<br />

violazione dei diritti sindacali specificamente sanciti dallo Statuto dei<br />

lavoratori.<br />

V’è ancora controversia in dottrina e in giurisprudenza in merito alla<br />

rilevanza o meno dell’elemento soggettivo, ossia dell’intenzionalità della<br />

condotta datoriale. La tesi più corretta appare comunque quella per cui<br />

rientrano nella fattispecie “condotta antisindacale” tutti i comportamenti<br />

obiettivamente idonei a ledere i beni protetti dalla norma,<br />

indipendentemente dalla prova di uno specifico elemento intenzionale del<br />

datore di lavoro.<br />

Va tuttavia chiarito che non tutti i possibili comportamenti illegittimi del<br />

datore di lavoro sono, per ciò solo, antisindacali. Può infatti aversi un<br />

comportamento illegittimo – ad esempio il licenziamento di un lavoratore –<br />

114<br />

Fattispecie<br />

solo<br />

teleologica-<br />

mente e non<br />

struttural-<br />

mente<br />

determinata<br />

La rilevanza<br />

dell’elemento<br />

intenzionale


senza che ciò integri gli estremi della condotta antisindacale: un<br />

licenziamento ingiustificato non è, in generale, antisindacale, a meno che<br />

non si tratti di licenziamento discriminatorio per motivi sindacali, ad es.,<br />

irrogato perché il lavoratore è un attivista sindacale.<br />

Ciò che rileva è, dunque, verificare se il comportamento del datore di<br />

lavoro sia idoneo a ledere i beni protetti (libertà e attività sindacale, diritto<br />

di sciopero). Tale lesione può anche derivare da un comportamento che<br />

colpisce il singolo lavoratore, purché si tratti di un cd. comportamento<br />

plurioffensivo, come nell’esempio appena formulato (in cui viene al<br />

contempo leso l’interesse del singolo lavoratore a non essere licenziato<br />

illegittimamente e quello del gruppo organizzato al libero svolgimento<br />

dell’attività sindacale).<br />

Così come la fattispecie “condotta antisindacale” non è strutturalmente ma<br />

teleologicamente definita, neppure il contenuto dell’ordine del giudice è<br />

strutturalmente determinato e può assumere i contenuti più diversi. Il<br />

giudice può adottare, con decreto, ogni provvedimento che ritiene<br />

necessario al fine di ripristinare la normalità sindacale (anche, ad esempio,<br />

l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro).<br />

3.13.3. La violazione delle clausole dei contratti collettivi.<br />

Di particolare interesse appare verificare se la violazione delle disposizioni<br />

dei contratti collettivi integri o no una condotta antisindacale.<br />

Ebbene, la violazione delle sole clausole normative del contratto collettivo<br />

non costituisce, di per sé, una condotta antisindacale. In dottrina si è però<br />

ritenuto che possano sussistere gli estremi dell’antisindacalità qualora il<br />

datore di lavoro ponesse in essere sistematiche e reiterate violazioni delle<br />

115<br />

Parte<br />

normativa e<br />

parte<br />

obbligatoria<br />

del contratto<br />

collettivo


clausole contrattuali, tali da tradursi in un attentato all’ordine contrattuale e<br />

dunque all’effettività dell’azione contrattuale del sindacato.<br />

Quanto alla violazione di una clausola obbligatoria del contratto collettivo,<br />

quale ad es. una clausola che preveda un diritto d’informazione in capo al<br />

sindacato, essa costituisce certamente condotta antisindacale: venendo<br />

negata una prerogativa sindacale, ne consegue evidentemente una<br />

compressione dell’attività sindacale.<br />

Qualcuno ha però avanzato un’obiezione di principio rispetto alla tesi per<br />

cui anche la violazione di disposizioni contrattuali può costituire condotta<br />

antisindacale: così ragionando, si è detto, si finirebbe per sanzionare<br />

penalmente (si ricordi che la violazione dell’ordine del giudice è sanzionata<br />

con l’applicazione dell’art. 650 c.p.: cfr. art. 28, 3° co., St. lav.), ma<br />

unilateralmente, vale a dire solo quando essa sia posta in essere dal datore<br />

di lavoro, l’inosservanza dei contratti collettivi.<br />

Invero, questa obiezione non appare convincente, perché la sanzione penale<br />

non colpisce, di per sé, l’inosservanza delle disposizioni del contratto<br />

collettivo, ma l’inosservanza dell’ordine del giudice.<br />

3.13.4. Condotta antisindacale ed obbligo di trattare.<br />

C’è ancora da domandarsi se il rifiuto, da parte del datore di lavoro, di<br />

trattare con le associazioni sindacali sia da considerare condotta<br />

antisindacale ex art. 28 St. lav.<br />

Nel nostro ordinamento non è ricostruibile un obbligo generale di trattare.<br />

Parte della dottrina ritiene che tale obbligo possa essere tutt’al più<br />

configurato nel pubblico impiego, in quanto il sistema della contrattazione<br />

collettiva è regolato dalla legge e, in particolare, sono individuati i soggetti<br />

116<br />

Il rifiuto di<br />

trattare


competenti a trattare e stipulare i contratti collettivi. Nel settore del lavoro<br />

privato, invece, la contrattazione collettiva non è regolata dalla legge e non<br />

è stabilito, in capo ad alcun sindacato, un diritto di trattare.<br />

Per tali ragioni, il rifiuto di trattare deve considerarsi, in generale, legittimo.<br />

Esclusa l’esistenza di un generale obbligo di trattare, va però segnalata la<br />

previsione di specifici obblighi di trattare imposti da singole leggi o da<br />

clausole dei contratti collettivi. Ciò avviene, ad esempio, in materia di<br />

ricorso alla Cassa integrazione guadagni ed in materia di licenziamenti<br />

collettivi, poiché la legge prevede un obbligo di informazione sindacale<br />

preventiva, cui segue un obbligo di “esame congiunto”, da considerare<br />

come obbligo di trattare. Ebbene, va da sé che, là dove un obbligo di<br />

trattare sia specificamente previsto, il rifiuto della trattativa costituisce<br />

condotta antisindacale.<br />

Non esistendo un obbligo generale di trattare, il datore di lavoro può<br />

prescegliere con chi trattare, anche eventualmente escludendo alcuni<br />

sindacati. A ciò osta solo un limite. La trattativa con alcuni sindacati, e non<br />

con altri, non deve essere irragionevole in relazione alla rappresentatività<br />

dell’associazione sindacale esclusa; più precisamente, non deve essere<br />

talmente irragionevole da integrare la fattispecie del sostegno a sindacati<br />

“di comodo”, ex art. 17 St. lav.<br />

Quest’ultima norma, sotto la rubrica “sindacati di comodo”, vieta “ai datori<br />

di lavoro e alle associazioni dei datori di lavoro di costituire o sostenere<br />

con mezzi finanziari o altrimenti le associazioni sindacali dei lavoratori”.<br />

La ratio della norma è di impedire che i datori di lavoro (o le associazioni<br />

dei datori di lavoro) creino o sostengano sindacati che non siano<br />

genuinamente rappresentativi degli interessi dei lavoratori, al fine di avere<br />

una controparte “compiacente”. Va da sé che la semplice contrattazione<br />

117<br />

La<br />

“discrimina-<br />

zione” nelle<br />

trattative


con un sindacato, che sia genuino, non integra la fattispecie del sindacato di<br />

comodo e non può essere considerata condotta antisindacale.<br />

Resta infine da verificare se la trattativa condotta dal datore di lavoro con i<br />

singoli lavoratori, scavalcando le associazioni sindacali, costituisca<br />

condotta antisindacale. Si ipotizzi che il sindacato rivendichi un aumento<br />

salariale per i lavoratori o l’introduzione di un premio di produzione<br />

aziendale ed il datore di lavoro rifiuti la trattativa sindacale, privilegiando<br />

trattative svolte direttamente con i singoli lavoratori.<br />

Una volta negata l’esistenza di un obbligo generale di trattare con le<br />

associazioni sindacali, se ne dovrebbe inferire logicamente la possibilità di<br />

trattare direttamente con i singoli, escludendo le associazioni sindacali.<br />

Eppure la giurisprudenza (Cass. 23 marzo 2006, n. 6429) talora ritiene che<br />

il datore di lavoro, pur restando libero di non trattare affatto, debba<br />

rivolgersi necessariamente all’interlocutore collettivo nel momento in cui<br />

decide di trattare. La bontà di tale conclusione risulta però, come si è<br />

anticipato, pregiudicata da un salto di carattere logico, poiché, se è vero che<br />

non esiste un obbligo di trattare e vi è la libertà del datore di rifiutare la<br />

trattativa col sindacato, non si vede come possa essere repressa la trattativa<br />

diretta con i singoli lavoratori.<br />

118<br />

La trattativa<br />

con i<br />

singoli<br />

lavoratori


4.1. Il diritto di sciopero.<br />

Capitolo IV<br />

IL CONFLITTO<br />

Nonostante l’art. 40 della Costituzione disponga che “il diritto di sciopero<br />

si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, non esiste in Italia una<br />

disciplina generale dello sciopero (cioè del mezzo di lotta sindacale dei<br />

lavoratori) e della serrata (tradizionalmente considerata la “tipica” forma di<br />

lotta sindacale dei datori di lavoro, attuata tramite la chiusura dell’azienda<br />

ed il rifiuto delle prestazioni lavorative dei dipendenti).<br />

Il fatto che non esista una disciplina di carattere generale – ad esclusione,<br />

come vedremo, del settore dei servizi pubblici essenziali – non significa<br />

tuttavia che il vuoto normativo sia assoluto. Qualche indicazione può essere<br />

ricavata dalla Costituzione: mentre lo sciopero è menzionato e riconosciuto<br />

come diritto, nell’art. 40, nessun riferimento viene fatto alla serrata, con la<br />

conseguenza che essa non è qualificabile quale diritto come lo sciopero.<br />

Nel corso dei lavori preparatori della Costituzione, si era proposto di<br />

rendere lo sciopero oggetto di una formula categorica, del tipo “è assicurato<br />

a tutti i lavoratori il diritto di sciopero” oppure “tutti i lavoratori hanno<br />

diritto di sciopero”. Invece, ne è scaturito un testo compromissorio, ove<br />

l’accento è posto, più che sul riconoscimento del diritto di sciopero, sul<br />

preannuncio delle leggi che ne dovrebbero regolare l’esercizio.<br />

L’art. 40 Cost., è scomponibile in due proposizioni normative: lo sciopero è<br />

un diritto; il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo<br />

regolano.<br />

Quali sono le conseguenze giuridiche della qualificazione dello sciopero<br />

come diritto?<br />

119<br />

Lo sciopero<br />

come diritto


E’ utile, a tal fine, considerare quali sono i possibili atteggiamenti che un<br />

ordinamento giuridico può assumere nei confronti dello sciopero.<br />

Esso può essere considerato come un reato, una libertà o un diritto;<br />

dunque, può essere vietato, permesso, protetto.<br />

Nel periodo pre-corporativo, l’ordinamento giuridico italiano considerava<br />

lo sciopero come una libertà: esso non era vietato dal codice penale<br />

Zanardelli del 1889, a differenza di quanto previsto dal successivo codice<br />

penale Rocco del 1930.<br />

Lo sciopero era quindi penalmente lecito. Semmai erano considerate reati<br />

le minacce o violenze eventualmente poste in essere in occasione dello<br />

sciopero.<br />

In un’ottica prettamente civilistica, lo sciopero – che si concretizza in<br />

un’astensione dal lavoro – sarebbe da considerare un inadempimento<br />

contrattuale. Nello Stato liberale, lo sciopero non era considerato illecito<br />

penalmente; ma appunto era considerato civilmente illecito (come si è<br />

detto, in quanto inadempimento contrattuale).Tale visione, peraltro, era del<br />

tutto coerente con l’ideologia dello Stato liberale, equidistante rispetto alle<br />

parti sociali contrapposte.<br />

Nel periodo corporativo, si assiste ad un mutamento radicale di prospettiva,<br />

prima con l’entrata in vigore della legge sindacale del 1926, poi con il<br />

codice penale del 1930: lo sciopero, al pari della serrata, viene considerato<br />

come un reato contro l’economia nazionale e, dunque, illecito non solo<br />

civilmente ma anche penalmente.<br />

Il codice penale Rocco configura, negli artt. 502 ss., diverse fattispecie –<br />

sciopero per fini contrattuali, sciopero per fini non contrattuali o per fini<br />

politici, sciopero di coazione contro la Pubblica Autorità, sciopero di<br />

solidarietà e di protesta – e stabilisce pene diverse, a seconda della<br />

tipologia di sciopero.<br />

120


Con l’entrata in vigore della Costituzione, lo sciopero viene riconosciuto,<br />

come si è anticipato, come diritto. Ciò, in primo luogo, implica che lo Stato<br />

non può reprimerlo penalmente. Non solo: la qualificazione dello sciopero<br />

come diritto sottrae all’astensione del lavoro quel carattere di<br />

inadempimento contrattuale che altrimenti avrebbe secondo il diritto<br />

comune delle obbligazioni e dei contratti.<br />

4.2. Limiti interni e limiti esterni del diritto di sciopero.<br />

Come sottolineato, l’art. 40 Cost. non si limita a riconoscere lo sciopero<br />

come diritto, ma, allo stesso tempo, rinvia alla legge (ordinaria) per la<br />

fissazione dei limiti del medesimo.<br />

L’art. 40 contiene una riserva di legge, demandando la regolamentazione<br />

del diritto di sciopero esclusivamente a norme di legge. Tuttavia,<br />

disposizioni di carattere generale sullo sciopero non sono mai state<br />

emanate. Solo per i servizi pubblici essenziali, e solo nel 1990, è stata<br />

dettata una disciplina specifica (v. l. 12 giugno 1990, n. 146,<br />

successivamente modificata dalla l. 11 aprile 2000, n. 83).<br />

Come aveva preconizzato un famoso giurista (P. Calamandrei), in<br />

mancanza di norme di legge, i limiti del diritto di sciopero sono stati scritti<br />

dalla giurisprudenza, principalmente dalla Corte costituzionale.<br />

Più precisamente, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla<br />

legittimità costituzionale delle norme del codice penale del 1930 che<br />

prevedevano e punivano lo sciopero come reato, in relazione all’art. 40<br />

Cost., non ha seguito la strada della dichiarazione di illegittimità<br />

costituzionale in blocco di tutte le disposizioni del codice penale che<br />

punivano lo sciopero come reato; ha preferito seguire una via<br />

121<br />

La riserva di<br />

legge<br />

contenuta<br />

nell’art. 40<br />

Cost.


“gradualistica”, ritagliando in alcuni casi, all’interno delle fattispecie<br />

previste dal codice penale, fattispecie “minori” (con sentenze interpretative<br />

di rigetto o di accoglimento parziale manipolative) in cui la punibilità<br />

penale dello sciopero non poteva ritenersi contrastante con l’art. 40 Cost.<br />

La Corte costituzionale, mentre ha dichiarato l’illegittimità costituzionale<br />

dell’art. 502 c.p., relativo allo sciopero – e alla serrata – “per fini<br />

contrattuali” (vale a dire lo sciopero attraverso il quale i lavoratori<br />

sostengono le proprie rivendicazioni economiche in vista della<br />

contrattazione collettiva), non ha dichiarato totalmente illegittimo l’art 503<br />

c.p., avente ad oggetto lo sciopero per fini non contrattuali, ovvero politici.<br />

In questo caso, la Corte costituzionale ha ritenuto che debbano qualificarsi<br />

come reato lo sciopero politico diretto a sovvertire l’ordinamento<br />

costituzionale ovvero quello che impedisca il libero svolgimento dei diritti<br />

e dei poteri in cui si sostanzia la sovranità popolare. Ha dunque ritagliato,<br />

all’interno della fattispecie “sciopero per fini non contrattuali”, una<br />

fattispecie minore in cui lo sciopero può ben qualificarsi reato senza che<br />

insorga alcun contrasto con l’art. 40 Cost.<br />

In definitiva, la Corte costituzionale ha sostanzialmente riscritto i limiti del<br />

diritto di sciopero nel momento in cui è stata chiamata a valutare la<br />

legittimità costituzionale delle norme del codice penale del 1930 che<br />

puniscono lo sciopero come reato.<br />

Oltre però alla Corte costituzionale, anche la Corte di cassazione ha<br />

individuato limiti al diritto di sciopero. In particolare, essa è stata chiamata<br />

a giudicare delle forme cd. anomale di sciopero, quelle cioè che non si<br />

traducono in una semplice e totale astensione dal lavoro dei lavoratori. La<br />

Corte di cassazione è partita dal presupposto che ciò che la Costituzione<br />

riconosce come diritto, dunque lecito sia sul piano civile, sia sul piano<br />

122


penale, è lo sciopero, con la conseguenza che tutto quello che non rientra<br />

nella nozione di sciopero non gode della tutela di cui all’art. 40 Cost.<br />

La Corte ha così dato nel corso del tempo diverse definizioni di sciopero.<br />

In un primo tempo, la Cassazione ha adottato una definizione piuttosto<br />

restrittiva: è sciopero l’astensione concertata, contestuale e continuativa, di<br />

tutti i lavoratori dell’impresa. In virtù di tale definizione né lo sciopero cd.<br />

a singhiozzo (brevi periodi di astensione dal lavoro intervallati da brevi<br />

periodi di svolgimento dell’attività lavorativa), né quello cd. a scacchiera<br />

(l’astensione dal lavoro è effettuata in tempi diversi da differenti gruppi di<br />

lavoratori, che svolgono attività interdipendenti nell’organizzazione<br />

produttiva) potevano essere considerati sciopero.<br />

Con il passare del tempo, la definizione è diventata più ampia. Accogliendo<br />

le critiche provenienti dalla dottrina, i giudici di legittimità hanno<br />

riconosciuto che l’interprete non deve fornire una definizione aprioristica,<br />

costruita a tavolino, di sciopero. In mancanza di una definizione legislativa,<br />

deve attribuirsi alla parola “sciopero” il significato che essa ha “nel comune<br />

linguaggio adottato nell’ambiente sociale”. E per la Cassazione con la<br />

parola “sciopero”, nel nostro contesto sociale, suole intendersi nulla più<br />

che “un’astensione collettiva dal lavoro, disposta da una pluralità dei<br />

lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune” (Cass. 30 gennaio<br />

1980, n. 711).<br />

In tal modo, la Corte costituzionale e la Corte di cassazione hanno<br />

elaborato la cd. teoria dei limiti interni e dei limiti esterni del diritto di<br />

sciopero.<br />

I limiti interni sono quelli che derivano dalla stessa nozione di sciopero.<br />

Nel momento in cui la Cassazione adotta una nozione ampia di sciopero, è<br />

chiaro che i limiti interni diventano meno consistenti. Essi, tuttavia,<br />

continuano a sussistere: finché si definisce lo sciopero come astensione<br />

123<br />

La<br />

definizione<br />

di sciopero<br />

Limiti interni<br />

e limiti<br />

esterni del<br />

diritto di<br />

sciopero


collettiva dal lavoro, è evidente che tutte le forme di lotta sindacale che non<br />

si riducono ad una semplice astensione non possono essere qualificate<br />

come tale (ad es., lo sciopero cd. pignolo, cioè l’osservanza pedante dei<br />

regolamenti). Ciò vuol dire non che esse devono essere necessariamente<br />

considerate illecite, ma che devono essere valutate alla stregua delle<br />

comuni norme civilistiche e penalistiche (al di fuori, dunque, dell’ombrello<br />

protettivo dell’art. 40 Cost.).<br />

Sono limiti esterni quelli che derivano dal necessario contemperamento<br />

del diritto di sciopero con altri diritti costituzionalmente garantiti, che sono<br />

da considerare sovra-ordinati o almeno pari-ordinati rispetto al diritto di<br />

sciopero e che quindi non possono essere compromessi dall’esercizio dello<br />

stesso.<br />

Il problema è di stabilire, quali diritti sono sovra-ordinati o almeno para-<br />

ordinati e quali sono sotto-ordinati. Per alcuni di essi, come il diritto alla<br />

vita, o all’integrità fisica, non vi sono dubbi: essi sono certamente<br />

sovraordinati rispetto al diritto di sciopero. Più dubbia è la posizione di altri<br />

diritti, che trovano un riconoscimento diretto o indiretto nella Costituzione,<br />

rispetto al diritto di sciopero.<br />

Per quanto riguarda il diritto di iniziativa economica privata, di cui all’art.<br />

41 Cost., si è argomentato giustamente che, se questo fosse uno dei diritti<br />

pari-ordinati rispetto al diritto di sciopero, allora non si dovrebbe mai<br />

ammettere la legittimità dello stesso, dato che esso è finalizzato ad arrecare<br />

un danno all’impresa e dunque all’iniziativa economica privata.<br />

La giurisprudenza ha ritenuto che anche l’art. 41 Cost. deve entrare in<br />

gioco per il contemperamento dei diritti e degli interessi; ma ciò che deve<br />

essere salvaguardata non è la produzione dell’impresa, bensì la capacità<br />

produttiva della stessa (l’iniziativa economica privata nella sua accezione<br />

dinamica). Uno sciopero che danneggi gli impianti industriali fino a farli<br />

124<br />

Le forme di<br />

lotta<br />

sindacale che<br />

non si<br />

esauriscono<br />

in una<br />

astensione<br />

dal lavoro<br />

I diritti<br />

pariordinati o<br />

sovraordinati<br />

rispetto al<br />

diritto di<br />

sciopero


diventare inservibili, compromettendo l’iniziativa economica privata nel<br />

suo nucleo essenziale, è da considerare illegittimo. Uno sciopero che,<br />

invece, comprometta la produttività dell’impresa, senza compromettere<br />

l’impresa come organizzazione istituzionale, deve considerarsi legittimo<br />

(Cass. 30 gennaio 1980, n. 711).<br />

La teoria dei limiti esterni del diritto di sciopero, elaborata dalla Corte<br />

costituzionale, ha costituito poi un’indicazione per il legislatore ordinario<br />

nel momento in cui ha deciso di legiferare nel settore dei servizi pubblici<br />

essenziali con la l. n. 146/1990, successivamente modificata dalla l. n.<br />

83/2000.<br />

Ci si può chiedere per quale motivo il legislatore non sia intervenuto con<br />

una legge di portata generale e si sia giunti fino al 1990 per legiferare in un<br />

settore nevralgico come quello dei servizi pubblici essenziali.<br />

Le ragioni dell’inattuazione dell’art. 40 Cost. sono sufficientemente<br />

acquisite e consistono essenzialmente nell’ostilità manifestata dalle<br />

associazioni sindacali nei confronti delle ipotesi di regolamentazione<br />

legislativa del diritto di sciopero, il principale strumento di lotta dei<br />

sindacati.<br />

Del resto, è opinione comune (e fondata) che una legislazione in materia di<br />

sciopero che incontri l’opposizione delle forze sindacali è destinata a<br />

rimanere ineffettiva. Un fenomeno di rilevanza social-collettiva, come lo<br />

sciopero, non è realisticamente contenibile in regole che non siano<br />

condivise, almeno nelle linee di fondo, dalle forze sociali.<br />

125


4.3. La titolarità del diritto di sciopero.<br />

Il diritto di sciopero viene comunemente definito come diritto individuale<br />

ad esercizio collettivo, per il quale non è necessaria la proclamazione da<br />

parte di un’associazione sindacale stabile. La proclamazione da parte del<br />

sindacato è solamente un atto interno, un invito rivolto ai lavoratori a<br />

scioperare, ma non è un requisito di legittimità dello sciopero.<br />

Con l’espressione “ad esercizio collettivo” si vuole affermare che, alla base<br />

dello sciopero, vi deve essere un interesse collettivo, al cui soddisfacimento<br />

è finalizzata l’astensione dei lavoratori.<br />

Se lo sciopero viene proclamato da un sindacato, si ritiene per definizione<br />

sussistente un interesse collettivo, perché il sindacato è, per sua stessa<br />

natura, l’ente esponenziale dell’interesse collettivo. Se lo sciopero non<br />

viene proclamato da un’associazione sindacale, bisognerà verificare, di<br />

volta in volta, se sussiste o meno l’interesse collettivo (se dieci lavoratori,<br />

ad esempio, si astengono per sostenere rivendicazioni attinenti alle proprie<br />

condizioni di lavoro si è senz’altro in presenza di uno sciopero).<br />

L’adesione anche di un solo lavoratore ad uno sciopero proclamato da un<br />

sindacato configura uno sciopero, perché sussiste l’interesse collettivo. Se<br />

invece, in mancanza di proclamazione da parte di un sindacato, una<br />

pluralità di lavoratori si astiene dal lavoro bisognerà verificare di volta in<br />

volta la sussistenza di un interesse comune-collettivo.<br />

Sotto altro profilo, la titolarità del diritto di sciopero spetta ai lavoratori<br />

subordinati e parasubordinati (vale a dire i lavoratori autonomi che<br />

svolgono una prestazione coordinata, continuativa e prevalentemente<br />

personale a favore del committente: v. retro cap. I, par. 1). La legge sullo<br />

sciopero nei servizi pubblici essenziali, come si vedrà, disciplina anche<br />

l’astensione dei lavoratori autonomi tout court (ad es. degli avvocati),<br />

126<br />

Diritto di<br />

sciopero e<br />

rilevanza<br />

della<br />

proclamazione<br />

sindacale:<br />

essa non fa<br />

parte della<br />

struttura del<br />

diritto (tranne<br />

che nello<br />

sciopero nei<br />

servizi<br />

pubblici<br />

essenziali)<br />

Diritto di<br />

sciopero e<br />

lavoro<br />

autonomo


sebbene in tal caso non si possa parlare propriamente di sciopero, ma di<br />

astensione dalle prestazioni che troverebbe tutela costituzionale nell’art. 18<br />

Cost., sul diritto di associazione (Corte cost. 23 marzo 1994, n. 114; Corte<br />

cost. 27 maggio 1996, n. 171).<br />

4.4. La struttura del diritto di sciopero.<br />

Se dal punto di vista fattuale lo sciopero è un’astensione dal lavoro, dal<br />

punto di vista giuridico esso è un diritto potestativo cui corrisponde una<br />

mera soggezione della controparte.<br />

Parte della dottrina ha contestato tale qualificazione, sostenendo che il<br />

diritto di sciopero sarebbe un diritto della personalità. In realtà, non vi è<br />

contraddizione tra la configurazione del diritto di sciopero come diritto<br />

potestativo e la sua configurazione come diritto della personalità: la<br />

qualificazione come diritto della personalità attiene alla finalità del<br />

riconoscimento del diritto di sciopero, mentre la qualificazione come diritto<br />

potestativo attiene alla sua struttura, vale a dire al suo modo di operare<br />

all’interno del rapporto obbligatorio con il datore di lavoro.<br />

4.5. I modi attuativi.<br />

Due sono i problemi principali che la giurisprudenza ha dovuto affrontare,<br />

stante la mancanza, già ricordata, di una definizione esplicita di sciopero<br />

nel testo dell’art. 40 Cost. L’uno è relativo alle modalità attuative dello<br />

sciopero; l’altro è relativo alle finalità in vista delle quali lo sciopero viene<br />

attuato.<br />

127<br />

La<br />

qualificazione<br />

in termini di<br />

diritto<br />

potestativo<br />

La<br />

qualificazione<br />

in termini di<br />

diritto della<br />

personalità


Per quanto attiene alle modalità, la giurisprudenza ha dovuto affrontare il<br />

problema della legittimità dello sciopero articolato (sciopero a singhiozzo<br />

e sciopero a scacchiera; v. retro, cap. IV, par. 2).<br />

Si è detto che, in una prima fase, la giurisprudenza – definendo lo sciopero<br />

come un’astensione dal lavoro contestuale e continuativa – ha ritenuto che<br />

le forme di lotta sindacale sopra descritte non costituissero esercizio dello<br />

sciopero. E ciò anche perché esse avrebbero recato un danno ingiusto alla<br />

controparte: un danno – la disorganizzazione dell’attività produttiva –<br />

sproporzionato rispetto a quello ricevuto dai lavoratori a seguito dello<br />

sciopero, vale a dire la perdita della retribuzione. A sostegno della tesi si<br />

invocavano altresì gli obblighi di correttezza e buona fede.<br />

A seguito delle critiche avanzate dalla dottrina, (sia perché la<br />

giurisprudenza assumeva una nozione aprioristica, costruita a tavolino, di<br />

sciopero; sia perché nessuna norma indicava quale dovesse essere la misura<br />

del danno “giusto” arrecata da uno sciopero, sia perché gli obblighi di<br />

correttezza e buona fede assistono l’esecuzione della prestazione lavorativa<br />

quando lo sciopero determina la sospensione del relativo obbligo) la<br />

Cassazione, già dalla fine degli anni ’70, mutò indirizzo. E con la storica<br />

sentenza n. 711/1980 consacrò la legittimità dello sciopero articolato.<br />

A partire dalla fondamentale decisione del 1980, l’accento si è così<br />

spostato sull’individuazione dei confini dell’obbligo retributivo gravante<br />

sul datore di lavoro per le prestazioni offerte o rese, in caso di sciopero a<br />

singhiozzo, negli intervalli lavorati e, in caso di sciopero a scacchiera, dai<br />

lavoratori attualmente non scioperanti. Naturalmente lo stesso problema si<br />

pone per uno sciopero parziale nei confronti dei lavoratori che non vi<br />

aderiscono.<br />

A questo proposito, l’alternativa di fondo è se assuma rilievo la non<br />

proficuità della prestazione offerta o resa secondo lo standard normale,<br />

128<br />

Liceità dello<br />

sciopero cd.<br />

articolato<br />

Il problema<br />

della<br />

persistenza<br />

dell’obbligo<br />

retributivo<br />

per<br />

prestazioni<br />

lavorative<br />

rese<br />

nell’ambito<br />

di uno<br />

sciopero<br />

articolato


ovvero la sua assoluta non proficuità (id est inutilizzabilità). E’ infatti<br />

scontato che il lavoratore sia tenuto a fornire, non semplici energie, ma<br />

“prestazioni lavorative utili”. A chi ha sostenuto la prima tesi, è stato<br />

obiettato che essa finisce per accollare al prestatore di lavoro il compito di<br />

effettuare non un prestazione che sia utile in sé, bensì una prestazione che<br />

realizzi l’utilità economica finale cui è preposta l’organizzazione<br />

produttiva. In sostanza l’utilità del risultato – che costituisce indice esatto<br />

adempimento – andrebbe misurata in relazione non al risultato finale cui<br />

l’imprenditore tende, bensì alla natura della singola prestazione. Pertanto,<br />

al lavoratore nulla spetterebbe solo quando la prestazione sia scesa al di<br />

sotto di quel livello di normalità tecnica, mancando la quale essa viene a<br />

perdere la sua identità originaria.<br />

Questa pare la conclusione raggiunta dalla giurisprudenza più recente,<br />

allorché per escludere l’obbligo retributivo richiama la nozione della<br />

impossibilità e non di semplice difficultas di utilizzazione della prestazione,<br />

anche se nei casi concreti gli indici della ricorrenza dell’impossibilità non<br />

sempre sono individuati con rigore.<br />

4.6. Le finalità. In particolare, lo sciopero politico.<br />

Non sempre uno sciopero viene proclamato al fine di fare pressione sui<br />

datori di lavoro o sulle relative associazioni sindacali in funzione della<br />

stipulazione o del rinnovo del contratto collettivo. Assai frequentemente<br />

sono attuate forme di sciopero rivolte contro la pubblica autorità, al fine di<br />

ottenere od escludere l’adozione di un determinato provvedimento (ad es.<br />

la modifica della legislazione vigente).<br />

129


La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità<br />

costituzionale delle norme del codice penale del 1930, ha senz’altro, e<br />

senza esitazione, dichiarato incostituzionale l’art. 502 c.p., relativo allo<br />

sciopero per fini contrattuali; successivamente in una serie di pronunce ha<br />

definito i limiti dello sciopero per fini non contrattuali o di coazione alla<br />

pubblica autorità (artt. 503 – 504 c.p.).<br />

Si tratta dello sciopero comunemente definito come politico, vale a dire<br />

quello che, pur avendo come soggetto passivo il datore di lavoro, è in realtà<br />

diretto ad esercitare una pressione su una pubblica autorità (parlamento,<br />

governo ecc.) per propiziare o scongiurare l’adozione di un determinato<br />

provvedimento.<br />

Tracciando una sintesi del contenuto di queste sentenze, si può affermare<br />

che la Corte costituzionale ha ritagliato tre aree all’interno dello sciopero<br />

in senso lato politico.<br />

In certi casi, lo sciopero indirizzato nei confronti della pubblica autorità<br />

deve essere ancora oggi considerato un reato: si tratta dello sciopero diretto<br />

a sovvertire l’ordinamento costituzionale e dello sciopero diretto a limitare<br />

e ad impedire l’esercizio di quelle prerogative in cui si sostanzia la<br />

sovranità popolare (ad es. lo sciopero diretto ad impedire il diritto di voto<br />

ovvero a limitare o impedire la regolare attività del Parlamento) (Corte<br />

cost. 27 dicembre 1974, n. 290); in altri casi, lo sciopero politico deve<br />

essere considerato un diritto (e quindi non sanzionabile penalmente e<br />

nemmeno civilmente); in altri casi ancora deve essere considerato una mera<br />

libertà.<br />

Lo sciopero di imposizione economico-politica, vale a dire lo sciopero<br />

diretto ad ottenere o scongiurare un provvedimento che incide sulle<br />

condizioni dei lavoratori, costituisce un’astensione pienamente<br />

riconducibile alla nozione di sciopero di cui all’art. 40 (quindi costituisce<br />

130<br />

Lo sciopero<br />

politico-reato<br />

Lo sciopero<br />

politicodiritto


esercizio di un diritto). Deve considerarsi tale, ad esempio, lo sciopero<br />

contro la riforma dell’art. 18 St. lav., o per la riforma delle pensioni o per<br />

una diversa politica fiscale (Corte cost. 28 dicembre 1962, n. 123).<br />

Lo sciopero politico in senso stretto, che si indirizza contro la pubblica<br />

autorità, con contenuti afferenti a temi di politica generale, per lo più di<br />

politica estera, che non hanno attinenza con le condizioni lavorative in<br />

quanto tali (ad es. sciopero contro l’intervento militare in Afghanistan)<br />

costituisce esercizio di una semplice libertà (Corte cost. 27 dicembre 1974,<br />

n. 290).<br />

Questo assetto derivante dalla giurisprudenza costituzionale, che pareva<br />

oramai cristallizzato, è stato peraltro messo di recente in discussione da<br />

parte della giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. 21 agosto 2004,<br />

n. 16515) che ha affermato che anche lo sciopero politico tout court<br />

dovrebbe essere considerato come un diritto e non una semplice libertà.<br />

4.7. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali.<br />

Verso la fine degli anni ’70, in connessione con la cd. “terziarizzazione del<br />

conflitto”, l’atteggiamento delle associazioni sindacali nei confronti della<br />

regolamentazione dello sciopero muta: il conflitto sociale, infatti, interessa<br />

sempre meno l’industria e sempre più il settore dei servizi pubblici, i cui<br />

utenti sono innanzitutto lavoratori subordinati.<br />

Lo sciopero dei trasporti ad esempio danneggia, probabilmente più di tutti,<br />

i lavoratori subordinati pendolari.<br />

In connessione con lo spostamento dell’interesse nei confronti del settore<br />

terziario, muta quindi la sensibilità delle associazioni sindacali in merito<br />

all’ipotesi di una regolamentazione dello sciopero.<br />

131<br />

Lo sciopero<br />

politico-libertà


Inizialmente i sindacati “scommettono” sulla autoregolamentazione, cioè<br />

su una disciplina elaborata dallo stesso sindacato, che limita<br />

volontariamente il ricorso allo sciopero e ne regola le modalità di esercizio.<br />

Nasce così nel 1983 il primo codice sindacale di autoregolamentazione nel<br />

settore dei trasporti, adottato da Cgil, Cisl e Uil.<br />

La debolezza dell’autoregolamentazione si manifesta tuttavia nell’apparato<br />

sanzionatorio.<br />

Le previsioni di un codice di autoregolamentazione sono in tutto<br />

assimilabili alle disposizioni statutarie e, pertanto, non possono riguardare i<br />

lavoratori non iscritti al sindacato.<br />

Inoltre, anche per i lavoratori iscritti, la violazione del codice può<br />

comportare esclusivamente l’applicazione delle sanzioni disciplinari<br />

previste dallo statuto dell’associazione sindacale per i soci che non ne<br />

osservano le regole. Ma l’associazione sindacale difficilmente arriva ad<br />

applicare sanzioni disciplinari interne che potrebbero condurre alla perdita<br />

dell’iscritto.<br />

Constatata la debolezza della strada dell’autoregolamentazione, le<br />

associazioni sindacali hanno consentito, ed addirittura promosso, una<br />

regolamentazione dello sciopero nei pubblici servizi del settore. CGIL,<br />

CISL, e UIL, verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso, hanno dato<br />

incarico ad un gruppo di giuristi di elaborare un progetto per una<br />

regolamentazione legislativa dello sciopero nei pubblici servizi; e alcune<br />

idee di questo progetto sono state recepite e tradotte infine nella l. n.<br />

146/1990.<br />

Sotto questo profilo la l. n. 146/1990 è definibile come una legge<br />

“contrattata”.<br />

Nel settore dei servizi pubblici, la complessità è accentuata dalla forte<br />

frammentazione sindacale, con conseguente moltiplicazione dei conflitti,<br />

132<br />

L’autoregolamentazione<br />

dello<br />

sciopero e i<br />

suoi limiti


giacché i sindacati utilizzano lo strumento dello sciopero per acquisire<br />

visibilità; il che non avviene nel settore industriale anche per la meno<br />

accentuata frammentazione sindacale.<br />

4.7.1. La definizione di servizio pubblico essenziale.<br />

L’art. 1 della l. n. 146, così come modificata dalla l. n. 83/2000, contiene la<br />

definizione di servizio pubblico essenziale, che costituisce l’ambito di<br />

applicazione della legge.<br />

La definizione data dall’art. 1, 1° co., è una definizione di tipo teleologico e<br />

non di tipo strutturale: “Ai fini della presente legge sono considerati servizi<br />

pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto<br />

di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione,<br />

quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona,<br />

costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla<br />

sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale,<br />

all'istruzione ed alla libertà di comunicazione”.<br />

Il servizio pubblico essenziale è, dunque, individuato attraverso il<br />

riferimento ai diritti della persona costituzionalmente tutelati elencati nel<br />

primo comma della norma citata.<br />

A questo primo comma, segue un secondo comma che contiene una<br />

elencazione di servizi (e, per la verità, talora di prestazioni indispensabili).<br />

“Allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il<br />

godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al 1°<br />

co., la presente legge dispone le regole da rispettare e le procedure da<br />

seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettività, nel loro<br />

contenuto essenziale, dei diritti medesimi, in particolare nei seguenti<br />

133<br />

Definizione<br />

del tipo<br />

teleologico e<br />

non<br />

strutturale di<br />

servizio<br />

pubblico<br />

essenziale


servizi e limitatamente all'insieme delle prestazioni individuate come<br />

indispensabili ai sensi dell'art. 2:<br />

a) per quanto concerne la tutela della vita, della salute, della libertà e della<br />

sicurezza della persona, dell'ambiente e del patrimonio storico artistico: la<br />

sanità; l'igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento<br />

dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane,<br />

limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili;<br />

l'approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni<br />

di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi<br />

impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi;<br />

l'amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai<br />

provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed<br />

urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i<br />

servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali;<br />

b) per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione: i trasporti<br />

pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei,<br />

aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole;<br />

c) per quanto concerne l'assistenza e la previdenza sociale, nonché gli<br />

emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al<br />

soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona<br />

costituzionalmente garantiti: i servizi di erogazione dei relativi importi<br />

anche effettuati a mezzo del servizio bancario;<br />

d) per quanto riguarda l'istruzione: l'istruzione pubblica, con particolare<br />

riferimento all'esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili<br />

nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento<br />

degli scrutini finali e degli esami, e l'istruzione universitaria, con<br />

particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione;<br />

134


e) per quanto riguarda la libertà di comunicazione: le poste, le<br />

telecomunicazioni e l'informazione radiotelevisiva pubblica”.<br />

Non è opportuno soffermarsi analiticamente sull’elenco dei servizi che<br />

sono indicati nel co. 2 dell’art. 1. L’aspetto più problematico concerne la<br />

natura tassativa ovvero esemplificativa di tale elencazione. La tesi<br />

prevalente, anzi ormai unanime, è quella secondo la quale l’elencazione è<br />

esemplificativa e non tassativa.<br />

Se la definizione non fosse esemplificativa non si capirebbe, infatti, il<br />

significato della definizione di servizio pubblico contenuta nel 1° co.<br />

dell’art. 1. Ricordiamo che il primo comma dà una definizione, non<br />

strutturale, ma solo teleologica (sono servizi pubblici quelli diretti al<br />

soddisfacimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati). Se il<br />

comma 2° volesse dare una elencazione tassativa, non avrebbe senso la<br />

definizione teleologica di cui al comma 1°.<br />

Inoltre, negli ordinamenti nei quali v’è una regolamentazione dello<br />

sciopero nei servizi pubblici essenziali, con relativa elencazione dei servizi,<br />

si prevede qualche meccanismo, di tipo amministrativo, per aggiornare<br />

siffatta elencazione. Poiché nella legge n. 146/1990 questo meccanismo<br />

non è previsto, è del tutto logico ritenere che l’elenco non sia tassativo ma,<br />

appunto, solo esemplificativo. Occorre infine sottolineare come la nozione<br />

di servizio pubblico essenziale non sia immutabile dipendendo anche<br />

dall’evoluzione e dall’organizzazione della società (il trasporto aereo, ad<br />

esempio, 40 anni fa non poteva essere considerato servizio pubblico<br />

essenziale). Di qui l’opportunità di una definizione aperta, solo<br />

teleologicamente orientata, di servizi pubblici essenziali.<br />

Il servizio pubblico (come stabilisce il 1° co.: “indipendentemente dalla<br />

natura giuridica del rapporto di lavoro…”) può essere gestito anche da<br />

un’impresa privata. Il servizio è infatti pubblico in quanto diretto al<br />

135<br />

L’elencazione<br />

del 2° co.<br />

dell’art. 1 è<br />

solo<br />

esemplificativa


pubblico, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del datore di<br />

lavoro: ad esempio, l’attività di una clinica privata costituisce senz’altro<br />

servizio pubblico essenziale poiché vi viene tutelato il diritto alla salute e<br />

alla vita.<br />

In conclusione, si può dire che servizio pubblico essenziale è il servizio<br />

diretto a garantire i diritti della persona costituzionalmente tutelati indicati<br />

nel 1° co. dell’art. 1 della l. n. 146/1990, con la precisazione per cui<br />

l’elencazione dei diritti tutelati indicati nel 1° comma è tassativa, mentre<br />

quella dei servizi al 2° comma è solo esemplificativa.<br />

4.7.2. Le regole dello sciopero.<br />

La l. n. 146 del 1990 fissa direttamente pochi principi sostanziali<br />

demandando la fissazione delle regole a fonti secondarie, segnatamente ai<br />

contratti collettivi (oltre che ai codici di autoregolamentazione).<br />

Gli obblighi principali fissati dall’art. 2 della legge sono di dare un<br />

preavviso dello sciopero e di garantire le prestazioni indispensabili.<br />

a) Innanzitutto, deve essere dato un preavviso, non inferiore ai 10 giorni da<br />

parte dei soggetti sindacali che proclamano lo sciopero. La finalità del<br />

preavviso è soprattutto di consentire alle aziende o gli enti erogatori dei<br />

servizi pubblici di adottare le misure necessarie per assicurare le<br />

prestazioni indispensabili e effettuare le necessarie comunicazioni ed<br />

informazioni agli utenti.<br />

b) Occorre poi che siano garantite le prestazioni indispensabili. La legge<br />

definisce le prestazioni indispensabili come quelle necessarie per<br />

garantire i diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui al co. 1°<br />

dell’art. 1. Va infatti sottolineato che, all’interno di un servizio<br />

136<br />

Il preavviso<br />

Le prestazioni<br />

indispensabili


pubblico, non tutte le prestazioni rese dai lavoratori sono indispensabili<br />

ai fini del soddisfacimento dei diritti della persona costituzionalmente<br />

garantiti; tant’è vero che qualcuno, giustamente, ha detto che il concetto<br />

centrale nell’ambito di applicazione della legge non è tanto quello di<br />

servizio pubblico quanto quello di prestazione indispensabile.<br />

La distinzione tra servizio pubblico e prestazione indispensabile, fatta<br />

propria dal legislatore del 1990, era stata peraltro già formulata dalla Corte<br />

costituzionale. Ed in effetti, come si è già anticipato, l’elaborazione della<br />

giurisprudenza costituzionale in materia di sciopero è stata molto<br />

importante, perché ha delineato le linee interpretative per il legislatore<br />

ordinario.<br />

La Corte costituzionale era stata chiamata a giudicare della legittimità<br />

costituzionale degli artt. 330, 333 del c.p. (ora abrogati dalla legge n.<br />

146/1990) che prevedevano e punivano l’abbandono dei pubblici servizi<br />

come reato. E la Corte aveva ritenuto che potesse considerarsi reato non<br />

qualsiasi abbandono di pubblici servizi, uffici o lavori, ma solo quello che<br />

comprometta “funzioni e servizi pubblici essenziali, aventi carattere di<br />

preminente interesse generale ai sensi della Costituzione” (Corte cost. 17<br />

marzo 1969, n. 31).<br />

La Corte aveva poi affermato che all’interno di quello che può definirsi<br />

servizio pubblico essenziale (ad esempio, il servizio reso da un ospedale),<br />

non tutti gli scioperi dovessero essere considerati reato, ma solo quelli che<br />

non assicurassero le prestazioni indispensabili (nel caso, ad esempio, di uno<br />

sciopero degli infermieri in un ospedale psichiatrico, la Corte ha ritenuto<br />

che tale sciopero non fosse illecito penalmente, perché nel caso era<br />

rispettato il rapporto tra numero degli infermieri e ricoverati, previsti dalla<br />

normativa in materia di sanità. Secondo la Corte costituzionale, una volta<br />

137


assicurato tale rapporto, lo sciopero è legittimo: Corte cost. 3 agosto 1976,<br />

n. 222).<br />

Il concetto di prestazione indispensabile, che qualcuno chiama<br />

impropriamente “servizio minimo”, deriva proprio dall’idea della Corte<br />

costituzionale secondo la quale, all’interno del servizio pubblico, non tutte<br />

le prestazioni debbono ritenersi indispensabili per la garanzia dei diritti<br />

della persona costituzionalmente tutelati.<br />

Una volta chiarito che la l. n. 146/1990, all’art. 2, impone, oltre all’obbligo<br />

del preavviso, anche la garanzia delle prestazioni indispensabili, ci si<br />

chiede come esse vadano determinate.<br />

Ovviamente non era pensabile che il legislatore fissasse analiticamente le<br />

prestazioni indispensabili per ciascun singolo servizio pubblico: esso rinvia<br />

dunque a “fonti secondarie”, segnatamente ai contratti collettivi, in<br />

coerenza con la natura di “legge contrattata” del provvedimento.<br />

La prestazione indispensabile è, quindi, concretamente determinata dai<br />

contratti collettivi, di qualsiasi livello: si può trattare di un contratto<br />

nazionale o di un contratto aziendale.<br />

Può configurarsi un obbligo a trattare per raggiungere l’accordo sulle<br />

prestazioni indispensabili previsto nella legge; il che però non significa<br />

certo che si sia in presenza di un obbligo a contrarre, essendo ovviamente<br />

possibile che le parti non riescano a concludere un accordo per la<br />

determinazione delle prestazioni indispensabili.<br />

In caso di mancato accordo, nella versione originaria della legge, si<br />

determinava una situazione di vuoto normativo che finiva per essere<br />

colmato, ancora una volta, dai giudici. È pur vero che, già nella legge n.<br />

146 del 1990, era stata prevista l’istituzione di una “Commissione di<br />

garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici<br />

essenziali” (composta da 9 membri nominati dal Presidente della<br />

138<br />

La<br />

determinazione<br />

delle<br />

prestazioni<br />

indispensabili<br />

Mancata<br />

fissazione in<br />

via<br />

contrattuale<br />

delle<br />

prestazioni<br />

indispensabili<br />

e ruolo della<br />

Commissione<br />

di Garanzia


Repubblica, tra esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del<br />

lavoro e di relazioni industriali); tuttavia, al fine di garantire l’applicazione<br />

della legge, la Commissione non aveva alcun potere normativo, non<br />

potendo sostituirsi al mancato accordo tra le parti, a meno che non fossero<br />

entrambe a richiedere alla medesima l’emissione di un lodo per la<br />

fissazione delle prestazioni indispensabili. In base al testo originario della l.<br />

n. 146/1990, cioè, la Commissione aveva solo compiti di proposta, di<br />

stimolo e di verifica della congruità degli accordi raggiunti, ma non aveva<br />

il potere di sostituirsi al mancato accordo tra le parti.<br />

Il vuoto è stato colmato con la legge n. 83 del 2000 attraverso il<br />

conferimento alla Commissione di garanzia, non solo del potere di valutare<br />

la congruità degli accordi raggiunti in relazione agli obiettivi che si<br />

prefigge la legge, ma anche del potere di sostituirsi al mancato accordo tra<br />

le parti, adottando quella che l’art. 13 della l. n. 146/1990, denomina<br />

regolamentazione “provvisoria”.<br />

Insomma, la Commissione di garanzia, per indurre le parti a raggiungere un<br />

accordo, fa una propria proposta di regolamentazione. Se le parti collettive<br />

non raggiungono l’accordo, adotta una regolamentazione provvisoria.<br />

La l. n. 83/2000 ha poi introdotto ulteriori obblighi che possono essere<br />

considerati collaterali rispetto ai due obblighi fondamentali del preavviso e<br />

dell’erogazione delle prestazioni indispensabili. In particolare, devono<br />

essere previste (nei contratti o negli accordi collettivi che fissano le<br />

prestazioni indispensabili) procedure di raffreddamento e di conciliazione,<br />

obbligatorie per entrambe le parti, da esperirsi prima della proclamazione<br />

dello sciopero. Se le parti non intendono avvalersi delle procedure di<br />

raffreddamento e di conciliazione contenute negli accordi o nei contratti<br />

collettivi, è previsto un tentativo di conciliazione presso la Prefettura o il<br />

Comune, nel caso di scioperi nei servizi pubblici di rilievo locale, o presso<br />

139<br />

Le procedure<br />

di<br />

raffreddamento<br />

e di<br />

conciliazione


la competente struttura del Ministero del lavoro e della previdenza sociale,<br />

nel caso di scioperi di rilievo nazionale.<br />

Con la l. n. 83 del 2000 è stata poi introdotta la regola della cd.<br />

rarefazione. Per effetto di tale regola, gli accordi devono altresì indicare<br />

intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la<br />

proclamazione di quello successivo, quando ciò sia necessario ad evitare<br />

che, per effetto di scioperi proclamati in successione da soggetti sindacali<br />

diversi e che incidano sullo stesso servizio finale o sullo stesso bacino<br />

d’utenza, sia oggettivamente compromessa la continuità dei servizi pubblici<br />

di cui all’art. 1.<br />

La regola legale è espressa come intervallo minimo oggettivo, riguardando<br />

scioperi proclamati in successione da soggetti sindacali diversi, ma essa si<br />

ritiene applicabile anche nel caso in cui lo sciopero sia proclamato dallo<br />

stesso sindacato.<br />

La finalità dell’intervallo minimo è, per l’appunto, quella di garantire una<br />

certa “rarefazione”. Si tratta sostanzialmente di un rimedio per far fronte al<br />

problema dell’estrema frammentazione sindacale presente nel settore dei<br />

servizi pubblici. Infatti, nel caso in cui le organizzazioni sindacali siano,<br />

come in certi settori dei servizi pubblici, trenta o quaranta, se ogni<br />

sindacato ogni giorno potesse proclamare uno sciopero si verificherebbero<br />

situazioni assai problematiche.<br />

Ad ogni modo, l’applicazione della regola dell’intervallo minimo non è<br />

agevole, perché ogni sindacato per poter proclamare uno sciopero deve<br />

essere a conoscenza degli altri scioperi precedentemente proclamati, anche<br />

a livello locale. In alternativa, il problema della frammentazione sindacale<br />

poteva essere risolto o ammettendo solo gli scioperi approvati con<br />

referendum tra i lavoratori (prevedendo cioè un referendum come<br />

condizione di legittimità dello sciopero, per cui solo quello sciopero che<br />

140<br />

La regola del<br />

cd. intervallo<br />

minimo


abbia il consenso della maggioranza dei lavoratori può essere ammesso),<br />

oppure legittimando solo gli scioperi proclamati dai sindacati che abbiano<br />

un minimo di rappresentatività.<br />

Il referendum, tuttavia, oltre al problema di carattere politico-sindacale,<br />

pone anche quello della identificazione dei soggetti che devono essere<br />

chiamati a votare in ordine alla effettuazione o meno dello sciopero (si<br />

tratta sempre del problema della categoria).<br />

4.7.3. Apparato sanzionatorio.<br />

L’apparato sanzionatorio si articola in una serie di previsioni che<br />

concernono non solo i singoli lavoratori e le associazioni sindacali, ma<br />

anche i dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e i legali<br />

rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i servizi pubblici.<br />

Dunque, sanzioni civili ed amministrative in conformità con la precisa<br />

scelta legislativa di escludere la sanzione penale: ed invero proprio la l. n.<br />

146 del 1990 ha abrogato gli artt. 330 e 333 c.p. (si discute, peraltro, sul<br />

campo di applicazione del sopravvissuto reato di interruzione di pubblici<br />

uffici o servizi previsto dall’art. 340 c.p.).<br />

La violazione delle regole contenute nei commi 1°, 2° e 3° dell’art. 2, l. n.<br />

146/1990, comporta per i lavoratori l’adozione di sanzioni disciplinari<br />

proporzionate alla gravità dell’infrazione, con esclusione delle misure<br />

estintive del rapporto di lavoro (licenziamento). Possono dunque essere<br />

adottate le sanzioni del rimprovero, della multa (una trattenuta sulla<br />

retribuzione pari ad un massimo di 4 ore), ovvero della sospensione dal<br />

lavoro e dalla retribuzione fino a 10 giorni.<br />

141<br />

Abrogazione<br />

degli artt. 330<br />

e 333 c.p.<br />

Le sanzioni<br />

disciplinari in<br />

capo ai<br />

lavoratori


Il profilo particolarmente interessante riguarda la circostanza per cui le<br />

sanzioni sono adottate dal datore di lavoro, benché le regole violate non<br />

siano poste nel suo interesse, bensì nell’interesse di terzi (ossia gli utenti<br />

del servizio). Si tratta di una situazione anomala, tanto che in passato ci si<br />

era chiesti per quale motivo il datore di lavoro avrebbe dovuto essere<br />

obbligato ad applicare le sanzioni disciplinari se le regole della legge n.<br />

146/1990 sono poste a difesa dell’interesse pubblico.<br />

Sul punto è intervenuta la legge n. 83/2000, secondo cui compete alla<br />

Commissione di garanzia valutare il comportamento dei soggetti collettivi<br />

che hanno proclamato lo sciopero e, ove essa rilevi violazioni della legge,<br />

prescrivere l’adozione di sanzioni disciplinari al datore di lavoro (art. 13, 1°<br />

co., lett. i). Se i datori di lavoro non adottano le sanzioni disciplinari, sono<br />

assoggettati a loro volta a sanzioni (art. 4, 4° sexies co.).<br />

Per contro nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori che proclamano<br />

uno sciopero, o ad esso aderiscono, in violazione delle disposizioni di cui<br />

all’art. 2 , sono previste, vuoi sanzioni di ordine patrimoniale (sospensione<br />

dei permessi sindacali retribuiti ovvero dei contributi sindacali comunque<br />

trattenuti dalle retribuzioni dei lavoratori per un ammontare economico<br />

complessivo oggi non inferiore a € 5.000 e non superiore a € 50.000), vuoi<br />

la sanzione dell’esclusione dalle trattative per la stipulazione dei contratti<br />

collettivi, in quanto vi partecipino, per un periodo di due mesi dalla<br />

cessazione del comportamento. Si tratta di sanzione ipotizzabile solo per il<br />

settore del pubblico impiego, ove è disciplinato il procedimento di<br />

contrattazione collettiva e si configura in capo ai sindacati legittimati a<br />

stipulare contratti un vero e proprio diritto di trattare.<br />

Nel caso di impossibilità di applicare le suddette sanzioni poiché le<br />

organizzazioni sindacali non fruiscono dei citati benefici di ordine<br />

patrimoniale o non partecipano alle trattative, la Commissione di garanzia<br />

142<br />

Le sanzioni<br />

nei confronti<br />

delle<br />

organizzazioni<br />

sindacali


delibera in via sostitutiva una sanzione amministrativa pecuniaria a carico<br />

di coloro che rispondono legalmente per l’organizzazione sindacale<br />

responsabile, pari all’importo di cui sopra (cfr. art. 4, 4° bis co.).<br />

Infine, anche in capo ai dirigenti delle amministrazioni e ai legali<br />

rappresentanti delle imprese che violano gli obblighi posti a loro carico<br />

(dalla garanzia delle prestazioni indispensabili, ai diversi obblighi di<br />

informazione vuoi all’utenza, vuoi alla Commissione di garanzia) si<br />

configura l’applicazione, da parte della Commissione, di una sanzione<br />

amministrativa pecuniaria per un ammontare, oggi, da € 5.000 a € 50.000<br />

(art. 4, co. 4).<br />

4.8. La serrata.<br />

La serrata consiste nella chiusura dell’azienda, con il conseguente rifiuto<br />

delle prestazioni offerte dai lavoratori. Essa è considerata la tradizionale<br />

forma di “lotta sindacale” dei datori di lavoro.<br />

La serrata può essere totale o parziale, a seconda che l’attività lavorativa<br />

venga sospesa totalmente o solo in parte.<br />

Da un punto di vista soggettivo, la serrata può essere individuale o<br />

collettiva: è individuale se è ad iniziativa di un solo datore di lavoro; è<br />

collettiva se attuata da più datori di lavoro concordemente e<br />

contestualmente per un fine comune.<br />

La serrata è per sua natura uno strumento di sospensione dell’attività<br />

lavorativa di tipo temporaneo; in caso contrario, si ricadrebbe nella diversa<br />

fattispecie della cessazione della attività dell’impresa.<br />

143<br />

Le sanzioni in<br />

capo ai<br />

dirigenti delle<br />

amministrazioni<br />

e ai<br />

legali<br />

rappresentanti<br />

delle imprese


Rispetto alle modalità attuative, la serrata si distingue in offensiva e<br />

difensiva: si definisce offensiva quando è diretta a sostenere una<br />

rivendicazione del datore di lavoro; è difensiva quando il datore reagisce ad<br />

una iniziativa dei sindacati dei lavoratori (un esempio rilevante di serrata<br />

difensiva è la cd. serrata di ritorsione; mentre un esempio di serrata di<br />

carattere offensivo, è la serrata di solidarietà).<br />

Così come lo sciopero, anche la serrata può essere diretta nei confronti<br />

delle controparti contrattuali o nei confronti della pubblica autorità ed avere<br />

dunque un fine politico (si pensi alla serrata di protesta dei piccoli<br />

esercenti).<br />

4.8.1. Qualificazione e disciplina della serrata dal punto di vista<br />

penale…<br />

Nel codice penale Rocco del 1930 la serrata è posta sullo stesso piano dello<br />

sciopero; nel codice penale adottato nel periodo corporativo fascista sia la<br />

sospensione dell’attività lavorativa ad opera dei lavoratori, sia la<br />

sospensione dell’attività lavorativa, con la chiusura dei locali dell’azienda,<br />

da parte dei datori di lavoro, erano considerate reati contro l’economia<br />

nazionale.<br />

Come si è già visto, l’ordinamento corporativo non si fondava sul principio<br />

di libertà sindacale, bensì sul principio del sindacato unico (con personalità<br />

giuridica e con rappresentanza legale degli appartenenti alla categoria). In<br />

tale sistema di contrattazione collettiva con efficacia erga omnes le<br />

controversie, sia giuridiche sia economiche, erano risolte dallo Stato<br />

attraverso la Magistratura del lavoro.<br />

144


La Costituzione, entrata in vigore nel 1948, prevede come diritto lo<br />

sciopero (art. 40), ma nulla dice della serrata. Proprio da questo deve<br />

desumersi che la serrata, non menzionata dal Costituente, non sia da<br />

considerare diritto al pari dello sciopero.<br />

Sia la dottrina, sia la giurisprudenza hanno ricondotto il diritto di sciopero,<br />

non solo all’art. 40 Cost., ma anche all’art. 3 Cost. 2° co., configurandolo<br />

quale strumento diretto a garantire l’eguaglianza sostanziale dei cittadini.<br />

Se il diritto di sciopero ha la finalità di consentire ai lavoratori subordinati<br />

di raggiungere l’uguaglianza sostanziale, alla serrata, strumento di lotta<br />

sindacale dei datori di lavoro, non può essere riconosciuta la natura di<br />

diritto. Sulla base di queste argomentazioni parte della dottrina sostiene che<br />

nemmeno il legislatore potrebbe elevare a rango di diritto la serrata.<br />

Se la serrata non è un diritto, ci si può interrogare sulla sua qualificazione<br />

giuridica. Su tale profilo è intervenuta la Corte costituzionale con tre<br />

sentenze.<br />

La prima è la sentenza del 4 maggio 1960, n. 29, relativa alla legittimità<br />

costituzionale dell’art. 502 del c.p. Esso puniva la serrata, al pari dello<br />

sciopero, per fini contrattuali: “Il datore di lavoro che, col solo scopo di<br />

imporre ai suoi dipendenti modificazioni ai patti stabiliti, o di opporsi a<br />

modificazioni di tali patti, ovvero di ottenere o impedire una diversa<br />

applicazione dei patti o usi esistenti, sospende in tutto o in parte il lavoro<br />

nei suoi stabilimenti, aziende o uffici, è punito con la multa non inferiore a<br />

lire due milioni”.<br />

La serrata per fini contrattuali è quella che si rivolge alla controparte<br />

contrattuale, lavoratori e sindacati dei lavoratori, per fini attinenti alla<br />

disciplina del contratto di lavoro.<br />

La Corte costituzionale, nella sentenza del 1960, ha affermato che l’art. 502<br />

c.p. si inserisce nella logica del periodo corporativo, nel contesto del quale<br />

145


tanto lo sciopero quanto la serrata venivano considerati reati. Ma, poiché<br />

l’ordinamento corporativo è venuto meno e l’attuale ordinamento si fonda<br />

su principi diversi, improntati alla libertà sindacale, i divieti penali di<br />

sciopero e serrata non si giustificano.<br />

Essi potevano avere un senso nell’ordinamento corporativo ove non v’era<br />

un libero confronto tra le parti sociali, datori di lavoro e sindacati dei<br />

lavoratori. Ora, caduto l’ordinamento corporativo e tutto il sistema su cui<br />

esso si basava, devono ritenersi caduti anche i divieti penali tanto di<br />

sciopero, quanto di serrata.<br />

La Corte utilizza non solo un argomento di carattere storico, ma argomenta<br />

anche ex art. 39, 1° co., Cost., “il quale, esprimendo un indirizzo<br />

nettamente democratico, dichiara il principio della libertà sindacale”;<br />

dunque “la posizione che, rispetto allo sciopero e alla serrata è venuta a<br />

determinarsi nell’ambito del sistema di libertà sancita dagli art. 39 e 40<br />

è…questa: che lo sciopero è riconosciuto costituzionalmente come un<br />

diritto, destinato però secondo il preciso dettato dell’art. 40, ad essere<br />

regolato dalla legge; e che la serrata, priva di un tal riconoscimento, ma in<br />

pari tempo anche della qualificazione giuridico-penale a suo tempo posta<br />

dall’ordinamento corporativo, si presenta attualmente come un atto<br />

penalmente non vietato o, come si suol dire, penalmente lecito”.<br />

In una seconda decisione, la n. 141 del 1967, la Corte costituzionale è stata<br />

chiamata a pronunciarsi sull’art. 505 c.p. relativo allo sciopero e alla serrata<br />

per protesta. Nella fattispecie si trattava di un’impresa che aveva interrotto<br />

l’attività lavorativa per protestare per una disciplina fiscale troppo onerosa.<br />

La Corte costituzionale ha ritenuto che, quando la serrata sia attuata per<br />

ragioni estranee alla disciplina del rapporto di lavoro, essa non è coperta<br />

dalla libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost., in quanto l’imprenditore non<br />

agisce come datore di lavoro, bensì come libero soggetto economico.<br />

146


“Non pertinente – osserva la Corte –, anzitutto è il richiamo all’art. 35<br />

Cost., il quale “tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”. È<br />

evidente, infatti, che “il soggetto di tale previsione costituzionale è il<br />

lavoratore e non già il datore di lavoro, la cui libertà di iniziativa e di<br />

azione trova garanzia, su altro piano e con ben diverso regime, nell’art. 41<br />

Cost., il quale, come innanzi si è detto, non viene qui in discussione”.<br />

Quanto all’art. 39 Cost., la Corte ritiene che “non vi sia dubbio che la<br />

libertà di organizzazione sindacale debba trovare il necessario suo<br />

corollario nella libertà di azione sindacale, giacché ove quest’ultima fosse<br />

rinnegata anche la prima finirebbe col ridursi ad un principio privo di<br />

contenuto e di significato. Tuttavia proprio l’intima connessione fra l’una e<br />

l’altra sta a dimostrare che l’azione sindacale deve essere definita nei<br />

termini che alla sua funzione sono coessenziali (cfr., a proposito dello<br />

sciopero, sent. n. 123 del 1962) e che vanno precisati nel quadro del<br />

rapporto fra datori di lavoro e lavoratori: con la conseguenza che ad essa ed<br />

alla sua tutela costituzionale appaiono estranei tutti quei comportamenti che<br />

non si collochino nell’ambito di quei rapporti. Non può perciò accogliersi<br />

l’opinione del giudice a quo, secondo la quale la serrata dovrebbe essere<br />

lecita “ogni volta sia diretta al conseguimento di un fine economico<br />

connesso con l’attività aziendale”.<br />

Vero è che nella sent. n. 123 del 1962 la Corte aveva ritenuto che il diritto<br />

di sciopero è legittimamente esercitabile in funzione di tutte le<br />

rivendicazioni riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che<br />

trovano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo terzo della parte<br />

prima della Costituzione. Ma, – osserva ancora Corte cost, n. 141/1967 – è<br />

da considerare che ciò trova fondamento nella circostanza che le varie<br />

provvidenze ivi previste ineriscano tutte alla qualifica del soggetto come<br />

lavoratore, laddove “il fine economico connesso con l’attività aziendale” va<br />

147


collegato all’interesse del soggetto considerato come imprenditore: in<br />

funzione, cioè, di un’attività che non rientra nella garanzia offerta dall’art.<br />

39 Cost”.<br />

Qualcuno ha sottolineato in dottrina che una soluzione così rigida è<br />

destinata a scontare una sua implicita contraddizione. Una volta individuata<br />

nell’art. 39, c. 1°, Cost., la tutela di “una libertà di azione sindacale”,<br />

relativa così allo sciopero come alla serrata, e nell’art. 40 Cost. l’elevazione<br />

di simile tutela a diritto limitatamente allo sciopero; una volta posta una<br />

premessa siffatta, risulta difficile concludere per una libertà di serrata<br />

limitata solo a quella a fine contrattuale e non estesa almeno anche a quella<br />

a fine di solidarietà e di protesta.<br />

Sembra tanto più difficile, via via che la stessa Corte, amplia l’ambito del<br />

diritto di sciopero, considerando garantito dall’art. 40 Cost. pure lo<br />

sciopero d’imposizione politico-economica (sent. n. 123/1962).<br />

Altri hanno sottolineato che la Corte costituzionale, interpretando l’art. 505<br />

c.p. in senso restrittivo, vale a dire nel senso che esuli dal suo campo di<br />

applicazione la serrata attuata per protesta contro fatti che al rapporto di<br />

lavoro “si riferiscano”, lascia aperto uno spiraglio per ritenere penalmente<br />

lecita quella serrata che, pur non essendo dettata da fini contrattuali, attenga<br />

comunque alla disciplina del rapporto di lavoro. Se il Parlamento stesse per<br />

emanare una legge in materia di lavoro, avversata dai datori di lavoro,<br />

l’eventuale serrata sarebbe attuata per fini non contrattuali, ma pur sempre<br />

attinenti alla disciplina del rapporto di lavoro; essa, pertanto dovrebbe<br />

essere ritenuta penalmente lecita.<br />

Con la sentenza n. 222 del 1975, la Corte costituzionale si è pronunciata<br />

sull’art. 506 c.p., che puniva come reato la “serrata di esercenti di aziende<br />

industriali e commerciali” senza “lavoratori alle loro dipendenze”.<br />

148<br />

La serrata di<br />

protesta dei<br />

piccoli<br />

esercenti


La Corte costituzionale ne ha affermato l’illegittimità costituzionale, in<br />

quanto i piccoli commercianti o i piccoli esercenti, ove siano privi di<br />

dipendenti, sono da considerare alla stregua di lavoratori, ancorché<br />

autonomi. Se la serrata è la sospensione dell’attività lavorativa con<br />

impossibilità per i dipendenti di prestare lavoro subordinato, quando i<br />

dipendenti non vi siano, la chiusura dell’azienda è da assimilare nella<br />

sostanza ad uno sciopero (ex art. 40 Cost.). Anzi, la Corte costituzionale<br />

arriva a definire impropria la qualificazione della astensione dal lavoro di<br />

questi soggetti come serrata, la cui “forma di autotutela, strutturata dallo<br />

stesso codice sul modello di quella dei lavoratori dipendenti; non può non<br />

essere compresa in quel più ampio concetto di sciopero che ha trovato<br />

modo di esprimersi nell’attuale mondo del lavoro”. Di conseguenza la<br />

Corte costituzionale dichiara l’incostituzionalità dell’art. 506 c.p. per<br />

contrasto con l’art. 40 Cost. proprio in quanto la serrata di piccoli esercenti<br />

va considerata come se fosse uno sciopero.<br />

4.8.2. … e dal punto di vista civile.<br />

Se la serrata, almeno per fini contrattuali, pur non costituendo un illecito<br />

penale, non è da considerare un diritto ma una semplice libertà, ciò<br />

significa che essa deve essere valutata alla luce del diritto comune delle<br />

obbligazioni.<br />

Il rifiuto del datore di lavoro di ricevere le prestazioni lavorative, in cui si<br />

sostanzia la serrata, integra, secondo la tesi più accreditata, un’ipotesi di<br />

mora credendi di cui all’art. 1206 c.c.: essa comporta la persistenza del<br />

debito retributivo in capo al datore di lavoro, sia pure secondo qualcuno a<br />

titolo di risarcimento del danno ex art. 1207, 2° co. c.c., da parametrarsi<br />

149<br />

La serrata come<br />

ipotesi di mora<br />

credendi


alla integrale retribuzione, in base all’art. 6 del r.d. 13 novembre 1924, n.<br />

1825 (cd. legge sull’impiego privato). Secondo altri, l’obbligo di pagare la<br />

retribuzione troverebbe fondamento nel 1° co. dell’art. 1207 c.c.; altri<br />

ancora hanno fatto perno sullo stesso principio di corrispettività,<br />

svalutandosi, per le peculiari caratteristiche del rapporto di lavoro, la stessa<br />

necessità dell’intimazione a ricevere ai fini della produzione degli effetti<br />

della mora.<br />

In ogni caso, l’unico limite della mora del creditore, e dunque della<br />

persistenza del debito retributivo, è l’impossibilità della prestazione dovuta<br />

dalla controparte. E’ appena il caso di sottolineare che l’impostazione<br />

tradizionale assume una nozione stretta di impossibilità (impossibilità<br />

oggettiva ed assoluta).<br />

4.8.3. La serrata di ritorsione.<br />

Alla luce dei principi suindicati va valutata la liceità della cd. serrata di<br />

ritorsione. Essa è un tipo di serrata difensiva, vale a dire attuata dal datore<br />

di lavoro per contenere gli effetti dannosi dello sciopero.<br />

La cd. serrata di ritorsione è normalmente finalizzata ad impedire gli effetti<br />

dannosi di uno sciopero articolato che, per le sue caratteristiche, risulta<br />

particolarmente incisivo sull’organizzazione aziendale. E’ comune la<br />

valutazione – a prescindere dalla valutazione in termini di liceità o di<br />

illiceità della forma di lotta – che la reazione del datore di lavoro,<br />

consistente nella chiusura temporanea dell’azienda o di parte di essa,<br />

colpirebbe indiscriminatamente tanto i lavoratori che avevano intenzione di<br />

aderire all’agitazione – senza peraltro avere la certezza della concreta<br />

effettuazione della medesima – quanto quelli ad essa estranei; e ciò sulla<br />

150<br />

Il limite della<br />

impossibilità<br />

della<br />

prestazione<br />

dovuta dalla<br />

controparte


ase dell’affermazione di una sorta di responsabilità collettiva dei<br />

lavoratori, in contrasto col fatto che l’ordinamento ha escluso l’esistenza di<br />

un diritto di serrata nel conflitto collettivo.<br />

Pertanto anche la serrata di ritorsione va valutata alla stregua del diritto<br />

comune delle obbligazioni, con la conseguenza che essa sarebbe da<br />

considerare lecita solo nel caso di una obiettiva impossibilità, quale esito<br />

delle forme cd. anomale di sciopero, della gestione della impresa. E’<br />

emersa, peraltro, in dottrina, l’opinione in base alla quale, nel caso in cui lo<br />

sciopero, per le sue modalità attuative, esponga a rischio qualche valore o<br />

bene preminente – quale la vita o l’integrità psico-fisica delle persone,<br />

nonché l’impresa come organizzazione istituzionale (id est: la sicurezza<br />

degli impianti) – sarebbe consentita al datore di lavoro, a stregua di buona<br />

fede, la chiusura o l’interruzione dell’attività aziendale, sulla base della<br />

semplice situazione di pericolo.<br />

151<br />

Serrata di<br />

ritorsione da<br />

valutare alla<br />

stregua del<br />

diritto<br />

comune delle<br />

obbligazioni


UNIVERSITA’ <strong>DEGLI</strong> <strong>STU<strong>DI</strong></strong> <strong>DI</strong> <strong>PAVIA</strong><br />

Facoltà di <strong>Giurisprudenza</strong><br />

Corso di Diritto del lavoro<br />

Prof. Mariella Magnani<br />

Lezioni di diritto<br />

sindacale<br />

Soggetti, Contratto, Conflitto collettivo<br />

ALLEGATI<br />

152<br />

Protocollo 23 luglio 1993<br />

Accordo interconfederale 20 dicembre 1993<br />

Accordo quadro 22 gennaio 2009<br />

Accordo interconfederale 15 aprile 2009<br />

Accordo 30 aprile 2009<br />

Accordo Pomigliano d'Arco (15 giugno 2010)<br />

Accordo Fiat Mirafiori (23 dicembre 2010)<br />

Accordo Confindustria-cgil-cisl-uil (28 giugno 2011)<br />

Articolo 8 d.l. n 138 del 2011 "Misure a sostegno della<br />

disoccupazione"<br />

Impegno interconfederale (21settembre 2011)


PROTOCOLLO 23 LUGLIO 1993<br />

Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti<br />

contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo.<br />

VERBALE <strong>DI</strong> INTESA<br />

Il 23 luglio 1993, presso la Presidenza deI Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri dott. Carlo<br />

Azeglio Ciampi, con il Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale sen. Gino Giugni, con il Ministro della Funzione<br />

Pubblica, prof. Sabino Cassese, hanno incontrato i rappresentanti delle seguenti organizzazioni sindacali dei lavoratori e<br />

dei datori di lavoro:<br />

CGIL Segr. Gen. B. TRENTIN<br />

CISL Segr. Gen. S. D'ANTONI<br />

UIL Segr. Gen. P. LARIZZA<br />

CONFINDUSTRIA Pres. L. ABETE<br />

INTERSIND Pres. A. PACI<br />

ASAP Pres. F. BAZZOLI<br />

CONFAPI Pres. A. COCIRIO<br />

CONFCOMMERCIO Pres. F. COLUCCI<br />

CONFESERCENTI Pres. G. BONINO<br />

ASSICRE<strong>DI</strong>TO Pres. T. BIANCHI<br />

CISPEL Pres. R. SANTINI<br />

CONFETRA Pres. G. CREMONESE<br />

FED. TERZIARIO AVANZATO V. Pres. Regg. M. MIRAGLIA<br />

LEGA COOPERATIVE Pres. G. PASQUINI<br />

CONFCOOPERATIVE Pres. L. MARINO<br />

CNA Pres. F. MINOTTI<br />

CASA Pres. G. GUARINO<br />

CLAAI Pres. G. FACCINI<br />

CONFARTIGIANATO Pres. I. SPALANZANI<br />

UNCI Pres. L. D'ULIZIA<br />

AGCI Pres. L. ZIGNANI<br />

ANIA Pres. A. LONGO<br />

ACRI Pres. R. MAZZOTTA<br />

CIDA Pres. G. CARROZZA<br />

UNIONQUADRI Pres. C. ROSSITTO<br />

CONFEDERQUADRI Pres. A. MACCHIAVELLI<br />

CONFE<strong>DI</strong>R Pres. R. CONFALONIERI<br />

CONFAIL Segr. Gen. S. L. ZACCARIA<br />

ITALQUADRI Pres. U. GRASSI<br />

Al termine della riunione le parti hanno sottoscritto il Protocollo del 3 luglio 1993 sulla politica dei redditi e<br />

dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al<br />

sistema produttivo, definito a seguito dell'accordo del 31 luglio 1992.<br />

PROTOCOLLO SULLA POLITICA DEI RED<strong>DI</strong>TI E DELL'OCCUPAZIONE, SUGLI<br />

ASSETTI CONTRATTUALI, SULLE POLITICHE DEL LAVORO E SUL SOSTEGNO AL<br />

SISTEMA PRODUTTIVO<br />

1. POLITICA DEI RED<strong>DI</strong>TI E DELL'OCCUPAZIONE.<br />

La politica dei redditi è uno strumento indispensabile della politica economica, finalizzato a<br />

conseguire una crescente equità nella distribuzione del reddito attraverso il contenimento<br />

153


dell'inflazione e dei redditi nominali, per favorire lo sviluppo economico e la crescita occupazionale<br />

mediante l'allargamento della base produttiva e una maggiore competitività del sistema delle<br />

imprese.<br />

In particolare il Governo, d'intesa con le parti sociali, opererà con politiche di bilancio tese:<br />

a) all'ottenimento di un tasso di inflazione allineato alla media dei Paesi comunitari<br />

economicamente più virtuosi;<br />

b) alla riduzione del debito e del deficit dello Stato e alla stabilità valutaria.<br />

L'attuale fase d'inserimento nell'Unione Europea sottolinea la centralità degli obiettivi indicati e la<br />

necessità di pervenire all'ampliamento delle opportunità di lavoro attraverso il rafforzamento<br />

dell'efficienza e della competitività delle imprese, con particolare riferimento ai settori non esposti<br />

alla concorrenza internazionale, e della Pubblica Amministrazione.<br />

Una politica dei redditi così definita, unitamente all'azione di riduzione dell'inflazione, consente di<br />

mantenere l'obiettivo della difesa del potere d'acquisto delle retribuzioni e dei trattamenti<br />

pensionistici.<br />

Le parti ritengono che azioni coerenti di politica di bilancio e di politica dei redditi, quali quelle<br />

sopra indicate, concorreranno ad allineare il costo del denaro in Italia con quello del resto d'Europa.<br />

Il Governo dichiara di voler collocare le sessioni di confronto con le parti sociali sulla politica dei<br />

redditi in tempi coerenti con i processi decisionali in materia di politica economica, in modo da<br />

tener conto dell'esito del confronto nell'esercizio dei propri poteri e delle proprie responsabilità.<br />

Sessione di maggio-giugno<br />

Saranno indicati, prima della presentazione deI Documento di programmazione<br />

economicofinanziaria,<br />

gli obiettivi della politica di bilancio per il successivo triennio.<br />

La sessione punterà a definire, previa una fase istruttoria che selezioni e qualifichi gli elementi di<br />

informazione necessari comunicandoli preventivamente alle parti, con riferimento anche alla<br />

dinamica della spesa pubblica, obiettivi comuni sui tassi d'inflazione programmati, sulla crescita del<br />

PIL e sull'occupazione.<br />

Sessione di settembre<br />

Nell'ambito degli aspetti attuativi della politica di bilancio, da trasporre nella legge finanziaria,-<br />

saranno definite le misure applicative degli strumenti di attuazione della politica dei redditi,<br />

individuando le coerenze dei comportamenti delle parti nell'ambito dell'autonomo esercizio delle<br />

rispettive responsabilità.<br />

Impegni delle parti<br />

A partire dagli obiettivi comuni sui tassi di inflazione programmati, il Governo e le parti sociali<br />

individueranno i comportamenti da assumere per conseguire i risultati previsti.<br />

I titolari d'impresa, tra cui lo Stato e i soggetti pubblici gestori di imprese, perseguiranno indirizzi di<br />

efficienza, innovazione e sviluppo delle proprie attività che, nelle compatibilità di mercato, siano<br />

tali da poter contenere i prezzi entro livelli necessari alla politica dei redditi.<br />

Il Governo come datore di lavoro terrà un coerente comportamento anche nella contrattazione delle<br />

retribuzioni dei pubblici dipendenti e nelle dinamiche salariali non soggette alla contrattazione.<br />

Le parti perseguiranno comportamenti, politiche contrattuali e politiche salariali coerenti con gli<br />

obiettivi di inflazione programmata.<br />

Nell'ambito delle suddette sessioni il Governo definirà i modi ed i tempi di attivazione di interventi<br />

tempestivi di correzione di comportamenti difformi dalla politica dei redditi. Il Governo opererà in<br />

primo luogo nell'ambito della politica della concorrenza attivando tutte le misure necessarie ad una<br />

154


maggiore apertura al mercato. Il Governo dovrà altresì disporre di strumenti fiscali e parafiscali,<br />

con particolare riferimento agli oneri componenti il costo del lavoro, atti a dissuadere<br />

comportamenti difformi.<br />

Si ribadisce l'opportunità di creare idonei strumenti per l'accertamento delle reali dinamiche<br />

dell'intero processo di formazione dei prezzi. E' perciò necessaria la costituzione di uno specifico<br />

Osservatorio dei prezzi, che verifichi le dinamiche - sulla base di appositi studi economici di<br />

settore.<br />

Rapporto annuale sull'occupazione<br />

Nella sessione di maggio il Governo predisporrà un rapporto annuale sull'occupazione, corredato di<br />

dati aggiornati per settori ed aree geografiche, nel quale saranno identificati gli effetti<br />

sull'occupazione del complesso delle politiche di bilancio, dei redditi e monetarie, nonché dei<br />

comportamenti dei soggetti privati.<br />

Sulla base di tali dati, il Governo sottoporrà alle parti le misure, rientranti nelle sue responsabilità,<br />

capaci di consolidare o allargare la base occupazionale. Tra esse, con particolare riguardo alle aree<br />

di crisi occupazionale e con specifica attenzione alla necessità di accrescere l'occupazione<br />

femminile così come previsto dalla legge 125/91:<br />

a) la programmazione e, quando necessaria, l'accelerazione degli investimenti pubblici, anche<br />

di concerto con le amministrazioni regionali;<br />

b) la programmazione coordinata del Fondo per l'occupazione e degli altri Fondi aventi rilievo<br />

per l'occupazione, compresa la definizione e finalizzazione delle risorse destinate<br />

all'attivazione di nuove iniziative produttive economicamente valide;<br />

c) la definizione di programmi di interesse collettivo, predisposti dallo Stato d'intesa con le<br />

Regioni, nei quali avvalersi di giovani disoccupati di lunga durata e di lavoratori in Cigs o in<br />

mobilità, affidando la realizzazione di tali programmi a soggetti qualificati e verificandone<br />

costantemente l'efficacia e gli effetti occupazionali attraverso gli organi preposti.<br />

d) la programmazione del Fondo per la formazione professionale e dell'utilizzo dei fondi<br />

comunitari, d'intesa con le Regioni.<br />

2. ASSETTI CONTRATTUALI<br />

1. Gli assetti contrattuali prevedono:<br />

- un contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria;<br />

- un secondo livello di contrattazione, aziendale o alternativamente territoriale, laddove<br />

previsto, secondo l'attuale prassi, nell'ambito di specifici settori.<br />

2. Il CCNL ha durata quadriennale per la materia normativa e biennale per la materia retributiva.<br />

La dinamica degli effetti economici del contratto sarà coerente con i tassi di inflazione<br />

programmata assunti come obiettivo comune.<br />

Per la definizione di detta dinamica . sarà tenuto conto delle politiche concordate nelle sessioni di<br />

politica dei redditi e dell'occupazione, dell'obiettivo mirato alla salvaguardia deI potere d'acquisto<br />

delle retribuzioni, delle tendenze generali dell'economia e del mercato del lavoro, del raffronto<br />

competitivo e degli andamenti specifici del settore. In sede di rinnovo biennale dei minimi<br />

contrattuali, ulteriori punti di riferimento del negoziato saranno costituiti dalla comparazione tra<br />

l'inflazione programmata e quella effettiva intervenuta nel precedente biennio, da valutare anche<br />

alla luce delle eventuali variazioni delle ragioni di scambio del Paese, nonché dall'andamento delle<br />

retribuzioni.<br />

155


3. La contrattazione aziendale riguarda materie e istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli<br />

retributivi propri deI CCNL. Le erogazioni del livello di contrattazione aziendale sono strettamente<br />

correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati tra le parti, aventi come<br />

obiettivo incrementi di produttività, di qualità ed altri elementi di competitività di cui le imprese<br />

dispongano, compresi i margini di produttività, che potrà essere impegnata per accordo tra le parti,<br />

eccedente quella eventualmente già utilizzata per riconoscere gli aumenti retributivi a livello di<br />

CCNL, nonché ai risultati legati all'andamento economico dell'impresa.<br />

Le parti prendono atto che, in ragione della funzione specifica ed innovativa degli istituti della<br />

contrattazione aziendale e dei vantaggi che da essi possono derivare all'intero sistema produttivo<br />

attraverso il miglioramento dell'efficienza aziendale e dei risultati di gestione, ne saranno definiti le<br />

caratteristiche ed il regime contributivo-previdenziale mediante un apposito provvedimento<br />

legislativo promosso dal Governo, tenuto conto dei vincoli di finanza pubblica e della salvaguardia<br />

della prestazione previdenziale dei lavoratori.<br />

La contrattazione aziendale o territoriale è prevista secondo le modalità e negli ambiti di<br />

applicazione che saranno definiti dal contratto nazionale di categoria nello spirito dell'attuale prassi<br />

negoziale con particolare riguardo alle piccole imprese. Il contratto nazionale di categoria stabilisce<br />

anche la tempistica, secondo il principio dell'autonomia dei cicli negoziali, le materie e le voci nelle<br />

quali essa si articola.<br />

Al fine dell'acquisizione di elementi di conoscenza comune per la definizione degli obiettivi della<br />

contrattazione aziendale, le parti valutano le condizioni dell'impresa e del lavoro, le sue prospettive<br />

di sviluppo anche occupazionale, tenendo conto dell'andamento e delle prospettive della<br />

competitività e delle condizioni essenziali di redditività.<br />

L'accordo di secondo livello ha durata quadriennale. Nel corso della sua vigenza le parti, nei tempi<br />

che saranno ritenuti necessari, svolgeranno procedure di informazione, consultazione, verifica o<br />

contrattazione previste dalle leggi, dai CCNL, dagli accordi collettivi e dalla prassi negoziale<br />

vigente, per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali quali le<br />

innovazioni tecnologiche, organizzative e i processi di ristrutturazione che influiscono sulle<br />

condizioni di sicurezza, di lavoro e di occupazione, anche in relazione alla legge sulle pari<br />

opportunità.<br />

4. Il CCNL di categoria definisce le procedure per la presentazione delle piattaforme contrattuali<br />

nazionali, aziendali o territoriali, nonché i tempi di apertura dei negoziati al fine di minimizzare i<br />

costi connessi ai rinnovi contrattuali ed evitare periodi di vacanze contrattuali.<br />

Le piattaforme contrattuali per il rinnovo dei CCNL saranno presentate in tempo utile per consentire<br />

l'apertura delle trattativa tre mesi prima della scadenza dei contratti. Durante tale periodo, e per il<br />

mese successivo alla scadenza, le parti non assumeranno iniziative unilaterali né procederanno ad<br />

azioni dirette. La violazione di tale periodo di raffreddamento comporterà come conseguenza a<br />

carico della parte che vi avrà dato causa, l'anticipazione o lo slittamento di tre mesi del termine a<br />

partire dal quale decorre l'indennità di vacanza contrattuale.<br />

5. Il Governo si impegna a promuovere, entro la fine del 1997, un incontro di verifica tra le parti<br />

finalizzato alla valutazione del sistema contrattuale previsto dal presente protocollo al fine di<br />

apportare, ove necessario, gli eventuali correttivi.<br />

Indennità di vacanza contrattuale<br />

Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a 3 mesi dalla data di scadenza del CCNL, ai<br />

lavoratori dipendenti ai quali si applica il contratto medesimo non ancora rinnovato sarà<br />

corrisposto, a partire dal mese successivo ovvero dalla data di presentazione delle piattaforme ove<br />

successiva, un elemento provvisorio della retribuzione.<br />

156


L'importo di tale elemento sarà pari al 30% del tasso di inflazione programmato, applicato ai<br />

minimi retributivi contrattuali vigenti, inclusa la ex indennità di contingenza.<br />

Dopo 6 mesi di vacanza contrattuale, detto importo sarà pari al 50% dell'inflazione programmata.<br />

Dalla decorrenza dell'accordo di rinnovo del contratto l'indennità di vacanza contrattuale cessa di<br />

essere erogata.<br />

Tale meccanismo sarà unico per tutti i lavoratori.<br />

Rappresentanze sindacali<br />

Le parti, al fine di una migliore regolamentazione del sistema di relazioni industriali e contrattuali,<br />

concordano quanto segue:<br />

a) le organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente protocollo riconoscono come<br />

rappresentanza sindacale aziendale unitaria nelle singole unità produttive quella disciplinata<br />

dall'intesa quadro tra CGIL-CISL-UIL sulle Rappresentanze sindacali unitarie, sottoscritta<br />

in data 1 marzo 1991. Al fine di assicurare il necessario raccordo tra le organizzazioni<br />

stipulanti i contratti nazionali e le rappresentanze aziendali titolari delle deleghe assegnate<br />

dai contratti medesimi, la composizione delle rappresentanze deriva per 2/3 da elezione da<br />

parte di tutti i lavoratori e per 1/3 da designazione o elezione da parte delle organizzazioni<br />

stipulanti il CCNL, che hanno presentato liste, in proporzione ai voti ottenuti;<br />

b) il passaggio dalla disciplina delle RSA a quello delle RSU deve avvenire a parità di<br />

trattamento legislativo e contrattuale, nonché a parità di costi per l'azienda in riferimento a<br />

tutti gli istituti;<br />

c) la comunicazione all'azienda e all'organizzazione imprenditoriale di appartenenza dei<br />

rappresentanti sindacali componenti le RSU ai sensi del punto a) sarà effettuata per iscritto a<br />

cura delle organizzazioni sindacali;<br />

d) le imprese, secondo modalità previste nei CCNL, metteranno a disposizione delle<br />

organizzazioni sindacali quanto è necessario per lo svolgimento delle attività strumentali<br />

all'elezione delle predette rappresentanze sindacali unitarie, come, in particolare, l'elenco dei<br />

dipendenti e gli spazi per l'effettuazione delle operazioni di voto e di scrutinio;<br />

e) la legittimazione a negoziare al secondo livello le materie oggetto di rinvio da parte del<br />

CCNL è riconosciuta alle rappresentanze sindacali unitarie ed alle organizzazioni sindacali<br />

territoriali dei lavoratori aderenti alle organizzazioni stipulanti il medesimo CCNL, secondo<br />

le modalità determinate dal CCNL;<br />

f) le parti auspicano un intervento legislativo finalizzato, tra l'altro, ad una generalizzazione<br />

dell'efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali che siano espressione della<br />

maggioranza dei lavoratori, nonché alla eliminazione delle norme legislative in contrasto<br />

con tali princìpi. Il Governo si impegna ad emanare un apposito provvedimento legislativo<br />

inteso a garantire l'efficacia "erga omnes" nei settori produttivi dove essa appaia necessaria<br />

al fine di normalizzare le condizioni concorrenziali delle aziende.<br />

Nota.<br />

Il presente capitolo sugli assetti contrattuali contiene princìpi validi per ogni tipo di rapporto di<br />

lavoro. Per il rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione resta fermo il D.L. 29/1993.<br />

Nota.<br />

CGIL-CISL-UIL e CNA CONFARTIGIANATO CASA e CLAAI dichiarano che per quanto riguarda<br />

la struttura contrattuale e retributiva l'Accordo interconfederale 3 agosto/3 dicembre 1992 tra le<br />

Organizzazioni dei lavoratori e le Organizzazioni artigiane per il comparto dell'artigianato è<br />

157


compatibile con il presente protocollo, fatta salva la clausola di armonizzazione prevista<br />

dall'Accordo interconfederale stesso nella norma transitoria.<br />

3. POLITICHE DEL LAVORO.<br />

Il Governo predisporrà un organico disegno di legge per modificare il quadro normativo in materia<br />

di gestione del mercato del lavoro e delle crisi occupazionali, al fine di renderlo più adeguato alle<br />

esigenze di un governo attivo e consensuale e di valorizzare le opportunità occupazionali che il<br />

mercato del lavoro può offrire se dotato di una più ricca strumentazione che lo avvicini agli assetti<br />

in atto negli altri paesi europei.<br />

Il disegno di legge verrà redatto, attraverso un costruttivo confronto con le parti sociali, sulla base<br />

delle linee guida di seguito indicate.<br />

Il Governo si impegna, inoltre, a completare la disciplina del mercato del lavoro operata con la<br />

legge n. 223/91, integrandola con la nuova normativa sul collocamento obbligatorio per gli invalidi<br />

già in discussione in Parlamento.<br />

Gestione delle crisi occupazionali<br />

a) revisione della normativa della Cassa Integrazione per crisi aziendale onde renderla più<br />

funzionale al governo delle eccedenze di personale e delle connesse vertenze. Si dovrà<br />

mirare, in particolare, alla semplificazione ed accelerazione delle procedure di concessione<br />

dell'intervento, prevedendo un termine massimo di 40 giorni. Nell'ambito dei limiti<br />

finanziari annuali stabiliti dal CIPI, il Ministro del Lavoro gestisce l'intervento con l'ausilio<br />

degli organi collegiali, periferici e centrali, di governo del mercato del lavoro.<br />

L'intervento della Cigs per crisi può essere richiesto dall'impresa anche durante le procedure<br />

iniziate ai sensi dell'art. 24 della legge 223/91 quando sia intervenuto accordo sindacale in<br />

vista dell'obiettivo di ricercare soluzioni funzionali al reimpiego dei lavoratori eccedenti con<br />

la collaborazione degli organismi periferici del Ministero del Lavoro, ed in particolare delle<br />

Agenzie per l'Impiego, della Regione, delle associazioni imprenditoriali e dei lavoratori o<br />

degli enti bilaterali da esse costituiti;<br />

b) previsione delle modalità per la valorizzazione del contributo che le Regioni e gli enti locali<br />

possono offrire alla composizione delle controversie in materia di eccedenze del personale<br />

attraverso l'utilizzazione delle competenze in materia di formazione professionale e di tutte<br />

le altre risorse di cui essi dispongono;<br />

c) con la gradualità richiesta dalle condizioni della finanza pubblica, elevazione del trattamento<br />

ordinario di disoccupazione, sino al 40%, per consentire un suo più efficiente impiego sia da<br />

un punto di vista generale, per soddisfare in maniera adeguata le esigenze di protezione del<br />

reddito e le esigenze di razionale governo del mercato del lavoro, sia, in particolare, con<br />

riferimento ai settori che non ricadono nel campo di applicazione della Cigs nonché alle<br />

forme di lavoro discontinuo e stagionale;<br />

d) adozione di misure legislative che fino aI 31 dicembre 1995 consentano alle imprese che<br />

occupano fino a 5O dipendenti e rientrano nel campo di applicazione della Cigo, di usufruire<br />

di quest'ultimo trattamento in termini più ampi degli attuali.<br />

Modificazione della disciplina della Cigo, prevedendo che nel computo della durata del<br />

predetto trattamento il periodo settimanale venga determinato con riferimento ad un monte<br />

ore correlato al numero di dipendenti occupati nell'impresa;<br />

e) al fine di conseguire il mantenimento e la crescita occupazionale nel settore dei servizi, si<br />

ritiene ormai matura una riconsiderazione del sistema degli sgravi contributivi concessi in<br />

alcune aree del Paese, del sistema di fiscalizzazione degli oneri sociali, nonché degli<br />

158


ammortizzatori sociali, al fine dell'approntamento di una disciplina di agevolazione e di<br />

gestione delle crisi che tenga conto delle peculiarità operative deI settore terziario. Si<br />

prevede pertanto l'istituzione di un tavolo specifico, coordinato dal Ministero del Lavoro,<br />

con le parti sociali del settore, e delle diverse categorie in esso incluse, per la<br />

predisposizione dei necessari provvedimenti di legge, in armonia con la politica della<br />

concorrenza a livello comunitario, e nel quadro delle compatibilità finanziarie del bilancio<br />

dello Stato.<br />

Occupazione giovanile e formazione<br />

a) il contratto di apprendistato va mantenuto nella funzione tradizionale di accesso teoricopratico<br />

a qualifiche specifiche di tipo tecnico. Ne va comunque valorizzata la funzione di<br />

sviluppo della professionalità, anche mediante l'intervento degli enti bilaterali e delle<br />

Regioni, e la certificazione dei risultati. I programmi di insegnamento complementare<br />

potranno essere presentati alle Regioni per il successivo inoltro al Fondo sociale europeo. In<br />

relazione all'ampliamento dell'obbligo scolastico sarà consentito, attraverso la contrattazione<br />

collettiva, uno spostamento della soglia di età;<br />

b) la disciplina del contratto di formazione-lavoro va ridefinita prevedendo una<br />

generalizzazione del limite di età a 32 anni, ed individuando due diverse tipologie<br />

contrattuali, che consentano di modularne l'intervento formativo e la durata in funzione delle<br />

diverse esigenze.<br />

Ferme rimanendo le attuali disposizioni in materia di durata massima del contratto, per le<br />

professionalità medio-alte sarà previsto un potenziamento ed una migliore programmazione<br />

degli impegni formativi.<br />

Per le professionalità medio-basse ovvero per quelle più elevate che richiedano solamente<br />

un'integrazione formativa, il contratto di formazione-lavoro per il primo anno di durata sarà<br />

caratterizzato da formazione minima di base (informazione sul rapporto di lavoro, sulla<br />

specifica organizzazione del lavoro e sulla prevenzione ambientale ed anti-infortunistica) e<br />

da un'acquisizione formativa derivante dalla esperienza lavorativa e dall'affiancamento. I<br />

contratti collettivi potranno inquadrare i giovani assunti con questa tipologia di contratto a<br />

livelli inferiori rispetto a quelli cui esso è finalizzato.<br />

Non potranno aver luogo assunzioni con il contratto di formazione-lavoro presso imprese<br />

nelle quali non siano stati convertiti a tempo indeterminato almeno il 60% dei contratti di<br />

formazione-lavoro stipulati precedentemente.<br />

Va inoltre prevista una verifica dei risultati formativi raggiunti, da compiere, con la<br />

partecipazione degli enti bilaterali, secondo la classificazione CEE delle qualifiche, e che<br />

potrà consistere, per le qualifiche medio-alte, in un'apposita certificazione. Le Regioni<br />

dovranno disciplinare, secondo criteri uniformi, le modalità di accesso dei progetti formativi<br />

ai finanziamenti del Fondo sociale europeo. L'armonizzazione con il sistema formativo<br />

avverrà nella riforma della legge 845/1978.<br />

Riattivazione del mercato del lavoro<br />

a) nell'ambito delle iniziative previste nella sezione "politica dei redditi e dell'occupazione",<br />

oltre ai programmi di interesse collettivo a favore dei giovani disoccupati del Mezzogiorno<br />

ivi previsti, per agevolare l'insediamento di nuove iniziative produttive nelle aree deboli, di<br />

cui alla legge 488/92, le parti sociali potranno contrattare appositi pacchetti di misure di<br />

politica attiva, di flessibilità e di formazione professionale, con la collaborazione delle<br />

Agenzie per l'impiego e delle Regioni. Tali pacchetti potranno prevedere una qualifica di<br />

159


ase e la corresponsione di un salario corrispondente alle ore di lavoro prestato, escluse le<br />

ore devolute alla formazione;<br />

b) saranno definite le azioni positive per le pari opportunità uomo-donna che considerino<br />

l'occupazione femminile come una priorità nei progetti e negli interventi, attraverso la piena<br />

applicazione delle leggi n. 125 e n. 215, un ampliamento del loro finanziamento, una loro<br />

integrazione con gli altri strumenti legislativi e contrattuali, con particolare riferimento alla<br />

politica attiva del lavoro;<br />

c) ferme restando le misure già approntate sui contratti di solidarietà, si procederà ad una<br />

modernizzazione della normativa vigente in materia di regimi di orario, valorizzando<br />

pienamente le acquisizioni contrattuali del nostro Paese e sostenendone l'ulteriore sviluppo,<br />

nella tutela dei diritti fondamentali alla sicurezza, con l'obiettivo di favorire lo sviluppo<br />

dell'occupazione e l'incremento della competitività delle imprese;<br />

d) per rendere più efficiente il mercato del lavoro va disciplinato anche nel nostro Paese il<br />

lavoro interinale. La disciplina deve offrire garanzie idonee ad evitare che il predetto istituto<br />

possa rappresentare il mezzo per la destrutturazione di lavori stabili.<br />

In particolare, il ricorso al lavoro interinale sarà consentito alle aziende del settore<br />

industriale e terziario, con esclusione delle qualifiche di esiguo contenuto professionale. Il<br />

ricorso al lavoro interinale sarà ammesso nei casi di temporanea utilizzazione in qualifiche<br />

non previste dai normali assetti produttivi dell'azienda, nei casi di sostituzione dei lavoratori<br />

assenti nonché nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali applicati dall'azienda<br />

utilizzatrice.<br />

La disciplina deve prevedere: che l'impresa fornitrice sia munita di apposita autorizzazione<br />

pubblica; che i trattamenti economici e normativi del rapporto di lavoro alle dipendenze<br />

delle dette imprese siano disciplinati da contratti collettivi; che si agevoli la continuità del<br />

rapporto con l'impresa fornitrice; che quest'ultima si impegni a garantire un trattamento<br />

minimo mensile; che il lavoratore abbia diritto, per i periodi lavorati presso l'impresa<br />

utilizzatrice, ad un trattamento non inferiore a quello previsto per i lavoratori dipendenti da<br />

quest'ultima.<br />

Trascorsi sei mesi senza che sia intervenuta la stipula del contratto collettivo, la disciplina<br />

che sarebbe stata di competenza dello stesso, sarà emanata con regolamento del Ministro del<br />

Lavoro, sentite le parti sociali. Dopo due anni di applicazione, va prevista una verifica tra le<br />

parti, promossa dal Governo, mirante a valutare la possibilità di un ampliamento dell'ambito<br />

di applicazione dell'istituto;<br />

e) forme particolari di lavoro a tempo determinato, gestite da organismi promossi o autorizzati<br />

dalle Agenzie per l'impiego, possono essere previste in funzione della promozione della<br />

ricollocazione e riqualificazione dei lavoratori in mobilità o titolari di trattamenti speciali di<br />

disoccupazione.<br />

Il Ministro del Lavoro si impegna ad approfondire la possibilità di una riforma delle<br />

Agenzie per l'impiego mirata a consentire ad esse di operare nel predetto campo, escludendo<br />

comunque l'ipotesi della instaurazione di un rapporto di lavoro con le stesse;<br />

f) il Ministro del Lavoro si impegna a predisporre attraverso il confronto con le parti sociali,<br />

una riforma degli strumenti di governo del mercato del lavoro agricolo, mirata a favorire<br />

l'occupazione ed un uso più efficiente e razionale delle risorse pubbliche;<br />

g) il Ministro del Lavoro si impegna a ridefinire l'assetto organizzativo degli Uffici periferici<br />

del Ministero del Lavoro perché questi possano adempiere ai necessari compiti di politica<br />

attiva del lavoro e di esprimere il massimo di sinergie con la Regione e le parti sociali. Si<br />

impegna inoltre perché ne risulti un rafforzamento della funzione ispettiva.<br />

160


4. SOSTEGNO AL SISTEMA PRODUTTIVO<br />

1. Ricerca ed innovazione tecnologica.<br />

Nella nuova divisione internazionale del lavoro e delle produzioni tra le economie dei paesi più<br />

evoluti e le nuove vaste economie caratterizzate da bassi costi del lavoro, un più intenso e diffuso<br />

progresso tecnologico è condizione essenziale per la competitività dei sistemi economicoindustriali<br />

dell'Italia e dell'Europa. Negli anni '90 scienza e tecnologia dovranno assumere, più che<br />

nel passato, un ruolo primario.<br />

Una più intensa ricerca scientifica, una più estesa innovazione tecnologica ed una più efficace<br />

sperimentazione dei nuovi processi e prodotti saranno in grado di assicurare il mantenimento nel<br />

tempo della capacità competitiva dinamica dell'industria italiana. Alle strutture produttive di ricerca<br />

scientifica e tecnologica, il Paese deve guardare come ad uno dei principali destinatari di<br />

investimenti per il proprio futuro.<br />

Ma non basta incrementare le risorse, occorre avviare quell'effettivo progresso<br />

scientifico/tecnologico per l'industria che nasce prevalentemente dal lavoro organizzato di strutture<br />

adeguatamente dotate di uomini e mezzi, impegnati permanentemente in singoli campi o settori. E'<br />

in particolare nell'organizzazione strutturata dell'attività di ricerca che si alimentano le reciproche<br />

sollecitazioni a lavorare nei diversi campi di indagine, che si favorisce lo scambio di conoscenze,<br />

che si moltiplicano e si accelerano gli effetti indotti dell'indagine e della sperimentazione.<br />

Pari urgenza e importanza riveste per il Paese l'obiettivo dell'innovazione tecnologica nelle attività<br />

di servizio, commerciali ed agricole.<br />

L'efficienza e l'evoluzione tecnologica dei servizi (da quello bancario a quello del trasporto a quello<br />

dei servizi di tele-comunicazione e di informatica) sono condizione essenziale per la<br />

concorrenzialità delle imprese in ogni settore di attività.<br />

E, d'altra parte, la modernizzazione dell'agricoltura, oltre a preservare importanti quote del reddito<br />

nazionale e contenere il deficit della bilancia commerciale, costituisce, se raccordata alla ricerca<br />

scientifica, il mezzo privilegiato di una effettiva politica di difesa del territorio e di tutela<br />

dell'equilibrio ambientale fondata sulla continuità della presenza e dell'attività delle comunità rurali.<br />

L'attuale sistema della ricerca e dell'innovazione è inadeguato a questi fini. Occorre una nuova<br />

politica per dotare il Paese di risorse, strumenti e "capitale umano" di entità e qualità appropriata ad<br />

un sistema innovativo, moderno finalizzato e orientato dal mercato. Interventi miranti a dare al<br />

Paese una adeguata infrastruttura di ricerca scientifica e tecnologica industriale, si dovranno ispirare<br />

al consolidamento, adeguamento ed armonizzazione delle strutture esistenti, alla realizzazione di<br />

nuove strutture di adeguata dimensione nonché ad una sempre maggiore<br />

interconnessione tra pubblico e privato.<br />

Tutto ciò nelle tre direzioni:<br />

a) del riordino, valorizzazione e rafforzamento delle strutture di ricerca pubbliche quali<br />

l'<strong>Università</strong>, il CNR, l'ENEA, anche in direzione di una migliore finalizzazione delle loro<br />

attività.<br />

b) della valorizzazione delle strutture organizzate interne alle imprese;<br />

c) della creazione di strutture di ricerca esterne sia ai complessi aziendali che alle strutture<br />

pubbliche, alla cui promozione, sostegno ed amministrazione siano chiamati soggetti privati<br />

e pubblici in forme costitutive diverse;<br />

Tra gli obiettivi della politica dei redditi va annoverato quello della creazione di adeguati margini<br />

nei conti economici delle imprese per le risorse finalizzate a sostenere i costi della ricerca.<br />

161


Per supportare una infrastruttura scientifica e tecnologica che sostenga un sistema di ricerca ed<br />

innovazione si richiede:<br />

a) la presentazione al Parlamento entro tre mesi del piano triennale della ricerca ai sensi<br />

dell'art. 2 della legge 168 del 1989, al fine di definire le scelte programmatiche, le modalità<br />

per il coordinamento delle risorse, dei programmi e dei soggetti, nonché le forme attuative di<br />

raccordo tra politica nazionale e comunitaria. La presentazione di tale piano sarà preceduta<br />

da una consultazione con le parti sociali;<br />

b) un aumento ed una razionalizzazione delle risorse destinate all'attività di ricerca e<br />

all'innovazione, concentrando gli interventi nelle aree e nei settori prioritari del sistema<br />

produttivo italiano privilegiando le intese e le sinergie realizzate in sede europea, anche<br />

rafforzando l'azione sul sistema delle piccole e medie imprese e sui loro consorzi.<br />

A tali fini saranno adottate misure di rifinanziamento, riorientamento e, ove necessario, di<br />

riforma della legislazione esistente. In particolare, il rifinanziamento è necessario per le<br />

leggi 46/82 e 346/88 per la ricerca applicata, per le nuove finalità dell'intervento ordinario<br />

nelle aree depresse del Paese, per la legge 317/91;<br />

c) l'introduzione, attraverso la presentazione di un apposito provvedimento legislativo, di<br />

nuove misure automatiche di carattere fiscale e contributivo, in particolare mediante la<br />

defiscalizzazione delle spese finalizzate all'attività di ricerca delle imprese nonché la<br />

deducibilità delle erogazioni liberali a favore di specifici soggetti operanti nel campo della<br />

ricerca;<br />

d) la revisione e semplificazione del regime esistente di sostegno alle imprese, con l'obiettivo<br />

di accelerare i meccanismi di valutazione dei progetti e di erogazione dei fondi;<br />

e) l'attivazione ed il potenziamento di "luoghi" di insediamento organico di iniziative di<br />

ricerca, quali i parchi scientifici e tecnologici, con la finalità, tra l'altro, di promuovere la<br />

nascita di istituti dedicati alla ricerca settoriale interessante le problematiche specifiche della<br />

economia del territorio funzionali alla crescita ed alla nascita di iniziative imprenditoriali<br />

private.<br />

Si potranno collocare in tale ambito e nelle forme di collaborazione che esso comporta tra<br />

università, enti pubblici e imprese, i progetti rivolti alla innovazione tecnologica nei settori<br />

di interesse prioritario delle amministrazioni locali quali, in primo luogo, la tutela<br />

dell'ambiente, le reti locali ed i sistemi di mobilità. Per il reperimento delle risorse<br />

necessarie potrà essere utilizzato lo strumento degli accordi di programma previsto dall'art. 3<br />

comma 3 della legge 168/89 con specifici finanziamenti. Al finanziamento di tali iniziative<br />

dovranno concorrere capitali privati;<br />

f) il ricorso al mercato finanziario e creditizio, ad oggi praticamente inoperante, attraverso la<br />

creazione di appositi canali e l'utilizzo di specifici strumenti capaci di attrarre capitale di<br />

rischio su iniziative e progetti nel settore della ricerca e dell'innovazione.<br />

Interessanti prospettive possono discendere dalla recente introduzione di nuovi intermediari<br />

finanziari rivolti al capitale di rischio (fondi chiusi, fondi d'investimento, venture capital,<br />

previdenza complementare);<br />

g) lo sviluppo di progetti di ricerca promossi dalle imprese sui quali far convergere la<br />

collaborazione delle università. Un più stretto rapporto tra mondo dell'impresa e mondo<br />

dell'università potrà inoltre rilanciare, anche attraverso maggiori disponibilità finanziarie,<br />

una politica di qualificazione e formazione delle "risorse umane", in grado di creare nuclei<br />

di ricercatori che, strettamente connessi con le esigenze delle attività produttive, possano<br />

generare una fertilizzazione tra innovazione e prodotti, ponendo una particolare attenzione<br />

anche ai processi di sviluppo delle piccole e medie imprese;<br />

162


h) l'attivazione di programmi di diffusione e trasferimento delle tecnologie a beneficio delle<br />

piccole medie e imprese e dei loro consorzi, che costituiscono obiettivo rilevante dei parchi<br />

tecnologici e scientifici, per i quali sono già previsti appositi stanziamenti di risorse, anche<br />

attraverso la rivitalizzazione delle stazioni sperimentali;<br />

i) la valorizzazione, nel processo di privatizzazione e riordino dell'apparato industriale<br />

pubblico, del patrimonio di ricerca ed innovazione presente al suo interno;<br />

l) l'attivazione di una politica della domanda pubblica maggiormente standardizzata e<br />

qualificata, attenta ai requisiti tecnologici dei prodotti nonché volta alla realizzazione di un<br />

sistema di reti tecnologicamente avanzate. A tali fini acquisisce particolare importanza il<br />

collegamento sistematico con l'attività delle strutture di coordinamento settoriale,<br />

immediatamente attivabile con l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione,<br />

ed estendibile ai settori della sanità e del trasporto locale.<br />

Per consentire la realizzazione degli obiettivi fin qui indicati è necessario che la spesa complessiva<br />

per il sistema della ricerca e dello sviluppo nazionale, pari a 1,4% del PIL, cresca verso i livelli su<br />

cui si attestano i paesi più industrializzati, 2,5-2,9% del PIL. Il tendenziale recupero di tale<br />

differenza è condizione essenziale perché la ricerca e l'innovazione tecnologica svolgano un ruolo<br />

primario per rafforzare la competitività del sistema produttivo nazionale. In tale quadro appare<br />

necessario perseguire nel prossimo triennio l'obiettivo di una spesa complessiva pari al 2% del PIL.<br />

Tale obiettivo non può essere realizzato con le sole risorse pubbliche. Queste dovranno essere<br />

accompagnate da una accresciuta capacità di auto-finanziamento delle imprese, da una maggiore<br />

raccolta di risparmio dedicato, da una maggiore propensione di investimento nel capitale di rischio<br />

delle strutture di ricerca e delle imprese ad alto contenuto innovativo. Dovrà necessariamente<br />

registrarsi l'avvio di un crescente impegno delle autonomie regionali e locali nell'ambito delle<br />

risorse proprie.<br />

Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sarà periodicamente svolto un confronto tra i<br />

soggetti istituzionali competenti e le parti sociali per una verifica dell'evoluzione delle politiche e<br />

delle azioni sopra descritte nonché dell'efficacia degli strumenti a tali fini predisposti.<br />

2. Istruzione e formazione professionale<br />

Le parti condividono l'obiettivo di una modernizzazione e riqualificazione dell'istruzione e dei<br />

sistemi formativi, finalizzati all'arricchimento delle competenze di base e professionali e al<br />

miglioramento della competitività del sistema produttivo e della qualità dei servizi.<br />

Tale processo comporta, da un lato decisi interventi di miglioramento e sviluppo delle diverse<br />

tipologie di offerte formative, dall'altro una evoluzione delle relazioni industriali e delle politiche<br />

aziendali per la realizzazione della formazione per l'inserimento, della riqualificazione<br />

professionale, della formazione continua. Risorse pubbliche e private dovranno contribuire a questo<br />

scopo.<br />

Su queste premesse, il Governo e le parti sociali ritengono che occorra:<br />

a) un raccordo sistematico tra il mondo dell'istruzione e il mondo del lavoro, anche tramite la<br />

partecipazione delle parti sociali negli organismi istituzionali dello Stato e delle Regioni<br />

dove vengono definiti gli orientamenti e i programmi e le modalità di valutazione e controllo<br />

del sistema formativo;<br />

b) realizzare un sistematico coordinamento inter-istituzionale tra i soggetti protagonisti del<br />

processo formativo (Ministero del Lavoro, Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero<br />

dell'<strong>Università</strong> e della Ricerca Scientifica, Regioni) al fine di garantire una effettiva gestione<br />

integrata del sistema;<br />

163


c) istituire il Consiglio Nazionale della Formazione Professionale, presso il Ministero del<br />

Lavoro con i rappresentanti dei Ministeri su indicati, del Ministero dell'Industria, delle<br />

Regioni e delle parti sociali;<br />

d) prontamente realizzare l'adeguamento del sistema di formazione professionale con la<br />

revisione della Legge quadro 845/78, secondo le linee già prefigurate, tenuto conto<br />

dell'apporto che può essere fornito dal sistema scolastico:<br />

- rilievo dell'orientamento professionale come fattore essenziale;<br />

- definizione di standards formativi unici nazionali coerenti con l'armonizzazione in<br />

atto in sede comunitaria;<br />

- ridefinizione delle responsabilità istituzionali tra il Ministero del Lavoro (potere di<br />

indirizzo e ruolo di garanzia sulla qualità della formazione e sulla validazione dei<br />

suoi risultati) e Regioni (ruolo di progettazione dell'offerta formativa coerentemente<br />

con le priorità individuate nel territorio). In questo ambito, alla Conferenza Stato-<br />

Regioni dovrà essere affidato il compito di ricondurre ad un processo unitario di<br />

programmazione e valutazione le politiche formative;<br />

- ruolo decisivo degli osservatori della domanda di professionalità istituiti<br />

bilateralmente dalle parti sociali;<br />

- specifica considerazione degli interventi per i soggetti deboli del mercato;<br />

- sistema gestionale pluralistico e flessibile;<br />

- avvio della formazione continua.<br />

e) elevare l'età dell'obbligo scolastico a 16 anni, mediante iniziativa legislativa che, fra l'altro,<br />

valorizzi gli apporti che al sistema scolastico possono essere offerti da interventi di<br />

formazione professionale; per assicurare la maggiore efficacia sociale a tale obiettivo, esso<br />

dovrà essere accompagnato dalla messa a punto di strumenti idonei alla prevenzione e al<br />

recupero della dispersione scolastica, individuando tra l'altro in tale attività uno dei possibili<br />

campi di applicazione dei programmi di interesse collettivo;<br />

f) portare a termine la riforma della scuola secondaria superiore, nell'ottica della costruzione di<br />

un sistema per il 2000, integrato e flessibile tra sistema scolastico nazionale e formazione<br />

professionale ed esperienze formative sul lavoro sino a 18 anni di età;<br />

g) valorizzare l'autonomia degli istituti scolastici ed universitari e delle sedi qualificate di<br />

formazione professionale, per allargare e migliorare l'offerta formativa post-qualifica,<br />

postdiploma e post- laurea, con particolare riferimento alla preparazione di quadri<br />

specializzati nelle nuove tecnologie, garantendo il necessario sostegno legislativo a tali<br />

percorsi formativi;<br />

h) finalizzare le risorse finanziarie derivanti dal prelievo dello 0,30% a carico delle imprese<br />

(1.845/78) alla formazione continua, al di là di quanto previsto nel D.L. n. 57/93,<br />

privilegiando tale asse di intervento nella futura riforma a livello comunitario del Fondo<br />

Sociale Europeo;<br />

i) prevedere un piano straordinario triennale di riqualificazione ed aggiornamento del<br />

personale, ivi compresi i docenti della scuola e della formazione professionale, per<br />

accompagnare il decollo delle linee di riforma su indicate.<br />

3. Finanza per le imprese ed internazionalizzazione<br />

Per il pieno inserimento del sistema produttivo italiano e quello europeo e per l'effettiva<br />

integrazione dei mercati finanziari italiani in quelli comunitari, occorre affrontare in tutta la sua<br />

portata il problema del trattamento fiscale delle attività economiche e delle attività finanziarie. Si<br />

164


tratta di un vasto campo di riforme da svolgere in armonia con gli obiettivi di controllo e di<br />

risanamento del bilancio pubblico per superare le numerose distorsioni del sistema attuale e rendere<br />

più equilibrate le condizioni operate dai mercati nel finanziamento delle imprese.<br />

L'esigenza di reperire le risorse utili alla crescita richiede un mercato finanziario più moderno ed<br />

efficace, in grado di assicurare un maggior raccordo diretto e diffuso tra risparmio privato ed<br />

imprese, anche ampliando la capacità delle imprese di ricorrere a nuovi strumenti di provvista.<br />

Va affrontato il problema del ritardo dei pagamenti del settore statale al sistema produttivo al fine di<br />

eliminare un ulteriore vincolo alla finanza d'impresa, attraverso la predisposizione di procedure,<br />

anche con eventuali possibili forme di compensazione, che impediscano il ripetersi dei ritardi.<br />

A tal fine vanno introdotti nel nostro ordinamento con rapidità i fondi chiusi ed i fondi immobiliari,<br />

va sviluppata la previdenza complementare, va dato impulso alla costituzione dei mercati mobiliari<br />

locali, vanno favorite forme di azionariato diffuso anche se in gestione fiduciaria, va infine<br />

sviluppata una politica delle garanzie, che tenga conto anche delle iniziative comunitarie.<br />

Si favorirà altresì la costituzione e lo sviluppo di consorzi di garanzia rischi, di consorzi produttivi<br />

tra imprese e di imprese di "venture capital" anche attraverso l'uso della 317/91.<br />

Quanto al sistema degli intermediari finanziari e alle possibilità concesse agli stessi dal recepimento<br />

della II direttiva sulle banche, va facilitata l'operatività nel campo dei finanziamenti a medio<br />

termine e di quelli miranti a rafforzare il capitale di rischio delle imprese, in primo luogo<br />

accelerando i processi di concentrazione e privatizzazione del sistema bancario e di una sua apertura<br />

alla concorrenza internazionale, in secondo luogo rimuovendo contestualmente gli ostacoli che<br />

ritardano l'attuazione concreta della suddetta direttiva.<br />

Per aumentare la penetrazione delle imprese italiane nei mercati internazionali occorre definire<br />

strumenti più efficaci e moderni per la politica di promozione e per il sistema di assicurazione dei<br />

crediti all'export. Dovrà essere sviluppata la capacità di promozione e gestione di strumenti<br />

operativi che riducano il rischio finanziario quali il "project financing" ed il "counter trade", anche<br />

promuovendo una più incisiva capacità di trading gestito da operatori nazionali.<br />

E' necessario razionalizzare e rendere più trasparente l'intervento pubblico a sostegno della presenza<br />

delle imprese italiane sui mercati internazionali, considerando anche le esigenze delle piccole e<br />

medie imprese, facilitando l'accesso di tutti gli operatori alle informazioni ed aumentando le<br />

capacità istruttorie al fine di rendere più produttivo l'uso delle risorse pubbliche e di orientare queste<br />

su obiettivi economici strategici e di politica estera definiti a livello di governo e in confronto con le<br />

imprese. Appare inoltre importante garantire un coerente coordinamento dei soggetti preposti al<br />

rafforzamento della penetrazione all'estero del sistema produttivo per offrire una più vasta e<br />

coordinata gamma di strumenti operativi.<br />

In questo quadro va riformata la SACE, aumentandone la capacità di valutazione dei progetti e del<br />

rischio paese. L'attività di copertura dei rischi di natura commerciale va nettamente separata da<br />

quella connessa ai rischi politici e svolta in più stretta collaborazione con le società assicurative<br />

private.<br />

4. Riequilibrio territoriale, infrastrutture e domanda pubblica<br />

La situazione di crisi e le tensioni sociali che si registrano in Italia si presentano differenziate a<br />

livello territoriale. In queste condizioni, un processo di ripresa economica, in assenza di una politica<br />

di riequilibrio territoriale, rischia di produrre un aumento del divario tra aree in ritardo di sviluppo,<br />

aree di declino industriale, aree di squilibrio tra domanda e offerta di lavoro.<br />

La tradizionale politica sulle aree deboli, incentrata soltanto sull'intervento straordinario nel<br />

Mezzogiorno, appare superata dai recenti provvedimenti governativi. Questi disegnano una nuova<br />

165


strategia di intervento, orientata su di una politica regionale "ordinaria" più ampia, mirata a<br />

sostenere e creare le premesse per lo sviluppo economico di tutte le aree deboli del Paese.<br />

Tale politica deve essere, inoltre, coordinata con i nuovi strumenti comunitari che divengono parte<br />

integrante dell'azione per il sostegno allo sviluppo e, allo stesso tempo, criterio guida per la<br />

definizione delle modalità e dell'intensità degli interventi. Occorre, pertanto, giungere ad una<br />

ottimizzazione delle risorse finanziarie provenienti dai Fondi strutturali della CEE, assicurandone il<br />

pieno utilizzo, soprattutto in vista del programma 1994-1999.<br />

Il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica diviene la sede centrale di indirizzo,<br />

coordinamento, programmazione e vigilanza per ottimizzare l'azione di governo e per massimizzare<br />

l'efficacia delle risorse pubbliche ordinarie a vario titolo disponibili. In questo modo sarà possibile<br />

dare maggiore trasparenza alle risorse destinate agli investimenti ed assicurarne una più rapida<br />

erogazione alle imprese. La creazione di un organo indipendente presso lo stesso Ministero del<br />

Bilancio e della Programmazione Economica, quale l'Osservatorio delle politiche regionali, per<br />

verificare l'andamento e l'efficacia degli interventi nelle aree deboli rappresenta un'ulteriore<br />

iniziativa per garantire l'effettivo dispiegarsi della politica regionale.<br />

La politica regionale, oltre a flussi finanziari diretti allo sviluppo, dovrà prevedere una forte e<br />

mirata azione di sostegno alla riduzione delle diseconomie esterne, individuate nei diversi livelli di<br />

infrastrutturazione, nello sviluppo dei servizi a rete, nel funzionamento della Pubblica<br />

Amministrazione. Per conseguire tale obiettivo va rilanciata l'azione di programmazione degli<br />

investimenti infrastrutturali, riqualificando la domanda pubblica come strumento di sostegno alle<br />

attività produttive. In particolare, devono essere sostenuti gli investimenti nelle infrastrutture<br />

metropolitane, viarie ed idriche, nei settori dei trasporti, energia e telecomunicazioni, nell'ambiente<br />

e nella riorganizzazione del settore della difesa. A tal fine, la Presidenza del Consiglio dovrà<br />

assumere compiti e responsabilità di coordinamento della domanda e della spesa pubblica di<br />

investimenti, istituendo specifiche strutture di coordinamento, quale quella introdotta per la spesa di<br />

informatica nella pubblica amministrazione, a partire dai settori di maggiore interesse per lo<br />

sviluppo produttivo e sociale.<br />

Questa politica regionale dovrà, infine, consentire l'avvio di azioni di politica industriale volte alla<br />

reindustrializzazione delle aree in declino industriale e alla promozione di nuove attività produttive.<br />

Il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica e il Comitato per il coordinamento<br />

delle iniziative per l'occupazione, istituito presso la Presidenza del Consiglio, svolgeranno un ruolo<br />

di indirizzo e di coordinamento delle iniziative in tali aree, che dovranno essere gestite con<br />

maggiore efficacia e finalizzazione e che saranno affidate alle agenzie ed ai comitati oggi esistenti,<br />

anche mediante accordi di programma.<br />

La politica regionale dovrà, altresì, promuovere la realizzazione delle condizioni ambientali che<br />

consentano un recupero di competitività delle imprese agricole e turistiche, considerata la loro<br />

importanza sia sotto l'aspetto produttivo, sia sotto quello della generazione di attività agroindustriali<br />

e di servizio ad esse collegate.<br />

Gli investimenti pubblici, anche in presenza di forti ristrettezze di bilancio, devono essere rilanciati<br />

attraverso una più efficace e piena utilizzazione delle risorse disponibili, riducendo la generazione<br />

di residui passivi per l'insorgere di problemi procedurali e di natura allocativa. In questa direzione si<br />

muovono i provvedimenti recentemente varati dal Governo e soprattutto la riforma degli appalti che<br />

appare idonea a rilanciare la realizzazione di opere di utilità pubblica oggi completamente ferme.<br />

Inoltre, l'azione di rilancio degli investimenti pubblici dovrà essere distribuita in modo tale da poter<br />

favorire l'impiego aggiuntivo di risorse private, insistendo in modo particolare nelle aree dove più<br />

grave è la crisi produttiva ed occupazionale. Pertanto, appare importante favorire il coinvolgimento<br />

del capitale privato, nazionale ed internazionale, nel finanziamento della dotazione infrastrutturale,<br />

garantendo la remunerazione dei capitali investiti, attraverso l'utilizzo di apposite strutture di<br />

166


"project financing". Tali strutture potrebbero interessare, in via sperimentale, le infrastrutture<br />

metropolitane, viarie ed idriche.<br />

In questo quadro è necessario perseguire un dialogo costruttivo tra le amministrazioni pubbliche<br />

centrali e regionali e le parti sociali per definire le linee di intervento più appropriate atte a<br />

promuovere le condizioni di sviluppo delle aree individuate, anche attraverso una valida politica di<br />

infrastrutturazione con particolare riferimento a quelle mirate allo sviluppo di attività produttive.<br />

I criteri di tale politica devono, pertanto, essere:<br />

a) la definizione di un nuovo ambito territoriale di intervento individuato in armonia con le<br />

scelte che verranno operate dalla Comunità Europea;<br />

b) l'individuazione di interventi infrastrutturali a livello regionale, interregionale e nazionale<br />

sulle grandi reti con l'obiettivo della riduzione dei costi del servizio e la sua<br />

qualificazione tecnologica;<br />

c) il mantenimento di un flusso di risorse finanziarie anche nella fase transitoria di<br />

definizione del nuovo intervento regionale;<br />

d) il rafforzamento del decentramento delle decisioni a livello regionale, con la realizzazione<br />

di accordi di programma Stato-Regioni ed attribuendo maggiore spazio al ruolo dei<br />

soggetti privati (partenariato);e) la revisione delle competenze delle amministrazioni<br />

interessate agli interventi pubblici e all'erogazione dei pubblici servizi, ai fini di una loro<br />

maggiore efficienza, efficacia e tempestività;<br />

f) la concentrazione nelle aree individuate dell'azione di qualificazione professionale del<br />

personale impiegato nelle realtà produttive a maggior specificazione tecnologica;<br />

g) la piena e completa attivazione della legge 317/91 al fine di promuovere lo sviluppo di<br />

servizi reali alle piccole e medie imprese.<br />

Gli strumenti guida attraverso cui sarà possibile sviluppare la nuova politica regionale possono<br />

essere così individuati:<br />

a) strutture di coordinamento settoriale (Authority), sulla base delle analoghe iniziative<br />

intraprese a livello nazionale, inizialmente limitate al settore sanitario ed in quello del<br />

trasporto locale;<br />

b) accordi di programma tra governo centrale e amministrazioni regionali, al fine di<br />

concertare le scelte prioritarie per l'infrastrutturazione del territorio ed accelerare le<br />

procedure relative ad atti di concessione ed autorizzazione;<br />

c) norme specifiche tendenti a rimuovere ostacoli di natura procedurale (anche in<br />

conseguenza del decreto legislativo n. 29/93), che permettano una rapida approvazione ed<br />

attuazione degli interventi. In tale quadro è necessario prevedere appropriati strumenti<br />

normativi finalizzati al riorientamento su obiettivi prioritari delle risorse disponibili, al<br />

fine di consentire una rapida cantierizzazione delle opere già approvate.<br />

5. Politica delle tariffe<br />

Il protocollo del 31 luglio 1992 conteneva l'impegno del Governo a perseguire una politica tariffaria<br />

per i pubblici servizi coerente con l'obiettivo di riduzione dell'inflazione. Tale obiettivo è stato<br />

perseguito, consentendo di ottenere risultati molto positivi. Al fine di mantenere l'obiettivo della<br />

riduzione dell'inflazione e, nel contempo, di consentire il mantenimento dei programmi di<br />

investimento, sarà svolto un confronto con le parti per verificare la politica tariffaria, già definita e<br />

da definire, per il periodo 1993-94.<br />

Una politica tariffaria di carattere europeo non può soltanto limitarsi al perseguimento di obiettivi<br />

di carattere macro-economico, quali il contenimento dell'inflazione, bensì deve anche essere<br />

utilizzata per lo sviluppo di un efficiente sistema di servizi pubblici.<br />

167


La necessità di rilanciare la domanda pubblica e quella di investimenti del sistema delle imprese,<br />

unitamente all'avvio del processo di riordino delle società di gestione dei servizi pubblici, impone<br />

l'esigenza di superare la logica del contenimento delle tariffe e di avviarsi verso un sistema che dia<br />

certezza alla redditività del capitale investito in dette imprese e che non limiti lo sviluppo degli<br />

investimenti.<br />

A tal fine, è necessario stimolare ampi recuperi di produttività, raccordare più direttamente il livello<br />

delle tariffe ai costi effettivi del servizio, garantendo altresì adeguati margini di auto-finanziamento<br />

in grado di favorire la realizzazione degli investimenti necessari. In questo quadro, appare<br />

altrettanto importante prevedere una graduale correzione della struttura delle tariffe vigenti, per<br />

avvicinarla a quelle in vigore nei maggiori Paesi europei. Dovranno essere liberalizzati i settori che<br />

non operano in regime di monopolio.<br />

Nella definizione dei criteri di determinazione tariffaria si dovranno inoltre tutelare le esigenze<br />

dell'utenza, anche con riferimento alle piccole e medie imprese e ai conseguenti effetti indotti sul<br />

livello dei prezzi, definendo standard qualitativi determinati, in linea con quelli vigenti nei maggiori<br />

paesi industrializzati, su cui si eserciterà l'attività di regolazione.<br />

A tal fine, infatti, si dovranno istituire appropriate autorità autonome che, in sostituzione dell'attività<br />

attualmente svolta dalle amministrazioni centrali e delle corrispondenti strutture, garantiscano, con<br />

una continua, indipendente e qualificata azione di controllo e regolamentazione, gli obiettivi sopra<br />

indicati. Dette autorità dovranno essere strutturate in modo tale da favorire l'espressione delle<br />

esigenze dell'utenza. Dovranno altresì adottare una metodologia di definizione dei prezzi dei<br />

pubblici servizi attraverso lo strumento del "price cap" e dei contratti di programma, che rispetti le<br />

differenti esigenze emergenti. Saranno previste conferenze di coordinamento tra dette autorità<br />

autonome al fine di assicurarne comportamenti coerenti.<br />

<strong>DI</strong>CHIARAZIONE A VERBALE DELLA CIDA<br />

Tenuto conto della legislazione vigente, della prassi contrattuale e dell'accordo sul costo del lavoro,<br />

la dirigenza (nel settore credito definita personale direttivo) continuerà a costituire proprie<br />

specifiche e separate rappresentanze sindacali nelle unità produttive.<br />

Tale specifica disciplina dovrà trovare adeguata conferma anche nell'eventuale successivo<br />

intervento del legislatore.<br />

Inoltre, il paragrafo sull'indennità di vacanza contrattuale non deve intendersi applicabile ai rapporti<br />

di lavoro disciplinati da contratti collettivi stipulati anteriormente al 1° luglio 1993 e contenenti<br />

clausole più favorevoli.<br />

Tali clausole si intendono fatte salve fino alla data di rinnovo dei contratti collettivi che le<br />

contengono.<br />

23.07.1993<br />

NOTA A VERBALE<br />

La CONFE<strong>DI</strong>R decide di apporre la propria sottoscrizione al protocollo sulla politica dei redditi e<br />

dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema<br />

produttivo, pur tuttavia dichiara che resta valido questo contenuto nella propria nota a verbale<br />

consegnata in occasione della sottoscrizione del protocollo del 31 luglio 1992. In particolare la<br />

CONFE<strong>DI</strong>R manifesta la propria più netta opposizione a qualsiasi innovazione peggiorativa per i<br />

pubblici dipendenti rispetto a quanto contenuto nel predetto protocollo del 31.7.1992 in materia<br />

pensionistica.<br />

La CONFE<strong>DI</strong>R non condivide altresì quanto previsto in materia di rappresentanze sindacali<br />

unitarie, materia per la quale ritiene necessario che si proceda alle seguenti modifiche:<br />

168


a) rendere totalmente elettive le rappresentanze sindacali unitarie;<br />

b) confermare esplicitamente che alle elezioni delle r.s.u. possono partecipare anche<br />

organizzazioni sindacali non firmatarie di accordi collettivi e, in genere, liste spontanee;<br />

c) stabilire che le organizzazioni sindacali presenti nelle r.s.u. di più aziende della medesima<br />

categoria merceologica hanno diritto di partecipare alle trattative nazionali;<br />

d) stabilire esplicitamente che si costituiscono r.s.u. per ciascuna categoria professionale dotata<br />

di un proprio accordo collettivo di lavoro;<br />

e) salvaguardare, comunque, con apposite norme, le categorie professionali minoritarie.<br />

169


Premessa<br />

ACCORDO INTERCONFEDERALE 20 dicembre 1993<br />

per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie.<br />

PARTE PRIMA<br />

Il presente accordo assume la disciplina generale in materia di rappresentanze sindacali unitarie,<br />

contenuta nel Protocollo stipulato fra Governo e parti sociali il 23 luglio 1993.<br />

Modalità di costituzione e di funzionamento<br />

1) Ambito ed iniziativa per la costituzione<br />

Rappresentanze sindacali unitarie possono essere costituite nelle unità produttive nelle quali<br />

l'azienda occupi più di 15 dipendenti, ad iniziativa delle associazioni sindacali firmatarie del<br />

Protocollo 23 luglio 1993.<br />

Hanno potere di iniziativa anche le associazioni sindacali firmatarie del c.c.n.l. applicato nell'unità<br />

produttiva ovvero le associazioni sindacali abilitate alla presentazione delle liste elettorali ai sensi<br />

del punto 4, parte seconda, a condizione che abbiano comunque espresso adesione formale al<br />

contenuto del presente accordo.<br />

L'iniziativa di cui al primo comma deve essere esercitata, congiuntamente o disgiuntamente, da<br />

parte delle associazioni sindacali come sopra individuate, entro tre mesi dalla stipula del presente<br />

accordo.<br />

In caso di oggettive difficoltà per l'esercizio dell'iniziativa entro il termine di cui sopra, l'iniziativa<br />

stessa potrà avere luogo anche dopo detto termine.<br />

La stessa iniziativa, per i successivi rinnovi, potrà essere assunta anche dalla R.S.U. e dovrà essere<br />

esercitata almeno tre mesi prima della scadenza del mandato.<br />

2) Composizione<br />

Alla costituzione della R.S.U. si procede, per due terzi dei seggi, mediante elezione a suffragio<br />

universale ed a scrutinio segreto tra liste concorrenti. Il residuo terzo viene assegnato alle liste<br />

presentate dalle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro<br />

applicato nell'unità produttiva, e alla sua copertura si procede, mediante elezione o designazione, in<br />

proporzione ai voti ricevuti.<br />

Nella definizione dei collegi elettorali, al fine della distribuzione dei seggi, le associazioni sindacali<br />

terranno conto delle categorie degli operai, impiegati e quadri di cui all'art. 2095 cod. civ., nei casi<br />

di incidenza significativa delle stesse nella base occupazionale dell'unità produttiva, per garantire<br />

un'adeguata composizione della rappresentanza.<br />

Nella composizione delle liste si perseguirà un'adeguata rappresentanza di genere, attraverso una<br />

coerente applicazione delle norme antidiscriminatorie.<br />

3) Numero dei componenti<br />

Fermo restando quanto previsto nel Protocollo d'intesa del 23 luglio 1993, sotto il titolo<br />

rappresentanze sindacali, al punto B (vincolo della parità di costi per le aziende), salvo clausole più<br />

favorevoli dei contratti o accordi collettivi di lavoro, il numero dei componenti le R.S.U. sarà pari<br />

almeno a:<br />

a) 3 componenti per la R.S.U. costituita nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti;<br />

b) 3 componenti ogni 300 o frazione di 300 dipendenti nelle unità produttive che occupano fino a 3<br />

mila dipendenti;<br />

c) 3 componenti ogni 500 o frazione di 500 dipendenti nelle unità produttive di maggiori<br />

dimensioni, in aggiunta al numero di cui alla precedente lett. b).<br />

170


4) Diritti, permessi, libertà sindacali, tutele e modalità di esercizio<br />

I componenti delle R.S.U. subentrano ai dirigenti delle R.S.A. nella titolarità dei diritti, permessi e<br />

libertà sindacali e tutele già loro spettanti per effetto delle disposizioni di cui al titolo 3° della legge<br />

n. 300/1970.<br />

Sono fatte salve le condizioni di miglior favore eventualmente già previste nei confronti delle<br />

associazioni sindacali dai c.c.n.l. o accordi collettivi di diverso livello, in materia di numero dei<br />

dirigenti della R.S.A., diritti, permessi e libertà sindacali.<br />

Nelle stesse sedi negoziali si procederà, nel principio dell'invarianza dei costi, all'armonizzazione<br />

nell'ambito dei singoli istituti contrattuali, anche in ordine alla quota eventualmente da trasferire ai<br />

componenti della R.S.U.<br />

In tale occasione, sempre nel rispetto dei principi sopra concordati, le parti definiranno in via<br />

prioritaria soluzioni in base alle quali le singole condizioni di miglior favore dovranno permettere<br />

alle organizzazioni sindacali con le quali si erano convenute, di mantenere una specifica agibilità<br />

sindacale.<br />

In tale ambito sono fatti salvi in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali<br />

stipulanti il c.c.n.l. applicato nell'unità produttiva, i seguenti diritti:<br />

a) diritto ad indire, singolarmente o congiuntamente l'assemblea dei lavoratori durante l'orario di<br />

lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex art. 20, L. n. 300/1970;<br />

b) diritto ai permessi non retribuiti di cui all'art. 24, L. n. 300/1970.<br />

c) diritto di affissione di cui all'art. 25, L. n. 300/1970.<br />

5) Compiti e funzioni<br />

Le R.S.U. subentrano alle R.S.A. ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle<br />

funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge.<br />

La R.S.U. e le competenti strutture territoriali delle associazioni sindacali firmatarie del contratto<br />

collettivo nazionale di lavoro, possono stipulare il contratto collettivo aziendale di lavoro nelle<br />

materie, con le procedure, modalità e nei limiti stabiliti dal contratto collettivo nazionale applicato<br />

nell'unità produttiva.<br />

6) Durata e sostituzione nell'incarico<br />

I componenti della R.S.U. restano in carica per tre anni, al termine dei quali decadono<br />

automaticamente. In caso di dimissioni di componente elettivo, lo stesso sarà sostituito dal primo<br />

dei non eletti appartenente alla medesima lista.<br />

Il componente dimissionario, che sia stato nominato su designazione delle associazioni sindacali<br />

stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell'unità produttiva, sarà sostituito<br />

mediante nuova designazione da parte delle stesse associazioni.<br />

Le dimissioni e conseguenti sostituzioni dei componenti le R.S.U. non possono concernere un<br />

numero superiore al 50% degli stessi, pena la decadenza della R.S.U. con conseguente obbligo di<br />

procedere al suo rinnovo, secondo le modalità previste dal presente accordo.<br />

7) Decisioni<br />

Le decisioni relative a materie di competenza delle R.S.U. sono assunte dalle stesse in base ai criteri<br />

previsti da intese definite dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente accordo.<br />

8) Clausola di salvaguardia<br />

171


Le organizzazioni sindacali, dotate dei requisiti di cui all'art. 19, L. 20 maggio 1970, n. 300, che<br />

siano firmatarie del presente accordo o comunque, aderiscano alla disciplina in esso contenuta,<br />

partecipando alla procedura di elezione della R.S.U., rinunciano formalmente ed espressamente a<br />

costituire R.S.A. ai sensi della norma sopra menzionata.<br />

Disciplina della elezione della R.S.U.<br />

PARTE SECONDA<br />

1) Modalità per indire le elezioni<br />

Almeno tre mesi prima della scadenza del mandato della R.S.U. le associazioni sindacali di cui al<br />

punto 1, parte prima, del presente accordo, congiuntamente o disgiuntamente, o la R.S.U. uscente,<br />

provvederanno ad indire le elezioni mediante comunicazione da affiggere nell'apposito albo che<br />

l'azienda metterà a disposizione della R.S.U. e da inviare alla Direzione aziendale. Il termine per la<br />

presentazione delle liste è di 15 giorni dalla data di pubblicazione dell'annuncio di cui sopra; l'ora di<br />

scadenza si intende fissata alla mezzanotte del quindicesimo giorno.<br />

2) Quorum per la validità delle elezioni<br />

Le organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente accordo favoriranno la più ampia<br />

partecipazione dei lavoratori alle operazioni elettorali.<br />

Le elezioni sono valide ove alle stesse abbia preso parte più della metà dei lavoratori aventi diritto<br />

al voto. Nei casi in cui detto quorum non sia stato raggiunto, la commissione elettorale e le<br />

organizzazioni sindacali prenderanno ogni determinazione in ordine alla validità della consultazione<br />

in relazione alla situazione venutasi a determinare nell'unità produttiva.<br />

3) Elettorato attivo e passivo<br />

Hanno diritto di votare tutti gli operai, gli impiegati e i quadri non in prova in forza all'unità<br />

produttiva alla data delle elezioni.<br />

Ferma restando l'eleggibilità degli operai, impiegati e quadri non in prova in forza all'unità<br />

produttiva, candidati nelle liste di cui al successivo punto 4, la contrattazione di categoria regolerà<br />

limiti ed esercizio del diritto di elettorato passivo dei lavoratori non a tempo indeterminato.<br />

4) Presentazione delle liste<br />

All'elezione della R.S.U. possono concorrere liste elettorali presentate dalle:<br />

a) associazioni sindacali firmatarie del presente accordo e del contratto collettivo nazionale di<br />

lavoro applicato nell'unità produttiva;<br />

b) associazioni sindacali formalmente costituite con un proprio statuto ed atto costitutivo a<br />

condizione che:<br />

1) accettino espressamente e formalmente la presente regolamentazione;<br />

2) la lista sia corredata da un numero di firme di lavoratori dipendenti dall'unità produttiva pari al<br />

5% degli aventi diritto al voto.<br />

Non possono essere candidati coloro che abbiano presentato la lista ed i membri della Commissione<br />

elettorale.<br />

Ciascun candidato può presentarsi in una sola lista. Ove, nonostante il divieto di cui al precedente<br />

comma, un candidato risulti compreso in più di una lista, la Commissione elettorale di cui al punto<br />

5, dopo la scadenza del termine per la presentazione delle liste e prima di procedere alla affissione<br />

delle liste stesse ai sensi del punto 7, inviterà il lavoratore interessato a optare per una delle liste.<br />

172


Il numero dei candidati per ciascuna lista non può superare di oltre 1/3 il numero dei componenti la<br />

R.S.U. da eleggere nel collegio.<br />

5) Commissione elettorale<br />

Al fine di assicurare un ordinato e corretto svolgimento della consultazione, nelle singole unità<br />

produttive viene costituita una commissione elettorale.<br />

Per la composizione della stessa ogni organizzazione abilitata alla presentazione di liste potrà<br />

designare un lavoratore dipendente dall'unità produttiva, non candidato.<br />

6) Compiti della Commissione<br />

La Commissione elettorale ha il compito di:<br />

a) ricevere la presentazione delle liste, rimettendo immediatamente dopo la sua completa<br />

integrazione ogni contestazione relativa alla rispondenza delle liste stesse ai requisiti previsti dal<br />

presente accordo;<br />

b) verificare la valida presentazione delle liste;<br />

c) costituire i seggi elettorali, presiedendo alle operazioni di voto che dovranno svolgersi senza<br />

pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale;<br />

d) assicurare la correttezza delle operazioni di scrutinio dei voti;<br />

e) esaminare e decidere su eventuali ricorsi proposti nei termini di cui al presente accordo;<br />

f) proclamare i risultati delle elezioni, comunicando gli stessi a tutti i soggetti interessati, ivi<br />

comprese le associazioni sindacali presentatrici di liste.<br />

7) Affissioni<br />

Le liste dei candidati dovranno essere portate a conoscenza dei lavoratori, a cura della Commissione<br />

elettorale, mediante affissione nell'albo di cui al punto 1, almeno otto giorni prima della data fissata<br />

per le elezioni.<br />

8) Scrutatori<br />

È in facoltà dei presentatori di ciascuna lista di designare uno scrutatore per ciascun seggio<br />

elettorale, scelto fra i lavoratori elettori non candidati.<br />

La designazione degli scrutatori deve essere effettuata non oltre le ventiquattro ore che precedono<br />

l'inizio delle votazioni.<br />

9) Segretezza del voto<br />

Nelle elezioni il voto è segreto e diretto e non può essere espresso per lettera nè per interposta<br />

persona.<br />

10) Schede elettorali<br />

La votazione ha luogo a mezzo di scheda unica, comprendente tutte le liste disposte in ordine di<br />

presentazione e con la stessa evidenza.<br />

In caso di contemporaneità della presentazione l'ordine di precedenza sarà estratto a sorte.<br />

Le schede devono essere firmate da almeno due componenti del seggio; la loro preparazione e la<br />

votazione devono avvenire in modo da garantire la segretezza e la regolarità del voto.<br />

La scheda deve essere consegnata a ciascun elettore all'atto della votazione dal Presidente del<br />

seggio.<br />

Il voto di lista sarà espresso mediante crocetta tracciata sulla intestazione della lista.<br />

Il voto è nullo se la scheda non è quella predisposta o se presenta tracce di scrittura o analoghi segni<br />

di individuazione.<br />

173


11) Preferenze<br />

L'elettore può manifestare la preferenza solo per un candidato della lista da lui votata.<br />

Il voto preferenziale sarà espresso dall'elettore mediante una crocetta apposta a fianco del nome del<br />

candidato preferito, ovvero segnando il nome del candidato preferito nell'apposito spazio della<br />

scheda.<br />

L'indicazione di più preferenze date alla stessa lista vale unicamente come votazione della lista,<br />

anche se non sia stato espresso il voto della lista. Il voto apposto a più di una lista, o l'indicazione di<br />

più preferenze date a liste differenti, rende nulla la scheda.<br />

Nel caso di voto apposto ad una lista e di preferenze date a candidati di liste differenti, si considera<br />

valido solamente il voto di lista e nulli i voti di preferenza.<br />

12) Modalità della votazione<br />

Il luogo e il calendario di votazione saranno stabiliti dalla Commissione elettorale, previo accordo<br />

con la Direzione aziendale, in modo tale da permettere a tutti gli aventi diritto l'esercizio del voto,<br />

nel rispetto delle esigenze della produzione.<br />

Qualora l'ubicazione degli impianti e il numero dei votanti lo dovessero richiedere, potranno essere<br />

stabiliti più luoghi di votazione, evitando peraltro eccessivi frazionamenti anche per conservare,<br />

sotto ogni aspetto, la segretezza del voto.<br />

Nelle aziende con più unità produttive le votazioni avranno luogo di norma contestualmente.<br />

Luogo e calendario di votazione dovranno essere portate a conoscenza di tutti i lavoratori, mediante<br />

comunicazione nell'albo esistente presso le aziende, almeno 8 giorni prima del giorno fissato per le<br />

votazioni.<br />

13) Composizione del seggio elettorale<br />

Il seggio è composto dagli scrutatori di cui al punto 8, parte seconda, del presente accordo e da un<br />

Presidente, nominato dalla Commissione elettorale.<br />

14) Attrezzatura del seggio elettorale<br />

A cura della Commissione elettorale ogni seggio sarà munito di un'urna elettorale, idonea ad una<br />

regolare votazione, chiusa e sigillata sino alla apertura ufficiale della stessa per l'inizio dello<br />

scrutinio.<br />

Il seggio deve inoltre poter disporre di un elenco completo degli elettori aventi diritto al voto presso<br />

di esso.<br />

15) Riconoscimento degli elettori<br />

Gli elettori, per essere ammessi al voto, dovranno esibire al Presidente del seggio un documento di<br />

riconoscimento personale. In mancanza di documento personale essi dovranno essere riconosciuti<br />

da almeno due degli scrutatori del seggio; di tale circostanza deve essere dato atto nel verbale<br />

concernente le operazioni elettorali.<br />

16) Compiti del Presidente<br />

Il Presidente farà apporre all'elettore, nell'elenco di cui al precedente punto 14, la firma accanto al<br />

suo nominativo.<br />

17) Operazioni di scrutinio<br />

174


Le operazioni di scrutinio avranno inizio subito dopo la chiusura delle operazioni elettorali di tutti i<br />

seggi dell'unità produttiva.<br />

Al termine dello scrutinio, a cura del Presidente del seggio, il verbale dello scrutinio, su cui dovrà<br />

essere dato atto anche delle eventuali contestazioni, verrà consegnato - unitamente al materiale della<br />

votazione (schede, elenchi, ecc.) - alla Commissione elettorale che, in caso di più seggi, procederà<br />

alle operazioni riepilogative di calcolo dandone atto nel proprio verbale.<br />

La Commissione elettorale al termine delle operazioni di cui al comma precedente provvederà a<br />

sigillare in un unico piego tutto il materiale (esclusi i verbali) trasmesso dai seggi; il piego sigillato,<br />

dopo la definitiva convalida della R.S.U. sarà conservato secondo accordi tra la Commissione<br />

elettorale e la Direzione aziendale in modo da garantirne la integrità e ciò almeno per tre mesi.<br />

Successivamente sarà distrutto alla presenza di un delegato della Commissione elettorale e di un<br />

delegato della Direzione.<br />

18) Attribuzione dei seggi<br />

Ai fini dell'elezione dei due terzi dei componenti della R.S.U., il numero dei seggi sarà ripartito,<br />

secondo il criterio proporzionale, in relazione ai voti perseguiti dalle singole liste concorrenti. Il<br />

residuo terzo dei seggi sarà attribuito in base al criterio di composizione della R.S.U. previsto<br />

dall'art. 2, 1° comma, parte prima, del presente accordo.<br />

Nell'ambito delle liste che avranno conseguito un numero di voti sufficiente all'attribuzione di<br />

seggi, i componenti saranno individuati seguendo l'ordine dei voti di preferenza ottenuti dai singoli<br />

candidati e, in caso di parità di voti di preferenza, in relazione all'ordine nella lista.<br />

19) Ricorsi alla Commissione elettorale<br />

La Commissione elettorale, sulla base dei risultati di scrutinio, procede alla assegnazione dei seggi e<br />

alla redazione di un verbale sulle operazioni elettorali, che deve essere sottoscritto da tutti i<br />

componenti della Commissione stessa.<br />

Trascorsi 5 giorni dalla affissione dei risultati degli scrutini senza che siano stati presentati ricorsi<br />

da parte dei soggetti interessati, si intende confermata l'assegnazione dei seggi di cui al primo<br />

comma e la Commissione ne dà atto nel verbale di cui sopra.<br />

Ove invece siano stati presentati ricorsi nei termini suddetti, la Commissione deve provvedere al<br />

loro esame entro 48 ore, inserendo nel verbale suddetto la conclusione alla quale è pervenuta.<br />

Copia di tale verbale e dei verbali di seggio dovrà essere notificata a ciascun rappresentante delle<br />

associazioni sindacali che abbiano presentato liste elettorali, entro 48 ore dal compimento delle<br />

operazioni di cui al comma precedente e notificata, a mezzo raccomandata con ricevuta, nel termine<br />

stesso, sempre a cura della Commissione elettorale, alla Associazione industriale territoriale, che, a<br />

sua volta, ne darà pronta comunicazione all'azienda.<br />

20) Comitato dei garanti<br />

Contro le decisioni della Commissione elettorale è ammesso ricorso entro 10 giorni ad apposito<br />

Comitato dei garanti.<br />

Tale Comitato è composto, a livello provinciale, da un membro designato da ciascuna delle<br />

organizzazioni sindacali, presentatrici di liste, interessate al ricorso, da un rappresentante<br />

dell'associazione industriale locale di appartenenza, ed è presieduto dal Direttore dell'UPLMO o da<br />

un suo delegato.<br />

Il Comitato si pronuncerà entro il termine perentorio di 10 giorni.<br />

21) Comunicazione della nomina dei componenti della R.S.U.<br />

175


La nomina, a seguito di elezione o designazione, dei componenti della R.S.U., una volta definiti gli<br />

eventuali ricorsi, sarà comunicata per iscritto alla direzione aziendale per il tramite della locale<br />

organizzazione imprenditoriale d'appartenenza a cura delle organizzazioni sindacali di rispettiva<br />

appartenenza dei componenti.<br />

22) Adempimenti della Direzione aziendale<br />

La Direzione aziendale metterà a disposizione della Commissione elettorale l'elenco dei dipendenti<br />

aventi diritto al voto nella singola unità produttiva e quanto necessario a consentire il corretto<br />

svolgimento delle operazioni elettorali.<br />

23) Clausola finale<br />

Il presente accordo potrà costituire oggetto di disdetta ad opera delle parti firmatarie, previo<br />

preavviso pari a 4 mesi.<br />

176


ACCORDO QUADRO 22 gennaio 2009<br />

Riforma degli assetti contrattuali.<br />

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180


181


ACCORDO INTERCONFEDERALE 15 aprile 2009<br />

Per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli<br />

assetti contrattuali del 22 gennaio 2009<br />

Premessa<br />

Le parti confermano che obiettivo dell’intesa è il rilancio della crescita economica, lo sviluppo<br />

occupazionale e l’aumento della produttività anche attraverso il rafforzamento dell’indicazione<br />

condivisa da Governo, organizzazioni di rappresentanza delle imprese ed organizzazioni sindacali<br />

dei lavoratori con l’accordo quadro del 22 gennaio 2009, cui viene data completa attuazione con la<br />

presente intesa, per una politica di riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese<br />

nell’ambito degli obiettivi e dei vincoli di finanza pubblica.<br />

Le parti convengono sulla necessità di realizzare un sistema di relazioni industriali che persegua<br />

condizioni di competitività e di produttività tali da consentire il rafforzamento del sistema<br />

produttivo, lo sviluppo dei fattori per l’occupabilità ed il miglioramento delle retribuzioni reali di<br />

tutti i lavoratori.<br />

Le parti, nel confermare un modello di assetti contrattuali su due livelli, esprimono l’essenziale<br />

esigenza di avere un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi in grado di dare<br />

certezze riguardo ai soggetti, ai tempi ed ai contenuti della contrattazione collettiva attraverso<br />

l’attuazione ed il rispetto delle regole.<br />

Le parti ritengono che la contrattazione collettiva rappresenti un valore nelle relazioni sindacali che<br />

hanno il compito di determinare le condizioni confacenti agli obiettivi generali dell’economia<br />

perseguendo l’incremento dei redditi di impresa e lavoro attraverso la spinta alla competitività,<br />

all’innovazione, alla flessibilità produttiva, alla definizione dei contenuti collettivi nel rapporto di<br />

lavoro ed alla promozione di servizi a favore dei lavoratori.<br />

Con il presente accordo le parti stipulanti concordano un sistema di relazioni industriali ed un<br />

modello di assetti della contrattazione collettiva che, con carattere sperimentale e per la durata di 4<br />

anni, sostituisce le regole già definite nel paragrafo “2. Assetti contrattuali” del Protocollo<br />

sottoscritto fra Governo e parti sociali il 23 luglio 1993 su “Politica dei redditi e dell’occupazione,<br />

assetti contrattuali, politiche del lavoro e sostegno al sistema produttivo”.<br />

Per la verifica del corretto funzionamento delle regole qui definite, le parti costituiscono a livello<br />

interconfederale un Comitato paritetico quale specifica sede di monitoraggio, analisi e raccordo<br />

costante anche con l’obiettivo di fornire, in una logica di diffusione delle best practices, linee di<br />

orientamento per i comportamenti dei rispettivi organismi e dei loro rappresentati ai vari livelli,<br />

secondo quanto stabilito con apposito regolamento che forma parte integrante del presente accordo.<br />

Tutto ciò premesso le parti concordano<br />

1) Gli assetti della contrattazione collettiva<br />

1.1. In coerenza con gli obiettivi individuati in Premessa le parti confermano un modello<br />

di assetti contrattuali che prevede:<br />

- un contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria con vigenza triennale<br />

sia per la parte normativa che per la parte economica<br />

- un secondo livello di contrattazione aziendale o alternativamente territoriale,<br />

laddove previsto, secondo l’attuale prassi, nell’ambito di specifici settori,<br />

con vigenza triennale.<br />

2) Il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria<br />

2.1. Il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria ha le seguenti caratteristiche:<br />

durata triennale tanto per la parte economica che normativa<br />

182


la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i<br />

lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale.<br />

2.2. Per la dinamica degli effetti economici dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria, le<br />

parti hanno individuato l’indicatore della crescita dei prezzi al consumo per il triennio - in<br />

sostituzione del tasso di inflazione programmata – in un nuovo indice previsionale costruito sulla<br />

base dell’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia),<br />

depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati.<br />

L’indice previsionale sarà elaborato da un soggetto terzo di riconosciuta autorevolezza ed<br />

affidabilità sulla base di una specifica lettera di incarico.<br />

Lo stesso soggetto procederà alla verifica circa eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista e<br />

quella reale effettivamente osservata, considerando i due indici sempre al netto della dinamica dei<br />

prezzi dei beni energetici importati.<br />

La verifica circa la significatività degli eventuali scostamenti registratisi sarà effettuata dal<br />

Comitato paritetico costituito a livello interconfederale.<br />

Il recupero degli eventuali scostamenti sarà effettuato entro la vigenza di ciascun contratto<br />

collettivo nazionale di lavoro in termini di variazione dei minimi.<br />

In sede di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria le parti stipulanti<br />

applicheranno il nuovo indice previsionale ad un valore retributivo medio assunto quale base di<br />

computo composto dai minimi tabellari, dal valore degli aumenti periodici di anzianità considerata<br />

l’anzianità media di settore e dalle altre eventuali indennità in cifra fissa stabilite dallo stesso<br />

contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria.<br />

2.3. Il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria regola il sistema di relazioni industriali a<br />

livello nazionale, territoriale e aziendale.<br />

A tal fine il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria definisce, a valere per il sistema<br />

delle imprese rientranti nel campo di applicazione, la disciplina dei diritti di informazione e<br />

consultazione in attuazione delle direttive europee nonché modelli, regole e procedure di<br />

funzionamento di eventuali organismi parititetici per approfondire i temi connessi agli andamenti<br />

economico-sociali ed alle politiche settoriali.<br />

Sui risultati delle iniziative di approfondimento possono essere realizzati avvisi comuni fra le parti<br />

stipulanti anche ai fini dell’emanazione di atti di indirizzo da parte delle Istituzioni competenti.<br />

È inoltre competenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria definire ulteriori forme<br />

di bilateralità, anche sulla base di specifici accordi interconfederali conclusi in relazione ad un<br />

quadro normativo che assicuri benefici fiscali ad incentivazione del funzionamento di servizi<br />

integrativi di welfare.<br />

Il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria definisce le modalità e gli ambiti di<br />

applicazione della contrattazione di secondo livello nello spirito dell’attuale prassi negoziale con<br />

particolare riguardo alle piccole imprese nonché la tempistica, secondo il principio dell’autonomia<br />

dei cicli negoziali, le materie e le voci nelle quali essa si articola.<br />

2.4. Per evitare situazioni di eccessivo prolungamento delle trattative di rinnovo, il contratto<br />

collettivo nazionale di lavoro di categoria definisce i tempi e le procedure per la presentazione delle<br />

proposte sindacali relative alla modifica delle disposizioni economiche e normative previste dalla<br />

contrattazione nazionale, aziendale o territoriale nonché i tempi di apertura e lo svolgimento dei<br />

negoziati.<br />

In ogni caso le proposte per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria<br />

saranno presentate in tempo utile per consentire l’apertura della trattativa sei mesi prima della<br />

scadenza del contratto.<br />

La parte che ha ricevuto le proposte per il rinnovo dovrà dare riscontro entro venti giorni decorrenti<br />

dalla data di ricevimento delle stesse.<br />

183


Al rispetto dei tempi e delle procedure definite è condizionata l’applicazione del meccanismo che,<br />

dalla data di scadenza del contratto precedente, riconosce una copertura economica, nella misura<br />

che sarà stabilita nei singoli contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria, a favore dei<br />

lavoratori in servizio alla data di raggiungimento dell’accordo di rinnovo.<br />

Durante i sei mesi antecedenti e nel mese successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale<br />

di lavoro di categoria e comunque per un periodo complessivamente pari a sette mesi dalla data di<br />

presentazione delle proposte di rinnovo, le parti non assumeranno iniziative unilaterali né<br />

procederanno ad azioni dirette.<br />

In caso di mancato rispetto della tregua sindacale sopra definita, si può esercitare il diritto di<br />

chiedere la revoca o la sospensione dell’azione messa in atto.<br />

Qualora dopo sei mesi dalla scadenza il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria non sia<br />

stato ancora rinnovato, è previsto l’interessamento del Comitato paritetico per la gestione del<br />

presente accordo interconfederale per valutare le ragioni che non hanno consentito il<br />

raggiungimento dell’accordo per il rinnovo del contratto.<br />

3) Il secondo livello di contrattazione<br />

3.1. Le parti, rilevato che nei principali Paesi dell’Unione europea si è sviluppata negli ultimi venti<br />

anni una generale tendenza a favorire un progressivo decentramento della contrattazione collettiva,<br />

ritengono che una maggiore diffusione della contrattazione di secondo livello possa consentire di<br />

rilanciare la crescita della produttività e quindi delle retribuzioni reali.<br />

Le parti, pertanto, con il presente accordo interconfederale confermano la necessità che vengano<br />

incrementate, rese strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte ad incentivare, in<br />

termini di riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello che collega aumenti<br />

salariali al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed<br />

altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati<br />

all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti.<br />

3.2. La contrattazione di secondo livello si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal<br />

contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge e deve riguardare materie ed<br />

istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione, secondo il principio del “ne<br />

bis in idem”.<br />

Gli accordi di secondo livello hanno durata triennale.<br />

Nella vigenza degli accordi di secondo livello le parti, nei tempi che saranno ritenuti necessari,<br />

svolgeranno procedure di informazione, consultazione, verifica o contrattazione previste dalle leggi,<br />

dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria, dagli accordi collettivi e dalla prassi<br />

negoziale vigente, per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali quali le<br />

innovazioni tecnologiche, organizzative ed i processi di ristrutturazione che influiscono sulle<br />

condizioni di salute e sicurezza, di lavoro e di occupazione anche in relazione alla legge sulle pari<br />

opportunità ed agli interventi volti a favorire l’occupazione femminile.<br />

3.3. Rispetto alla contrattazione aziendale con contenuti economici, il premio variabile sarà<br />

calcolato con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati fra le<br />

parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità, di redditività, di efficacia, di<br />

innovazione, di efficienza organizzativa ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della<br />

competitività aziendale nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa.<br />

Il premio deve avere caratteristiche tali da consentire l’applicazione dei particolari trattamenti<br />

contributivi e fiscali previsti dalla normativa di legge.<br />

Nel caso di contratti territoriali i criteri di misurazione e valutazione economica della produttività,<br />

della qualità e degli altri elementi di competitività, devono essere determinati sulla base di<br />

indicatori assunti a livello territoriale con riferimento alla specificità delle imprese del settore.<br />

184


Al fine di acquisire elementi di conoscenza comune per la definizione degli obiettivi della<br />

contrattazione aziendale, le parti esamineranno preventivamente le condizioni produttive ed<br />

occupazionali e le relative prospettive, tenendo conto dell’andamento della competitività e delle<br />

condizioni essenziali di redditività dell’azienda.<br />

Gli importi, i parametri ed i meccanismi utili alla determinazione quantitativa dell’erogazione<br />

connessa al premio variabile saranno definiti contrattualmente dalle parti in sede aziendale in<br />

coerenza con gli elementi di conoscenza di cui al comma precedente assicurando piena trasparenza<br />

sui parametri assunti ed il rispetto dei tempi delle verifiche ed una approfondita qualità dei processi<br />

di informazione e consultazione.<br />

3.4. Per favorire la diffusione della contrattazione aziendale con contenuti economici nelle imprese<br />

di minori dimensioni, con le incentivazioni previste dalla legge, le parti stipulanti i singoli contratti<br />

collettivi nazionali di lavoro di categoria, possono concordare linee guida utili a definire modelli di<br />

premio variabile con le caratteristiche di cui al precedente punto 3.3. che potranno essere adottate<br />

e/o riadattate in funzione delle concrete esigenze delle aziende interessate.<br />

Per valorizzare le esperienze realizzate ed i risultati conseguiti, anche attraverso le iniziative di<br />

categoria, in termini di miglioramento degli indicatori economici aziendali, possono essere costituiti<br />

in sede nazionale apposite commissioni paritetiche co il compito di monitorare ed analizzare la<br />

contrattazione di secondo livello.<br />

I risultati così raccolti saranno trasmessi in forma aggregata al Comitato paritetico interconfederale<br />

per ogni conseguente decisione circa il funzionamento del presente accordo ed ai fini delle verifiche<br />

richieste per legge allo scopo di ampliare, modificare o innovare gli strumenti di incentivazione<br />

della contrattazione di secondo livello.<br />

3.5. Le proposte di rinnovo dell’accordo di secondo livello, sottoscritte congiuntamente dalle<br />

rappresentanze sindacali unitarie costituite in azienda e dalle strutture territoriali delle<br />

organizzazioni sindacali stipulanti il contratto nazionale, devono essere presentate all’azienda e<br />

contestualmente all’Associazione industriale territoriale cui l’azienda è iscritta o ha conferito<br />

mandato, in tempo utile al fine di consentire l’apertura della trattativa due mesi prima della<br />

scadenza dell’accordo.<br />

L’azienda che ha ricevuto le proposte di rinnovo dovrà dare riscontro entro venti giorni decorrenti<br />

dalla data di ricevimento delle stesse.<br />

Durante i due mesi successivi alla data di presentazione delle proposte di rinnovo e per il mese<br />

successivo alla scadenza dell’accordo e comunque per un periodo complessivamente pari a tre mesi<br />

dalla data di presentazione delle proposte di rinnovo, le parti non assumeranno iniziative unilaterali<br />

né procederanno ad azioni dirette.<br />

Per le ipotesi in cui dopo cinque mesi dalla scadenza il contratto di secondo livello non sia stato<br />

ancora rinnovato, i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria possono prevedere che a<br />

livello territoriale l’Associazione industriale e le strutture delle organizzazioni sindacali stipulanti il<br />

contratto nazionale siano interessate dalle parti per valutare le ragioni che non hanno consentito il<br />

raggiungimento dell’accordo.<br />

3.6. Eventuali controversie che dovessero insorgere nella applicazione delle clausole tutte così come<br />

definite nel presente punto 3., saranno disciplinate fra le organizzazioni di rappresentanza delle<br />

imprese e dei lavoratori stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria, prima in<br />

sede territoriale e poi a livello nazionale.<br />

Qualora la controversia non trovi soluzione in sede di conciliazione, le stesse parti adiranno un<br />

collegio di arbitrato secondo modalità e procedure stabilite nel contratto collettivo nazionale di<br />

lavoro di categoria o con specifico accordo interconfederale.<br />

185


Per gli eventuali provvedimenti da applicare, il collegio arbitrale farà riferimento alle norme di<br />

legge vigenti in materia di responsabilità riguardanti esclusivamente i comportamenti posti in essere<br />

da organizzazioni di rappresentanza.<br />

Per la realizzazione di quanto qui stabilito, in sede di contrattazione collettiva nazionale di categoria<br />

le parti disciplineranno le specifiche procedure di conciliazione ed arbitrato.<br />

4) Elemento di garanzia retributiva<br />

4.1. Ai fini della effettività della diffusione della contrattazione di secondo livello, i contratti<br />

collettivi nazionali di lavoro di categoria stabiliscono che sia riconosciuto un importo, nella misura<br />

ed alle condizioni concordate nei medesimi contratti con particolare riguardo per le situazioni di<br />

difficoltà economico-produttiva, a titolo di elemento di garanzia retributiva, a favore dei lavoratori<br />

dipendenti da aziende prive di contrattazione di secondo livello e che non percepiscono altri<br />

trattamenti economici individuali o collettivi oltre a quanto spettante per contratto collettivo<br />

nazionale di categoria.<br />

Il beneficio sarà determinato con riferimento alla situazione rilevata nell’ultimo quadriennio.<br />

La verifica degli aventi diritto e l’erogazione dell’elemento di garanzia si colloca al termine della<br />

vigenza di ciascun contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria.<br />

5) Intese per il governo delle situazioni di crisi e per lo sviluppo economico ed<br />

occupazionale del territorio<br />

5.1. Al fine di governare direttamente nel territorio situazioni di crisi aziendali o per favorire lo<br />

sviluppo economico ed occupazionale dell’area, i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria<br />

possono consentire che in sede territoriale, fra le Associazioni industriali territoriali e le strutture<br />

territoriali delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto medesimo, siano raggiunte intese per<br />

modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o<br />

normativi disciplinati dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria.<br />

La capacità di modificare è esercitabile sulla base di parametri oggettivi individuati nel contratto<br />

nazionale quali, ad esempio, l’andamento del mercato del lavoro, i livelli di competenze e<br />

professionalità disponibili, il tasso di produttività, il tasso di avvio e di cessazione delle iniziative<br />

produttive, la necessità di determinare condizioni di attrattività per nuovi investimenti.<br />

In ogni caso le intese così raggiunte per essere efficaci devono essere preventivamente approvate<br />

dalle parti stipulanti i contratti collettivi nazionali di lavoro della categoria interessata.<br />

Sono fatte salve diverse soluzioni già definite in materia dai contratti collettivi nazionali<br />

di lavoro di categoria.<br />

6) Disposizioni transitorie<br />

6.1. Il presente accordo decorre dal 15 aprile 2009 ed avrà vigore fino al 15 aprile 2013.<br />

Sei mesi prima della scadenza le parti, anche sulla base dei rapporti di verifica eventualmente<br />

elaborati annualmente, procederanno ad una valutazione complessiva del funzionamento del<br />

sistema di relazioni industriali e della contrattazione collettiva ai vari livelli nel periodo di<br />

sperimentazione al fine di concordare le regole da valere per il successivo periodo apportando al<br />

presente accordo, ove necessario, correttivi, modifiche od integrazioni.<br />

6.2. Tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria e gli accordi di secondo livello, la cui<br />

scadenza biennale o quadriennale sia successiva alla data di entrata in vigore del presente accordo<br />

interconfederale, saranno rinnovati con l’applicazione delle condizioni, principi, regole, modalità,<br />

tempi stabiliti con il presente accordo interconfederale.<br />

Ai fini della presentazione delle richieste di rinnovo, i tempi stabiliti al punto 2.4. dovranno<br />

186


essere rispettati per i contratti in scadenza dal 1° novembre 2009. Nel frattempo devono essere<br />

rispettati i tempi previsti dal Protocollo del 23 luglio 1993 con le modalità in atto.<br />

In fase di prima applicazione del presente accordo interconfederale nel rinnovo di ciascun contratto<br />

collettivo nazionale di lavoro di categoria, ai fini dell’eventuale recupero degli scostamenti<br />

inflazionistici registrati nel biennio precedente si procederà secondo la disciplina prevista dal<br />

Protocollo del 23 luglio 1993.<br />

7) Rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva<br />

7.1. Le parti confermano l’interesse a definire uno specifico accordo interconfederale per rivedere<br />

ed aggiornare le regole pattizie che disciplinano la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro<br />

valutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo ivi compresa la certificazione<br />

all’INPS dei dati di iscrizione sindacale.<br />

7.2. Per un regolato sistema di relazioni industriali le parti si impegnano a rispettare ed a far<br />

rispettare – nell’esercizio del cosiddetto potere d’influsso proprio delle organizzazioni di<br />

rappresentanza delle imprese e dei lavoratori - tutte le regole che liberamente sono definite in<br />

materia di contrattazione collettiva.<br />

8) Razionalizzazione e riduzione del numero dei contratti collettivi nazionali di<br />

lavoro di categoria<br />

8.1. Le parti confermano l’interesse a proseguire nell’attività di verifica circa la possibilità di<br />

semplificazione ovvero di razionalizzazione od anche di riduzione del numero dei contratti collettivi<br />

nazionali di lavoro stipulati fra le rispettive organizzazioni nazionali di categoria.<br />

Per ognuna delle tre distinte ipotesi dovrà essere verificato lo specifico interesse reso esplicito dalle<br />

Associazioni/Federazioni di Categoria titolari dei rispettivi contratti nazionali.<br />

In funzione di detta verifica le parti potranno individuare ed essere garanti degli obiettivi comuni e<br />

condivisi che - su richiesta delle categorie interessate – possono eventualmente favorire operazioni<br />

di semplificazione ovvero di razionalizzazione od anche di riduzione del numero dei contratti<br />

collettivi nazionali di lavoro, secondo le decisioni assunte dalle categorie stesse.<br />

Nell’ambito dell’attività di verifica, che rientra nelle competenze del Comitato paritetico, saranno<br />

esaminate anche condizioni, tempi e modalità per la definizione di eventuali nuovi contratti<br />

collettivi per una adeguata e coerente gestione dei rapporti di lavoro in aree produttive prive di<br />

discipline contrattuali specifiche.<br />

Dichiarazione fra le parti<br />

In relazione a quanto previsto dalle disposizioni transitorie di cui al punto 6.2. le parti concordano<br />

che anche i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria e gli accordi di secondo livello con<br />

scadenza precedente alla firma del presente accordo inter-confederale ma per i quali non sia ancora<br />

iniziato il confronto negoziale per il rinnovo, saranno rinnovati con l’applicazione delle condizioni,<br />

principi, regole, modalità,<br />

tempi stabiliti con il presente accordo.<br />

CONFINDUSTRIA<br />

(Emma Marcegaglia)<br />

CISL<br />

(Raffaele Bonanni)<br />

UIL<br />

(Luigi Angeletti)<br />

187


ACCORDO 30 aprile 2009<br />

Intesa per l’applicazione dell’Accordo quadro sulla riforma<br />

degli assetti contrattuali del 22 gennaio ai comparti<br />

contrattuali del settore pubblico<br />

Premessa<br />

Confermando il comune obiettivo di una ripresa della crescita economica fondata sull'aumento della<br />

produttività e dell'occupazione, cui il settore pubblico contribuisce soprattutto con la qualità e<br />

quantità dei servizi offerti ai cittadini e alle imprese, con la presente intesa le parti danno piena<br />

applicazione in tutte le aree e i comparti contrattuali del pubblico impiego all’Accordo quadro sulla<br />

riforma degli assetti contrattuali sottoscritto il 22 gennaio 2009.<br />

Le parti convengono sulla necessità di realizzare un sistema di relazioni sindacali che persegua<br />

condizioni di produttività ed efficienza del pubblico impiego tali da consentire il rafforzamento del<br />

sistema produttivo, lo sviluppo dei fattori di occupabilità e il miglioramento delle retribuzioni reali<br />

di tutti i lavoratori.<br />

Le parti, nel confermare un modello di assetti contrattuali su due livelli, esprimono l'essenziale<br />

esigenza di realizzare un accordo sulle regole e le procedure della negoziazione e della gestione<br />

della contrattazione collettiva.<br />

Le parti ritengono che la contrattazione collettiva rappresenti un valore per la gestione delle risorse<br />

umane nel pubblico impiego e che le relazioni sindacali debbano essere tali da determinare nei<br />

luoghi di lavoro le condizioni confacenti agli obiettivi generali dell’economia, perseguendo<br />

l'incremento dei redditi dei cittadini, delle imprese e degli stessi dipendenti pubblici attraverso la<br />

spinta alla competitività, all'innovazione, alla flessibilità produttiva.<br />

Il presente accordo definisce un sistema di relazioni sindacali e un assetto della contrattazione<br />

collettiva che, con carattere sperimentale e per la durata di 4 anni, sostituisce le regole pattizie già<br />

definite e da esso difformi. Come concordato nel Protocollo del 30 ottobre 2008, il<br />

nuovo assetto contrattuale avrà decorrenza dal 2010.<br />

Per la verifica del corretto funzionamento delle regole qui definite, le parti costituiscono un<br />

Comitato paritetico - di cui fanno parte rappresentanti dei Comitati di settore e membri designati<br />

dalle Confederazioni sindacali rappresentative ai sensi della normativa vigente - quale specifica<br />

sede di monitoraggio e analisi degli effetti della contrattazione.<br />

1) Livelli contrattuali<br />

In coerenza con gli obiettivi indicati in premessa, si conferma un assetto della contrattazione<br />

collettiva su due livelli: il contratto collettivo nazionale di lavoro e la contrattazione di secondo<br />

livello, di amministrazione o alternativamente territoriale, nell'ambito di specifici<br />

compatti o aree.<br />

2) Il contratto collettivo nazionale di lavoro:<br />

a) ha una durata triennale, tanto per la parte economica che normativa;<br />

b) garantisce la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del<br />

comparto/area, ovunque impiegati nel territorio nazionale.<br />

2.1. La definizione del calcolo delle risorse da destinare agli incrementi salariali è effettuata dai<br />

Ministeri competenti, previa concertazione con le Confederazioni sindacali rappresentative nel<br />

pubblico impiego, nel rispetto e nei limiti della necessaria programmazione prevista dalla legge<br />

finanziaria, assumendo la previsione dell'indice IPCA, al netto dei prodotti energetici importati,<br />

quale parametro di riferimento per l’individuazione dell'indice previsionale da applicarsi ad una<br />

base di n calcolo costituita dalle voci di carattere stipendiale. Nella predetta sede saranno altresì<br />

verificate le eventuali risorse da destinare alla contrattazione integrativa.<br />

188


a) Il profilo previsionale dell'indice così definito verrà mantenuto invariato per il triennio di<br />

programmazione;<br />

b) l'elaborazione della previsione sarà affidata congiuntamente dalle parti ad un soggetto terzo di<br />

riconosciuta autorevolezza ed affidabilità, sulla base di una specifica lettera di incarico;<br />

c) lo stesso soggetto procederà alla verifica circa eventuali scostamenti tra l'inflazione prevista e<br />

quella reale effettivamente osservata, considerando i due indici sempre al netto della dinamica dei<br />

prezzi dei beni energetici importati;<br />

d) la verifica circa la significatività degli eventuali scostamenti registrati sarà effettuata previo<br />

confronto con le parti sociali e sarà effettuata alla scadenza del triennio contrattuale, tenendo conto<br />

dei reali andamenti delle retribuzioni di fatto dell'intero settore. Il recupero dell'eventuale<br />

scostamento avverrà entro il primo anno del successivo triennio contrattuale.<br />

2.2. Nel quadro della riforma e in applicazione della legge delega n. 15/2009, ai fini di migliorare<br />

l'efficienza e l'efficacia della contrattazione e la tempestività dei rinnovi, verrà attribuito un nuovo e<br />

più incisivo ruolo all'A.Ra.N., con un più diretto coinvolgimento dei Comitati di Settore, e si<br />

prevederà la riforma dell'iter negoziale dei contratti allo scopo di una loro più celere approvazione.<br />

2.3. 11 contratto collettivo nazionale di lavoro, inoltre, regola il sistema di relazioni sindacali a<br />

livello nazionale, territoriale e di amministrazione; a tal fine il contratto collettivo nazionale di<br />

lavoro definisce la disciplina dei diritti di informazione, consultazione e concertazione, in accordo<br />

con i principi della 1. 15/2009, nonché modelli, regole e procedure di funzionamento di eventuali<br />

organismi parititelici.<br />

2.4. 11 contratto collettivo nazionale definisce le modalità e gli ambiti di applicazione della<br />

contrattazione di secondo livello, le materie e le voci nelle quali essa si articola, nonché la relativa<br />

tempistica, secondo il principio dell'autonomia dei cicli negoziali.<br />

2.5. 11 contratto nazionale può definire eventuali forme di bilateralità per il funzionamento di<br />

servizi integrativi del welfare.<br />

3) Procedure contrattuali<br />

a) Per evitare situazioni di eccessivo prolungamento delle trattative di rinnovo, la presente intesa<br />

definisce i tempi e le procedure per la presentazione delle proposte sindacali relative alla modifica<br />

delle disposizioni economiche e normative previste dalla contrattazione nazionale, di<br />

amministrazione o territoriale, nonché i tempi di apertura e di svolgimento dei negoziati.<br />

b) In ogni caso le proposte si6dacali per il rinnovo del contratto collettivo nazionale saranno<br />

presentate sei mesi prima della scadenza del rinnovo del contratto e comunque in tempo utile per<br />

consentire l'apertura della trattativa tre mesi prima della scadenza del contratto.<br />

c) Al rispetto dei tempi e delle procedure definite è condizionata l'applicazione del meccanismo che,<br />

dalla .data di scadenza del contratto precedente, riconosce una copertura economica a favore dei<br />

lavoratori destinatari dell'accordo di rinnovo, nella misura e con le modalità che saranno stabilite<br />

nei singoli contratti collettivi nazionali di lavoro, entro i limiti previsti dalla legge finanziaria in<br />

sede di definizione delle risorse contrattuali.<br />

d) Durante i sei mesi antecedenti e nel mese successivo alla scadenza del contratto collettivo<br />

nazionale di lavoro e comunque per un periodo complessivamente pari a sette mesi dalla data di<br />

presentazione delle proposte di rinnovo, le parti non assumeranno iniziative unilaterali, né<br />

procederanno ad azioni dirette.<br />

e) In caso di mancato rispetto della tregua sindacale sopra definita, si può esercitare il diritto di<br />

chiedere la revoca o la sospensione dell'azione messa in atto.<br />

f) Qualora dopo sei mesi dalla scadenza il contratto collettivo nazionale di lavoro non sia stato<br />

ancora rinnovato, è previsto l'interessamento del Comitato paritetico indicato in premessa per<br />

189


valutare le ragioni che non hanno consentito il raggiungimento dell'accordo per il rinnovo del<br />

contratto e suggerire possibili soluzioni ai problemi riscontrati.<br />

4) Contrattazione decentrata<br />

4.1. Le parti, rilevato che nei principali Paesi delllUnione europea si è sviluppata negli ultimi venti<br />

anni una generale tendenza a favorire un progressivo decentramento della contrattazione collettiva,<br />

ritengono che la contrattazione di secondo livello possa costituire un valido strumento per<br />

migliorare la produttività e l'efficienza del lavoro pubblico.<br />

Le parti pertanto, con il presente accordo, confermano la necessità che, nel rispetto dei vincoli e<br />

degli obiettivi di ,finanza pubblica, vengano incrementate, diffuse, rese strutturali, certe e<br />

facilmente accessibili tutte le misure volte a incentivare, in termini di riduzione di tasse e contributi,<br />

la contrattazione di secondo livello che collega aumenti salariali al raggiungimento di obiettivi,<br />

concordati fra le parti, di produttività, qualità, efficienza, efficacia e altri elementi rilevanti ai fini<br />

del continuo miglioramento della performance delle pubbliche amministrazioni, anche in termini di<br />

risparmi di gestione.<br />

4.2. La contrattazione di secondo livello si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal<br />

contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge; e deve riguardare materie ed<br />

istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione, secondo il<br />

principio del "ne bis in idem".<br />

a) Gli accordi di secondo livello hanno durata 'triennale.<br />

b) Nella vigenza degli accordi di secondo livello le parti, nei tempi che saranno ritenuti necessari,<br />

svolgeranno procedure di informazione, consultazione, verifica, concertazione o contrattazione<br />

previste dalle leggi, dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria e dagli accordi collettivi<br />

per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni delle amministrazioni, quali le<br />

innovazioni tecnologiche, organizzative ed i processi di ristrutturazione che influiscono sulle<br />

condizioni di salute e sicurezza, di lavoro e di occupazione anche in relazione alle disposizioni di<br />

legge in tema di sicurezza del lavoro e sulle pari opportunità e agli interventi volti a<br />

favorire l'occupazione femminile.<br />

4.3. Nel quadro della contrattazione decentrata con contenuti economici, i premi variabili saranno<br />

calcolati con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati fra le<br />

parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, qualità, efficacia, innovazione, e1’efficienza<br />

organizzativa ed eventuali altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della perfomance delle<br />

amministrazioni, anche in termini di soddisfazione degli utenti, nonché<br />

ai risultati legati ai risparmi di gestione dell'amministrazione.<br />

a)Ai fini della valutazione della performance delle singole amministrazioni pubbliche e delle loro<br />

articolazioni funzionali/strutture dirigenziali possono essere necessari la qualificazione e il<br />

potenziamento dell'azione autonoma dei Nuclei di valutazione e dei Secin interni alle stesse, in<br />

accordo con quanto previsto dalla legge delega n. 15/2009.<br />

b) Per assicurare una più coerente responsabilizzazione della dirigenza sulla performance di ogni<br />

amministrazione e di ogni sua articolazione funzionale/struttura dirigenziale, si prevede, in<br />

applicazione dell'art. 4 della l. n. 15/2009, l’istituzione di un organismo centrale che opera con il<br />

compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di<br />

valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di cui alle lettere a) e b) del punto 2 del citato art.<br />

4, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale; l'esito di tale<br />

valutazione sarà reso pubblico e dovrà essere di facile comprensione da parte di cittadini e imprese;<br />

c) La valutazione di performance delle singole amministrazioni costituirà un elemento di<br />

riferimento per il confronto tra le parti; i CCNL, sulla base della valutazione di performance,<br />

fisseranno per ciascuna amministrazione le risorse utilizzabili per i contratti di secondo livello;<br />

190


questi, a loro volta, determineranno gli effetti economici sui singoli lavoratori, in accordo con<br />

quanto disposto dalla l. n. 15/2009.<br />

d) Le modalità di determinazione dei premi di risultato devono assicurare piena trasparenza<br />

dell'informazione sui parametri assunti, il rispetto dei tempi delle verifiche e la qualità dei processi<br />

di informazione e consultazione, anche ai fini del miglioramento organizzativo.<br />

e) I premi devono avere caratteristiche tali da consentire l'applicazione degli eventuali trattamenti<br />

contributivi e fiscali favorevoli che saranno ", previsti dalla normativa di legge gradualmente e<br />

compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica.<br />

f) Gli importi e i meccanismi utili alla determinazione quantitativa delle erogazioni connesse ai<br />

premi varia bili saranno definiti contrattualmente dalle parti a livello di amministrazione, in<br />

coerenza con gli elementi di conoscenza di cui al comma precedente assicurando piena trasparenza<br />

sui parametri assunti, il rispetto dei tempi delle verifiche e un’approfondita qualità dei processi di<br />

informazione e consultazione.<br />

4.4. Per favorire la diffusione e l'efficacia della contrattazione di amministrazione con contenuti<br />

economici nelle pubbliche amministrazioni di minori dimensioni, con le eventuali incentivazioni<br />

previste dalla legge, le parti stipulanti i singoli contratti collettivi nazionali di lavoro possono<br />

individuare le soluzioni più idonee, nonché concordare linee guida utili a definire modelli di premi<br />

variabili con le caratteristiche di cui al precedente punto 4.3., che potranno essere<br />

adottate e/o riadattate in funzione delle concrete esigenze delle amministrazioni interessate.<br />

Per valorizzare le esperienze realizzate e i risultati conseguiti, anche attraverso la contrattazione di<br />

comparto, in termini di miglioramento degli indicatori di performance delle amministrazioni,<br />

possono essere costituite in sede nazionale apposite commissioni paritetiche con il compito di<br />

monitorare e analizzare la contrattazione di secondo livello. I risultati così raccolti saranno<br />

trasmessi in forma aggregata al Comitato paritetico per ogni conseguente decisione circa il<br />

funzionamento del presente accordo e allo scopo di ampliare, modificare o innovare gli strumenti di<br />

applicazione della contrattazione di secondo livello.<br />

5) Disposizioni transitorie<br />

5.1. Il presente accordo decorre dalla data della sua sottoscrizione ed avrà vigore fino al 31.12.2013.<br />

a) Ai fini della presentazione delle richieste di rinnovo, i tempi stabiliti al punto 3 dovranno essere<br />

rispettati per i contratti in scadenza dal 1 gennaio 2010.<br />

b) Sei mesi prima della scadenza le parti, anche sulla base dei rapporti e di verifica eventualmente<br />

elaborati annualmente dal Comitato paritetico, procederanno ad una valutazione complessiva del<br />

funzionamento del sistema di relazioni sindacali e della contrattazione collettiva ai vari livelli nel<br />

periodo di sperimentazione, al fine di concordare le regole da valere per il successivo periodo<br />

apportando al presente accordo, ove necessario, correttivi, modifiche o integrazioni.<br />

c) Per i contratti scadenti in periodi precedenti devono essere rispettati i tempi previsti dal<br />

Protocollo del 23 luglio 1993, con le modalità in atto.<br />

6) Disposizioni finali<br />

Per un regolato sistema di relazioni sindacali le parti si impegnano a rispettare e a far rispettare -<br />

nell'esercizio delle potestà e delle funzioni proprie di ciascuno dei soggetti firmatari - tutte le regole<br />

che liberamente sono definite in materia di contrattazione collettiva.<br />

191


Accordo di Pomigliano (15 giugno 2010)<br />

192


Accordo di Mirafiori (23 dicembre 2010)<br />

193


Accordo interconfederale fra CONFINDUSTRIA e CGIL, CISL e<br />

UIL del<br />

28 giugno 2011<br />

Le parti<br />

premesso che<br />

è interesse comune definire pattiziamente le regole in materia di rappresentatività<br />

delle organizzazioni sindacali dei lavoratori;<br />

è obiettivo comune l’impegno per realizzare un sistema di relazioni industriali che<br />

crei condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo,<br />

l’occupazione e le retribuzioni;<br />

la contrattazione deve esaltare la centralità del valore del lavoro anche<br />

considerando che sempre più è la conoscenza, patrimonio del lavoratore, a favorire<br />

le diversità della qualità del prodotto e quindi la competitività dell’impresa;<br />

la contrattazione collettiva rappresenta un valore e deve raggiungere risultati<br />

funzionali all’attività delle imprese ed alla crescita di un’occupazione stabile e<br />

tutelata e deve essere orientata ad una politica di sviluppo adeguata alle differenti<br />

necessità produttive da conciliare con il rispetto dei diritti e delle esigenze delle<br />

persone;<br />

è essenziale un sistema di relazioni sindacali e contrattuali regolato e quindi in<br />

grado di dare certezze non solo riguardo ai soggetti, ai livelli, ai tempi e ai contenuti<br />

della contrattazione collettiva ma anche sull’affidabilità ed il rispetto delle regole<br />

stabilite;<br />

fermo restando il ruolo del contratto collettivo nazionale di lavoro, è comune<br />

l’obiettivo di favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione collettiva di<br />

secondo livello per cui vi è la necessità di promuoverne l’effettività e di garantire<br />

una maggiore certezza alle scelte operate d’intesa fra aziende e rappresentanze<br />

sindacali dei lavoratori,<br />

tutto ciò premesso le parti convengono che<br />

1. ai fini della certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali per la<br />

contrattazione collettiva nazionale di categoria, si assumono come base i dati associativi<br />

riferiti alle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori. Il numero delle<br />

deleghe viene certificato dall’INPS tramite un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali<br />

(Uniemens) che verrà predisposta a seguito di convenzione fra INPS e le parti stipulanti il<br />

presente accordo interconfederale. I dati così raccolti e certificati, trasmessi<br />

complessivamente al CNEL, saranno da ponderare con i consensi ottenuti nelle elezioni<br />

periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie da rinnovare ogni tre anni, e trasmessi<br />

dalle Confederazioni sindacali al CNEL. Per la legittimazione a negoziare è necessario<br />

che il dato di rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale<br />

superi il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo<br />

nazionale di lavoro;<br />

2. il contratto collettivo nazionale di lavoro ha la funzione di garantire la certezza dei<br />

trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati<br />

nel territorio nazionale;<br />

194


3. la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in<br />

parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge;<br />

4. i contratti collettivi aziendali per le parti economiche e normative sono efficaci per tutto il<br />

personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali firmatarie del presente<br />

accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda se approvati dalla maggioranza<br />

dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie elette secondo le regole<br />

interconfederali vigenti;<br />

5. in caso di presenza delle rappresentanze sindacali aziendali costituite ex art. 19 della<br />

legge n. 300/70, i suddetti contratti collettivi aziendali esplicano pari efficacia se approvati<br />

dalle rappresentanze sindacali aziendali costituite nell’ambito delle associazioni sindacali<br />

che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle<br />

deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno<br />

precedente a quello in cui avviene la stipulazione, rilevati e comunicati direttamente<br />

dall’azienda. Ai fini di garantire analoga funzionalità alle forme di rappresentanza dei<br />

lavoratori nei luoghi di lavoro, come previsto per le rappresentanze sindacali unitarie<br />

anche le rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 della legge 20 maggio<br />

1970, n. 300, quando presenti, durano in carica tre anni. Inoltre, i contratti collettivi<br />

aziendali approvati dalle rappresentanze sindacali aziendali con le modalità sopra indicate<br />

devono essere sottoposti al voto dei lavoratori promosso dalle rappresentanze sindacali<br />

aziendali a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni dalla conclusione del<br />

contratto, da almeno una organizzazione firmataria del presente accordo o almeno dal<br />

30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità della consultazione è necessaria la<br />

partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L’intesa è respinta con il voto<br />

espresso dalla maggioranza semplice dei votanti;<br />

6. i contratti collettivi aziendali, approvati alle condizioni di cui sopra, che definiscono<br />

clausole di tregua sindacale finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la<br />

contrattazione collettiva, hanno effetto vincolante esclusivamente per tutte le<br />

rappresentanze sindacali dei lavoratori ed associazioni sindacali firmatarie del presente<br />

accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda e non per i singoli lavoratori;<br />

7. i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale<br />

mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I<br />

contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e<br />

temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti<br />

collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti<br />

collettivi nazionali di lavoro. Ove non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la<br />

materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti<br />

collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa<br />

con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente accordo interconfederale,<br />

al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo<br />

sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative<br />

con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione<br />

lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definite<br />

esplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo;<br />

195


8. le parti con il presente accordo intendono dare ulteriore sostegno allo sviluppo della<br />

contrattazione collettiva aziendale per cui confermano la necessità che il Governo decida<br />

di incrementare, rendere strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure – che già<br />

hanno dimostrato reale efficacia – volte ad incentivare, in termini di riduzione di tasse e<br />

contributi, la contrattazione di secondo livello che collega aumenti di retribuzione al<br />

raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri<br />

elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati<br />

all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti in sede aziendale.<br />

martedì 28 giugno 2011<br />

CONFINDUSTRIA<br />

196<br />

CGIL<br />

CISL<br />

UIL


DECRETO-LEGGE 13 agosto 2011 n.138 (in Gazz. Uff., 13 agosto, n. 188). - Decreto<br />

convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011 n. 148. - Ulteriori misure urgenti per<br />

la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo (MANOVRA BIS) (1)<br />

(1) In riferimento al presente decreto vedi: Parere dell'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato<br />

n. AS864 del 26 agosto 2011.<br />

TITOLO III<br />

Titolo III<br />

MISURE A SOSTEGNO DELL'OCCUPAZIONE<br />

Art.8<br />

Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità<br />

Art. 8<br />

1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori<br />

comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze<br />

sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti,<br />

compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia<br />

nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio<br />

maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla<br />

qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del<br />

lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e<br />

occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività (1).<br />

2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti<br />

l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento (2):<br />

a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;<br />

b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;<br />

c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarieta'<br />

negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;<br />

d) alla disciplina dell'orario di lavoro;<br />

e) alle modalita' di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e<br />

continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle<br />

conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio , il<br />

licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice<br />

dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonche' fino ad un<br />

anno di eta' del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale<br />

e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di<br />

adozione o affidamento (3).<br />

2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonche' i vincoli derivanti dalle normative comunitarie<br />

e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in<br />

deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative<br />

regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro (4).<br />

3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima<br />

dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il<br />

personale delle unita' produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato<br />

con votazione a maggioranza dei lavoratori.<br />

3-bis. All'articolo 36, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, sono apportate le seguenti<br />

modifiche:<br />

a) all'alinea, le parole: "e la normativa regolamentare, compatibili con la legislazione comunitaria, ed<br />

applicate" sono sostituite dalle seguenti: "la normativa regolamentare ed i contratti collettivi nazionali di<br />

settore, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicati";<br />

b) dopo la lettera b), e' inserita la seguente:<br />

"b-bis) condizioni di lavoro del personale" (5).<br />

(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />

conversione.<br />

(2) Alinea modificato dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />

conversione.<br />

(3) Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />

197


conversione.<br />

(4) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />

conversione.<br />

(5) Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di<br />

conversione.<br />

198


Impegno interconfederale 21 settembre 2011<br />

199

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