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NUMERO QUINDICI - SETTEMBRE 2010<br />
PERDERE E RITROVARE LA BUSSOLA
NUMERO QUINDICI - SETTEMBRE 2010<br />
PERDERE E RITROVARE LA BUSSOLA
Massimo Mari<br />
STA’ LONTANO DA ME!<br />
La paura è una emozione che appartiene alla natura<br />
umana; probabilmente senza di essa la nostra<br />
specie si sarebbe estinta. Essa appartiene alla storia,<br />
ma spesso nel suo vissuto presente condiziona<br />
la visione del futuro. Accanto al desiderio colpisce<br />
la soggettiv<strong>it</strong>à dei vissuti esperienziali: il rimuovere<br />
questi due elementi (paura e desiderio) e la loro<br />
relazione fa perdere la percezione dell’autentic<strong>it</strong>à<br />
di se stessi. Non c’è paura senza desiderio né desiderio<br />
senza paura; entrambi, pertanto, cost<strong>it</strong>uiscono,<br />
come ci insegna il nostro amico e maestro<br />
Umberto Curi, due facce della stessa medaglia<br />
(un’endiade). Il desiderio è l’aspetto consapevole<br />
della pulsione, così come la paura lo è della resistenza;<br />
sappiamo che non vi è pulsione nell’ES che<br />
non abbia resistenze nel Super-Io (non vi è sogno<br />
senza censura).<br />
Come tutte le emozioni ed i sentimenti, la paura<br />
ha una radice complessa e solo per una minima<br />
parte consapevole al soggetto che la prova; l’analisi<br />
ben condotta di questa radice permette alla<br />
persona di poterla comprendere e modificare nella<br />
direzione e nell’intens<strong>it</strong>à, non permette in nessun<br />
modo una sua eliminazione, salvo la perd<strong>it</strong>a<br />
appunto della soggettiv<strong>it</strong>à della persona stessa.<br />
Alcune volte ci accadono percorsi esistenziali rigidi<br />
che, per vari motivi, non riescono ad accogliere<br />
con la dovuta flessibil<strong>it</strong>à la paura come altre emozioni<br />
e sentimenti. Li spostiamo, li rimuoviamo, li<br />
trasformiamo nel loro contrario, li pervertiamo,<br />
ecc. Ovviamente, quando ciò avviene, c’è sempre<br />
un corollario clinico in noi stessi, nella nostra<br />
famiglia, nella ist<strong>it</strong>uzione dove lavoriamo, nella<br />
comun<strong>it</strong>à a cui apparteniamo. In altre parole cercheremo<br />
stili di v<strong>it</strong>a, relazioni amorose, amicali,<br />
gen<strong>it</strong>oriali che mantengano rigidamente il difficile<br />
equilibrio imposto dalla nostra confl<strong>it</strong>tual<strong>it</strong>à latente;<br />
analogamente cercheremo il lavoro, lo studio,<br />
lo stile di relazioni, più consoni a tale equilibrio;<br />
inconsciamente utilizziamo la nostra famiglia e lo<br />
stile di gen<strong>it</strong>orial<strong>it</strong>à, fratellanza, filiazione, coniugal<strong>it</strong>à,<br />
parentela più funzionale a questo fragile e<br />
rigido equilibrio interno; ugualmente la nostra appartenenza<br />
alla comun<strong>it</strong>à selezionerà la mil<strong>it</strong>anza<br />
pol<strong>it</strong>ica che meglio rispecchi una società che non<br />
turbi la nostra tranquill<strong>it</strong>à.<br />
D’altro canto è esperienza di tutti i giorni vedere<br />
come proprio su questa paura si costruiscano delle<br />
strategie di marketing (ad es. la paura del contatto<br />
e la virtualizzazione delle relazioni, dice il nostro<br />
amico Bifo) oppure che si cavalchino, promuovendole,<br />
paure ataviche per restaurare misure autor<strong>it</strong>arie,<br />
sadicamente total<strong>it</strong>arie (razzismo, riapertura<br />
di strutture manicomiali, depauperizzazione culturale<br />
e sociale ecc.).<br />
Accade di frequente che la paura di stare vicini ad<br />
una persona per come è, e non per come vorremmo<br />
che fosse, scateni in noi una reazione di fuga:<br />
perché essere vicini all’altro per come è presuppone<br />
che noi possiamo essere vicini a noi stessi per<br />
come siamo (con tutte le nostre paure e confl<strong>it</strong>ti<br />
più o meno rimossi). Quando questo si verifica in<br />
persone che hanno un ruolo gen<strong>it</strong>oriale, educativo,<br />
terapeutico, tutoriale o più in generale da “care<br />
giver”, è fatale la fantasia di mandare il nostro assist<strong>it</strong>o<br />
o congiunto in una comun<strong>it</strong>à-collegio-affido<br />
ecc... che abbia il massimo della qual<strong>it</strong>à assistenziale,<br />
ma lontano da noi: “per il suo bene!”•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 3
Paolo Ripanti<br />
4<br />
LA MORTE PER NIENTE<br />
La morte di una persona, di un giovane uomo,<br />
che avviene non per causa diretta di una malattia<br />
mortale, quale può essere cancro o un accidente<br />
cardiovascolare, colpisce e coglie impreparati.<br />
Come è stato possibile? E’ stato fatto di tutto per<br />
scongiurare un epilogo così tragico e improvviso?<br />
Si poteva tentare qualcosa? Si poteva intervenire<br />
diversamente? Ci sono state delle omissioni? E’<br />
MIA LA COLPA O ERA DESTINO?<br />
Queste ed altre domande si affacciano nella mente<br />
delle persone che sono venute a contatto con<br />
una vicenda simile, in quanto parenti, amici od<br />
operatori. Sono domande che affiorano in modo<br />
naturale e sincero e che difficilmente possono trovare<br />
risposta se non, alla fine, nella consapevolezza<br />
che si muore anche per una malattia psichiatrica,<br />
per un disagio cioè che non è obiettivabile, che<br />
sfugge ad indagini diagnostiche strumentali, che<br />
non sembra avere motivazioni concrete e che per<br />
questo risulta difficilmente comprensibile, perché<br />
di fatto non si trova NIENTE.<br />
‘Malati di niente’, espressione paradossale, provocatoria,<br />
ma carica di un peso enorme, nonostante<br />
il suo vuoto di significato a cui finge di alludere.<br />
Un peso tanto più difficile da sopportare, perché<br />
è un peso ‘di niente’, di un qualcosa che non può<br />
essere facilmente raccontabile, quasi indicibile.<br />
Un peso poi che grava sui familiari e gli amici, ma<br />
anche sugli operatori e su tutti coloro che si impegnano<br />
in questo campo.<br />
Purtroppo chi ha esperienza di psichiatria sa che i<br />
pazienti possono morire; chi inizia ad occuparsi di<br />
psichiatria forse lo fa anche per il folle tentativo di<br />
essere al di là della morte, di sfuggirla o di negarla.<br />
Chi vive nel mondo della psicosi, in effetti, sembra<br />
poter fermare il tempo, susc<strong>it</strong>ando un fascino<br />
arcano che inev<strong>it</strong>abilmente emana dalla sua persona,<br />
che sembra al di là di tutto, finché qualcosa<br />
rompe l’equilibrio e introduce il cambiamento.<br />
Solo che il cambiamento non sempre è compatibile<br />
con la v<strong>it</strong>a. Dopo qualche anno di esperienza<br />
ci si imbatte con i tentativi di suicidio, con i suicidi<br />
riusc<strong>it</strong>i, con i comportamenti pericolosi, re<strong>it</strong>erati<br />
ed autodistruttivi. Allora ci si accorge che si sta<br />
seguendo qualcuno che cammina sul filo di un rasoio<br />
oppure che si è entrati in un terr<strong>it</strong>orio di temporanea<br />
ed apparente immobil<strong>it</strong>à, dove il cambiamento,<br />
quando riesce, mette sì in movimento<br />
una v<strong>it</strong>a bloccata con tutti i suoi sentimenti, ma<br />
ciò che viene liberato non è solo energia pos<strong>it</strong>iva,<br />
perché a volte si sprigionano anche dolori intollerabili.<br />
Quando si segue qualcuno su questi percorsi,<br />
l’evento tragico va messo in preventivo, mentre<br />
i nostri sentimenti, primo la paura, vanno allertati:<br />
così, forse, si riesce a tenere in v<strong>it</strong>a qualcuno dei<br />
nostri pazienti per un giorno o per un anno o per<br />
chissà quanto, anche se nessuno se ne accorgerà<br />
e potrà ringraziarci per questo.<br />
Quando, al contrario, qualcuno muore, allora sì<br />
che ce ne accorgeremo e se ne accorgeranno. Le<br />
domande formulate all’inizio diventeranno accuse<br />
da parte di chi non accetta la possibil<strong>it</strong>à della<br />
morte anz<strong>it</strong>empo, di una morte ‘per niente’, perché<br />
non si è compreso che quel niente è un dolore<br />
talmente insopportabile a cui si vuole sfuggire anche<br />
a costo della propria v<strong>it</strong>a. Quando si cerca di<br />
curare una persona, questa e la sua famiglia debbono<br />
mettersi in gioco con gli operatori, essendo<br />
consapevoli che la v<strong>it</strong>a vissuta comporta dei rischi,<br />
che si può ‘morire in battaglia’, basta che valga la<br />
pena di combatterla questa battaglia per tentare<br />
di vincerla. Non esistono alternative se non quella<br />
di Paride e Afrod<strong>it</strong>e: la seconda rendeva invisibile<br />
ed impalpabile il primo, che non poteva essere né<br />
ucciso né fer<strong>it</strong>o, ma che rinunciava a priori a combattere<br />
realmente, a mettersi in gioco e dunque a<br />
vivere compiutamente. Confrontarsi con le possibil<strong>it</strong>à<br />
di v<strong>it</strong>a e di morte dei nostri pazienti significa<br />
confrontarsi con le nostre possibil<strong>it</strong>à e dunque<br />
sopportare l’incertezza e la paura.<br />
Come ci ha mostrato Stefano Benni, tutto ciò rimanda<br />
ad antiche paure infantili rappresentate<br />
dall’immagine della ‘porta chiusa’. Cosa o chi c’è<br />
dietro di essa? Qualsiasi cosa ci sia, sembra minacciarci<br />
perché ignota. Se la porta si apre, o meglio,<br />
se la apriamo noi, tratteniamo il respiro, rabbrividiamo<br />
sentendola cigolare e poi, quando scopriamo<br />
che dietro di essa non è nascosto nulla di<br />
pericoloso o che addir<strong>it</strong>tura non c’è niente, allora<br />
la paura si dilegua. Ma per tollerare quella paura,<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
che rimanda alla capac<strong>it</strong>à di simbolizzazione, di<br />
immaginazione, anche di cose terribili, abbiamo<br />
dovuto eserc<strong>it</strong>are il nostro coraggio e la nostra<br />
capac<strong>it</strong>à di credere nel prossimo. Certo aprire la<br />
porta può significare invadere un altro mondo e<br />
forse chi lo ab<strong>it</strong>a ha altrettanta paura di noi e se ne<br />
vuole stare solo. Per questo dovremo attendere il<br />
momento giusto, magari quando vediamo filtrare<br />
una luce sotto il battente. Sicuramente dovremo<br />
bussare più di una volta e non sempre avremo<br />
risposta, non sempre ci verrà detto “avanti!”. Però<br />
alla fine ci toccherà entrare e ciò che vedremo e<br />
sentiremo potrebbe essere bello o brutto, atteso o<br />
sconvolgente e comunque sia, dopo che avremo<br />
parlato, usciremo di nuovo richiudendo la porta.<br />
Chi rimane dentro sa che noi esistiamo, sa che<br />
torneremo a trovarlo, sa che può uscire e venirci<br />
lui a trovare. La porta però deve essere richiusa e<br />
ripristinare un’area di oscur<strong>it</strong>à e di ignoto che ci<br />
lascia inquieti, perché colui che abbiamo vis<strong>it</strong>ato è<br />
di nuovo solo e può decidere qualsiasi cosa, è fuori<br />
del nostro potere, anzi noi siamo in suo potere.<br />
Allora la tentazione è quella di sost<strong>it</strong>uire le oscure<br />
porte di legno con porte trasparenti, un infallibile<br />
sistema di videosorveglianza che ci ev<strong>it</strong>i l’esercizio<br />
del coraggio e ci permetta di ev<strong>it</strong>are la paura. Possiamo<br />
scrutare dentro ogni stanza, illuminare tutto<br />
di una luce penetrante che non risparmia nessun<br />
dettaglio, in modo da avere sotto controllo la v<strong>it</strong>a,<br />
che non sarà più tale, perché, senza accorgercene,<br />
l’avremo distesa su un tavolo anatomico.•<br />
IN MEMORIA DI CLAUDIO<br />
Claudio, un nostro compagno di viaggio, “s’è perso” come l’ “Andrea” di De André, ucciso non dalla “m<strong>it</strong>raglia”<br />
ma dalle asprezze della v<strong>it</strong>a, trad<strong>it</strong>o dalla sua attrazione verso ciò che è oscuro e pericoloso. Però<br />
non si può dire o sapere, per questo, che non volesse più vivere, anche se forse non conosceremo mai la<br />
ver<strong>it</strong>à fino in fondo. Quello che sappiamo per certo è che faceva parte della nostra v<strong>it</strong>a e che per questo<br />
sarà sempre presente nella nostra anima e nei nostri ricordi, come lo sarà nei ricordi di quelli che gli volevano<br />
bene. Questo è ciò che pensiamo, anche se, ogni volta che parliamo di lui e ci guardiamo intorno,<br />
sentiamo il vuoto che ha lasciato. Ci manca il timbro profondo della sua voce, sempre pronta a incoraggiare<br />
i compagni, a spronarli, a trovare in loro scrigni nascosti a custodia di sentimenti preziosi. Questo<br />
era Claudio: un uomo grande e fragile che credeva negli altri, poco in se stesso. Un grande e luminoso<br />
girasole, reciso dal destino in un giorno di febbraio, quando l’estate era ancora troppo lontana.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 5
FREDDO POLARE<br />
Diana<br />
Il mio freddo polare è iniziato con la mia nasc<strong>it</strong>a. Sono nata per sbaglio<br />
o forse no, so soltanto che il batt<strong>it</strong>o del mio cuore non era stato<br />
“programmato” dai miei gen<strong>it</strong>ori.<br />
In questi ultimi giorni ho cominciato a risentire quel freddo pungente,<br />
che per anni mi ha portata a cercare “coperte”, cuori da amare e<br />
caldi abbracci, come droghe, senza le quali mi sentivo sprofondare<br />
in una incontrollabile “astinenza”. Non ho mai toccato né una foglia<br />
di marijuana né visto il bianco puro della cocaina né calata nello<br />
stomaco una pillola del finto paradiso. Sono cresciuta così, con la<br />
mia droga d’amore.<br />
Circa una settimana fa mia madre mi ha telefonato per farmi una<br />
vis<strong>it</strong>a qui alla struttura SRR. Sono circa dieci anni che non la frequento,<br />
dopo che insieme a mio padre ha superato il lim<strong>it</strong>e accettabile<br />
perché io potessi restare in quella mia casa di famiglia nella quale<br />
ho sofferto per tanti anni. Me ne sono andata di casa nel settembre<br />
del 2000 e da quel giorno non sono più tornata. Mia madre è arrivata<br />
alle 6 del pomeriggio insieme alla sorella. Era strana, triste, anche<br />
se apparentemente sorridente. Mi ha chiesto se potevamo passare<br />
la Pasqua insieme, io e lei… Mio padre si è rifatto una v<strong>it</strong>a e ab<strong>it</strong>a<br />
con la sua compagna in un’altra c<strong>it</strong>tà già da cinque anni.<br />
Il problema è che ancora una volta ho risent<strong>it</strong>o tutto il freddo del<br />
mondo. E’ come se mia madre avesse portato insieme a lei la sua<br />
scia di polvere di gelo e me la avesse avvolta attorno. Questo “regalo”,<br />
che lei mi fa ogni volta che la rivedo, mi rimane sempre dentro<br />
le ossa per giorni prolungati, fino a che cresce la mia astinenza ed è<br />
così che cado nel mio stato di depressione. Mi sento triste, sfior<strong>it</strong>a,<br />
senza più un briciolo di stima per me stessa e le mie gambe, che in<br />
fondo sono forti e dr<strong>it</strong>te e sanno anche correre. Improvvisamente<br />
diventano fragili come se fossero fatte di un vetro sottilissimo. E me<br />
le sento scheggiarsi in mille scaglie che mi fanno sanguinare la pelle.<br />
E’ un freddo polare quello che ho sent<strong>it</strong>o lunedì scorso, come se<br />
attraversassi delle distese di ghiaccio… Vedo un iceberg, ma solo<br />
la sua piccola punta che emerge dal mare del nord. E’ la parte buona<br />
che conosco di mia madre, tutto il resto di lei è sommerso. Mia<br />
madre non si fa conoscere. Non conosce forse la sua sofferenza personale<br />
ed è inev<strong>it</strong>abile che chieda ogni volta a me di sciogliere tutta<br />
quella massa imponente che lei nasconde sotto le sue acque. In<br />
fondo, chi ha avuto accanto nella sua v<strong>it</strong>a di bambina sola e poco<br />
amata, se non me?... Ma lei non sa che io sono solo sua figlia, una<br />
figlia profondamente fer<strong>it</strong>a.<br />
Con profondo dolore, cara Mamma, lascio la tua parte fer<strong>it</strong>a e ibernata<br />
sotto quel mare del nord e, mentre mi allontano con le lacrime<br />
6<br />
Notizie<br />
Flash<br />
“Perdere e r<strong>it</strong>rovare la bussola a<br />
Capo Horn” è il t<strong>it</strong>olo dell’intervista<br />
rilasciata dalla redazione di Capo<br />
Horn a Gloria Fiorentini, giornalista<br />
di “Jesi e la sua valle”, e pubblicata sul<br />
n. 6 del 27 marzo 2010 del quindicinale<br />
locale.<br />
Nell’amb<strong>it</strong>o del Festival di teatro<br />
educazione scena e pedagogia in<br />
Italia (TESPI) 2010, II edizione, si è<br />
svolto a Serra San Quirico lo spettacolo<br />
teatrale “La ver<strong>it</strong>à… facile a<br />
dirsi!”, rappresentato da frequentatori<br />
e educatori del Centro Sollievo<br />
di Jesi con la regia di Daniele Boria<br />
dell’Ass. Teatro Giovani al termine di<br />
un laboratorio teatrale di un anno.<br />
L’arrivo a Jesi di Ugo Lopez, di Radio<br />
La Colifata di Buenos Aires (vedi intervista<br />
qui nella sezione Orientarsi),<br />
ha dato l’occasione ad alcuni operatori<br />
della comun<strong>it</strong>à sociale Soteria di<br />
vis<strong>it</strong>are a Torino, il 18/01/10, il Caffé<br />
Basaglia, locale dove lavorano utenti<br />
del DSM. Qui è stato proiettato il<br />
materiale video “Colifato”, in cui si<br />
mostra la v<strong>it</strong>a degli osp<strong>it</strong>i dell’ospedale<br />
neuropsichiatrico “Borda” della<br />
cap<strong>it</strong>ale argentina e dove si racconta<br />
di come la radio La Colifata, che trasmette<br />
dal suo interno, abbia svolto<br />
un ruolo importante per cercare di<br />
superare l’isolamento tipico di queste<br />
ist<strong>it</strong>uzioni favorendone alla fine<br />
una sua umanizzazione. E’ stato mostrato,<br />
inoltre, il video musicale di<br />
Manu Chao, dove il musicista franco-spagnolo<br />
canta e suona assieme<br />
agli osp<strong>it</strong>i dell’ospedale. Successivamente<br />
si è aperta la discussione<br />
su come difendere la “legge 180” e<br />
allargarne la sua portata tram<strong>it</strong>e una<br />
rete sociale e internazionale.<br />
Il 24 luglio 2010 è convolata a giuste<br />
e splendide nozze la nostra luminosa<br />
operatrice Marzia Brugnoni. La<br />
toccante cerimonia si è svolta presso<br />
la chiesa di Tabano, dove Marzia<br />
e il fortunato sposo Diego, si sono<br />
promessi eterno amore.<br />
Anche l’estate 2010 ha visto i soggiorni<br />
in roulotte di <strong>Asiamente</strong> sul<br />
Monte San Vicino, per stare fuori...<br />
dalla canicola jesina e dall’afa della<br />
Vallesina.•<br />
che non trattengo ormai da una v<strong>it</strong>a, ti guardo là imponente, in fon- Flash<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
do bella, forte e fiera per quello che tu hai voluto o inconsapevolmente hai scelto di essere… E cerco di<br />
accettare che mi sarai sempre tanto lontana. Io ora torno all’SRR, mi aspettano i ragazzi della struttura,<br />
gli infermieri, i dottori Antonella e Paolo e gli educatori. La mia v<strong>it</strong>a non può più essere accanto a te,<br />
Mamma, anche se so che tu vorresti che io vivessi al freddo senza sentirlo, accanto alla tua punta emergente<br />
dal mare, ma io non posso… Ti seguirò da lontano. Io torno al sole o comunque almeno ci sto<br />
provando, perché amo il calore e la v<strong>it</strong>a. Ciao mamma.•<br />
CONTRO INTERNET<br />
Andrea Gasparrini<br />
Sono per<strong>it</strong>o informatico dal 2005, ma da sempre sono stato un grande appassionato di informatica ed<br />
un grande navigatore del web.<br />
Dai tempi dei miei primi approcci con la Rete con linea e modem analogico sono passati 15 anni. Da<br />
allora il sistema si è notevolmente evoluto ed ha ampliato talmente i suoi servizi da indurre, in molti di<br />
noi che lo utilizziamo, una vera e propria dipendenza. Direi che questo processo ha avuto un balzo in<br />
avanti negli anni 2000 con la comparsa sempre più pervasiva dei ‘social network’. Chi, oggi, non ha mai<br />
sent<strong>it</strong>o parlare di Facebook’? I social network sono diventati un fenomeno dei nostri tempi, l’oggetto di<br />
discussione e di studio dei salotti tv o radiofonici, a volte uno strumento di impegno pol<strong>it</strong>ico, un modo<br />
per vincere la noia, contattare persone e conoscerle. Probabilmente la possibil<strong>it</strong>à di poter comunicare<br />
via mon<strong>it</strong>or con migliaia di ‘naviganti’, uomini e donne, ha promesso, semplicemente accendendo un pc,<br />
di rompere la propria sol<strong>it</strong>udine, di vivere avventure, di trovare l’amore, ecc.<br />
Ecco, io ho cap<strong>it</strong>o che tutto ciò è, però, soltanto una pura illusione, frutto di un mondo virtuale che non<br />
esiste nella realtà. Social network come “Badoo” oppure “My space” oppure “Tw<strong>it</strong>ter” o “Meetic” alla fine<br />
non sono altro che delle specie di agenzie matrimoniali, dove uomini e donne accedono per cercare di<br />
trovare qualcuno, spesso anche solo per scopi sessuali. Ma, lo voglio ripetere, è tutta un’illusione, anzi<br />
mi sono convinto che, almeno questi tipi di social network, siano gest<strong>it</strong>i da impostori e truffatori. Per<br />
dimostrarvelo vi racconto la mia ultima esperienza telematica.<br />
Avevo ‘conosciuto’, sia su Meetic che su Badoo, due ragazze, che asserivano di ab<strong>it</strong>are nella provincia di<br />
Ancona. Piano piano mi sono reso conto che, invece, esse vivevano in Russia. Cominciarono a mandarmi<br />
le loro foto: erano bellissime! Come bellissime erano le loro numerose amiche! Tutte erano stanche del<br />
loro paese che non le riservava futuro e dove erano oggetto delle attenzioni di uomini rozzi e maneschi,<br />
quasi sempre ubriachi. Come vorrebbero venire a vivere in Italia, a casa mia, con me che, al contrario<br />
dei loro connazionali, sono un bel ragazzo, sono gentile, posso osp<strong>it</strong>arle perché ho una grande casa! E<br />
allora tu sei gasato, perdi la capac<strong>it</strong>à di cr<strong>it</strong>ica e ti dai da fare per farle arrivare: ti senti un cavaliere ed<br />
il loro salvatore. Poi, quando arrivano i giorni della partenza, ti dicono che non hanno denaro per raggiungerti,<br />
che il nostro sogno è destinato a infrangersi... a meno che tu non getti il cuore oltre l’ostacolo<br />
e soprattutto getti i denari necessari per il viaggio. Io non l’ho fatto, ho compreso l’imbroglio, ma altri più<br />
sprovveduti si sono fatti truffare e non hanno visto più i loro soldi né, tantomeno, le bellissime ragazze.<br />
Avete cap<strong>it</strong>o che imbrogli fanno su Internet? Quanto era più sano e pul<strong>it</strong>o il vecchio Videotel, servizio<br />
più prim<strong>it</strong>ivo che mai, però, mai mi ha trad<strong>it</strong>o! E non basta... potrei parlarvi degli hacker, criminali informatici<br />
che vi spiano on line, che guardano nella vostra posta elettronica, che possono rubare i vostri<br />
soldi e... ma questa è un’altra storia e magari un’altra lettera.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 7
8<br />
L’ARGENTINA È COME<br />
L’ITALIA, MA PIÙ GRANDE<br />
Intervista a Ugo Lopez, già grafico in una tipografia di Buenos Aires, dove i companeros morivano di saturnismo,<br />
e poi sindacalista, dove altri companeros si arricchivano e non pensavano più alla tutela dei lavoratori.<br />
E poi la corruzione di una società sempre più egoista e disperata e poi la ‘fuga’ dietro le mura quasi tombali<br />
dell’ospedale psichiatrico Borda, finché, grazie anche a Radio La Colifata, ha cominciato a lanciare segnali di<br />
speranza, che ha portato fino a noi.<br />
A cura del Gruppo Scr<strong>it</strong>tura<br />
Foto di Laura Zappelli<br />
INTERVISTA A UGO LOPEZ DI RADIO LA COLIFATA<br />
Dici che L’Argentina è come l’Italia. Perché?<br />
Perché la stragrande maggioranza dei discendenti degli immigrati è di origine <strong>it</strong>aliana con tutti i difetti e<br />
le qual<strong>it</strong>à dei loro avi. Il dialetto porteno, chiamato “lunfardo”, è dunque pieno di parole <strong>it</strong>aliane. In quegli<br />
anni, 1900, gli immigrati vennero distribu<strong>it</strong>i in varie regioni perché non si concentrassero troppo, ma<br />
ciononostante ci sono delle zone che brulicano di argentini di origine <strong>it</strong>aliana, come ad esempio a Mar<br />
del Plata.<br />
Tu eri venuto nel nostro paese già cinque anni fa. Hai riscontrato differenze rispetto al tuo primo<br />
viaggio?<br />
Del mio primo viaggio in Italia ho ricordi nebulosi, dato che non stavo molto bene a livello mentale ed<br />
ero in trattamento psicofarmacologico ed in più il soggiorno era durato solo cinque giorni. Ricordo che<br />
dovevamo vis<strong>it</strong>are Roma. Da noi si dice che chi non conosce Roma, non conosce l’Italia. Feci un reportage<br />
sull’anima di Nerone, dove ponevo all’imperatore la domanda impossibile ed inev<strong>it</strong>abile: “Perché<br />
hai bruciato Roma?” e mi davo risposte immaginarie del tipo: “Perché era brutta e la voleva rifare!” oppure:<br />
“Perché gli ha preso la colifata!”. Naturalmente, la risposta non si saprà mai. Adesso, in questo mio<br />
secondo viaggio, riesco a capire meglio in cosa consiste il supporto che date ai malati mentali e ciò mi<br />
interessa particolarmente, perché r<strong>it</strong>engo che molte vostre esperienze possano essere riproposte in Argentina.<br />
Com’è la condizione dei malati nel tuo paese?<br />
Da noi, in Argentina, i malati stanno peggio, perché ancora c’è il manicomio, soprattutto i manicomi<br />
femminili sono particolarmente trascurati. La gente è internata, abbandonata a se stessa sia dallo Stato<br />
sia dalla famiglia. Non esiste un reale tentativo di recupero. Tutto ciò comunica un grande senso di tristezza,<br />
anche perché, una volta entrate, le persone diventano effettivamente irrecuperabili. Il manicomio<br />
è come un “pueblo”.<br />
Cosa fanno gli internati dentro il manicomio durante la giornata?<br />
Vengono offerte loro delle attiv<strong>it</strong>à, ma queste non sono inser<strong>it</strong>e in una strategia di recupero o di reinserimento<br />
sociale o lavorativo. Non c’è alcun recupero e tutto si basa sulla psicofarmacologia, essendo gli<br />
psichiatri preparati solo ad un approccio biologico della malattia mentale. E’ vero che esistono anche<br />
degli psicologi dentro gli ospedali psichiatrici, ma sono in numero assolutamente insufficiente.<br />
Qual è la modal<strong>it</strong>à più comune di ricovero?<br />
Il ricovero avviene prevalentemente su base volontaria oppure su iniziativa della famiglia. Il problema<br />
è che, anche se spesso la crisi non è particolarmente grave, essa trova solo un’unica risposta consistente,<br />
appunto, nel ricovero. A forza di affrontare i problemi psichici in questo modo, alla fine ci si ab<strong>it</strong>ua<br />
alle mura dell’ospedale, alla loro protezione. Quando sono entrato nel manicomio di Buenos Aires, an-<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
INTERVISTA A UGO LOPEZ DI RADIO LA COLIFATA<br />
ch’io ho sub<strong>it</strong>o questo processo<br />
di adattamento e, ben presto,<br />
ho sviluppato la paura di uscire<br />
e di affrontare la società. Una<br />
volta qualcuno nel Borda aveva<br />
messo una freccia puntata verso<br />
la c<strong>it</strong>tà, che informava che là, in<br />
quella direzione, era il (vero) manicomio!<br />
I ricoverati possono avere permessi<br />
d’usc<strong>it</strong>a dall’ospedale?<br />
Sì, ci sono permessi d’usc<strong>it</strong>a nei<br />
padiglioni, dove la porta è semiaperta.<br />
Esistono però anche<br />
reparti chiusi. In realtà ci sono<br />
tentativi di rinnovamento da<br />
parte del manicomio, ma, secondo<br />
me, sono tentativi di facciata,<br />
che non possono andare in Ugo in vis<strong>it</strong>a agli studenti di una classe dell’Ist<strong>it</strong>uto d’Arte<br />
profond<strong>it</strong>à. Esistono delle leggi,<br />
alcune che vanno nella giusta direzione, come la 448, ispirata alla legge Basaglia, a cui però ancora non<br />
si dà reale attuazione. Come in Italia la s<strong>it</strong>uazione non è uguale dappertutto, per cui noi vediamo che<br />
il distretto di Buenos Aires (la cap<strong>it</strong>ale) è in r<strong>it</strong>ardo rispetto alle altre tre grandi province del paese: San<br />
Louis, Rio Negro e la Pampa.<br />
Come mai non si riesce a far passare una pol<strong>it</strong>ica omogenea della psichiatria in tutti i distretti del<br />
Paese?<br />
Secondo me ci sono delle resistenze di una parte della psichiatria, quella maggiormente orientata in<br />
senso biologico, che si è alleata con le lobby farmaceutiche per frenare le riforme di orientamento basagliano.<br />
Tra l’altro, chi contrasta la piena attuazione della riforma della tutela della salute mentale trova un<br />
terreno favorevole, perché il cambiamento rimanda al nuovo, di cui si temono sviluppi imprevisti e non<br />
ben conosciuti. Dunque lo status quo tende a perpetuarsi, garantendo il privilegio di pochi a scap<strong>it</strong>o<br />
dei più: tutto ciò, naturalmente, crea favor<strong>it</strong>ismi ed alimenta la corruzione e lo spreco. Da noi esistono<br />
fasce di popolazione, soprattutto bambini, che sono letteralmente denutr<strong>it</strong>i. Sto parlando di milioni di<br />
persone! Alcuni sostengono che una strada percorribile è quella di procedere con le privatizzazioni,<br />
anche se, come ho appena detto, la corruzione e l’ingiustizia sociale rischiano di essere favor<strong>it</strong>e da un<br />
sistema simile. Altri combattono queste idee e queste prassi: queste persone rappresentano posizioni<br />
pol<strong>it</strong>iche per cui, ad esempio, la medicina non può essere privatizzata, essendo un bene pubblico, è<br />
come l’acqua!<br />
Che cosa pensi sia utile portare in Argentina dell’esperienza che qui da noi hai fatto della tutela<br />
della salute mentale?<br />
Il trattamento umanistico. Là i medici sono costretti a lavorare in più strutture, altrimenti non guadagnano<br />
a sufficienza. Lavorano contemporaneamente in ospedali pubblici, cliniche del sindacato, cliniche private,<br />
lavorano nel campo dell’assistenza agli anziani, hanno ambulatori privati... Vedo che qui in Italia gli<br />
operatori “stanno” con i pazienti: questa almeno è stata la mia esperienza a Soteria e al Servizio Sollievo/<br />
Centro Diurno. Ci vuole pazienza e disponibil<strong>it</strong>à. E ce ne vuole tanta! Il malato psichico è difficile da supportare<br />
e gli operatori devono essere molto preparati. Per fare questo occorrono, pertanto, molte risorse<br />
e dunque anche molti investimenti economici. Purtroppo, e per me è diventato un fatto esistenziale, il<br />
denaro tende a corrompere tutto e tutti. Per questo me ne sono andato dal sindacato: se fossi rimasto<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 9
10<br />
INTERVISTA A UGO LOPEZ DI RADIO LA COLIFATA<br />
Ugo Lopez e lo psicologo Alfredo Olivero, accanto alla traduttrice e all’educatrice<br />
Susana, incontrano gli studenti di alcune scuole jesine nella sala<br />
consiliare del Comune di Jesi.<br />
sarei ricco come i miei compagni!<br />
C’è un sistema che alimenta<br />
la corruzione...<br />
... E come si alimenta la corruzione?<br />
Più c’è sottosviluppo, più c’è<br />
ignoranza, meno c’è cultura e<br />
più c’è corruzione! L’Argentina<br />
è un esempio di come un sistema<br />
socio-pol<strong>it</strong>ico, impregnato di<br />
malcostume e di individualismo,<br />
possa devastare una nazione.<br />
Perché anche voi qui in Italia volete<br />
percorrere questa strada?<br />
Già, perché?...<br />
Io, nonostante tutto, sono ottimista.<br />
Credo che il progresso<br />
tecnologico ci possa dare forza<br />
per essere più liberi. Nonostante<br />
la mia s<strong>it</strong>uazione economica<br />
non sia florida, ho attraversato<br />
l’oceano, ho lasciato l’Argentina<br />
e sono qui da voi in Italia. Ogni tanto mi pizzico per essere sicuro di non stare sognando!<br />
... Dunque non bisogna disperare?<br />
Infatti. Noi Colifati, nel 2007, ci siamo incontrati a Buenos Aires in un grande abbraccio per lavorare per la<br />
pace. Rappresentavamo le radio libere gest<strong>it</strong>e da malati psichici di tante nazioni: Argentina, Italia, Brasile,<br />
Cile, Messico e Uruguay. Abbiamo parlato di pace sociale e pace mentale. E noi siamo Colifati!... Perché i<br />
governi, che sono cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i da persone equilibrate, non riescono a fare altrettanto?<br />
Adios, Ugo…<br />
Arrivederci, vi aspetto a Buenos Aires!•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
MA LA NUVOLA DI FANTOZZI<br />
Francesca Ventura<br />
ESISTE VERAMENTE?<br />
Quello delle previsioni meteorologiche è un tema<br />
caro a Capo Horn, che deve pur fornire qualche<br />
indicazione ai suoi intrepidi naviganti che si<br />
avventurano nelle sue infide e tormentate acque.<br />
Finora si è serv<strong>it</strong>o della consulenza di chi fa uso<br />
di strumenti in gran parte empirici, ma questa<br />
volta può disporre addir<strong>it</strong>tura del contributo<br />
veramente scientifico di un’amica, docente di<br />
agrometeorologia all’Univers<strong>it</strong>à di Bologna. Non<br />
se l’abbia a male il nostro Meteomoro.<br />
Non so voi, ma nella mia esperienza di agrometeorologo<br />
ci sono i colleghi che in ascensore o<br />
alla macchina del caffè, chiedono: “Ma quando<br />
smetterà di piovere? Ma quando tornerà a piovere?<br />
Ma che tempo farà nei prossimi giorni?”.<br />
Come se fossi io a fare le previsioni meteorologiche.<br />
Soprattutto, quando la fine della primavera<br />
si avvicina, le domande si concentrano<br />
sulle condizioni del fine settimana.<br />
Io vivo a circa 100 km dal mare, ad una distanza<br />
che permette di andare a prendere un po’<br />
di sole e tornare in giornata e, quando la bella<br />
stagione si avvicina, in molti ne hanno voglia.<br />
Ma non sempre le cose vanno come dovrebbero<br />
e mi cap<strong>it</strong>a, il lunedì, di sentirmi dire: “Ma<br />
perché piove sempre nei fine settimana ed è<br />
bello il lunedì?”. Ebbene, a me questa domanda<br />
la fanno spesso e talvolta me la sono posta<br />
anche io. E così ho deciso di darmi una risposta,<br />
ma una risposta da agrometeorologo, basata<br />
sui dati.<br />
Innanz<strong>it</strong>utto ho scelto un set di dati adatto.<br />
Poiché la domanda mi viene posta a Bologna,<br />
e non al mare, e poiché i questionanti non si<br />
muovono di qui se il tempo è brutto o incerto,<br />
le vere condizioni meteorologiche al mare non<br />
sono importanti. Ho deciso così di analizzare<br />
un data set di Bologna, poiché è evidentemente<br />
qui che nell’esperienza dei miei interlocutori<br />
fa bello o brutto tempo nel fine settimana. E<br />
METEO<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 11
dunque ho preso i dati della stazione agrometeorologica<br />
della azienda sperimentale della Facoltà<br />
di Agraria, nel comune di Cadriano, lim<strong>it</strong>rofo a<br />
Bologna. La stazione è stata installata nel 1952 e<br />
ho considerato i dati di precip<strong>it</strong>azione dal 1952 al<br />
2008. Per ciascun anno ho contato il numero di<br />
giorni di pioggia rispetto al numero totale annuo<br />
di giorni lavorativi. Successivamente ho contato,<br />
per ciascun anno, il numero di giorni di fine settimana<br />
(sabato e domenica) con pioggia, rispetto al<br />
numero totale annuo di giorni di fine settimana.<br />
Se, come i miei colleghi pensano, effettivamente<br />
l’effetto “nuvola di Fantozzi” esistesse, io dovrei<br />
trovare una percentuale più alta nel secondo caso<br />
piuttosto che nel primo. E invece no, in entrambi<br />
i casi i conteggi mi danno una percentuale pari a<br />
34%. Ma alcuni dei miei colleghi, i più pignoli, potrebbero<br />
obbiettare che se durante l’inverno piove<br />
o meno nei fine settimana a loro non interessa,<br />
ma è d’estate che vorrebbero andare al mare. E mi<br />
sembrerebbe una osservazione molto opportu-<br />
12<br />
NON CIATTO PIU’!<br />
Assiduo ciattatore da studente, Massimiliano Colocci, ora, divenuto psicologo, ci fa scoprire diversi aspetti<br />
di un tipo di comunicazione assai diffuso tra i giovani, parlando della sua esperienza passata con un amico,<br />
che lo ha intervistato.<br />
A cura di Jean Luca Ciccoli<br />
METEO<br />
na! Per poter rispondere dunque in maniera più<br />
completa, ho deciso di far di nuovo correre il mio<br />
programmino conta-giorni-di-pioggia, concentrandomi<br />
però solo sui mesi di maggio, giugno,<br />
luglio, agosto e settembre. E dunque ho di nuovo<br />
fatto contare il numero di giorni di pioggia, feriali<br />
e festivi, rispetto al numero totale di giorni di<br />
pioggia, feriali e festivi. In questo caso ho trovato<br />
rispettivamente le percentuali di 26% e 27%, non<br />
identiche, ma sostanzialmente uguali. Inoltre, dal<br />
momento che se si è in ballo, è sempre meglio ballare:<br />
ho controllato se in questi 56 anni di dati si è<br />
manifestata una qualche tendenza, all’aumento o<br />
alla diminuzione, delle due percentuali suddette.<br />
Esse si sono mantenute sostanzialmente costanti<br />
nel tempo. A questo punto, non so voi, ma io<br />
quando incontrerò i miei colleghi in ascensore o<br />
alla macchina del caffè e mi chiederanno perché<br />
piove sempre nei fine settimana, saprò cosa rispondere.•<br />
COMUNICAZIONE VIRTUALE<br />
Cos’è la chat line C6?<br />
E’ uno spazio virtuale di aggregazione, in cui si incontrano alcune migliaia di persone da ogni parte d’Italia<br />
e talvolta anche dall’estero, comunicando reciprocamente in tempo pressoché istantaneo.<br />
Ci sono persone addette al controllo?<br />
In essa c’è una redazione e ci sono delle figure animatrici, chiamate Atlantis o Virgilio, che tuttavia sono<br />
prive delle funzioni di filtro, tipiche invece dei moderatori: ciò fa sì che possa entrare chiunque, anche le<br />
persone maleducate, scorrette e irrispettose.<br />
Da quando ti sei iscr<strong>it</strong>to?<br />
Dal mese di settembre del 2002, quando ero ancora studente.<br />
Quali furono le ragioni della tua iscrizione?<br />
Beh, principalmente, un senso di profonda sol<strong>it</strong>udine e di grande delusione e di amarezza, che in quell’anno<br />
provai per lungo tempo in segu<strong>it</strong>o a vicende della mia v<strong>it</strong>a privata.<br />
Queste tue motivazioni sono poi cambiate?<br />
Sì, a poco a poco, osservando i contenuti pressoché costantemente superficiali delle chattate, per non<br />
dire assai spesso francamente banali e scontate, ho tentato energicamente di dare un mio personale<br />
contributo.<br />
Quando e perché tali motivazioni sono mutate?<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
COMUNICAZIONE VIRTUALE<br />
Essenzialmente dopo poco tempo, allorché mi sono accorto chiaramente del tratto prevalente di finzione<br />
che domina questa sfera virtuale.<br />
Che tipo di contributo hai tentato di veicolare?<br />
In numerose occasioni ho provato a stimolare le persone presenti a cimentarsi in dibatt<strong>it</strong>i, che richiedessero<br />
l’espressione di un punto di vista personale su temi di una qualche valenza psicologica, storica,<br />
sociale, pol<strong>it</strong>ica, religiosa e culturale.<br />
Che bilancio ne hai tratto?<br />
Il bilancio non è confortante, purtroppo. Se dovessi quantificare, almeno 8 volte, se non 9, su 10 si è<br />
rivelato un buco nell’acqua, nel senso che non ho trovato sufficiente disponibil<strong>it</strong>à. Anzi, la cosa più frequente<br />
è stata quella di essere attaccato tram<strong>it</strong>e sarcastiche prese in giro od offese del tutto gratu<strong>it</strong>e sul<br />
piano personale.<br />
Sei riusc<strong>it</strong>o a creare qualche contatto significativo con qualcuno/a?<br />
In questi anni avrò contattato centinaia di persone in pubblico e alcune decine in privato, ma soltanto<br />
con cinque persone il tentativo ha avuto buon es<strong>it</strong>o. Con una di loro ho avuto una relazione per un paio<br />
d’anni, con due di loro mi sono incontrato dal vivo e siamo diventati buoni amici. Con la terza persona<br />
c’è grandissima stima, rispetto e affetto, pur non essendoci ancora incontrati.<br />
Perché le persone entrano in chat?<br />
Direi che i motivi principali in ordine di importanza possono essere:<br />
1) la ricerca di sesso facile;<br />
2) la scarica selvaggia delle frustrazioni accumulate;<br />
3) il terrore della sol<strong>it</strong>udine e, quindi, il bisogno di sentirsi parte di un gruppo;<br />
4) la volontà di evadere dal noioso grigiore quotidiano.<br />
Cosa pensi della chat?<br />
Quello di tutti gli strumenti, che, di per sé, non sono né buoni né cattivi, ma dipende sempre dal tipo di<br />
uso che ne fanno gli utenti. Potenzialmente essa potrebbe allargare molto la possibil<strong>it</strong>à di un dialogo<br />
costruttivo e di un reciproco arricchimento culturale ed esistenziale. Nei fatti, ahimè, alimenta frequentemente<br />
invece le tendenze peggiori alla maldicenza, alla fals<strong>it</strong>à e alla cattiveria.<br />
Sei d’accordo con chi afferma che la chat è uno specchio fedele della realtà?<br />
Credo che non sia solo uno specchio fedele, ma anche una sorta di potente cassa di risonanza, che<br />
incentiva la tendenza a nascondersi dietro ident<strong>it</strong>à f<strong>it</strong>tizie e fomenta in modo abnorme la dimensione<br />
della fantasia, a discap<strong>it</strong>o della verifica nell’incontro con la persona reale, nel mondo reale.<br />
Perché hai deciso di non parteciparvi più?<br />
Perché tutto ha un lim<strong>it</strong>e. Come tentativo finale ho anche provato per qualche giorno a creare uno spazio<br />
privato virtuale, nel quale inv<strong>it</strong>are uomini e donne, che avessero piacere di confrontarsi in un dialogo<br />
autentico e pieno di significati. Purtroppo anche questa ultima cosa si è rivelata illusoria, sia per l’esiguo<br />
numero di utenti interessati sia soprattutto per l’oggettiva lim<strong>it</strong>atezza nel comunicare per iscr<strong>it</strong>to tra più<br />
persone contemporaneamente su temi impegnativi.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 13
Paolo Ripanti<br />
Attualmente giacciono in Parlamento vari disegni<br />
di legge che si propongono di operare una<br />
revisione della legge 180, già inglobata nella legge<br />
n°833/78 di Riforma San<strong>it</strong>aria Nazionale. Tali<br />
proposte sembrano far parte di un progetto più<br />
generale, che tenta di imporre un modello forte e<br />
autor<strong>it</strong>ario ad una società sempre più disorientata<br />
ed impaur<strong>it</strong>a.<br />
A questo propos<strong>it</strong>o è sufficiente pensare ad ist<strong>it</strong>uzioni<br />
quali il carcere e gli ospedali psichiatrici giudiziari<br />
(OPG o manicomi criminali), emblematici<br />
esempi di forza e di totalizzazione dell’individuo,<br />
che presentano analogie e aspetti ident<strong>it</strong>ari con<br />
i vecchi ospedali psichiatrici, meglio noti al grande<br />
pubblico come manicomi e finalmente chiusi<br />
dal 1978. I risultati di queste ist<strong>it</strong>uzioni, che di fatto<br />
si fondano sulla segregazione e sulla repressione<br />
dei comportamenti devianti, sono tutt’altro che<br />
incoraggianti: da un lato il carcere, anzi le varie<br />
strutture carcerarie sparse in tutt’Italia, rappresentano<br />
quasi sempre una fucina di suicidi e di nuovi<br />
delinquenti, dall’altro gli OPG hanno anch’essi<br />
analoghe difficoltà. Entrambi sono una sorta di<br />
discarica di uman<strong>it</strong>à abbandonata, a cielo aperto.<br />
La legge prevede che gli ist<strong>it</strong>uti di pena e cura (gli<br />
OPG) non debbano soddisfare un bisogno di vendetta<br />
delle v<strong>it</strong>time né fondarsi su precetti ‘taglionici’,<br />
ma al contrario hanno l’obbligo di riabil<strong>it</strong>are<br />
chi ha sbagliato e abbia pagato con la detenzione,<br />
in modo da poter essere recuperato alla società.<br />
E i Servizi di Salute mentale, nati dopo la chiusura<br />
dei manicomi? In un incontro, avvenuto presso il<br />
Senato della Repubblica, C<strong>it</strong>tadinanzattiva e il Tribunale<br />
per i Dir<strong>it</strong>ti del Malato hanno presentato<br />
un rapporto dal t<strong>it</strong>olo “ I c<strong>it</strong>tadini valutano i servizi”,<br />
in cui viene evidenziato come l’assistenza psichiatrica<br />
in generale sul terr<strong>it</strong>orio <strong>it</strong>aliano sia di qual<strong>it</strong>à<br />
dign<strong>it</strong>osa in termini di strutture, accessibil<strong>it</strong>à,<br />
informazione, sicurezza ed integrazione socio-san<strong>it</strong>aria,<br />
nonostante vi siano in certi casi forti differenze<br />
fra regione e regione, fra centro e periferia.<br />
14<br />
PROPOSTE DI MODIFICA DELLA LEGGE 180<br />
COME GUARIRE PER<br />
DISPOSIZIONE DI LEGGE<br />
Dopo trent’anni e più dall’applicazione della legge<br />
‘Basaglia’, questo rapporto è uno dei tanti esempi<br />
da cui si può evincere che il lavoro degli operatori<br />
ed il peso sopportato dalle famiglie sono i due<br />
elementi che hanno determinato il miglioramento<br />
della psichiatria in Italia, nonostante le esigue<br />
risorse finanziarie ad essa dedicate. Ma allora viene<br />
da chiedersi: “Che bisogno c’è di un intervento<br />
legislativo, se i servizi operano tutto sommato<br />
bene e se le famiglie continuano a mantenere un<br />
ruolo di umana responsabil<strong>it</strong>à nell’accudimento<br />
dei propri sfortunati congiunti?”<br />
Un abbozzo di risposta è formulata nell’apertura<br />
di quest’articolo, anche se ciò non significa che la<br />
legge attuale (la ex-180) sia un totem intoccabile.<br />
In effetti essa, essendo una legge quadro, nel<br />
corso degli anni è stata riemp<strong>it</strong>a di contenuti e<br />
significati sempre più puntuali attraverso il lavoro<br />
del Parlamento stesso, ma anche attraverso le proposte<br />
di molte Regioni, che hanno fatto e fanno<br />
tutt’ora da traino per altre s<strong>it</strong>uazioni momentaneamente<br />
più arretrate. E ciò è potuto accadere<br />
per una naturale evoluzione di processi iniziati<br />
tanti anni fa, che hanno coinvolto ampi strati di<br />
popolazione: basti solo pensare che la legge 180<br />
veniva approvata dalle Camere anche per la spinta<br />
di un referendum popolare indetto dai radicali.<br />
Oggi, tutto ciò sembra incredibilmente lontano e<br />
la società meno disposta a mettersi in gioco per<br />
chi è diverso e quindi potenzialmente pericoloso,<br />
per cui si vorrebbe dare risposta alle paure del<br />
presente con un r<strong>it</strong>orno alle soluzioni autor<strong>it</strong>arie<br />
del passato, senza dirlo apertamente però. Eccezione<br />
non nobile a questo discorso è la proposta<br />
di legge Guzzanti, la cui brutal<strong>it</strong>à si unisce a dichiarati<br />
autor<strong>it</strong>arismi e ad altrettanta ignoranza<br />
circa la compless<strong>it</strong>à della malattia mentale. Come<br />
dire: “Gli è scappata!”. Naturalmente, però, in questa<br />
sede, ci interessa più esaminare altre proposte,<br />
quali quella a prima firma dell’onorevole Ciccioli<br />
(“Disposizioni in materia di assistenza san<strong>it</strong>aria”)<br />
che, temiamo, possa essere sostenuta tanto dalla<br />
maggioranza quanto anche da ampi settori del-<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
l’opposizione e che quindi rischia di diventare<br />
legge dello Stato. Tale proposta, muovendosi nel<br />
contesto della legge attuale, avanza alcune modifiche<br />
ed aggiunte. Cercheremo di esaminarne alcune,<br />
da noi r<strong>it</strong>enute più significative.<br />
La prima riguarda (a) “un approccio più vicino al<br />
modello medico” (nella Premessa). Ora, il ripristino<br />
della central<strong>it</strong>à di tale modello e quindi della<br />
central<strong>it</strong>à dell’ospedale e dunque della central<strong>it</strong>à<br />
della psicofarmacoterapia appare un’operazione<br />
di ingiustificato riduzionismo, che nega le altre<br />
dimensioni del disagio psichico (vedi anche Capo<br />
Horn n°5/2003 “I confini della psichiatria”, reperibile<br />
anche nel s<strong>it</strong>o www.asiamente.<strong>it</strong>), che porterà<br />
ad una dilatazione dei costi della Psichiatria.<br />
Naturalmente, se già nella premessa alla legge si<br />
parla di modello medico, l’attenzione si sposta rapidamente<br />
sulle modal<strong>it</strong>à di ricovero, dove ai legislatori<br />
sfugge l’aggettivo “coatto” del buon tempo<br />
andato (dei manicomi).<br />
Accanto al ricovero per le “acuzie”, che può essere<br />
fatto secondo precise disposizioni di legge già<br />
esistenti con la modal<strong>it</strong>à del TSO (vedi Capo Horn<br />
n° 1/2001 “Da criminali a persone libere”, reperibile<br />
anche su asiamente.<strong>it</strong>), di cui però si vuole allungare<br />
la durata a trenta giorni (b – art 3 comma7)<br />
fin da sub<strong>it</strong>o (mentre attualmente dura 7 giorni,<br />
ma la sostanza temporale cambia poco, perché<br />
entrambi sono e sarebbero rinnovabili, a giudizio<br />
medico, ma, attenzione, eseguibile anche in cliniche<br />
private), viene pensato anche un ricovero per<br />
s<strong>it</strong>uazioni “croniche”, dove non c’è la volontarietà<br />
da parte del paziente, con un bel riduzionismo<br />
medico che divide l’esistenza nel disagio mentale<br />
in “acuti e cronici”, come se avessero la bronch<strong>it</strong>e.<br />
Questo tipo di ricovero si chiama (c), all’art. 3, comma<br />
11, Trattamento San<strong>it</strong>ario Obbligatorio Prolungato<br />
(TSOP), della durata di sei mesi, rinnovabile<br />
con scopo dichiarato di “avviare processi terapeutico-riabil<strong>it</strong>ativi”.<br />
Sì, avete letto bene, la riabil<strong>it</strong>azione diventa un<br />
processo terapeutico coatto: come poi si concilieranno<br />
le prospettive di autonomia con la costrizione<br />
resta un mistero; come si impedirà alle persone<br />
(ricoverate, osp<strong>it</strong>ate, imprigionate) di scappare a<br />
gambe levate diventerà una questione di edilizia<br />
carceraria, di ipnosi o altre magiche capac<strong>it</strong>à di<br />
suggestione con le quali ottenere l’agognato convincimento.<br />
Una struttura come “<strong>Asiamente</strong>” di via<br />
Contuzzi e tutti gli altri servizi pubblici riabil<strong>it</strong>ativi<br />
PROPOSTE DI MODIFICA DELLA LEGGE 180<br />
esistenti in Italia, caratterizzati da grande apertura<br />
verso l’esterno, risulteranno inadeguati: si dovranno<br />
costruire ermetici edifici che, probabilmente,<br />
sorgeranno grazie all’iniziativa imprend<strong>it</strong>oriale e,<br />
dato che è prevista la possibil<strong>it</strong>à anche di osp<strong>it</strong>are<br />
TSO di 30 giorni per acuti, i pazienti in crisi, tra<br />
ospedale per diagnosi e cura e riabil<strong>it</strong>azione forzata,<br />
verosimilmente in cliniche private, saranno<br />
fuori dalla circolazione per un bel pezzo (E CHI S’E<br />
VISTO S’E’ VISTO!)<br />
Qualora, invece, ci fosse una volontarietà da parte<br />
del paziente ‘cronico’ di seguire le cure indicate, lo<br />
zelo dei legislatori si accontenterà di proporre, all’art.3<br />
comma 12, (d) il Contratto Terapeutico Vincolante<br />
(CTV) o contratto di Ulisse, per cui vengono<br />
presi degli accordi formalizzati con l’équipe curante,<br />
accordi che avrebbero forza di legge. Il nostro<br />
paziente, come Ulisse, si vincola volontariamente<br />
in previsione di sue future follie (non è prevista la<br />
possibil<strong>it</strong>à che uno possa cambiare opinione). Se il<br />
paziente rifiuta le terapie, vuole interrompere una<br />
residenza in comun<strong>it</strong>à, salta le vis<strong>it</strong>e di controllo<br />
dal medico, ecc., l’équipe è già legalmente autorizzata<br />
a costringerlo al rispetto della cura. Il fatto<br />
è, però, che bisogna che qualcuno materialmente<br />
lo leghi all’albero maestro della nave. Ma allora<br />
che vantaggio si avrebbe da questo CTV a norma<br />
di legge, rispetto all’esecuzione del vecchio e mai<br />
amato, ma a volte necessario TSO, già previsto dalla<br />
legge 180? Forse il CTV potrebbe andar bene in<br />
qualcuna di quelle strategie paradossali utilizzate<br />
dai terapeuti sistemici in casi particolari. Ma come<br />
si fa a pensare di normare con leggi dello Stato decisioni<br />
terapeutiche e quindi strettamente tecniche,<br />
dove la scienza e la conoscenza del medico e<br />
dello psicologo debbono essere protagoniste?<br />
La risposta che sorge spontanea è: demagogia,<br />
fumo negli occhi, ostentazione di forza e rigore,<br />
inutili e di facciata. Anche perché la conseguenza<br />
di questi provvedimenti, quali il TSOP e il CTV,<br />
che la legge vorrebbe introdurre e che coinvolgono<br />
l’intervento, oltre che dei medici, di giudici<br />
e amministratori di sostegno in un esercizio di<br />
inopportuna muscolar<strong>it</strong>à giudiziario-legislativa,<br />
di fronte a “gravi o protratte violazioni del paziente”,<br />
non avrebbero poi (per fortuna) conseguenze<br />
alcuna. Ma c’è bisogno di un Giudice Tutelare per<br />
stabilire che un progetto terapeutico è destinato<br />
a fallire, se non si riesce ad ottenere un minimo<br />
di collaborazione (magari anche solo sporadica<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 15
e temporanea) da parte di chi ne ha bisogno e<br />
che ciò che può indurre un paziente recalc<strong>it</strong>rante<br />
a collaborare per rimettere in moto la propria<br />
v<strong>it</strong>a non è l’imperio della legge, ma la forza della<br />
realtà, realtà che l’utente tende a negare, perché<br />
questa è l’essenza della sua malattia e con questa<br />
bisogna confrontarsi, senza illusorie scorciatoie<br />
legali?<br />
Del resto, perché stupirsi, visto che si vuol costringere<br />
il medico ad effettuare, (e) all’art.7, vis<strong>it</strong>e domiciliari<br />
con scadenze stabil<strong>it</strong>e dalla legge e non<br />
da opportun<strong>it</strong>à clinico-terapeutiche? In realtà le<br />
vis<strong>it</strong>e domiciliari sono uno strumento estremamente<br />
utile, ma la sua util<strong>it</strong>à non risponde ad ottusi<br />
parametri quant<strong>it</strong>ativi: si fanno quando sono<br />
opportune, non per un dannoso assistenzialismo<br />
o perché una norma l’impone meccanicamente al<br />
medico.<br />
L’art.8 (f ) riguarda i “dir<strong>it</strong>ti dei familiari”; il comma<br />
1 rec<strong>it</strong>a che il medico psichiatra è tenuto a riferire<br />
sullo stato di salute mentale del paziente e sulle<br />
cure necessarie a: coniuge, gen<strong>it</strong>ori, fratelli o sorelle<br />
che si occupano dello stesso. Notiamo che il<br />
paziente non sempre è interdetto o è un minore,<br />
anzi queste condizioni sono le meno frequenti. Il<br />
paziente è un adulto responsabile nella maggior<br />
parte dei casi e ha dir<strong>it</strong>to ad una privacy. Il medico<br />
in questi casi deve chiedere sempre il permesso al<br />
proprio assist<strong>it</strong>o prima di comunicare ad altri notizie<br />
riservate che riguardano la sua salute. Ciò non<br />
toglie che va sempre ricercata una collaborazione<br />
dei familiari, un loro coinvolgimento attivo nei<br />
processi di terapia della malattia mentale, anche<br />
perché questa, spesso, è diffusa al sistema della famiglia<br />
e perché, comunque, quasi sempre la famiglia<br />
resta una risorsa preziosa per la terapia.<br />
Nel comma 2 dello stesso articolo si dice che nei<br />
casi in cui la convivenza con la persona malata<br />
comporti dei rischi per l’incolum<strong>it</strong>à fisica del malato<br />
stesso o dei familiari, il DSM trova una soluzione<br />
idonea alle esigenze della persona affetta.<br />
Verrebbe da dire che ciò è ovvio. Ma è altrettanto<br />
ovvio per le forse più numerose s<strong>it</strong>uazioni analoghe,<br />
dove non c’è nessun malato mentale in ballo?<br />
Avete mai sent<strong>it</strong>o parlare di violenza all’interno di<br />
una relazione di coppia oppure all’interno di una<br />
relazione gen<strong>it</strong>ore – figlio? Perché si sente l’esigenza<br />
di specificare quanto sopra, se non mossi<br />
da un pregiudizio nei confronti di chi è psicotico<br />
o depresso?<br />
16<br />
PROPOSTE DI MODIFICA DELLA LEGGE 180<br />
L’art 6., finalmente, tocca un problema che ancora<br />
non si è riusc<strong>it</strong>i ad affrontare adeguatamente<br />
e che riguarda (g) i rapporti tra DSM e Ministero<br />
della Giustizia. Come abbiamo sopra accennato,<br />
gli OPG versano in una s<strong>it</strong>uazione tragica, dato<br />
che la Commissione Parlamentare d’Inchiesta,<br />
guidata dal senatore Saccomanno, ha stabil<strong>it</strong>o<br />
che una sola (Castiglion delle Stiviere di Mantova)<br />
delle sei strutture presenti sul terr<strong>it</strong>orio nazionale<br />
è conforme agli standard igienico-san<strong>it</strong>ari, curativi<br />
ed assistenziali, mentre in tutte le altre (Aversa,<br />
Napoli, Castiglion Fiorentino, Barcellona Pozzo di<br />
Gotto e Reggio Emilia), versano nel degrado e nella<br />
sporcizia. In tutto in questi ist<strong>it</strong>uti sono rinchiusi<br />
1500 persone, molte delle quali, secondo uno dei<br />
membri della commissione, il senatore Marino,<br />
potrebbero essere dimissibili. Dunque, nel caso<br />
degli OPG, la legge di riforma della psichiatria è<br />
stata quasi del tutto disattesa e quindi siamo d’accordo<br />
con le proposte dei legislatori, che all’’art.6<br />
– comma 1, quando affermano che le Asur, su cui<br />
insistono le case circondariali, debbono attivare<br />
adeguate risorse del DSM competente per operazioni<br />
di assistenza. E’ chiaro che finché, per i malati<br />
di mente autori di reati, persiste una riconosciuta<br />
“pericolos<strong>it</strong>à sociale”, i processi di cura e di riabil<strong>it</strong>azione<br />
avranno insuperabili lim<strong>it</strong>i. A meno che<br />
non si realizzi ciò che viene proposto al comma<br />
2 dello stesso articolo e cioè la realizzazione di<br />
percorsi di trattamento alternativi all’invio in OPG,<br />
da realizzare con la partecipazione della rete dei<br />
servizi esterni al carcere, che avranno l’onere di assicurare<br />
la custodia degli autori di reato, mentre<br />
gli oneri della cura invece saranno a carico del Ministero<br />
della Salute.<br />
Infine alcune osservazioni riguardo alla proposta<br />
di spendere il 7% di quota destinato (h) ai Livelli<br />
Essenziali di Assistenza: attualmente tale spesa si<br />
aggira attorno al 3.5%, anche se vi sono importanti<br />
differenze in tutto il terr<strong>it</strong>orio nazionale. Dunque<br />
di per sé si chiede un raddoppio della spesa a vantaggio<br />
della psichiatria, ma noi, ancora, non siamo<br />
favorevoli perché questa maggiori risorse finanziarie<br />
(che difficilmente il governo e le forze pol<strong>it</strong>iche<br />
accoglieranno) verranno bruciate per una<br />
dilatazione di costi legata al taglio dato alla proposta<br />
di legge basata sulla central<strong>it</strong>à del modello<br />
ospedaliero, sulla re-ist<strong>it</strong>uzionalizzazione e su una<br />
privatizzazione della tutela della salute mentale a<br />
tutto svantaggio dei malati.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
IL LAVORO E LA CRISI<br />
FANNULLONI!<br />
La svolta neo-liberista dei primi anni ‘80 è a capo di una rivoluzione in senso autor<strong>it</strong>ario nei rapporti economici,<br />
pol<strong>it</strong>ici e sociali, che ha portato al disprezzo del lavoro, ad un disastro finanziario epocale e alla crisi<br />
della democrazia.<br />
Claudio Sbaffi<br />
Non è questo il periodo in cui sulla ribalta dell’opinione pubblica troviamo il mondo del lavoro. Su di<br />
esso grava una specie di ostracismo, che lo rende invisibile e indicibile. Del resto, non può pretendere<br />
visibil<strong>it</strong>à e parola se la ribalta e i riflettori non sono suoi: giornali in mano all’una o all’altra impresa, televisioni<br />
direttamente o indirettamente all’attuale governo.<br />
E sapete allora cosa deve sentirsi dire il mondo del lavoro, sparso nella rete postindustriale delle imprese<br />
disseminate sul terr<strong>it</strong>orio, il mondo della scuola, quello della san<strong>it</strong>à, cioè i settori chiave della nostra<br />
v<strong>it</strong>a sociale? Un liquidatorio e oltraggioso “Fannulloni!”<br />
che, lanciato al culmine di un disastro<br />
finanziario epocale, significa inventare con massima<br />
impront<strong>it</strong>udine un capro espiatorio su cui<br />
dirottare ogni responsabil<strong>it</strong>à, perseverando così<br />
con protervia ostinazione, senza un cedimento<br />
né un minimo ravvedimento, sulla stessa via che<br />
ha condotto alla catastrofe. E’ la stoccata finale<br />
made in Italy contro quel poco che è rimasto<br />
del lavoro garant<strong>it</strong>o e sindacalizzato: i lavoratori,<br />
se non vogliono essere tacciati, denunciati o<br />
sospettati di fannullaggine ed essere licenziati o<br />
rimanere disoccupati, devono abbandonare quei<br />
“parass<strong>it</strong>i” dei sindacati, rinunciare certi “privilegi”<br />
(leggi paghe eccessive. Sic!) e accettare contratti<br />
singoli, anziché collettivi, in modo che ciascuno,<br />
accedendo ad un nuovo stachanovismo, possa<br />
provare tutto il proprio mer<strong>it</strong>o (in lotta e competizione<br />
contro gli altri lavoratori) e la propria produttiv<strong>it</strong>à<br />
(come se questa dipendesse dal singolo<br />
lavoratore e non dall’organizzazione generale d’impresa), finché, inev<strong>it</strong>abilmente, non verrà cacciato via<br />
come “esubero” per un nuovo conclamato dissesto.<br />
E’ questo il lavoro considerato come peso morto, zavorra, vizio, costo, che alla fine viene ammesso e tollerato<br />
solo in forma di massima docil<strong>it</strong>à, dedizione e obbedienza e di minima remunerazione, completamente<br />
adattato e funzionale ad un sistema economico mobile, fluido e globalizzato. D’altro canto, di<br />
fronte a questo disprezzato mondo del lavoro, di quelli che vivono di una paga, è cresciuto a dismisura<br />
il celebratissimo e abbagliante mondo della ricchezza, in particolare di manager, cooptati nel club dei<br />
proprietari milionari “per imprese legate non alla produzione ma alla Borsa, non al mercato del prodotto<br />
ma a quello del t<strong>it</strong>olo, non all’investimento nella fabbrica ma al taglio di interi settori e reparti (e<br />
licenziamenti di personale a volte di alta e unica specializzazione) per guadagnare denaro col denaro.<br />
Si assisteva alla scomparsa di strutture e alla dispersione di popolazioni di intere c<strong>it</strong>tà industriali, per<br />
inventare fondi, e poi nuovi tipi di fondi, e poi fondi dei fondi, con valori e quotazioni fissati dall’euforia<br />
dello scambio, non dal rapporto fra ‘cielo e terra’ (…), per dire ‘finanza e fabbrica’” (1) .<br />
Cioè, viene abbandonata la cosiddetta economia reale, quella industriale, dove contano ancora le per-<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 17
18<br />
IL LAVORO E LA CRISI<br />
sone, i luoghi, i mezzi, e decolla un’immensa economia di carta, mossa da intrigate e oscure speculazioni<br />
finanziarie. E’ stata questa la svolta dei primi anni ‘80, impressa dal neo-liberismo di Reagan – Thatcher,<br />
che mise fine alla lunga fase del Keynesismo e del Welfare State, chiudendo così il sipario sull’America<br />
sociale di Roosevelt. E quindi al grido di “Meno Stato, più privato!”, che stava diventando “Niente Stato,<br />
solo mercato!”, cioè “Tutto il potere ai privati!” (taglio delle tasse ai redd<strong>it</strong>i alti contro i cr<strong>it</strong>eri di progressiv<strong>it</strong>à,<br />
trasparenza zero, bilanci falsificati, privatizzazioni, liberalizzazioni varie, evasione fiscale), che però<br />
non ha comportato il rilancio della produttiv<strong>it</strong>à, bensì l’incuria e l’abbandono di settori sociali importanti<br />
(le scuole, gli ospedali, i trasporti pubblici) nel raccapricciante disinteresse per il destino delle persone<br />
(lavoratori, utenti, consumatori), si è giunti ad una crisi economica mondiale col tracollo finanziario di<br />
Wall Street del 2008.<br />
Ancora una volta le v<strong>it</strong>time sono in basso: risparmiatori defraudati, acquirenti indeb<strong>it</strong>ati, lavoratori licenziati<br />
(figure che spesso coincidono), mentre in alto c’è chi in gran fretta toglie il campo e nasconde le<br />
tracce, come il celebre film “Prendi i soldi e scappa” di Woody Allen aveva comicamente profetizzato. E<br />
la cosa sorprendente è che lo Stato, che prima era stato respinto e sottoposto ad una cura dimagrante<br />
per il taglio delle tasse ai ricchi, ora debba correre in soccorso dell’economia (privata), offrendo quant<strong>it</strong>à<br />
enormi di denaro (pubblico, cioè il denaro derivato dalle tasse dei c<strong>it</strong>tadini e dunque, in parte soverchiante,<br />
dei lavoratori): a banche, per ev<strong>it</strong>are la bancarotta, a imprese, perché producono ricchezza ed<br />
occupazione, ma al lavoro, per il posto che scompare e il salario troppo modesto, a lui no, perché, per<br />
lui sì, si andrebbe “fuori mercato” e ciò sarebbe un intervento scandalosamente “socialista”. Si crea così il<br />
nuovo ordine del “Più Stato e più mercato”, in cui lo Stato però non è più lo Stato sociale ma lo Stato dei<br />
ricchi, schierato sempre, come a celebrare una vendetta dopo i nefasti del Welfare State, contro quella<br />
parte riottosa, detta lavoro, e inoltre premuroso a dimenticare e sorvolare sui responsabili e le vere cause<br />
del disastro finanziario.<br />
Se questa è la s<strong>it</strong>uazione generale, così come l’ho desunta dal libro c<strong>it</strong>ato di Furio Colombo: da un parte<br />
un potere economico enorme e incontrollabile, che agisce liberamente e impone su tutto e tutti la sua<br />
volontà (teoria del mercato senza regole), dall’altra parte un potere pol<strong>it</strong>ico debole e inadeguato, autoreferenziale,<br />
quando non succube e strumentale al primo o addir<strong>it</strong>tura coincidente (la casta, la corte) (2) ,<br />
tanto che finiscono per essere premiati proprio quei “pol<strong>it</strong>ici” che mimano in arroganza e cinismo lo stile<br />
autor<strong>it</strong>ario del potere economico, e la specie dei “caporali” ha rifatto la sua comparsa in tanti amb<strong>it</strong>i, allora<br />
si pone fortemente la questione democratica, ovvero la questione dei dir<strong>it</strong>ti civili.<br />
La democrazia, che non è tirannia della maggioranza<br />
(3) , non sussiste senza il rispetto dei dir<strong>it</strong>ti civili,<br />
cioè di qualcosa che è cost<strong>it</strong>utivo dell’essere<br />
c<strong>it</strong>tadino e che quindi non è negoziabile e comprimibile,<br />
pena il venir meno del c<strong>it</strong>tadino stesso,<br />
che regredisce a sudd<strong>it</strong>o, servo, schiavo, v<strong>it</strong>tima.<br />
La pol<strong>it</strong>ica democratica è strettamente correlata<br />
con la libertà umana, che non la può sacrificare<br />
sull’altare dello sviluppo storico (oggi la “modernizzazione”)<br />
o di altri sedicenti “valori”, perché<br />
scomparirebbe il suo stesso concetto per lasciare<br />
il posto al concetto di storia e di necess<strong>it</strong>à in senso<br />
deterministico. Mentre il significato di libertà,<br />
dopo l’insegnamento di Kant e la tragica dimostrazione<br />
dei regimi total<strong>it</strong>ari, sta non soltanto<br />
nella libertà di opinione (il dir<strong>it</strong>to di ascoltare<br />
e di essere ascoltati), ma anche nel concetto di<br />
spontane<strong>it</strong>à, cioè nella facoltà umana di iniziare<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
IL LAVORO E LA CRISI<br />
qualcosa di nuovo, propria dell’agire (4) . La definizione dell’uomo libero che agisce in modo spontaneo,<br />
distinto dall’uomo subalterno che agisce in modo meccanico, è ben sintetizzata da un esponente del<br />
liberalismo classico: “Qualsiasi cosa che non promana dalla libera scelta dell’uomo, o che deriva soltanto<br />
da ordini e istruzioni, non penetra nella<br />
sua essenza, bensì resta aliena alla<br />
sua natura; egli non la eseguirà con le<br />
sue vere energie, ma solo per esattezza<br />
meccanica” (5) .<br />
Ben ne sapeva qualcosa di questa libertà<br />
Franco Basaglia, di cui oggi, 29<br />
agosto 2010, commemoriamo il trentesimo<br />
anniversario della morte. Un<br />
periodo estremamente lontano ci<br />
divide da lui, soprattutto perché, proprio<br />
a cominciare dai primi anni ‘80,<br />
prese il via la svolta autor<strong>it</strong>aria sopra<br />
descr<strong>it</strong>ta; di conseguenza, dopo pochi<br />
anni dalla sua prematura morte, sul<br />
suo nome, che negli anni ‘70 circolava<br />
negli ambienti di “sinistra” quanto<br />
quello di Herbert Marcuse, è caduto il<br />
silenzio ed è spar<strong>it</strong>o dagli scaffali delle<br />
librerie, come ebbe da constatare<br />
il filosofo Pier Aldo Rovatti (6) . A quella<br />
libertà Basaglia poté dare e seppe<br />
dare un’impronta marcatamente pol<strong>it</strong>ica,<br />
grazie alle circostanze favorevoli<br />
di una società ancora immersa nella cultura ampiamente rooseveltiana, che in Italia per “l’esistenza di<br />
movimenti di lotta di base ha permesso il collegamento tra la questione psichiatrica e la problematica<br />
della lotta di classe” (7) . Senza più questo collegamento, è facile che prendano piede nuove forme di internamento,<br />
che rispondono più alle esigenze dell’organizzazione sociale che ai bisogni della gente (8) ,<br />
o si elevino proposte di revisione della “legge 180” con TSO di lungo periodo per favorire e leg<strong>it</strong>timare il<br />
processo di re-ist<strong>it</strong>uzionalizzazione appunto in conten<strong>it</strong>ori più piccoli (9) .<br />
In quanto lavoratori, impiegati, educatori, insegnanti, operatori dei servizi pubblici e privati, sembra oggi<br />
di vivere in una fase pre-pol<strong>it</strong>ica. Rispetto al periodo di Basaglia, sicuramente oggi è richiesto loro molto<br />
più coraggio per “scappare” di casa, allontanandosi dalla propria esistenza privata, e lottare contro chi<br />
tenta di espropriarli del lavoro e della v<strong>it</strong>a.•<br />
(1) Furio Colombo, La paga. Il destino del lavoro e altri destini, il Saggiatore, Milano 2009, p. 99<br />
(2) v. Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella, La casta, Rizzoli, Milano 2007; Maurizio Viroli, La libertà dei servi, Roma-Bari 2010<br />
(3) v. Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, in Gustavo Zagrebelskj, Imparare la democrazia, Einaudi, Torino 2007,<br />
pp. 145-156<br />
(4) v. Hannah Arendt, Che cos’è la pol<strong>it</strong>ica?, in Gustavo Zagrebelskj, op. c<strong>it</strong>., pp. 157-165<br />
(5) Wilhelm von Humboldt, Saggio sui lim<strong>it</strong>i dell’attiv<strong>it</strong>à dello Stato, 1792, in Noam Chomsky, Il governo del futuro, Tropea,<br />
Milano 2009, p. 11<br />
(6) v. Pier Aldo Rovatti, Torniamo a Basaglia, in Repubblica, 31 maggio 1995<br />
(7) Basaglia, Scr<strong>it</strong>ti II: 1968-1980, Einaudi, Torino 1981, p.482<br />
(8) v. Basaglia, ibidem<br />
(9) v. Maria Grazia Giannichedda, Introduzione, in Franco Basaglia, L’utopia della realtà, Einaudi, Torino 2005<br />
• Vignette di Altan sulla crisi in mostra alla VII edizione del Collecchio Video Film Festival<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 19
SONO DA QUARANT’ANNI UN<br />
MALATO DI NIENTE<br />
Alfredo Baldini<br />
Sono da quarant’anni<br />
un “malato di niente”.<br />
Ho sessantatre anni e<br />
per circa quarant’anni<br />
sono vissuto in una<br />
stanza dipinta di nero<br />
e con la luce spenta:<br />
questa è la condizione<br />
di un malato cronico.<br />
Sub<strong>it</strong>o dopo la morte<br />
di mio padre e di<br />
mia madre, nel 1998,<br />
sprofondai in una crisi<br />
paurosa. Mi fecero<br />
rivolgere al CSM. La<br />
dottoressa Pesaresi,<br />
psichiatra, mi aiutò.<br />
Anzi mi costrinse a<br />
venire fuori a fatica<br />
dal “niente” in cui ero<br />
affogato. Per un malato<br />
cronico non vi è<br />
guarigione, perché il<br />
percorso della malattia<br />
è circolare con alti<br />
e bassi, però, se non<br />
c’è aiuto, si affoga.<br />
Ora il CSM mi somministra<br />
le medicine e<br />
ho contatti periodici<br />
con la psichiatra, la<br />
dottoressa Pesaresi,<br />
e prima ancora li avevo<br />
avuti con il dottor<br />
Ripanti, psichiatra.<br />
Entrambi mi parlarono<br />
del Centro Sollievo,<br />
ma io ero troppo<br />
ab<strong>it</strong>uato alla stanza e<br />
non riuscivo ad usci-<br />
20<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
e. E poi un giorno decisi. Andai al Centro e un’educatrice mi diede un foglio con specificate le attiv<strong>it</strong>à<br />
settimanali. Venni a contatto con altri malati, tutti più giovani, tranne due e me compreso.<br />
Un giorno, nell’amb<strong>it</strong>o del gruppo di Capo Horn diretto dal dottor Ripanti, la discussione si avventurò<br />
nella trattazione della teoria del “Big ben”, dove io mi lanciai in una mia teoria personale sull’origine dell’universo.<br />
Mi venne chiesto di scriverla e di consegnarla. E così feci il giovedì successivo, fornendo una<br />
base di discussione per tutti i miei compagni del giornale. Un giorno sentii che dovevo ancora scrivere:<br />
entrai nella sala e chiesi a Violetta un foglio e una penna e scrissi sull’uomo isola (malato di mente) e<br />
il continente (società normale). Gli educatori insistevano: dovevo scrivere, perché le mie idee potessero<br />
essere conosciute e soprattutto potessero servirmi a dialogare con il prossimo. A questo forse mi<br />
spingevano anche le teorie di gruppo condotte dalla psicologa Trosini. Fu così che cominciai a scrivere<br />
brevi articoli, fu così che riuscivo a stare in compagnia degli altri frequentatori del Centro. Certo, solo per<br />
poche ore, perché quarant’anni di pareti della stanza mi erano e sono sempre attorno, ma scrivere era<br />
diventato il mio modo di comunicare.<br />
A volte, rare volte, incominciai a sorridere dentro me stesso. Alla sera, nel letto, visualizzavo nella mente i<br />
volti dei miei compagni, i loro nomi, e mi sentivo meno solo. Gli educatori del Centro Sollievo, nel periodo<br />
estivo ci portano anche al mare. Racconto un episodio… Erano trantacinque anni che non andavo<br />
al mare, perché mi vergognavo di essere solo, mentre gli altri erano in compagnia. Quel giorno Laura,<br />
un’educatrice, mi inv<strong>it</strong>ò ad andare in acqua, quando una leggera onda mi capovolse e in meno di un<br />
metro e mezzo stavo per affogare, ma per fortuna Laura mi tirò su. Sono alto circa un metro e novanta,<br />
ma in poca acqua stavo affogando, perché con quarant’anni di pietre sopra la testa un “malato di niente”,<br />
se non vi è qualcuno che non lo aiuta, affoga nel proprio mare.<br />
Ho scr<strong>it</strong>to in fretta e in maniera succinta sul Centro, comunque faccio presente a coloro che si sono scandalizzati<br />
per un pugno di euro spesi per un convegno di dottori, che con quella somma di denaro non<br />
avrebbero risanato neanche una cellula della mia mente malata. Non è l’euro che fa uscire dalla stanza,<br />
ma una mano che apre la porta e prende la tua.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 21
22<br />
LE PAURE DELL’UOMO<br />
Maria ci parla delle paure dell’uomo con la semplic<strong>it</strong>à e l’immediatezza di una persona che, pur senza conoscenze<br />
specifiche, è attenta a ciò che ci succede intorno, nonostante i problemi personali e quotidiani con cui<br />
ogni persona deve confrontarsi e provare a risolvere. Come sempre nei suoi articoli non manca mai di parlare<br />
delle proprie esperienze e sentimenti e dunque, in questo caso, delle sue paure con la consueta generos<strong>it</strong>à,<br />
valido antidoto contro l’egoismo delle nostre società.<br />
Maria Rimoldi<br />
Molte sono le paure che attanagliano l’uomo! Dalla<br />
paura della sol<strong>it</strong>udine alla paura del buio, dalla<br />
paura di perdere il lavoro, in questo momento di<br />
crisi economica, alla difficoltà delle persone ad arrivare<br />
con la pensione minima a fine mese. Molte<br />
persone, soprattutto anziane, hanno difficoltà<br />
economiche, soprattutto se devono pagare anche<br />
i farmaci. Le paure delle malattie interessano molte<br />
persone (vedi depressione, ricoveri ospedalieri,<br />
interventi chirurgici ed altro).<br />
Io ho un figlio che è preoccupato di perdere il lavoro.<br />
Lavora nel maceratese per una d<strong>it</strong>ta di cred<strong>it</strong>o<br />
al consumo e da vari mesi, siccome le banche<br />
non danno più cred<strong>it</strong>i, rischia di perdere il posto<br />
di lavoro. Il lavoro non c’è e va in ufficio a “scaldare<br />
la sedia”, ma se lo mettono in cassa integrazione<br />
prenderà solo l’80% dello stipendio. Se l’agenzia<br />
finanziaria dichiara fallimento, mio figlio ha intenzione<br />
di cercare un socio e con la sua esperienza<br />
forse potrà trovare un altro lavoro.<br />
C’è chi soffre di attacchi di panico, come è successo<br />
a me vari anni fa. Venivo da Moie a Jesi con la<br />
mia Visa rossa. Ero al posto di guida e al mio fianco<br />
c’era mio mar<strong>it</strong>o. Non sono stata mai una brava<br />
autista, avevo grosse difficoltà soprattutto per il<br />
parcheggio. Improvvisamente ho frenato ed ho<br />
detto a mio mar<strong>it</strong>o che avevo paura a proseguire<br />
nella guida. Da quella volta non ho guidato più.<br />
C’è la paura della povertà e della fame, che interessa<br />
i paesi del Terzo Mondo: comporta mancanza<br />
d’acqua e di cibo e molti muoiono per disidratazione<br />
e mancanza di viveri. L’organizzazione FAO<br />
manda aiuti in cibarie, ma il problema povertà rimane<br />
irrisolto!<br />
Ho avuto un padre DITTATORE. In casa bisognava<br />
fare solo ed esclusivamente quello che decideva<br />
lui. Trattava male la mia mamma ed io soffrivo<br />
molto per questo.<br />
Avevo tanta PAURA a rimanere sola con lui. Da mio<br />
padre non ho mai sent<strong>it</strong>o affetto. A volte, vista l’atmosfera<br />
pesante in famiglia, pensavo di farla fin<strong>it</strong>a<br />
bevendo l’inchiostro! Provai a fuggire da casa, ma<br />
la mamma mi seguì e, quando le ebbi detto che<br />
non sentivo alcun sentimento da parte di mio padre,<br />
lei mi rispose: “ Maria, io ti voglio bene!” e così<br />
r<strong>it</strong>ornai sui miei passi.<br />
Da piccola, intorno ai tre o quattro anni, siccome la<br />
mia mamma lavorava, fui affidata ad una famiglia,<br />
vicina di casa: per me era una “Zia Albina ” e una<br />
“Nonna Marietta”. Zia Albina non aveva avuto figli<br />
suoi, per cui mi voleva un mondo di bene. Io pure<br />
le volevo molto bene. Tutte le mattine, siccome ero<br />
molto delicata di salute, mi dava un tuorlo d’uovo<br />
sbattutto con lo zucchero. Quando nacque mio<br />
fratello, la mamma mi portò in famiglia con loro:<br />
per me fu un trauma, perché ero gelosa di mio fratello<br />
e soprattutto avevo paura di mio padre.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
INTERVISTA AL DR. BUCCI<br />
MANTENERE LE COSE<br />
IMPORTANTI<br />
Intervista al dr. Piersandro Bucci, medico e psichiatra, ma soprattutto figura storica della psichiatria jesina,<br />
che lascia il DSM a conclusione di una carriera intensamente vissuta.<br />
A cura del Gruppo Scr<strong>it</strong>tura<br />
Come si sente nella sua nuova dimensione di pensionato?<br />
Mi sento un po’ vivo e un po’ morto. Mi viene da pensare che più un’intervista stiamo facendo una seduta<br />
spir<strong>it</strong>ica. Mi sento in una sorta di pre-morte o di socializzazione della morte. Mi viene da pensare al<br />
“Libro tibetano dei morti”, oppure all’antico Eg<strong>it</strong>to, alle mummie...<br />
Però lei ha un aspetto tutt’altro che funereo! Diciamo questo, per fornire ai nostri lettori una sua<br />
immagine più articolata.<br />
Ciò non toglie che quando è ora, bisogna che uno se ne vada. La morte, il pensionamento: di ogni cosa<br />
che finisce bisogna accettare il termine. Quando rinnovi la casa qualcosa devi buttare via, non tutto però:<br />
la cose importanti vanno conservate, altrimenti la pena è la demenza. E’ questa la funzione della memoria,<br />
che non è solo registrazione degli eventi, ma è anche cuore e attaccamento. Tutto ciò apparentemente<br />
è bizzarro, perché tu ricorderai cose che una volta r<strong>it</strong>enevi poco importanti, dimenticando al contrario<br />
nozioni, fatti, avvenimenti valutati allora fondamentali. Occorre cambiare prospettiva!<br />
Quali sono le cose più importanti che ha acquis<strong>it</strong>o nell’esercizio della sua professione?<br />
La prima cosa che ho imparato, e che ora rimpiango, è il senso di umiltà che ho sviluppato svolgendo il<br />
mio lavoro; poi la curios<strong>it</strong>à, che si fonda però sulle nozioni teoriche e sullo studio; e infine la pazienza, che<br />
consente di avvicinarsi all’altro con piacere, nonostante occorra sforzarsi non poco.<br />
Come sta adesso?<br />
Adesso ho scoperto, dopo quaranta giorni di ferie, che è bello anche non fare niente. Ho scoperto nuove<br />
dimensioni della ricchezza che ha a che fare con la libertà: sono ricco, perché il tempo finalmente è mio.<br />
La libertà del tempo consiste nella possibil<strong>it</strong>à di occuparlo con spir<strong>it</strong>o diverso. Per superare la sensazione<br />
di ”non servire più”, recuperi e reincontri il tempo, potendo spendere qualche soldo anche se non hai più<br />
la gioventù.<br />
Ci fa pensare ad una poesia dell’Antologia di Spoon Rivers di Egdar Lee Masters...<br />
... E ai “M<strong>it</strong>i del nostro tempo” di Umberto Galimberti.<br />
E’ riusc<strong>it</strong>o a definire i “Malati di niente”?<br />
All’inizio ciò che interessa è l’enigma della mente umana. Devo dire che ho scoperto una cosa: le persone,<br />
che venivano da me, mi hanno nutr<strong>it</strong>o intellettualmente. Per il resto, quello che sapevo sulla mente<br />
attraverso gli studi è rimasto e non posso sostenere di aver scoperto niente; ma per quello che ho appena<br />
detto, invece, capisco che il mio lavoro è straordinario. E’ straordinario perché, eserc<strong>it</strong>ando, ho sempre<br />
ricevuto: la gente viene da te con sincer<strong>it</strong>à, spogliandosi e mostrandosi nella propria uman<strong>it</strong>à. Inoltre,<br />
dopo tutto questo, ti porta anche regali, concreti, reali, il che all’inizio della mia carriera mi imbarazzava<br />
moltissimo. Ma come: voi mi date così tanto in termini affettivi ed esperienziali e poi, non contenti,<br />
mi fate anche doni, regali? Una volta mi hanno pure regalato un orologio d’oro! Poi, con l’esperienza,<br />
ho cap<strong>it</strong>o che esiste anche un bisogno del paziente di dimostrarti concretamente riconoscenza, che<br />
va rispettato. “Da Dio viene tutto, Dio è colui che dona”: questo è ciò che prescrive la Cabala o Cabalà,<br />
la sapienza mistica e spir<strong>it</strong>uale racchiusa nella Bibbia ebraica. La sapienza della ver<strong>it</strong>à è il carattere più<br />
profondo della Cabalà. E’ un precetto di sapienza che ho compreso grazie al mio rapporto con i pazienti:<br />
spesso si fa più fatica ad accettare che a dare. Se hai una casa (mentale) pul<strong>it</strong>a ed in ordine puoi accettare<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 23
24<br />
INTERVISTA AL DR. BUCCI<br />
ciò che ti viene dato. Esiste una relazione circolare tra l’accettare e il dare: e l’accettare, in ultima analisi,<br />
è un atto di generos<strong>it</strong>à.<br />
Quali sono i suoi progetti futuri?<br />
Quello di mantenere i “regali” ricevuti, però allo stesso tempo non vorrei essere troppo ingordo e monotono<br />
e non accostarmi mai, finalmente, a qualcosa di diverso. Pertanto, mi piacerebbe continuare a<br />
lavorare, però vorrei fare anche dei viaggi. Non è un caso che i pensionati li trovi o dal medico, perché<br />
vogliono rimandare il più possibile il Grande Viaggio oppure, più ottimisticamente, nelle agenzie di viaggi.<br />
Mi piacerebbe riprendere anche un mio antico interesse per lo yoga, rivolgendomi questa volta ad un<br />
maestro, perché certe discipline, certe esperienze, si imparano tram<strong>it</strong>e una trasmissione diretta.<br />
Esistono ancora i maestri?<br />
Io mi domando ancora un’altra cosa. Noi siamo in grado di accettare l’insegnamento di un maestro? Abbiamo<br />
l’umiltà per fare questa operazione? Poi il maestro va pagato e quando lui ti ha detto delle cose<br />
abbiamo la forza di prenderle e farle nostre?<br />
Ci fa pensare al tempo arcaico delle scuole dei filosofi greci eppure, appena fino all’inizio del novecento,<br />
Gurdjieff scriveva dei suoi incontri con uomini straordinari...<br />
Quando incontri un uomo fuori dell’ordinario devi essere in grado di accettare la sua offerta di collaborazione<br />
par<strong>it</strong>aria. Ecco io, a suo tempo, non accettai quest’offerta, che un maestro come Alfredo Canevaro<br />
mi aveva fatto, perché credevo di non essere all’altezza e quindi buttai via un’esperienza importante.<br />
Quando ci viene data un’opportun<strong>it</strong>à, ci viene fatto un dono e purtroppo spesso ci creiamo dei vincoli<br />
e condizionamenti, perché non sappiamo accettare il dono in una sorta di falsa modestia. Anche la bellezza<br />
è un dono che va accettato...<br />
Quali ricordi porta nel suo cuore?<br />
E’ difficile da dire, perché il ricordo è il r<strong>it</strong>orno al cuore, al sentimento, mentre quando fai lo psichiatra<br />
tendi ad essere troppo razionale e si crea una divisione tra cuore e razional<strong>it</strong>à. Questi due fanno fatica<br />
a comunicare, perché uno parla spagnolo e l’altro inglese. Alla fine mi porterò dietro il ricordo di coloro<br />
che ho conosciuto: con molte di queste persone nel corso degli anni sono invecchiato, come se con loro<br />
avessi vissute delle v<strong>it</strong>e parallele con, ogni tanto, degli scambi importanti tra le due rette. Penso di aver<br />
indotto qualche imprinting pos<strong>it</strong>ivo, come ci ha dimostrato Lorentz, stando insieme alla gente, di cui già<br />
comincio a provare un poco di nostalgia.<br />
Si rimprovera qualcosa?<br />
Beh, ho sempre fatto aspettare la gente… E pensare che io odio fare le file! Al mio ambulatorio c’era un<br />
brulichio di uman<strong>it</strong>à ed io ero sempre indaffarato, di conseguenza non riuscivo a rispettare gli orari di<br />
appuntamento, facendoli attendere a lungo. Ma forse quello non era tempo sprecato, perché mentre<br />
si incavolavano per le lunghe attese intanto condividevano i loro problemi e la loro sol<strong>it</strong>udine. Devo<br />
anche aggiungere che io non ho mai accettato di fare ‘la persona seria’, perché fondamentalmente sono<br />
sempre stato un grande istrione.<br />
E’ ottimista o pessimista sul futuro della psichiatria?<br />
Qualcuno dice che quando nasciamo siamo immersi in un mare di angoscia e di psicosi. Mi sembra che<br />
oggi ci siano stati tanti progressi sia a livello farmacologico sia riguardo alle gente stessa, che è più colta,<br />
più libera da problemi di mera sopravvivenza. I manicomi sono stati chiusi ed io mi r<strong>it</strong>engo fortunato<br />
che questo sia accaduto dopo appena un anno che avevo iniziato a lavorare. Certo all’inizio ci sono state<br />
grandi difficoltà, ma adesso posso dire che ne valeva la pena. Certo le cose potrebbero anche cambiare,<br />
si potrebbe anche tornare al passato, è difficile poter prevedere e programmare il futuro, a meno di non<br />
essere un dio o di mettersi a divinare responsi...<br />
Per molti anni lei ha diretto il Centro di Salute Mentale di Jesi. Quale consiglio darebbe al suo<br />
successore?<br />
Aver il coraggio di non fare niente o, meglio, di fare il meno possibile, perché il servizio va avanti da solo.<br />
Comp<strong>it</strong>o del coordinatore è quello di mettere dove c’è poco e di togliere dove c’è troppo. Con il tempo<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
INTERVISTA AL DR. BUCCI<br />
s’impara. Infine, essere consapevoli che non si costruisce una piramide da solo.<br />
Ha dei rimpianti?<br />
Sì, certo! Ogni venti anni cambi famiglia, ogni trenta quarant’anni cambi lavoro, ogni dieci anni cambi<br />
cagnolino... Come fai a non avere rimpianti? Come fai, ad esempio, a non rimpiangere una giornata passata<br />
qui con voi? Io e molti miei colleghi della mia generazione abbiamo sempre lavorato sull’urgenza,<br />
mentre avrei voluto lavorare di più sui processi di accompagnamento dei percorsi esistenziali, come ad<br />
esempio si fa nella riabil<strong>it</strong>azione.<br />
Termina qui l’intervista con il dr. Bucci, ma non termina la riflessione che essa ha susc<strong>it</strong>ato, riflessione che<br />
potrà essere nutr<strong>it</strong>a dalle tante opere a cui domande e risposte sembravano rimandare più o meno esplic<strong>it</strong>amente,<br />
di cui diamo una parziale e soggettiva bibliografia:<br />
Il libro Tibetano dei Morti; Nemesi Medica di Ivan Illich; Alla scoperta dell’antico Eg<strong>it</strong>to di Brian Fagan; Le<br />
montagne dei faraoni di Zahi Hawass; Antologia di Spoon River di Egdar Lee Master; I m<strong>it</strong>i del nostro Tempo<br />
di Umberto Galimberti; Incontri con uomini straordinari di Georges Gurdjieff; La chimera di Sebastiano Vassalli;<br />
La bellezza e l’inferno di Roberto Saviano; L’anello di re Salomone di Konrad Lorentz; I King. Il libro dei<br />
Mutamenti.•<br />
Marisa<br />
DALLA LOMBARDIA<br />
ALLE MARCHE<br />
Ho sessantatré anni. Sono mamma felice di tre figli<br />
e nonna fortunata di un nipotino, Franco, che<br />
è la gioia di casa. Io sono originaria dell’interland<br />
milanese, Nerviano, a 15 Km da Milano. Milano<br />
non è stata una c<strong>it</strong>tà di mio gradimento, perché<br />
troppo caotica: le persone ti guardano, ma non<br />
ti vedono, prese dalla loro v<strong>it</strong>a. Ho ab<strong>it</strong>ato in un<br />
paesotto, case vecchie e fatiscenti, persone grette<br />
e ignoranti.<br />
Ho conosciuto mio mar<strong>it</strong>o il 12 ottobre del 1970,<br />
alla discoteca “Il Sole”, in Piazza Duomo. Era una<br />
giornata soleggiata e, per l’occasione, mi ero preparata<br />
con una mise di pantaloni e una maglietta,<br />
che faceva vedere un ampio decolté. Mi ero truccata<br />
ed ero bionda, capelli lunghi giù sulle spalle.<br />
Io sono molto miope, porto gli occhiali, ma quella<br />
domenica fatidica me li ero tolti e, ovviamente, ci<br />
vedevo poco… Appena mi sedetti ad un tavolo<br />
con una mia collega, dopo due minuti questa mi<br />
dà una gom<strong>it</strong>ata e mi dice: “Guarda che bel ragazzo!”<br />
Il ragazzo mi si avvicina, mi fa un inchino e mi<br />
dice: “Signorina, permette un ballo?” Non credevo<br />
ai miei occhi e mi sembrava un miracolo che aves-<br />
se scelto proprio me!<br />
Il primo ballo fu un lento ed il secondo fu uno<br />
shake. Il “bel ragazzo” mi chiese come mi chiamavo.<br />
Quando dissi “Marisa”, gli sfuggì un’esclamazione,<br />
dicendo: “Che nome comune!” ed aggiunse<br />
con enfasi: “ Io mi chiamo Fabio.”<br />
Siamo stati assieme tutto il pomeriggio, parlando<br />
di noi due e Fabio mi raccontò che gli era morto<br />
un fratello di vent’anni, di leucemia virale acuta, l’8<br />
giugno del 1966. Si era parlato della possibil<strong>it</strong>à<br />
di fare un trapianto di midollo: Fabio era compatibile<br />
e disposto ad aiutare il fratello , ma non si<br />
fece nulla, perché Elvio, fratello minore di Fabio, si<br />
spense un pomeriggio, dopo aver scostato il lenzuolo<br />
e mostrato a Fabio, che gli teneva la mano, il<br />
suo corpo pieno di ematomi. Per Fabio la perd<strong>it</strong>a<br />
del fratello fu un trauma e ancora oggi, parlandone,<br />
si emoziona. Al momento di separarci, il “bel<br />
ragazzo” mi chiese il mio numero di telefono, che<br />
scrisse su una scatola di fiammiferi. Io gli feci notare<br />
che, quando avesse buttato la scatola, sarebbe<br />
rimasto senza il mio numero di telefono. Invece il<br />
lunedì sera, con mia grande meraviglia, mi chiamò<br />
e ci prendemmo accordi per andare al cinema il<br />
sabato successivo. Io mi ero messa le ciglia finte,<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 25
ma una mi si staccò, evidentemente l’avevo messa<br />
male. Al r<strong>it</strong>orno ci scambiammo un lungo e tenero<br />
bacio: non riuscivamo a distaccarci!... Fabio ab<strong>it</strong>ava<br />
a Vimercate, dove lavorava all’IBM come programmatore<br />
ed aveva messo a punto un programma<br />
guadagnandosi una medaglia d’oro. Fulvio è molto<br />
intelligente. Il sabato pomeriggio lo trascorrevamo<br />
nel suo appartamento e fu lì che facemmo<br />
l’amore per la prima volta! Una sera lo presentai<br />
ai miei familiari e, quando uscimmo da casa, lui si<br />
accese una sigaretta ed io capii che si era emozionato.<br />
Una domenica decidemmo di andare a<br />
Torino, al salone dell’automobile, perché Fabio<br />
voleva cambiare macchina, aveva la Cinquecento.<br />
Ci recammo al parco Valentino: eravamo seduti su<br />
una panchina a baciarci, quando ci raggiunse una<br />
signora che ci disse di allontanarci. Durante il viaggio,<br />
Fabio, guardandomi negli occhi, mi disse: “Tesorino,<br />
mangia la brioscina!” e pensai che fosse un<br />
ragazzo dolce. Ci recammo a Lugano in Svizzera e<br />
gli chiesi se mi facesse guidare la sua Cinquecento:<br />
evidentemente si accorse che non ero una brava<br />
autista, perché tenevo la mano sul freno a mano! A<br />
Lugano prendemmo una cioccolata, guardammo<br />
le vetrine piene d’oro e passeggiammo in un parco.<br />
Io portavo un bel soprab<strong>it</strong>o e, siccome tenevo<br />
una mano in tasca, Fabio mi disse con mia sorpresa:<br />
“Marisa, ti si rovina il soprab<strong>it</strong>o!?” Io gli risposi:<br />
”devi avere un carattere tormentato!” E, dalla sua<br />
reazione di sorpresa, capii che lo era veramente;<br />
poi mi strinse a sé e mi diede un bacio. Un giorno<br />
mi disse che voleva farmi un regalino: io scelsi un<br />
fermacapelli, mi accontentavo di poco. Finalmente<br />
arrivò il giorno che mi volle regalare l’anello di<br />
fidanzamento, a Milano, in Galleria, piena di sfavillanti<br />
negozi, tutti molto chic.<br />
Entrammo in una gioielleria ed io acquistai un<br />
anello in oro bianco, su cui era montato un brillante,<br />
di cui conservo ancora il certificato di purezza<br />
al 100% e che costò 500 mila lire. Fabio mi parlò<br />
della sua mamma, dicendomi che era una brava<br />
sarta. Una domenica pomeriggio decidemmo di<br />
passare una settimana a casa dei futuri suoceri, a<br />
Moie, nelle Marche. Alla stazione, mentre aspettavamo<br />
che il treno partisse, Fulvio mi guardava con<br />
due occhi dolci e un po’ malinconici, che mi fecero<br />
pensare ad un cucciolo. Quando scendemmo<br />
dal treno, c’erano i miei futuri suoceri e, se devo<br />
essere sincera, l’aspetto della mamma mi lasciò<br />
26<br />
delusa. E non mi sbagliavo, perché mi diede successivamente<br />
molto filo da torcere. Durante quel<br />
primo soggiorno a Moie, ero andata in campagna<br />
ed avevo raccolto un mazzo di tulipani spontanei.<br />
Quando li vide, mia suocera mi apostrofò dicendomi:<br />
“Ma i fiori sporcano!” Sempre durante il<br />
primo soggiorno, la mia futura suocera al mattino<br />
andava in campagna di buon’ora, dove aveva delle<br />
gabbie con i conigli, e tornava a casa alle dieci.<br />
Non mi preparava nemmeno un caffè per colazione<br />
ed io non sapevo dove tenesse la moka ed<br />
il caffè stesso. Devo riconoscere che mia suocera<br />
aveva una qual<strong>it</strong>à: era una grande lavoratrice, faceva<br />
appunto la sarta, però era molto nervosa e<br />
picchiava spesso i figli, tanto è vero che Fabio ogni<br />
tanto doveva scappare di casa. Quando le chiesi<br />
perché picchiava i figli, mi rispose: “Perché sono<br />
nervosa!” Io invece non ho mai picchiato i miei tre<br />
figli! Una volta, dovendo io venire io a Jesi per fare<br />
un prelievo di sangue, le affidai Andrea, che aveva<br />
poco più di un anno. Era estate e faceva molto<br />
caldo. Al r<strong>it</strong>orno vedo mia suocera che zappava<br />
come una forsennata nell’orto e, dietro a lei, c’era il<br />
piccolo Antonio, tutto sudato, che piangeva a più<br />
non posso. Durante quel soggiorno a Moie scrissi<br />
una lettera molto romantica al mio futuro mar<strong>it</strong>o.<br />
Ci sposammo il 31 maggio del ’71. Io avevo un<br />
ab<strong>it</strong>o bianco molto bello, che metteva in mostra la<br />
mia silhouette, pesavo 53 kg, ed un cappello cuc<strong>it</strong>o<br />
artigianalmente, che mi era costato parecchio.<br />
Durante la cerimonia non ero emozionata, mentre<br />
Fabio e la mamma mostravano in viso un’espressione<br />
tirata.<br />
All’interno delle fedi, in oro bianco, c’era scr<strong>it</strong>to il<br />
nome del partner e la data. Facemmo il viaggio di<br />
nozze in Jugoslavia. Il cielo era sempre terso, d’un<br />
azzurro intenso, mentre il mare di un verde smeraldo.<br />
Mangiavamo quasi sempre pesce. Al r<strong>it</strong>orno<br />
viaggiammo su un traghetto e ci fermammo per<br />
qualche giorno dai miei suoceri. Un giorno sentii<br />
la mia suocera dire a mio mar<strong>it</strong>o con fare risent<strong>it</strong>o<br />
che non sapevo fare niente. Mi aveva già etichettata<br />
senza conoscermi! Era vero, però io pensavo<br />
che nessuno nasca maestro e che con la volontà<br />
e l’intelligenza si riesca a fare parecchio. Avevo<br />
proprio ragione sul carattere di mia suocera, che si<br />
mostrò dura, tirchia, gelosa, nevrastenica e molto,<br />
molto invadente. La conoscevano tutti come tirchia<br />
in tutto il paese.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
Pamela Focante<br />
I MIEI PUNTINI SULLE I<br />
Ho fatto una scoperta un circa due anni fa, che ha<br />
cominciato a susc<strong>it</strong>armi molta paura. Ho scoperto<br />
di aver vissuto per molto tempo con… i puntini<br />
sulle i. Quel puntino sopra quella lettera così dr<strong>it</strong>ta<br />
e ferma l’ho disegnato nel corso della mia v<strong>it</strong>a<br />
sempre più forte, calzando la penna, tanto che un<br />
cerchietto perfetto o quasi perfetto stava diventando.<br />
Tutto questo duro lavoro per rendermi perfetta<br />
e intransigente verso me stessa e gli altri e<br />
le ingiustizie, un bel giorno è andato scemando e<br />
non è stata sub<strong>it</strong>o una bella sensazione per una<br />
come me, cresciuta con il m<strong>it</strong>o della figlia perfetta.<br />
Le mie tranquillizzanti i con i puntini sopra hanno<br />
cominciato a non avere più la stessa sembianza. I<br />
puntini li sentivo che si stavano sbiadendo o magari<br />
erano mezzi storti o non allineati alla lettera<br />
e giorno dopo giorno ho allentato le corde ed è<br />
usc<strong>it</strong>a una vocale nuova dal suono africano, indiano,<br />
peruviano, giapponese… Il mio <strong>it</strong>aliano perfetto<br />
non è stato più lo stesso da quel momento<br />
in poi.<br />
Tutto è cominciato nel febbraio del 2008. Stavo<br />
cercando nuovi contatti per uscire di casa, visto<br />
che passavo le giornate ad imbottirmi di ansiol<strong>it</strong>ici<br />
e aggrapparmi alle coperte arrotolata sul divano.<br />
Avevo letto su un s<strong>it</strong>o internet che a Jesi c’era un<br />
gruppo di ragazzi che si erano un<strong>it</strong>i per formare<br />
una cosiddetta “piattaforma virtuale”, dove scambiarsi<br />
idee, diventare “amici” e soprattutto lottare<br />
conto il sistema economico e sociale marcio nel<br />
quale stiamo vivendo. Ho cominciato a frequentare<br />
di persona questo gruppo, ma mi accorgevo<br />
sempre più che, nonostante le loro battaglie fossero<br />
piene di senso, io da parte mia mi sentivo<br />
sempre più strana. In loro era già nata da tempo<br />
la gemma dell’odio e me ne resi conto una sera<br />
in particolar modo. Resami conto di questo, mi è<br />
stato difficilissimo distaccarmi da quelli che io già<br />
chiamavo “i miei amici”. Mi ero affezionata molto a<br />
tutti loro ed avevo iniziato con loro a lottare per<br />
un mondo migliore e poco non era. Ma purtroppo<br />
quei ragazzi e quelle ragazze capivo che in fondo<br />
in fondo erano presi solo dalla rabbia; sentivo le<br />
loro fer<strong>it</strong>e e la loro voglia di riscatto che andavano<br />
ben oltre le lotte per svegliare le coscienze ad-<br />
dormentate e divulgare la ver<strong>it</strong>à sulla s<strong>it</strong>uazione<br />
disastrosa della pol<strong>it</strong>ica <strong>it</strong>aliana; con il tempo ho<br />
cap<strong>it</strong>o che alla radice del loro profondo impegno<br />
per la lotta alla corruzione globale c’erano storie<br />
di famiglie difficili e ognuno di loro soffriva profondamente<br />
per s<strong>it</strong>uazioni personali.<br />
Per parecchio tempo, circa un anno dalla mia usc<strong>it</strong>a<br />
dal gruppo, sono sincera, ho odiato ognuno di<br />
loro, tanto forte l’odio quanto il bene che avevo<br />
voluto loro e che continuavo a nutrire. Ma pian piano,<br />
anche grazie alla psicoterapia, che faccio ormai<br />
da più di sedici anni, ho cominciato lentamente a<br />
spostare l’attenzione su me stessa, a vedere quei<br />
miei amici per quelli che erano: ed erano e sono<br />
solo dei giovani arrabbiati. Le mie i ora sono senza<br />
più quei puntini sopra così ingombranti, sono<br />
quasi spar<strong>it</strong>i e vivo molto meglio. Questo mondo<br />
non è giusto, i pol<strong>it</strong>ici sono arroganti e senza scrupoli,<br />
ci hanno distrutto il sogno per un futuro, un<br />
lavoro stabile, una speranza per dar da mangiare al<br />
frutto di un amore, hanno distrutto l’ambiente cementificando<br />
ogni angolo di paradiso. Tutto vero,<br />
tutto inequivocabilmente vero, ma un punto non<br />
funzionava nella lotta dei miei cari amici: nel loro<br />
sangue era entrato l’odio. Tutto quell’odio, per una<br />
come me che ama aiutare gli altri, che mette l’amicizia<br />
al primo posto forse ancor prima dell’amore,<br />
che ama punti forti di contatto e confronto, che<br />
costruisce ponti di solidarietà o almeno ci prova,<br />
non ha fatto altro che abbruttirmi e avvelenarmi<br />
il cuore. Allora lottare sì, lottare sempre contro<br />
le prepotenze e le ingiustizie, ma ho imparato la<br />
lezione: la lotta più efficace è quella che si fa con<br />
il cuore libero e l’aiuto verso se stessi e gli altri è<br />
quello senza i puntini sulle i, perché quei puntini<br />
pesano e nessuno credo possa prendere il volo,<br />
forse neanche un’aquila reale con un carico sulle<br />
ali piena di puntini sulle i. Prima o poi cadrebbe<br />
a terra, sbranata poi da un branco di quadrupedi.<br />
Preferisco essere un delfino, preferisco comunicare<br />
e se anche i delfini hanno delle i molto acute nei<br />
loro richiami, sono però lì a dirci qualcosa e non<br />
a rimproverarci. Loro sì, che sono intelligenti. Ecco<br />
vorrei essere un delfino, magari con le mie i, ma<br />
senza troppi puntini. Voglio nuotare libera. Spero<br />
di riuscirci un giorno.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 27
S<br />
SPECIAE<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
Organizzato dalla rassegna “Malati di niente” 2010, un convegno sul tema della paura, svoltosi da marzo a<br />
maggio in quattro incontri, tenuti da prestigiosi rappresentanti del mondo intellettuale presso l’Aula Magna<br />
della Fondazione Colocci, ad eccezione del primo incontro tenutosi presso il Palazzo della Signoria. La ricchezza<br />
di spunti, osservazioni e riflessioni obbligava la loro raccolta nelle sintesi dei nostri curatori.<br />
LA PAURA NELL’ARTE E<br />
NELLA LETTERATURA<br />
Stefano Benni, scr<strong>it</strong>tore e poeta, ha parlato della paura come di un sentimento fondamentale per la psiche<br />
dell’uomo e di come questa permea l’arte e letteratura da sempre. Ha parlato inoltre di tante altre cose che<br />
non è possibile rendere in un articolo e che dunque non troverete nelle righe sottostanti: la menzogna, il<br />
dilatarsi dell’informazione che ci ingoia nell’attual<strong>it</strong>à e ci fa perdere la profond<strong>it</strong>à storica delle fals<strong>it</strong>à, di cui<br />
avremo coscienza magari solo tra 20-30 anni, e poi la TV che ci guarda e Internet bifronte, grande possibil<strong>it</strong>à<br />
di libertà e anima turpe del commercio, la grande menzogna creata dalla tecnologia e da essa smascherata,<br />
che cioè la comunicazione mediatica possa essere “La Comunicazione” e renda inutile il contatto umano.<br />
Benni ci risponde con Arthur Rimbaud, che dice: “Trovo sacro il disordine che sento dentro di me”. Quando non<br />
si riesce più a comunicare, il disordine di Rimbaud ci abbandona, come la giovinezza, lasciandoci ai nostri<br />
conformismi.<br />
A cura di Pamela Focante e Paolo Ripanti<br />
Foto di Laura Zappelli<br />
Benni inizia il suo intervento mettendo sub<strong>it</strong>o in chiaro che la paura è<br />
un sentimento fondamentale della nostra affettiv<strong>it</strong>à, che dunque non<br />
va negato o rimosso, ma al contrario va rivendicato. Dobbiamo essere<br />
in grado di poter ‘scegliere’ la nostra paura, altrimenti altri ci imporranno<br />
paure che non ci appartengono.<br />
Entrando poi più specificamente nel tema, che è quello del ruolo della<br />
Paura nell’Arte e nella Letteratura, lo scr<strong>it</strong>tore bolognese sottolinea<br />
come ogni volta che ci avviciniamo ad una lettura che ci spaventa<br />
emerge una nostra personalissima paura, diversa da lettore a lettore.<br />
Dentro al meccanismo, dentro al sortilegio che collega l’autore al<br />
lettore, c’è un mistero che è nato dall’incontro di due immaginazioni.<br />
Pertanto, non dobbiamo mai pensare che, quando stiamo leggendo<br />
un libro, noi consumiamo in modo passivo l’immaginazione dello scr<strong>it</strong>tore. Siamo lettori ‘unici’, proprio<br />
perché l’immaginazione di ciascuno di noi è unica, costru<strong>it</strong>a negli anni ed ogni lettore, nel leggere, viene<br />
toccato nella sua ‘ombra’, cioè nella sua parte di personal<strong>it</strong>à più oscura e misconosciuta. L’’ombra’ di<br />
ognuno di noi sarà toccata in modo diverso e da parti diverse della narrazione, susc<strong>it</strong>ando così personali<br />
paure diverse oppure non susc<strong>it</strong>andole affatto. Dunque lo scr<strong>it</strong>tore con la sua opera tenta di far emergere<br />
la paura e, quando ci riesce, riesce a comunicare i suoi sentimenti per stupire e attrarre il lettore.<br />
L’Inferno di Dante vuole spaventarci anche se è un Inferno etico, è un viaggio inquietante. Vathek di<br />
Beckford è altrettanto spaventoso, è anch’esso un viaggio, delirante, che porta il protagonista sempre<br />
all’Inferno (mussulmano), ma sicuramente si tratta di inferni diversi, susc<strong>it</strong>ando ognuno sentimenti diversi<br />
nei lettori.<br />
La Paura può essere discorsiva, se ne possiamo parlare con qualcuno, mentre è ossessiva quando non<br />
28<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
S<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
SPECIAE<br />
riusciamo a condividerla realmente con nessuno. In Edgard Allan Poe, nota Stefano Benni, troviamo tutte<br />
le diverse gradazioni della paura, da quella discorsiva a quella ossessiva fino alla ‘paura di sparizione’,<br />
cioè alla paura in cui si resta soli.<br />
La Paura è legata all’Immaginazione, per questo non spaventa tutti e non spaventa allo stesso modo,<br />
dipendendo da cosa la paura va a sfiorare della nostra ‘ombra’, come sopra si diceva. Per questo, ad esempio,<br />
ci sono paure chiamate fobie, come la paura dei ragni o aracnofobia: Benni ci dice che lui non ha di<br />
queste paure, nutrendo molto più spavento per le decisioni che prendono i nostri pol<strong>it</strong>ici.<br />
Tutto ciò è poeticamente espresso nell’’Aleph’,<br />
celebre e misterioso racconto di Borges,<br />
dove immaginazione e paura, appunto, si tirano<br />
l’una all’altra, dove l’aleph, ovvero uno<br />
dei punti dello spazio che contengono tutti<br />
i punti’ ovvero ‘il luogo dove si trovano, senza<br />
confondersi, tutti i luoghi della terra, visti<br />
da tutti gli angoli’ ovvero, dice Benni, l’archivio<br />
reale e poi mentale che ci circonda.<br />
E’ una storia che tutti conosciamo, ma che<br />
tutti viviamo in una maniera unica attraverso<br />
la nostra immaginazione. L’hapax, parola<br />
di origine greca, è una forma linguistica che<br />
significa parola o espressione che compare<br />
una sola volta, in un testo o nell’opera di un<br />
autore o nel sistema letterario di una lingua.<br />
Fondamentalmente gli hapax sono parole rare.<br />
Benni dice che, se parliamo della favola di Capuccetto Rosso, l’aleph raprresenta la conoscenza uguale<br />
per tutti dello svolgimento della favola ma, se chiedessimo ad ognuno che cosa gli piace o meno di essa,<br />
avremmo risposte diverse, parole rare: questo è l’hapax. E’ così che il lettore è l’immaginatore unico, il<br />
modo di scrivere e di leggere è unico, il modo di sorprendersi, spaventarsi o fuggire da un’opera d’arte<br />
è assolutamente unico.<br />
Gaston Bachelard, filosofo francese, ha dedicato la seconda parte della sua ricerca ad uno studio approfond<strong>it</strong>o<br />
dell’immaginario poetico. Nel Dormeur éveillé dichiara che la nostra appartenenza al mondo<br />
delle immagini è più forte, più cost<strong>it</strong>utiva del nostro essere rispetto alla nostra appartenenza al mondo<br />
delle idee. Per questo incoraggia i suoi lettori al fantasticare, alla r^everie, al lasciarsi andare ad evocazioni<br />
ispirate dalla ‘fiamma di una candela’. Dunque Bachelard, nota Benni, ha cercato di analizzare la<br />
paura in modo scientifico, perché in lui ci sono dei principi fisici, delle parole, delle leggi che governano<br />
il mondo, di cui fa parte il mondo dell’immaginazione. Un esempio ne è il verbo es<strong>it</strong>are.<br />
Capuccetto Rosso di fronte al Lupo es<strong>it</strong>a (chi ha veramente di fronte?) e la sua es<strong>it</strong>azione non è altro che<br />
questo bellissimo movimento della paura, che genera un’emozione tutta da vivere in modo personale e<br />
autentico, nonostante possa essere incomprensibile e contradd<strong>it</strong>oria. Dunque, nel mondo della paura, si<br />
es<strong>it</strong>a perché esso è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o di una sostanza sconosciuta.<br />
Al contrario, nel mondo dei cartoni animati, dell’onnipotenza plastica, la qual<strong>it</strong>à che balza agli occhi è il<br />
meraviglioso, dove mai si muore e dove il lieto fine è la regola. Tutto ciò, però, si paga con l’annullamento<br />
della componente personale, perché non esiste più la paura e tutto può risolversi, come per Willy Il<br />
Coyote. E’ un mondo che va accettato così com’è... senza es<strong>it</strong>are, dunque senza paura.<br />
Secondo Benni l’abil<strong>it</strong>à dello scr<strong>it</strong>tore, la sua arte è viva e presente là dove riesce a mantenere nel lettore<br />
quella tensione in continua evoluzione, che risuona nella sua immaginazione, tanto da spingerlo a<br />
rileggere più volte lo stesso racconto, che però viene connotato di volta in volta di spunti sempre diversi.<br />
Rileggere dei testi significa es<strong>it</strong>are su di essi: dunque la lettura stessa contiene un’altra es<strong>it</strong>azione perché<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 29
S<br />
SPECIAE<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
il testo si trasforma, come ad esempio succede a Benni quando legge e rilegge i Del<strong>it</strong>ti di via della Morgue<br />
in Allan Poe. Si es<strong>it</strong>a sull’assassino che , forse, non è umano. A sua volta l’investigatore è razionale, ma<br />
nello stesso tempo è delirante, così il lettore es<strong>it</strong>a ed ha paura.<br />
C’è poi la paura del buio. Benni rileva che in 50-60 anni il mondo è cambiato da quando lui era bambino<br />
e viveva in un paese di montagna. Da allora l’uomo illumina sempre di più le sue notti, dove un tempo<br />
meglio si annidava la paura che derivava dall’assenza di luce, cioè dal buio. Oggi vige il contrario del buio,<br />
c’è troppa luce, tutto é visibile, niente è lasciato all’immaginazione. Benni racconta che lui è nato al lume<br />
di candela e che, quando questa si spegneva per un colpo di aria, il buio r<strong>it</strong>ornava sovrano e con esso la<br />
paura. Ben diversa è la paura che si prova quando si sa che in un attimo si può accendere la luce premendo<br />
l’interruttore! E poi c’è quella striscia di luce che filtra da sotto la porta chiusa, ma che è destinata ad<br />
aprirsi: si ha paura di chi o cosa può uscire. Alien fa paura finché non si vede! Le tracce fanno paura più<br />
del suo proprietario. Una volta, nell’epoca delle candele, la nostra<br />
razional<strong>it</strong>à era lim<strong>it</strong>ata all’alone di luce che frenava il buio e<br />
l’ignoto. Oggi c’é una luce che fa svanire completamente il buio<br />
e l’immaginazione è come distesa su un tavolo operatorio, dove<br />
tutto deve essere completamente illuminato e dove il buio non<br />
deve esistere. Ciò comporta che tutto ciò che facciamo è visto da<br />
altri come nel romanzo di Phillip Dick “A scanner darkly” (Scrutare<br />
nel buio), dove il protagonista vive in una casa dove tutto<br />
è ripreso da telecamere e scrutato da altri. Lo scr<strong>it</strong>tore scherza<br />
sulle cose che gli fanno paura così da esorcizzarle. Benni dice che<br />
parla spesso dei pol<strong>it</strong>ici, di cui ha paura, per questo motivo!<br />
Anche il Potere (cioè il pol<strong>it</strong>ico) ha paura di certi linguaggi che<br />
possano renderlo ridicolo. Il Potere ha bisogno del linguaggio<br />
della propaganda, in modo da creare un corto circu<strong>it</strong>o tra potere<br />
e informazione: ciononostante quelle 2-3 persone che non<br />
lo hanno in simpatia e su cui la propaganda ha fall<strong>it</strong>o, non può<br />
tollerarle, lui che tollera tutto. Questa è la grande paura di chi ha<br />
il potere: la paura di perdere il controllo.<br />
E poi c’è la paura dell’amore, del piacere, dell’avverarsi dei propri sogni.<br />
Poi ci sono le paure ingiustificate. In un paese del bergamasco, dove la Lega ha l’89% dei voti, non c’è un<br />
immigrato: “Ma allora di che cosa hanno paura?”, si chiede provocatoriamente Benni. Oppure: nell’immaginario<br />
pubblico gli albanesi sono più pericolosi degli operatori finanziari che hanno distrutto le nostre<br />
economie! Viviamo in un mondo dove tutti ti dicono tante volte che ‘devi avere paura’ di qualcuno o<br />
qualcosa ed allora la paura si pietrifica nel pregiudizio. Kubrik, con film come Full Metal Jacket, Arancia<br />
Meccanica, Shining, ha sempre parlato di paure venti anni prima degli altri, che poi sono le paure che<br />
gli altri ci impongono. La paura dei diversi, la paura delle responsabil<strong>it</strong>à: occorre che esse siano rappresentate<br />
dal punto di vista artistico, perché uno scr<strong>it</strong>tore deve<br />
parlare contro il Potere, non potendo lim<strong>it</strong>arsi a scrivere solo<br />
di costume. L’ultima paura lanciata dai media è la paura della<br />
fine del mondo: fare film, libri sulla fine del mondo non è<br />
certo la responsabil<strong>it</strong>à che Benni vorrebbe dagli artisti, se in<br />
queste opere non si tenta di dare un contributo alla risoluzione<br />
dei problemi che stanno alla base delle tante catastrofi,<br />
che si abbattono sul pianeta a causa dell’inquinamento<br />
ambientale e dei mutamenti climatici indotti dalle attiv<strong>it</strong>à<br />
dell’uomo.•<br />
30<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
S<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
SPECIAE<br />
IL MITO DELLA PAURA<br />
Il professor Umberto Curi, filosofo, ha già partecipato ad eventi organizzati dal DSM di Jesi, essendosi creata<br />
una collaborazione che va oltre il mero interesse speculativo per i grandi temi generali che interessano l’Uomo.<br />
La sua esposizione, apparentemente semplice e lineare, rende ragione della compless<strong>it</strong>à del pensiero greco<br />
e della sua attual<strong>it</strong>à, soprattutto in rapporto a problematiche che hanno a che fare con la salute mentale,<br />
con l’angoscia e la paura, sentimenti questi ultimi che sembrano pervadere sempre di più le nostre società.<br />
A cura di Pamela Focante e Paolo Ripanti<br />
Foto di Laura Zappelli<br />
“Il m<strong>it</strong>o della paura”, t<strong>it</strong>olo dell’intervento di Curi, si presta a due interpretazioni: I- la paura è, in realtà,<br />
m<strong>it</strong>o, cioè funzione di carattere letterario, il che equivale a dire che la paura non c’è; II- il termine ‘m<strong>it</strong>o’ è<br />
adoperato nel suo significato etimologico, secondo cui mythos sta per ‘racconto’, ‘narrazione’.<br />
In tutta la fase arcaico-classica, ‘mythos’ e ‘logos’ (parola, discorso, pensiero) sono termini perfettamente<br />
equivalenti: Curi sottolinea come, in origine, non ci fosse contrapposizione tra il ‘discorso logico’, il cui<br />
contenuto è vero (logos) e il discorso fantastico (mythos). Quando Ulisse, da astuto falsificatore della<br />
realtà, come ce lo descrive Omero, fa un discorso, il suo discorso è mythos, perché vende discorsi fantastici;<br />
come quando, sempre nel poema omerico, è<br />
il re di Troia Priamo a parlare, questa volta però<br />
con assoluta ver<strong>it</strong>à. Sempre si tratta di racconto,<br />
narrazione che, indifferentemente, può essere<br />
vero o falso.<br />
Parlare, dunque, del ‘m<strong>it</strong>o della paura’ vuol significare<br />
parlare dei modi diversi di come è<br />
stata raccontata la paura, non importa se siano<br />
falsi o veri. Esistono tante narrazioni nel mondo<br />
greco che evocano la paura, ma Curi prima propone<br />
un problema di base riguardo a questo<br />
sentimento. La paura ha soltanto connotazioni<br />
negative? Siamo sicuri di questo? Oppure la<br />
paura è un’emozione profondamente ambivalente<br />
dove, accanto allo stato a volte paralizzante<br />
che induce, emerge un qualcosa di più complesso?<br />
In amb<strong>it</strong>o filosofico, Curi ci ricorda che per Kant, filosofo tedesco, “La paura è la voce di Dio alla quale<br />
tutti gli animali obbediscono”. Kant intende dire che la paura è un comune denominatore che unisce<br />
tutti gli esseri viventi, piante, animali e uomini. E’ dunque un’esperienza che sembrerebbe naturale, ma<br />
che naturale non è, almeno per Kant. Infatti, se “la paura è la voce di Dio a cui tutti gli esseri viventi obbediscono”,<br />
essa non è mai una scelta bensì un’emozione che s’impone. La paura, dunque, sentimento<br />
d’origine sovrannaturale che ci sovrasta, pretende obbedienza: essa rimanda a scenari che oltrepassano<br />
la condizione umana e con cui ci può mettere in comunicazione.<br />
A questo punto Curi nota che ciò che dice Kant aumenta i nostri interrogativi riguardo alla paura. In<br />
amb<strong>it</strong>o psicologico, la paura viene descr<strong>it</strong>ta come un istinto primordiale, innato negli uomini, ad esso<br />
connaturato: essa non appartiene ad un’epoca degli uomini piuttosto che a un’altra, ma fa parte del processo<br />
di generazione dell’uman<strong>it</strong>à. Essa è, inoltre, un meccanismo di difesa che stimola (processo generativo<br />
e non solo degenerativo) una risposta (e la risposta è aggressiva, cioè distruttiva). Per questo Curi<br />
dice che la paura deve essere elaborata per la sua cost<strong>it</strong>utiva ambivalenza, racchiudendo in sé aspetti<br />
negativi (di sofferenza) e, nello stesso tempo, pos<strong>it</strong>ivi (di generazione).<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 31
S<br />
SPECIAE<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
Però, il Nostro non può essere soddisfatto né dalla ricerca filosofica kantiana né da quella psicologica,<br />
perché lo statuto della paura rimane ancora irrisolto. Curi, a questo punto, propone un percorso alternativo<br />
che risale alla tradizione occidentale e che utilizza lo strumento del m<strong>it</strong>o.<br />
I greci identificavano la paura con una semidivin<strong>it</strong>à, ‘Phobos’, che si accompagna sempre a ‘Deimos’, il<br />
‘Terrore’. I due personaggi sono inseparabili,<br />
sono un’endiade. Nella cultura latina essi si<br />
traducono in Pavor e Metus ed anche per i<br />
latini l’espressione è indisgiungibile (Pavor<br />
ac Metus). Curi attira l’attenzione sul fatto<br />
che i m<strong>it</strong>i veicolano concetti estremamente<br />
attuali e per questo sono ancora presenti e<br />
vivi nella v<strong>it</strong>a moderna e nelle scienze. Basti<br />
pensare alle ricerche sul sistema solare dove,<br />
anni fa, sono stai scoperti i due satell<strong>it</strong>i di<br />
Marte, chiamati appunto Phobos e Deimos.<br />
Qual è la personal<strong>it</strong>à di quest’endiade? Si<br />
tratta di due fratelli gemelli, figli di Afrod<strong>it</strong>e<br />
(Venere per i latini), dea dell’amore, della bellezza,<br />
della fecond<strong>it</strong>à e della procreazione.<br />
Come può la paura essere figlia dell’amore? Chi è il padre dei gemelli? Afrod<strong>it</strong>e è sposa di Efesto (Vulcano<br />
per i latini), ma ha una relazione sessuale con Ares (Marte), che significa ‘danno’, ‘violenza’. Dunque la<br />
paura è figlia dell’amore e della violenza, della bellezza e della guerra. Nel codice genetico della paura<br />
compaiono entrambi i gen<strong>it</strong>ori, l’una come forza che unisce, l’altro come energia di massima repulsione<br />
e di divisione. Come fanno a stare assieme? In realtà nella tradizione culturale occidentale la sintesi di<br />
amore e guerra non è eccezionale, ma caratterizza tutto lo sviluppo del suo pensiero. Freud, dopo che<br />
ebbe in cura molti pazienti che avevano combattuto la prima guerra mondiale, mutò opinione riguardo<br />
all’energia che spinge la v<strong>it</strong>a degli uomini. Non più solo il principio del piacere, ‘Eros’, ma anche la<br />
pulsione di morte, ‘Thanatos’ (Al di là del principio del piacere, 1919). Ci sono altri fratelli dei due terribili<br />
gemelli, continua Curi: Eros, Anteros (l’amore non corrisposto) e Armonia. Quest’ultima, anch’essa figlia<br />
della bellezza e della devastazione della guerra, ci fa comprendere come due principi diversi possano<br />
armonizzarsi in un unico soggetto. Secondo il filosofo Massimo Cacciari, l’Occidente ha sempre avuto<br />
grandi difficoltà a pensare all’Armonia (e all’Amore) come sintetizzati in un equilibrio instabile, dinamico<br />
tra due principi opposti, in costante tensione e confl<strong>it</strong>to. In questo senso, la guerra, nella sua opposizione<br />
all’amore, diventa, secondo Curi, un principio trasformatore funzionale alla creazione di nuovi ordini:<br />
tutto ciò è scr<strong>it</strong>to nella genealogia m<strong>it</strong>ologica, a partire dalla fondamentale relazione gen<strong>it</strong>ale, sessuale<br />
e generatrice.<br />
In tale contesto m<strong>it</strong>ologico compare anche una delle figure più inquietanti ed enigmatiche della m<strong>it</strong>ologia<br />
greca, Medusa. E’ sempre stata raffigurata fin dall’antich<strong>it</strong>à e sue rappresentazioni si possono ammirare<br />
anche nei dipinti pompeiani. La Medusa è sempre r<strong>it</strong>ratta di fronte e non di profilo, come vuole la<br />
convenzione classica; ed è sempre accompagnata nelle rappresentazioni da Phobos e Deimos, perché la<br />
Medusa susc<strong>it</strong>a paura e terrore. Ella era figlia di due divin<strong>it</strong>à marine, Ceto e Forco, ed aveva due sorelle,<br />
Steno ed Euriale: tutte e tre erano chiamate Gorgoni, due erano immortali, mentre Medusa era mortale,<br />
ma aveva una tale ‘forza nello sguardo’ che pietrificava chiunque la guardasse negli occhi. Per provocare<br />
questo prodigio o catastrofe, non aveva bisogno di forza né di eserc<strong>it</strong>are violenza... solo lo sguardo!<br />
A questo punto Curi paragona il potere della Medusa all’occhio osservatore, scrutatore, al quale noi<br />
tutti siamo esposti. E’ un occhio pericoloso che ci tiene in soggezione, senza bisogno di utilizzare una<br />
coercizione violenta: la TV, le sue telecamere sparse in tutto il pianeta ed anche nello spazio, Internet e<br />
tutti gli altri innumerevoli mass media, strumenti che consentono di guardare in senso attivo, cioè di<br />
32<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
S<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
SPECIAE<br />
scrutare con forza, appunto come l’antica Medusa. Forse un giorno ci renderanno schiavi? Del resto, non<br />
è un caso forse che al catechismo ci hanno insegnato, fin da bambini, di un dio che esiste, tutto vede, pur<br />
mantenendosi invisibile? George Orwell in “1984” parla del Grande Fratello e del suo occhio elettronico<br />
che domina gli uomini spiandoli in qualsiasi momento. La consapevolezza di essere spiati ci priva della<br />
nostra libertà, riducendoci a schiavi. La storia della Medusa si conclude tragicamente con l’intervento<br />
di Perseo, che riuscì a mozzarle il capo guardandola indirettamente nel proprio scudo, lucido come uno<br />
specchio. Nel famoso quadro di Caravaggio che rappresenta la Medusa c’è un elemento ined<strong>it</strong>o rispetto<br />
a tutte le altre rappresentazioni della Gorgone. L’essere favoloso non solo è bello e terribile, tanto da<br />
incutere spavento, ma è esso stesso spaventato. Che l’artista abbia rappresentato ciò che vedeva Perseo<br />
attraverso lo scudo levigato come uno specchio mentre le mozzava il capo? Con la morte della Medusa<br />
non cessa, però, il potere dello sguardo, che continuerà a pietrificare i malcap<strong>it</strong>ati che lo incontreranno.<br />
Perseo donò infatti la testa mozzata alla dea Atena, che lo affisse sul suo scudo per terrorizzare i nemici<br />
in battaglia. Ma perché lo sguardo della Medusa pietrifica? Da dove trae origine il suo potere, che archetipicamente<br />
si protrae fino ai giorni nostri? Qual è il suo segreto? La risposta che si dà e ci dà il filosofo è<br />
da ricercare nella duplic<strong>it</strong>à, nella doppiezza della Medusa e del suo terribile sguardo.<br />
Infatti la Medusa, secondo alcune fonti, è sempre stata un mostro orrendo con serpenti al posto dei<br />
capelli, con ali d’oro, denti simili a zanne di cinghiale, le mani trasformate in pezzi di bronzo, il corpo<br />
ricoperto di scaglie e poi... quello sguardo! Ma nelle versioni più recenti (Pindaro, Ovidio) la Medusa era<br />
stata considerata una fanciulla bellissima e... spaventosa allo stesso tempo. Era profondamente umana<br />
e bestiale contemporaneamente, aveva tratti femminili, accanto ad altri maschili, era giovane e vecchia.<br />
Rappresenta l’ambivalenza irresoluta ed assoluta. Anche Phobos è simbolo della duplic<strong>it</strong>à: perché generato<br />
da Ares e Afrod<strong>it</strong>e, per il gemello Deimos, per la sua genetica di attrazione e repulsione. Entrambi<br />
portano la paura: dunque la paura non è univoca, ma doppia. Esiste un altro contesto in cui appare Phobos,<br />
nella “Poetica” di Aristotele, appena venti pagine: in quest’opera si può comprendere l’origine ed<br />
il significato della tragedia greca. Da Aristotele sappiamo che l’aspetto essenziale della tragedia non è<br />
dato dai pianti e dalle scene di disperazione, perché ciò che è caratteristico è l’elemento strutturale che<br />
ha a che vedere con la costruzione del racconto: da una condizione di felic<strong>it</strong>à del protagonista si passa<br />
con un rivolgimento radicale (metabolé), inatteso ma verosimile, ad una condizione di infelic<strong>it</strong>à (il nodo<br />
tragico o nemocoré). Aristotele ci mostra un esempio di queste improvvise e fortissime emozioni che<br />
provocano la tragedia greca, utilizzando l”Edipo re” di Sofocle.<br />
Edipo diventa re di Tebe, perché ha ucciso il padre, Laio, senza<br />
saperlo. Sposa la regina , Giocasta, vedova di Laio, senza sapere<br />
che è sua madre. Dal racconto emerge un terribile senso di<br />
angoscia e di paura per gli spettatori che si identificano con la<br />
figura di Edipo: la paura di essere sovrastati da qualcosa che<br />
non si può controllare, perché è un qualcosa che noi potremmo<br />
aver commesso, ma di cui non abbiamo consapevolezza,<br />
ma solo la percezione attraverso un pesante senso di colpa.<br />
Dopo la paura, dal racconto emergono anche i sentimenti della<br />
compassione e della pietà: da questo nodo cruciale emerge<br />
la catarsi, vale a dire la purificazione: in quei momenti di massima<br />
tensione emotiva possiamo finalmente liberarci di Deimos<br />
e Phobos. Curi conclude che i due contesti creati dal pensiero<br />
greco, quello m<strong>it</strong>ologico della Medusa, accompagnata dai due<br />
gemelli della paura e del terrore, e quello filosofico di Aristotele<br />
e della tragedia, certamente non danno una risposta defin<strong>it</strong>iva,<br />
ma ci rendono più consapevoli della compless<strong>it</strong>à dell’emozione<br />
paura, che contiene in sé anche una valenza costruttiva.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 33
S<br />
SPECIAE<br />
PAURA E VIRTUALIZZAZIONE<br />
DELL’ESPERIENZA<br />
Franco Berardi, scr<strong>it</strong>tore e filosofo, analizza in un interessante incontro, il rapporto tra comunicazione sociale<br />
e forme della v<strong>it</strong>a e della sensibil<strong>it</strong>à quotidiana da un punto di vista ecologico ed estetico.<br />
A cura di Paolo Ripanti<br />
Foto di Laura Zappelli<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
Secondo Berardi la società attuale sta vivendo una fase di ridefinizione del rapporto fra due dimensioni:<br />
quella della pol<strong>it</strong>ica, dell’agire pol<strong>it</strong>ico e sociale e quella che si interessa della psiche tram<strong>it</strong>e scienze a<br />
impronta psicodinamica, quali la psicoanalisi. Queste due dimensioni, pur essendo autonome, dalla fine<br />
dell’Ottocento e per tutto il Novecento hanno avuto momenti di interazione e di scambio. Anzi, oggi<br />
sembra che relazioni pol<strong>it</strong>iche, sociali, linguistiche si connettano sempre di più con l’interior<strong>it</strong>à psichica<br />
e con le sue forme di sofferenza psicopatologica, evidenziando come l’affettiv<strong>it</strong>à giochi, comunque, un<br />
ruolo basilare. Berardi inizia la sua analisi partendo dal contributo di Sigmund Freud, espresso nel libro<br />
“Il disagio della civiltà”, dove si sostiene che i miglioramenti portati dal progresso e dalla civiltà nell’amb<strong>it</strong>o<br />
della qual<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a delle persone comportano delle rinunce, che riguardano la pienezza della<br />
comunicazione e la possibil<strong>it</strong>à per l’uomo di esprimere adeguatamente la propria corpore<strong>it</strong>à. La civiltà,<br />
secondo Freud, comporta pertanto una repressione della sfera libidica, intesa nella sua accezione più<br />
ampia, non legata cioè solo alla sessual<strong>it</strong>à, ma a tutta la sfera desiderante dell’uomo. La civiltà implica<br />
necessarie lim<strong>it</strong>azioni. Questa intuizione di Freud ha avuto una funzione interpretativa e conosc<strong>it</strong>iva importantissima<br />
per tutto il Novecento, periodo durante il quale ci si è confrontati con i confl<strong>it</strong>ti provocati<br />
dalla repressione del desiderio nell’amb<strong>it</strong>o della sfera sociale.<br />
Tutto ciò si palesa soprattutto negli anni ‘60 e ‘70 quando emerge acutamente la percezione di un grave<br />
disagio nell’amb<strong>it</strong>o della comunicazione: si comincia dunque a parlare di ‘incomunicabiltà’, cioè di una<br />
progressiva rarefazione delle capac<strong>it</strong>à di parlarsi, di una ‘desertificazione’, dice Berardi, della comunicazione,<br />
intesa in senso affettivo pieno, come capac<strong>it</strong>à di ‘metter in comune’. Al riguardo Berardi propone<br />
di utilizzare l’espressiv<strong>it</strong>à artistica, perché questa è in grado di cogliere prima di altri sensori i segnali<br />
che emergono dal tessuto sociale. Il cinema, ad esempio, degli anni ‘60 di Bergman e Antonioni ha caratterizzato<br />
la sensibil<strong>it</strong>à di quell’epoca. Film come “Persona” e “Deserto rosso” sottolineano il tema della<br />
crescente difficoltà del comunicare tra persone coinvolte nel processo sociale. La sospensione della comunicazione<br />
come effetto, dunque, della repressione che la civiltà ha operato sulla sfera desiderante:<br />
questa è la percezione che si ha del rapporto fra psichismo collettivo e civiltà per tutto il Novecento.<br />
Prendendo spunto dal libro “L’uomo senza inconscio” di Massimo Recalcati, Berardi arriva finalmente a<br />
parlare del nostro tempo. Nel libro, Recalcati si occupa di ripensare l’impostazione freudiana della civiltà<br />
del disagio, per dire che nella pratica psicoanal<strong>it</strong>ica, ma anche in quella psichiatrica e nelle relazioni in<br />
generale, non ci si imbatte più tanto in fenomeni di blocco della comunicazione e in una fenomenologia<br />
nevrotica, ma in forme di esplosione psicotica del comportamento. Ciò coincide con un inf<strong>it</strong>tirsi sempre<br />
più rapido e caotico della sfera comunicativa, un’accelerazione del mondo dei segnali degli stimoli. Secondo<br />
Berardi ci troviamo di fronte ad una trasformazione che riguarda l’agire sociale, pol<strong>it</strong>ico, oltre che<br />
terapeutico, che è tutta da comprendere. Come possiamo avvicinarci a questa nuova fenomenologia di<br />
comportamento contemporaneo? Ancora una volta il campo di riferimento può essere la produzione<br />
e il consumo di arte, che ci può permetter di capire questa nuove emergenze, almeno nei loro aspetti<br />
più significativi. Berardi fa riferimento ad alcune produzioni artistiche contemporanee, che dal punto di<br />
vista di una produzione di massa sarebbero marginali, ma che tuttavia sono molto significative, perché<br />
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S<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
SPECIAE<br />
ci danno il ‘sentimento del tempo’. Dall’analisi di queste opere è possibile trarre elementi che ci aiutano<br />
ad individuare nuove concezioni della genesi della sofferenza contemporanea, da cui dedurre un nuovo<br />
agire pol<strong>it</strong>ico e nuovi strumenti terapeutici.<br />
Il film del cineasta coreano Kim Ki Duk, Time, è per Berardi una buona traccia. Inizia con una storia<br />
d’amore tra due giovani, entrambi molto belli. Ad un certo punto della loro storia lei comincia a nutrire<br />
una paura insopportabile: quella di perdere il<br />
suo compagno, perché si è convinta che quando si<br />
ama si inizia una ricerca, la ricerca dell’altro. Se il suo<br />
uomo cerca l’altro, lei non è l’oggetto del suo amore,<br />
dunque la giovane si pone il problema di diventare<br />
quest’altro, per non perderlo. E’ un film che esce da<br />
schemi usuali, dove i dialoghi sembrano tratti da un<br />
fotoromanzo, pieni di luoghi comuni e di banal<strong>it</strong>à,<br />
ma in realtà è una banal<strong>it</strong>à voluta e sotto di essa<br />
possiamo intravedere una notevole profond<strong>it</strong>à filosofica.<br />
A questo punto lei vuole diventare l’altro<br />
e va dal chirurgo estetico. Si tratta di un film sulla<br />
chirurgia estetica, ma qui l’estetica non è ricercata<br />
come adeguamento del sé ad un ideale di bellezza, ma è intesa come cura di un problema di ident<strong>it</strong>à.<br />
Dopo l’operazione lei si ripresenta da lui, che non la riconosce: per lui lei non è più l’oggetto del desiderio,<br />
ma è appunto un altro che non sa definire, che gli sfugge. Inizia il dramma del non riconoscersi. Inizia<br />
una ricerca e mentre lei torna dal chirurgo, anche lui decide di cambiare i suoi connotati, iniziando così<br />
un’analoga ricerca dell’oggetto perfetto del desiderio, dell’altro perfetto, che, naturalmente, non ha mai<br />
fine.<br />
Ancora un altro film, questa volta di Gus Van Sant sulla psicopatologia adolescenziale. Elephant racconta<br />
una storia vera, dove si parla del massacro avvenuto nella scuola di Columbine nel 1999 (film del<br />
2003) negli USA. Due ragazzi armati di m<strong>it</strong>ra ammazzano tredici persone tra studenti ed insegnanti, con<br />
fredda determinazione, apparentemente senza alcun motivo. Non ci sono accelerazioni nel film né vengono<br />
prospettate ipotesi esplicative sul perché della strage: il film è un agghiacciante documentario dei<br />
fatti accaduti nella realtà. La proiezione si conclude con gli ultimi tredici minuti che vedono i due ragazzi<br />
vest<strong>it</strong>i di nero che uccidono a caso con il sottofondo musicale di “Per Elisa” di Beethoven.<br />
Berardi nota che anche se questo è un episodio estremo, in questi ultimi dieci anni non è stato però<br />
eccezionale. In Finlandia un giovane ha fatto la stessa cosa, uccidendo otto persone per poi suicidarsi:<br />
aveva una maglietta con la scr<strong>it</strong>ta “L’uman<strong>it</strong>à è sopravvalutata”. Nel North Carolina un giovane sud coreano<br />
entra in una scuola, uccide dei coetanei poi torna a casa, registra una sorta di dichiarazione sulla<br />
sua orrenda impresa, esce di nuovo per ammazzare altre persone per un totale di 33 v<strong>it</strong>time innocenti.<br />
Esistono poi innumerevoli altri episodi di omicidio, che in realtà si rivelano essere suicidi mascherati. Berardi<br />
sostiene che tutti questi fatti di cronaca fanno parte di una sintomatologia estrema che va indagata,<br />
perché sfugge al campo della nevrosi freudiana caratterizzata da una sofferenza interiore, in quanto<br />
ci si trova di fronte ad un’esplosione comportamentale, in cui la sofferenza si segnala con clamore e con<br />
grande espressiv<strong>it</strong>à ed aggressiv<strong>it</strong>à, è ipercomunicante e psicotica.<br />
Per Berardi questo cambiamento dell’espressiv<strong>it</strong>à della sofferenza è da ricercare nella tecnologia della<br />
comunicazione, attraverso cui si sono formate le ultime generazioni. A partire dagli anni ‘80 il senso dell’incomunicabil<strong>it</strong>à<br />
lascia il posto ad un ambiente tecnocomunicativo e una sensibil<strong>it</strong>à che Berardi definisce<br />
con due approssimazioni: prima videoelettronica e poi connettiva. Tutto ciò era stato anticipato da<br />
Marshall Mc Luhan già nel 1964 nell’opera Understanding Media, dove mostra come si sia passati dalla<br />
dimensione discorsiva, alfabetica, dalla trasmissione scr<strong>it</strong>ta o orale di una forma di sapere fondata sulla<br />
trasmissione di contenuti in sequenza ad una forma configurazionale. Quando cioè la tecnologia della<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 35
S<br />
SPECIAE<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
comunicazione passa dalla dimensione sequenziale alla dimensione configurazionale, per cui i pensieri,<br />
la sensibil<strong>it</strong>à passano dalla dimensione della cr<strong>it</strong>ica a quella della simultane<strong>it</strong>à m<strong>it</strong>ologica. Di conseguenza<br />
la ragion pol<strong>it</strong>ica cambia: la cr<strong>it</strong>ica è la capac<strong>it</strong>à di distinzione tra il vero e il falso ad esempio e<br />
ciò richiede un tempo lento. Quando invece il tempo si accorcia, la dimensione cr<strong>it</strong>ica viene a mancare,<br />
non c’è possibil<strong>it</strong>à di distinzione cr<strong>it</strong>ica: l’accelerazione della comunicazione è talmente elevata che distinguere<br />
il vero dal falso è impossibile. C’è un’indistinzione, per cui si può solo aderire a configurazioni<br />
m<strong>it</strong>iche che ci seducono, ma non permettono una cr<strong>it</strong>ica. Questa, secondo Berardi, è la forma collettiva<br />
del pensiero attuale. Il tempo di esposizione dell’enunciato è così breve che ci è resa impossibile la<br />
cr<strong>it</strong>ica. La ragion pol<strong>it</strong>ica si dissolve, perché è venuto meno il tempo della comprensione cr<strong>it</strong>ica. Questo<br />
per la pol<strong>it</strong>ica.<br />
E la sofferenza psichica come si manifesta in questa dimensione nuova? Anche nella dimensione psichica<br />
possiamo vedere dei mutamenti: un esempio è rappresentato dall’attentato dell’11 settembre, che<br />
oltre a provocare la morte di migliaia di persone è stato anche un suicidio in cui 19 giovani terroristi, di<br />
fatto, si sono anch’essi ammazzati per compiere la loro azione. Secondo Berardi, gli attentatori non erano<br />
mossi da motivazioni religiose e ciò che va indagata è la loro volontà suicidaria che sottende un desiderio<br />
di morte. Altro esempio: la pol<strong>it</strong>ica della guerra preventiva di Bush, che Berardi definisce il “dottor<br />
Bush”, è una pol<strong>it</strong>ica di morte. Usa la guerra per curare una s<strong>it</strong>uazione di instabil<strong>it</strong>à pol<strong>it</strong>ica che alimenta il<br />
terrorismo come se fosse una malattia. La cura di questa malattia consiste nella diffusione della violenza<br />
attraverso la guerra: così, però, non si fa altro che diffondere il desiderio di morte e quindi di suicidio.<br />
Analogamente anche Putin è un dottore pazzo, che di fronte al suicidio delle cecene dice che perderanno,<br />
perché non hanno futuro: ma è evidente che chi si ammazza non crede nel futuro! Purtroppo non ci<br />
sono solo i terroristi che praticano il suicidio: basti pensare alle 146 persone suicidatesi nell’arco di due<br />
anni presso la Telecom France e la Peugeot, dopo la pol<strong>it</strong>ica di razionalizzazione, di precarizzazione, di<br />
mobbing, in una qualche maniera utilizzata dal padronato francese per mettere a regime i lavoratori<br />
francesi. Basti pensare ai tanti operai <strong>it</strong>aliani che, non avendo più nulla da perdere, mettono in gioco la<br />
loro v<strong>it</strong>a o, quantomeno, minacciano di farlo salendo sui tetti delle fabbriche, incatenandosi ai cancelli,<br />
perché è l’ultima cosa preziosa che è loro rimasta: la v<strong>it</strong>a e questo è l’unico modo per ottenere attenzione<br />
dai media. E che dire della psicopatologia della v<strong>it</strong>a quotidiana attuale? Delle la crisi di panico o dei<br />
disturbi dell’attenzione? Berardi propone di spiegarli<br />
come disturbi da mettere in relazione con un ambiente<br />
dove la tecnologia della comunicazione è profondamente<br />
mutata. “Ma cos’è il panico?”, si chiede il relatore.<br />
Per i greci è “pan”, il tutto, il rapporto con l’universo: è<br />
un’ecc<strong>it</strong>azione estrema della sfera sensibile che va oltre<br />
l’elaborazione cosciente. Ma perché il rapporto con<br />
l’universo, con la natura, fonti di stimoli e dati sensoriali<br />
pressoché infin<strong>it</strong>a, è diventato patologico? Perché deve<br />
essere sedato e curato? La risposta che si e ci dà Berardi<br />
è che tutto ciò è in relazione con l’effetto dell’accelerazione,<br />
della connettivizzazione e della derealizzazione.<br />
Le nuove generazioni si sono e si stanno formando in un<br />
ambiente dove la tecnologia della comunicazione, dei media ha inf<strong>it</strong>t<strong>it</strong>o in modo drammatico gli stimoli<br />
informativi e sensibili che raggiungono la nostra mente, che non è più in grado di elaborarli. Si produce,<br />
pertanto, un’accelerazione della risposta, finché non subentra stanchezza, esaurimento ed ab<strong>it</strong>udine<br />
allo stimolo. Per quanto riguarda la connettivizzazione, Berardi ipotizza che l’ambiente di v<strong>it</strong>a attuale si<br />
presti sempre meno a quella che lui chiama “la congiunzione dei corpi”, corpi di persone cioè che possono<br />
ben intendersi nella sfera dell’analogico, dove l’incontro ha il significato della ricerca dell’altro e dove<br />
però, a differenza di quanto succede nel film Time prima ricordato, c’è la capac<strong>it</strong>à di tollerare l’incertezza,<br />
36<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
S<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
SPECIAE<br />
il non sapersi sempre cosa dirsi esattamente e dove ci sarà la pazienza di doverlo scoprire. Questi, dice<br />
Berardi, “sono i corpi umani da sempre”, che riconoscono il senso della comunicazione, che cercano di<br />
capirsi nell’incontro con gli strumenti che da sempre conosciamo, quali la capac<strong>it</strong>à di socializzazione,<br />
l’attrazione erotica, ecc. L’ingresso della comunicazione dig<strong>it</strong>ale prevede la “desensibilizzazione del sistema<br />
segmentario”, cioè la perd<strong>it</strong>a di quelle abil<strong>it</strong>à sopraccennate, per cui i corpi che si incontrano devono<br />
essere compatibilizzati, come se fossero computer, altrimenti non potranno “interfacciarsi”, cioè non<br />
potranno scambiare dati, non potranno comunicare. Un altro testo c<strong>it</strong>ato da Berardi è quello scr<strong>it</strong>to dalla<br />
filosofa Luisa Muraro nel libro “L’ordine simbolico della madre”, dove ci spiega che l’accesso all’universo<br />
della comprensione passa attraverso la fiducia del corpo della madre, per cui una parola, ad esempio<br />
‘orologio’, corrisponde ad un oggetto, ed io lo so che questo è così, cioè che il segno corrisponda all’oggetto<br />
perché mi é stato garant<strong>it</strong>o dal rapporto con il corpo parlante della madre. E’ l’affettiv<strong>it</strong>à che ci<br />
garantisce il rapporto tra il segno e il significato. E’ affettivo l’accesso al linguaggio. Questo lo sapevano<br />
già gli psicoanalisti, nota ancora Berardi, che passa a parlarci di un altro libro dal t<strong>it</strong>olo “La macchina che<br />
parla e che mostra” dell’antropologa Rose Goldsen, dove si sottolinea come l’uomo, ormai da vari decenni,<br />
stia allevando una generazione che imparerà più parole da una macchina che non dalla madre. Berardi<br />
credeva, qualche anno fa, che fosse la tv la macchina che alleva le nuove generazioni ed invece oggi<br />
sostiene che il riferimento è la macchina connettiva<br />
estesa, che informa non solo la tecnologia della comunicazione,<br />
ma anche il mondo del lavoro, la sfera<br />
dell’affettiv<strong>it</strong>à stessa. Così viene cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a una nuova<br />
psiche umana: un linguaggio che perde rapporto<br />
con l’affettiv<strong>it</strong>à, con la corpore<strong>it</strong>à e che si basa sulla<br />
sfera linguistica ed informatica e che così perde quel<br />
grado di sicurezza dell’interpretazione che la genesi<br />
affettiva garantiva, già fin dal rapporto primordiale<br />
con la madre. Per quanto riguarda l’ultimo punto,<br />
c<strong>it</strong>ato da Berardi, la derealizzazione, questa si giustifica<br />
per il processo di allontanamento del corpo dell’altro<br />
dalla sfera di comunicazione, che sost<strong>it</strong>uisce il<br />
contatto diretto attraverso i nostri sensi con gli strumenti<br />
dig<strong>it</strong>ali. A questo propos<strong>it</strong>o basta pensare al grande sviluppo avuto dai social network, al dilagare<br />
delle immagini a flussi sempre più massicci, alla pornografia via web, dove il rapporto sessuale è esplorato<br />
con minuzia ossessiva: tutto ciò in un progressivo allontanarsi del corpo dell’altro. L’inf<strong>it</strong>tirsi delle immagini<br />
ci allontana dalla realtà che diventa virtuale: con questa tecnologia della comunicazione l’Uomo<br />
si viene a trovare in un ambiente asintotico, dove cioè le immagini si avvicinano progressivamente, ma<br />
dove non è mai consent<strong>it</strong>o il reciproco toccarsi. Viene trasmessa attraverso le immagini un’ecc<strong>it</strong>azione<br />
desiderante (rapporti sessuali compresi), che rappresentano purtroppo solo un desiderio patogeno che<br />
mai si compie. Questo determina un sentimento di impotenza, di inutil<strong>it</strong>à all’impegno che, ogni tanto,<br />
viene interrotto da esplosioni comportamentali psicotiche e dal senso di morte e di suicidio. A questo<br />
propos<strong>it</strong>o Berardi c<strong>it</strong>a il libro “Realismo cap<strong>it</strong>alista” di Mark Fisher, che analizza quella che l’autore chiama<br />
“l’impotenza reflessiva” degli studenti inglesi, che vivono troppo le esperienze virtualizzate e troppo<br />
poco conoscono il loro corpo, la loro affettiv<strong>it</strong>à, il loro erotismo. Nasce allora la sfiducia, la convinzione<br />
che non ci siano alternative ai loro problemi, perché così tutti pensano e, come in una profezia che si<br />
autodetermina, cadono in una spirale viziosa senza usc<strong>it</strong>a.<br />
Berardi conclude sostenendo che non si tratta, però, di combattere le nuove tecnologie della comunicazione,<br />
perché non sarebbe possibile né utile; sarebbe opportuno, invece, all’interno di questa condizione<br />
di dig<strong>it</strong>alizzazione e virtualizzazione dell’esperienze, di fare in modo che l’accelerazione sia felice e la<br />
virtualizzazione introduca alla conoscenza dei corpi e non la renda dolorosamente impossibile.•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 37
S<br />
SPECIAE<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
PAURA E SPERANZA NEL<br />
MONDO DEL LAVORO<br />
Secondo il prof. Enzo Spaltro, medico e libero docente in psicologia del lavoro, sentimenti come la Paura o la<br />
Speranza hanno giocato e giocano tutt’ora ruoli determinanti nella costruzione delle società umane.<br />
A cura di Paolo Ripanti<br />
Foto di Laura Zappelli<br />
Nei secoli la paura è stata sempre utilizzata per assoggettare le classi produttive. Del resto, è anche<br />
facendo leva su questo sentimento, che si sono conquistati terr<strong>it</strong>ori immensi, con la violenza e la sopraffazione,<br />
come ad esempio fecero gli Spagnoli con la conquista del Nuovo Mondo. In questo caso la<br />
paura non era solo legata a problematiche psicologiche, ma riguardava la preoccupazione per la salute<br />
fisica: non dobbiamo dimenticare che gli Inca sono stati distrutti dal vaiolo, prima che dai conquistatori<br />
spagnoli.<br />
Secondo Spaltro, il miglior antidoto del malessere e della paura che lo sostiene è il benessere: “ABBIAMO<br />
BISOGNO DI UN PENSIERO FORTE, BELLO E POSITIVO!”. E per questo vale la pena rischiare con profondi<br />
cambiamenti nei nostri modi ab<strong>it</strong>uali di pensare. Se noi non siamo contenti della s<strong>it</strong>uazione attuale, bisogna<br />
comprendere quali sono le premesse di questa s<strong>it</strong>uazione e poi tentare di modificarle per avere<br />
risultati diversi, cioè migliori. Non è sufficiente, pertanto, basarsi su sentimenti pos<strong>it</strong>ivi in modo generico,<br />
perché non si faranno progressi. Il nostro benessere,<br />
secondo Spaltro, consiste nella capac<strong>it</strong>à<br />
di esprimersi. Imparare a parlare, a dire<br />
le cose, per uscire dal mondo dell’indicibile.<br />
L’indicibile presenta due corni: l’ineffabile e<br />
l’infame.<br />
In questa s<strong>it</strong>uazione di crisi parlare di benessere<br />
può rivelarsi indicibile e cioè ineffabile,<br />
che è il non detto pos<strong>it</strong>ivo; infame è il<br />
non detto negativo. Dobbiamo affacciarsi al<br />
mondo dell’esprimibile, perché il Potere, che<br />
spesso ci opprime, si eserc<strong>it</strong>a attraverso la capac<strong>it</strong>à<br />
di impedire o produrre cambiamento,<br />
ma sempre passa attraverso la sua capac<strong>it</strong>à<br />
di inibire l’espressione. Per individuare una<br />
modal<strong>it</strong>à funzionale ad una libera possibil<strong>it</strong>à<br />
di espressione, Spaltro c<strong>it</strong>a alcuni concetti riguardanti il lavoro, la speranza, la promessa, la bellezza e il<br />
perdono, tutti collegati fra loro.<br />
Per quanto concerne il lavoro, gli antichi greci non avevano parole adatte a descriverlo; lo stesso i latini<br />
per i quali la parola ‘labor’ significava sofferenza e ciò ci fa capire come una volta il lavoro avesse diverse<br />
connotazioni. Dunque il mondo del lavoro, come oggi lo conosciamo, ha una storia recente iniziata con<br />
la rivoluzione industriale verso la fine del diciottesimo secolo.<br />
Speranza, promessa, bellezza e perdono hanno dialetticamente i loro opposti: paura, minaccia, bontà e<br />
vendetta. Queste coppie di opposti agiscono dialetticamente nel tessuto sociale e quindi influenzano<br />
anche il mondo del lavoro. Spaltro nota che quando prevalgono sentimenti di colpevolezza, che derivano<br />
da quello più fondamentale della paura, si hanno delle conseguenze che portano ad alcuni risultati<br />
38<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
S<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
SPECIAE<br />
negativi, che sono la destrutturazione del tempo, la perd<strong>it</strong>a del socio, i comportamenti espiatori auto<br />
pun<strong>it</strong>ivi, la ricostruzione dell’un<strong>it</strong>à e il r<strong>it</strong>orno al grande uomo (che ci salverà), la scarsificazione del valore<br />
(sono valide le cose che sono scarse, hanno poco valore quelle che sono abbondanti). E’ necessario che<br />
si passi, dunque, dal prevalere della colpevolezza al prevalere della speranza che deriva dall’ansietà (di<br />
soddisfare i bisogni di tutti). Come è necessario che si torni ad un’economia dell’abbondanza, perché è<br />
l’abbondanza e non la penuria che deve fare il valore. Purtroppo in tempi relativamente recenti si sono<br />
affermate economie basate sulla scarsificazione, portando come corollario la fame che, in tempi più antichi,<br />
non esisteva. Infatti, studi archeologici<br />
hanno dimostrato che, ad esempio, anche<br />
gli schiavi a Pompei erano ben nutr<strong>it</strong>i. Come<br />
erano ben nutr<strong>it</strong>i gli operai (non schiavi!)<br />
che costruirono le piramidi in Eg<strong>it</strong>to. Sembra<br />
incredibile, ma oggi, in epoca moderna,<br />
nelle grandi c<strong>it</strong>tà assistiamo al dramma di<br />
chi patisce la fame. Si butta la frutta o altri<br />
prodotti alimentari, che diventando scarsi<br />
acquisiranno valore. Occorre battere questa<br />
società che utilizza la scarsificazione, perché<br />
è una società che porta la fame e quindi si<br />
fonda sul malessere.<br />
Le società che creano abbondanza si fondano<br />
invece sulla speranza, bellezza, perdono<br />
e lavoro, consentendo un aumento dell’orizzonte<br />
temporale, che non è permesso a società che non sono in questa condizione. Questo significa<br />
poter programmare il futuro, ad esempio essere in grado di acquistare un biglietto aereo sei mesi prima<br />
risparmiando grandi somme. Difficilmente da noi si fa questo, perché la paura di non poter utilizzare il<br />
biglietto al momento opportuno ci fa acquistare il biglietto poco prima della partenza, spendendo quattro<br />
volte di più. Spaltro continua dicendo che la speranza ci dà appartenenza, maggiore capac<strong>it</strong>à progettuale.<br />
Dunque abbiamo bisogna di bellezza e poi di valorizzare la moltiplicazione (l’abbondanza), non<br />
la scarsificazione! Questo è quello che dobbiamo trasmettere a chi ci governa, perchè il potere lasciato<br />
a se stesso eserc<strong>it</strong>a il proprio ruolo decidendo il processo di imposizione della scarsificazione ai mercati.<br />
Una società fondata sul benessere ha, pertanto, una dimensione di sviluppo nel futuro. Speranza, promessa,<br />
bellezza, perdono e lavoro hanno tutte in comune l’idea del futuro. A questo propos<strong>it</strong>o Spaltro<br />
c<strong>it</strong>a Memoria del fuoco di Eduardo Galeano, dove viene detto che il benessere è come l’orizzonte: più ti<br />
avvicini, più esso si allontana! Però la tensione verso l’orizzonte futuro mette l’uomo in movimento, lo<br />
induce a progredire. Un’altra cosa che i sentimenti pos<strong>it</strong>ivi, che sottendono il benessere, hanno in comune<br />
è il concetto di persona. Ora, dal punto di vista etimologico, la parola vuol dire maschera: si usava in<br />
teatro perché dentro il suo spessore legnoso c’era una specie di megafono: persona = “per sonum”. Non<br />
esistendo i microfoni, si doveva dare comunque forza alla voce. Torna il discorso del benessere come<br />
espressione: la maschera di legno per il teatro migliorava il suono della voce, permetteva l’espressione<br />
dell’attore (e quindi il suo benessere). Un altro esempio di speranza viene da spiro, respiro, lo spirare del<br />
vento; spiro ha a che fare con il soffio, con l’anima.<br />
Con il terrore non si ottengono risultati: basta vedere i risultati della campagna contro il fumo che ha<br />
tentato di terrorizzare, ma che non è serv<strong>it</strong>a a niente. Gli infortuni del lavoro non sono diminu<strong>it</strong>i nella<br />
loro ent<strong>it</strong>à dal 1950 ad oggi, nonostante siano cambiate le leggi. E allora cosa fare? Bisogna creare s<strong>it</strong>uazioni<br />
di gradevolezza, bisogna creare un mondo migliore e, anche se la ragione ci induce al pessimismo,<br />
occorre seguire Albert Einstein, che r<strong>it</strong>eneva che “solo chi è talmente pazzo da credere di poter creare<br />
un mondo migliore, sarà capace poi di realizzarlo”.<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 39
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SPECIAE<br />
CONVEGNO SULLA PAURA<br />
Un altro punto che Spaltro sottolinea essere alla base del malessere sociale consiste nella forbice che<br />
esiste tra ricchi e poveri. Grazie alla rivoluzione industriale del XVIII secolo, fu possibile ridurre notevolmente<br />
il divario fra i chi aveva troppo e chi non aveva quasi niente. In pratica il lavoro estende l’uso del<br />
denaro (che prima era appannaggio solo dei nobili), consentendo gradualmente l’abolizione della fame.<br />
Tutto ciò coincise con la nasc<strong>it</strong>a del sindacato, della psicologia in Europa, mentre in America coincise<br />
con la fine della schiav<strong>it</strong>ù (nel 1883 il Brasile è l’ultimo paese ad abolire la schiav<strong>it</strong>ù). Il lavoro abolisce la<br />
fame, perché anche i poverissimi, se debbono lavorare, debbono potersi nutrire adeguatamente. Oggi<br />
si torna a parlare di fame, soprattutto nelle grandi aree urbane: lì la forbice è molto ampia e questo è<br />
particolarmente vero in Italia, in grandi c<strong>it</strong>tà come Napoli, dove la forbice è massima, mentre in altri stati<br />
come la Svezia e l’Olanda il divario tra poveri e ricchi è minore. Le società si sviluppano se la forbice si<br />
riduce: se chi sta bene non riesce a far star meglio chi sta male, se chi sta male riuscirà a far star peggio<br />
chi sta bene. Pertanto, Spaltro ci fa notare che non è solo un problema etico ma anche di mero interesse.<br />
Ciò è ben descr<strong>it</strong>to nel libro “La misura dell’anima” di Richard Wilkinson. Dunque Spaltro vede il lavoro<br />
come mezzo per ridurre la forbice. D’altra parte i sindacalisti si dovranno rendere conto che in futuro il<br />
lavoro sarà sempre più di tipo precario, ma il problema del lavoro non è la sua precarizzazione, quanto<br />
il fatto che i compensi sono eccessivamente bassi. Spaltro, sottolineando come il lavoro stia sempre più<br />
cambiando, si chiede se addir<strong>it</strong>tura tale attiv<strong>it</strong>à verrà chiamata in altro modo. L’ansietà che ci dà la globalizzazione<br />
è la speranza che ancora la scuola non ci dà, dove l’insegnamento ancora è troppo legato<br />
alla paura di non fare risultato, perché pretende, con regole del gioco fisse (basti pensare agli esami, alle<br />
votazione, ecc.), di sfornare giovani preparati. In realtà occorrono altre prospettive, che diano soprattutto<br />
speranze: c’è necess<strong>it</strong>à di poter conferire premi, e non di punizioni, che diano agli studenti autentiche<br />
motivazioni.<br />
Se è vero che la divers<strong>it</strong>à è quella che conta e cioè conta l’accettazione della divers<strong>it</strong>à, come la mettiamo<br />
con la diseguaglianza? Che differenza c’è tra par<strong>it</strong>à e uguaglianza? Se è vero che le donne sono state<br />
le prime che hanno cercato per anni di sviluppare il concetto di par<strong>it</strong>à di dir<strong>it</strong>ti con gli uomini, poi però<br />
si sono dovute fermare, perché si sono rese conto che occorrono anche altre par<strong>it</strong>à tra i vari soggetti<br />
sociali, ad esempio la par<strong>it</strong>à con i disabili, oppure tra cooperative A e cooperative B, dove vengono a<br />
crearsi due diversi mercati del lavoro. A questo punto, riguardo alla divers<strong>it</strong>à, Spaltro ricorda alcuni fatti:<br />
il giuramento di Obama il 20-01-09: “Noi siamo qui oggi perché abbiamo scelto la speranza rispetto alla<br />
paura, l’un<strong>it</strong>à d’intenti rispetto al confl<strong>it</strong>to e alla discordia”.<br />
E’ così che il confl<strong>it</strong>to deve essere trattato da una democrazia, altrimenti subentra la discordia e la vendetta.<br />
In quest’ottica Spaltro consiglia di leggere “Spingendo la notte più in là”, un libro scr<strong>it</strong>to da Mario Calabresi,<br />
figlio del commissario Calabresi, ucciso da ignoti in segu<strong>it</strong>o alla tragica vicenda di Giuseppe Pinelli,<br />
l’anarchico ingiustamente accusato della strage di piazza Fontana e<br />
volato da una finestra, mentre era sotto custodia della polizia. Calabresi<br />
fu provato che non era a Milano la notte in cui Pinelli precip<strong>it</strong>ò<br />
dalla finestra del suo commissariato, per cui un altro innocente perdette<br />
la v<strong>it</strong>a a causa di campagne di odio e di vendetta, che in quegli<br />
anni attraversavano il nostro Paese. E’ questo un esempio dove si<br />
vede come il senso della vendetta, che serpeggia nei tessuti sociali<br />
e che prevale sullo spir<strong>it</strong>o di cooperazione, aggravi i confl<strong>it</strong>ti senza<br />
risolverli. Nel libro scr<strong>it</strong>to da Mario Calabresi, che appare spinto ed<br />
influenzato dalla madre Gemma, c’è una madre che inv<strong>it</strong>a invece a<br />
non odiare, per non ipotecare il futuro, soprattutto in base a false o<br />
troppo lim<strong>it</strong>ate premesse. E’ importante che il sentimento della speranza<br />
prevalga su quello della vendetta, a cominciare dalle questioni<br />
apparentemente secondarie fino a quelle r<strong>it</strong>enute fondamentali, e<br />
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CONVEGNO SULLA PAURA<br />
SPECIAE<br />
che tale spir<strong>it</strong>o diventi strumento di educazione per le nuove generazioni che andranno a costruire le<br />
società del futuro.<br />
Da Milano Spaltro ci porta nelle Marche, a Recanati, dove era nato Giacomo Brodolini, poi Ministro del<br />
Lavoro ed estensore della legge n°300, approvata il 21 maggio 1970, che diede v<strong>it</strong>a allo Statuto dei Lavoratori.<br />
Spaltro ricorda come fosse, allora, una legge osteggiata da tutti, mentre oggi se ne celebra il<br />
quarantesimo anniversario. A Milano, nel 1969 nessuno voleva presentare la legge, perché tutti (part<strong>it</strong>i,<br />
sindacati, studenti, imprend<strong>it</strong>ori) erano contro. E certo non poteva farlo il suo autore, che era morto in<br />
quell’anno. Fu così che andò il nostro relatore, che ‘non c’entrava niente’ e che ricorda bene i fischi. Ma i<br />
fischi ed il livore servono a poco: ciò che serve è una logica di cooperazione, perché con la vendetta non<br />
si costruisce niente.<br />
Un esempio fattivo di collaborazione Spaltro lo ha vissuto a Napoli assieme a centinaia di disoccupati,<br />
alcuni anni fa. Scaltro e la sua equipe trattarono circa 4000 disoccupati (su 6000 inv<strong>it</strong>ati) per i quali l’unico<br />
intervento in corso da parte delle autor<strong>it</strong>à era un sussidio di 200 euro mensili, cifra che naturalmente<br />
non risolveva una s<strong>it</strong>uazione fortemente cr<strong>it</strong>ica. Come si può dare loro speranza, bellezza, perdono se<br />
il lavoro veniva escluso a priori dall’équipe, perché era al di fuori della sua competenza? Come si fa ad<br />
ev<strong>it</strong>are che prevalgano i sentimenti più negativi? Eppure le persone che hanno partecipato sono riusc<strong>it</strong>e<br />
ad esprimersi e a elaborare una lista di bisogni, richieste, necess<strong>it</strong>à, che comunque trovavano ascolto, un<br />
ascolto che aveva come comune denominatore la rinasc<strong>it</strong>a di questi sentimenti pos<strong>it</strong>ivi di cui prima si<br />
accennava. Se su 100 persone 5 o 6 riuscivano a realizzare qualcosa, questo era importantissimo, perché<br />
la speranza di un futuro migliore si espandeva a macchia d’olio anche alle altre persone. Teniamo presente<br />
che queste persone spesso avevano difficoltà ad esprimersi, per cui è stato ancora più importante<br />
che esse avessero avuto un’ ‘audience’, che ci fosse qualcuno disposto ad ascoltarle. Parlare, scrivere, muoversi,<br />
il ‘gruppale’, organizzare ed organizzarsi<br />
e, soprattutto ascoltare: queste<br />
sono ‘le belle relazioni’ che includono<br />
la speranza del futuro. Nei gruppi che<br />
vennero segu<strong>it</strong>i, gruppi da 100 che poi<br />
vennero suddivisi in gruppi da venti, le<br />
persone all’inizio non si conoscevano<br />
fra loro: ma fu nel gruppo che imparavano<br />
a conoscersi attraverso l’ascolto.<br />
Chi parlava riceveva rispetto e anche<br />
chi parlava molto poco, una volta fin<strong>it</strong>o<br />
il proprio intervento, veniva gratificato<br />
da attenzione ed anche applausi. Quelle<br />
persone, fondamentalmente, impararono<br />
ad ascoltare, ad essere ascoltate<br />
e alla fine ad esprimersi, in questo caso<br />
nella loro preoccupazione e sofferenza.<br />
Ma come possiamo misurare l’andamento della speranza, bellezza e perdono e del lavoro? Un indice<br />
importante è la speranza di v<strong>it</strong>a: il Giappone ha l’indice più alto con 82 anni di età, l’Italia è in buona posizione<br />
con 78 – 79 anni, ma con una grossa forbice tra uomine e donne, con maggiore speranza di v<strong>it</strong>a<br />
per le seconde. Un altro indice è il redd<strong>it</strong>o, con la Svizzera al 1° posto, segu<strong>it</strong>a dagli USA, l’Italia è in una<br />
posizione media. Il redd<strong>it</strong>o però non è correlato con la speranza di v<strong>it</strong>a, vale a dire ci sono paesi ricchi<br />
con PIL (Prodotto Interno Lordo) elevato, dove però la gente muore prima rispetto a paesi più poveri.<br />
La speranza di v<strong>it</strong>a in Italia è molto alta, anche grazie al nostro Sistema San<strong>it</strong>ario Nazionale che, è Spaltro<br />
a sostenerlo, è uno dei migliori del mondo, nonostante tante cose ancora non funzionino. A questo<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 41
SPECIAE<br />
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CONVEGNO SULLA PAURA<br />
propos<strong>it</strong>o basta pensare agli USA e alla battaglia che il neo presidente Obama ha dovuto intraprendere<br />
per far accettare un sistema san<strong>it</strong>ario appena simile al nostro. Altri indici c<strong>it</strong>ati da Spaltro sono la fiducia<br />
internazionale (quanto i vari Stati stanziano per l’estero), la Salute Mentale, l’obes<strong>it</strong>à, gli abbandoni scolastici<br />
e la condizione femminile.<br />
Che cosa si può fare? Spaltro dice che molti paesi coltivano dei sogni, delle utopie che cercano di realizzare<br />
e che quando si concretizzano si capisce, dopo, che non erano poi veramente delle utopie.<br />
Il sogno olandese, ad esempio, si basa su due concetti: il redd<strong>it</strong>o minimo garant<strong>it</strong>o, la creazione di terr<strong>it</strong>orio.<br />
Dando un redd<strong>it</strong>o minimo garant<strong>it</strong>o già fin dall’adolescenza, si restringe la forbice di discriminazione<br />
economica e quindi si aumenta lo sviluppo della società. Lo si vede dando 400 euro al mese da 16<br />
anni fino ai 30 anni; poi il redd<strong>it</strong>o viene portato a 720 euro. I giovani olandesi dunque hanno ben presto<br />
l’opportun<strong>it</strong>à di andare fuori di casa, con implicazioni enormi in termini di conquista dell’autonomia<br />
e di maturazione. Spaltro ci fa notare, per contro, come in Italia ci siano alcune regioni che si basano<br />
sui cassaintegrati, dove queste persone vengono assunte solo in nero per delle attiv<strong>it</strong>à che sono svolte<br />
egualmente in nero. Con i soldi che vengono spesi per la cassa integrazione (che vanno a vantaggio solo<br />
di alcune aziende e, quindi, non certo a vantaggio di tutti i lavoratori e che favoriscono l’assistenzialismo<br />
e interessi privati non sempre lec<strong>it</strong>i), Spaltro suggerisce di creare un sistema simile a quello olandese.<br />
Perché nessuno, in Italia, sembra interessato? Perché nessuno va a studiare quelle esperienze? L’altro<br />
punto degli olandesi è tutto specifico della particolare morfologia di quella nazione e consiste nella possibil<strong>it</strong>à<br />
di creare nuove terre, ogni dieci anni svuotando i bassi fondali delle loro coste che poi verranno<br />
protetti con sistemi di dighe. Il sogno brasiliano inizia tra il 2004/2006 con la seconda presidenza di Lula,<br />
che decide per primo di combattere e abolire la fame da un terr<strong>it</strong>orio di enorme estensione ma anche di<br />
grandi ricchezze. Poi dare al suo popolo un’educazione di base, debellare l’aids e la malaria, proteggere<br />
l’infanzia, lottare contro le morti infantili femminili, dove le bambine<br />
morivano molto di più spesso rispetto ai maschi, perché per esse non<br />
si spendevano denari per le medicine. Questo programma sembra sia<br />
stato effettivamente realizzato. Il sogno sudafricano. Di fronte ad un<br />
cambio di regime, dove esisteva una forbice enorme tra bianchi e neri,<br />
il sogno realizzato è stato quello di rinunciare alla vendetta da parte<br />
dei neri, che avevano conquistato il potere, nei confronti dei bianchi a<br />
vantaggio del perdono. Viene sanc<strong>it</strong>o il principio per cui la vendetta<br />
non paga: insegnare il perdono che ci permette di riappropriarci del<br />
nostro futuro: questo è stato il sogno realizzato del Sud Africa.<br />
Per concludere Spaltro vuole credere anche in un sogno <strong>it</strong>aliano che ha descr<strong>it</strong>to in un volume, “Sinistra”,<br />
in cui il relatore dichiara la sua appartenenza pol<strong>it</strong>ica. Quali sono le cose da fare per realizzare speranza,<br />
bellezza e perdono e dare lavoro, si chiede Spaltro? Le prime cose da fare, secondo Spaltro, possono essere<br />
anche apparentemente banali e non fondamentali come, ad esempio, rinnovare completamente la<br />
segnaletica stradale. Sembra una cosa di poco conto, ma ci vorrebbero una decina d’anni e l’importante<br />
che venga fatta! Poi, naturalmente un redd<strong>it</strong>o minimo e massimo garant<strong>it</strong>o, un eserc<strong>it</strong>o che non possa<br />
uscire dal terr<strong>it</strong>orio nazionale, come esiste in Svizzera, deputato solo alla difesa nazionale. La lotta agli<br />
infortuni sul lavoro; un’educazione e un’alimentazione pacifista. A questo propos<strong>it</strong>o Spaltro nota che<br />
fino a pochi anni fa venivamo nutr<strong>it</strong>i con una dieta quasi da ‘cannibali’ con estratti di fegato o di cervello:<br />
mangiare visceri di animali sicuramente non inclina alla collaborazione pacifica ma all’aggressiv<strong>it</strong>à.<br />
Le proposte di nuove promesse di Spaltro (speranza, bellezza, perdono....) portano a certi risultati che<br />
si concretizzano poi nella cultura del benessere, anzi del bell’essere, perché, come diceva Dostoevskij, “è<br />
la bellezza che salverà il mondo”, che poi, in altri termini, vuol dire avere bisogno di una cultura sabatica.<br />
Il sabato è l’orientamento verso il futuro, la domenica rappresenta il momento della bilancio e il giorno<br />
dopo si torna a lavorare o a scuola. Noi, come diceva Leopardi, abbiamo bisogno del sabato, che ci fa<br />
stare bene. E’ la cultura sabatica che dobbiamo realizzare!•<br />
42 42<br />
Capo Horn Horn 15 - settembre 2010
S<br />
RIFLESSIONI OBLIQUE<br />
SUL CALCIO<br />
Il torneo “La testa nel pallone”, svoltosi a Lecce dal 7 al 12 giugno, ha offerto anche l’occasione<br />
per un’intervista a Roman Filippovic, il recente acquisto del Presidente Mirkovic dalla<br />
Dinamo di Samarcanda per tre quintali di Armony, ma soprattutto esteta e lieve teorico di<br />
un calcio minore e recond<strong>it</strong>o.<br />
A cura di Paolo Ripanti<br />
E’ vero che c’è tanta dimensional<strong>it</strong>à sociale nel calcio di <strong>Asiamente</strong>, anzi qualcuno<br />
dice troppa? E che cosa significa?<br />
Penso che il nostro team abbia fatto affiorare le contraddizioni ins<strong>it</strong>e nella tensione agonistica<br />
delle altre squadre, rendendole manifeste.<br />
In che cosa consistono queste contraddizioni e come è possibile superarle, se sono<br />
superabili? Come si connettono con il<br />
calcio sociale di <strong>Asiamente</strong>?<br />
Ma queste contraddizioni fondamentalmente<br />
consistono nella fin<strong>it</strong>ezza della<br />
v<strong>it</strong>toria, perché una volta conquistata, la<br />
v<strong>it</strong>toria, la tensione sub<strong>it</strong>o scema, un po’<br />
come avviene dopo il co<strong>it</strong>o quando subentra<br />
una stanchezza dolce e profonda...Tutto<br />
ciò mi fa pensare a Fernando<br />
Couto, grande difensore portoghese che<br />
ha mil<strong>it</strong>ato fino a pochi anni fa in serie A<br />
nelle fila della Lazio, al suo prolungato e,<br />
Filippo mentre osserva e chiacchiera con un pescatore<br />
di Gallipoli intento a controllare e riparare le reti.<br />
TORNEO “LA TESTA NEL PALLONE” - LECCE<br />
appunto, stanco tramonto calcistico, accompagnato<br />
da un’incipiente calvizie...<br />
Roman, ad esser sinceri, facciamo<br />
fatica a seguire questa tua associazione e, comunque, non ci risulta che l’ottimo<br />
Fernando abbia sofferto di un’incipiente calvizie, anzi noi in tv lo abbiamo visto<br />
sempre con la sua fluente capigliatura corvina...<br />
Sì, a livello fenomenico è vero, ma a me piace pensarlo calvo, così da giustificare la mia<br />
teoria associativa co<strong>it</strong>o-couto-testosterone-calvizie e poi così rimandare le mie catene<br />
teoretiche associative ad una grande ala destra del calcio <strong>it</strong>aliano, forse drammaticamente<br />
in r<strong>it</strong>ardo con i tempi in cui operò, cioè a Pierino Fanna, che era innegabilmente<br />
calvo! Ma torniamo alle vostre domande, altrimenti le mie risposte rischiano di sembrare<br />
surreali ed oblique. Il calcio di <strong>Asiamente</strong> si affranca dall’immediatezza dell’hic et nunc,<br />
del qui ed ora, superando la fin<strong>it</strong>ezza, cui sopra accennavo, tipica delle altre squadre. Ciò<br />
avviene perché esso affonda le sue radici nel passato della memoria dei campetti di fango<br />
di periferia, rigati con il biancone di gesso, mentre il profumo dei toscani si spande<br />
dagli spalti....<br />
Roman, siamo confusi, ci troviamo di fronte ad un filosofo, ad un poeta o ad en-<br />
trambi?<br />
Il calcio è anche poesia, basti pensare a Umberto Saba e alle descrizioni che egli fa del<br />
La gazzella dello sport<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 43
S<br />
44 La<br />
TORNEO “LA TESTA NEL PALLONE” - LECCE<br />
pubblico sugli spalti e dei giocatori prima del fatale fischio d’inizio del match. Basti pensare<br />
alle radioline che accompagnano i tifosi, al gracchiare dei loro transistor. Il calcio,<br />
forse, è anche una delle ultime rappresentazioni sacre dei nostri tempi, come diceva<br />
Pier Paolo Pasolini, ma nello stesso tempo il calcio di <strong>Asiamente</strong> ha il potere di essere<br />
visionario, proiettandosi nel futuro con guizzi e traiettorie che inev<strong>it</strong>abilmente, almeno<br />
questo è l’auspicio, portano all’irreversibil<strong>it</strong>à del gol e, non ultimo, alla possibil<strong>it</strong>à del<br />
riscatto.<br />
Perché, si può pareggiare?<br />
Sì, in teoria ma, storicamente, ad un’analisi sincronica e diacronica, il pareggio, che interpreto<br />
come una forma di riscatto sociale, di rivinc<strong>it</strong>a dei più deboli nei confronti di<br />
chi detiene il potere, si è verificato solamente con la manina di dio di Diego Armando<br />
contro l’opulenta Albione nei mondiali del ‘78. Del resto il pareggio per il calcio di <strong>Asiamente</strong><br />
è come un Limbo, un’impasse, una paralisi spazio-temporale. Prova ne è che nel<br />
secondo incontro di quella grande corrida che è la manifestazione leccese de “La testa<br />
nel pallone”, quando eravamo ancora bloccati su uno scialbo 0 a 0, che sminuiva la nostra<br />
concezione metafisica del calcio, Cristian si è inventato un comunardo di faccia, lasciando<br />
di stucco tutto l’attacco avversario.<br />
Un comunardo?...<br />
Se poi mi fate altre domande, magari ve lo spiego...<br />
D’accordo. Quali sono le figure che ti hanno ispirato calcisticamente? Con chi ti<br />
paragoni o identifichi quando calchi il terreno di gioco?<br />
Quando sono in campo penso a Comunardo Niccolai ed alla pulsione tesi-ant<strong>it</strong>esi che<br />
viene a crearsi tra il nome proprio, Comunardo, di chiara ispirazione libertaria, ed il cognome,<br />
Niccolai, che rimanda a Niccolò Machiavelli e dunque all’esercizio del potere. La<br />
pulsione dinamica tra libertà e potere qui, secondo me, si riduce ad un avv<strong>it</strong>amento tra<br />
opposti, senza possibil<strong>it</strong>à di sintesi superiori. Niccolai era famoso anche per i suoi impareggiabili<br />
autogol - per questo prima ho ricordato il bel ‘comunardo’ di faccia di Cristian -<br />
che esprimevano un bisogno recond<strong>it</strong>o del giocatore, che andava interpretato da un allenatore<br />
di grandi capac<strong>it</strong>à<br />
intellettuali.<br />
Chi altri, se non<br />
Manlio Scopigno,<br />
l’indimenticabile<br />
allenatore-filosofo?<br />
Scopigno, con<br />
tanto di sigaro e<br />
wiskey riuscì a portare<br />
il Cagliari, allora<br />
una provinciale, allo<br />
scudetto, grazie sì<br />
al ‘mostro’ Gigi Riva,<br />
già Rombo di Tuono,<br />
ma anche grazie<br />
agli autogol di Comunardo,<br />
che erano<br />
delle reti bellissi-<br />
La squadra di <strong>Asiamente</strong>, rinforzata dal sesso femminile, coglie non casualmente<br />
la prima v<strong>it</strong>toria contro la squadra siciliana di Barcellona. Qui assieme<br />
le squadre sono in posa davanti ai fotografi.<br />
me e tanto bastava,<br />
dopo un attimo di<br />
gazzella dello sport<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
S<br />
La formazione di <strong>Asiamente</strong> sub<strong>it</strong>o dopo la premiazione, con Cristian<br />
che stringe la coppa e con l’oriundo rumeno Mirzan, acquisto del<br />
presidente Mircovic.<br />
TORNEO “LA TESTA NEL PALLONE” - LECCE<br />
sbandamento, a dare la<br />
carica alla compagine! Comunardo<br />
era, è Amsicora,<br />
il m<strong>it</strong>ico guerriero sardo.<br />
Certo, quando sono in<br />
campo, come faccio a non<br />
pensare anche ai Grandi<br />
Basettoni del calcio totale<br />
olandese? Johann Cruijff,<br />
Johannes ‘Johann’ Jacobus<br />
Neeskens, Rudolp Joseph<br />
‘Ruud’ Kroll, Willem<br />
‘De Kromme’ (‘Lo Storto’)<br />
van Hanegem, Nicolaas<br />
Jhonny Reep e tanti altri.,<br />
senza peraltro dimenticare<br />
i Grandi Teutonici, che<br />
rispondono ai nomi di<br />
Paul Bre<strong>it</strong>ner, Gerd Muller,<br />
Uwe Seeler, Hans Schnellinger. E per concludere, penso ulteriormente a Luciano Bianciardi,<br />
scr<strong>it</strong>tore e giornalista, che sapeva di sport ed a cui stava antipatico il fuorigioco,<br />
perché lim<strong>it</strong>ava l’estro ed il gol con i mezzucci della linea di difesa, rendendo così la v<strong>it</strong>a<br />
agra, calcisticamente parlando.<br />
Certo, Roman Filippovic pensa molto quando è in campo, essendo un calciatore intellettuale.<br />
Speriamo che trovi anche il tempo di correre un po’ dietro la palla...•<br />
La gazzella dello sport<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 45
46 46<br />
IL RACCONTO<br />
PRANZO DI NOZZE<br />
A cura del Gruppo Scr<strong>it</strong>tura da un racconto di Marta<br />
Il giorno del mio matrimonio fall<strong>it</strong>o, nel 1985, io avevo vent’anni, mio mar<strong>it</strong>o vent’uno. Dopo la cerimonia<br />
La nostra casa ci avrebbe atteso in campagna, come voleva la mental<strong>it</strong>à antica, di cui mio suocero era<br />
detentore incontrastato. Per questo, oggi, io vi racconterò soprattutto del mio pranzo di nozze, in modo<br />
che tutto sarà chiaro ed evidente.<br />
La tavola era stata imband<strong>it</strong>a sotto un grande tendone, capace di proteggere dai raggi del sole di un arido<br />
settembre ben trecento inv<strong>it</strong>ati. Nella cucina della nostra casa erano giunte delle cuoche, che avrebbero<br />
cucinato quello che mio padre e mio suocero avevano promesso di fornire: carne nostrale, maiale,<br />
agnello, oche, anatre, gallucci e polli ruspanti... e la mucca di mio suocero! Ne ammazzava una all’anno.<br />
Ricordo che quel giorno mio padre mantenne la promessa, portando la sua parte di bendidio, però in<br />
tavola, dopo le immancabili tagliatelle, lasagne e risotti vari, arrivò ben altro. La carne, di anonimo maiale<br />
industriale e c<strong>it</strong>tadino, al palato non risultava del sapore atteso, genuino e casereccio, come era stato<br />
promesso a noialtri sposi novelli e a tutta la truppa dei famelici trecento inv<strong>it</strong>ati. Anche le altre pietanze<br />
lasciarono i conv<strong>it</strong>ati delusi e soprattutto gli amici di mio padre manifestarono grande indignazione,<br />
perché era evidente che i piatti serv<strong>it</strong>i non erano quelli attesi. Dove si erano cacciati i preziosi volatili e<br />
i m<strong>it</strong>i manzi di campagna? Che ne era stato del maiale allevato nel porcile del padre di mio mar<strong>it</strong>o? La<br />
risposta non sarebbe tardata ad arrivare, perché, mentre il pranzo ancora infuriava, una mia rapida ispezione<br />
al capace congelatore della cucina mostrò in modo inequivocabile qual era stato l’algido destino<br />
delle vivande nuziali. La figuraccia a quel punto non poteva più essere scongiurata e, quasi a suggello<br />
ed a presagio di sventura di quello che sarebbe stato il destino del nostro matrimonio, si verificò pure il<br />
fatto del tovagliolo della sposa, cioè del mio tovagliolo. Successe che mia cognata lo utilizzò per pulire<br />
accuratamente le narici del suo figlioletto. Questo era troppo, la misura era colma, tanto che la cugina di<br />
mia madre esclamò: ”Brutta zozzona, osi pulire il naso con il fazzoletto della sposa? Se non avevi nient’altro,<br />
potevi usare il tuo vest<strong>it</strong>o per il naso di tuo figlio!”<br />
Fu così che mio suocero si mangiò per un anno intero, anche io e mio mar<strong>it</strong>o a dire il vero, tutti quei<br />
sapor<strong>it</strong>i gallucci e tutta la corte degli altri mammiferi. Ma la loro dolcezza non riuscì ad attenuare l’onta<br />
del pranzo adulterato.<br />
PS Mia cognata, quella civetta, non contenta di come si era comportata il giorno del pranzo delle mie<br />
nozze, ha continuato ad impicciarsi del mio matrimonio, come se fosse il naso del figlio, per altri quindici<br />
anni, finché non ci siamo separati, non prima però di aver fatto una cosa molto bella: due splendide<br />
figlie!•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
Maria Grazia Circolani<br />
IL PRANZO DELLA<br />
DOMENICA<br />
IL RACCONTO<br />
Ore 12,30. Un profumo di sugo invade tutta la cucina, tutto è pronto in tavola, la tv manda le notizie del<br />
giorno e nessuno parla in religioso silenzio. Tutti ci sediamo, ognuno al proprio posto, i bambini accanto<br />
ai loro gen<strong>it</strong>ori, aspettando con impazienza i loro regalini, che scarteranno a fine pranzo. La tv è accesa<br />
e cattura attenzioni, ma la pubblic<strong>it</strong>à ci riconduce a noi e così ora tutti parlano tra loro freneticamente,<br />
passandosi le vivande fumanti e ingurg<strong>it</strong>ando il primo, il secondo, il dolce, la frutta…<br />
“Il caffè corretto!”qualcuno grida. ”Ma ti fa male, hai da guidare la macchina! E se ti fanno la prova del<br />
palloncino?” ” Ma va!...”<br />
Il tempo scorre veloce. Ognuno ha i suoi programmi per il pomeriggio: chi vuole andare al cinema, chi<br />
a portare a spasso il cane, chi infine a trovare i parenti. Velocemente ci si saluta, dandosi appuntamento<br />
alla prossima domenica. Percorro la strada di casa e ripenso alla giornata trascorsa. Una lieve malinconia<br />
mi fa pensare che la domenica in fondo è un giorno come tutti gli altri giorni.•<br />
Marisa<br />
IL MIO PRIMO AMORE<br />
Era una splendida giornata soleggiata, il 10 giugno ’66. Io e la mia compagna di banco decidemmo di<br />
marinare la scuola con due ragazzi: il ragazzo della mia amica ed un suo amico argentino, Juan Carlos,<br />
che studiava ingegneria e agronomia e che aveva fatto un viaggio premio in vari stati europei, per poi<br />
fermarsi per tre mesi dai suoi zii in Italia. Come lo vidi, fui colp<strong>it</strong>a dalla sua dolcezza. Era moro ed aveva<br />
delle macchie bianche sulle braccia per mancanza di melanina: si trattava della v<strong>it</strong>iligine. Juan Carlos ci<br />
soffriva molto per questo, ma non l’aveva mai detto alla mamma per non darle un dispiacere: io apprezzai<br />
la sua sensibil<strong>it</strong>à.<br />
Con una Cinquecento ci recammo al Lago Maggiore, per vis<strong>it</strong>are Villa Taranto e il suo grande giardino<br />
con piante e fiori di ogni genere. La mia amica era venuta a casa mia per prepararci agli esami di Stato<br />
di ragioneria: di giorno studiavamo, la sera andavamo in una discoteca, dove facevamo le ore piccole.<br />
Ballavamo il lento con le canzoni dei Beatles e Juan Carlos mi teneva abbracciata con molta tenerezza.<br />
Capii che era il ragazzo che faceva per me. Le canzoni erano molto belle: quella che preferivo era una<br />
romantica dal t<strong>it</strong>olo”Michelle”. Diceva: “Michelle, mio amore, sono parole che vanno molto bene assieme.<br />
Io ho bisogno, ho bisogno di te, ho bisogno di vederti. Oh, quanto significhi per me! Io ti dirò le uniche<br />
parole che conosco e che tu capisci: ti amo, ti amo, ti amo!” Quando Juan Carlos cercava di baciarmi, io<br />
mi allontanavo, perché pensavo di non essere capace di baciare. Ero proprio un’imbranata. L’ultima sera<br />
mi buttai e ci baciammo a dir poco per un quarto d’ora: fu un’emozione indicibile… La mattina dopo<br />
avevo le labbra gonfie!<br />
Ci frequentammo per tutta l’estate, poi, quando ripartì dal porto di Genova, lo raggiunsi, ci baciammo<br />
a lungo e Juan Carlos mi disse di aspettarlo. Per tre anni siamo stati in corrispondenza, tanto che avevo<br />
comperato un dizionario spagnolo per tradurre le sue lettere. L’anno successivo r<strong>it</strong>ornò per specializzarsi<br />
alla Sorbona. La vigilia di Natale mi telefonò e passammo il Natale assieme. Fu il Natale più bello della<br />
mia v<strong>it</strong>a, così pure fu altrettanto bella la notte di Capodanno!<br />
In una sua lettera mi chiese se lo volevo sposare, però io non me la sentivo di andare in Argentina, paese<br />
povero e con crisi di governo (vedi “desaparecidos”). Ho ancora davanti gli occhi l’ultima volta che lo vidi,<br />
con rammarico, perché era lui l’uomo adatto per me. E a volte me lo sogno ancora!•<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 47
V<strong>it</strong>torio Lannutti<br />
48<br />
ROCK E PSICHIATRIA<br />
CONTINUA A BRILLARE<br />
DIAMANTE PAZZO<br />
“Shine on you crazy diamond” è una delle più belle<br />
canzoni del rock. È il brano principale di “Wish<br />
you were here”, il disco che i Pink Floyd vollero dedicare<br />
a Syd Barrett, il diamante pazzo. Barrett è<br />
stato il fondatore, il primo cantante-ch<strong>it</strong>arrista del<br />
quartetto inglese, che alla fine degli anni ’60, in<br />
piena epoca hippy, fece un uso eccessivo di Lsd.<br />
La sua passione per l’acido lisergico gli costò cara:<br />
nel giro di pochissima anni, infatti, divenne uno<br />
psicotico cronico e ciò gli impedì di continuare<br />
la carriere di artista. Barrett fece parte del gruppo<br />
soltanto per i primi due album. A sost<strong>it</strong>uirlo<br />
fu chiamato David Gilmour, che era suo amico e<br />
che lo aiutò a pubblicare due dischi solisti, prima<br />
che si r<strong>it</strong>irasse defin<strong>it</strong>ivamente a v<strong>it</strong>a privata,<br />
perso nei suoi deliri, in stato vegetativo, finché<br />
non è morto nel 2006.<br />
Questa lunga introduzione sul più famoso<br />
rocker, che ha avuto importanti problemi psichiatrici,<br />
dimostra che il connubio tra il mondo<br />
della musica rock ed il disagio mentale è molto<br />
più stretto di quanto si immagini. È un legame<br />
molto saldo, fatto di interscambi continui e di<br />
vasi comunicanti sempre aperti. Nel mondo del<br />
rock una delle frasi diventate famose ed ormai<br />
retoriche è “una v<strong>it</strong>a salvata dal rock!”. Di episodi e<br />
di testi riguardanti il disagio mentale ce ne sono<br />
tantissimi, compresi purtroppo i suicidi. Ma andiamo<br />
con ordine e partiamo dalle cose più spiacevoli,<br />
per poi rallegrarci con un aneddoto simpatico.<br />
Alcuni mesi fa, purtroppo<br />
a distanza di tre mesi<br />
l’uno dall’altro, hanno<br />
scelto di lasciarci due<br />
importanti, anche se<br />
non conosciuti dal grande<br />
pubblico, cantautori<br />
Usa: Vic Chesnutt e Mark<br />
Linkous. Il primo all’inizio<br />
della sua carriera, in<br />
segu<strong>it</strong>o ad un incidente<br />
Syd Barret<br />
stradale, perse l’uso delle<br />
gambe. Nonostante ciò,<br />
non si perse d’animo e registrò tanti bei dischi,<br />
anche supportato da molti amici, tra cui Michael<br />
Stipe dei R.E.M.. Ma la forza d’animo, che lo ha caratterizzato<br />
per tanti anni, deve infine aver ceduto<br />
alla depressione, che lo ha portato alla dipart<strong>it</strong>a<br />
lo scorso Natale. Mark Linkous, invece, era il leader<br />
degli Sparklehorse, interessante band, ded<strong>it</strong>a<br />
ad un ottimo pop rock introspettivo, che dal 1995<br />
al 2009 ha prodotto sei dischi oltre ad una bella<br />
manciata di Ep. I suicidi di Linkous e Chesnutt<br />
Discografia essenziale di “Psichiatric” Rock:<br />
Daniel Johnston: Fear yourself (Gammon, 2003)<br />
Pink Floyd: Wish you were here (Harvest 1975)<br />
Vic Chesnutt: The salesman and Bernadette (Cap<strong>it</strong>ol, 1998)<br />
Sparklehorse: Distorted ghost Ep (Odeon, 2000)<br />
Pere Ubu: The modern dance (Geffen, 1978)<br />
Roberto Vecchioni: Il re non si diverte (CGD, 1973)<br />
Giorgio Gaber: Far finta di essere sani (Carosello, 1973)<br />
Fabrizio De Andrè: Non all’amore, non al denaro,<br />
né al cielo (Ricordi, 1971)<br />
Francesco De Gregori: Terra di nessuno (CBS, 1987)<br />
CCCP: Affin<strong>it</strong>à - divergenze fra il compagno Togliatti e noi<br />
del conseguimento della maggiore età<br />
(Attak punk/Virgin, 1985)<br />
purtroppo sono solo gli ultimi in ordine di tempo,<br />
dato che in questa categoria si possono c<strong>it</strong>are, tra<br />
i più famosi, Kurt Cobain, cantante e ch<strong>it</strong>arrista dei<br />
Nirvana, che nel 1994 decise di terminare una v<strong>it</strong>a<br />
di sofferenze e di continue depressioni e Ian Curtis,<br />
storico leader della band inglese new wave Joy<br />
Division.<br />
Continuiamo a tenere in considerazione Linkous,<br />
perché la sua generos<strong>it</strong>à ha permesso ad un altro<br />
artista, che invece soffre di disturbo bipolare, di rilanciare<br />
la propria carriera dopo momenti bui. Si<br />
tratta di Daniel Johnston, grande appassionato<br />
dei Beatles, al punto che avrebbe voluto essere<br />
lui stesso nel quartetto di Liverpool. Johnston tra<br />
gli anni ’80 e ’90 ha prodotto tantissima musica,<br />
sinceramente di scarsa qual<strong>it</strong>à, dato che era molto<br />
disordinata e registrata malissimo. Dopo una profonda<br />
crisi, che lo ha portato a fare uso di droghe<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
e ad un tentativo di suicidio, si è ripreso. Così nel<br />
2003, grazie al prezioso supporto di Linkous, ha<br />
pubblicato uno dei dischi più belli di quell’anno:<br />
“Fear yourself”, t<strong>it</strong>olo emblematico, dato che significa<br />
paura di te stesso. Johnston suona un ottimo<br />
pop rock mai ridondante, ed innovativo. Linkous<br />
ha aiutato Johnston anche per altri due dischi, tra<br />
i quali lo stupendo “Lost and found”.<br />
Un altro artista, che ha sempre avuto seri problemi<br />
psichiatrici, paranoia e schizofrenia, è David Thomas<br />
che, nonostante<br />
o forse proprio grazie<br />
ai suoi disturbi,<br />
ha pubblicato 20 dischi<br />
con i Pere Ubu, il<br />
gruppo che ha fondato<br />
trent’anni fa,<br />
oltre ad una quindicina<br />
di cd ed ep che<br />
ha prodotto con altri<br />
progetti. Thomas,<br />
con i suoi Pere Ubu,<br />
è stato uno degli ar-<br />
Daniel Johnston<br />
tefici e dei principali esponenti della new wave<br />
Usa e ha sempre fatto musica poco codificabile e<br />
straniante.<br />
Passando all’Italia, a parte il successo sanremese<br />
di Simone Cristicchi con “Ti regalerò una rosa”, è indispensabile<br />
c<strong>it</strong>are cinque canzoni che trattano in<br />
varie forme il tema del disagio mentale. Partiamo<br />
da due brani molto commoventi e toccanti. Il primo<br />
è di Roberto Vecchioni, che nel 1973, nell’album “Il<br />
re non si diverte”, pubblicò la canzone “Sabato stelle”,<br />
nella quale il cantautore milanese immaginava<br />
un dialogo con una donna ricoverata in un mani-<br />
ROCK E PSICHIATRIA<br />
comio. Il secondo è di Francesco De Gregori, che<br />
su “Terra di nessuno” del 1987 pubblicò “I matti”, un<br />
efficacissimo testo descr<strong>it</strong>tivo sulla condizione di<br />
v<strong>it</strong>a di chi vive il disagio mentale. Sempre nel 1973,<br />
Giorgio Gaber pubblicava uno dei primi dischi del<br />
suo teatro-canzone: “Far finta di essere sani”, nel<br />
quale non parlava esplic<strong>it</strong>amente di psichiatria,<br />
ma della difficoltà dell’individuo di adeguarsi alle<br />
mode e alle esigenze consumistiche della società.<br />
Il Signor G portò questo spettacolo anche nell’ospedale<br />
psichiatrico di Voghera. Anche Fabrizio<br />
De André si è cimentato con l’argomento in “Non<br />
all’amore né al denaro né al cielo”, l’album del 1971<br />
nel quale ha omaggiato “L’antologia” di Spoon River,<br />
nel quale è presente il brano “Un matto (dietro<br />
ogni scemo c’è un villaggio)”. In questo testo il<br />
buon vecchio Faber canta il desiderio di un individuo<br />
che aveva la pretesa di imparare la Treccani<br />
a memoria e per questo fu rinchiuso in un manicomio.<br />
Per concludere questa carrellata <strong>it</strong>aliana è<br />
doveroso c<strong>it</strong>are “Tavor Valium Serenase” dei CCCP.<br />
Questa canzone non è uno spot pubblic<strong>it</strong>ario dei<br />
tre psicofarmaci più usati dagli psichiatri, ma un<br />
urlo disperato ed una rivendicazione di un altro<br />
stile di v<strong>it</strong>a, cantato da Giovanni Lindo Ferretti, ex<br />
educatore del manicomio di Reggio Emilia, che<br />
nella prima metà degli anni ’80 fondò i CCCP, il più<br />
importante gruppo punk <strong>it</strong>aliano.<br />
Per concludere, torniamo in Usa e questa volta<br />
parliamo di un artista famoso. Si tratta di Bruce<br />
Springsteen che, in piena guerra del Vietnam, per<br />
ev<strong>it</strong>are l’arruolamento, si finse matto e riuscì a non<br />
andare nell’inferno vietnam<strong>it</strong>a. Qualche volta fare<br />
il matto può salvare la v<strong>it</strong>a. •<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 49
Giordano Cotichelli<br />
50<br />
CINEMA E PSICHIATRIA<br />
SÌ, SI PUÒ FARE!<br />
Dalla recensione di alcuni film sulla follia, caratterizzati da sensibil<strong>it</strong>à ed uman<strong>it</strong>à, alla rievocazione di alcuni<br />
personaggi che già agli inizi della psichiatria si sono distinti per l’approccio uman<strong>it</strong>ario.<br />
In genere la recensione di un film si dovrebbe scrivere<br />
in vista della sua prossima usc<strong>it</strong>a o a ridosso<br />
di questa. Se il film è bello si può fare anche dopo.<br />
Se poi è bello ed importante, ogni momento è<br />
giusto. Sto parlando del film del 2008 con Claudio<br />
Bisio: “Si può fare”, il cui tema tratta delle cooperative<br />
sociali nate dietro l’impulso dei cambiamenti<br />
previsti dalla legge 180 del 1978. I personaggi<br />
del film sono immaginari, ma ispirati ad una storia<br />
vera. Anzi, alle tante storie vere che presero forma<br />
dalle speranze accese dalla riforma e dalla sperimentazione<br />
della riabil<strong>it</strong>azione e del reinserimento<br />
proprio grazie le cooperative. Claudio Bisio nel<br />
film sostiene il ruolo di sindacalista fall<strong>it</strong>o, incapace<br />
di mediare: fuori posto nelle nuove compatibil<strong>it</strong>à<br />
aziendali e la perduta confl<strong>it</strong>tual<strong>it</strong>à operaia, r<strong>it</strong>rova<br />
comunque un equilibrio fra coloro che dalla società<br />
sono stati defin<strong>it</strong>i squilibrati. Non è un tecnico,<br />
un medico, un infermiere o un professionista dell’assistenza,<br />
ma fa appello alla sua uman<strong>it</strong>à, chiama<br />
“soci” i pazienti, ci prova, si impegna. Come si dice,<br />
ci mette del “suo”, anche sbagliando, con conseguenze,<br />
ad un certo punto del film, drammatiche.<br />
Entrerà in confl<strong>it</strong>to con lo psichiatra della struttura,<br />
per poi r<strong>it</strong>rovarselo alleato. Il filo conduttore è<br />
l’utopia del “si può fare”: mettere in evidenza che il<br />
cambiamento si può gestire, creare, condurre, non<br />
prima di averlo sognato ed inventato.<br />
Non è la prima volta che il grande schermo affronta<br />
le questioni della salute mentale. Molto spesso<br />
lo ha fatto in termini abbastanza drammatici, altre<br />
volte un po’ didascalici. Riscatto e redenzione?<br />
No, sensibil<strong>it</strong>à e uman<strong>it</strong>à. Un po’ come quelle che<br />
si hanno nel film del 2003 “Prendimi l’anima”, di<br />
Roberto Faenza. Trasposizione cinematografica<br />
della storia vera di Sabina Spielrein, giovane ebrea<br />
russa, ricoverata in una clinica psichiatrica a Zurigo,<br />
dove incontra e si innamora dello stesso Jung.<br />
Il film parla della loro storia di amore, ma parla<br />
anche di come, in un tempo non certo facile, una<br />
donna riesca ad affermarsi, a diventare lei stessa<br />
psicoanalista, a vincere su ogni tipo di pregiudizio:<br />
di genere, pol<strong>it</strong>ico, razziale, medico, per rimanere<br />
sconf<strong>it</strong>ta però dall’unica e sola grande follia dell’uman<strong>it</strong>à:<br />
la guerra. Verrà uccisa dagli invasori nazisti<br />
in Russia nel 1942.<br />
Infine non si può non ricordare il famoso: “Qualcuno<br />
volò sul nido del cuculo”, di Milo_ Forman del<br />
1975 in cui non si narra di nessun momento storico<br />
particolare, o di personaggio realmente esist<strong>it</strong>o,<br />
ma di una persona come tante, un po’ sbruffona,<br />
ribelle se si vuole. Un rubagalline condannato (il<br />
film si svolge negli USA degli anni ’70) a passare<br />
alcune settimane in una clinica psichiatrica, per<br />
curarsi della sua psicopatologia delinquenziale. Il<br />
suo ribellismo individualista lo porterà ad estremi<br />
risultati, non prima però di aver fatto assaporare<br />
un po’ di libertà ai suoi compagni di disavventura.<br />
La cinematografia ci dà lo spunto per poter parlare<br />
di figure con caratteristiche innovative simili,<br />
proprio per l’approccio uman<strong>it</strong>ario, che tuttavia<br />
è possibile individuare già agli inizi della storia<br />
della psichiatria. Molti ricordano in propos<strong>it</strong>o la<br />
figura del medico francese Philippe Pinel, che alla<br />
fine del XVIII secolo sperimentò quella che venne<br />
chiamata la terapia morale, un’antesignana della<br />
psicoterapia. Forse pochi sanno che prima di lui si<br />
impegnò per una psichiatria più umana un <strong>it</strong>aliano,<br />
Vincenzo Chiarugi. Ma ancor prima, come ispiratrice<br />
diretta di Pinel, va ricordata la figura di Jean<br />
Baptiste Pussin.<br />
Pussin è considerato in Francia uno dei più importanti<br />
predecessori della professione infermieristica<br />
e della stessa concezione moderna di cura ed<br />
assistenza in psichiatria. Ricoverato nel 1771 per<br />
un’aden<strong>it</strong>e tubercolare all’ospedale di Bicêtre (vicino<br />
Parigi) all’età di 26 anni, riesce a guarire e ad<br />
entrare come lavorante fino a diventare guardiano<br />
“dei folli”. Da sub<strong>it</strong>o si distingue per i suoi metodi<br />
uman<strong>it</strong>ari e spesso usa liberare i pazienti dalle catene,<br />
uno dei mezzi di contenzione maggiormente<br />
usati a quel tempo. Cerca di relazionarsi con gli in-<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
ternati in modo da stimolare le risorse intellettuali<br />
presenti; scrive annotazioni, i risultati ottenuti e di<br />
volta in volta, quando la direzione dell’Ospedale<br />
ha bisogno di personale nuovo, favorisce la scelta<br />
fra gli ex alienati, partendo dal presupposto che<br />
questi siano sensibili ed anche in parte esperti<br />
delle problematiche assistenziali che dovranno<br />
affrontare. Farà la conoscenza, nel 1793, del nuovo<br />
direttore Philippe Pinel che, osservandone il<br />
modo di lavorare, gli chiederà quali siano i risultati<br />
della liberazione dalle catene dei pazienti ag<strong>it</strong>ati.<br />
Egli risponderà: “Si calmano”. Quando Pinel verrà<br />
trasfer<strong>it</strong>o all’Ospedale di Salpêtrière, vorrà l’infermiere<br />
vicino a sé nella sperimentazione dei nuovi<br />
modelli di cura. Tutto ciò avviene quando ancora<br />
il XVIII secolo deve finire, ma sotto la spinta delle<br />
idee illuministe della rivoluzione francese. L’unic<strong>it</strong>à<br />
e l’importanza della figura di Pussin è sottolineata<br />
dal fatto che in Francia egli sia considerato<br />
un antesignano della professione infermieristica:<br />
diversi Ist<strong>it</strong>uti di Formazione in Scienze Infermieristiche<br />
(IFSI) gli sono int<strong>it</strong>olati.<br />
Pussin e Pinel, Chiarugi… ed anche l’inglese Conolly,<br />
che nel 1838 presso il manicomio provinciale<br />
di Hanwell comincia anche lui a sperimentare<br />
trattamenti “non-restraint”, senza far uso della<br />
contenzione. E tanti altri ancora sono coloro che<br />
hanno detto “Si può fare”, assieme a tanti altri di<br />
cui non è stata lasciata memoria, ieri come oggi.<br />
L’IMPERFEZIONE<br />
Imperfettamente sono conosciuto,<br />
come imperfettamente mi conosco…<br />
ma sono conosciuto.<br />
Imperfettamente conosco il prossimo,<br />
come imperfettamente il prossimo si conosce…<br />
ma è conosciuto.<br />
Imperfettamente conosco ciò che mi circonda,<br />
come ciò che mi circonda imperfettamente si<br />
conosce…<br />
ma è conosciuto.<br />
Imperfettamente conosco la mia anima,<br />
come la mia anima imperfettamente si<br />
conosce…<br />
CINEMA E PSICHIATRIA<br />
O, meglio, non si conoscono i nomi, ma i risultati<br />
sì: quelli che hanno costru<strong>it</strong>o e costruiscono ogni<br />
giorno un sistema di cure e di assistenza dinamico<br />
ed umano, funzionale alle esigenze di chi sta male<br />
e dei loro familiari.<br />
Facile in questi casi la retorica ed allora forse è<br />
anche giusto segnalare esempi di “Si può fare” un<br />
po’ discutibili. Uno su tutti: quello che cap<strong>it</strong>ava nel<br />
1821 all’Ospedale San Lazzaro di Reggio Emilia,<br />
dove il direttore Antonio Galloni pensava che gli<br />
strumenti migliori di cura e sedazione fossero, fra<br />
i tanti, quello di far indossare finte divise mil<strong>it</strong>ari,<br />
far eseguire marcette e present’arm ed imbracciare<br />
finti fucili al fine di “resettare” nella disciplina<br />
e nell’ordine il “disordine” mentale presente. Non<br />
sono noti i risultati di questo “role playing” mil<strong>it</strong>arista,<br />
ma sono facilmente immaginabili, e non si dovrebbero<br />
allontanare di molto dalla visione di chi,<br />
ancora oggi, pensa che il disagio mentale sia una<br />
questione di disordine, di caos, di anarchia mentale<br />
da combattere con maggiore rigid<strong>it</strong>à, ordine,<br />
disciplina e magari allungando i tempi di ricovero,<br />
internamento e di trattamento san<strong>it</strong>ario. A questa<br />
prospettiva discutibilissima non resta che rispondere<br />
con la voglia del “Si può fare” e la dign<strong>it</strong>à del<br />
considerare chi ha bisogno del nostro aiuto come<br />
dei soci con cui appunto lavorare assieme. E’ difficile,<br />
certo, ma… si può fare!•<br />
ma è conosciuta.<br />
Imperfettamente conosco chi è sopra di me,<br />
ma, chi è sopra di me, è PERFETTO.<br />
La perfezione conosce se stessa<br />
e conosce perfettamente ogni cosa.<br />
Ogni cosa tornerà nella perfezione da cui è stata<br />
allontanata<br />
e la perfezione sarà una cosa sola.<br />
E il balbettio del mondo e la sua confusione<br />
torneranno ad essere nel nulla,<br />
in ciò che non esiste, da cui sono scatur<strong>it</strong>i.<br />
Alfredo Baldini<br />
POESIA<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 51
ARMONIA<br />
Equilibrio e seren<strong>it</strong>à<br />
amica e compagna di viaggio<br />
costante e allo stesso tempo sfuggente.<br />
Quel non so che<br />
che ci fa agire liberi da paure<br />
che ci aiuta ad essere noi stessi<br />
a mantenere i nostri sentimenti<br />
liberi<br />
dalle angosce del passato<br />
e dai pensieri del futuro.<br />
Raggiungerla ci vuole una v<strong>it</strong>a.<br />
Un’altra per mantenerla.<br />
E’ armonia.<br />
Maria Grazia Circolani<br />
SCENDO E POI VADO A PIEDI<br />
E vi era un treno che, da tempi dimenticati, andava sui binari, logori, in una direzione retta.<br />
A volte i binari che aveva sul suo cammino si rompevano.<br />
E allora, vi erano operai che intervenivano, in modo che il treno continuasse la sua corsa.<br />
Poi venne un tempo in cui una mente oscura fece deviare il treno su altri binari, nuovi<br />
e il nuovo percorso si svolgeva su un panorama completamente diverso, strano e imprevedibile.<br />
E, poiché io ero su quel treno, mi chiesi:<br />
“Vale la pena di andare in una nuova direzione?<br />
Che senso ha, se prima due più due faceva quattro e ora, come vedo nel nuovo panorama, dicono<br />
che così non è più?<br />
Che senso ha andare in una nuova direzione, che è tutta da costruire?<br />
E questa nuova retta, dove porta?<br />
E se porta, come pensavo, non nel caos, ma addir<strong>it</strong>tura in tanti nuovi caos, a che vale?<br />
Ma come si può scendere da un treno in corsa?”<br />
E allora pensai: “Tiro il freno di emergenza, scendo e vado a piedi pei cazzi miei.”<br />
Alfredo Baldini<br />
52<br />
POESIA<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
ARREDO URBANO<br />
JESI, CITTÀ D’ARTE?...<br />
OCCHIO AI PARTICOLARI<br />
Ezio Bartocci<br />
Tutto cambia, che ci piaccia o no. Cambiamo<br />
noi, cambiano le cose e i luoghi che prendono<br />
forma e li vediamo mutare lentamente o<br />
fin troppo velocemente. Cambia anche ciò<br />
che non vediamo, troppo distante dal nostro<br />
sguardo o perché non è di nostro interesse.<br />
Per questo, nonostante la maestos<strong>it</strong>à<br />
di scalinate, piazze e porticati o di facciate di<br />
palazzi, possono avvenire modifiche, utilizzi,<br />
arredi impropri e discutibili, ma ignorati<br />
dalla maggior parte della gente. Nel piccolo<br />
la distrazione è ancora più facile. Penso ad<br />
alcune figurette dozzinali e di pessimo gusto, collocate alcuni anni fa nelle edicole vuote da decenni o<br />
in alcuni angoli strategici della c<strong>it</strong>tà. Passandoci davanti mi chiedo: “Si possono considerare qualificanti<br />
o sono solo merce da quattro soldi, priva di alcun valore estetico e senza alcuna energia? Al loro posto<br />
non era meglio il vuoto? Nei casi più cr<strong>it</strong>icabili, si può chiederne la sost<strong>it</strong>uzione, se non la rimozione?”.<br />
E mi chiedo ancora: “Aldilà della figuretta in quanto tale, la sua ricollocazione va letta come segno di<br />
marcatura di un terr<strong>it</strong>orio, che vuol essere recuperato anche visivamente e mediante varie manifestazioni<br />
folcloristiche, com’è successo con la riproposta popolare del Palio di San Floriano?”. Forse, chi non<br />
si è accorto della loro assenza in passato, non nota la loro presenza oggi. Eppure i segni hanno sempre<br />
un significato, anche se troppa gente non li degna di considerazione, tant’è che per molti potrebbero<br />
sparire letteralmente parti delle c<strong>it</strong>tà e non se ne accorgerebbero.<br />
Sto pensando questo mentre cerco una mia vecchia pubblicazione int<strong>it</strong>olata Organic<strong>it</strong>tà”, ed<strong>it</strong>a da Carucci<br />
nell’’82, e un catalogo di una mostra di progetti dell’arch<strong>it</strong>etto<br />
De Carlo esposti a San Floriano, che ricordo d’aver<br />
conservato. Li ho promessi in prest<strong>it</strong>o a Claudio insieme a<br />
un mio breve scr<strong>it</strong>to. Fortunatamente li trovo entrambi quasi<br />
sub<strong>it</strong>o. In “Organic<strong>it</strong>tà” affermavo che “si dovrebbe vivere<br />
attivamente e consapevolmente l’ambiente per correggerlo,<br />
modificarlo, in una riappropriazione collettiva, civica, societaria”.<br />
Gli anni Settanta e i primi anni Ottanta sono stati<br />
quelli di maggiore attenzione e partecipazione sociale: erano<br />
frequenti le iniziative pubbliche e artistiche che inv<strong>it</strong>avano<br />
all’orientamento e al dibatt<strong>it</strong>o intorno alle trasformazioni<br />
possibili, al riuso di spazi arch<strong>it</strong>ettonici e urbanistici.<br />
San Floriano, l’ex chiesa allora sede espos<strong>it</strong>iva, già destinata<br />
a diventare aud<strong>it</strong>orium, forniva a De Carlo e al suo staff, nel<br />
1985, la possibil<strong>it</strong>à di valutare la trasformazione della piazza<br />
anche in funzione del futuro utilizzo della ex Chiesa. Aldilà<br />
della fattibil<strong>it</strong>à o meno di ogni progetto, mi sembra che si<br />
debba giudicare sempre pos<strong>it</strong>ivamente una iniziativa basata<br />
sul coinvolgimento della gente, la stimolazione reciproca tra<br />
un maestro riconosciuto in arch<strong>it</strong>ettura e i c<strong>it</strong>tadini.<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010 53
54<br />
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ARREDO URBANO<br />
Ma oggi e ormai da troppi anni queste pratiche sono desuete;<br />
i pol<strong>it</strong>ici preferiscono assecondare le tendenze e i<br />
gusti della maggioranza degli elettori, tenendo meno conto<br />
delle esigenze minor<strong>it</strong>arie. E più alta è la considerazione<br />
dell’elettorato di tipo numerico, più si investe in “panem<br />
et circenses”, tagliando altrove. La pol<strong>it</strong>ica in linea generale,<br />
purtroppo, è poco considerata come possibile servizio<br />
sociale e affermazione di un ideale, ma più un luogo dove<br />
”mal che vada, saranno quelli che restano fuori a star peggio”.<br />
Quella mattina, quando ci siamo incontrati con Claudio in<br />
Piazza Federico II, da poco riaperta al traffico dopo la chiusura<br />
per lavori che sembravano interminabili, entrambi<br />
abbiamo espresso cr<strong>it</strong>iche su molte trasformazioni recenti<br />
della c<strong>it</strong>tà, dovendo constatare, risiedendo in centro, l’impoverimento<br />
e il degrado. La Jesi delle belle promesse, che<br />
mi aveva attratto sul finire degli anni Settanta, da alcuni<br />
anni non è più la stessa. È una c<strong>it</strong>tà con poche idee, pochi<br />
personaggi di riferimento e sempre meno imprend<strong>it</strong>ori<br />
disposti a investire qui. Non basta vantarsi di aver dato i<br />
natali a questo e a quel personaggio illustre, tanto più se<br />
manca la determinazione per celebrarlo come converrebbe.<br />
Qualche esempio? Mi lim<strong>it</strong>o ai due più importanti: Federico II e Pergolesi, due figure diversamente<br />
grandi e affascinanti.<br />
Che il grande imperatore sia nato qui nella Piazza a lui int<strong>it</strong>olata e di recente “riqualificata”, è stato scr<strong>it</strong>to<br />
e ripetuto su tutto il suo perimetro, delineato da lastre di marmo rosa (incise al pantografo), ai margini<br />
dei sampietrini della stessa, separate da una tenda stilizzata e in parte occultate da una grande aiuola<br />
circolare di marmo bianco, dove si ripete la dic<strong>it</strong>ura ripassata in nero, anche in arabo. Entrambe le scr<strong>it</strong>te<br />
per fortuna sono meno vistose rispetto all’iscrizione latina, posta alla base del timpano del duomo<br />
sin dai tempi della riedificazione della chiesa, a perenne<br />
memoria di Rambaldus Magagninus. Lo spazio appena risistemato,<br />
ibrido per via di vari elementi arch<strong>it</strong>ettonici discordanti,<br />
non dà l’idea di un progetto a monte, rispettato<br />
dall’inizio alla fine. Le polemiche tra i due progettisti, usc<strong>it</strong>e<br />
nei giornali e protrattesi fino agli ultimi giorni prima dell’inaugurazione<br />
(panchine sì panchine no, aiuola con fiori<br />
o con albero), hanno rafforzato l’impressione di poca chiarezza,<br />
che non giova a un’opera di riqualificazione. Infine<br />
la lapide nuova, che non poteva mancare all’angolo della<br />
Piazza: quella precedente, scr<strong>it</strong>ta in più lingue, iniziava<br />
con “la leggenda”… per car<strong>it</strong>à! L’attuale, seppure solo in<br />
<strong>it</strong>aliano, porta incisi i t<strong>it</strong>oli imperiali di Federico e anche il<br />
logo della d<strong>it</strong>ta locale che lavora e commercializza i marmi.<br />
Segno dei tempi? Forse: nel suo genere è la cosa più<br />
originale. Il monumento a Federico II non è molto distante:<br />
scendendo via delle Terme, è collocato in quell’angolo appena<br />
dietro le mura, conosciuto a Jesi come “il Montirozzo”.<br />
Seppure un po’ nascosto, il bronzo di tal Robazza è imponente<br />
e baldanzoso, quasi come un eroe dei colossal dei<br />
tempi d’oro di Cinec<strong>it</strong>tà. Ormai da qualche anno è accantonato<br />
lì e aspetta il trasferimento in un luogo più in vista.<br />
Qualche c<strong>it</strong>tadino ha scr<strong>it</strong>to ai giornali dicendo che è una<br />
Capo Horn 15 - settembre 2010
ARREDO URBANO<br />
vergogna che la statua dell’imperatore<br />
sia tenuta così in<br />
disparte, ma nessuno ha replicato<br />
che, volendo ricordare<br />
un personaggio di tale valore,<br />
sarebbe stato opportuno<br />
scegliere anz<strong>it</strong>empo un luogo<br />
giusto, progettare la collocazione,<br />
trovare i fi nanziamenti<br />
necessari e rivolgersi ad uno<br />
scultore di cui potersi vantare.<br />
Nessun oggetto d’arredo urbano<br />
e tantomeno un monumento<br />
può essere considerato<br />
un oggetto-regalo. Anche se a<br />
donarlo è un ente come la Provincia,<br />
come quello collocato<br />
davanti all’ex Sima. Sarebbe<br />
stato doveroso cr<strong>it</strong>icare l’operazione, quantomeno inusuale, e rest<strong>it</strong>uire l’oggetto al m<strong>it</strong>tente. Ma anche<br />
questa struttura per molti è invisibile, inesistente, incr<strong>it</strong>icabile.<br />
Ma passiamo al secondo esempio: Pergolesi. Il suo monumento, esegu<strong>it</strong>o dal Lazzerini, pur essendo una<br />
composizione un po’ teatrale e di maniera, è accettabile. Se non altro, aveva le carte in regola: un com<strong>it</strong>ato<br />
aveva proposto per tempo un concorso e scelto il bozzetto vincente, che rispetto agli altri era il<br />
migliore e in linea con il gusto dei tempi. Inaugurato un secolo fa, pur senza far gridare al capolavoro,<br />
si inseriva discretamente nello spazio della c<strong>it</strong>tà che gli era stato dedicato. Da allora sono passati cento<br />
anni. Quest’anno, per i trecento anni dalla nasc<strong>it</strong>a del grande compos<strong>it</strong>ore, sono tante le iniziative in calendario,<br />
non solo nel suo Teatro: per la comunicazione e la promozione degli eventi qualcuno ha pensato<br />
di ingabbiare i programmi dentro cornici d’epoca. Una trovata che sa di “già visto!”, che non ha niente<br />
a che vedere né con la musica né con la c<strong>it</strong>tà né con la creativ<strong>it</strong>à di Pergolesi. E’ una “furbata” discutibile,<br />
come tante tipiche di questi tempi, poco rappresentativa, quasi quanto poco rappresentativo è il leone<br />
della nuova insegna del Comune. Ma chi se ne accorge e a chi volete che interessi?•<br />
PuB(bl)IZZ<strong>it</strong>à<br />
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