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Franco Secci
Avvenimenti a Villasor
nel XIX secolo
Marchesato di Villasor
Franco Secci
AVVENIMENTI A VILLASOR
NEL XIX SECOLO
SANTI - FESTE - TRADIZIONI
13
Comune di Villasor
Assessorato alla Cultura
Biblioteca Comunale
2

Franco Secci
Avvenimenti a Villasor nel XIX secolo
© 2007 Comune di Villasor, Assessorato alla Cultura, Biblioteca Comunale
Prima edizione SANTI – FESTE – TRADIZIONI Marzo 2007
biblioteca.villasor@tiscali.it
comunevillasor@legalmail.it
aziendacultura@tiscali.it
www.comune.villasor.ca.it
Si ringrazia la Sig.ra Colette Podda
che ha gentilmente concesso di pubblicare ampi estratti della tesi di laurea L’Avvenire di Sardegna e la
Pubblica Sicurezza nel Circondario di Nuoro nel 1872, Relatore Prof. Leopoldo Ortu. Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Cagliari. A.A. 2004/2005
Progetto editoriale realizzato da Aziendacultura
Comune di Villasor
Efisio Pisano Sindaco
Premessa
La vita economica sarda, dall’alto medioevo fino ai principi
del XIX secolo, era totalmente imperniata sull’uso collettivo
delle terre. Il governo sabaudo ritenne questo sistema un
ostacolo alla crescita ed alla modernizzazione dell’economa
rurale sarda. Convinto di ciò, durante il XIX secolo, nell’arco
di un cinquantennio, emanò diverse disposizioni per la
eliminazione del sistema comunitario e la formazione di un
nuovo regime fondiario, basato sulla proprietà perfetta delle
terre. Il progetto governativo, tendente al riordinamento,
trasformazione e valorizzazione dell’economia rurale nel suo
complesso, intesa soprattutto come sviluppo dell’agricoltura,
si può riepilogare in tre momenti particolari di questo
riassetto: l’editto sulle chiusure delle terre aperte, l’abolizione
del feudalesimo e la soppressione degli ademprivi.
Tuttavia con le riforme attuate, non si ottenne
quell’effettivo progresso economico e sociale, nella misura
universalmente e legittimamente sperata. I riformisti
piemontesi non furono in grado di comprendere che le
strutture comunitarie del sistema agricolo e pastorale isolano
fossero la necessaria e fatale risultante di un millenario
processo di adattamento alle difficili condizioni naturali. Si
illusero che anche in Sardegna l’agricoltura potesse

prosperare con l’introduzione forzata della proprietà perfetta
e con l’adozione di metodi di coltura praticati nel nord
dell’Italia, nonché senza grande dispendio di capitali. E’
evidente che avevano scarse ed errate conoscenze
dell’ambiente e della società sarda. Contrariamente alle
intenzioni, le riforme favorirono inevitabilmente i grossi
proprietari terrieri, i quali possedevano i mezzi finanziari
necessari per l’attuazione delle riforme medesime. Così si
modificò la proprietà fondiaria, ma non si sollevò il popolo
dalle miserie in cui era costretto a vivere, perché gli
mancavano le forze ed i mezzi pecuniari per coltivare con
profitto i terreni ridotti a proprietà privata. I provvedimenti
adottati non solo non riuscirono a raggiungere l’obiettivo di
modernizzazione dell’agricoltura, ma neanche quello di
creare un maggiore equilibrio sociale.
L'Editto delle Chiudende del 6 ottobre 1820
“Il Regio Editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della
Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna” del 6 ottobre
1820, fu il primo, in ordine cronologico, dei provvedimenti
adottato per la privatizzazione delle terre. Stabiliva che
“qualunque proprietario avrebbe potuto liberamente chiudere di siepe, o
di muro, o vallar di fossa qualunque suo terreno non soggetto a servitù
di pascolo, di passaggio, di fontana o d'abbeveratoio". Stabiliva pure
che il Comune, sui terreni di sua proprietà, poteva recingerli
alla stessa maniera dei terreni privati, oppure, poteva ripartirli
in lotti di uguale estensione ed assegnarli ai capifamiglia, o
venderli, o affittarli.
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L'obiettivo primario di questa legge fu senza dubbio
l'incremento dell'agricoltura attraverso la nascita di una
borghesia terriera, anche proprietaria di modesti
appezzamenti, la quale, raggiunta una certa stabilità
economica, avrebbe non solo potuto incrementare la
produzione ma anche esigere canoni d'affitto per il pascolo.
Spesso però gli assegnatari persero successivamente i terreni
per debiti e finirono inevitabilmente in mano ai ricchi
possidenti. Ciò si rivelò un vero e proprio colpo di grazia per
la pastorizia e per i braccianti agricoli entrambi privati della
terra da cui traevano sostentamento.
La promulgazione dell'Editto delle Chiudende, a causa dei
gravi abusi commessi nelle chiusure, produsse nell'isola un
malcontento generale innescando numerose lotte fra
contadini e fra contadini e pastori. Questi si videro privati di
quei pascoli di cui fino ad allora avevano goduto, e costretti a
pagare affitti esosi.
Uno dei più clamorosi atti di protesta si verificò nel 1832
da parte dei pastori nuoresi i quali, durante la notte,
procedevano a demolire tutte quelle chiusure abusive che i
più ricchi si erano affrettati a fare.
Questi ultimi infatti elevavano le chiusure dei terreni non
per favorire il miglioramento dell'agricoltura ma con lo
scopo di far pagare a caro prezzo dai contadini o dai pastori
la facoltà di seminarvi o il diritto di far pascolare i loro
armenti.
Il governo, constatate le illegittimità di gran parte delle
chiusure, con pregone del 28 marzo 1835 concesse l’indulto
a tutti coloro che, pur avendo partecipato alle sommosse,
non avevano commesso reati comportanti condanne
superiori ai dieci anni di carcere.
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Tuttavia le irregolarità nelle chiusure non cessarono, tanto
che il governo fu costretto ad intervenire con la circolare del
28 agosto 1839 1, rivolgendosi soprattutto ai Consigli
Comunali, ricordando che il loro scopo primario era di
favorire la ripartizione dei terreni, ed impedire che estesi
latifondi cadessero in mano a pochi avidi speculatori, a
detrimento della massa della popolazione. Inoltre dovevano
mirare non a far estendere la superficie coltivabile,
considerata la scarsa densità demografica in Sardegna, ma a
variare il tipo di coltura praticata. Quindi, non solo dedicarsi
alle produzioni tradizionali, quali il grano, l’orzo, le fave, ecc.,
ma ad introdurre nuove colture come il grano turco, la
segala, il cotone, il tabacco ed impegnarsi soprattutto nella
piantagione di alberi fruttiferi quali gelsi, mandorli, noci e
simili.
Nel 1842 si interveniva ancora contro le chiusure arbitrarie
e con circolare del 3 ottobre si constatava “L’invalso
pregiudizievole abuso di formarsi arbitrarie chiusure, nelle quali
vengono incorporati non solo i terreni comunali, a grave danno ed in
frode della ordinatane ripartizione, ma anche i demaniali e le stesse
selve ghiandifere, senza pur rispettare le pubbliche vie, le acque perenni e
gli abbeveratoi del bestiame, richiamarono le sollecite cure del Governo,
che di tempo in tempo emanava per reprimerlo energici provvedimenti.
Ma questi non essendo riusciti a frenare l’avidità di coloro, che
commettono tali usurpazioni, le quali vanno anzi generalmente
moltiplicandosi, si è riconosciuto più che urgente il bisogno di ricorrere a
quei mezzi coi quali simili abusi possono essere più facilmente
individuati per porvi immediato riparo. Considerato pertanto, che i
1 R. SEGRETERIA DI STATO per gli Affari di Sardegna – Ufficio insinuazione e
Demanio – circolare n. 640, Torino, 28 agosto 1839.
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Consigli Comunali, preposti a tutelare i pubblici interessi, talvolta li
pospongono ai privati, o colpevolmente li trascurano o li sacrificano a
personali riguardi 2, saranno essi d’ora in poi responsabili degli abusi
che si commettono in fatto di chiusure.”
Le Chiudende a Villasor
Quale sia stata l'entità degli effetti negativi dell'Editto delle
Chiudende a Villasor, attualmente non la conosciamo per
l'esiguità dei documenti rinvenuti. Sappiamo però che alcuni
anni prima dell'emanazione di questo editto, esattamente nel
1814, si registrò un tentativo di chiudere il Planuorri per
privato interesse.
L'allora Sindaco Luigi Molino intervenne prontamente e ne
impedì l'abuso, mediante la perizia di probi uomini per cui le
cose furono lasciate nello stato pristino e nessuno osò
opporsi ulteriormente a quelle misure così saggiamente
adottate.
Si riaffaccia proprio nel 1832 il tentativo, da parte dei
proprietari, di chiudere il Planuorri, che è stato sempre un
libero passaggio ai pastori conducenti il bestiame al consueto
pascolo, non essendovi altra strada più breve e più comoda.
Un esposto sulle chiusure arbitrarie pervenne alle autorità
governative che, allarmate per la situazione creatasi nel Capo
di sopra e per paura che le stesse violenze si potessero
ripetere anche a Villasor, con lettera del 6 ottobre 1832 3
2 La circolare riconosceva che “i Consigli d’altro lato, e probi uomini, per
l’ordinario sono i più ricchi ed agiati del paese” e quindi tendenti a soddisfare
interessi personali, a scapito di quelli della collettività.
3 Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria Regia, Serie 2^ vol. 1582
7

diedero istruzioni al delegato di Giustizia del Comune per
evitare funeste conseguenze.
Il Delegato di Giustizia avrebbe dovuto verificare
immediatamente, mediante perizia, le chiusure che si stavano
erigendo in detto Salto e trasmettere gli atti all’autorità.
I proprietari interessati avrebbero dovuto produrre, entro
due giorni, il dispaccio dell'Autoritá Economica, che li
autorizzava all'esecuzione della nuova opera; in difetto il
Delegato di Giustizia avrebbe proibito la prosecuzione dei
lavori ed ordinato la demolizione, a spese dei proprietari, dei
lavori eseguiti successivamente al divieto.
Con un bando sarebbero stati diffidati i giornalieri alle
dipendenze dei proprietari interessati, a prestare la propria
opera per la realizzazione delle chiusure, pena la carcerazione
da infliggersi per infrazione al bando. Per le chiusure
ultimate, in mancanza del dispaccio di autorizzazione, il
Delegato avrebbe ordinato, sempre a spese dei proprietari,
l'apertura di tanti passaggi quanti ne sarebbero stati necessari
all'introduzione del bestiame ed a rendere libero il transito
che si voleva precludere, invitando nel contempo i
proprietari a regolarizzare la loro posizione.
Il Delegato avrebbe operato in collaborazione col
Consiglio Comunale ed entrambi avrebbero risposto delle
loro azioni al Governo, qualora non si fossero adoperati per
una pronta e giusta soluzione del caso. Il mancato
reperimento di altri documenti sull'argomento non permette
di seguire gli sviluppi della questione.
Un altro ricorso per chiusure venne inoltrato nel 1845
contro il proprietario di Villasor Efisio Ecca, che chiese di
poter chiudere 60 starelli di terreno di sua proprietà nelle
regioni Santa Maria de Argoris o Bia de Mitza Canna, Sparagallu
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e Sa Piscina de su Fenu. Venne accusato di averne chiuso 100
starelli, includendovi anche la piscina anzidetta, ritenuta
pubblica, violando pertanto la legge. In seguito all'esposto
vennero effettuati accertamenti e riconosciuti di pertinenza
privata tutti i terreni recintati dall’Ecca che venne scagionato
dall'accusa.
L'abolizione del feudalesimo in Sardegna (1835- 1839)
Ad inasprire ed accentuare odi e rancori contribuirono i
provvedimenti promulgati negli anni compresi tra il 1835 e il
1839, per l'abolizione dei feudalesimo in Sardegna
anacronisticamente ancora presente, mentre era scomparso
in gran parte d’Europa.
L'intento era quello di attivare moderne strutture
produttive capaci di sostituire un sistema arretrato e ormai
obsoleto attraverso il passaggio dei feudi dai feudatari allo
stato sabaudo. Quest'ultimo, nella persona di Carlo Alberto
fu costretto a lasciare un certo numero di privilegi ai
feudatari che si concretizzavano in lauti compensi.
Il riscatto dei feudi poneva una definitiva fine ai secolari
abusi che i vassalli erano costretti a subire da parte dei
feudatari. Questo tuttavia non fu sufficiente a modificare lo
status sociale del tempo.
Dopo l’abolizione dei feudi, si era dovuto constatare che la
grande massa dei contadini si era trovata in condizioni
peggiori, perché costretti a pagare i tributi in contanti
all’esattore, alle scadenze determinate, in qualsiasi caso, in
qualsiasi condizione. Il feudatario, invece, per riscuotere i
tributi quando il raccolto era cattivo era anche disposto ad
9

attendere ed in certi casi anche ad abbuonare ai più poveri,
quanto loro dovuto. Invece con l’esattore si doveva pagare
per forza, anche facendo debiti o vendendo il poco
posseduto.
Così, il rancore dei piccoli contadini non si riversava più
solamente sugli ex-feudatari ma anche contro lo Stato, il
quale esigeva il pagamento di tributi in denaro la cui
circolazione in Sardegna era, di fatto, molto limitata.
E’ vero che la circolare del 28 agosto 1839, emanata dalla
R. Segreteria di Stato per gli affari di Sardegna, relativa al
modo con cui si sarebbe effettuata la surrogazione del
tributo pecuniario alle prestazioni feudali abolite, prevedeva:
“Se i Comuni debbono fare i loro pagamenti alla Regie finanze in
danaro, non ne viene la conseguenza d’essere loro vietato, ove così però
consigliassero particolari ed urgenti circostanze, di accettare dai singoli
contribuenti, e per benigni riguardi, qualche pagamento in natura da
ridursi in contanti a cura, e diligenza del Consiglio Comunale, o
dell’Esattore.” Naturalmente ciò non ebbe attuazione pratica e
molti contribuenti che non riuscirono a soddisfare in denaro
i debiti d’imposta, si videro pignorare anche il letto dagli
esosi ufficiali esattoriali, determinando contro questi un odio
implacabile, tanto che qualcuno di essi venne assassinato.
Ma sopprimendo i feudi non si sopprimevano i guai della
Sardegna o per lo meno non si sopprimevano che alcune
delle molteplici cause di essi e nemmeno le più importanti.
Restavano infatti i fattori negativi dovuti a troppe ragioni
secolari e la serietà d’intenti non era accompagnata dagli
indispensabili mezzi economici. Mezzi i quali il Piemonte del
Risorgimento impegnato nelle guerre del riscatto nazionale
oltre a non esservi disposto, non era neppure in grado di
elargire. Restavano irrisolti i problemi della viabilità e delle
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comunicazioni per mare, dell’appoderamento, il regime dei
pascoli, il frazionamento e la dispersione della proprietà,
l’illuminazione, le fognature, la revisione del sistema fiscale,
l’istruzione e gli edifici scolastici, la disoccupazione,
l’assistenza sociale e diversi altri. 4
I feudatari di Villasor
Non c’è dubbio che i feudatari di Villasor furono tra i più
ricchi del regno di Sardegna; possedevano le terre migliori e
più fertili di tutta l’Isola, la Trexenta e parte della pianura del
Campidano, regioni notoriamente produttrici di grano e di
altri cereali, tanto che per l’insierro 5 il marchese di Villasor era
tenuto a portare a Cagliari 600 starelli di grano ogni anno 6.
Nel 1740 il marchese aveva un reddito lordo annuo di lire
24.500 ed una spesa di lire 6.000, per cui il marchese
introitava una somma netta di lire 18.500.
Che fosse assai ricco questo feudo lo ribadisce pure una
nota del 19 ottobre 1812 dell’Intendenza Generale del
Regno.
Il Governo aveva chiesto ai feudatari un prestito in grano
ma il podatario del marchese rifiutò il prestito giustificando il
rifiuto con il mancato introito di buona parte dei diritti
4 Francesco Loddo Canepa – riformismo feliciano e carlo-albertino in Sardegna -
Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo, n. 15 anno III, 1958 – Cagliari, Società
Editoriale Italiana.
5 approvvigionamento del grano per la città di Cagliari.
6 Giuseppe Cossu, Della città di Cagliari, notizie compendiose sacre e profane
– Cagliari, stamperia reale, 1780. Nel 1787 Villasor versò per tributo
decimale in grano starelli 2.341
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feudali 7 e quindi impossibilitato ad effettuare il prestito.
L’Intendenza obiettò che il marchesato era il più pingue di
tutti i feudi di Sardegna, anche tra quelli posseduti dai
feudatari spagnoli, non solo riguardo ai redditi nel
complesso, ma pure per la esiguità delle spese sostenute, che
risultavano molto inferiori rispetto a quelle degli altri feudi.
Il marchesato rendeva in effetti, più di 3.000 starelli di
grano.
I diritti feudali
I diritti feudali dovuti dai vassalli al marchese erano stabiliti
nei Capitoli di Grazia 8 concessi ai medesimi in diversi
periodi, ed erano diversi da villa a villa del marchesato.
I diritti dovuti dai Sorresi si desumono dal Consegnamento
feudale dell’11 marzo 1780. 9
7 Effettivamente, in diverse occasioni, il marchese vantava dei crediti nei confronti
dei vassalli per il mancato pagamento da parte di questi dei tributi feudali
8 accordi sottoscritti fra feudatario e vassalli per disciplinare gli impegni reciproci su
normative diverse. Il Mondolfo, nel regime giuridico del feudo in Sardegna, dice
sui capitoli di grazia; “cosi erano denominate le concessioni date spontaneamente
o, più spesso, dietro richiesta dei vassalli abitanti nel feudo, che miravano a
regolare gli obblighi cui questi erano tenuti. I vassalli avevano un semplice voto
consultivo, cioè non avevano facoltà di esprimere i loro desideri ed il feudatario
poteva non tenerne conto. Ma in fondo questa emanazione di norme giuridiche
non era altro che un freno posto all’arbitrio con cui in feudatario opprimeva i
poveri vassalli: tanto è vero che poi si cercò di impugnare l’autenticità dei
capitoli di grazia poiché la Reale Udienza stabilì in una sentenza che i vassalli
potessero rifiutarsi al pagamento dei diritti, quando il feudatario non rispettasse i
capitoli di grazia. Erano un freno, posto all’arbitraria imposizione di tributi e
prelevazione di diritti.””
9 Archivio di Stato Cagliari – Segreteria Regia, serie 2^, Vol. 1654
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Per il diritto denominato di feudo pagano:
- ogni vassallo ammogliato 35 soldi e 4 denari,( in contanti)
- ogni vassallo celibe 33 soldi e 4 denari
- ognuno dei suddetti, 2 starelli di grano (detto
diritto di roadia) senza distinzione alcuna di classe
I vassalli erano divisi in 3 classi: sposati, celibi e di mero
feudo.
In un documento della Segreteria Regia, vol. 372, risultano
essere complessivamente 350, considerato che la quantità del
grano riscosso annualmente era di 700 starelli.
Da queste prestazioni feudali, come dalle altre di cui si dirà
in seguito, erano esenti solamente gli ecclesiastici e per i
primi tre anni, i forestieri che venivano ad abitare a Villasor.
Erano pure esenti per il primo anno, da tutte le prestazioni
feudali, i cosiddetti vassalli di nuovo feudo, cioè quelli che
compivano i 18 anni.
I vassalli contestarono le contribuzioni in grano al
feudatario, ma con sentenza in data 23 febbraio 1792 della
Reale Udienza fu ribadita l’imposizione prevista nei capitoli
di grazia e quindi nessun vassallo veniva escluso dalla
contribuzione, né povero né fallito, dicendosi questa
prestazione feudo serrato (cioè chiuso).
Il diritto sul vino era dovuto in ragione di 3 denari per ogni
brocca, capace da 7 a 8 quartieri l’una di mosto, da ogni
possessore di vigna.
Per diritto di sbarbagio, sia di pecore che di porci, esigeva il
marchese un capo di mardiedu per ogni venti capi, fino ad un
massimo di 4 capi qualunque fosse il numero di questi,
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purchè appartenenti ad un solo padrone ed aventi lo stesso
segno 10.
Per le pecore che pascolavano nel prato detto di mindas si
pagavano 30 libbre di formaggio bianco salato per ogni 100
pecore da latte.
colui che allevava maiali in casa Doveva pagare 3 soldi per
capo (diritto di lardiere).
Ciascuno dei due maggiori di prato pagavano al feudatario
quale diritto d’escolca 15 lire.
Per ogni mandria di vacche composta di 10 capi o più,
purchè d’uno stesso segno e padrone, il marchese riscuoteva
un vitello d’un anno compiuto detto malloru de corti, oppure, a
suo piacimento, poteva pretendere lire otto in contanti. 11
Erano esenti da questa prestazione oltre agli ecclesiastici
(esenti da tutti i diritti feudali), i cavalieri, i cittadini, gli
ufficiali miliziani, il ministro di giustizia ed il fattore del
feudatario per le loro porzioni di vacche, ma non lo erano i
pastori sebbene al servizio di persone esenti.
Per la riscossione del grano dovuto all’erario baronale, il
Sindaco, coadiuvato da 5 probi uomini 12, procedeva alla
formazione di una lista di tutti i vassalli 13 e poi alla
10 Questo diritto intornoo agli anni 1830 e seguenti, fruttava al marchese una media
annua di 45 pecore e 58 porci; in difetto delle pecore si corrispondeva al marchese
quattro reali in danaro a capo e per i porci 8 reali a capo.
11 Annualmente il marchese introitava per questo diritto una media di 33 giovenchi.
Il diritto di sbarbaggio e del vitello di corte si pagava nel periodo ottobredicembre.
12 In un documento conservato all’Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria Regia,
serie 2^, vol. 1654, datato 26 settembre 1823, è detto che il riparto viene effettuato
dal Sindaco e Consiglio Comunitativo con una aggiunta di altri proibi uomini;
nella lista del 23 maggio 1835 non figura per la formazione della stessa il
Consiglio ma solamente 5 probi uomini.
13 I vassalli erano divisi in 3 classi, sposati, celibi e di mero feudo. In un documento
della Segreteria Regia, vol. 372 risultano essere complessivamente 350,
14
ripartizione in classi, supplendo i benestanti per i poveri ed i
falliti.
Il Sindaco aveva pure l’obbligo di collettare il grano con
l’aiuto di coadiutori detti rodiargi (da roadia) ed il marchese (o
il suo podatario), senza immischiarsi affatto nel modo di
collettarlo, altro non faceva che riceverlo in Cagliari.
Viaggio di corte
Altra prestazione feudale era il così detto viaggio di corte
consistente nel condurre ogni vassallo proprietario di carro
e buoi, da Villasor a Cagliari, otto starelli di grano della
rendita baronale. La mancata prestazione di questo diritto
veniva compensata col pagamento di 20 soldi; anche il
feudatario era obbligato a pagare dai 3 soldi ai 3 soldi e
mezzo, e qualche volta anche di più, per ogni starello di
grano di sua proprietà trasportato a Cagliari ed eccedente la
prestazione gratuita dei vassalli. Nella lista feudale del 1835 è
detto che sono tenuti a prestare questo comandamento
dominicale 14 tutti i vassalli indistintamente, sia a carro, a
piedi od a cavallo, conducendo il grano alla città di Cagliari
ed ai magazzini a ciò destinati.
Per la paglia, tutti i lavoratori unitariamente della villa,
erano tenuti a somministrare e condurre al pagliaio del
feudatario, 45 carri, ossia cerde (veggie) in ragione di 7 od 8
considerato che la quantità del grano riscosso annualmente era di 700 starelli. In
un altro documento del 1833 i contribuenti risultano 380.
14 I comandamenti dominicali furono aboliti nel 1837.
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cestoni, ossia cadini, per cerda, e da 25 a 30 libbre di paglia
per ogni cadino 15 .
Anche questa prestazione fu contestata dai vassalli, ma
senza risultato utile.
I pastori residenti e i forestieri
I pastori residenti nel marchesato, per il pascolo nei terreni
demaniali, erano esenti dai pagamenti purchè non avessero
nei pascoli ovili stabili e questo sistema veniva chiamato
pascolare a croppidu.
Coi pastori forestieri si raggiungeva un accordo per il
prezzo d’affitto.
Normalmente dai pascoli di Sa Sorixina e Tanieli si
riscuotevano venti cantara circa di formaggio. Per S’Acqua
Cotta da trenta a quaranta cantara l’anno se era destinato a
paberile, mentre venti cantara se era destinato a vidazzoni.
Qualche volta l’affitto veniva regolato per contanti. Nel
1779 Sa Sorixina e Tanieli fruttarono complessivamente
ottanta scudi, nel 1780 settantacinque scudi; in qualche anno
i pascoli restavano liberi.
Per le macchizie si soleva abbuonare il tributo di due terzi e
qualche volta del tutto; tuttavia non si superavano dalle 15
alle 20 lire d’incasso annuo.
15 In un documento del 27 agosto 1841, ASC, Segreteria Regia, serie 2^, vol. 1654, è
detto che questo diritto si pagava dai servi partiargiola e da altri vassalli che non
avevano buoi, purché il grano non fosse seminato a socieria.
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Crediti vantati dal Marchese nei confronti dei vassalli
Come già accennato, non sempre il marchese riusciva a
riscuotere i diritti dai vassalli.
Il sindaco del 1813, Antioco Arisci, doveva al marchese 33
starelli di grano;
Il sindaco del l814, Luigi Molino, 9 starelli e 12 imbuti;
Il Portadiargiu dello stesso anno, Priamo Vargiu, doveva 5
starelli di grano.
Il 3 novembre l8l9 il Podatario del marchese scriveva al
Reggente della Regia Segreteria di Stato di Cagliari “che nella
carestia del l8l7 accordò egli ai vassalli, e con ciò ai maggiori di
Giustizia del marchesato di poter pagare nel 1818 ciò che dovevan in
quell'anno.
La raccolta del 1818, sebbene scarsa nel Regno, non fu infelice nella
Trexenta li vassalli pagaron gran parte di ciò che dovean; ma li
Maggiori sel ritennero o per negoziazioni loro private o per comprar
terre, come han fatto li maggiori di Guasila, Decimo Putzu, ed altri.
Il podatario pazientò anche nel 1818, ed invece o di passar
all’esecuzione forzata, che di diritto spetta al suo Principale, od
implorar il braccio forte dalla Regia Segreteria, dette per 1817 e 1818
un’altra dilazione estendendola al 1819. Giunse quest'anno, scaddero
in Agosto li dritti correnti e li arretrati per i quali eransi distesi gli
obbligati dalli maggiori del 1817 e 1818 e poco, o nulla si è visto
dell’arrettrato.
E’ scaduto del pari, insin dall’Agosto, lo sbarbaggio del bestiame che
ha pascolalo nelle terre baronali, e reveggonsi nuove difficoltà. Tutto ciò
nasce, perché, da qualche tempo, ognuno paga di mal animo,
specialmente al Barone; e crede di poterlo fare, perché non vedesi, o non
si spiega forza alcuna
17

Il sottoscritto invece di usar quella che gli accordano le leggi, vorrebbe,
che vedesser l'altra, che implora dal Governo; ed è d’un solo
moschettiere, il quale accompagnasse il Not.o Gio: Battista Cicalò
Galisai, zelator delle rendite del marchesato, nell'esazione che va a fare
dello sbarbaggio; nella qual circostanza procurerebbe di esigere eziandio
quell’arretrato, che può. Questa forza apparente, ma imponentissima al
rustico, opererebbe a dir cosi, dei miracoli;
Il sottoscritto lo sa per prova; nelli anni scorsi il Governo soleva
accordargli due dragoni; or non si chiede, che un sol moschettiere. Questo
servirebbe non contro li vassalli, che non posson pagare, ma contro li
maggiori, che si ritengono ciò che hanno già pagato li vassalli
Il Governo darebbe al moschettiere le sue istruzioni, ed il Podatario le
darebbe tali al suo commissionato, che si otterrebbe in questo modo il
bene, che si confonde col giusto,e si eviterebbe il male indivisibil
compagno dell’oppressione. Questa grazia produrrebbe al Marchese di
Villasor qualche migliaio di scudi per li arretrati, e conti, e toglierebbe
chi scrive da qualche angustia in cui si trova per colpa non sua.
Nella grata lusinga di ottenerla, e pien di ossequioso rispetto si
rassegna.”
L’abolizione degli ademprivi (1863 e il 1865)
Dopo l’abolizione del feudalesimo e il riordinamento del
sistema tributario con l’istituzione dell’imposta fondiaria, un
altro grosso problema rimaneva da risolvere, quello della
destinazione definitiva da dare a poco meno di 500.000 ettari
di terreni ex feudali, sui quali le popolazioni non solo rurali
vantavano diritti d’uso, risalenti al periodo giudicale, definiti
ademprivi. 16
16 Lorenzo Del Piano – la Sardegna dell’Ottocento – Chiarella, Sassari 1984.
18
Il significato storico giuridico di questo termine, dopo ampi
ed autorevoli studi, viene indicato, in modo pressoché
unanime, in un complesso di diritti d’uso che le popolazioni
potevano esercitare nell’ambito della circoscrizione
comunale. Consistevano nel far pascolare gratuitamente il
bestiame, nel seminare, nell’utilizzare corsi d’acqua, nel
raccogliere legna, sughero e ghiande, nello sfrondare alberi,
naturalmente sempre in terreni liberi e destinati all’uso
collettivo, che potevano essere non solo demaniali, ma anche
baronali, comunali e persino privati; in questo caso si pagava
un piccolo canone annuo o si poteva esercitare
(gratuitamente) subordinatamente al proprietario: 17
Tra il 1863 e il 1865 furono emanate disposizioni di legge
per la privatizzazione di queste terre, inasprendo
ulteriormente gli animi di chi si sostentava con l’uso
collettivo di esse.
Con la legge 4 gennaio 1863, n. 1105, 200.000 ettari di
terreni ademprivili e cussorgiali, furono concessi a un gruppo
finanziario italo – inglese, capeggiato da Gaetano Semenza,
per la costruzione delle ferrovie in Sardegna. Di fatto alla
società ferroviaria vennero consegnati solo 18.200 ettari, che
entro qualche anno sarebbero stati restituiti al demanio.
Intanto però si era aperta la via all’approvazione della legge
25 aprile 1865, n. 2232, che non solo aboliva in tutta l’isola i
diritti di ademprivio e di cussorgia, ma stabiliva che ogni
ulteriore esercizio di questi secolari diritti sarebbe stato
17 Leopoldo Ortu – considerazioni sull’abolizione degli ademprivi – in: Archivio
Storico Sardo, Vol. XXXII, Cagliari 1981, pag. 236
Sulla definizione del termine vedi anche: Giovanni Pillito – dizionario del
linguaggio archivistico in Sardegna – Cagliari, Tipografia già A. Timon, 1886.
Francesco Loddo Canepa – dizionario archivistico per la Sardegna – Vol. I,
Cagliari, pre. Tip. Giovanni Ledda , 1926 – estratto dall’Archivio Storico Sardo,
Vol. XVI
19

considerato una violazione del diritto di proprietà, e punito a
norma del codice penale. 18
Tutti i terreni ademprivili e cussorgiali non concessi alla
società ferroviaria sarebbero stati assegnati in piena e
perfetta proprietà ai Comuni nel cui territorio ricadevano. I
Comuni erano a loro volta tenuti a indennizzare mediante
adeguate assegnazioni di terreno in proprietà perfetta i
titolari dei diritti di ademprivio e di cussorgia; a sollevare il
demanio da ogni molestia o lite che potesse essere intentata
da terzi; a vendere entro tre anni dal giorno dell’avvenuta
consegna tutti i terreni residui. Trascorso questo termine, i
terreni ancora in possesso dei Comuni sarebbero stati
venduti “dall’autorità governativa, a beneficio del demanio
dello Stato”. 19
Gli stessi acquirenti dei Comuni, soprattutto speculatori di
legname e carbone iniziarono una imponente opera di
disboscamento abbandonando poi gli stessi terreni per
evitare di pagare le imposte.
I contadini, che pur riuscivano con grande sacrificio ad
acquistare questi terreni, si vedevano privi di mezzi per
poterli lavorare, per cui li lasciavano sterili e incolti, incapaci
insomma di procurare vero sostentamento. Scrive a
proposito il Loddo Canepa: “Venne poi l’altro colpo a danno del
povero con l’abolizione degli usi collettivi (ademprivi) cioè dei diritti dei
comunisti di far legna, di abbeverare il bestiame, di pascolare nei
ghiandiferi, soppressi con la legge del ’65. Il concetto ispiratore di queste
leggi (chiudende, divisioni dei terreni, ademprivi), indubbiamente ottimo
sulla carta, si rivelò in effetti praticamente disastroso in un paese di
economia arretrata, caratterizzata cioè da povere masse contadine
18 Lorenzo Del Piano – op. cit.
19 Lorenzo Del Piano – op. cit.
20
sfruttate e mal pagate, cui fu tolta pertanto la possibilità di procurarsi
un fascio di legna per il riscaldamento o per un tozzo di pane, di
mantenere la vacca o il maiale beneficiando del secolare ademprivio,
mentre le concessioni di foreste diventate demaniali per la
carbonizzazione, anche a vil prezzo (tipico il caso del concessionario
Beltrame) sacrificarono per tre quarti le fitte chiome boscose dell’isola.
Indubbiamente molti terreni dati come compenso divennero di proprietà,
ma cambiarono presto di mano in quanto (come si è detto) per sinistri
stagionali, per mancati pagamenti di imposte al fisco che non conosce o
intende ragioni, o di debiti all’usuraio che ne conosce ancora meno,
finirono in mano dei pochi principaliores delle ville economicamente i più
forti, dando luogo ad un’indecorosa concentrazione di vaste proprietà.” 20
A suffragare questa affermazione sono sufficienti alcuni
dati sull’assegnazione dei terreni, già di uso collettivo a
Villasor:
1 Pistis Serra Salvatore fu assegnatario di 13 lotti in Su
Boscu;
2 Accotti Andrea fu assegnatario di 10 lotti in Su Boscu;
3 Marcis Cocco Efisio fu assegnatario di 11 lotti in Su
Boscu;
4 Lasio Orru’ Francesco (noto Ciciu ‘Asiu) fu assegnatario
di ben 98 lotti in Su Pardu. 21
Gli effetti che questa legge ebbe sulle classi più disagiate,
nella fattispecie piccoli contadini e pastori, furono, come è
evidente, devastanti.
Il malcontento generale si concretizzò clamorosamente,
ancora una volta, nella città di Nuoro attraverso la ormai
20 Francesco Loddo Canepa – riformismo feliciano e carlo-albertino in Sardegna –
estratto dal Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo n. 15, anno III, 1958 – Cagliari,
Società Editoriale Italiana, 1958
21 Eusebio Orrù – relazione sull’amministrazione provvisoria del Comune di Villasor
– Cagliari, Premiata Tipografia Pietro Valdes, 1911
21

famosa sollevazione popolare che va sotto il nome di “su
connottu”, motto urlato in quella occasione dai rivoltosi per
indicare un repentino ritorno alla tradizione e quindi a ciò
che già si conosceva.
La domenica del 26 aprile 1868, una cinquantina di
persone, radunatesi nella piazza della cattedrale, si portò
dapprima alla sede della sottoprefettura per protestare contro
una decisione così impopolare. Aumentato il numero dei
dimostranti, tra i quali molte donne, la folla si portò poi al
Municipio, ne sfondò la porta, si impadronì dei fucili della
Guardia nazionale, buttò dalle finestre, assieme ai mobili, ai
registri dello Stato civile e ad altre carte, i piani di
lottizzazione dei terreni comunali e li diede alle fiamme.
La calma fu ristabilita grazie all’intervento del sottoprefetto
Pes di San Vittorio, del capitano dei carabinieri, del
procuratore del re e di altri cittadini autorevoli. 22
Il tumulto dei “senza terra” fu sedato solo dopo alcune ore e
con l’intervento dei Carabinieri.
La liquidazione del patrimonio terriero dal quale traevano i
mezzi di sussistenza contadini senza terra e pastori senza
pascoli provocò tumulti popolari in molti altri centri, fra i
quali Giave, Mamoiada e Villasor. 23
22 Lorenzo Del Piano – op. cit.
23 Lorenzo Del Piano – op. cit.
22
Privatizzazione dei terreni comunali e demaniali per il
miglioramento dell'agricoltura (La rivolta de Su Boscu)
L'amministrazione comunale tentò di alienare la vasta
estensione dei terreni comunali in ossequio alle direttive
impartite dal governo sabaudo, che mirava alla
privatizzazione dei terreni comunali e demaniali per il
miglioramento dell'agricoltura.
Già nel 1850 si decise di dividere e cedere i terreni di Su
Boscu, Sa Sorixina, Danieli 24, Murdegus de susu e Murdegus de
basciu perché, si disse, sollecitati dalla popolazione in quanto
gli assegnatari dei terreni de Su Planu, benché si fossero
adoperati per rendere produttivi questi terreni, il loro sforzo
fu vano e vi persero perfino le spese delle arature.
Bisognava tener conto pure delle esigenze del bestiame
domito (adibito al lavoro) e quindi destinava a prato il luogo
detto Zirvas, adatto per la sua qualità e per la sua vicinanza a
fornire sufficiente pascolo al bestiame domito.
In un primo momento si pensò di dividere ciascuno dei
terreni comunali in tanti lotti quanti erano gli aventi diritto,
ma questo sistema avrebbe frazionato eccessivamente i
terreni, creando dei lotti molto piccoli che non avrebbero
interessato il proprietario a coltivarli.
24 Sa Sorixina e Danieli erano terreni demaniali, ceduti al Comune dopo la
soppressione del feudo. Per il possesso dei terreni di Sa Sorixina seguì un'annosa
lite col Demanio. Nel l8l0 venne fatta richiesta dall'avvocato Giuseppe Ortu di
chiudere e piantare ad oliveto il salto demaniale di Tanieli di circa 100 starelli
appartenente al marchese. L'autorità governativa concesse l’autorizzazione ma il
podatario del marchese vi si oppose adducendo che il salto in questione non era
mai stato incolto in quanto veniva seminato e si pascolava il bestiame da parte dei
vassalli, non rientrando tra quelli previsti dalla legge per la piantagione degli ulivi.
23

Perciò si decise che la divisone si facesse in modo da
soddisfare i bisogni di tutti ed allettarne ugualmente
l'interesse in modo che se ad uno si assegnava un lotto più
vicino all'abitato e di maggiore valore per la produttività
l'estensione del lotto doveva essere inferiore al lotto più
scadente ed assegnato in zona più lontana, in modo che tutti
gli assegnatari fossero incentivati alla coltivazione ed al
miglioramento dei terreni mediante l’alberatura di essi
Gli appezzamenti avrebbero avuto l'estensione di due o tre
starelli, a seconda del sito, mentre gli appezzamenti de Su
Boscu, data la modesta estensione appartenente al Comune,
sarebbero stati di venti are.
Il 16 maggio 1850 Per la divisione di questi terreni fu
delegato il giudice del mandamento avvocato Giovanni Bua.
Tuttavia, nonostante si dicesse sollecitata dal popolo, la
divisione presentò difficoltà.
Nel gennaio del 1851 si decise, anziché dividerli, di
concedere in socieria a cinque o sei individui i terreni di Su
Boscu e destinare il ricavato alla riparazione del ponte.
Ma il progetto del Consiglio comunale andò a monte. Il 18
ottobre 1852 un gruppo di persone, oltrepassante la
quindicina, cominciò a seminare questi terreni e nel giorno
successivo aumentarono notevolmente di numero e tutti
armati di forche di ferro, grossi bastoni ed altre armi
improprie, con gli animi riscaldati, non facevano altro che
proferire minacce nei confronti dei consiglieri (che si
guardarono bene dall'intervenire) se fossero stati ostacolati
nella semina, soggiungendo che, essendo il terreno
comunale, tutta la comunità doveva esercitarvi i propri diritti.
24
Il Consiglio comunale, per la paura, sospese le sue riunioni
e si appellò all'Intendente generale perché intervenisse e
sistemasse la questione.
Nel maggio del 1875 risultavano ancora indivisi i terreni de
is Murdegus de basciu e is Murdegus de susu e solo
successivamente furono ridotti in appezzamenti di un ettaro
ciascuno e ceduti per un canone annuo.
La campagna di Villasor nel 1840
Una relazione dell'amministrazione comunale datata 10
novembre 1840 25 ci da la seguente situazione di Villasor
nello stesso anno:
1 Villasor Pardu de Mindas non ne ha, ha però una piccola
estensione nel luogo chiamato su boscu di starelli cagliaritani 70 od
80, poco più o meno, destinata per pardu siddu, quale non è stata
mai sufficiente per il pascolo del bestiame domito, al quale si è
perciò riservato santu perdu e sant’andria fino a perda mereu a
perd’aleni a lenza tirada che può contenere l’estensione di starelli
circa 300; in oltre il bestiame domito ha supplito alla mancanza
del prato mindas e prato siddu approfittando del pascolo nel salto
demaniale sa sorixina e nei vacui della vidazzone furtivamente, e
contro il divieto delle veglianti leggi rapporto ai vacui della
vidazzone.
2 i possidenti sono in n. di 464 avvertendo che vi sono compresi
ancora quelli di tenuissimo patrimonio; i non possidenti poi possono
essere circa 40, i quali sono tutti capi di famiglia;
25 Archivio di Stato di Cagliari – Segreteria Regia, serie 2^ vol. 372
25

3 l'estensione territoriale comunale della così detta vidazzoni può
discendere ad un dipresso a 5.000 starelli, ed ogni anno se ne
impiega pressa poco starelli 2.500 al seminerio; nella
contravidazzone ossia paberili specie, e dei quali se ne semina in
grandissima quantità, possono poco più, poco meno, rimanere nel
pascolo del bestiale rude starelli 500 d'estensione territoriale;
4 l'estensione dei terreni di privata proprietà può
approssimativamente ascendere a starelli cagliaritani 5.600, vale a
dire chiusi e tancati starelli 1.200, vigne ed oliveti starelli 600,
terre aperte starelli 3.200, avvertendo che ad eccezione
dell'estensione piantata a viti ed olivi, le altre estensioni comprese
nelle altre due categorie sono già contenute nel presente capo 3 delle
vidazzoni;
5 il numero del bestiame rude naturale può in grado approssimativo
ascendere come infra: pecore 7.000, porci 900 capre 800, giumenti
300 cavalle 70, vacche 900; le greggia ed armenti dei forestieri a
calcolo approssimativo possono regolarsi come segue: pecore 13.400,
porci 300, capre 1.200, cavalle 80, vacche 300;
6 l’estensione territoriale necessaria per il mantenimento del bestiame
rude naturale solamente non può essere minore di starelli
cagliaritani 30.000, trattandosi di una molteplicità di bestiame di
diverse specie, che deve avere come è stato sempre solito, filate
separate, e ciascuna delle altre distante, in giusachè un armento non
venga a soprafare, soperchiare l’altro, e solito ancora vagare a
propria discrezione così esigendolo il ben essere del bestiame
medesimo;
7 l’estensione dei territori demaniali esistenti in giurisdizione di
questa comunità, che sono altrettanti coltivi, e coltivansi in fatti da
questi abitanti poco più poco meno …(84) cioè quelli della regione
denominata Sa Sorixina a starelli in cui seminasi i legumi di tutte
cagliaritani 300, in S’acqua Cotta poi sono coltivabili, e si
26
coltivano dai Villacidresi non meno di starelli 400 d’estensione. Ne
rimangono boschivi in questa stessa regione circa 2.000 starelli
secondo i limiti or 2 anni sono stabiliti dietro delegazione del
Supremo Magistrato della Reale Udienza sulle istanze dei pastori
Fonnesi in contraddittorio degli stessi Villacidresi. Quest’ultima
estensione non può dividersi ne ridursi a coltura perché è necessaria
per legnare (85), porterebbe grave detrimento ai vassalli dove si
dividesse, o riducesse a coltura; ghiandiferi non ne sono. Non si può
a punto fisso dar ragguaglio della regione Gibas, che comprende una
vasta estensione, perché questa Comunità trovasi in disputa con
quella di Decimo Putzu e Villermosa intorno alla precisa
limitazione delle medesime, volendosi da questa in un punto e da
quelle in un altro; motivo per cui la Giunta non vorrebbe
avventurare un ragguaglio che fosse o troppo vago o molto ristretto;
8 gli ademprivi però che questa Comunità ha mai sempre esercitato
nei suddetti territori demaniali consistono per rapporto a Sa
Sorixina nel pascolo e seminerio, bensì a quest'ultimo, dopo
satisfatti i bisogni dei naturali, concorrono anche i particolari di
Decimomannu e Santo Sperato; e per rapporto agli altri territori
suindicati si riducono gli ademprivi a legnare, servirsi delle
qualchiere, ed al pascolo del bestiame in qualunque tempo
cumulativamente al bestiame dei forestieri che ne sono appaltatori, a
riserva solamente di non potervi questi popolani stabilire ovile in
tempo che vi si trova stanziato il bestiame forestiere; in somma se si
eccettua il seminerio in S'Acqua Cotta, questi gli stessi diritti ed
ademprivi che nei territori comunali.
Questi ragguagli furono dati all'intendente provinciale in
seguito al suo sollecito del 31 ottobre 1840.
27

Le calamità dal 1841 al 1890
Nel 1841 a causa del maltempo si registrò una moria di
bestiame calcolata in 5.000 capi di pecore, 250 porci, 50
capre, 30 cavalli e 200 vacche.
Appena due anni dopo, nel maggio del 1843, abbiamo
notizia che il giudice del mandamento, per ovviare alla scarsa
disponibilità di grano e alle difficoltà incontrate dai poveri
per la panificazione, avrebbe voluto obbligare i proprietari a
vendere il grano ad un prezzo imposto; ma la sua iniziativa
non fu approvata dalle autorità che suggerirono di acquistare
grano da altri villaggi, mandando per lo scopo persona
adatta, con qualche carro, data la scarsità del prodotto a
Villasor.
In diverse occasioni fu il Consiglio Comunale che cercò di
rimediare alla miseria causata dal fallimento dei raccolti.
Nel dicembre 1866 si deliberava di assumere un prestito
per sovvenire la popolazione ridotta alla fame per il mancato
raccolto dell'anno, specialmente la classe dei braccianti,
poveri e privi di giornata e di tutte le risorse da cui trarre la
necessaria sussistenza. Nel 1867 erano le cavallette a porre in
difficoltà gli agricoltori tanto che fu costituito un consorzio
fra i Comuni di Gonnosfanadiga, Pabillonis, San Gavino,
Sanluri, Samassi, Serramanna, Villasor, Decimoputzu,
Vallermosa, Villacidro e lo Stabilimento Vittorio Emanuele
di Sanluri, per la loro distruzione. Anche la Provincia
contribuì all’operazione elargendo dei sussidi. Ancora nel
1879 il Consiglio deliberava il pagamento delle imposte di
tutti i contribuenti, i quali si trovavano in difficoltà a causa
dei mancati raccolti. Fallito ogni raccolto nel l881, una
terribile siccità nel 1882 aveva già nel mese di marzo
28
compromesso il raccolto dell'anno e, fatte pochissime
eccezioni, la massa dei proprietari era impossibilitata a
coltivare le terre. Una delle conseguenze fu che i braccianti
restarono senza lavoro e il 19 marzo questi poveri disgraziati
tentarono una dimostrazione per chiedere pane e lavoro. Un
nucleo di forza armata prontamente inviata nel paese fu
sufficiente a far desistere i dimostranti dal loro proposito.
Interrogati dalle autorità coloro che si fecero promotori della
dimostrazione, risposero che la fame li spinse a chiedere
pane e lavoro; il bisogno di nutrirsi e di nutrire le loro
famiglie con del pane e non con delle erbe a guisa di bestie,
come da più giorni facevano, li indusse a riunirsi e
presentarsi alle autorità locali per avere ciò di cui
abbisognavano.
Il Consiglio comunale, per venire incontro a questi
sventurati, deliberò l’esecuzione di lavori nella strada allora
consortile Villasor-Serramanna, nella strada Villasor-San
Sperate e l'arginamento del Riu Malu. Tuttavia la situazione
rimase grave considerando che a Villasor negli anni l88l e
l882 furono seminati, ciascun anno, 3.386,25 ettolitri di
cereali, e che in media avrebbero prodotto 73.231,57
ettolitri, che venduti ad un prezzo medio di 6,74 lire si
sarebbero ricavate L. 493.580,78.
Questo avrebbe permesso un sufficiente guadagno ai
proprietari ed il conseguente allargamento del patrimonio e
della coltura come già si verificava. Infatti, negli anni
precedenti si registrò l'intensificazione della produzione
vinaria tanto da introitare annualmente L. 119.560 per un
prodotto di 10 mila ettolitri di vino, senza trascurare il
ricavato dagli oliveti, che comprendevano complessivamente
7 mila alberi, ascendente a L. 20.046 annue. Tutto questo
29

non si verificò negli anni l88l e 1882; il grano fu insufficiente
per la panificazione e gli altri cereali non bastarono per
l'alimentazione del bestiame e della nuova semina. Il raccolto
delle olive e delle uve fu in condizioni ancora peggiori per
cui si calcolò per il periodo una perdita complessiva di
642.158,08 lire. Perciò la fame imperversava nel paese e,
finiti i pochi frutti che si poterono raccogliere, l'inverno
avrebbe aumentato ancora di più i disagi. Alla fame si
aggiungeva la paura che questa situazione avrebbe potuto
aumentare i furti e le grassazioni giacché il bisogno di nutrirsi
avrebbe spinto i più poveri a procacciarsi, anche con mezzi
illeciti, il necessario per sopravvivere.
Una notevole perdita si ebbe pure nella decimazione del
bestiame, che periva per mancanza di pascoli dovuta alla
persistente siccità, come pure seccarono le ortaglie che a
Villasor si coltivavano in quantità assai ridotta, appena
sufficiente ai bisogni locali. La situazione fu ritenuta assai
grave anche dalle autorità centrali tanto che fu inviato a
Villasor un ispettore delle imposte, delegato dal ministro
delle finanze, per studiare una adeguata soluzione del
problema, soprattutto per la riscossione dei tributi che i
contribuenti erano impossibilitati a pagare. Il deputato
Francesco Salaris, gia sindaco di Villasor, presentò al
Presidente del Consiglio dei Ministri una interpellanza sulla
miseranda condizione di Villasor e della Sardegna, che si
registrava in quel periodo.
30
La famigerata filossera
Successivamente arriverà la famigerata filossera a distruggere
i vigneti, dando un altro duro colpo alla nostra economia.
Il 1° giugno 1890, nel tentativo di arginare la diffusione di
questo male, verrà a Villasor per tenere una apposita
conferenza con esperimento diretto sui vigneti, il direttore
della R. Scuola di viticoltura ed enologia di Cagliari,
accompagnato da 40 allievi e 4 insegnanti.
Se questi mali erano imprevedibili ed in un certo senso
irrimediabili, altri mali evitabili infersero dure perdite
all'economia del nostro paese, basata sull'agricoltura, cespite
principale per la sussistenza ed il benessere di Villasor e da
cui le altre attività prendevano vita.
L’ istituzione del Catasto
La prima legge sul catasto in Sardegna si ebbe in data 15
aprile 1851, n. 1192. Essa si prefiggeva particolarmente lo
scopo della riforma tributaria e la sua rapida attuazione,
poiché aboliva, a decorrere dal 1° gennaio 1853, i vari
contributi dovuti all’erario dello stato in Sardegna sotto i
titoli di donativo ordinario e straordinario, ecclesiastico e
laicale, ecc. La contribuzione prediale (per contigente),
doveva pertanto colpire la proprietà fondiaria senza diffalco
di canoni, livelli, debiti, o pesi censuari ed ipotecari ed essere
ripartita su tutti indistintamente i terreni, i fabbricati, gli
opifici, le tonnare, le peschiere, nonché su tutti gli altri
immobili per natura loro. La prima operazione per la stima
censuaria doveva essere la qualificazione, cioè la divisione in
massa dei terreni di un comune, secondo le varie qualità di
31

coltura in relazione alle diverse specie dei prodotti che se ne
ricavassero e ai mezzi adoperati per conseguirli. Doveva poi
fissarsi per ciascuna qualità o classe di terreni e per ogni
unità di misura, un estimo censuario esprimente il reddito
netto di ciascuna di esse, il che costituiva la loro valutazione
o tariffa. Ma le operazioni anziché geometricamente si
eseguirono a vista, descrivendo sulle mappe delle frazioni di
proprietà private in ciascun comune, delle linee senza
misurazione e con uguale fedeltà di desunsero le colture. Si
può anzi ritenere per certo che non di rado le linee siano
state tracciate senza compiere alcun sopraluogo, unicamente
dietro indicazioni arbitrarie errate (in buona o in mala fede)
degli interessati. 26
Un provvedimento deleterio si rivelò quindi la istituzione
del catasto, per l'incapacità delle persone a cui furono affidati
i lavori di rilevamento. A molti individui furono ascritti
appezzamenti di terre che non possedevano nè avevano mai
posseduto; ad altri furono ascritti appezzamenti di non loro
pertinenza tralasciando d'iscrivere quegli realmente
posseduti.
A Villasor il geometra incaricato dei rilevamenti si rivelò
incapace di svolgere il lavoro per la pessima erronea
classificazione delle terre, dimostrandosi persona inidonea,
priva della minima conoscenza pedologica dei terreni del
paese e della loro forza produttiva e quindi del reale valore
dei medesimi. Cosi si ingenerò una confusione nelle
proprietà risultando taluni proprietari immuni da pagamenti
ed altri furono costretti a pagare per i possedimenti altrui;
26 Francesco Loddo Canepa – dizionario archivistico per la Sardegna – Vol. I –
Cagliari, Prem. Tip. Giovanni Ledda, 1926 – voce Catasto.
32
molti appezzamenti non furono intestati ma ascritti per le
imposte direttamente al Comune.
33

Notizie su Villasor
1853 27
Popolazione fissa e mutabile: 2035
Numero delle feste straordinarie: 2
Numero delle persone che abitualmente concorrono alle
feste da altri paesi: 150
Numero dei venditori al minuto di vino: 23
Presunta quantità annua in ettolitri di vino venduto al
minuto: 387
Montare del relativo diritto in ragione di L. 5 per ettolitro:
1.935
Numero venditori al minuto acquavite, spiriti e liquori: 12
Fabbricanti: 2
Quantità annua presunta in Kg. venduta: 800
Fabbricata: 60
Montare del diritto in ragione di cent. 50 al Kg.: L. 430
Numero persone che attendono al macellamento del
bestiame per servizio pubblico: 6
Quantità carne consumata annua: quintali 100 – diritto L.
813,27
27 Tabella di ripartizione per comune del canone di L. 98.205 assegnato alla
provincia dalla tabella n. 2, menzionata nell’art. 14 della legge del 2 gennaio 1853.
34
1857 28
L’intendente generale della provincia, dopo aver visitato i
comuni appartenenti alla sua giurisdizione nel 1857, ci diede
le seguenti nozioni generali sull'amministrazione e sulla
condizione materiale e morale del nostro paese:
popolazione: 2.035
ufficio comunale: comodo e decente
segreteria comunale: assai maltenuta
scuole elementari: maschi e femmine; materiali: le due scuole
ne sono intieramente provvedute; media degli occorrenti:
maschile 19 – femminile 16; stanziamenti nei bilanci: 1855 l.
650; 1856 l. 800, 1857 l. 1.200
edificio parrocchiale: solido ma abbisogna di riparazione
cimitero: fuori, popolato ed assai ampio
giudicatura: nell’antica casa baronale incomoda e poco
decente
camera di detenzione: esiste nell'antico carcere baronale
caserma: due camere di pernottazione
monte granatico: poco solido ed abbisogna di riparazioni
proprieta’ rurali del comune: estensione: ettari 510 are 53;
destinazione: si godono dai comunisti mediante tassa (il
consiglio comunicativo: al tempo della perlustrazione ha con
apposite deliberazioni secondato le istanze che gli si fecero
per utilizzare in modo maggiormente proficuo i terreni
comunali) ; prodotto degli anni: 1855 l. 450, 1856 l. 1.489,
28 Perlustrazione del 1857 – nozioni generali sull’amministrazione s sulla condizione
materiale e morale dei Comuni della Provincia di Cagliari – Cagliari, Tip. Timon,
senza data
35

1857 l. 1.420; contribuzione sui beni comunali : l. 772,35
beni parrocchiali: terreni arativi e diversi censi; spese del
culto nei bilanci: 1855 l. =, 1856 l. 200, 1857 l. 525
fontane ed abbeveratoi: si difetta d’acqua potabile
contrade interne: in genere sono mal sistemate
macelli pubblici e beccherie: due ad uso pubblico
pulizia delle contrade e case: non è soddisfacente
strade e ponti comunali: in genere sono in cattivo stato
servizio sanitario: un medico chirurgo
servizio ostetricia: due non patentate
servizio forestale: un guardaboschi
servizio postale settimanale: tre corse
barracellato e guardie campestri comunali: non ne esistono
milizia nazionale: non presta servizio – fucili 20
congregazione di carita’: non vi hanno legati da amministrare
amministrazione montuaria: male; situazione del fondo
montuario esercizio 1856: in grano 2.220,83; in danaro
9.417,93

Indice
Premessa 3
L’Edito delle Chiudende del 6 ottobre 1820 4
Le Chiudende a Villasor 7
Abolizione del feudalesimo in Sardegna 9
I feudatari di Villasor 11
I diritti feudali 12
Viaggio di corte 15
I pastori residenti e i forestieri 16
Crediti vantati dal Marchese nei confronti dei vassalli 17
L’abolizione degli ademprivi 18
Privatizzazione dei terreni comunali e demaniali 23
La campagna di Villasor nel 1840 25
Le calamità dal 1841 al 1890 28
La famigerata filossera 31
L’istituzione del Catasto 31
Notizie su Villasor 34

Nota biografica
Franco Secci è nato a Villasor nel 1948. Diplomato
all’Istituto Magistrale, dopo una breve esperienza didattica
nelle scuole elementari di Villasor, ha lavorato dal 1972 al
2005, come impiegato, presso il Municipio del Comune di
Sestu, dove risiede dal 1976. Appassionato di storia locale, ha
effettuato ricerche presso l’Archivio di Stato di Cagliari,
l’Archivio Arcivescovile di Cagliari e gli Archivi Comunali di
Sestu e Villasor. Ha pubblicato San Gemiliano, la festa grande dei
Sestesi (1988) e Sestu, notizie geografiche e storiche (1995).
Per la Biblioteca Comunale di Villasor nella collana Santi
Feste e Tradizioni ha pubblicato La Confraternita del SS
Rosario di Villasor. Associazione religiosa plurisecolare
(2005), Aspetti di Vita Sacra e profana a Villasor nella
seconda metà del XVIII secolo (2006) e Marchesato di
Villasor. Abolizione e liquidazione del Feudo (2007)
Nella collana I Racconti della Biblioteca ha pubblicato invece
Contus is Primis (2005) e Contus chi sighint (2005)

Volumi pubblicati dalla Biblioteca Comunale di Villasor
Collana Santi Feste e Tradizioni
1. Carlo Pillai, Il culto di San Biagio a Villasor e nella Sardegna
meridionale tra influsso bizantino e tradizione popolare.
2. Carlo Pillai, La vita nel feudo. Note sull’economia di Villasor da
metà Seicento ai primi dell’Ottocento.
3. Carlo Pillai, Le vicende della Confraternita del Rosario di
Villasor tra il XVIII e il XIX secolo.
4. Battista Urru, Listas feudales del Partido de Vila Sor. Lista
delle persone del villaggio di Villasor tenute a versare i propri
tributi al feudatario.
5. Franco Secci, La Confraternita del SS Rosario di Villasor.
Associazione religiosa plurisecolare.
6. Franco Secci, Aspetti di Vita Sacra e profana a Villasor nella
seconda metà del XVIII secolo.
7. Battista Urru, La presa di possesso del Feudo del 1763. Il
villaggio di Villasor.
8. Battista Urru, Il consignamento del feudo del 1765 e del 1780.
Il villaggio di Villasor.
9. Carlo Pillai, Il glorioso S. Antioco martire sulcitano e santo
sardo.
10. Annamaria Ravastini, Sul Castello di Villasor.
Collana I Racconti della Biblioteca
1. Pier Paolo Sciola, Remissione spontanea.
2. Franco Secci, Contus is Primus.
3. Franco Secci, Contus chi sighint.

Finito di stampare nel mese di Marzo 2007
presso la Biblioteca Comunale di Villasor
Comune di Villasor
Assessorato alla Cultura
Biblioteca Comunale