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Commenti alle letture domenicali - 04 Aprile 2011 - Padre Lino Pedron

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Con l'inizio del nuovo anno liturgico Fernando Armellini ha pensato di mettere<br />

su YouTube un video-commento al Vangelo di ogni domenica e delle feste:<br />

http://www.youtube.com/watch?v=cErQra8nA9I<br />

Per trovare i successivi utilizzare la funzione “Cerca” di YouTube<br />

con parola chiave “Fernando Armellini”<br />

Chi desiderasse ascoltarli li può trovare tutti anche nel seguente sito:<br />

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.pax?criteri=1&codiceautore=911<br />

3 aprile<br />

IV DOMENICA DI QUARESIMA – “LÆTARE”<br />

Testo preso dal libro del biblista<br />

FERNANDO ARMELLINI<br />

Ascoltarti è una festa.<br />

Le <strong>letture</strong> <strong>domenicali</strong> spiegate alla comunità<br />

Anno A<br />

Ed. Messaggero, Padova, pp. 155-167<br />

C’è una luce senza tramonto<br />

Alcune cose riusciamo a vederle, altre ci sfuggono. Crescono a ritmo vertiginoso le<br />

cognizioni scientifiche che ci permettono di esaminare, controllare, quantificare tutto ciò<br />

che è materiale. C’incuriosiscono e ci appassionano, ci fanno sentire orgogliosi al punto da<br />

indurre alcuni a credere che sia vero ed esista solo ciò che può essere visto con gli occhi,<br />

constatato con i sensi, verificato con gli strumenti di laboratorio.<br />

Ma la presunzione di avere il controllo su tutta la realtà deriva da un difetto di vista,<br />

dall’offuscamento di quello sguardo interiore e spirituale che solo ci permette di intravedere<br />

qualcosa nei misteri di Dio, nel senso della vita e della morte e nel destino ultimo della<br />

storia dell’uomo.<br />

Esiste anche un’altra cecità, quella di chi è convinto di possedere la luce e di saper<br />

dare il giusto valore ad ogni cosa: al denaro, al successo, alla carriera, alla sessualità, alla<br />

salute e alla malattia, alla giovinezza e alla vecchiaia, alla famiglia, ai figli... ma ha attinto le<br />

sue certezze dalla scala di valori di questo mondo; le ha dedotte – forse senza rendersene<br />

conto – d<strong>alle</strong> pulsioni e d<strong>alle</strong> emozioni del momento, dai calcoli interessati, d<strong>alle</strong> ideologie e<br />

dai sistemi economici contaminati dal peccato, d<strong>alle</strong> chiacchiere salottiere: false luci,<br />

sfavillii inaffidabili, fuochi fatui, bagliori ingannevoli!<br />

“Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9): Cristo<br />

venuto a dissipare le nostre tenebre, a rischiarare le nostre notti, a introdurci nella famiglia<br />

dei “figli della luce e figli del giorno” (1 Ts 5,5).<br />

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:<br />

“Tu sei la luce del mondo. Chi ti segue ha la luce della vita”.<br />

1


Prima Lettura (1 Sm 16,1b.4a.6-7.10-13a)<br />

1 E il Signore disse a Samuele: “Riempi di olio il tuo corno e parti. Ti ordino di andare da<br />

Iesse il Betlemmita, perché tra i suoi figli mi sono scelto un re”.<br />

4 Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato e venne a Betlemme; gli anziani<br />

della città gli vennero incontro trepidanti e gli chiesero: “ È di buon augurio la tua venuta?”.<br />

6 Quando Iesse e i suoi figli gli furono davanti, egli osservò Eliab e chiese: “ È forse davanti<br />

al Signore il suo consacrato?”. 7 Il Signore rispose a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né<br />

all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo.<br />

L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore”.<br />

10 Iesse presentò a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripetè a Iesse: “Il Signore non ha<br />

scelto nessuno di questi”. 11 Samuele chiese a Iesse: “Sono qui tutti i giovani?”. Rispose Iesse:<br />

“Rimane ancora il più piccolo che ora sta a pascolare il gregge”. Samuele ordinò a Iesse: “Manda<br />

a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui”. 12 Quegli mandò a<br />

chiamarlo e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto. Disse il Signore: “Alzati<br />

e ungilo: è lui!”. 13 Samuele prese il corno dell’olio e lo consacrò con l’unzione in mezzo ai suoi<br />

fratelli, e lo spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi.<br />

“I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo<br />

corruttibile appesantisce l’anima”. Così l’autore del libro della Sapienza mette in guardia<br />

contro il pericolo di accordare un’eccessiva, ingenua fiducia ai criteri di giudizio dell’uomo<br />

(Sap 9,14).<br />

Il profeta, colui al quale il Signore affida i propri progetti e rivela i propri misteri, sarà<br />

al riparo da meschini condizionamenti? Affatto; rimane un uomo, anche per lui è difficile<br />

sintonizzare i propri pensieri con quelli di Dio, anch’egli ha bisogno di purificare lo sguardo<br />

se vuole contemplare la realtà con gli occhi del Signore. È quanto è accaduto a Samuele,<br />

l’uomo di Dio inviato a Betlemme per consacrare colui che il Signore aveva scelto come re.<br />

Siamo nel 1020 a.C. e il popolo di Israele sta attraversando un momento difficile a<br />

causa dei Filistei che lo pressano da ogni lato. Un uomo valoroso, abile, intelligente<br />

potrebbe forse riuscire a contenere la tracotanza di nemici tanto potenti, ma dove trovarlo?<br />

Un giorno il Signore fa capire a Samuele di aver scelto l’uomo adatto: un giovane di<br />

Betlemme, un figlio di Iesse.<br />

Il profeta si mette in cammino verso quella città, cerca la casa di Iesse, entra e racconta<br />

ciò che il Signore gli ha rivelato. Iesse s’illumina, è raggiante perché Dio ha scelto uno dei<br />

suoi figli come re d’Israele. Ma quale di loro? – si chiede – Ne ha molti. Dopo un attimo di<br />

esitazione, pensa: certamente il prescelto è Eliab, il primogenito, è alto, fiero, aitante, non<br />

può che essere lui! Anche Samuele è colpito dall’aspetto del giovane, dall’imponenza della<br />

statura, ma nell’intimo la voce del Signore gli suggerisce: “No, non è lui!”.<br />

Un po’ deluso, Iesse presenta al profeta, uno dopo l’altro, i suoi sette figli, tutti belli,<br />

gagliardi, sagaci, eppure nessuno di loro è l’eletto. Anche Samuele sembra perplesso,<br />

disorientato. Chiede allora a Iesse: “Non hai altri figli?”. “Sì – risponde questi – ne avrei<br />

ancora uno, ma è un adolescente, è assurdo che Dio scelga lui per una missione così<br />

impegnativa quando può fare affidamento su persone ben più dotate”.<br />

Il profeta – che ora comincia a vedere la realtà con occhi nuovi, quelli di Dio –<br />

risponde: “Vallo a prendere, perché è lui l’eletto!”.<br />

Strana, persino illogica la scelta di Dio! Non è facile capire il suo comportamento e<br />

non è la prima volta che egli agisce in modo contrario ai criteri umani. Fin dall’inizio della<br />

Bibbia egli mostra di prediligere Abele rispetto a Caino e il testo sacro non ne spiega il<br />

motivo (non dice che Abele era buono e Caino cattivo). La ragione è un’altra: Hebel (Abele)<br />

in ebraico significa “vanità”, ciò che è senza consistenza, dunque, indica colui che non<br />

2


conta. Abele è hebel ed è anche il più debole e il più piccolo: ha tutto ciò che attira lo<br />

sguardo di Dio. È questa, nella Bibbia, la prima manifestazione delle preferenze del Signore<br />

per chi non ha valore.<br />

In seguito egli sceglierà un popolo: osserverà gli egiziani, molto religiosi, costruttori di<br />

piramidi, conoscitori dei segreti della scienza; prenderà in considerazione i babilonesi,<br />

ricchi, potenti, progrediti in ogni campo del sapere, ma non sceglierà loro, preferirà Israele<br />

perché... era il più piccolo (Dt 7,7-8). Per liberare il suo popolo dai madianiti chiamerà<br />

Gedeone, che si schermirà dicendo: “Ah, mio Signore, come posso essere io a salvare<br />

Israele? Ecco, la mia famiglia è la più povera di tutta la tribù, ed io sono il più piccolo della<br />

mia famiglia” (Gd 6,15).<br />

Gesù si comporterà allo stesso modo: privilegerà i piccoli, i peccatori, i poveri, i<br />

pastori, le persone disprezzate e farà di loro i primi invitati al banchetto del Regno.<br />

Come si spiegano queste predilezioni di Dio? La risposta si trova nella parte centrale<br />

della lettura: egli non vede le persone come le vediamo noi; il nostro sguardo contempla<br />

l’esterno, non va oltre la superficie, si sofferma spesso sull’effimero, il suo giunge al cuore.<br />

Perfino Samuele, l’uomo di Dio, il profeta del Signore, per un momento ha esitato e si è<br />

lasciato abbagliare d<strong>alle</strong> apparenze. È dunque facile che questo accada. Senza che nemmeno<br />

ce ne rendiamo conto, esprimiamo sulle persone giudizi superficiali e ingiusti. La lettura<br />

invita a prenderne atto e a riconsiderarli alla luce dei giudizi e dello sguardo del Signore.<br />

Seconda Lettura (Ef 5,8-14)<br />

8 Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli<br />

della luce; 9 il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10 Cercate ciò che è gradito<br />

al Signore, 11 e non partecipate <strong>alle</strong> opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele<br />

apertamente, 12 poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare. 13<br />

Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello<br />

che si manifesta è luce. 14 Per questo sta scritto: “Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e<br />

Cristo ti illuminerà”.<br />

Nella Bibbia la lotta fra il bene ed il male è presentata spesso con l’immagine<br />

dell’antitesi fra luce e tenebre. “Non ci può essere comunione fra la luce e le tenebre” –<br />

dichiara Paolo ai corinti (2 Cor 6,14). Il dramma consiste nel fatto che l’uomo può scegliere<br />

le tenebre e allontanarsi da Dio che è luce (1 Gv 1,5.7).<br />

Per i semiti – che avevano assimilato molti aspetti delle concezioni dualistiche<br />

persiane – l’oriente, dove sorge il sole, era il simbolo di Dio, mentre l’occidente richiamava<br />

il maligno. In una delle sue celebri catechesi battesimali, Cirillo di Gerusalemme (IV<br />

secolo) ricordava ai suoi fedeli: “Rivolti verso occidente, voi avete steso le mani e avete<br />

rinunciato a satana, perché l’occidente è il luogo della fitta tenebra e l’impero di satana è<br />

nell’oscurità”.<br />

Le esortazioni contenute nella lettura vanno collocate nel contesto di questa mentalità.<br />

Ai cristiani viene ricordato che, con il battesimo, sono passati d<strong>alle</strong> tenebre alla luce,<br />

per questo da loro ci si attende le opere della luce. Paolo le richiama e le riassume: ogni<br />

specie di bontà, di giustizia e verità. Quanto <strong>alle</strong> opere delle tenebre – continua – esse sono<br />

così vergognose che chi le compie si nasconde, teme la luce e cerca istintivamente<br />

l’oscurità.<br />

L’Apostolo suggerisce, infine, il modo per contrastare le opere malvagie: la denuncia<br />

aperta e decisa (v. 13). Le azioni vergognose devono essere condannate con fermezza; non<br />

si può cercare di giustificarle, di scusarle, di renderle in qualche modo accettabili. Il<br />

3


semplice fatto di chiamarle con il loro nome e non con circonlocuzioni equivoche, significa<br />

metterle allo scoperto, è come proiettare su di loro un fascio di luce che le priva della loro<br />

più valida protezione. Quando non c’è oscurità, le opere malvagie vengono a trovarsi fuori<br />

dal loro ambiente vitale.<br />

È un richiamo al dovere di ogni cristiano di denunciare con coraggio ciò che è<br />

disordine. Il pericolo di lasciarsi irretire in falsi ragionamenti, che portano a chiamare “bene<br />

il male e male il bene” (Is 5,20), incombe sempre, anche sui cristiani.<br />

Vangelo (Gv 9,1-41)<br />

1 Passando vide un uomo cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi<br />

ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?”. 3 Rispose Gesù: “Né lui ha peccato<br />

né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. 4 Dobbiamo compiere le<br />

opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più<br />

operare. 5 Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo”.<br />

6 Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del<br />

cieco 7 e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)”. Quegli andò, si lavò<br />

e tornò che ci vedeva.<br />

8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano:<br />

“Non è egli quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?”. 9 Alcuni dicevano: “ È lui”; altri<br />

dicevano: “No, ma gli assomiglia”. Ed egli diceva: “Sono io!”. 10 Allora gli chiesero: “Come<br />

dunque ti furono aperti gli occhi?”. 11 Egli rispose: “Quell’uomo che si chiama Gesù ha fatto del<br />

fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va’ a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi<br />

lavato, ho acquistato la vista”. 12 Gli dissero: “Dov’è questo tale?”. Rispose: “Non lo so”.<br />

13 Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14 era infatti sabato il giorno in<br />

cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 Anche i farisei dunque gli chiesero di<br />

nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: “Mi ha posto del fango sopra gli occhi,<br />

mi sono lavato e ci vedo”. 16 Allora alcuni dei farisei dicevano: “Quest’uomo non viene da Dio,<br />

perché non osserva il sabato”. Altri dicevano: “Come può un peccatore compiere tali prodigi?”. E<br />

c’era dissenso tra di loro. 17 Allora dissero di nuovo al cieco: “Tu che dici di lui, dal momento che<br />

ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose: “ È un profeta!”.<br />

18 Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché<br />

non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19 E li interrogarono: “ È questo il<br />

vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?”. 20 I genitori risposero:<br />

“Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; 21 come poi ora ci veda, non lo<br />

sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui di se<br />

stesso”. 22 Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano<br />

già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23<br />

Per questo i suoi genitori dissero: “Ha l’età, chiedetelo a lui!”.<br />

24 Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: “Da’ gloria a Dio!<br />

Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”. 25 Quegli rispose: “Se sia un peccatore, non lo so;<br />

una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo”. 26 Allora gli dissero di nuovo: “Che cosa ti ha fatto?<br />

Come ti ha aperto gli occhi?”. 27 Rispose loro: “Ve l’ho già detto e non mi avete ascoltato; perché<br />

volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. 28 Allora lo insultarono e<br />

gli dissero: “Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! 29 Noi sappiamo infatti che a Mosè<br />

ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia”. 30 Rispose loro quell’uomo: “Proprio questo<br />

è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31 Ora, noi sappiamo che<br />

Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da<br />

che mondo è mondo, non s’è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33 Se<br />

costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. 34 Gli replicarono: “Sei nato tutto nei<br />

peccati e vuoi insegnare a noi?”. E lo cacciarono fuori.<br />

4


35 Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: “Tu credi nel Figlio<br />

dell’uomo?”. 36 Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. 37 Gli disse Gesù: “Tu<br />

l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui”. 38 Ed egli disse: “Io credo, Signore!”. E gli si<br />

prostrò innanzi. 39 Gesù allora disse: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché<br />

coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. 40 Alcuni dei farisei che erano<br />

con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo forse ciechi anche noi?”. 41 Gesù rispose loro:<br />

“Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato<br />

rimane”.<br />

Fin dai primi tempi della Chiesa, il racconto del cieco nato viene proposto in<br />

Quaresima.<br />

La ragione è facile da intuire: nella storia del cieco nato ogni cristiano può facilmente<br />

riconoscere la propria storia. Prima di incontrare Cristo era un cieco, poi il Maestro gli ha<br />

donato la vista, lo ha illuminato nell’acqua del fonte battesimale. Quando, dopo Costantino,<br />

si cominciarono a costruire i primi battisteri, si diede loro il nome di photistéria: luoghi<br />

dell’illuminazione.<br />

Nel brano di oggi, Giovanni prende spunto da un episodio della vita di Gesù e se ne<br />

serve per sviluppare il tema centrale del messaggio cristiano: la salvezza donata da Cristo.<br />

Il linguaggio che impiega è quello biblico: la contrapposizione tenebre-luce. Nella<br />

Bibbia le tenebre hanno sempre una connotazione negativa, sono il simbolo del potere<br />

oscuro del male, della morte, della perdizione; la luce invece rappresenta l’orientamento<br />

verso Dio, la scelta del bene e della vita.<br />

La guarigione del cieco nato è collocata nel contesto della festa delle capanne (Gv<br />

7,2), la più popolare di tutte le feste giudaiche, tanto da essere chiamata semplicemente “la<br />

festa”. Durava una settimana ed era caratterizzata da un’esplosione di gioia e d<strong>alle</strong> liturgie<br />

della luce e dell’acqua.<br />

Sulla spianata del tempio, illuminata ogni notte da grandi fiaccole, c’era un pozzo cui<br />

si attingeva l’acqua per le libagioni. Ad esso veniva riferita la profezia di Isaia: “Attingerete<br />

con gioia <strong>alle</strong> sorgenti della salvezza” (Is 12,3). Nel secondo giorno della festa si celebrava<br />

il rito della “gioia del pozzo”, con danze e canti. Gesù attese “l’ultimo giorno, il più solenne<br />

della festa” per levarsi in piedi ed esclamare a gran voce: “Se qualcuno ha sete venga a me e<br />

beva chi crede in me” (Gv 7,37). Fu durante questa festa della luce che egli proclamò anche:<br />

“Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce<br />

della vita” (Gv 8,12).<br />

Per cogliere la densità del messaggio del vangelo di oggi va tenuto presente questo<br />

contesto festivo e i riferimenti alla luce e all’acqua. Il cieco giungerà a vedere la luce<br />

soltanto dopo essersi lavato con l’acqua dell’Inviato.<br />

Divideremo il brano in sette parti, come se si trattasse di sette scene di un’opera<br />

teatrale.<br />

La prima scena (vv. 1-5) si apre con un dialogo fra Gesù e i discepoli. Il loro<br />

intervento è chiaramente un artificio letterario, mediante il quale si offre a Gesù<br />

l’opportunità di dare la chiave di lettura dell’episodio. Se si riduce il brano a un reportage<br />

giornalistico, se non si coglie il simbolismo della guarigione del cieco nato, si perde il<br />

messaggio centrale: Gesù “è la luce del mondo” (vv. 4-5).<br />

La domanda dei discepoli è forse anche la nostra: “Come mai quest’uomo è nato<br />

cieco? Chi ha peccato: lui o i suoi genitori?” (v. 2).<br />

5


Al tempo di Gesù si riteneva che, nella sua infinita giustizia, Dio premiasse i buoni e<br />

punisse i malvagi già in questo mondo, in proporzione <strong>alle</strong> loro opere. Le disgrazie, le<br />

malattie, le sofferenze erano ritenute un castigo per i peccati.<br />

Questa teologia – dettata dalla logica e dai criteri umani – non è mai stata facile da<br />

difendere. Giobbe la irrideva: “I malvagi prosperano, invecchiano, anzi, sono potenti e<br />

gagliardi. La loro prole prospera insieme con loro… Finiscono nel benessere i loro giorni e<br />

muoiono tranquilli” (Gb 21,7-8.13) e a chi gli obiettava: “Dio serba per i loro figli il suo<br />

castigo”, rispondeva: “Ma la faccia pagare piuttosto a lui stesso, che sia lui a soffrire! Cosa<br />

gliene importa infatti della sua famiglia quando il numero dei suoi giorni è finito?” (Gb<br />

21,19-21).<br />

Malgrado queste inconfutabili ragioni, la teologia della “giusta retribuzione” era<br />

accettata da tutti e, per spiegare la nascita di una persona disabile, si giungeva addirittura a<br />

supporre che avesse peccato nel grembo materno.<br />

La posizione che Gesù prende su questo argomento è chiara e illuminante: “Né il<br />

cieco, né il suoi genitori hanno peccato” (v. 3). È una bestemmia parlare di castighi di Dio, è<br />

un modo pagano di immaginarlo. Quando la Bibbia parla dei “castighi di Dio” impiega un<br />

linguaggio arcaico che non è più il nostro e con esso intende denunciare i disastri provocati<br />

dal peccato, non da Dio. Oggi è scorretto e deviante usare la metafora del “castigo di Dio”,<br />

senza chiarirne subito il significato.<br />

Di fronte al male non ha senso chiedersi di chi è la colpa, l’unica cosa da fare è<br />

impegnarsi per eliminarlo, come Gesù ha fatto.<br />

“È così – dice Gesù parlando del cieco – perché in lui possano manifestarsi le opere di<br />

Dio” (v. 3). Ogni evento è ambivalente. Siamo noi che abbiamo catalogato gli avvenimenti<br />

in buoni e cattivi, ma ognuno di loro può essere buono o cattivo. A seconda di come lo si<br />

vive, si tramuta in salvezza o segna una sconfitta.<br />

Il cieco non ha colpa di essere nato così.<br />

Qui fa la sua comparsa il simbolismo giovanneo: la cecità è la condizione nella quale<br />

l’uomo nasce. Non è colpa sua né degli altri. È cieco e non ha nemmeno l’idea di che cosa<br />

sia la luce, tanto è vero che non gli passa neppure per la mente di chiedere a Gesù di essere<br />

curato, è Gesù che prende l’iniziativa di guarirlo e, con il suo gesto, mostra che la sua<br />

salvezza (la sua luce) è un dono completamente gratuito.<br />

Dove c’è lui, c’è la luce, è giorno. Dove lui è assente, è notte fonda (v. 5).<br />

Nella seconda scena (vv. 6-7) viene riferita, in modo estremamente sintetico, la<br />

guarigione del cieco. Il metodo impiegato ci risulta piuttosto strano: il fango, la saliva…<br />

Gesù si adegua alla mentalità della gente del suo tempo che riteneva la saliva un concentrato<br />

dell’alito, dello spirito, della forza di una persona. In questo gesto – compiuto altre volte da<br />

Gesù (Mc 7,33; 8,23) – c’è forse un riferimento alla creazione dell’uomo raccontata nel<br />

libro della Genesi (Gn 2,7). L’evangelista vorrebbe cioè insinuare l’idea che dall’alito, dallo<br />

Spirito di Gesù nasce l’uomo nuovo, illuminato.<br />

Il cieco non ricupera immediatamente la vista, deve andare a lavarsi all’acqua di Sìloe<br />

e Giovanni rileva che questo nome significa Inviato. Il riferimento a Gesù – l’inviato del<br />

<strong>Padre</strong> – è esplicito: è la sua acqua, quella promessa alla samaritana, che cura la cecità<br />

dell’uomo.<br />

La terza scena introduce il primo degli interrogatori fatti al cieco (vv. 8-12).<br />

Illuminato da Gesù, è divenuto irriconoscibile, è cambiato completamente, tanto che i<br />

vicini, che per anni gli sono vissuti accanto, si chiedono: “Ma è lui o non è lui?”.<br />

6


È l’immagine dell’uomo che, dal giorno in cui è divenuto discepolo, si è trasformato a<br />

tal punto da non sembrare più la stessa persona. Prima conduceva una vita corrotta, era<br />

intrattabile, egoista, avido, burbero, ora non più, è cambiato il suo modo di ragionare, di<br />

parlare, di giudicare, di valutare persone e avvenimenti, di affrontare i problemi, di reagire<br />

<strong>alle</strong> provocazioni. L’acqua che è la parola di Cristo gli ha aperto gli occhi, gli ha fatto<br />

scoprire com’era priva di senso la vita che conduceva. Ha creato un uomo nuovo,<br />

illuminato.<br />

Il cammino del discepolo verso la luce piena è però lungo e faticoso. L’evangelista lo<br />

presenta con l’immagine del cieco che comincia il suo percorso nel momento in cui incontra<br />

l’uomo Gesù. “Quell’uomo che si chiama Gesù – dice – ha fatto del fango” e a chi gli<br />

chiede: “Dov’è questo tale?”, risponde: “Non lo so”. Confessa la propria ignoranza,<br />

riconosce di non sapere ancora nulla di lui.<br />

Il punto di partenza del cammino spirituale del discepolo è la presa di coscienza di non<br />

conoscere Cristo e di sentire il bisogno di sapere qualcosa di più.<br />

Nella quarta scena (vv. 13-17) intervengono le autorità religiose che sottopongono il<br />

cieco a un secondo interrogatorio. Non si preoccupano di verificare ciò che è accaduto.<br />

Hanno già deciso che devono condannare Gesù perché non corrisponde all’idea di uomo<br />

religioso che hanno in mente. Arrogandosi il diritto di parlare in nome di Dio, lo<br />

classificano fra i malvagi, fra i nemici del Signore in base a norme e a criteri da loro<br />

stabiliti.<br />

Questa convinzione di essere nel giusto e di non aver bisogno di altra luce, il rifiuto di<br />

rimettere in causa le proprie certezze teologiche, li porta ad affermare altezzosi: “Noi<br />

sappiamo che quest’uomo non viene da Dio…” (v. 16). Sono ciechi, convinti di vederci.<br />

La posizione assunta da questi farisei è un richiamo al pericolo che corre chiunque<br />

inizia a conoscere Cristo. Se rimane aggrappato <strong>alle</strong> proprie sicurezze e <strong>alle</strong> proprie<br />

convinzioni, se rifiuta caparbiamente ogni cambiamento, rimarrà schiavo della tenebra.<br />

Il cieco, che è cosciente di “non sapere”, muove invece un secondo passo. Ai farisei<br />

che gli chiedono: “Tu cosa dici di lui?”, risponde: “È un profeta” (v. 17). Prima pensava che<br />

fosse un semplice uomo, ora ha capito che è qualcosa di più, che è un gradino sopra: è un<br />

profeta.<br />

La quinta scena (vv. 18-23) racconta un nuovo interrogatorio. Questa volta le autorità<br />

chiamano in causa i genitori del cieco. Detengono il potere e non possono tollerare che<br />

qualcuno metta in causa le loro convinzioni e il loro prestigio. Chi osa opporsi deve essere<br />

tolto di mezzo. Sono così potenti che perfino i genitori hanno paura di prendere posizione in<br />

favore del figlio.<br />

È la storia di chiunque viene illuminato da Cristo: non è più capito, viene abbandonato<br />

e a volte anche tradito d<strong>alle</strong> persone più care, da coloro da cui si sarebbe aspettato un<br />

incoraggiamento e un appoggio.<br />

È sempre difficile e rischioso schierarsi dalla parte della verità: la paura di alienarsi<br />

l’amicizia della gente che conta o le simpatie di chi detiene il potere, induce spesso a<br />

omettere di intervenire quando si dovrebbe, provoca reticenze e silenzi colpevoli.<br />

Nella sesta scena (vv. 24-34) le autorità religiose chiamano di nuovo in causa il cieco.<br />

Nelle sue risposte, nel suo atteggiamento si possono cogliere le caratteristiche che<br />

contraddistinguono chi è illuminato da Cristo.<br />

- È anzitutto libero: non vende la propria testa a nessuno, dice quello che pensa. “È un<br />

profeta” – afferma, riferendosi a Gesù – e quando gli obiettano: “Noi sappiamo che<br />

7


quest’uomo è un peccatore”, si permette addirittura di fare dell’ironia: “Se sia un peccatore<br />

non lo so; una cosa so: che prima ero cieco e ora ci vedo” e, subito dopo, ancor più<br />

graffiante, soggiunge: “È davvero strano che voi non sappiate di dove sia…”.<br />

- È coraggioso:rifiuta ogni forma di servilismo, non si lascia intimidire da coloro che,<br />

abusando del loro potere, insultano, minacciano, ricorrono alla violenza (vv. 24ss.).<br />

- È sincero: non rinuncia a dire la verità anche quando questa è scomoda o sgradita a<br />

chi sta in alto, a chi è abituato a ricevere solo approvazioni e applausi dagli adulatori.<br />

- È semplice come una colomba, ma anche prudente.<br />

Le autorità tentano di intrappolarlo, costringendolo ad ammettere che si è schierato<br />

dalla parte di chi “non osserva il sabato”, ma egli, con abilità, si sottrae alla trappola: “Ve<br />

l’ho già detto, perché volete udirlo di nuovo?” e assesta una nuova stoccata ironica: “Non è<br />

che per caso volete diventare suoi discepoli?” (v. 27).<br />

- Si mantiene in un costante atteggiamento di ricerca: sa di avere intravisto qualcosa,<br />

di aver colto una parte della verità, ma è cosciente che molte cose ancora gli sfuggono. Le<br />

autorità sono invece convinte di vedere già chiaro, pensano di sapere tutto: “Noi sappiamo<br />

che quest’uomo non viene da Dio” (v. 16); “noi sappiamo che è un peccatore” (v. 24); “noi<br />

sappiamo che a Mosè ha parlato Dio” (v. 29).<br />

Colui che era cieco ha invece sempre riconosciuto il proprio limite: “Di dove sia<br />

quest’uomo, non lo so” (v. 12); “se sia un peccatore, non lo so” (v. 25). Quando Gesù gli<br />

chiederà se crede nel Figlio dell’uomo, egli risponderà: “Chi è?”, riconoscendo, ancora una<br />

volta, la propria ignoranza (v. 36).<br />

- Infine resiste <strong>alle</strong> pressioni e alla paura. Subisce violenza, ma non rinuncia alla luce<br />

ricevuta. Piuttosto che andare contro coscienza, preferisce essere cacciato fuori<br />

dell’istituzione (v. 34).<br />

Nell’ultima scena (vv. 35-41) ricompare Gesù.<br />

Tutto si è svolto come se egli non esistesse. Non è più intervenuto, ha lasciato che il<br />

cieco si destreggiasse da solo in mezzo <strong>alle</strong> difficoltà e ai conflitti.<br />

Il discepolo illuminato non ha bisogno della presenza fisica del Maestro, gli basta la<br />

forza della sua luce per mantenersi saldo nella fede e fare scelte coerenti.<br />

Alla fine Gesù interviene e pronuncia la sua sentenza, l’unica che conta quando si<br />

tratta di decidere sulla riuscita o sul fallimento della vita di uomo. Dice: all’inizio c’era un<br />

uomo cieco e molti che ci vedevano; ora la situazione è capovolta, coloro che erano convinti<br />

di vedere, in realtà sono ciechi incurabili; invece colui che era cosciente della propria cecità,<br />

ora ci vede.<br />

Si noti come è stato chiamato Gesù lungo il racconto: per le autorità – per i “vedenti” –<br />

egli è “quel tale”, “quell’uomo”, “costui”; i capi non si degnano nemmeno di chiamarlo per<br />

nome; hanno occhi, ma non vogliono vedere chi egli sia.<br />

Il cieco fa un percorso di fede che corrisponde a quello di ogni discepolo: all’inizio<br />

Gesù è per lui un semplice “uomo” (v. 11); poi diviene un “profeta” (v. 17); in seguito è un<br />

“uomo di Dio” (v. 32-33); alla fine è il “Signore” (v. 38). Quest’ultimo titolo è il più<br />

importante, è quello con cui i cristiani proclamavano la loro fede. Prima di venire immerso<br />

nell’acqua del photistérion, durante la solenne cerimonia della notte di Pasqua, ogni<br />

catecumeno dichiarava, davanti a tutta comunità: “Credo che Gesù è il Signore”. Da quel<br />

momento era accolto fra “gli illuminati”.<br />

8


10 aprile<br />

V DOMENICA DI QUARESIMA<br />

Testo preso dal libro del biblista<br />

FERNANDO ARMELLINI<br />

Ascoltarti è una festa.<br />

Le <strong>letture</strong> <strong>domenicali</strong> spiegate alla comunità<br />

Anno A<br />

Ed. Messaggero, Padova, pp. 168-179<br />

Il sepolcro: un grembo, non più una tomba<br />

“Quando gli dèi formarono l’umanità, attribuirono la morte all’umanità e trattennero la<br />

vita nelle loro mani”. Sono le parole che – nella celebre epopea mesopotamica – la<br />

taverniera Siduri rivolge a Gilgamesh che è alla disperata ricerca dell’albero della vita.<br />

Sconsolato l’eroe capisce che deve rassegnarsi: morire è partire per il “Paese senza ritorno”.<br />

Tenebra, silenzio, oblio avvolgono la dimora dei morti anche secondo la concezione<br />

ebraica.<br />

È difficile trovare nell’AT qualche accenno all’immortalità dell’anima e alla<br />

risurrezione dei morti e, certamente, quei pochi testi non sono stati scritti prima del II secolo<br />

a.C.<br />

Giobbe affermava: “Per l’albero c’è speranza se viene tagliato, ancora ributta, al<br />

sentore dell’acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta. L’uomo invece, se muore,<br />

giace inerte. Potranno sparire le acque del mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi, ma<br />

l’uomo che giace più non s’alzerà, finché durano i cieli non si sveglierà, né più si desterà dal<br />

suo sonno” (Gb 14,7-12). Questo sconforto sfociava in un’elegia sulla bocca del salmista:<br />

“Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni. Solo un soffio è ogni uomo che vive, come<br />

ombra è l’uomo che passa. Distogli il tuo sguardo, che io respiri, prima che me ne vada e<br />

più non sia” (Sal 39,6-7.14).<br />

Così gli spiriti più illuminati dell’antichità esprimevano il loro sconcerto, la loro<br />

angoscia, il loro smarrimento di fronte alla caducità della vita. La Bibbia ci ha conservato il<br />

ricordo del loro disorientamento e delle loro inquietudini per ricordarci quanto erano dense<br />

le tenebre della tomba, prima che sul mondo risplendesse la luce della Pasqua.<br />

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:<br />

“Quando attraverserò la v<strong>alle</strong> oscura, non temerò alcun male, perché tu, Signore della vita,<br />

sei con me”.<br />

9


Prima Lettura (Ez 37,12-14)<br />

12 Perciò profetizza e annunzia loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi<br />

risuscito d<strong>alle</strong> vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d’Israele. 13 Riconoscerete che<br />

io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio.<br />

14 Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io<br />

sono il Signore. L’ho detto e lo farò”. Oracolo del Signore Dio.<br />

Fra gli israeliti deportati a Babilonia nel 597 a.C. c’è anche un sacerdote, Ezechiele,<br />

destinato a diventare il profeta del popolo in esilio. “Il cinque del decimo mese dell’anno<br />

decimosecondo della deportazione”, arriva ansimante da lui un fuggiasco da Gerusalemme e<br />

gli dice: la città è caduta (Ez 33,21). Quattro mesi prima i soldati di Nabucodonosor<br />

l’avevano presa e data <strong>alle</strong> fiamme, catturando un nuovo gruppo di prigionieri, più<br />

numeroso del precedente, destinato ad ingrossare le file di quello che già si trovava in<br />

Mesopotamia. Ezechiele svolge la sua attività di profeta fra questi deportati che, sconfitti e<br />

avviliti, vanno ripetendo: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi<br />

siamo perduti” (Ez 37,11). Si sentono cadaveri senza vita, anzi peggio, scheletri rinsecchiti,<br />

corrosi, consumati dai molti anni trascorsi nella tomba dell’esilio.<br />

È dunque tutto finito? Le promesse di benedizioni fatte ad Abramo sono state rese<br />

vane dai peccati del popolo? Certo nessuno potrà ormai ridare vita a Israele, ridotto a<br />

un’immensa distesa di ossa aride, sparse nella pianura e nelle valli del Paese dei due fiumi<br />

(Ez 37,1-3).<br />

In questo contesto storico Ezechiele annuncia il prodigio inaudito che il Signore sta<br />

per compiere: Dio ridarà vita a quelle ossa disseccate, risusciterà gli israeliti a nuova vita,<br />

aprirà i sepolcri in cui sono stati deposti, li farà uscire d<strong>alle</strong> loro tombe e li ricondurrà nella<br />

loro terra (vv. 12.13).<br />

Questa profezia non si riferiva alla risurrezione dei morti come la intendiamo noi, ma<br />

al ritorno in patria dei deportati. Tuttavia, nei secoli successivi, essa fu oggetto di studio e di<br />

riflessione da parte dei rabbini, acquistò grande importanza e contribuì a far sbocciare l’idea<br />

che, alla venuta del messia, tutti i giusti sarebbero ritornati in vita per partecipare alla gioia<br />

del nuovo Regno.<br />

Ovunque entra lo spirito del Signore, lì giunge la vita. È accaduto all’inizio del mondo<br />

quando Dio, dopo aver plasmato l’uomo dalla polvere del suolo, soffiò nelle sue narici un<br />

alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Gn 2,7). Questo spirito di vita ancora oggi<br />

continua ad operare in ogni situazione di morte: quella degli odi e dei rancori atavici fra<br />

popoli, delle incomprensioni e dei dissidi familiari, delle divisioni nella comunità. Nulla è<br />

irrecuperabile per lo spirito del Signore, egli può ricomporre e ridare vita anche a ossa<br />

inaridite.<br />

Seconda Lettura (Rm 8,8-11)<br />

8 Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.<br />

9 Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito<br />

di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10 E se Cristo è in<br />

voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. 11<br />

E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo<br />

dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.<br />

10


Tutti gli uomini muoiono. La vita biologica che hanno in comune con gli animali non<br />

dura per sempre. Anche Gesù, essendo uomo come noi, è morto, doveva morire. Ma è<br />

risorto. Perché è accaduto? Cosa lo ha fatto risuscitare?<br />

Nella lettura di oggi Paolo risponde: egli possedeva in pienezza lo spirito di Dio, cioè,<br />

aveva in sé la vita di Dio che non può morire.<br />

La vita dell’uomo ha un inizio e ha una fine, quella di Dio no, egli non è nato e non<br />

muore. Gesù aveva in sé questa vita divina e quando un giorno si è conclusa per lui la vita<br />

materiale, lo spirito di Dio lo ha fatto risorgere, lo ha introdotto nella gloria del <strong>Padre</strong>.<br />

Paolo continua: anche noi che abbiamo ricevuto nel battesimo il suo stesso Spirito, la<br />

sua stessa vita, non possiamo più morire. Avrà termine la nostra vita in questo mondo, ma<br />

non sarà la fine di tutto, lo Spirito che risuscitò Gesù e che abita in noi darà vita eterna ai<br />

nostri corpi mortali.<br />

Vangelo (Gv 11,1-45)<br />

1 Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella.<br />

2 Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con<br />

i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3 Le sorelle mandarono dunque a dirgli: “Signore,<br />

ecco, il tuo amico è malato”.<br />

4 All’udire questo, Gesù disse: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio,<br />

perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. 5 Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a<br />

Lazzaro. 6 Quand’ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava.<br />

7 Poi, disse ai discepoli: “Andiamo di nuovo in Giudea!”. 8 I discepoli gli dissero: “Rabbì,<br />

poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. 9 Gesù rispose: “Non sono forse<br />

dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo<br />

mondo; 10 ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce”. 11 Così parlò e<br />

poi soggiunse loro: “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. 12 Gli<br />

dissero allora i discepoli: “Signore, se s’è addormentato, guarirà”. 13 Gesù parlava della morte di<br />

lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. 14 Allora Gesù disse loro<br />

apertamente: “Lazzaro è morto 15 e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi<br />

crediate. Orsù, andiamo da lui!”. 16 Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli:<br />

“Andiamo anche noi a morire con lui!”.<br />

17 Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. 18 Betània<br />

distava da Gerusalemme meno di due miglia 19 e molti giudei erano venuti da Marta e Maria per<br />

consolarle per il loro fratello. 20 Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro;<br />

Maria invece stava seduta in casa. 21 Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio<br />

fratello non sarebbe morto! 22 Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la<br />

concederà”. 23 Gesù le disse: “Tuo fratello risusciterà”. 24 Gli rispose Marta: “So che risusciterà<br />

nell’ultimo giorno”. 25 Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se<br />

muore, vivrà; 26 chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?”. 27 Gli<br />

rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”.<br />

28 Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: “Il<br />

Maestro è qui e ti chiama”. 29 Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. 30 Gesù non era<br />

entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31 Allora i giudei<br />

che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono<br />

pensando: “Va al sepolcro per piangere là”. 32 Maria, dunque, quando giunse dov’era Gesù,<br />

vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe<br />

morto!”. 33 Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i giudei che erano venuti con lei,<br />

si commosse profondamente, si turbò e disse: 34 “Dove l’avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni<br />

a vedere!”. 35 Gesù scoppiò in pianto. 36 Dissero allora i giudei: “Vedi come lo amava!”. 37 Ma<br />

11


alcuni di loro dissero: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi<br />

non morisse?”.<br />

38 Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e<br />

contro vi era posta una pietra. 39 Disse Gesù: “Togliete la pietra!”. Gli rispose Marta, la sorella<br />

del morto: “Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni”. 40 Le disse Gesù: “Non<br />

ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli<br />

occhi e disse: “<strong>Padre</strong>, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42 Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma<br />

l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. 43 E, detto<br />

questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. 44 Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in<br />

bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: “Scioglietelo e lasciatelo andare”.<br />

45 Molti dei giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto,<br />

credettero in lui.<br />

Il racconto della rianimazione di Lazzaro è molto lungo, eppure la parte dedicata al<br />

miracolo è brevissima, due versetti soltanto (vv. 43-44); il resto è costituito da una serie di<br />

dialoghi che hanno lo scopo di introdurre il lettore nel livello più profondo del testo, là dove<br />

si può cogliere il vero significato del segno operato da Gesù.<br />

Ho parlato di rianimazione di Lazzaro, non di risurrezione perché un conto è ritornare<br />

in questo mondo, riprendere questa vita materiale ancora segnata dalla morte e un altro è<br />

lasciare definitivamente questa vita e, come è successo a Gesù nella Pasqua, essere<br />

introdotti nel mondo di Dio dove la morte, nessun tipo di morte, ha più accesso. Riportare di<br />

qui è rianimare, condurre di là è risorgere.<br />

Fatta questa precisazione, accostiamoci al brano cominciando a rilevare alcune<br />

incongruenze e alcuni dettagli poco verosimili. Nella pagina di cronaca di un giornale, dove<br />

la notizia deve essere riferita il più fedelmente possibile, ci sorprenderebbero, nel vangelo di<br />

Giovanni invece costituiscono indizi preziosi: orientano verso il messaggio teologico del<br />

racconto. Provo ad elencarli.<br />

- Nei primi versetti (1-3) compare una famiglia piuttosto strana. Non ci sono i genitori,<br />

non si parla di mariti, di mogli, di figli, ma solo di fratelli e sorelle.<br />

- Nel v. 6 è riferito un comportamento inspiegabile di Gesù: viene a conoscenza che<br />

Lazzaro sta male e, invece di andarlo a curare, si ferma per altri due giorni; sembra proprio<br />

che lo voglia lasciar morire. Perché non interviene?<br />

- Poco dopo fa un’affermazione sconcertante: “Lazzaro è morto e io sono contento di<br />

non essere stato là” (v. 15). Come può r<strong>alle</strong>grarsi di non aver impedito la morte dell’amico?<br />

- Altra difficoltà: in quel tempo non c’erano telefoni, come ha fatto Marta a sapere che<br />

Gesù stava arrivando (v. 17)? E, mentre lei va a chiamare Maria (v. 28), cosa fa Gesù fermo<br />

sulla strada? Perché aspetta che sia Maria ad uscire da Betania e ad andare da lui? Noi non<br />

ci saremmo comportati in questo modo: ci saremmo immediatamente diretti alla casa del<br />

defunto per porgere le condoglianze.<br />

- Nei vv. 25-26 viene riportata una frase di Gesù non facile da interpretare: “Chi crede<br />

in me, anche se muore, vivrà e chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”. Come fa<br />

a promettere che il suo discepolo non morrà mai quando noi constatiamo che i cristiani<br />

muoiono come tutti gli altri? Cosa intende dire?<br />

- Al v. 35 si dice che Gesù piange per la morte dell’amico. Come si spiega questo suo<br />

comportamento, se già sa che poi lo risusciterà? Sta fingendo?<br />

- Infine: la famiglia di Betania scompare senza lasciare alcuna traccia nel vangelo di<br />

Giovanni e non compare più in tutto il resto del NT. Dove sono finite queste tre persone<br />

tanto care a Gesù?<br />

È strano anche il fatto che un miracolo così clamoroso non sia neppure menzionato<br />

dagli altri evangelisti.<br />

12


Questi particolari sono il segno inequivocabile che Giovanni ha voluto offrire ai suoi<br />

lettori non il freddo resoconto di un fatto, ma un denso brano di teologia. Prendendo spunto<br />

da una guarigione che aveva suscitato una notevole impressione perché il malato era<br />

ritenuto morto, l’evangelista ha affrontato il tema centrale del messaggio cristiano: Gesù, il<br />

Risorto, è il Signore della vita.<br />

Cominciamo dal significato che Giovanni intende attribuire alla famiglia di Betania,<br />

composta soltanto da fratelli e sorelle. Rappresenta la comunità cristiana dove non sono<br />

ammessi né superiori né inferiori, ma solo fratelli e sorelle. Un intenso clima affettivo<br />

unisce queste persone a Gesù. L’evangelista sottolinea con insistenza l’amicizia del Maestro<br />

con Lazzaro (vv. 3.5.11.36). È il simbolo del profondo legame fra Gesù ed ogni discepolo:<br />

“Non vi chiamo più servi – dirà durante l’ultima cena – ma vi ho chiamato amici (Gv<br />

15,15).<br />

In questa comunità accade un fatto che sconcerta, pone di fronte a un enigma<br />

insolubile: la morte di un fratello. Che risposta dà Gesù al discepolo che gli chiede se<br />

questo tragico evento può avere un senso? Chi vuole bene a un amico non lo lascia morire.<br />

Se era amico di Lazzaro ed è nostro amico, perché non impedisce la morte?<br />

Come Marta e Maria anche noi non comprendiamo perché egli “lasci passare due<br />

giorni”. Da lui ci aspetteremmo, come segno del suo amore, un intervento immediato. Il<br />

velato rimprovero che gli muovono le due sorelle è anche il nostro: “Se tu fossi stato qui,<br />

nostro fratello non sarebbe morto” (vv. 21.32).<br />

La morte di una persona cara, la nostra morte, mettono a dura prova la fede, fanno<br />

sorgere il dubbio che egli “non sia qui”, che non ci accompagni con il suo amore.<br />

Lasciando morire Lazzaro, Gesù risponde a questi interrogativi: non è sua intenzione<br />

impedire la morte biologica, non vuole interferire nel decorso naturale della vita. Non è<br />

venuto per rendere eterna questa forma di vita, ma per introdurci in quella che non ha fine.<br />

La vita in questo mondo è destinata a concludersi, è bene che finisca.<br />

In questa prospettiva andrebbe riconsiderata la validità del rapporto che tanti cristiani<br />

hanno instaurato con Cristo e con la religione. Quando questa si riduce a pressanti richieste<br />

di interventi prodigiosi, sfocia inevitabilmente in crisi di fede e nel dubbio che “egli non sia<br />

qui” dove ci aspetteremmo che fosse, dove più abbiamo bisogno di lui: nella malattia, nel<br />

dolore, nella sventura.<br />

Il dialogo con i discepoli (vv. 7-16) serve all’evangelista per mettere sulla loro bocca<br />

le nostre incertezze e le nostre paure di fronte alla morte. È la reazione dell’uomo che teme<br />

che essa segni la fine di tutto.<br />

È questa paura il nemico più subdolo del discepolo. Chi teme la morte non può vivere<br />

da cristiano. Essere discepoli significa accettare di perdere la vita, donarla per amore, morire<br />

come il chicco di grano che, solo se è posto nella terra, porta molto frutto (Gv 12,24-28).<br />

Nelle parole di Gesù, la morte è presentata nella sua giusta prospettiva. Egli afferma di<br />

essere contento di non aver impedito quella dell’amico Lazzaro (v. 15) perché per lui la<br />

morte non è un evento distruttivo, irreparabile, ma segna l’inizio di una condizione<br />

infinitamente migliore della precedente.<br />

Siamo così giunti alla parte centrale del brano, il dialogo con Marta (vv. 17-27).<br />

Lazzaro già da quattro giorni è nel sepolcro. In quel tempo si riteneva che, nei primi<br />

tre giorni, la persona non fosse ancora completamente morta. Solo al quarto giorno la vita<br />

l’abbandonava in modo definitivo. Giovanni non vuole informarci sulla data esatta del<br />

decesso, vuole dirci che Lazzaro era morto e basta. È la premessa necessaria alla domanda<br />

cui vuole dare una risposta: cosa può fare Gesù per chi è realmente e definitivamente morto?<br />

Nel dialogo che segue, Gesù conduce Marta a capire che senso abbia la morte di un<br />

discepolo (di un fratello della comunità cristiana).<br />

13


“Se tu fossi stato qui” è la dichiarazione di resa dell’uomo di fronte a un evento che lo<br />

supera, che si fa beffe dei suoi sforzi per respingerlo. È anche l’espressione del dubbio che<br />

nella morte Dio sia assente. Se Dio esiste, perché la morte?<br />

Marta appartiene al gruppo di coloro che, a differenza dei sadducei, credono nella<br />

risurrezione dei morti. È convinta che, alla fine del mondo, suo fratello Lazzaro ritornerà in<br />

vita assieme a tutti i giusti e prenderà parte al regno di Dio.<br />

Questo suo modo di intendere la risurrezione (simile forse a quello di molti cristiani di<br />

oggi) non consola nessuno. È troppo lontana e non ha alcun senso. Perché Dio dovrebbe far<br />

morire per poi riportare in vita? Perché far aspettare tanto? E come può l’anima rimanere<br />

senza il corpo? Infine, una simile risurrezione è poco credibile: se una persona muore, Dio<br />

può certo ricrearla, ma, in tal caso, farebbe un clone, non la persona di prima.<br />

Il cristiano non crede in una morte e poi in una risurrezione che avrà luogo alla fine del<br />

mondo. Crede che l’uomo redento da Cristo non muore.<br />

Vediamo di capire questo messaggio nuovo e straordinario che Gesù annuncia a<br />

Marta. Egli dichiara: “Chi crede in me non muore” (v. 26). Che significa? Come può non<br />

morire una persona che noi vediamo spirare e diventare un cadavere? Per spiegarci è<br />

necessario ricorrere a paragoni.<br />

Tutta la nostra esistenza è caratterizzata da uscite e da entrate: usciamo dal nulla ed<br />

entriamo nel grembo di nostra madre. Compiuta la gestazione, usciamo per entrare in questo<br />

mondo caratterizzato da tanti segni di morte. Sono forme di morte la solitudine,<br />

l’abbandono, la lontananza, il tradimento, l’ignoranza, la malattia, il dolore. La nostra vita<br />

qui non è mai completa, è sempre soggetta a limiti. Non può essere questo il mondo<br />

definitivo, il nostro destino ultimo; per vivere in pienezza e senza morte, dobbiamo uscirne.<br />

Supponiamo che nel grembo di una mamma ci siano due gemelli che possono vedere,<br />

capire, parlarsi durante i nove mesi della gestazione. Essi conoscono solo il loro piccolo<br />

mondo e non immaginano come sia la vita fuori. Non sanno che le persone si sposano,<br />

lavorano, viaggiano, non hanno idea che esistono animali, piante, fiori, spiagge. Conoscono<br />

solo la forma di vita di cui hanno esperienza.<br />

Passati nove mesi il primo gemello nasce. Colui che è rimasto, ancora per breve<br />

tempo, in grembo alla madre, certamente pensa: “Mio fratello è morto, non c’è più, è<br />

scomparso, mi ha lasciato”... e piange. Ma il fratello non è morto. Ha solo lasciato una vita<br />

ristretta, breve, limitata ed è entrato in un’altra forma di vita.<br />

Il discepolo – spiega Gesù a Marta – non sperimenta affatto la morte, ma nasce ad una<br />

nuova forma di vita, entra nel mondo di Dio, prende parte ad una vita che non è più soggetta<br />

ai limiti e <strong>alle</strong> morti, come accade invece su questa terra. È una vita senza fine. Di più non<br />

possiamo dire perché, se la descrivessimo, non faremmo che proiettarvi le forme di questa.<br />

Rimane una sorpresa che Dio tiene in serbo: “Occhio non vide, orecchio non udì, né mai è<br />

entrato in cuore di uomo, ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9).<br />

Nella prospettiva cristiana, dunque, la vita in questo mondo è una gestazione e la<br />

morte è verificata da chi rimane, non da chi muore.<br />

A questo punto siamo in grado di comprendere la ragione per cui Gesù si r<strong>alle</strong>gra di<br />

non avere impedito la morte di Lazzaro. Egli la vede nell’ottica di Dio: come il momento<br />

più importante e più lieto per l’uomo. Giustamente i primi cristiani chiamavano “giorno<br />

della nascita” quello che per gli altri uomini è il giorno funesto in cui si tuffano nel nulla.<br />

Celebre è la sentenza di Lao-Tze: “Ciò che per il bruco è la fine del mondo, per il resto<br />

del mondo è una farfalla”. Il bruco non muore: scompare come bruco, ma continua a vivere<br />

come farfalla. È un’altra immagine che ci aiuta a capire la vittoria riportata da Cristo sulla<br />

morte.<br />

14


Dopo aver ascoltato le parole di Gesù, Marta pronuncia una significativa professione<br />

di fede; riconosce che Gesù è colui che dona questa vita: “Sì, Signore, io credo che tu sei il<br />

Cristo, il figlio di Dio, l’atteso salvatore che doveva venire al mondo” (v. 27).<br />

Non ci soffermiamo sul dialogo fra Gesù e Maria (vv. 28-33) perché non aggiunge<br />

nulla di nuovo a quanto già detto. Notiamo soltanto che Gesù non entra in Betania, dove i<br />

giudei sono andati a consolare le sorelle. Egli non è venuto per porgere condoglianze, ma<br />

per donare la vita e vuole che anche Maria esca dalla casa dove tutti stanno piangendo. Il<br />

suo fremito – “si commosse e si turbò” – mostra quanto anch’egli senta profondamente,<br />

come ogni uomo, il dramma della morte.<br />

È importante la scena conclusiva (vv. 34-42).<br />

Si apre con il pianto di Gesù. Il cristiano non può dirsi tale se non crede che la morte<br />

non è altro che una nascita, tuttavia non è insensibile e non può non versare lacrime quando<br />

un amico lo lascia. Sa che non è morto, è felice che viva con Dio, ma è triste perché, per un<br />

certo tempo, dovrà rimanere separato da lui.<br />

Ci sono però due modi di piangere: uno è quello inconsolabile e scomposto di chi è<br />

convinto che, con la morte, è tutto finito. L’altro è quello di Gesù che, davanti alla tomba,<br />

non può trattenere le lacrime. Queste due forme di pianto sono espresse nel testo greco con<br />

due verbi diversi. Per Maria, per Marta, per i giudei è usato klaiein (v. 33) che indica il<br />

pianto accompagnato da gesti di disperazione; di Gesù invece si dice: edákrusen, che<br />

significa: “le lacrime cominciarono a scorrergli dagli occhi” (v. 35). Solo questo pianto<br />

sereno e dignitoso è cristiano.<br />

Al pianto segue un ordine: “Togliete la pietra!”. È rivolto alla comunità cristiana e a tutti<br />

coloro che ancora pensano che il mondo dei defunti sia separato e non abbia comunicazione<br />

con quello dei vivi. Chi crede nel Risorto sa che tutti sono vivi, anche se sono partecipi di due<br />

forme di vita diverse. Tutte le barriere sono state abbattute, tutte le pietre sono state rimosse<br />

nel giorno di Pasqua, ora si passa da un mondo all’altro senza morire.<br />

La preghiera che Gesù rivolge al <strong>Padre</strong> (vv. 41-42) non è la richiesta di un miracolo,<br />

ma di una luce per la gente che gli sta attorno. Chiede che tutti possano comprendere il<br />

significato profondo del segno che sta per compiere e che giungano a credere in lui, Signore<br />

della vita.<br />

Il grido “Lazzaro vieni fuori!” è il compimento della sua profezia: “È giunta l’ora in<br />

cui i morti udranno la voce del figlio di Dio e vivranno. Tutti coloro che sono nei sepolcri<br />

ascolteranno la sua voce e ne usciranno” (Gv 5,25-29). Difatti “il morto”, con tutti i segni<br />

che caratterizzano la sua condizione, “i piedi e le mani avvolti in bende e il volto coperto da<br />

un sudario” (v. 44), esce. “Il morto” – dice il testo. Sì, perché è con il morto, con chi è e<br />

rimane definitivamente morto (da quattro giorni nel sepolcro) che Gesù mostra il suo potere<br />

vivificante: non riportandolo di qui (questa sarebbe una vittoria effimera, non definitiva<br />

sulla morte), ma portandolo con sé nella gloria di Dio.<br />

“Scioglietelo e lasciatelo andare” (v. 44) – ordina infine. L’invito è rivolto ai fratelli<br />

della comunità che piangono per la perdita di una persona cara. Lasciate che “il morto” viva<br />

felice nella sua nuova condizione. Il veggente dell’Apocalisse la descrive con immagini<br />

suggestive: “Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, non vi sarà più morte, né lutto, né<br />

grida di dolore. Sì, le cose di prima sono passate” (Ap 21,4).<br />

Ci sono molti modi per tentare di trattenere il defunto: visite ossessive al cimitero (che<br />

è come cercare tra i morti colui che è vivo), l’attaccamento morboso a effetti personali, il<br />

ricorso ai medium per stabilire contatti… È doloroso essere lasciati da un amico, ma è<br />

egoistico volerlo trattenere, sarebbe come impedire a un bambino di nascere. “Scioglilo,<br />

lascialo andare!” – ripete oggi, con dolcezza, Gesù ad ogni suo discepolo che non si<br />

rassegna alla scomparsa di un fratello o di una sorella.<br />

15


16<br />

17 aprile<br />

DOMENICA DELLE PALME<br />

Testo preso dal libro del biblista<br />

FERNANDO ARMELLINI<br />

Ascoltarti è una festa.<br />

Le <strong>letture</strong> <strong>domenicali</strong> spiegate alla comunità<br />

Anno A<br />

Ed. Messaggero, Padova, pp. 180-193<br />

Il suo crimine: aver amato e insegnato ad amare<br />

Gesù si trova a tavola con i Dodici e, mentre stanno cenando, si rivolge a loro dicendo:<br />

“Uno di voi mi tradirà!”. Allora essi, profondamente rattristati, incominciano a chiedergli,<br />

uno per uno: “Sono forse io, Signore?”. Anche Giuda, il traditore, prendendo la parola, gli<br />

dice: “Sono forse io, Rabbi?”. Gesù gli risponde: “Tu l’hai detto” (Mt 26,20-25).<br />

Uno dovrebbe sapere se è traditore o no; che bisogno c’è di chiederlo a Cristo? Giuda<br />

è ipocrita fino all’ultimo; ma gli altri perché chiedono: “Sono forse io?”.<br />

Se le cose fossero andate proprio in questo modo, alla risposta di Gesù che smaschera<br />

il traditore avrebbe fatto seguito l’immediata reazione degli undici e il regolamento di conti<br />

con il colpevole. Invece la cena riprende tranquilla.<br />

Una preoccupazione di tipo pastorale muove Matteo a collocare l’interrogativo sulla<br />

bocca di tutti i presenti. Vuole che ogni cristiano continui a porsi la domanda: sono forse io<br />

un traditore?<br />

Giuda è il simbolo dell’antidiscepolo, cioè di colui che coltiva progetti opposti a quelli<br />

di Gesù, di colui che è disposto a tradire la propria fede per amore del denaro e che è pronto<br />

a porsi a capo di coloro che lottano contro le forze del bene.<br />

Il vero discepolo non s’illude di essere immune da questo pericolo. Conosce la propria<br />

fragilità, sa che può facilmente prendere abbagli e, magari in buona fede, trasformarsi in<br />

traditore, schierarsi contro il Maestro, fare il gioco dei nemici della vita.<br />

Solo il costante confronto con la parola di Cristo e con il gesto sommo del suo amore<br />

può evitare ingenue, arroganti sicurezze e tragiche illusioni.<br />

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:<br />

“Solo chi all’odio risponde con l’amore introduce nel mondo una novità e un principio di<br />

vita”


Prima Lettura (Is 50,4-7)<br />

4 Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati,<br />

perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola.<br />

Ogni mattina fa attento il mio orecchio<br />

perché io ascolti come gli iniziati.<br />

5 Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio<br />

e io non ho opposto resistenza,<br />

non mi sono tirato indietro.<br />

6 Ho presentato il dorso ai flagellatori,<br />

la guancia a coloro che mi strappavano la barba;<br />

non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.<br />

7 Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso,<br />

per questo rendo la mia faccia dura come pietra,<br />

sapendo di non restare deluso.<br />

Spiegando la prima lettura della festa del battesimo del Signore, abbiamo parlato di un<br />

personaggio misterioso che entra in scena nella seconda parte del libro d’Isaia. Si tratta del<br />

“Servo del Signore”. Nella lettura di oggi questo “Servo” ricompare e parla.<br />

Descrive anzitutto la missione che gli è stata affidata: è inviato ad annunciare un<br />

messaggio di consolazione a chi è abbattuto e senza speranza (v. 4). D<strong>alle</strong> sue labbra escono<br />

sempre e solo parole di conforto per chi si è smarrito su vie non buone e non riesce a<br />

ritrovare il retto cammino, per chi è avvolto d<strong>alle</strong> tenebre e brancola nel buio.<br />

Poi chiarisce il modo con cui porterà a compimento la sua missione (vv. 4-5). Il<br />

Signore gli ha dato un orecchio capace di ascoltare e una bocca in grado di comunicare. Ciò<br />

che udiva non era piacevole, ma non ha accettato compromessi, non si è tirato indietro, ha<br />

saputo resistere (v. 5).<br />

Infine racconta ciò che gli è successo, quali sono state le conseguenze della sua<br />

coerenza. Ha comunicato fedelmente il messaggio udito ed è stato percosso, insultato,<br />

schiaffeggiato, gli hanno sputato in faccia, ma non ha reagito, ha continuato a confidare nel<br />

Signore (v. 7).<br />

Ascoltando soprattutto l’ultima parte della lettura, si è spontaneamente indotti ad<br />

accostare questo Servo a Gesù (subito dopo la Pasqua, i cristiani hanno fatto questo<br />

collegamento). Come il “Servo del Signore”, Gesù si è mantenuto in ascolto del <strong>Padre</strong>, ha<br />

pronunciato solo parole di consolazione e di speranza, ha dato conforto agli sfiduciati e agli<br />

emarginati e ha fatto la fine del Servo di cui si parla nel libro di Isaia (cf. Mt 27,27-31).<br />

Il rischio è quello di soffermarsi a contemplare e ad ammirare la fedeltà di Gesù, di<br />

commuoversi di fronte a ciò che egli ha sofferto, di provare sdegno per le ingiustizie che ha<br />

subito e di concludere che, anche oggi, qualche eroe fedele a Dio può ripetere la medesima,<br />

drammatica esperienza del Servo del Signore.<br />

Non qualche eroe, ma ogni credente è chiamato a svolgere la missione del “Servo” e di<br />

Cristo: mantenersi in ascolto della parola di Dio, tradurre in atto ciò che ha udito ed essere<br />

disposto anche a portarne le conseguenze.<br />

Seconda Lettura (Fil 2,6-11)<br />

6 Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,<br />

non considerò un tesoro geloso<br />

la sua uguaglianza con Dio;<br />

17


18<br />

7 ma spogliò se stesso,<br />

assumendo la condizione di servo<br />

e divenendo simile agli uomini;<br />

apparso in forma umana,<br />

8 umiliò se stesso<br />

facendosi obbediente fino alla morte<br />

e alla morte di croce.<br />

9 Per questo Dio l’ha esaltato<br />

e gli ha dato il nome<br />

che è al di sopra di ogni altro nome;<br />

10 perché nel nome di Gesù<br />

ogni ginocchio si pieghi<br />

nei cieli, sulla terra e sotto terra;<br />

11 e ogni lingua proclami<br />

che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio <strong>Padre</strong>.<br />

La comunità di Filippi era molto buona e Paolo ne era orgoglioso, ma, come spesso<br />

succede, c’era anche un po’ d’invidia fra i cristiani. Qualcuno cercava di attirare su di sé<br />

l’attenzione, voleva farla un po’ da padrone imponendo la sua volontà.<br />

A causa di questa situazione Paolo, nella prima parte della lettera raccomanda in modo<br />

accorato: “Fate che la mia gioia sia piena, andate d’accordo, abbiate lo stesso amore,<br />

un’anima sola, un medesimo modo di sentire; non fate nulla per rivalità, nulla per<br />

vanagloria. Non badate al vostro bene, ma a quello degli altri” (Fil 2,2-4).<br />

Per imprimere meglio nella mente e nel cuore dei filippesi questo insegnamento,<br />

presenta l’esempio di Cristo. Lo fa citando un inno stupendo, conosciuto in molte delle<br />

comunità cristiane del I secolo.<br />

In due strofe l’inno racconta la storia di Gesù.<br />

Egli esisteva già prima di farsi uomo; incarnandosi “si è svuotato” della sua grandezza<br />

divina ed ha accettato di entrare in un’esistenza schiava della morte. Non si è rivestito della<br />

nostra umanità come di un abito esterno del quale si è poi sbarazzato. Si è fatto per sempre<br />

simile a noi: ha assunto la nostra debolezza, la nostra ignoranza, la nostra fragilità, le nostre<br />

passioni, i nostri sentimenti e la nostra condizione mortale. È apparso ai nostri occhi<br />

nell’umiltà del più disprezzato degli uomini, lo schiavo, colui al quale i Romani riservavano<br />

il supplizio ignominioso della croce (vv. 6-8).<br />

Ma il cammino che egli ha percorso non si è concluso con l’umiliazione e la morte in<br />

croce.<br />

La seconda parte dell’inno (vv. 9-11) canta la gloria alla quale egli è stato elevato: il<br />

<strong>Padre</strong> lo ha risuscitato, lo ha additato a modello per ogni uomo, gli ha dato il potere ed il<br />

dominio su ogni creatura. L’umanità intera finirà per essere unita a lui e in quel momento il<br />

progetto di Dio sarà compiuto.<br />

Vangelo (Mt 26,14-27,66)<br />

14 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti 15 e disse:<br />

“Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento.<br />

16 Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo.<br />

17 Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi<br />

che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?”. 18 Ed egli rispose: “Andate in città, da un tale, e<br />

ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei<br />

discepoli”. 19 I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.


20 Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. 21 Mentre mangiavano disse: “In verità io vi<br />

dico, uno di voi mi tradirà”. 22 Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a<br />

domandargli: “Sono forse io, Signore?”. 23 Ed egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano<br />

nel piatto, quello mi tradirà. 24 Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui<br />

dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”.<br />

25 Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”.<br />

26 Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e<br />

lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. 27 Poi prese il calice e,<br />

dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, 28 perché questo è il mio sangue<br />

dell’<strong>alle</strong>anza, versato per molti, in remissione dei peccati. 29 Io vi dico che da ora non berrò più di<br />

questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del <strong>Padre</strong> mio”.<br />

30 E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 31 Allora Gesù disse loro:<br />

“Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: ‘Percuoterò il pastore<br />

e saranno disperse le pecore del gregge, 32 ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea”.<br />

33 E Pietro gli disse: “Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai”. 34 Gli<br />

disse Gesù: “In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre<br />

volte”. 35 E Pietro gli rispose: “Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò”. Lo stesso<br />

dissero tutti gli altri discepoli.<br />

36 Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli:<br />

“Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. 37 E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo,<br />

cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte;<br />

restate qui e vegliate con me”. 39 E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava<br />

dicendo: “<strong>Padre</strong> mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come<br />

vuoi tu!”. 40 Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati<br />

capaci di vegliare un’ora sola con me? 41 Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo<br />

spirito è pronto, ma la carne è debole”. 42 E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “<strong>Padre</strong> mio,<br />

se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. 43 E tornato<br />

di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. 44 E lasciatili, si<br />

allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45 Poi si avvicinò ai<br />

discepoli e disse loro: “Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio<br />

dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. 46 Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce<br />

si avvicina”.<br />

47 Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con<br />

spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato<br />

loro questo segnale dicendo: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!”. 49 E subito si avvicinò a<br />

Gesù e disse: “Salve, Rabbì!”. E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui!”. Allora<br />

si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che<br />

erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote<br />

staccandogli un orecchio.<br />

52 Allora Gesù gli disse: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano<br />

alla spada periranno di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il <strong>Padre</strong> mio, che mi<br />

darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 54 Ma come allora si adempirebbero le Scritture,<br />

secondo le quali così deve avvenire?”. 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: “Siete<br />

usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel<br />

tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero<br />

le Scritture dei profeti”. Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.<br />

57 Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il<br />

quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani. 58 Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino<br />

al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la<br />

conclusione.<br />

59 I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù,<br />

per condannarlo a morte; 60 ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti<br />

falsi testimoni. 61 Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: “Costui ha dichiarato:<br />

19


Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”. 62 Alzatosi il sommo sacerdote gli<br />

disse: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?”. 63 Ma Gesù taceva.<br />

Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il<br />

Cristo, il Figlio di Dio”. 64 “Tu l’hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: ‘d’ora innanzi vedrete<br />

il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo”.<br />

65 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: “Ha bestemmiato! Perché abbiamo<br />

ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; 66 che ve ne pare?”. E quelli<br />

risposero: “ È reo di morte!”. 67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo<br />

bastonavano, 68 dicendo: “Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?”.<br />

69 Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse:<br />

“Anche tu eri con Gesù, il Galileo!”. 70 Ed egli negò davanti a tutti: “Non capisco che cosa tu<br />

voglia dire”. 71 Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: “Costui era<br />

con Gesù, il Nazareno”. 72 Ma egli negò di nuovo giurando: “Non conosco quell’uomo”. 73 Dopo<br />

un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: “Certo anche tu sei di quelli; la tua<br />

parlata ti tradisce!”. 74 Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”.<br />

E subito un gallo cantò. 75 E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: “Prima che il gallo canti,<br />

mi rinnegherai tre volte”. E uscito all’aperto, pianse amaramente.<br />

27, 1 Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio<br />

contro Gesù, per farlo morire. 2 Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al<br />

governatore Pilato.<br />

3 Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le<br />

trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani 4 dicendo: “Ho peccato, perché ho<br />

tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “Che ci riguarda? Veditela tu!”. 5 Ed egli, gettate le<br />

monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. 6 Ma i sommi sacerdoti, raccolto<br />

quel denaro, dissero: “Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue”. 7 E tenuto<br />

consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. 8 Perciò quel<br />

campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d’oggi. 9 Allora si adempì quanto era stato<br />

detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d’argento, il prezzo del venduto, che i figli di<br />

Israele avevano mercanteggiato, 10 e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il<br />

Signore.<br />

11 Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l’interrogò dicendo: “Sei<br />

tu il re dei giudei?”. Gesù rispose “Tu lo dici”. 12 E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli<br />

anziani, non rispondeva nulla. 13 Allora Pilato gli disse: “Non senti quante cose attestano contro di<br />

te?”. 14 Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.<br />

15 Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero,<br />

a loro scelta. 16 Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. 17 Mentre quindi si<br />

trovavano riuniti, Pilato disse loro: “Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il<br />

Cristo?”. 18 Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.<br />

19 Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: “Non avere a che fare con<br />

quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua”. 20 Ma i sommi sacerdoti e gli<br />

anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. 21 Allora il governatore<br />

domandò: “Chi dei due volete che vi rilasci?”. Quelli risposero: “Barabba!”. 22 Disse loro Pilato:<br />

“Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?”. Tutti gli risposero: “Sia crocifisso!”. 23 Ed egli<br />

aggiunse: “Ma che male ha fatto?”. Essi allora urlarono: “Sia crocifisso!”.<br />

24 Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa<br />

dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue;<br />

vedetevela voi!”. 25 E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri<br />

figli”. 26 Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati<br />

perché fosse crocifisso.<br />

27 Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno<br />

tutta la coorte. 28 Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto 29 e, intrecciata una corona di<br />

spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano<br />

davanti, lo schernivano: “Salve, re dei giudei!”. 30 E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la<br />

20


canna e lo percuotevano sul capo. 31 Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli<br />

fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.<br />

32<br />

Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a<br />

prender su la croce di lui. 33 Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, 34 gli<br />

diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. 35 Dopo averlo<br />

quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. 36 E sedutisi, gli facevano la guardia.<br />

37<br />

Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: “Questi è Gesù, il re<br />

dei giudei”.<br />

38<br />

Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.<br />

39 40<br />

E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: “Tu che<br />

distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla<br />

croce!”. 41 Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: 42 “Ha salvato gli<br />

altri, non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. 43 Ha<br />

confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!”. 44 Anche i<br />

ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.<br />

45 46<br />

Da mezzogiorno fino <strong>alle</strong> tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre,<br />

Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi<br />

hai abbandonato?”. 47 Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. 48 E<br />

subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così<br />

gli dava da bere. 49 Gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!”. 50 E Gesù,<br />

emesso un alto grido, spirò.<br />

51<br />

Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si<br />

spezzarono, 52 i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. 53 E uscendo dai<br />

sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione e<br />

quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva,<br />

furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”.<br />

55<br />

C’erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito<br />

Gesù dalla Galilea per servirlo. 56 Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di<br />

Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.<br />

57<br />

Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era<br />

diventato anche lui discepolo di Gesù. 58 Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora<br />

Pilato ordinò che gli fosse consegnato. 59 Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un<br />

candido lenzuolo 60 e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia;<br />

rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. 61 Erano lì, davanti al sepolcro,<br />

Maria di Màgdala e l’altra Maria.<br />

62<br />

Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e<br />

i farisei, dicendo: 63 “Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore disse mentre era vivo: Dopo<br />

tre giorni risorgerò. 64 Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non<br />

vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così<br />

quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”. 65 Pilato disse loro: “Avete la vostra<br />

guardia, andate e assicuratevi come credete”. 66 Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro,<br />

sigillando la pietra e mettendovi la guardia.<br />

Tutti gli evangelisti dedicano parecchio spazio al racconto della passione e morte di<br />

Gesù. I fatti sono fondamentalmente gli stessi, anche se narrati in modi e prospettive diversi.<br />

Ogni evangelista presenta anche episodi, dettagli, sottolineature che gli sono propri. Questi<br />

rivelano la sua attenzione e il suo interesse per alcuni temi di catechesi, ritenuti significativi<br />

e urgenti per le sue comunità.<br />

La versione del racconto della passione che oggi ci viene proposta è quella secondo<br />

Matteo. Nel nostro commento ci limiteremo a sottolinearne gli aspetti caratteristici.<br />

21


Il primo, molto importante, è che Matteo scandisce tutto il racconto con ripetuti<br />

richiami all’adempimento delle Scritture.<br />

Quando è ancora seduto a tavola, durante l’ultima cena, Gesù pronuncia una frase che<br />

dà la chiave di lettura di tutto quanto accadrà in seguito: “Il Figlio dell’uomo se ne va, come<br />

è scritto di lui” (Mt 26,24).<br />

In seguito, nel giardino degli Ulivi, quando le guardie gli si avvicinano per arrestarlo,<br />

come se fosse un bandito, reagisce dicendo: “Tutto questo accade perché si devono<br />

compiere le Scritture dei profeti” (Mt 26,56).<br />

Matteo rileva che persino i dettagli più marginali della passione, come, per esempio, il<br />

tradimento di Giuda per trenta denari, erano stati annunciati dai profeti (Mt 27,9-10).<br />

Abbiamo soprattutto un par<strong>alle</strong>lismo, voluto da questo evangelista, fra la passione di<br />

Gesù e il dramma vissuto dal giusto di cui si parla nel Salmo 22:<br />

- Come Gesù sulla croce (Mt 27,46), anche quest’uomo rivolge al Signore il grido:<br />

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Sal 22,2).<br />

- È oggetto degli stessi dileggi: “Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le<br />

labbra, scuotono il capo: si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi se è suo amico” (Sal<br />

22,8-9); è esattamente quanto è accaduto ai piedi della croce e sono identici gli insulti rivolti<br />

a Gesù (Mt 27,39.41-43).<br />

- Come Gesù (Mt 27,34.48) ha sete: “ È arido come un coccio il mio palato” (Sal<br />

22,16).<br />

- È circondato da malvagi e dice: “Hanno forato le mie mani e i miei piedi” (Sal<br />

22,17). Poi continua: “Si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte” (Sal 22,19).<br />

È quanto hanno fatto i soldati ai piedi della croce (Mt 27,35).<br />

- Come Gesù infine (Mt 27,50), anch’egli emette un grido (Sal 22,25).<br />

Le corrispondenze sono tali e tante che si è portati a supporre che l’autore del salmo<br />

intendesse fare una previsione esatta, fin nei dettagli, di quanto un giorno sarebbe capitato al<br />

Messia. Non è così.<br />

Le sorprendenti somiglianze sono dovute ad una scelta teologica dell’evangelista, che<br />

ha voluto raccontare la passione e la morte di Gesù, tenendo presente lo schema di questo<br />

salmo. Lo ha fatto per aiutare i lettori ad andare oltre il puro dato di cronaca e a cogliere il<br />

significato profondo di quanto stava accadendo.<br />

Anche gli altri evangelisti citano le Scritture, ma nessuno con tanta insistenza. La<br />

ragione è che Matteo scrive il suo vangelo per i giudei che sono stati educati dalla catechesi<br />

dei rabbini ad attendere un messia vincitore, dominatore, grande, potente. Di fronte al<br />

fallimento con cui si è conclusa la vita di Gesù, chi potrebbe avere il coraggio di presentarlo<br />

come messia?<br />

La sfida che, ai piedi della croce, sacerdoti, scribi e anziani lanciano a Gesù: “Salva te<br />

stesso! Se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce!” (Mt 27,40) va capita in quest’ottica. Sono<br />

disposti a credere a chi vince, non a chi perde.<br />

Ai giudei e a tutti coloro che, anche oggi, si scandalizzano di fronte a un Messia<br />

sconfitto, Matteo risponde: le profezie dell’AT annunciano un Messia umiliato, perseguitato<br />

e ucciso; lo presentano come il compagno di ogni uomo sofferente e oppresso.<br />

Dio non ha salvato miracolosamente Cristo da una situazione difficile, non ha<br />

impedito l’ingiustizia e la morte del Figlio, ma ha trasformato la sua sconfitta in vittoria, la<br />

sua morte in nascita, la sua tomba in un grembo dal quale è stato tratto fuori per una vita<br />

senza fine.<br />

In lui Dio ci ha fatto sapere che egli non vince il male impedendolo con interventi<br />

prodigiosi, ma togliendogli il potere di nuocere, anzi rendendolo un momento di crescita per<br />

l’uomo.<br />

22


Anche lasciandosi guidare e illuminare d<strong>alle</strong> Scritture – come ci suggerisce di fare<br />

Matteo – è difficile assimilare questa logica di Dio, è difficile accettare che “se il chicco di<br />

grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv<br />

12,24).<br />

Un secondo insegnamento su cui insiste soprattutto Matteo è il ripudio della violenza e<br />

dell’uso delle armi. Solo lui riporta la frase di Gesù a Pietro che, per difenderlo, aveva<br />

messo mano alla spada: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che usano la spada<br />

periranno di spada” (Mt 26,52).<br />

Tertulliano, il famoso apologeta del II-III secolo, commentava: “Disarmando Pietro,<br />

Gesù ha tolto le armi di mano ad ogni soldato”. A lui, qualche decennio più tardi, faceva eco<br />

il biblista Origene: “Noi cristiani non impugnamo più la spada, non impariamo più l’arte<br />

della guerra, perché attraverso Gesù siamo diventati figli della pace”.<br />

I primi cristiani non avevano dubbi: il discepolo di Cristo deve essere disposto, come il<br />

Maestro, a dare la vita per il fratello, mai e per nessuna ragione ad ucciderlo.<br />

Uno dei temi che sta più a cuore a Matteo è l’universalismo della salvezza.<br />

Israele non può ritenersi l’unico e geloso depositario delle promesse. Ha svolto il<br />

compito che il Signore gli ha affidato: preparare la venuta del regno di Dio. Ora è atteso,<br />

primo fra gli invitati, nella sala del banchetto (Mt 22,1-6).<br />

Purtroppo Israele ha respinto l’invito e, nelle prime comunità cristiane, questa scelta è<br />

stata vissuta come una dolorosa lacerazione, come una spada che trafigge l’anima (Lc 2,35),<br />

come “una spina nella carne” (2 Cor 12,7).<br />

Ci sono due fatti nel racconto della passione che sono riferiti solo da Matteo: il sogno<br />

della moglie di Pilato e il gesto del procuratore di lavarsi le mani, scaricando sui giudei tutta<br />

la colpa della condanna a morte di Gesù (Mt 27,19.24). Esprimono in modo emblematico il<br />

dramma di questo popolo e la responsabilità che si è assunto non accogliendo il messia<br />

inviatogli da Dio. Espressione massima di questo rifiuto è il grido: “Il suo sangue cada su di<br />

noi e sui nostri figli” (Mt 27,25).<br />

L’interpretazione insensata di questa frase ha avuto conseguenze tragiche: odi, accuse<br />

assurde, violenze, persecuzioni dei cristiani contro i giudei.<br />

Era totalmente diverso il senso attribuitole da Matteo. Turbato d<strong>alle</strong> sciagure che, nella<br />

seconda metà del I secolo d.C., avevano colpito il suo popolo e che erano culminante nella<br />

distruzione di Gerusalemme, egli aveva intuito la causa di tutti i mali: i giudei avevano<br />

scelto la violenza e rifiutato il regno di pace annunciato da Gesù.<br />

L’evangelista vuole mettere in guardia dal pericolo di ripetere lo stesso errore. Chi si<br />

allontana da Cristo per seguire altri messia, chi confida nella violenza, chi coltiva progetti di<br />

dominio finisce sempre per provocare sciagure: fa cadere del sangue su di sé e sui propri<br />

figli.<br />

Solo Matteo racconta i fatti straordinari accaduti alla morte di Gesù: “La terra si<br />

scosse, le rocce si spezzarono, i morti risuscitarono...” (Mt 27,51-56).<br />

In quel tempo si pensava che il mondo fosse pieno di iniquità e tutti attendevano la<br />

nascita di un mondo nuovo. Si diceva che, nel momento del passaggio fra le due epoche<br />

dell’umanità, il sole si sarebbe oscurato, gli alberi avrebbero versato sangue, le pietre si<br />

sarebbero spezzate emettendo grida e i morti sarebbero risorti.<br />

Ciò che Matteo dice, dunque, non va inteso come il resoconto fedele di un fatto<br />

accaduto il 7 aprile dell’anno 30, ma come l’affermazione di un teologo che, nel momento<br />

della morte di Gesù, si rende conto della nascita di un mondo nuovo.<br />

23


Il suo è un messaggio di gioia e di speranza, inviato a tutti coloro che sono<br />

nell’angoscia e nel dolore, che si sentono avviluppati in tenebre di morte. Il regno di Dio è<br />

iniziato quando, sulla croce, il Signore ha rivelato tutto il suo amore e il suo interesse per il<br />

destino dell’uomo.<br />

Un altro episodio riferito solo da Matteo è la morte di Giuda (Mt 27,3-10).<br />

Questo discepolo è il simbolo di tutti coloro che, per un certo tempo, seguono il<br />

Maestro e che, rendendosi conto che egli non realizza i loro sogni di gloria e la loro sete di<br />

potere, lo abbandonano e addirittura si schierano contro di lui.<br />

L’episodio è narrato sulla falsariga dell’unico vero suicidio che si trova nell’AT,<br />

quello di Achitofel, il traditore di Davide (2 Sam 17,23) e presenta zone d’ombra e misteri<br />

che non verranno mai chiariti dal punto di vista storico.<br />

Se ci si libera per un momento dagli stereotipi, non si può non provare rispetto e pietà<br />

per il dramma di quest’uomo che – da come ne parlano Pietro, Giovanni e gli altri<br />

evangelisti in genere – sembra proprio che, nel gruppo degli apostoli, non avesse amici.<br />

Quando vide l’unico che lo amava andare incontro alla morte, dev’essersi sentito<br />

terribilmente solo a portare il peso del suo errore. È andato, purtroppo, a sfogare il suo<br />

rimorso, il suo tormento interiore d<strong>alle</strong> persone sbagliate, i sacerdoti del tempio che si erano<br />

serviti di lui. Se si fosse rivolto a Cristo, la sua vita si sarebbe conclusa in altro modo.<br />

Infine, solo Matteo parla delle guardie poste a custodia del sepolcro (Mt 27,62-66):<br />

sono il segno del trionfo del male. La loro presenza testimonia che il giusto è stato vinto, il<br />

liberatore ridotto al silenzio, chiuso per sempre in un sepolcro.<br />

È l’esperienza che tutti facciamo: il male dà sempre l’impressione di essersi assicurato<br />

un trionfo definitivo, tale da far considerare sogni le speranze di giustizia del povero, del<br />

debole, dell’indifeso.<br />

Dio però assicura il suo intervento, inatteso: un suo angelo farà rotolare ogni pietra che<br />

impedisce il ritorno alla vita e si siederà su di essa (Mt 28,2) e i soldati, posti a difesa<br />

dell’ingiustizia e dell’iniquità, fuggiranno atterriti dalla sua luce (Mt 28,4).<br />

24


21 aprile<br />

GIOVEDÌ SANTO<br />

Testo preso dal libro del biblista<br />

FERNANDO ARMELLINI<br />

Ascoltarti è una festa.<br />

Solennità, Feste e Triduo pasquale<br />

Ed. Messaggero, Padova, pp. 214-227<br />

Gesù: pane spezzato, offerto come alimento<br />

Tra i tanti nomi con cui è stato chiamata l’Eucaristia, quello che meglio esprime il<br />

senso e la ricchezza del sacramento è lo spezzar del pane.<br />

I discepoli di Emmaus riconoscono il Signore “nello spezzare il pane” (Lc 24,35), la<br />

comunità di Gerusalemme partecipa assiduamente alla catechesi degli apostoli e “allo<br />

spezzare del pane”, a Troade ci si riuniva “il primo giorno della settimana a spezzare il<br />

pane” (At 20,7).<br />

Come mai i primi cristiani erano così affezionati a questa espressione? Quali ricordi,<br />

quali emozioni risvegliava in loro?<br />

Il pasto dei pii israeliti iniziava sempre con una benedizione sul pane. Il capofamiglia<br />

lo prendeva tra le mani, lo spezzava e lo offriva ai commensali.<br />

Non poteva essere mangiato prima di essere spezzato e condiviso con tutti i presenti.<br />

Fin da bambino Gesù ha osservato Giuseppe compiere devotamente, ogni giorno,<br />

questo rito sacro ed egli stesso, divenuto adulto, lo ha ripetuto più volte: a Nazaret, quando<br />

suo padre è venuto a mancare e, durante la vita pubblica, ovunque fosse invitato a mensa.<br />

Una sera, a Gerusalemme, lo ha rivestito di un significato nuovo.<br />

Durante l’ultima cena prese del pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede ai discepoli<br />

dicendo: Questo sono io. Prendete, mangiate!.<br />

Parole arcane, enigmatiche che i discepoli compresero solo dopo la Pasqua.<br />

Al termine della sua “giornata”, il Maestro aveva riassunto in quel gesto tutta la sua<br />

storia, tutta la sua vita donata.<br />

Non aveva offerto qualcosa, ma se stesso. Aveva consegnato la sua persona in<br />

alimento. Ogni briciola della sua esistenza era stata donata per saziare la fame dell’uomo:<br />

fame di Dio e della sua parola, fame di senso della vita, di felicità, di amore.<br />

Commosso davanti <strong>alle</strong> “pecore senza pastore” si era seduto a insegnare molte cose:<br />

aveva spezzato il pane della Parola (Mc 6,33-34). A chi aveva fame di perdono aveva<br />

offerto i segni della tenerezza di Dio.<br />

A Gerico nessuno immaginava che Zaccheo avesse fame. Nessuno si era dimostrato<br />

sensibile alla sua richiesta di comprensione e di accoglienza; nessuno tranne Gesù che vide,<br />

nascosto tra le foglie di un sicomòro, colui che si vergognava di essere visto. Entrò nella sua<br />

casa e lo saziò di amore e di gioia.<br />

Sulla mensa eucaristica, durante ogni celebrazione, Gesù ripresenta – nel segno del<br />

pane – tutta la sua vita e chiede di essere mangiato.<br />

Nel mondo gli uomini “si mangiano”. Lottano per sopraffarsi e asservire, “si divorano”<br />

per accaparrarsi i beni e dominare. Ha successo chi, in questa competizione per il cibo, si<br />

dimostra il più forte.<br />

25


Gesù ha rivoluzionato questo modo preumano di relazionarsi.<br />

Invece di “mangiare” gli altri, di lottare per la conquista dei regni di questo mondo –<br />

come gli aveva suggerito il maligno – si è fatto mangiare.<br />

È da questo dono di se stesso come alimento che ha avuto inizio l’umanità nuova.<br />

Il gesto di porre su una mensa, di fronte a una persona affamata, una pagnotta e una<br />

coppa di vino è un chiaro invito non a guardare o a contemplare, ma a sedersi, prendere,<br />

mangiare e bere.<br />

Sull’altare, il pane eucaristico è una proposta di vita: mangiarlo significa unirsi a Gesù,<br />

accettare di divenire con lui pane e offrirsi in alimento a chiunque abbia fame.<br />

“Noi non possiamo stare senza la cena del Signore”. “Sì, sono andata all’assemblea e<br />

ho celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana”.<br />

Pronunciate dai martiri di Abitine, nell’Africa proconsolare, queste parole rivelano la<br />

passione con cui, fin dai primi secoli, i cristiani hanno partecipato allo spezzar del pane<br />

domenicale. Era per loro un’esigenza irrinunciabile. Avevano compreso che quello era il<br />

segno distintivo dei discepoli del Signore Gesù.<br />

Per interiorizzare il messaggio, oggi ripeteremo:<br />

Non possiamo stare senza la cena del Signore.<br />

26


Prima lettura (Es 12,1-8.11-14)<br />

1 Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d’Egitto:<br />

2 “Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno.<br />

3 Parlate a tutta la comunità di Israele e dite:<br />

Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per<br />

casa. 4 Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo<br />

vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà<br />

essere l’agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. 5 Il vostro agnello sia senza<br />

difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre 6 e lo<br />

serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità<br />

d’Israele lo immolerà al tramonto. 7 Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti<br />

e sull’architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. 8 In quella notte ne mangeranno<br />

la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare.<br />

11 Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in<br />

mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore! 12 In quella notte io passerò per il<br />

paese d’Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d’Egitto, uomo o bestia; così farò<br />

giustizia di tutti gli dei dell’Egitto. Io sono il Signore! 13 Il sangue sulle vostre case sarà il<br />

segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di<br />

sterminio, quando io colpirò il paese d’Egitto.<br />

14 Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di<br />

generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne”.<br />

Ogni popolo ricorda i momenti gloriosi della propria storia e tende a fissarli in riti che<br />

hanno lo scopo di evocare e, in certo qual modo, di far rivivere gli eventi del passato.<br />

Esempi di questi riti sono la parata militare, le salve di cannone, i discorsi commemorativi,<br />

l’inaugurazione di monumenti.<br />

A Israele il Signore ha raccomandato di non scordare i prodigi con cui è stato liberato<br />

dall’Egitto: “Bada bene, guardati dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto ed esse<br />

non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, f<strong>alle</strong> sapere ai tuoi figli e ai figli dei<br />

tuoi figli” (Dt 4,9).<br />

Israele è un popolo che ricorda e quando proclama la propria fede non si addentra in<br />

ragionamenti, ma racconta: “Mio padre era un arameo errante; scese in Egitto e vi stette<br />

come forestiero. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura<br />

schiavitù. Allora gridammo al Signore… Egli ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e<br />

braccio teso” (Dt 26,5-8).<br />

“Per non dimenticare”, ogni anno, il quattordicesimo giorno del primo mese, celebra –<br />

con una cena – la liberazione dall’Egitto, la sua nascita come popolo.<br />

Nel nostro brano sono puntualizzati i momenti di questo pasto: la scelta dell’agnello, la<br />

sua immolazione, lo spargimento del sangue sui due stipiti e sull’architrave delle case e il<br />

modo come deve essere cucinato e mangiato (vv. 1-8). È spiegata la funzione del sangue<br />

dell’agnello – segno che ha scampato gli israeliti dalla morte (vv. 11-13) – e infine viene<br />

data la disposizione: “Questo giorno sarà per voi un memoriale: lo celebrerete come festa<br />

del Signore di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne” (v. 14).<br />

Durante la cena pasquale, ai commensali adagiati a mensa, il capofamiglia chiarisce il<br />

senso di ciò che stanno compiendo, perché – viene ricordato nell’Haggadah – “in ogni<br />

generazione ognuno deve considerarsi come se egli stesso in persona fosse uscito<br />

dall’Egitto, perché il Signore non ha liberato soltanto i nostri padri, ma insieme a loro anche<br />

noi”.<br />

27


Gli israeliti non festeggiano un evento del passato, ma celebrano la loro personale<br />

liberazione. Nella Pasqua prendono coscienza della loro vocazione come popolo: hanno<br />

fatto l’esperienza della schiavitù, sono vissuti in terra straniera e Dio li ha scelti per<br />

annunciare al mondo che egli è liberatore, che non tollera alcuna forma di schiavitù e che<br />

ama e protegge il forestiero e chiunque sia sottoposto a vessazioni (Es 22,20).<br />

Israele non ha tratto tutte le conseguenze dall’esperienza che ha fatto. Non è arrivato a<br />

“sciogliere tutte le catene inique, a spezzare i legami del giogo e a rimandare liberi gli<br />

oppressi” – come raccomandava il profeta (Is 58,6). Non ha ripudiato ogni forma di<br />

asservimento; ha solo mitigato la schiavitù praticata dagli altri popoli (Dt 15,12-18). Ha<br />

continuato a ritenere che la terra promessagli da Dio fosse quella che era riuscito a sottrarre<br />

ai cananei che l’abitavano.<br />

Non ha compreso che la vera terra della libertà è un’altra: è quella in cui Cristo<br />

introduce tutti coloro che credono in lui e si fidano della sua parola.<br />

Di questa liberazione e del banchetto eucaristico con cui i cristiani continuano a<br />

celebrarla, la Pasqua d’Israele era solo una pallida immagine (1 Cor 10,6.11).<br />

Seconda lettura (1 Cor 11,23-26)<br />

23 Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore<br />

Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò<br />

e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”.<br />

25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è<br />

la nuova <strong>alle</strong>anza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”.<br />

26 Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi<br />

annunziate la morte del Signore finché egli venga.<br />

Un certo linguaggio devozionale e intimistico, sviluppatosi lungo i secoli, ha<br />

contribuito ad offuscare e, a volte, addirittura a compromettere il senso autentico<br />

dell’Eucaristia.<br />

Lo spezzar del pane non ha lo scopo di catturare Gesù per tenerlo più vicino, per<br />

poterlo adorare, ma perché sia alimento e bevanda.<br />

Il cristiano che si ciba del pane eucaristico assume, davanti a Dio e alla comunità, un<br />

impegno solenne: si unisce a Cristo per formare con lui un solo corpo, come la sposa e lo<br />

sposo che “divengono una carne sola; sicché non sono più due, ma una sola carne” (Mc<br />

10,7-8).<br />

Sulla celebrazione eucaristica incombe però un grave pericolo: che venga sganciata<br />

dalla vita e si riduca a rito, a pia pratica cui si partecipa per dovere, ma di cui si può anche<br />

fare a meno.<br />

Accade, purtroppo, che la vita sia una smentita del gesto compiuto con lo spezzar del<br />

pane. È per questo che ogni cristiano si sente interpellato dal severo ammonimento che<br />

Paolo rivolge alla comunità di Corinto e che precede il brano che ci viene proposto oggi<br />

nella lettura: “Non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il<br />

meglio, ma per il peggio. Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un<br />

mangiare la cena del Signore” (1 Cor 11,17.20).<br />

Cosa accadeva a Corinto?<br />

C’erano dissolutezze sessuali, discordie e fazioni; ma ciò che più inquietava Paolo era<br />

un comportamento particolarmente scandaloso dei corinzi: quando si riunivano per la santa<br />

Cena, alcuni mangiavano e bevevano oltre misura mentre altri rimanevano senza cibo.<br />

28


A Corinto – come in tutte le comunità primitive – l’Eucaristia non era celebrata in<br />

chiese, ma in case private che i cristiani benestanti mettevano a disposizione dei loro fratelli<br />

di fede.<br />

La comunità di Corinto era composta nella quasi totalità da gente povera, braccianti,<br />

scaricatori di porto, schiavi. I ricchi, le persone influenti, i nobili erano pochi (1 Cor 1,26),<br />

ma si facevano notare per la loro alterigia e supponenza. Non si erano ancora resi conto che<br />

l’arroganza e l’ambizione sono incompatibili con l’Eucaristia.<br />

Nelle giorno stabilito per lo spezzar del pane, questi amavano ritrovarsi, fin d<strong>alle</strong><br />

prime ore del pomeriggio, in uno dei triclini delle loro ville; poi, adagiati su comodi divani,<br />

si abbandonavano a gozzoviglie mentre i loro fratelli erano al lavoro. Quando, sfiniti dalla<br />

fatica, questi si presentavano per la celebrazione, erano accolti con distacco e, a volte,<br />

addirittura erano scherniti.<br />

Per mostrare quanto sia assurda e incompatibile con la fede in Cristo una simile<br />

condotta, Paolo richiama ai corinzi il significato dello spezzar del pane.<br />

L’Eucaristia non è un alimento da consumarsi in solitudine: è pane spezzato e<br />

condiviso con i fratelli. Coloro che ne mangiano si identificano con Cristo; dichiarano di<br />

essere decisi a far proprio il suo gesto di amore e si impegnano a donare la vita ai fratelli,<br />

come egli ha fatto e questa scelta non la fanno come singoli, ma uniti in un unico corpo con<br />

la comunità.<br />

È dunque inammissibile che, mentre si compie il gesto che indica comunione e totale<br />

disponibilità a donare se stessi, ci si comporti in modo altezzoso, insolente e si provochi<br />

divisione.<br />

Una comunità che si riunisce per lo spezzar del pane con queste indegne disposizioni<br />

interiori “mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,28-29); la sua celebrazione è una<br />

menzogna, un monumento all’ipocrisia.<br />

Dopo il gesto sul pane – spiega ancora Paolo ai corinzi – Gesù prese anche il calice,<br />

dicendo: “Questo calice è la nuova <strong>alle</strong>anza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne<br />

bevete, in memoria di me” (v. 25).<br />

Nella cultura semitica, bere allo stesso calice significava dichiararsi disponibili a<br />

condividere lo stesso destino, fino alla morte.<br />

L’invito di Gesù a bere al suo calice è la richiesta più impegnativa che egli fa al<br />

discepolo: gli chiede di fare, insieme con lui, la scelta risoluta del dono totale di sé.<br />

Il rischio di perdere la vita spaventa, ma Gesù assicura: “Chi vorrà salvare la propria<br />

vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25).<br />

Vangelo (Gv 13,1-15)<br />

1 Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da<br />

questo mondo al <strong>Padre</strong>, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.<br />

2 Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota,<br />

figlio di Simone, di tradirlo, 3 Gesù sapendo che il <strong>Padre</strong> gli aveva dato tutto nelle mani e<br />

che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un<br />

asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a<br />

lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto.<br />

6 Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”.<br />

7 Rispose Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”.<br />

8 Gli disse Simon Pietro: “Non mi laverai mai i piedi!”.<br />

Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”.<br />

29


9 Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”.<br />

10 Soggiunse Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed<br />

è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti”.<br />

11 Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: “Non tutti siete mondi”.<br />

12 Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse<br />

loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché<br />

lo sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete<br />

lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io,<br />

facciate anche voi”.<br />

Si rimane sorpresi, leggendo il vangelo secondo Giovanni, dal fatto che in esso non è<br />

raccontata l’istituzione dell’Eucaristia che invece è riferita da tutti gli altri evangelisti.<br />

Questa lacuna stupisce ancor più se si tiene presente che, al tema del “Pane della vita”,<br />

Giovanni ha dedicato un intero capitolo (Gv 6) e che il racconto dell’ultima cena occupa un<br />

quarto del suo vangelo (Gv 13-17). Come mai in questi cinque capitoli non ha neppure<br />

accennato al fatto più importante?<br />

Non è stata una dimenticanza. L’omissione è voluta e, se si considera l’episodio con<br />

cui è stata sostituita, si comprende anche l’obbiettivo che Giovanni intendeva raggiungere.<br />

Al posto dell’istituzione dell’Eucaristia, egli ha inserito la lavanda dei piedi, un fatto<br />

che gli altri evangelisti ignorano, ma che per lui ha somma importanza.<br />

Con questa sostituzione voleva far comprendere ai cristiani delle sue comunità che<br />

Eucaristia e lavanda dei piedi sono, in certo qual modo, intercambiabili, si intrecciano, sono<br />

collegate, non possono essere capite se non l’una in rapporto con l’altra.<br />

La lavanda dei piedi chiarisce il significato dello spezzar del pane, mette in evidenza<br />

che cosa comporta per il discepolo entrare in comunione con il corpo e il sangue di Cristo<br />

nell’Eucaristia.<br />

L’introduzione del racconto è solenne.<br />

Inizia con l’indicazione di tempo: stava approssimandosi la Pasqua, la festa che<br />

celebra il passaggio dalla schiavitù alla libertà.<br />

Gesù sta per realizzare la sua Pasqua. È giunto il momento del suo esodo, del<br />

passaggio da questo mondo al <strong>Padre</strong>: deve immergersi nelle acque profonde e buie della<br />

passione e della morte per tracciare il cammino che introdurrà tutti gli uomini nella terra<br />

della libertà.<br />

Dopo il richiamo alla Pasqua, viene ricordata l’ora, quell’ora misteriosa cui Giovanni<br />

ha già fatto riferimento più volte nel suo vangelo.<br />

Il primo rintocco è risuonato a Cana quando Gesù ha detto alla madre: “Non è ancora<br />

giunta la mia ora” (Gv 2,4). In seguito, a Gerusalemme, si sono uditi altri rintocchi: nessuno<br />

è riuscito a mettere le mani su Gesù “perché non era ancora giunta la sua ora” (Gv 7,30; Gv<br />

8,20). Pochi giorni prima della sua passione Gesù annuncia che l’ora sta per scoccare: “È<br />

giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo… L’anima mia è turbata. E che devo<br />

dire? <strong>Padre</strong>, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!” (Gv 12,23.27).<br />

È il momento da lui tanto atteso, quello in cui, dopo aver amato immensamente i suoi,<br />

gli è offerta l’opportunità di dare la prova massima del suo amore con il dono della vita.<br />

Dopo un accenno alla cena e a Giuda – il discepolo che, mosso dal maligno, stava per<br />

consegnare il Maestro ai sommi sacerdoti – il racconto riprende con un tono molto solenne:<br />

“Gesù sapendo che il <strong>Padre</strong> gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio<br />

ritornava”.<br />

30


Perché questo lungo giro di parole? Sembra eccessivo il richiamo all’autorità di Gesù,<br />

alla sua origine divina, al suo destino finale per introdurre una – apparentemente banale –<br />

lavanda dei piedi.<br />

Il testo risulta ridondante solo se non ci si rende conto del significato rivoluzionario<br />

del gesto compiuto da Gesù. Per Giovanni il fatto è di una importanza eccezionale: colui che<br />

sta per abbassarsi al livello dello schiavo è nientemeno che il Signore, l’Unigenito vedendo<br />

il quale si vede il <strong>Padre</strong> (Gv 14,9).<br />

Prima e durante i pasti rituali, i pii Israeliti erano soliti compiere abluzioni con l’acqua.<br />

Al capotavola le mani venivano lavate da un servo o dal più giovane dei convitati.<br />

Durante l’ultima cena accade qualcosa di inaudito. Nella mente dell’evangelista il fatto<br />

è rimasto scolpito in modo così nitido e indelebile da essere ricordato fin nei minimi<br />

dettagli.<br />

Sotto gli sguardi attoniti dei discepoli, Gesù si alza da tavola, depone le vesti, prende<br />

un asciugatoio, se lo cinge attorno alla vita; poi versa dell’acqua nel catino e comincia a<br />

lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si è cinto.<br />

Tutto si svolge in silenzio.<br />

Tacciono i discepoli: la scena cui stanno assistendo è tanto sorprendente da lasciarli<br />

allibiti. Non credono ai loro occhi: Gesù si è tolto le vesti – come fanno gli schiavi – e non<br />

lava le mani, ma i piedi; si sottopone a un gesto tanto umiliante che un giudeo, ridotto in<br />

schiavitù, doveva rifiutarsi di eseguire per non disonorare il suo popolo.<br />

Gesù lo compie: lui, Dio.<br />

Lo stupore dei discepoli è comprensibile: sono vissuti per tre anni accanto a Gesù, lo<br />

hanno riconosciuto come il Cristo e attendono impazienti che egli porti a compimento le<br />

Scritture. Hanno appreso che il Messia “dominerà da mare a mare… lambiranno la polvere i<br />

suoi nemici… Davanti a lui tutti i re si prostreranno e lo serviranno tutte le nazioni” (Sl<br />

72,8-11).<br />

Ora, nel cenacolo queste loro speranze di gloria si dissolvono, impietosamente<br />

demolite dalla scena che lentamente sta svolgendosi sotto il loro occhi.<br />

Durante l’ultima cena, il Dio “venuto ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) ha scoperto<br />

le carte e ha mostrato la sua vera identità. Nel gesto della lavanda dei piedi i discepoli hanno<br />

potuto leggere, indicata a chiare lettere, la sua professione: non padrone, ma “schiavo”.<br />

Impossibile immaginare una rivelazione di Dio più sorprendente. Eppure questo Dioservo<br />

è l’unico vero, tutti gli altri sono idoli creati dalla mente dell’uomo.<br />

Ora cominciamo a intuire la ragione dell’importanza che Giovanni ha attribuito a<br />

questo episodio.<br />

Lavando i piedi dei discepoli, Gesù ha distrutto per sempre l’immagine che gli uomini<br />

si erano fatta di Dio: il Dio grande sovrano seduto in trono; il Dio che pretende adorazioni,<br />

ossequi, atti di sottomissione da parte dei sudditi; il Dio che esige obbedienza e rispetto<br />

altrimenti si indigna e reagisce con rappresaglie e punizioni; il Dio dominatore che annienta<br />

coloro che osano schierarsi contro di lui.<br />

Gesù rende presente un Dio dal volto completamente diverso: è il Dio che si pone in<br />

ginocchio davanti all’uomo, sua creatura. Lo colloca su un piedestallo mentre lui –<br />

l’Onnipotente – gli si prostra davanti per servirlo. Questo è l’unico Dio in cui siamo invitati<br />

a credere. Prendere o lasciare!<br />

Di fronte a questa scena – che provoca vertigini – si rivelano grottesche, patetiche le<br />

nostre competizioni per ottenere baciamani, inchini, titoli onorifici, riconoscimenti.<br />

Appaiono meschini i nostri conflitti per raggiungere posizioni sempre più elevate.<br />

31


Pietro comprende che il Maestro sta introducendo nel mondo un principio che<br />

scombina tutti gli schemi dettati dal buon senso, stravolge tutti i criteri di giudizio accolti<br />

come logici dagli uomini.<br />

Non ci sta. Non può ammettere che i superiori, i più dotati, coloro che, con pieno<br />

merito, riescono a emergere e a farsi una posizione prestigiosa, debbano ritenersi servi degli<br />

ultimi.<br />

Reagisce e, a nome di tutti, prima chiede stupito: “Signore, tu lavi i piedi a me?”; poi<br />

oppone un rifiuto categorico: “Tu non mi laverai mai i piedi!”.<br />

Non accetta che il Maestro compia quel gesto.<br />

Gesù non si meraviglia della sua incapacità di comprendere: la logica del servizio<br />

gratuito e incondizionato è lontana dai pensieri degli uomini come il cielo dalla terra. Non<br />

sorprende che sia inaccettabile per Pietro che – come Gesù gli ha già fatto notare – non<br />

pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini (Mc 8,33).<br />

“Se non ti laverò, non avrai parte con me” – gli dice.<br />

Non è un rimprovero e neppure un invito ad accettare, come norma della propria vita,<br />

il gesto compiuto dal Maestro. Sarebbe pretendere troppo da un discepolo sconcertato e<br />

titubante.<br />

Gesù non gli dice: “Se non accetti di lavare i piedi ai fratelli, tu non hai nulla a che<br />

vedere con me”, ma: “Se io non ti lavo i piedi”.<br />

È Gesù – non Pietro – che deve lavare i piedi.<br />

A Pietro è chiesto soltanto di non impedire a Dio di rivelare la propria identità di<br />

schiavo dell’uomo. Se glielo impedisse non otterrebbe la salvezza.<br />

Essere salvati, infatti, significa lasciarsi liberare dalla convinzione che ci si umanizza<br />

salendo, dominando, facendosi servire.<br />

Chi ripudia questa proposta suggerita dal maligno e sceglie – come fa Dio – di essere<br />

servo di tutti è salvo.<br />

La salvezza è giunta all’uomo quando Gesù ha realizzato la discesa cantata nel celebre<br />

inno della Lettera ai filippesi: “Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro<br />

geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo<br />

e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi<br />

obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,5-8).<br />

Concluso il dialogo con Pietro, il racconto prosegue con la descrizione dettagliata dei<br />

gesti compiuti da Gesù: “Riprese le vesti, sedette di nuovo…”.<br />

Ogni movimento è accuratamente rilevato dall’evangelista ed è carico di simbolismo.<br />

Gesù aveva deposto le vesti, gesto che indicava la sua identità di schiavo. Erano gli<br />

schiavi infatti che indossavano abiti succinti per essere più liberi nei movimenti.<br />

Ora Gesù riprende le vesti e si siede.<br />

Ambedue questi gesti richiamano la condizione della persona libera (gli schiavi non si<br />

mettevano tuniche ingombranti e rimanevano in piedi, pronti a scattare agli ordini del<br />

padrone).<br />

Dopo aver donato la propria vita servendo l’uomo, Gesù è entrato nella condizione<br />

gloriosa del cielo e il <strong>Padre</strong> lo ha fatto sedere alla sua destra.<br />

Si noti però un dettaglio che rischia di passare inosservato: Giovanni non dice che<br />

Gesù si è tolto il grembiule prima di rimettersi le vesti. Questo capo di vestiario gli è<br />

rimasto addosso, lo porta anche in paradiso. Non è venuto sulla terra per recitare la parte del<br />

servo e tornare in cielo a fare il padrone.<br />

Rimane sempre servo perché questa è l’identità di Dio.<br />

32


Il grembiule è il simbolo del servizio, è la divisa che il cristiano non può mai deporre,<br />

deve indossarla ventiquattro ore su ventiquattro. In ogni momento un fratello può avere<br />

bisogno di lui ed egli deve essere sempre disponibile a correre in suo aiuto.<br />

È da questo grembiule e non da altre divise che sono riconoscibili i discepoli autentici.<br />

Pochi versetti più avanti Gesù ripresenta, in forma di testamento, il punto centrale di<br />

questa sua proposta di vita: “Vi dono un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli<br />

altri; come io vi ho amato, così anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno<br />

che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).<br />

Discepolo è colui che segue le orme del Maestro.<br />

“Abbiate in voi stessi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” – raccomanda<br />

Paolo ai filippesi (Fil 2,5).<br />

Vi ho dato l’esempio – dice Gesù – affinché come ho fatto io facciate anche voi.<br />

Egli “non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10,45). Anche i suoi<br />

discepoli, sul suo esempio, sono chiamati a divenire servi.<br />

Ora possiamo riprendere il tema dell’Eucaristia.<br />

La lavanda dei piedi ci ha fatto comprendere che cosa comporta il gesto di accostarsi<br />

all’altare per “comunicare al pane eucaristico”. Significa accettare coscientemente di<br />

identificarsi con colui che, per tutta la sua vita, ha indossato il “grembiule”. Mangiare il suo<br />

corpo e bere il suo sangue vuol dire divenire un corpo solo con lui.<br />

Nella seconda lettura, Paolo raccomandava che, prima dello spezzar del pane, ciascuno<br />

facesse un accurato esame di coscienza. La domanda, l’unica domanda che ci si deve porre e<br />

che riassume tutti gli impegni della vita cristiana è: ho sempre indossato il “grembiule”<br />

oppure sono nudo e, come Pietro sul lago di Tiberiade (Gv 21,7), ho bisogno di rivestirmi<br />

prima di andare incontro a Cristo?<br />

“Un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha<br />

mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica” (vv. 16-17).<br />

Il brano che la liturgia di oggi ci propone non include questi due versetti. Li<br />

riprendiamo lo stesso perché costituiscono la conclusione di tutto il racconto.<br />

Spogliarsi, farsi schiavi, mettere il grembiule. È un cammino che sembra avere come<br />

meta ultima il dolore, l’umiliazione e la morte.<br />

Una certa spiritualità del passato ha difatti presentato l’adesione a Cristo come una<br />

ricerca della sofferenza e il dolore come un mezzo per piacere a Dio. Da qui è derivata la<br />

convinzione che la vita cristiana non sia fonte di gioia, ma di angoscia e paura.<br />

L’uomo cerca la felicità. È Dio che gli ha posto nel cuore questo incontenibile<br />

desiderio. Difficile è però individuare il cammino per raggiungerla ed è facile puntare su<br />

obbiettivi sbagliati e ritrovarsi delusi e avviliti.<br />

Si pecca quando si punta su una felicità illusoria.<br />

Il vangelo è lieta notizia, propone la beatitudine.<br />

Contro tutte le logiche umane, Gesù garantisce a coloro che si fidano della sua<br />

proposta: “Sarete beati!”.<br />

Ecco la sorpresa: il dono di sé è l’unico cammino che porta alla gioia.<br />

È la prima delle due beatitudini che si trovano nel vangelo di Giovanni.<br />

La seconda Gesù la rivolgerà a Tommaso: “Beati coloro che, pur non avendo visto,<br />

crederanno” (Gv 20,29).<br />

Due beatitudini: una per chi pratica la carità, l’altra per chi ha la fede.<br />

33


34<br />

24 aprile<br />

DOMENICA DI PASQUA<br />

Testo preso dal libro del biblista<br />

FERNANDO ARMELLINI<br />

Ascoltarti è una festa.<br />

Le <strong>letture</strong> <strong>domenicali</strong> spiegate alla comunità<br />

Anno A<br />

Ed. Messaggero, Padova, pp. 194-203<br />

Testimone è chi “ha visto” il Signore<br />

Sono commoventi le parole appassionate con cui Giovanni inizia la sua lettera: “Ciò<br />

che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo<br />

contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita… noi lo<br />

annunziamo anche a voi” (1 Gv 1,1-3). Un’esperienza invidiabile, ma irrepetibile la sua.<br />

Tuttavia, per divenire “testimoni” di Cristo, non è indispensabile aver camminato con Gesù<br />

di Nazaret lungo le strade della Palestina.<br />

Paolo – che pure non ha conosciuto personalmente Gesù – è costituito testimone delle<br />

cose che ha visto (At 26,16) e riceve dal Signore quest’incombenza: “Come hai testimoniato<br />

per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma” (At<br />

23,11).<br />

Per essere testimone, basta aver visto il Signore realmente vivo, al di là della morte.<br />

Testimoniare non equivale a dare buon esempio. Questo è certamente utile, ma la<br />

testimonianza è un’altra cosa. La può dare solo chi è passato dalla morte alla vita, chi può<br />

confermare che la sua esistenza è cambiata e ha acquistato un senso da quando è stata<br />

illuminata dalla luce della Pasqua, chi ha fatto l’esperienza che la fede in Cristo dà senso<br />

<strong>alle</strong> gioie e ai dolori e illumina i momenti lieti e quelli tristi.<br />

Proviamo a interrogarci: la risurrezione di Cristo è un punto di riferimento costante in<br />

tutti i progetti che facciamo, quando comperiamo, vendiamo, dialoghiamo, dividiamo<br />

un’eredità, quando scegliamo di avere un altro figlio… o riteniamo che le realtà di questo<br />

mondo non abbiano nulla a che vedere con la Pasqua?<br />

Chi ha visto il Signore non fa più nulla senza di lui.<br />

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:<br />

“Se il nostro cuore si aprirà alla comprensione delle Scritture, vedremo il Signore”.


Prima Lettura (At 10, 34.37-43)<br />

34 Pietro prese la parola e disse: 37 “Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea,<br />

incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; 38 cioè come Dio consacrò<br />

in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che<br />

stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.<br />

39 E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei giudei e in<br />

Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, 40 ma Dio lo ha risuscitato al terzo<br />

giorno e volle che apparisse, 41 non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che<br />

abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. 42 E ci ha ordinato di<br />

annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio. 43 Tutti<br />

i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati<br />

per mezzo del suo nome”.<br />

Questa lettura è presa dal quinto degli otto discorsi pronunciati da Pietro negli Atti<br />

degli apostoli. La scena si svolge a Cesarea, nella casa del centurione Cornelio dove si è<br />

riunito un gruppo di pagani che stanno per ricevere il battesimo.<br />

È prezioso questo brano perché, in sintesi, presenta la predicazione fatta nelle prime<br />

comunità cristiane. Ponendola sulla bocca di Pietro, l’autore intende conferirle<br />

l’autorevolezza e la garanzia dell’ufficialità. Vediamo quali sono i punti essenziali di questa<br />

predicazione.<br />

Anzitutto essa richiama la vita di Gesù. Egli è passato facendo del bene e curando tutti<br />

coloro che erano vittime del male perché in lui operava la forza di Dio (vv. 37-38). Viene<br />

indicato anche il luogo e il tempo in cui questa sua attività ha avuto inizio: tutto è<br />

cominciato in Galilea dopo il battesimo predicato da Giovanni. Ciò che è accaduto prima –<br />

la sua infanzia e la giovinezza trascorse a Nazareth – interessa la nostra curiosità, ma non<br />

costituisce il punto di riferimento per la nostra fede.<br />

Pietro sottolinea fatti concreti, verificabili, noti a tutti, perché la fede cristiana non si<br />

basa su elucubrazioni esoteriche o su un personaggio della mitologia, ma fa riferimento a un<br />

uomo concreto, vissuto in un luogo e in un tempo ben precisi.<br />

Ci aspetteremmo che Pietro facesse almeno un accenno anche all’annuncio della<br />

Buona Novella, invece egli si limita a sottolineare la trasformazione concreta del mondo<br />

realizzata da Gesù. Essa basta per provare che ha avuto inizio una realtà nuova.<br />

Il secondo punto della predicazione è quanto gli uomini hanno fatto: non hanno<br />

riconosciuto in Gesù l’inviato di Dio e lo hanno ucciso inchiodandolo ad una croce (v. 39).<br />

E Dio come ha reagito? Egli – dice Pietro – non poteva abbandonare il suo “Servo<br />

fedele” prigioniero della morte, per questo lo ha risuscitato. La sua opera si oppone a quella<br />

degli uomini, che danno la morte, portano verso il sepolcro.<br />

Dio è colui che risolleva e conduce alla vita. Questo è l’articolo fondamentale della<br />

nostra fede (v. 40).<br />

Infine viene indicata la missione dei discepoli: essi sono testimoni di questi fatti (v.<br />

39.41) e sono inviati ad annunciare e attestare che Gesù è stato costituito giudice dei vivi e<br />

dei morti (v. 42). Questa verità fa parte del “Credo” e non è una minaccia, ma un messaggio<br />

lieto. Gli apostoli devono dire a tutti che Gesù non è un giudice che condanna, ma il<br />

modello con il quale Dio confronta la vita di ogni uomo, dichiarandone la riuscita o il<br />

fallimento. Non c’è un’istanza superiore. I giudei non potranno appellarsi alla loro fede in<br />

Dio o all’osservanza della legge. Il punto di riferimento stabilito da Dio non sono la legge,<br />

le tradizioni, né qualunque altro criterio umano, ma è Gesù e soltanto Gesù.<br />

Gli apostoli sono suoi testimoni perché sono stati con lui, hanno mangiato e bevuto<br />

con lui, hanno udito i suoi insegnamenti e hanno visto i segni da lui compiuti. Non sono<br />

35


testimoni per la loro vita esemplare, ma in quanto hanno fatto un’esperienza unica che sono<br />

in grado di riferire a chiunque li voglia ascoltare con onestà e purezza di cuore.<br />

Seconda Lettura (Col 3,1-4)<br />

1 Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla<br />

destra di Dio; 2 pensate <strong>alle</strong> cose di lassù, non a quelle della terra. 3 Voi infatti siete morti e la<br />

vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! 4 Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita,<br />

allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.<br />

Scrivendo ai cristiani di Colossi, Paolo ricorda loro che, nel giorno del battesimo, essi<br />

sono nati ad una vita nuova, vita che ha la sua piena realizzazione non in questo mondo, ma<br />

nel mondo di Dio.<br />

La fede in questa vita nuova è ciò che differenzia i credenti dagli atei, i quali sono<br />

convinti che l’uomo, contando unicamente sulle proprie forze, riesce a raggiungere la<br />

salvezza in questo mondo.<br />

Non è difficile rendersi conto che, anche se venissero risolti tutti i problemi materiali,<br />

ci fosse cibo per tutti, il dolore e la malattia fossero vinti, pure allora rimarrebbero delle<br />

domande irrisolte nell’intimo del cuore dell’uomo: perché vivo e perché muoio? Da dove<br />

vengo e dove vado?... Solo Cristo morto e risorto dà una risposta soddisfacente a questi<br />

interrogativi.<br />

Paolo non dice che i cristiani non devono interessarsi delle realtà di questo mondo.<br />

Essi lavorano e s’impegnano come gli altri. Tuttavia sono convinti che la pienezza di vita<br />

non può essere raggiunta qui (v. 2).<br />

Le opere buone non possono mancare – dice la lettura – sono una manifestazione della<br />

vita nuova, sono segni della sua presenza. Sono come i frutti che possono spuntare e<br />

crescere solo su un albero vivo e rigoglioso.<br />

Vangelo (Gv 20,1-9)<br />

1 Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era<br />

ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.<br />

2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse<br />

loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”.<br />

3 Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro.<br />

4 Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per<br />

primo al sepolcro. 5 Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon<br />

Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, 7 e il sudario, che gli era stato<br />

posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.<br />

8 Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.<br />

9 Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.<br />

“Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro.<br />

Era ancora buio...” (v. l). In queste prime parole del vangelo del giorno di Pasqua si<br />

percepiscono, quasi si respirano i segni della vittoria della morte. Sulla terra tutto è silenzio,<br />

immobilità, quiete, ed una donna, sola ed impaurita, si muove nell’oscurità della notte. La<br />

morte sembra dominare incontrastata e il silenzio e il buio ne celebrano il trionfo. Il potere,<br />

36


il principio della forza, la discriminazione, l’ingiustizia, il lievito dell’astuzia sembrano aver<br />

avuto definitivamente la meglio sulle forze della vita.<br />

Vediamo invece cosa accade quando Maria scorge il sepolcro vuoto: la scena cambia<br />

come d’incanto. Colti da un improvviso fremito, tutti i personaggi si scuotono dal loro<br />

torpore e prendono a muoversi rapidamente: “Maria di Magdala corre da Simon Pietro... che<br />

si precipita fuori con l’altro discepolo... Corrono insieme, ma l’altro discepolo corre più<br />

veloce...” (vv. 2-4). Cogliendo tutti di sorpresa, il giorno dopo il sabato, la vita riesplode in<br />

tutta la sua forza. Dio è intervenuto e ha spalancato il sepolcro, ma la Maddalena ancora non<br />

lo sa, pensa che il cadavere sia stato trafugato. La sua è una reazione naturale e spontanea, è<br />

il primo pensiero che attraversa la mente di chiunque s’imbatte in una tomba vuota.<br />

Ci si può fermare a questa prima constatazione o si può continuare a cercare un senso a<br />

ciò che si constata. Di fronte alla morte ci si può rassegnare e piangere o aprire il cuore alla<br />

luce dall’alto.<br />

La Maddalena esce momentaneamente di scena ed è come se passasse il testimone,<br />

nella corsa verso la fede, ad altri due discepoli. Uno è ben noto, Pietro, l’altro non ha nome.<br />

In genere si dice che si tratta dell’evangelista Giovanni. Ma questa identificazione è<br />

avvenuta molto tardi, circa cent’anni dopo che l’apostolo era morto. Può darsi che fosse lui<br />

il discepolo che Gesù amava, tuttavia, nel vangelo di Giovanni, questa figura ha certamente<br />

anche un carattere simbolico che è opportuno cogliere.<br />

Questo discepolo senza nome è sempre legato in qualche modo a Pietro:<br />

- entra in scena accanto ad Andrea. I due un giorno vedono Gesù passare, gli chiedono<br />

dove abita, lo seguono e rimangono con lui tutta la notte. Che c’entra Pietro? C’entra perché<br />

il discepolo senza nome arriva a Gesù prima di lui (Gv 1,35-40);<br />

- di questo discepolo non si parla più fino all’ultima cena quando Gesù dichiara che fra<br />

i dodici c’è anche un traditore. Chi lo scopre? Chi sa riconoscere chi sta dalla parte di Gesù<br />

e chi invece è contro di lui? Non Pietro, ma il discepolo senza nome che reclina il capo sul<br />

petto del Signore (Gv 13,23-26);<br />

- durante la passione, mentre Pietro si ferma e rinnega il Maestro, il discepolo senza<br />

nome ha il coraggio di seguirlo, entra nella casa del sommo sacerdote e sta vicino a Gesù<br />

durante il processo (Gv 18,15-27);<br />

- sul Calvario Pietro non c’è, è fuggito. Il discepolo che Gesù ama invece è con il<br />

Maestro, è ai piedi della croce con la madre di lui (Gv 19,25-27);<br />

- poi viene il brano di oggi in cui Pietro è nuovamente battuto sia nella corsa materiale<br />

che in quella spirituale – come tra poco vedremo (Gv 20,3-10);<br />

- sul mare di Tiberiade è ancora questo discepolo a riconoscere il Risorto nell’uomo<br />

che si trova sulla riva. Pietro se ne rende conto solo più tardi (Gv 21,7);<br />

- infine quando è invitato da Gesù a seguirlo, Pietro non ha il coraggio di farlo da solo,<br />

sente il bisogno di avere al suo fianco “il discepolo che Gesù amava” (Gv 21,20-25).<br />

Chi rappresenta dunque? Come mai non ha nome?<br />

Rappresenta il discepolo autentico, quello che appena incontra Gesù non ha esitazioni,<br />

lo segue immediatamente, lo vuole conoscere, dimentica anche di dormire pur di stare con<br />

lui. Lo conosce al punto da scoprire subito chi sono i suoi amici e quali i nemici. Lo segue<br />

anche quando è necessario donare la vita. Non ha nome perché ognuno è invitato a inserire<br />

il proprio nome.<br />

Vediamo questa coppia di discepoli correre al sepolcro. Il discepolo senza nome<br />

giunge per primo, si china, vede le bende per terra, ma non entra. Giunge anche Simon<br />

37


Pietro che entra, vede le bende per terra e il sudario che era stato posto sul capo di Gesù,<br />

non per terra con le bende, ma arrotolato in un luogo a parte.<br />

Nulla di miracoloso, non c’è alcuna apparizione di angeli, ovunque si vedono solo i<br />

segni della morte. Forse i due discepoli hanno un’intuizione, quella formulata da Giovanni<br />

Crisostomo: “Chiunque avesse portato via il corpo, non lo avrebbe prima spogliato, né si<br />

sarebbe preso il disturbo di rimuovere e di arrotolare il sudario e di lasciarlo in un luogo a<br />

parte”. Il cadavere non è dunque stato trafugato.<br />

Pietro si ferma, attonito e stupefatto. Constata, ma non riesce ad andare oltre. I suoi<br />

pensieri si bloccano davanti all’evidenza della morte. Il discepolo senza nome invece fa un<br />

passo in avanti: vede e comincia a credere (v. 8). È il momento culminante del suo<br />

cammino verso la fede nel Signore risorto. Di fronte ai segni della morte (la tomba, le<br />

bende, il sudario...) egli comincia a percepire la vittoria della vita.<br />

L’annotazione che segue accomuna i due discepoli: “Non avevano ancora compreso la<br />

Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti” (v. 9). Sembra illogica, almeno per<br />

quanto riguarda il discepolo senza nome. Ma, a questo punto, l’evangelista Giovanni non sta<br />

redigendo una fredda cronaca dei fatti, ma sta indicando ai cristiani delle sue comunità<br />

l’itinerario attraverso il quale si giunge alla fede. Si parte dai segni – quelli documentati dai<br />

vangeli (Gv 20,30-31) – che però rimangono misteriosi e incomprensibili se non ci si lascia<br />

guidare dalla parola di Dio contenuta nelle sacre Scritture. Sono queste che spalancano la<br />

mente e il cuore e danno l’illuminazione interiore che svela il Risorto. Il discepolo autentico<br />

non ha bisogno di altre prove, non ha bisogno delle verifiche che esigerà Tommaso.<br />

Gesù ha detto ai discepoli: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane<br />

solo; se invece muore, produce molto frutto”. Chi ancora non crede considera un’assurdità,<br />

una follia il dono gratuito della vita, perché dietro questo dono vede solo i segni della morte.<br />

Alla luce della Pasqua invece, il discepolo autentico “comincia a capire” che la vita donata<br />

per i fratelli introduce nella beatitudine di Dio.<br />

Il versetto conclusivo dell’episodio – i due discepoli “se ne tornarono di nuovo a casa”<br />

(v. 10) – dà quasi l’impressione che tutto ritorni come prima. Ma non è così. I due hanno<br />

conosciuto Gesù, hanno verificato gli stessi fatti e visto gli stessi segni. Riprendono la vita<br />

di ogni giorno, ma uno continua scoraggiato e deluso, l’altro è guidato da una nuova luce e<br />

sorretto da una nuova speranza.<br />

Vangelo (Mt 28,1-10)<br />

1<br />

Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra<br />

Maria andarono a visitare il sepolcro. 2 Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del<br />

Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. 3 Il suo aspetto era<br />

come la folgore e il suo vestito bianco come la neve.<br />

4 5<br />

Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l’angelo disse <strong>alle</strong><br />

donne: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. 6 Non è qui. È risorto, come<br />

aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. 7 Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È<br />

risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto”.<br />

8<br />

Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare<br />

l’annunzio ai suoi discepoli.<br />

9<br />

Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: “Salute a voi”. Ed esse, avvicinatesi, gli presero<br />

i piedi e lo adorarono. 10 Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli<br />

che vadano in Galilea e là mi vedranno”.<br />

38


Matteo ci racconta in modo diverso la visita delle donne al sepolcro. Esse assistono ad<br />

uno spettacolo terrificante: c’è un grande terremoto, un angelo del cielo si accosta, fa<br />

rotolare la pietra e si pone a sedere su di essa; il suo aspetto è quello della folgore e il suo<br />

vestito è bianco come la neve. Tutti sono spaventati e le guardie restano come tramortite<br />

(vv. 2-4).<br />

Interpretare questo testo come una pagina di cronaca sarebbe fuorviante. Matteo vuole<br />

presentare il più grande intervento di Dio nella storia dell'uomo e per farlo non può che<br />

impiegare il linguaggio e le immagini che ha a disposizione e che i suoi lettori conoscono e<br />

comprendono molto bene, cioè quelle usate dalla Bibbia: il terremoto (Sal 18,8-16), l’angelo<br />

del Signore (Gdc 6,11), il colore bianco (Dn 7,9), la folgore (Dn 10,6), la paura (Gdc<br />

13,22ss). Le abbiamo già trovate nel racconto della trasfigurazione. Le ritroveremo ancora.<br />

Non si tratta di informazioni, ma di immagini attraverso le quali l’evangelista vuole<br />

affermare che Dio ha manifestato la sua forza di salvezza.<br />

I malvagi hanno combattuto il giusto ed hanno prevalso. Sono convinti di averlo messo<br />

a tacere per sempre. Una pietra enorme è collocata davanti al suo sepolcro e un picchetto di<br />

guardie vigila perché nessuno si avvicini (27,62-66). Tutto celebra la vittoria della morte<br />

sulla vita, dell’empietà sulla rettitudine, dell’odio sull’amore. Di fronte a questo dramma ci<br />

si chiede sconsolati: il buio e il silenzio di una tomba spegneranno anche il ricordo del<br />

giusto mentre chi lo ha ucciso ride beffardo?<br />

All’alba del giorno di Pasqua Dio risponde a questa angosciante domanda. In un<br />

bagliore di luce fa esplodere la sua forza vivificante. Egli non può permettere che il suo<br />

servo fedele veda la corruzione. L’enorme pietra che chiude l’imboccatura del sepolcro è<br />

fatta rotolare via mentre il Santo, il Giusto viene rapito nella gloria del <strong>Padre</strong> e l’angelo che<br />

si siede sulla pietra celebra il trionfo del Signore della vita. I soldati posti a difesa<br />

dell’ingiustizia e dell’iniquità fuggono atterriti dalla luce della Pasqua (28,4).<br />

Dio capovolge tutte le situazioni di morte provocate dalla malvagità degli uomini.<br />

Il messaggio del cielo, rivolto <strong>alle</strong> donne, in realtà è rivolto a tutti i cristiani: nessun<br />

giusto sarà mai abbandonato in potere della morte; il suo sepolcro, come quello di Gesù,<br />

sarà vuoto. Le forze della morte (l’ingiustizia, l’oppressione, la calunnia, l’odio, l’inganno,<br />

la furbizia...) non prevarranno sulla vita, anche se apparentemente, per un certo tempo,<br />

potranno avere la meglio. Di fronte a questa scena grandiosa tutte le sconfitte e tutte le<br />

lacrime dei giusti di ogni tempo acquistano senso.<br />

Il terremoto è già stato ricordato da Matteo al momento della morte di Gesù quando<br />

“la terra si scosse, le rocce si spezzarono e i sepolcri si spalancarono” (Mt 27,51-52). Era il<br />

segno dello sconvolgimento operato dal sacrificio di Cristo: il mondo antico aveva subito un<br />

colpo devastante. Nel mattino di Pasqua spunta l’alba del giorno della nuova creazione.<br />

Accanto al sepolcro vuoto compaiono due gruppi di persone: le donne e le guardie.<br />

Rappresentano due modi opposti di intendere la manifestazione di Dio.<br />

La prima reazione che viene registrata è la paura: “per lo spavento le guardie caddero e<br />

divennero come morte” (v. 4). L’angelo non le tranquillizza, non si rivolge a loro – incapaci<br />

come sono di accogliere il messaggio del cielo – ma <strong>alle</strong> donne, simbolo della comunità:<br />

“Non abbiate paura, voi!” (v. 5). Il mondo del peccato, della morte, della menzogna,<br />

dell’ingiustizia deve continuare ad aver paura perché è giunta la sua fine. La nuova<br />

comunità invece non deve temere l’intervento sconvolgente di Dio, ma gioire per la<br />

salvezza.<br />

39


Le donne abbandonano in fretta il luogo di morte e corrono ad annunciare ai fratelli<br />

che Cristo è vivo. Esse rappresentano tutti coloro che credono nella vittoria della vita e<br />

testimoniano ai loro fratelli questa fede.<br />

Di fronte ai medesimi fatti, le guardie fanno la scelta opposta: si lasciano corrompere<br />

dal denaro (come era già successo a Giuda). Sono il simbolo di coloro che, per amore dei<br />

beni di questo mondo, preferiscono la menzogna alla verità, la morte alla vita.<br />

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