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qui - istituto storico della resistenza di cuneo

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Istituto Storico <strong>della</strong> Resistenza<br />

e <strong>della</strong> Società Contemporanea<br />

in provincia <strong>di</strong> Cuneo<br />

Corso Nizza 21 - 12100 Cuneo<br />

Tel. 0171/445292 (<strong>di</strong>dattica, prof. Paolo Bogo) oppure 445289 (segreteria)<br />

E-mail <strong>della</strong> sezione <strong>di</strong>dattica: isrcnp.<strong>di</strong>dattica@libero.it<br />

Sito Internet: www.<strong>cuneo</strong>.net/<strong>istituto</strong>-<strong>resistenza</strong><br />

18 <strong>di</strong>cembre 2008<br />

IL GULAG, GLI ORRORI DELLO STALINISMO,<br />

LE EREDITA’ SOVIETICHE NELLA RUSSIA DI OGGI<br />

E IL CASO DEL CAUCASO DOPO IL 1989<br />

Incontri con gli studenti dell’Istituto De Amicis <strong>di</strong> Cuneo<br />

Gennaio – Febbraio 2009<br />

1. LO STALINISMO VISTO DA STALIN<br />

- la propaganda nel regime <strong>di</strong> Stalin<br />

FILMATO: analisi <strong>di</strong> spezzoni dal film La caduta <strong>di</strong> Berlino <strong>di</strong> Michail Chaureli (1949)<br />

- l’operaio che raggiunge un record e viene <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> premiato (cfr. stachanovismo)<br />

- la donna che ammira l’operaio e che viene incaricata <strong>di</strong> tenere un <strong>di</strong>scorso per celebrare Stalin<br />

- la donna e l’operaio vanno a vedere un concerto <strong>di</strong> musica classica<br />

- l’operaio viene convocato da Stalin, che lo accoglie nella sua dacia in campagna<br />

- la donna e l’operaio si incontrano nuovamente, ma il loro i<strong>di</strong>llio d’amore viene interrotto dall’attacco tedesco del<br />

1941: l’uomo è ferito gravemente, la donna fatta prigioniera dai tedeschi<br />

- Stalin e i suoi strateghi stu<strong>di</strong>ano come salvare l’URSS da Hitler<br />

- Discorso <strong>di</strong> Stalin in occasione dell’anniversario <strong>della</strong> “Rivoluzione d’ottobre”<br />

- un breve flash-back: la Rivoluzione d’Ottobre vista da un grande regista sovietico, Sergej<br />

Ejzenstein<br />

FILMATO: analisi <strong>di</strong> uno spezzone dal film Ottobre <strong>di</strong> S. Ejzenstein (1928)<br />

- i bolscevichi decidono la “presa del Palazzo d’inverno” a Pietrogrado<br />

- scarsa <strong>resistenza</strong> delle guar<strong>di</strong>e del Governo provvisorio<br />

- i bolscevichi entrano nelle stanze (e nelle cantine) del Palazzo d’inverno: simboli del regime zarista si susseguono<br />

in mezzo ai combattimenti<br />

- la produzione del film La caduta <strong>di</strong> Berlino e le falsificazione storiche in esso contenute<br />

- il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Stalin del 1941 e la sua replica ad uso e consumo dei cinegiornali<br />

- <strong>di</strong>etro l’attacco <strong>di</strong> Hitler all’URSS: le “purghe” dei militari e il “patto Molotov-Ribbentrop” (cfr.<br />

documenti filmati)<br />

2. PRIMA DELLO STALINISMO (cenni)<br />

2.1. LA RIVOLUZIONE DEL 1917<br />

- la scissione tra bolscevichi e menscevichi nel partito socialdemocratico russo (1903)<br />

- la rivoluzione del 1905: la domenica <strong>di</strong> sangue; la Duma; la vicenda <strong>della</strong> “Corazzata Potëmkin; la fine<br />

dell'esperimento parlamentare; la repressione <strong>di</strong> Stolypin<br />

- scoppio <strong>della</strong> prima guerra mon<strong>di</strong>ale nel 1914: la Russia è al fianco <strong>di</strong> Francia e Gran Bretagna contro Germania,<br />

Austria-Ungheria e Impero ottomano<br />

- la rivoluzione del 23-24 febbraio 1917 a Pietrogrado<br />

- lo scontro tra il governo provvisorio del principe L'vov e i Soviet degli operai e dei soldati mentre continua la guerra<br />

- le <strong>di</strong>vergenze politiche tra socialrivoluzionari, menscevichi e bolscevichi<br />

- pubblicazione delle "Tesi d'aprile" <strong>di</strong> Lenin (aprile 1917)<br />

- Kerenckij presiede il Governo provvisorio con grande <strong>di</strong>fficoltà<br />

- 24-25 ottobre 1917: i bolscevichi al potere; Lenin, Trockij, Zinov'ev e Kamenev; la presa del palazzo d'inverno<br />

- i decreti sulla pace e sulla terra <strong>di</strong> Lenin<br />

- elezioni a suffragio universale per l'Assemblea costituente e sconfitta bolscevica; Lenin fa sciogliere l'assemblea (18<br />

gennaio 1918)<br />

- pace <strong>di</strong> Brest-Litovsk con la Germania: la Russia esce dal conflitto mon<strong>di</strong>ale<br />

-<br />

1


2. 1918-1920<br />

- l'invasione <strong>di</strong> eserciti stranieri: le mire coloniali inglesi (sbarco a Archangelsk); l'occupazione giapponese <strong>di</strong><br />

Vla<strong>di</strong>vostok; l'invasione dei polacchi <strong>di</strong> Pilsudski (la guerra russo-polacca)<br />

- l'uccisione <strong>della</strong> famiglia Romanov (16-7-1918) a Ekaterinburg<br />

- la guerra civile: armate bianche contro armate rosse (guidate da Trockij)<br />

- il comunismo <strong>di</strong> guerra e l'espropriazione dei prodotti agricoli: la carestia<br />

- la creazione <strong>della</strong> CEKA: Dzerzinskij e il concetto <strong>di</strong> "nemico del popolo"<br />

- il decreto "Sul terrore rosso" (5 settembre 1918): la repressione degli scioperi operai e <strong>di</strong> ogni forma <strong>di</strong> protesta<br />

(in due mesi un numero <strong>di</strong> condanne a morte due o tre volte superiori a quelle dello zarismo dal 1825 al 1917)<br />

- Dzerzinskij <strong>di</strong>venne commissario del popolo per l'Interno (1919)<br />

- la nascita <strong>della</strong> III internazionale (Komintern) (Mosca, marzo 1919): i "ventuno punti"<br />

- emanazione del decreto sui campi: campi <strong>di</strong> lavoro forzati e campi <strong>di</strong> concentramento (15 aprile 1919)<br />

- le vittime <strong>della</strong> repressione nella guerra civile: (1) i militanti politici non bolscevichi; (2) gli operai in lotta, (3) i<br />

conta<strong>di</strong>ni; (4) i cosacchi (“decosacchizzazione”); (5) gli elementi considerati "estranei alla società".<br />

- il caso <strong>della</strong> repressione in Crimea: cinquantamila morti (novembre-<strong>di</strong>cembre 1920)<br />

- la fine <strong>della</strong> guerra civile<br />

- la pace con la Polonia (marzo 1921)<br />

2.3. LA NEP<br />

- la rivolta <strong>di</strong> Kronstadt (marzo 1921)<br />

- il X congresso del Partito comunista: il monolitismo<br />

- la NEP e le sue caratteristiche<br />

- la nascita dell'URSS (<strong>di</strong>cembre 1922)<br />

- la fuga <strong>di</strong> intellettuali (Stravinskij, Chagall, Jakobson…)<br />

- la cultura nell'epoca <strong>della</strong> NEP: Majakovskij, Mejerchold, Malevic (cfr. le correnti artistiche del raggismo,<br />

suprematismo e costruttivismo); il cinema <strong>di</strong> Ejzenstein ("La corazzata Potëmkin"; "Ottobre"…)<br />

- la repressione in Asia Centrale e Transcaucasia (in particolare Daghestan, Cecenia e Georgia)<br />

- la nazionalizzazione dei beni <strong>della</strong> Chiesa e la profanazione delle reli<strong>qui</strong>e<br />

- confisca degli oggetti preziosi <strong>della</strong> Chiesa ortodossa (febbraio 1922) e l'uccisione <strong>di</strong> circa ottomila tra preti, monaci<br />

e monache nel solo 1922<br />

- trasformazione <strong>della</strong> CEKA in GPU (6 febbraio 1922)<br />

- il nuovo "Co<strong>di</strong>ce penale" (1-6-1922)<br />

- l'istituzione del lager delle isole Soloveckie (1922), la "Dachau bolscevica"<br />

2.4. LENIN ESCE DI SCENA<br />

- Stalin segretario generale del Partito Comunista (aprile 1922)<br />

- il "Testamento politico" <strong>di</strong> Lenin (maggio 1922)<br />

- la morte <strong>di</strong> Lenin (21 gennaio 1924) e la sua “santificazione”<br />

- lo scontro tra Stalin e Trockij sull'idea <strong>di</strong> "socialismo in un solo paese"<br />

- lo scontro tra Stalin e Zinov'ev-Kamenev sulla NEP<br />

3. L'APOGEO DELLO STALINISMO<br />

3.1. L’INDUSTRIALIZZAZIONE ACCELERATA<br />

- la fine <strong>della</strong> NEP al XV congresso del PCUS (<strong>di</strong>cembre 1927)<br />

- la fine delle avanguar<strong>di</strong>e artistiche sovietiche e l'avvento del "realismo socialista" (il cosiddetto<br />

“zdanovismo”)<br />

- l'industrializzazione accelerata (cfr. il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Stalin "Entusiasmo obbligatorio e<br />

grandezza nazionale")<br />

- i piani <strong>qui</strong>nquennali e l'attenzione all'industria pesante; la riduzione dei consumi interni e il<br />

razionamento dei beni <strong>di</strong> consumo<br />

- l'emulazione tra gli operai: il movimento stachanovista (1935)<br />

- l'aumento <strong>della</strong> popolazione urbana: le kommunal'ka<br />

3.2. LA COLLETTIVIZZAZIONE FORZATA E LA DEKULAKIZZAZIONE<br />

- la collettivizzazione forzata delle campagne come frutto <strong>di</strong> una vera e propria guerra<br />

anti-conta<strong>di</strong>na (1928-1934): kolchoz e sovchoz<br />

- la dekulakizzazione<br />

DOCUMENTO: brano dal libro <strong>di</strong> Vasilij Grossman, Tutto scorre, Adelphi, Milano<br />

- la deportazione e deportazione-abbandono (cfr. il caso dell'isola <strong>di</strong> Nazino)<br />

- l'articolo <strong>di</strong> Stalin "Vertigini da successo" (2 marzo 1930)<br />

3.3. L’HOLODOMOR IN UCRAINA<br />

- le carestie artificiali in Ucraina e Caucaso del Nord; la politica degli ammassi cerealicoli<br />

(4-7 milioni <strong>di</strong> morti)<br />

2


- la "legge delle spighe" (agosto 1932)<br />

DOCUMENTO: le testimonianze del console italiano a Kharkov [tratte dal libro <strong>di</strong> Andrea<br />

Graziosi (a cura <strong>di</strong>), Lettere da Kharkov, Einau<strong>di</strong>, Torino 1991)]<br />

- il suici<strong>di</strong>o <strong>della</strong> moglie <strong>di</strong> Stalin<br />

3.4. LE PURGHE<br />

- il "congresso dei vincitori" del 1934<br />

- l'assassinio <strong>di</strong> Sergej Kirov (1-12-1934), la denuncia del "complotto" e l'auto-accusa <strong>di</strong><br />

Zinov'ev e Kamenev<br />

- la trasformazione <strong>della</strong> GPU in NKVD (1934)<br />

- la verifica delle tessere del partito comunista (maggio 1935): l'espulsione del 9% degli<br />

iscritti e l'arresto <strong>di</strong> 15mila persone<br />

- la deportazione <strong>di</strong> popolazioni "poco fidate": finlandesi, polacchi e tedeschi del Volga<br />

- le "purghe" (o "Grande terrore"): Ezov <strong>di</strong>rettore dell'NKVD al posto <strong>di</strong> Jagoda (1936-<br />

1938)<br />

- i tre gran<strong>di</strong> processi pubblici svoltisi a Mosca nell'agosto 1936, gennaio '37 e marzo '38<br />

- Trotzkij contro Stalin (1937)<br />

- le denunce <strong>di</strong> Chruscëv al XX congresso del PCUS (1956)<br />

- le vittime delle purghe: (1) la repressione dei quadri del Partito; (2) <strong>di</strong>plomatici e<br />

personale del commissariato del popolo per gli Affari esteri; (3) <strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong> fabbrica e funzionari<br />

dei ministeri economici; (4) <strong>di</strong>rigenti dei partiti comunisti stranieri e i quadri dell'Internazionale<br />

comunista (l'Hotel Lux <strong>di</strong> Mosca: Heinz Neumann e Margarete Buber Neumann; Bela Kun; Paolo<br />

Robotti); (5) i quadri dell'esercito; (6) gli intellettuali (Isaak Babel', Osip Mandel'stam;<br />

Mejerchol'd), (7) il clero; (8) i gruppi etnici sospettati <strong>di</strong> spionaggio<br />

DOCUMENTO: l’articolo 58 del Co<strong>di</strong>ce penale sovietico secondo Arcipelago GULag <strong>di</strong> Aleksandr<br />

Solzenicyn<br />

- il GULag: le isole Soloveckie, Vorkuta, Karaganda, i "campi del Nord-est" (Kolyma e la<br />

testimonianza <strong>di</strong> Salamov)<br />

- le testimonianze <strong>di</strong> Mandelstam, Evgenija Ginzburg, Dmitrij Lichacev e Solzenicyn<br />

- il licenziamento <strong>di</strong> Ezov (novembre 1938) e l'arrivo <strong>di</strong> Berija<br />

3.5. LA GRANDE GUERRA PATRIOTTICA<br />

- il patto Molotov-Ribbentrop<br />

- lo scoppio <strong>della</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale e l’invasione sovietica dei Paesi Baltici e <strong>della</strong><br />

Polonia orientale<br />

- la strage <strong>di</strong> Katyn<br />

- l'assassinio <strong>di</strong> Trockij in Messico (1940)<br />

- il <strong>di</strong>scorso dell’ottobre 1941<br />

- il sacrificio del popolo sovietico<br />

- la vittoria contro Hitler e il ritorno dei prigionieri in URSS (la deportazione <strong>di</strong> molti <strong>di</strong> loro<br />

nel GULag)<br />

3.6. GLI ULTIMI ANNI<br />

- la “Guerra fredda”<br />

- il complotto dei me<strong>di</strong>ci<br />

- il progetto (non compiuto) dello sterminio degli ebrei russi<br />

- la morte <strong>di</strong> Stalin nel 1953<br />

- il cordoglio dell’URSS (e del mondo comunista) in occasione dei suoi funerali<br />

- il culto <strong>della</strong> personalità<br />

4) LA RUSSIA DI OGGI<br />

- la Russia <strong>di</strong> oggi: da El’cin a Putin<br />

- la Cecenia (ve<strong>di</strong> sotto)<br />

- Il “caso Khodorkovsky”<br />

- Le elezioni <strong>della</strong> Duma del 2 <strong>di</strong>cembre 2007<br />

- l’elezione <strong>di</strong> Medvedev<br />

- la guerra tra Russia e Georgia dell’estate 2008 (ve<strong>di</strong> sotto)<br />

3


Appen<strong>di</strong>ce: IL CAUCASO DOPO IL 1989<br />

I conflitti del Caucaso dopo il 1989: la Cecenia<br />

CHI SONO I CECENI?<br />

- dove vivono, chi sono e che lingua parlano i Ceceni<br />

- qual è la religione dei Ceceni (le due confraternite Sufi: la Naaqshban<strong>di</strong>ya e la Qa<strong>di</strong>rya)<br />

- la struttura dei clan (i teip); montagna e città<br />

- la questione <strong>della</strong> religione e del fondamentalismo islamista: il wahhabismo arabo<br />

- il terrorismo kamikaze<br />

- la questione del petrolio<br />

- la questione degli oleodotti (per il petrolio azero e kazako)<br />

- i profughi ceceni in Daghestan<br />

- le zatchistka (operazioni <strong>di</strong> pulizia)<br />

- i ceceni sono gli “ebrei” del XXI secolo?<br />

I CECENI PRIMA DI STALIN<br />

- I “quattrocento anni <strong>di</strong> guerra con la Russia”<br />

- 1785-1791: lo secicco Mansur conduce la guerra <strong>di</strong> <strong>resistenza</strong> contro la colonizzazione russa<br />

- 1818: iniziano le “guerre del Caucaso” agli or<strong>di</strong>ni del generale russo Ermolov<br />

- 1859: l’imam Chamil, che aveva unito i Daghestani e i Ceceni nella lotta contro la colonizzazione russa, si<br />

arrende. La Cecenia è annessa alla Russia imperiale<br />

- 1921: la Cecenia è integrata dalla Russia sovietica, dopo la breve vita <strong>della</strong> Repubblica in<strong>di</strong>pendente delle<br />

Montagne (nata dopo la rivoluzione del 1917). Alcuni Ceceni resistono alla sovietizzazione fino agli inizi<br />

degli anni Quaranta<br />

- 1936: nasce la Repubblica autonoma <strong>di</strong> Cecenia-Inguscezia all’interno <strong>della</strong> Federazione Russa all’interno<br />

dell’URSS<br />

IL GENOCIDIO DEL 1944<br />

- il 23 febbraio 1944 Stalin or<strong>di</strong>na la deportazione <strong>di</strong> Ceceni e Ingusci in Asia Centrale, accusati <strong>di</strong><br />

collaborazionismo coi nazisti<br />

- muoiono circa 170mila persone nel trasferimento coatto<br />

- la Repubblica autonoma è abolita<br />

- 1957: un decreto <strong>di</strong> riabilitazione ristabilisce la Repubblica <strong>di</strong> Cecenia. Molti ceceni ritornano in patria,<br />

dove erano stati <strong>di</strong>strutti molti monumenti e segni <strong>della</strong> presenza cecena e dove si erano stabiliti molti<br />

Russi e Ucraini. La lingua cecena resta comunque proibita.<br />

- La Cecenia è l’unica Repubblica autonoma <strong>della</strong> Russia guidata da un russo e non da un appartente<br />

all’etnia prevalente nel territorio<br />

DOPO IL CROLLO DEL MURO DI BERLINO<br />

- 9 novembre 1989: cade il muro <strong>di</strong> Berlino<br />

- 1° novembre 1991: il nuovo presidente ceceno Dudaev <strong>di</strong>chiara l’in<strong>di</strong>pendenza <strong>della</strong> Cecenia, anche se<br />

Mosca giu<strong>di</strong>ca illegale questo atto<br />

- <strong>di</strong>cembre 1991: l’Inguscezia si separa con un referendum dalla Cecenia<br />

- 25 <strong>di</strong>cembre 1991: finisce l’Unione Sovietica<br />

- 1992: i Ceceni rifiutano <strong>di</strong> firmare il trattato <strong>della</strong> Federazione russa. Il 12 marzo viene approvata la<br />

Costituzione <strong>della</strong> Repubblica cecena. La Russia ritira le sue truppe dalle basi militari cecene.<br />

- 1993. Dudaev scioglie il Parlamento ceceno e rifiuta <strong>di</strong> far partecipare la Cecenia alle elezioni presidenziali<br />

russe (che eleggono Eltsin)<br />

- Novembre 1994: l’opposizione – appoggiata dalla Russia – tenta un colpo <strong>di</strong> Stato contro Dudaev.<br />

LA PRIMA GUERRA CECENA (1994-1996)<br />

- 11 <strong>di</strong>cembre 1994: le truppe russe entrano in Cecenia<br />

- 19 gennaio 1995: le truppe russe si impadroniscono del palazzo presidenziale a Grozny<br />

- aprile 1995: a Samackhki, esecuzione <strong>di</strong> massa da parte delle truppe russe<br />

- giugno 1995: il guerrigliero islamista Bassaev prende ostaggi a Bu<strong>di</strong>onnovsk nel sud <strong>della</strong> Russia. Cessate<br />

il fuoco.<br />

- Agosto 1995. Ripresa <strong>della</strong> guerra.<br />

- 19 gennaio 1996: un comando ceceno prende duemila ostaggi a Kizliar nel Daghestan.<br />

- Primavera 1996: i bombardamenti russi aumentano d’intensità.<br />

- 22 aprile 1996: Dudaev viene ucciso da un missile russo. Il vicepresidente Yandarbiev gli subentra.<br />

- 6 agosto 1996: i boieviki ceceni ricon<strong>qui</strong>stano Grozny.<br />

- 31 agosto 1996: il capo <strong>di</strong> stato maggiore Maskhadov firma a Khassaviourt un accordo <strong>di</strong> pace con il<br />

generale russo Lebed.<br />

LA PACE PROVVISORIA (1996-1999)<br />

- 5 gennaio 1997. Le truppe russe lasciano la Cecenia.<br />

- 27 gennaio 1997. Maskhadov vince le elezioni presidenziali con il 59% dei voti (Bassaev, 23%)<br />

- 12 maggio 1997. Accordo <strong>di</strong> pace firmato a Mosca.<br />

- 1998: Bassaev è incaricato <strong>di</strong> formare un nuovo governo. L’economia <strong>della</strong> Repubblica è <strong>di</strong>sastrata. La<br />

crescente criminalità e i “buchi” negli oleodotti.<br />

4


- Luglio 1998. Scontri a Goudermes tra le truppe regolari e <strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong> milizie islamiste.<br />

- 1999. Sotto la pressione degli islamisti Maskhadov introduce la sharia (legge islamica).<br />

- Luglio 1999. Incursione in Daghestan <strong>di</strong> Bassaev e Khattab.<br />

- Settembre 1999. Terribili attentati a Mosca e in altre città <strong>della</strong> Russia vengono attribuiti al<br />

terrorismo ceceno.<br />

LA SECONDA GUERRA CECENA (1999-?)<br />

- Settembre 1999: intervento militare russo. Bombardamenti sulle città cecene.<br />

- 1° ottobre. Le truppe russe entrano in Cecenia. Duecentocinquantamila ceceni si rifugiano in Daghestan.<br />

- Febbraio 2000. Le truppe russe con<strong>qui</strong>stano Grozny.<br />

- 26 marzo 2000. Putin è il nuovo presidente <strong>della</strong> Russia. Nella campagna elettorale ha promesso <strong>di</strong><br />

sconfiggere il terrorismo ceceno. Kadyrov <strong>di</strong>venta il capo dell’amministrazione cecena filorussa.<br />

- 2-3 luglio 2000. La guerriglia cecena lancia cinque attacchi suici<strong>di</strong> contro basi delle forze <strong>di</strong> sicurezza russe<br />

nel giro <strong>di</strong> 24 ore. Almeno 54 persone restano uccise in un dormitorio nel comando <strong>di</strong> polizia <strong>di</strong> Argun, nei<br />

presi <strong>di</strong> Grozny. La sede del ministero dell'Interno russo a Gudermes è tra gli obiettivi e nell'attacco<br />

restano uccisi 6 soldati russi.<br />

- Gennaio 2001. La <strong>di</strong>rezione dell’operazione antiterrorismo in Cecenia è affidata all’FSB (ex KGB)<br />

- 11 settembre 2001. Attentato alle Torri Gemelle. Putin assicura a Bush il suo sostegno alla “Guerra al<br />

terrorismo”, collegando la questione cecena al terrorismo islamista <strong>di</strong> Osama Bin Laden.<br />

- 19 aprile 2002. Khattab viene ucciso.<br />

- Maggio 2002: i profughi in Inguscezia minacciati.<br />

- 19 agosto 2002: elicottero russo colpito dalle milizie cecene (cento morti)<br />

- 26 ottobre 2002. Un commando ceceno sequestra gli spettatori del musical “Nord-Ost” al teatro<br />

Dubrovka <strong>di</strong> Mosca. Le forze speciali uccidono i miliziani e oltre cento spettatori con un gas misterioso.<br />

- 27 <strong>di</strong>cembre 2002. Due autocivette esplodono davanti al palazzo dell’amministrazione filorussa a Grozny.<br />

Almeno 80 persone restano uccise.<br />

- 23 marzo 2003. Nuova costituzione cecena approvata con un referendum contestato dagli<br />

osservatori in<strong>di</strong>pendenti.<br />

- 12 maggio 2003. Due attacchi suici<strong>di</strong>, perpetrati con autobombe, contro l'e<strong>di</strong>ficio del governo federale a<br />

Znamenskoye, nel nord <strong>della</strong> Cecenia. Circa 59 persone rimangono uccise e l'e<strong>di</strong>ficio dove si trova<br />

l'amministrazione e la sicurezza del governo <strong>di</strong> Mosca seriamente danneggiato.<br />

- 14 maggio 2003. Almeno 16 persone restano uccise e 145 ferite in un attentato suicida durante una festa<br />

religiosa a Iliskhan-Yurt, ad est <strong>di</strong> Grozny.<br />

- 5 giugno 2003. Un agguato ad un veicolo con a bordo piloti dell'aeronautica russa: un donna si fa<br />

esplodere, uccidendo almeno altre 18 persone.<br />

- 6 luglio 2003. Due ragazze cecene si fanno esplodere durante un concerto-rock all’aeroporto <strong>di</strong> Tushino<br />

<strong>di</strong> Mosca, uccidendo 14 spettatori.<br />

- 1 agosto 2003: Un'autobomba esplode nei pressi <strong>di</strong> un ospedale militare Mozdok, nell'Ossezia del Nord,<br />

al confine con la Cecenia. Almeno 50 persone restano uccise nell'eplosione.<br />

- 5 ottobre 2003. Kadyrov viene eletto presidente <strong>della</strong> Cecenia in elezioni molto contestate.<br />

- 5 <strong>di</strong>cembre 2003: Un'esplosione su un treno nei pressi <strong>della</strong> stazione <strong>di</strong> Yessentuki, nella regione <strong>di</strong><br />

Stavropol, nel nord <strong>della</strong> Cecenia. Almeno 36 persone restano uccise e altre 150 ferite.<br />

- Gennaio 2004. L’ex presidente Maskhadov ferito da reparti russi.<br />

- 6 febbraio 2004. Una bomba nel metrò <strong>di</strong> Mosca provoca 39 morti e oltre 100 feriti. L'esplosione<br />

avviene in un vagone <strong>di</strong> un treno presso la stazione Avtozavodskaja, alle porte del centro citta<strong>di</strong>no, in ora<br />

<strong>di</strong> punta.<br />

- 13 febbraio 2004. Ex presidente ceceno Yandarbiev ucciso da una bomba in Qatar<br />

- 9 maggio 2004. Ucciso il presidente ceceno filorusso Akhmad Kadyrov– assieme ad altre 13<br />

persone - in un violento attacco terroristico allo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Grozny durante una manifestazione in cui si<br />

celebrava la vittoria russa nella seconda guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

- giugno 2004. Un gruppo <strong>di</strong> circa 200 uomini armati penetra in Inguscezia, attaccando e devastando<br />

caserme fino ad occupare il ministero dell’interno nella capitale Nazran (almeno 57 morti, <strong>di</strong> cui 47<br />

membri delle forze <strong>di</strong> sicurezza, 60 i feriti)<br />

- 24 agosto 2004. Esplosione <strong>di</strong> due aerei civili (90 morti) attribuita al terrorismo ceceno<br />

- 29 agosto 2004. Elezioni (contestate) in Cecenia per eleggere il nuovo presidente, dopo la morte<br />

<strong>di</strong> Kadyrov. Viene designato Alu Alchanov, membro dello stesso clan <strong>di</strong> Kadyrov<br />

- 31 agosto 2004. Esplosione alla stazione Rijskaia <strong>di</strong> Mosca (10morti)<br />

- 1-3 settembre 2004: Beslan<br />

- La “normalizzazione” <strong>della</strong> Cecenia e la politica <strong>di</strong> Putin<br />

I conflitti del Caucaso dopo il 1989: l’Abkhazia<br />

- La Georgia dopo il 1989 e il 1991: l’Abkhazia, l’Adjara e l’Ossezia del Sud<br />

- La valle del Pankisi<br />

- La presidenza Gamsakhur<strong>di</strong>a e la guerra civile<br />

- La pulizia etnica in Abkhazia e il problema dei profughi<br />

- La presidenza Shevardnadze<br />

- La rivoluzione delle rose <strong>di</strong> Mikhail Saakashvili<br />

- Lo scontro tra Saakashvili e l’Adjara (e l’Ossezia del Sud)<br />

- Lo status dell’Abkhazia<br />

- L’Abkhazia el’Ossezia del Sud dopo l’in<strong>di</strong>pendenza del Kosovo<br />

- La guerra tra Russia e Georgia dell’estate 2008<br />

5


I conflitti del Caucaso dopo il 1989: il Nagorno Karabagh<br />

- Armenia e Azerbaijan ai tempi dell’Unione Sovietica<br />

- L’enclave armena in territorio azero del Nagorno Karabagh e il suo significato per gli Armeni (Artsakh)<br />

- Il massacro <strong>di</strong> Sumgait (1988)<br />

- L’inizio <strong>della</strong> fuga degli Armeni dall’Azerbaijan<br />

- La pulizia etnica<br />

- Lo scoppio <strong>della</strong> guerra tra Armenia e Azerbaijan (1992-1994)<br />

- Armeni dell’Armenia, Armeni del Nagorno Karabagh e Armeni <strong>della</strong> <strong>di</strong>aspora<br />

- Volontari e mercenari a fianco dell’Azerbaijan<br />

- La presa <strong>di</strong> Shushi<br />

- L’occupazione da parte armena <strong>di</strong> territorio azero non appartenente al Nagorno Karabagh<br />

- La ricostruzione del Nagorno Karabagh<br />

- Le città morte <strong>di</strong> Fizuli e Agdam<br />

- I profughi armeni e i profughi azeri<br />

- I campi profughi in Azerbaijan<br />

- Il petrolio e il boom economico dell’Azerbaijan<br />

- I rapporti tra l’Armenia e la <strong>di</strong>aspora armena (Francia, USA, Canada…)<br />

- Gli scontri tra Armenia e Azerbaijan (marzo 2008)<br />

Il Nagorno Karabagh<br />

(www.wikipe<strong>di</strong>a.org)<br />

Il Nagorno-Karabakh o Nagorno-Karabah è una regione situata nel Caucaso meri<strong>di</strong>onale, interamente circondata<br />

dallo stato dell'Azerbaigian. La regione è abitata da due etnie: gli armeni nei fon<strong>di</strong>valle e i cur<strong>di</strong> sulle montagne.<br />

Storicamente parte dell'Azerbaigian, dagli anni '90 l'area è sotto il controllo militare armeno, in seguito ad uno scontro<br />

con i vicini dell'Azerbaigian durante il quale, nel 1991 la popolazione locale aveva cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarare la propria<br />

in<strong>di</strong>pendenza.<br />

Con la <strong>di</strong>ssoluzione dell'Unione Sovietica tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, la<br />

questione del Nagorno-Karabakh riemerse. Lamentando l'azerificazione forzata <strong>della</strong> regione operata da Baku, la<br />

locale popolazione armena, con il supporto ideologico e materiale dell'Armenia stessa, cominciò a mobilitarsi per<br />

riunire la regione alle madrepatria.<br />

Il 20 febbraio del 1988, i deputati armeni del Consiglio Nazionale del Nagorno-Karabakh votarono per riunire la<br />

regione all'Armenia. Il 24 dello stesso mese, un confronto tra azeri e armeni presso Askeran (sulla via che collega<br />

Stepanakert ad Agdam) degenerò in uno scontro vero e proprio. Durante i tafferugli si ebbero 50 feriti tra gli armeni,<br />

mentre un poliziotto, forse armeno, uccise due azeri (Bakhtiyar Guliyev e Ali Hajiyev). Il 27 febbraio,<br />

parlando alla TV nazionale, il deputato sovietico, generale A. Katusev, riferì la nazionalità delle due vittime. In poche<br />

ore si scatenò un vero e proprio pogrom contro gli armeni <strong>della</strong> città <strong>di</strong> Sumgait (25 km a nord <strong>di</strong> Baku). Il<br />

massacro si protrasse per tre giorni: stando alle fonti ufficiali vi furono 32 morti (6 azeri e 26 armeni), anche se<br />

stando alle informazioni possedute dal Congresso americano le vittime armene furono molte <strong>di</strong> più: circa un<br />

centinaio.<br />

Epidosi simili si ebbero contro gli azeri nelle città armene <strong>di</strong> Spitak e Ghugark. Molte persone lasciarono l'Azerbaigian<br />

per l'Armenia (o viceversa) a causa dei pogrom che si scatenavano contro le minoranze etniche. Nell'autunno 1989<br />

6


le violenze aumentarono e fu così che Mosca decise <strong>di</strong> dare alle autorità azere maggiori poteri, al fine <strong>di</strong><br />

riuscire a controllare la regione. Tale mossa si rivelò però un fallimento, dato che una sessione unita del<br />

Soviet Supremo armeno e del Consiglio Nazionale del Nagorno-Karabakh proclamò l'unificazione con<br />

l'Armenia. A metà gennaio del 1990, una protesta degli azeri a Baku degenerò in un altro episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> violenza contro<br />

gli armeni rimasti. Mosca intervenne inviando le sue truppe che soppressero l'APF e inse<strong>di</strong>arono Mutabilov come<br />

presidente. Durante le azioni per contenere la rivolta, le truppe sovietiche uccisero 122 rivoltosi azeri,<br />

mentre il segretario del Soviet Supremo Mikhail Gorbaciov accusò l'APF <strong>di</strong> voler creare una repubblica<br />

islamica in Azerbaigian. Tali eventi determinarono l'allontanamento del popolo azero da Mosca. Nel <strong>di</strong>cembre<br />

1991, con un referendum tenuto nel Nagorno-Karabakh (e boicottato dalla minoranza armena <strong>della</strong><br />

regione <strong>di</strong>sputata), venne approvata la creazione <strong>di</strong> una repubblica in<strong>di</strong>pendente. La proposta sovietica <strong>di</strong><br />

concedere maggiore autonomia al Nagorno-Karabakh all'interno dell'Azerbaigian non sod<strong>di</strong>sfaceva né la parte armena<br />

né quella azera e ciò pose le premesse per la guerra tra i due stati.<br />

La contesa per la regione <strong>di</strong>vampò quando sia l'Armenia che l'Azerbaigian si resero in<strong>di</strong>pendenti da Mosca<br />

nel 1991. Nel vuoto lasciato dal crollo sovietico, lo scontro tra le due neonate repubbliche finì con l'essere fortemente<br />

influenzato dalla politica militare <strong>della</strong> Federazione Russa. Si ritiene infatti che la Russia tese a manipolare le<br />

rivalità tra le parti, rifornendole entrambe <strong>di</strong> armi e riuscendo così a tenere sotto controllo i due<br />

contendenti. Il massiccio contributo russo alla guerra fu denunciato dal capo <strong>della</strong> Commissione Permanente <strong>della</strong><br />

Duma, generale Lev Rokhlin, poi ucciso dalla moglie in circostanze poco chiare. Secono Rokhlin, munizioni per un<br />

miliardo <strong>di</strong> dollari furono illegalmente trasferite all'Armenia tra il 1992 e il 1994. Da parte sua, l'Armenia denunciava il<br />

fatto che l'Azerbaigian stesse ricevendo molti aiuti dalla Turchia.<br />

Alla fine del 1993 la guerra aveva provocato migliaia <strong>di</strong> vittime e centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> rifugiati da<br />

entrambe le parti. Nel novembre 1993, Aliyev stimò che circa 16.000 militari azeri avevano perso la vita e 22.000<br />

erano rimasti feriti durante sei anni <strong>di</strong> guerra. Le Nazioni Unite stimarono cira un milione <strong>di</strong> rifugiati in<br />

Azerbaigian nel 1993. A tentare una me<strong>di</strong>azione furono la Russia, il Kazakistan e l'Iran, a cui si aggiunsero altri<br />

paesi, l'ONU e la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Tutti i negoziati ebbero scarso successo e<br />

spesso i cessate il fuoco non vennero rispettati.<br />

ISOLE SOLOVECKIE<br />

(www.wikipe<strong>di</strong>a.it) 1<br />

Le Isole Soloveckie (russo: Солове́цкие острова) si trovano nella Baia <strong>di</strong> Onega, Mar Bianco, Russia. Le isole sono<br />

amministrate da Archangel'sk come Distretto <strong>di</strong> Solovetsky e sono servite dall'aeroporto <strong>di</strong> Solovki. Area: 347 km².<br />

Popolazione: 968 (censimento russo del 2002); 1.317 (censimento sovietico del 1989).<br />

Storicamente le isole hanno ospitato il Monastero <strong>di</strong> Soloveckij appartenente alla Chiesa cristiana ortodossa. Venne<br />

fondato verso la metà del <strong>qui</strong>n<strong>di</strong>cesimo secolo da due monaci provenienti dal Monastero <strong>di</strong> Kirillo-Belozersky. Dalla fine<br />

del se<strong>di</strong>cesimo secolo l'abazia è <strong>di</strong>ventata uno dei centri religiosi più importanti <strong>della</strong> Russia.<br />

L'attuale roccaforte e le principali chiese vennero costruite in pietra durante la prima parte del regno <strong>di</strong> Ivan il Terribile<br />

<strong>di</strong>etro richiesta <strong>di</strong> Filippo II <strong>di</strong> Mosca. Al momento dello scisma <strong>della</strong> Chiesa Ortodossa Russa i monaci fedeli alla<br />

precedente religione cacciarono i rappresentanti dello zar dalle isole Solovki, causando l'asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> otto anni portato alle<br />

isole dall'esercito <strong>di</strong> Alessio I.<br />

Durante il periodo imperiale russo il monastero era rinomato come fortezza, Infatti riuscì a respingere gli attacchi<br />

stranieri durante la prima guerra del nord (se<strong>di</strong>cesimo secolo), il periodo dei Torbi<strong>di</strong> (<strong>di</strong>ciassettesimo secolo), la guerra<br />

<strong>di</strong> Crimea (<strong>di</strong>ciannovesimo secolo) e la guerra civile russa (ventesimo secolo).<br />

Dopo la rivoluzione d'Ottobre le isole guadagnarono notorietà come luogo del primo campo <strong>di</strong> prigionia russo, che<br />

<strong>di</strong>venne il modello per la creazione degli altri gulag sovietici. Il campo venne inaugurato come "campo <strong>di</strong> detenzione"<br />

nel 1921, mentre Lenin era ancora a capo <strong>della</strong> Russia Sovietica. Venne trasformato in prigione nel 1929 e chiuso <strong>di</strong>eci<br />

anni dopo, alla vigilia <strong>della</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale. Il governo sovietico capì l'importanza strategica delle isole e,<br />

dall'inizio <strong>della</strong> guerra, le trasformò in base navale per la Flotta Settentrionale.<br />

Nel 1974 le isole Soloveckie <strong>di</strong>vennero museo <strong>storico</strong> ed architetturale nonché riserva naturale dell'Unione Sovietica.<br />

Nel 1992 vennero aggiunte ai Patrimoni dell'umanità "quali esempio <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amento monastico nell'inospitale ambiente<br />

dell'Europa settentrionale che illustra ammirevolmente la fede, la tenacità e l'iniziativa delle comunità religiose del tardo<br />

me<strong>di</strong>oevo". [1] Al giorno d'oggi le isole Solovki sono un centro turistico <strong>della</strong> Russia settentrionale. Le navi possono<br />

essere raggiunte via nave dal porto <strong>di</strong> Kem o via aerea da Arcangelo.<br />

IL CANALE MAR BIANCO- MAR BALTICO<br />

[dal sito “Studenti&Citta<strong>di</strong>ni” dell’Assemblea Legislativa <strong>della</strong> Regione Emilia-Romagna]<br />

Nel novembre 1931, Naftalij Frenkel’ raggiunse il vertice del suo potere, in quanto fu posto a capo del primo grande<br />

progetto che vide l’uso massiccio <strong>di</strong> manodopera tratta dai lager: il canale destinato ad unire il Mar Bianco al Mar<br />

Baltico (chiamato in russo Belomorkanal). L’idea <strong>di</strong> un canale nell’estremo nord <strong>della</strong> Russia europea va attribuita<br />

<strong>di</strong>rettamente a Stalin, che oltre tutto fissò con precisione anche i tempi <strong>di</strong> realizzazione: venti mesi al massimo.<br />

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7


In questo arco temporale così compresso, i detenuti furono obbligati a scavare (nel terreno roccioso, o gelato) per più<br />

<strong>di</strong> 200 chilometri, nonché a costruire 5 <strong>di</strong>ghe e 19 chiuse. La decisione fu presa nel febbraio 1931; in settembre,<br />

iniziarono i lavori. Nell’agosto 1933, il canale fu completato e ufficialmente inaugurato da Stalin, con un viaggio in<br />

battello.<br />

Per costruire il canale, vennero trasferiti moltissimi detenuti dalle Solovki (che, in pratica, si trasformarono in un<br />

semplice carcere <strong>di</strong> sicurezza) e organizzato un vasto campo <strong>di</strong> lavoro correzionale. Denominato Belbaltlag, vide<br />

impegnati complessivamente 170.000 detenuti, 25.000 dei quali morirono durante i lavori <strong>di</strong> costruzione.<br />

La costruzione del Belomorkanal fu caratterizzata da una quasi totale assenza <strong>di</strong> tecnologia. Tutti i lavori, anche i più<br />

duri, impegnativi e faticosi, furono condotti senza macchine, con attrezzature quanto mai primitive (rozze pale, picconi,<br />

mazze, vanghe e carriole <strong>di</strong> legno...) o ad<strong>di</strong>rittura a mani nude. Per questo, fu necessario concedere premi e incentivi <strong>di</strong><br />

vario tipo ai lavoratori d’assalto che, malgrado le <strong>di</strong>fficoltà, riuscivano comunque a far procedere il lavoro. Ai più<br />

laboriosi, vennero concesse razioni alimentari pienamente sod<strong>di</strong>sfacenti e persino promessa un’abbreviazione <strong>della</strong><br />

pena: per ogni tre giorni <strong>di</strong> lavoro in cui raggiungeva la norma che gli era stata assegnata, il detenuto poteva riscattare<br />

un giorno <strong>di</strong> pena. Quando il canale fu completato, vennero in effetti liberati 12 484 prigionieri.<br />

Il canale del Mar Bianco fu l’unica impresa gran<strong>di</strong>osa, condotta con il contributo <strong>di</strong> lavoro forzato, che venne celebrata<br />

apertamente dalla propaganda sovietica. Le <strong>di</strong>fficoltà e persino le carenze tecniche non vennero minimamente taciute.<br />

Tuttavia, l’accento era posto sul fatto che migliaia <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni sovietici erano riusciti a superare tutti i problemi e a<br />

completare l’impresa.<br />

Il ruolo <strong>di</strong> regista <strong>della</strong> propaganda fu assegnato, <strong>di</strong> nuovo, a Maksim Gork’ij, che nell’estate del 1933 guidò un<br />

gruppo <strong>di</strong> scrittori a visitare il canale. Insieme, questi intellettuali stesero poi un libro (intitolato Kanal imeni Stalina – Il<br />

canale Stalin) che narrava in tono epico la costruzione dell’opera. Mentre non si parla, ovviamente, dei morti, spesso si<br />

descrive i detenuti come dei penitenti, che grazie al duro lavoro finalmente comprendono i loro errori politici e guardano<br />

al canale come ad un’eccezionale occasione <strong>di</strong> riscatto personale.<br />

KULAKI<br />

(www.wikipe<strong>di</strong>a.it)<br />

Kulaki è il termine utilizzato nella lingua russa per in<strong>di</strong>care la classe agiata dei conta<strong>di</strong>ni durante la prima metà del XX<br />

secolo.<br />

Per essere classificati come kulaki bastava "l'utilizzo <strong>di</strong> un operaio agricolo per una parte dell'anno, il possesso <strong>di</strong><br />

macchine agricole un po' più perfezionate del semplice aratro, <strong>di</strong> due cavalli e quattro mucche" (Nicolas Werth).<br />

La categoria dei kulaki nacque nel 1905, con una riforma agraria sulla <strong>di</strong>stribuzione delle terre. Essa prevedeva che le<br />

terre dello stato potessero essere assegnate ai conta<strong>di</strong>ni, ma solo attraverso un pagamento. In questo modo i conta<strong>di</strong>ni<br />

poveri peggiorarono ulteriormente le loro con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita perché non potettero più accedere alle terre comuni per<br />

bisogni quali il pascolo, la legna i frutti <strong>della</strong> natura e la caccia.<br />

La riforma creò in Russia una <strong>di</strong>visione tra i conta<strong>di</strong>ni, sud<strong>di</strong>videndoli in:<br />

• conta<strong>di</strong>ni poveri, senza sol<strong>di</strong> per ac<strong>qui</strong>stare terre (kombèdy);<br />

• conta<strong>di</strong>ni benestanti o me<strong>di</strong> proprietari chiamati (kulaki).<br />

Questi ultimi, avendo a <strong>di</strong>sposizione le terre, avevano la possibilità <strong>di</strong> assumere i conta<strong>di</strong>ni nullatenenti per coltivarle.<br />

Il comunismo <strong>di</strong> guerra - varato da Lenin dopo la presa <strong>di</strong> potere dei bolscevichi nell'ottobre del 1917 - comportava,<br />

tra le altre misure, la re<strong>qui</strong>sizione forzata <strong>di</strong> tutto il grano eccedente le necessità <strong>di</strong> sopravvivenza e <strong>di</strong> semina del<br />

conta<strong>di</strong>no. Il provve<strong>di</strong>mento colpì in particolare la classe dei kulaki.<br />

Nel marzo del 1921 il comunismo <strong>di</strong> guerra fu accantonato per essere sostituito dalla Nuova politica economica (Nep),<br />

che reintroduceva elementi <strong>di</strong> profitto in<strong>di</strong>viduale e <strong>di</strong> libertà economica. Le re<strong>qui</strong>sizioni forzate <strong>di</strong> grano cessarono, per<br />

essere sostituite da un'imposta in natura; inoltre il conta<strong>di</strong>no aveva la possibilità <strong>di</strong> vendere le proprie eccedenze.<br />

Questi provve<strong>di</strong>menti favorirono la ripresa del ceto dei kulaki.<br />

Lo scontro idelogico e <strong>di</strong> potere successivo alla morte <strong>di</strong> Lenin si ripercosse anche sulla concezione delle varie fazioni sui<br />

kulaki. Lev Trotsky li osteggiava vivamente, secondo le sue idee era necessario intraprendere al più presto una lotta<br />

contro i kulaki, perché essi, andando contro i principi comunisti <strong>della</strong> parità <strong>di</strong> ricchezza, rappresentavano una minaccia<br />

al mantenimento <strong>della</strong> rivoluzione.<br />

Nicolaj Bucharin sosteneva invece che bisognava non solo permettere, ma anche rassicurare i conta<strong>di</strong>ni sulla<br />

possibilità <strong>di</strong> arrichirsi. Bucharin riteneva infatti che solo con l'aumento dell'attività agricola, il paese, seppur<br />

lentamente, poteva innescare una spirale virtuosa <strong>di</strong> sviluppo.<br />

"Vi è una situazione per cui il conta<strong>di</strong>no ha paura <strong>di</strong> farsi un tetto <strong>di</strong> lamiera perché teme <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>chiarato kulak, se<br />

ac<strong>qui</strong>sta una macchina cerca <strong>di</strong> fare in modo che i comunisti non se ne accorgano. Le tecnica avanzata è <strong>di</strong>ventua<br />

clandestina [...] oggi questi meto<strong>di</strong> ostacolano lo sviluppo economico. Oggi dobbiamo eliminare una serie <strong>di</strong> restrizioni<br />

per il conta<strong>di</strong>no agiato da un lato e per i braccianti che vendono la propria forza lavoro dall'altro. La lotta contro i kulaki<br />

deve essere condotta con alti meto<strong>di</strong>, per altra via [...] A tutti i conta<strong>di</strong>ni complessivamente, a tutti gli strati <strong>di</strong><br />

conta<strong>di</strong>ni bisogna <strong>di</strong>re: arricchitevi, accumulate, sviluppate le vostre aziende. Soltanto degli i<strong>di</strong>oti possono <strong>di</strong>re che da<br />

noi deve sempre esserci povertà [...] Cosa otteniamo per effetto dell'accumulazione nell'economia conta<strong>di</strong>na?<br />

Accumulazione nell'agricoltura significa domanda crescente <strong>di</strong> prodotti <strong>della</strong> nostra industria". (Nicolaj Bucharin)<br />

Josif Stalin inizialmente, alleandosi con Bucharin, si allineò sulle posizioni <strong>di</strong> quest'ultimo; Stalin era infatti favorevole<br />

ad una prosecuzione <strong>della</strong> Nep.<br />

Nel 1927, in occasione <strong>di</strong> una crisi agricola egli ripristinò le misure sulla re<strong>qui</strong>sizione <strong>di</strong> cereali tipiche del comunismo <strong>di</strong><br />

guerra, ed inoltre intraprese una dura campagna propagan<strong>di</strong>stica contro i kulaki. Abbandonate totalmente le tesi <strong>di</strong><br />

8


Bucharin, anzi entrato in contrasto con lui, Stalin introdusse una pianificazione integrale dell'economia. Questo portò<br />

alla collettivizzazione forzata delle terre, utilizzata come metodo per trasferire ricchezza dall'agricoltura all'industria: le<br />

terre vennero unificate in cooperative agricole (Kolchoz) o in aziende <strong>di</strong> stato (Sovchoz), che avevano l'obbligo <strong>di</strong><br />

consegnare i prodotti al prezzo fissato dallo stato.<br />

I conta<strong>di</strong>ni, compresi i kulaki, si opposero fermamente alla collettivizzazione, imboscando le derrate alimentari,<br />

macellando il bestiame ed anche utilizzando le armi. Stalin reagì or<strong>di</strong>nando eliminazioni fisiche e deportazioni <strong>di</strong> massa<br />

nei campi <strong>di</strong> lavoro; questi provve<strong>di</strong>menti colpirono milioni <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni in maggioranza kulaki.<br />

"Per eliminare i kulaki come classe non è sufficiente la politica <strong>di</strong> limitazione e <strong>di</strong> eliminazione <strong>di</strong> singoli gruppi <strong>di</strong> kulaki<br />

[...] è necessario spezzare con una lotta aperta la <strong>resistenza</strong> <strong>di</strong> questa classe e privarla delle fonti economiche <strong>della</strong> sua<br />

esistenza e del suo sviluppo". (Josif Stalin)<br />

HOLODOMOR<br />

(www.wikipe<strong>di</strong>a.it)<br />

L'Holodomor (in lingua ucraina Голодомор) fu la terribile carestia che colpì l'Ucraina sovietica tra il 1932 e il 1933. Si<br />

tratta <strong>della</strong> più grave catastrofe che si sia mai abbattuta sulla nazione ucraina durante la storia moderna, visto che essa<br />

significò la morte <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi milioni <strong>di</strong> persone (le stime sono molto <strong>di</strong>scordanti tra loro). Secondo <strong>di</strong>versi storici e lo<br />

stesso governo ucraino, la carestia è stata causata intenzionalmente dalla politica dell'Unione Sovietica, tanto da poter<br />

essere considerata un vero e proprio genoci<strong>di</strong>o.<br />

Il termine Holodomor deriva dall'espressione ucraina moryty holodom (Морити голодом), che significa "infliggere la<br />

morte attraverso la fame". In Ucraina, il giorno ufficiale <strong>di</strong> commemorazione dell'Holodomor è il quarto sabato <strong>di</strong><br />

novembre.<br />

Se è vero che la carestia che interessò l'Ucraina fu parte <strong>di</strong> un più ampio fenomeno che si manifestò in altre<br />

regioni sovietiche, il termine "Holodomor" si applica esclusivamente a quanto accadde nei territori abitati da genti <strong>di</strong><br />

etnia ucraina. Proprio per questo motivo, l'Holodomor è anche noto come "il genoci<strong>di</strong>o ucraino" o "l'olocausto<br />

ucraino", espressione usata con l'implicazione che la carestia sia stata appositamente pianificata dalle autorità<br />

sovietiche per <strong>di</strong>struggere la nazione ucraina come entità politica e sociale. Mentre gli storici sono ancora <strong>di</strong>visi sul fatto<br />

<strong>di</strong> considerare l'Holodomor un genoci<strong>di</strong>o (sulla base <strong>della</strong> definizione legale <strong>di</strong> genoci<strong>di</strong>o fornita dalla Convenzione per la<br />

prevenzione e la punizione del crimine <strong>di</strong> genoci<strong>di</strong>o), <strong>di</strong>versi Stati (Ucraina, Argentina, Australia, Azerbaijan, Belgio,<br />

Canada, Estonia, Georgia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania, Moldova, Perù, Polonia, Spagna Stati Uniti e Città del<br />

Vaticano) lo hanno riconosciuto come tale.<br />

Nei primi anni venti, quando l'Unione Sovietica aveva bisogno <strong>di</strong> guadagnare la simpatia delle altre nazioni al neonato<br />

stato comunista, l'Ucraina godette <strong>di</strong> un breve revival <strong>della</strong> sua cultura nazionale sotto la politica nazionalista nota come<br />

Korenizatsiya, che promuoveva l'inserimento dei rappresentanti dei singoli stati dell'Unione nel governo e nella<br />

burocrazia locale, così come nella piccola élite del Partito comunista. Questo periodo ebbe fine fin troppo presto,<br />

rimpiazzato dalla Russificazione, causando <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> gravi conflitti sociali, culturali e politici nei territori ucraini.<br />

Collettivizzazione<br />

Allo stesso tempo fu introdotta la collettivizzazione dell'agricoltura, che in Ucraina fu colpita molto più duramente che<br />

altrove, poiché l'Ucraina aveva una lunga tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fattorie possedute in<strong>di</strong>vidualmente, mentre la maggior parte<br />

delle fattorie russe, ad esempio, era <strong>di</strong> proprietà comune (anche se non collettiva).<br />

Inaspettatamente, dal punto <strong>di</strong> vista bolscevico, la collettivizzazione fu alquanto impopolare tra la popolazione rurale.<br />

Fintanto che essa fu volontaria, pochi vi aderirono; il regime iniziò <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> a porre pressioni sui conta<strong>di</strong>ni e, per<br />

accelerare il processo, decine <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> funzionari furono inviati in campagna tre il 1929 e il 1930.<br />

Contemporaneamente "Venticinquemila" lavoratori dell'industria, perlopiù devoti bolscevichi, furono inviati dalle città<br />

nelle campagne per aiutare a condurre le fattorie. Inoltre dovevano combattere le forme <strong>di</strong> <strong>resistenza</strong> attiva e passiva<br />

alla collettivizzazione, lotta che fu eufemisticamente denominata "dekulakizzazione": arrestando i kulaki — termine<br />

peggiorativo col quale erano designati i fattori che si supponeva si opponessero al regime e trattenessero il grano — e<br />

deportando forzatamente le loro famiglie nei gulag siberiani. In effetti il termine kulak fu applicato a chiunque resistesse<br />

alla collettivizzazione. Ci sono documenti che provano che circa 300.000 ucraini ne subirono le conseguenze nel 1930-<br />

31.<br />

La politica sovietica <strong>di</strong>ede prova <strong>di</strong> danneggiare il ren<strong>di</strong>mento dell'agricoltura ovunque, ma poiché l'Ucraina era l'area<br />

più produttiva (agli inizi del XX secolo oltre il 50% <strong>della</strong> farina <strong>della</strong> Russia imperiale era prodotto in quella nazione), lì<br />

gli effetti furono particolarmente drammatici. Malgrado la riduzione del ren<strong>di</strong>mento, le autorità sovietiche richiesero un<br />

sostanziale incremento del raccolto nel 1932, portandolo ad un obiettivo irrealizzabile, anche se alcuni storici credono<br />

che ciò non fosse intenzionale. Il 7 agosto 1932 il governo <strong>di</strong> Mosca varò un decreto che imponeva la pena <strong>di</strong> morte per<br />

il furto <strong>di</strong> una proprietà pubblica, includendo anche l'appropriarsi da parte <strong>di</strong> un conta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> grano per uso personale. A<br />

settembre il Politburo approvò delle misure che riducevano la pena a <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> detenzione per i casi meno gravi,<br />

limitando la pena <strong>di</strong> morte ai casi <strong>di</strong> furti sistematici <strong>di</strong> cibo.<br />

Magrado ciò alla fine <strong>di</strong> ottobre Mosca ricevette soltanto il 39% del grano richiesto. Quando <strong>di</strong>venne chiaro che la<br />

spe<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> grano non avrebbe raggiunto le aspettative del governo, la riduzione del ren<strong>di</strong>mento agricolo fu imputata<br />

ai kulaki, ai nazionalisti e ai "Petluravisti". Secondo un rapporto del capo <strong>della</strong> Corte Suprema, per la metà <strong>di</strong> gennaio<br />

1933 oltre 103.000 persone erano state condannate in base al decreto del 7 agosto; <strong>di</strong> queste 4.880 furono sentenze <strong>di</strong><br />

morte, 26.086 condanne a <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> prigione. Le condanne a morte furono comminate principalmente ai kulaki; la<br />

maggior parte delle condanne a <strong>di</strong>eci anni ai conta<strong>di</strong>ni che non lo erano.<br />

Repressione<br />

Una speciale commissione capeggiata da Vjačeslav Molotov fu inviata in Ucraina per sod<strong>di</strong>sfare le richieste <strong>di</strong> grano. Il<br />

9 novembre un decreto segreto or<strong>di</strong>nò alla polizia bolscevica e alle forze <strong>di</strong> repressione <strong>di</strong> aumentare la loro "efficacia".<br />

Molotov or<strong>di</strong>nò anche <strong>di</strong> non lasciare grano nei villaggi ucraini e confiscare anche barbabietole, patate, verdure ed ogni<br />

9


tipo <strong>di</strong> cibo. Il 6 <strong>di</strong>cembre furono imposte le seguenti sanzioni ai villaggi ucraini: <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> conservare nei villaggi<br />

alcun bene o cibo, il cibo o il grano trovato sarebbe stato re<strong>qui</strong>sito, <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> commerciare e confisca <strong>di</strong><br />

tutte le risorse finanziarie. [ Frequentemente delle "brigate d'assalto" effettuavano delle incursioni nelle fattorie per<br />

portar via il grano raccolto, senza tener conto se i conta<strong>di</strong>ni avessero cibo sufficiente per nutrirsi o se si lasciavano<br />

sementi per la prossima semina. Tutto ciò, combinato col <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> commercio e la quarantena armata imposta dalle<br />

truppe dell'NKVD ai confini dell'Ucraina, trasformò il paese in un gigantesco campo <strong>di</strong> sterminio.<br />

Carestia<br />

La carestia colpì soprattutto la popolazione rurale. A paragone <strong>della</strong> precedente carestia russa del 1921-1923, causata<br />

dalla concomitanza delle re<strong>qui</strong>sizioni e <strong>della</strong> siccità, e <strong>della</strong> successiva del 1947, la carestia del 1932-1933 in Ucraina<br />

non fu causata da un collasso infrastrutturale, né dalla guerra, ma fu un deliberato atto politico e una decisione<br />

amministrativa.<br />

Il risultato fu <strong>di</strong>sastroso. In pochi mesi la campagna ucraina, una delle più fertili regioni al mondo, fu lo scenario nel<br />

quale imperversò una terribile carestia. Il governo sovietico negò gli iniziali rapporti sull'evento e impedì ai giornalisti<br />

stranieri <strong>di</strong> viaggiare nella regione. Alcuni autori affermano che "il Politburo e i comitati del Partito regionale insistettero<br />

che azioni imme<strong>di</strong>ate e decisive fossero prese contro la carestia così che gli "agricoltori coscienziosi" non avessero a<br />

soffrire, mentre i comitati <strong>di</strong> Partito dei singoli <strong>di</strong>stretti dovevano essere istruiti affinché fornissero latte ad ogni<br />

bambino e decretassero che chiunque mancasse <strong>di</strong> mobilitare le risorse per sfamare o ospitare le vittime <strong>della</strong> carestia<br />

fosse perseguito".<br />

La realtà fu drammaticamente <strong>di</strong>fferente secondo il racconto <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> testimoni oculari. Le masse <strong>di</strong> bambini in<br />

fuga dalle campagne furono arrestate e deportate nei "collettori" e negli orfanotrofi, dove morirono presto <strong>di</strong><br />

malnutrizione. Il regime sovietico tentò, ad un certo livello, <strong>di</strong> limitare gli effetti <strong>della</strong> carestia, autorizzando l'utilizzo <strong>di</strong><br />

un totale <strong>di</strong> 320.000 tonnellate <strong>di</strong> grano come cibo. Le esportazioni <strong>di</strong> grano continuarono nel 1932-33, tuttavia, anche<br />

se a un livello significativamente inferiore agli anni precedenti.<br />

Per prevenire il <strong>di</strong>ffondersi <strong>di</strong> informazioni sulla carestia furono proibiti viaggi dal Don, dall'Ucraina, dal<br />

Caucaso settentrionale e dal Kuban con le <strong>di</strong>rettive del 22 gennaio 1933 (firmate da Molotov e Stalin) e del 23<br />

gennaio (<strong>di</strong>rettiva congiunta del Comitato Centrale del Partito e del Sovnarkom). Le <strong>di</strong>rettive affermavano che i viaggi<br />

"per il pane" da queste aree erano organizzati da nemici dell'Unione Sovietica con lo scopo <strong>di</strong> fomentare agitazioni nelle<br />

aree settentrionali dell'USSR contro le fattorie collettive; pertanto i biglietti ferroviari dovevano essere venduti soltanto<br />

<strong>di</strong>etro permesso dei comitati esecutivi (ispolkom) e coloro <strong>di</strong>retti a nord dovevano essere arrestati. Ciò contribuì ad<br />

aggravare il <strong>di</strong>sastro.<br />

Nel frattempo Stalin stava anche centralizzando il potere politico in Ucraina. Nel gennaio del 1933, in seguito alle<br />

lamentele da parte del Partito riguardanti i <strong>di</strong>sastrosi effetti <strong>della</strong> collettivizzazione forzosa, egli mandò Pavel Postyshev<br />

in Ucraina come vicesegretario, insieme a migliaia <strong>di</strong> funzionari russi. Postyshev eliminò tutti i funzionari ucraini contrari<br />

alla collettivizzazione o che avevano supportato l'ucrainizzazione degli anni '20, sebbene alcuni sopravvissero, inclusi<br />

Stanislav Kosior e Vlas Chubar.<br />

Le scorte <strong>di</strong> grano, limitate per dare un minimo sollievo alla carestia, erano ridotte per la semina del 1933, ma grazie<br />

alle con<strong>di</strong>zioni climatiche dell'anno la mietitura del 1932-33 fu adeguata ad evitare il protrarsi <strong>della</strong> carestia. Nella<br />

primavera del 1933 le re<strong>qui</strong>sizioni <strong>di</strong> grano furono ulteriormente incrementate perché le città si trovavano in<br />

<strong>di</strong>fficoltà. Allo stesso tempo continuavano le esportazioni, sebbene ad un livello ridotto. Le esportazioni erano viste<br />

come necessarie dal governo sovietico per ottenere valuta pregiata per rafforzare l'industrializzazione. La popolazione<br />

rispose a questa situazione con un'intensa <strong>resistenza</strong> politica, che però non <strong>di</strong>venne mai organizzata su vasta scala,<br />

anche per la bassa densità <strong>della</strong> popolazione rurale dell'Ucraina. Inoltre le autorità sovietiche risposero aspramente ai<br />

segni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenso, spesso deportando intere comunità.<br />

Stime delle vittime<br />

Mentre il corso degli eventi, così come le cause sottostanti, può essere tuttora oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito, nessuno nega il fatto<br />

che milioni <strong>di</strong> persone morirono d'ine<strong>di</strong>a, o comunque non <strong>di</strong> cause naturali, per la fine del 1933. L'Unione Sovietica ha<br />

negato a lungo che ci sia mai stata una carestia e gli archivi dell'NKVD (e più tar<strong>di</strong> del KGB) relativi all'Holodomor sono<br />

stati aperti con riluttanza. Il numero esatto <strong>di</strong> vittime rimane sconosciuto e probabilmente non sarà mai conosciuto.<br />

Il numero <strong>di</strong> vittime riconosciuto ufficialmente è <strong>di</strong> 7 milioni. Il ministro degli esteri ucraino <strong>di</strong>chiaro' alla<br />

61a assemblea delle Nazioni Unite che le vittime furono tra i 7 ed i 10 milioni, tuttavia le stime delle vittime<br />

variano da 1,5 a 10 milioni e, secondo Stanislav Kulchytsky, moderni meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> calcolo in<strong>di</strong>cano una cifra<br />

compresa tra 3 e 3,5 milioni <strong>di</strong> morti.<br />

LA POESIA DI ANNA ACHMATOVA (1889-1966)<br />

Anna Achmatova (pseudonimo <strong>di</strong> Anna Andreevna Gorenko) è una delle voci più importanti <strong>della</strong> poesia russa del<br />

Novecento. Nata a Odessa (Ucraina) nel 1889, è morta a Mosca nel 1966. Nel 1939 Gumilev, suo primo marito, viene<br />

fucilato per attività controrivoluzionaria e molti suoi amici poeti finiscono nei gulag staliniani. Nel 1938 il suo unico<br />

figlio, Lev, viene imprigionato in attesa <strong>della</strong> condanna a morte. Ogni mattina, per <strong>di</strong>ciassette mesi, la Achmatova si<br />

reca davanti al carcere per avere sue notizie. Il poemetto Re<strong>qui</strong>em nasce da questa tragica esperienza, con<strong>di</strong>visa con<br />

altre centinaia <strong>di</strong> madri. Le sue migliori amiche provvidero a memorizzare questi versi, certe dell’intolleranza del<br />

governo a quel genere <strong>di</strong> lirica. La sua poesia, dapprima intima e sentimentale, si fa espressione <strong>di</strong> un intero popolo<br />

sofferente. Il regime ostacolò la pubblicazione dei suoi testi, che vennero bollati <strong>di</strong> pessimismo nevrotico e <strong>di</strong> erotismo<br />

malato. Unica, tra i poeti <strong>della</strong> sua generazione, ad aver vissuto così a lungo, la Achmatova rappresenta la memoria e la<br />

sopravvivenza dello spirito <strong>della</strong> grande terra-madre russa.<br />

Ultimo brin<strong>di</strong>si (Da Il giunco)<br />

Bevo a una casa <strong>di</strong>strutta,<br />

alla mia vita sciagurata,<br />

10


a solitu<strong>di</strong>ni vissute in due<br />

e bevo anche a te:<br />

all’inganno <strong>di</strong> labbra che tra<strong>di</strong>rono,<br />

al morto gelo dei tuoi occhi,<br />

ad un mondo crudele e rozzo,<br />

ad un Dio che non ci ha salvato.<br />

1934<br />

Da Re<strong>qui</strong>em<br />

In luogo <strong>di</strong> prefazione<br />

Negli anni terribili <strong>della</strong> ežóvšcina ho passato <strong>di</strong>ciassette mesi in fila davanti alle carceri <strong>di</strong> Leningrado. Una volta<br />

qualcuno mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra livide che stava <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me e che, sicuramente, non aveva mai<br />

sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico <strong>di</strong> noi tutti e mi domandò in un orecchio (lì tutti<br />

parlavano sussurrando):<br />

- Ma questo lei può descriverlo?<br />

E io <strong>di</strong>ssi:<br />

- Posso.<br />

Allora una sorta <strong>di</strong> sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto (1957).<br />

******<br />

Ti hanno portato via all’alba,<br />

Io ti venivo <strong>di</strong>etro, come a un funerale,<br />

Nella stanza buia i bambini piangevano,<br />

sull’altarino il cero sgocciolava.<br />

Sulle tue labbra il freddo dell’icona.<br />

Il sudore mortale sulla fronte… Non si scorda!<br />

Come le mogli degli strelizzi, ululerò<br />

Sotto le torri del Cremlino (1935).<br />

******<br />

No, non sono io, è qualcun altro che soffre.<br />

Io non potrei essere così, ma ciò che è accaduto<br />

neri drappi lo coprano,<br />

e portino via le lanterne...<br />

Notte.<br />

******<br />

Diciassette mesi che grido,<br />

ti chiamo a casa.<br />

Mi gettavo ai pie<strong>di</strong> del boia,<br />

figlio mio e mio incubo.<br />

Si è confuso tutto per sempre,<br />

e non riesco a comprendere<br />

chi è un belva, chi è un uomo,<br />

e se attenderò a lungo il supplizio.<br />

Rigogliosi fiori soltanto,<br />

tintinnio del turibolo e tracce<br />

chissà dove, nel nulla.<br />

E mi fissa dritto negli occhi<br />

e minaccia prossima morte<br />

un'enorme stella (1939).<br />

******<br />

La sentenza<br />

E sul mio petto ancora vivo<br />

piombò la parola <strong>di</strong> pietra.<br />

Non fa nulla, vi ero pronta,<br />

in qualche modo ne verrò a capo.<br />

Oggi ho da fare molte cose:<br />

occorre sino in fondo uccidere la memoria,<br />

occorre che l’anima impietrisca,<br />

occorre imparare <strong>di</strong> nuovo a vivere.<br />

Se no... Oltre la finestra<br />

l’ardente fremito dell’estate, come una festa.<br />

Da tempo lo presentivo:<br />

un giorno ra<strong>di</strong>oso e la casa deserta (1939).<br />

11


GULAG<br />

(www.wiklpe<strong>di</strong>a.it)<br />

Gulag dal russo ГУЛАГ: Главное Управление Исправительно — Трудовых Лагерей, "Glavnoe Upravlenie<br />

Ispravitelno-trudovykh LAGerej", "Direzione principale dei campi <strong>di</strong> lavoro correttivi" spesso scritto GULag) era il ramo<br />

<strong>della</strong> Polizia dell'interno e servizio <strong>di</strong> sicurezza sovietico che costituì il sistema penale dei campi <strong>di</strong> lavoro forzato.<br />

Benché questi campi fossero stati pensati per criminali <strong>di</strong> ogni tipo, il sistema dei Gulag è noto soprattutto come mezzo<br />

<strong>di</strong> repressione degli oppositori politici dell'Unione Sovietica.<br />

Taluni autori chiamano Gulag tutte le prigioni e i campi sparsi lungo la storia sovietica (1917–1991). Inoltre, l'uso<br />

moderno del termine spesso non ha correlazione con l'URSS: per esempio in espressioni come "gulag nordcoreani",<br />

"gulag cinesi" (ve<strong>di</strong> Laogai), o ad<strong>di</strong>rittura "il gulag privato dell'america". È degno <strong>di</strong> nota che l'acronimo originale russo,<br />

mai al plurale, descriveva non un singolo campo, ma l'amministrazione incaricata dell'intero sistema dei campi nel suo<br />

complesso.<br />

In occidente, il termine Gulag era ampiamente <strong>di</strong>ffuso sui giornali fin dagli anni '40 e, in contesti più limitati, dagli anni<br />

'30. L'enorme risonanza che ebbe il libro Arcipelago Gulag <strong>di</strong> Aleksandr Solženicyn negli anni '70, portò ad usare il<br />

termine Gulag per in<strong>di</strong>care i campi stessi, invece dell'amministrazione <strong>di</strong> controllo. Nella traduzione italiana <strong>di</strong><br />

Arcipelago Gulag i campi sono sempre chiamati Lager, così come in <strong>di</strong>versi altri libri. Fin dagli anni '20, nei testi<br />

italiani erano usati i termini Lager o campo <strong>di</strong> concentramento per in<strong>di</strong>care i campi [2] . Nella letteratura italiana, la<br />

traduzione del significato dell'acronimo non è unanime: in Arcipelago Gulag (1974-75-78) si trova "Direzione Generale<br />

dei Lager", mentre in Fra i deportati dell'U.R.S.S. (1939) è in<strong>di</strong>cato "Direzione Generale dei Campi <strong>di</strong> Concentramento".<br />

Un nome collo<strong>qui</strong>ale per un incarcerato in un Gulag sovietico era "zeka", "zek". In russo, compagno (<strong>di</strong> cella),<br />

incarcerato si <strong>di</strong>ce "заключённый", zaključënnyj, <strong>di</strong> solito abbreviato in 'з/к', pronuncia 'зэка' (zèka), trasformato<br />

gradualmente in 'зэк' e in 'зек'. Il termine è ancora usato collo<strong>qui</strong>almente senza alcuna connessione coi campi <strong>di</strong><br />

lavoro. 'з/к' era in principio un acronimo che stava per "заключённый каналостроитель", "zaključënnyj kanalostroitel'"<br />

(scavatore <strong>di</strong> canali incarcerato), traendo origine dalla forza lavoro schiava del canale Volga-Don. Quin<strong>di</strong> il termine<br />

passò a in<strong>di</strong>care, come acrostico, semplicemente "zaključënnyj".<br />

Nati durante il periodo degli zar e probabilmente fondati da Pietro il Grande, erano usati come campi per i detenuti<br />

politici anti zaristi e personaggi scomo<strong>di</strong>. Dopo la rivoluzione bolscevica avvenne la liberazione <strong>di</strong> tutti i prigionieri, ma<br />

nel 1917 Lenin annunciò che tutti i "nemici <strong>di</strong> classe", anche in assenza <strong>di</strong> prove <strong>di</strong> alcun crimine contro lo stato, non<br />

potevano essere fidati e non dovevano essere trattati meglio dei criminali. Dal 1918, vennero ristrutturate le<br />

attrezzature <strong>di</strong> detenzione in campi, quali ampliamento e riassetto dei precedenti campi <strong>di</strong> lavoro katorga, realizzati in<br />

Siberia come parte del sistema penale <strong>della</strong> Russia imperiale. I due tipi principali erano i "Campi speciali Vechecka"<br />

(особые лагеря ВЧК) e i Campi <strong>di</strong> lavoro forzato (лагеря принудительных работ). Questi venivano eretti per varie<br />

categorie <strong>di</strong> persone considerate pericolose per lo stato: criminali comuni, prigionieri <strong>della</strong> Guerra civile russa,<br />

funzionari accusati <strong>di</strong> corruzione, sabotaggio e malversazione, nemici politici vari e <strong>di</strong>ssidenti, nonché ex nobili,<br />

impren<strong>di</strong>tori e gran<strong>di</strong> proprietari terrieri.<br />

Come istituzione totalmente sovietica, il Gulag (al singolare, inteso come amministrazione generale) fu<br />

ufficialmente fondato il 25 aprile 1930, con la sigla <strong>di</strong> "Ulag", in virtù dell'or<strong>di</strong>nanza 130/63 dell'OGPU, ai sensi<br />

dell'or<strong>di</strong>nanza 22, p. 48, del Sovnarkom, in data 7 aprile 1930, e fu rinominato con la sigla Gulag in novembre. I Gulag<br />

crebbero rapidamente. Progetti falliti, cattivi raccolti, incidenti, sottoproduzione, pianificazione insufficiente, vennero<br />

or<strong>di</strong>nariamente attribuiti a corruzione e sabotaggio, e presunti ladri e sabotatori su cui scaricare la colpa furono trovati<br />

in massa. Contemporaneamente, il bisogno <strong>di</strong> risorse naturali in rapido incremento ed un programma <strong>di</strong><br />

industrializzazione in boom alimentarono la domanda <strong>di</strong> lavoro a basso costo. Si <strong>di</strong>ffusero denunce, arresti a quota,<br />

esecuzioni sommarie e attività <strong>di</strong> polizia segreta. Le opportunità più ampie per una facile, talora automatica, condanna<br />

dei "criminali" venne fornita dall'articolo 58 del co<strong>di</strong>ce penale <strong>della</strong> Repubblica Federale Socialista Sovietica <strong>di</strong> Russia.<br />

Durante la Seconda guerra mon<strong>di</strong>ale la popolazione dei Gulag <strong>di</strong>minuì significativamente, a causa <strong>della</strong> "liberazione" <strong>di</strong><br />

massa <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> prigionieri che furono arruolati e inviati <strong>di</strong>rettamente sulle linee del fronte, ma<br />

soprattutto a causa <strong>di</strong> una vertiginosa crescita <strong>della</strong> mortalità nel 1942-43. Dopo la II guerra mon<strong>di</strong>ale il numero <strong>di</strong><br />

internati nei campi <strong>di</strong> prigionia e nelle colonie crebbe <strong>di</strong> nuovo rapidamente e raggiunse il numero <strong>di</strong> circa<br />

due milioni e mezzo <strong>di</strong> persone all'inizio degli anni cinquanta. Sebbene alcuni <strong>di</strong> questi fossero <strong>di</strong>sertori e<br />

criminali, c'erano anche prigionieri <strong>di</strong> guerra russi rimpatriati e "lavoratori dell'Est", tutti universalmente accusati <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>mento e "cooperazione col nemico" (formalmente, lavoravano davvero per i Nazisti). Vi furono spe<strong>di</strong>ti anche un<br />

ampio numero <strong>di</strong> civili dei territori russi caduti sotto occupazione straniera, come pure dai territori annessi all'Unione<br />

Sovietica dopo la guerra. Non fu raro per i sopravvissuti ai Lager nazisti essere trasportati <strong>di</strong>rettamente ai Gulag<br />

sovietici.<br />

Per alcuni anni dopo la II guerra mon<strong>di</strong>ale una significativa minoranza dei reclusi fu costituita da tedeschi, finlandesi,<br />

romeni, e altri prigionieri <strong>di</strong> guerra appartenenti a paesi "liberati" dall'Armata Rossa.<br />

Lo stato continuò a mantenere i Gulag per un certo periodo dopo la morte <strong>di</strong> Stalin nel marzo del 1953. Il successivo<br />

programma <strong>di</strong> amnistia fu limitato a coloro che dovevano trascorrere al massimo cinque anni, pertanto, furono liberati<br />

soprattutto i condannati per reati comuni. Il rilascio dei prigionieri politici iniziò nel 1954 e si <strong>di</strong>ffuse e si accompagnò a<br />

riabilitazioni <strong>di</strong> massa dopo che Nikita Khruščёv sconfessò lo stalinismo nel Discorso segreto al ventesimo congresso<br />

del Pcus, nel febbraio del 1956.<br />

Ufficialmente i Gulag furono soppressi dall'or<strong>di</strong>nanza numero 20 del 25 gennaio 1960 del ministero degli<br />

interni sovietico (che funzionava come polizia segreta), e lo stesso ministero fu a sua volta ufficialmente soppresso<br />

dall'or<strong>di</strong>nanza 44-16 del Presi<strong>di</strong>o del Consiglio Supremo dell'Urss, per risorgere col nome <strong>di</strong> KGB.<br />

12


SOLZENICYN<br />

(www.wikipe<strong>di</strong>a.it)<br />

Aleksandr Isaevič Solženicyn (in russo Алекса́ндр Иса́евич Солжени́цын, traslitterato anche come Aleksandr<br />

Isaevič Solženitsyn o Aleksandr Isaevich Solzhenitsyn, pronuncia Aliksàndr Saljanìtsin) (Kislovodsk, 11<br />

<strong>di</strong>cembre 1918 – Mosca, 3 agosto 2008) è stato uno scrittore, drammaturgo e <strong>storico</strong> russo. Attraverso i suoi scritti ha<br />

fatto conoscere al mondo i Gulag, i campi <strong>di</strong> lavoro sovietici, e, per questo merito, ricevette il Premio Nobel per la<br />

letteratura nel 1970 e fu esiliato dall'Unione Sovietica quattro anni dopo. Ritornò in Russia nel 1994. Nello stesso anno<br />

fu eletto membro dell'Accademia serba delle arti e delle scienze nel Dipartimento lingua e letteratura.<br />

UNA GIORNATA NELLA VITA DI IVAN DENISOVICH<br />

Un giorno nella vita <strong>di</strong> Ivan Denisovich è il titolo <strong>di</strong> un romanzo <strong>di</strong> Aleksandr Solženicyn scritto nel 1962.<br />

Lo scrittore patì nel periodo staliniano un<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> lavoro forzato nei gulag siberiani, rimanendo internato anche dopo<br />

il 1956, quando ebbe inizio il processo <strong>di</strong> destalinizzazione. Il timore che non gli venisse concesso il rientro in patria, gli<br />

impedì <strong>di</strong> recarsi a ritirare il Premio Nobel nell'anno 1970.<br />

La sua affermazione internazionale è legata appunto al racconto Una giornata <strong>di</strong> Ivan Denisovič in cui descrive le<br />

terribili con<strong>di</strong>zioni in cui si trovano i reclusi nei campi.<br />

Aleksandr Solženicyn - che dopo un periodo <strong>di</strong> esilio negli USA fece ritorno in Russia solo dopo la caduta del comunismo<br />

- tornerà sul tema con altre opere e particolarmente incisivo risulterà quello che forse è il suo lavoro maggiormente<br />

conosciuto, Arcipelago Gulag, pubblicato nel 1974. .<br />

Le pagine <strong>di</strong> Ivan Denisovič presentano una umanità costretta a vivere in con<strong>di</strong>zioni subumane, in balia <strong>di</strong> un potere<br />

cieco ed assurdo. Per certi versi riecheggia la prosa <strong>di</strong> Primo Levi, particolarmente nella descrizione <strong>della</strong> quoti<strong>di</strong>anità<br />

all'interno <strong>di</strong> un lager.<br />

Oltre gli orrori fisici ampiamente preve<strong>di</strong>bili (freddo, fame, sfinimento, <strong>di</strong>sumanità dei carcerieri) grava sul protagonista<br />

la pesante coartazione psicologica e relazionale che un sistema come quello <strong>di</strong> un campo <strong>di</strong> concentramento induce,<br />

nella ricerca dell'annullamento dell'in<strong>di</strong>viduo fino a farlo <strong>di</strong>ventare cosa.<br />

Nei campi e nelle prigioni Ivan Denisovič si era <strong>di</strong>sabituato a pensare a che cosa avrebbe fatto fra un giorno o fra un<br />

anno e come avrebbe mantenuto la famiglia. Per lui pensavano i capi.<br />

Nel campo la squadra è fatta in modo che il capo non abbia bisogno <strong>di</strong> aizzare i detenuti, ma siano i detenuti ad aizzarsi<br />

l'un l'altro. La scelta può essere solo fra un supplemento <strong>di</strong> rancio per tutti o - ugualmente - la morte per tutti.<br />

ARCIPELAGO GULAG<br />

Arcipelago Gulag è un saggio <strong>di</strong> inchiesta narrativa e<strong>di</strong>to in tre volumi scritto da Aleksandr Solženicyn nel quale si<br />

ripercorre, con luci<strong>di</strong>tà e precisione, il periodo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttatura comunista in URSS e il terrificante utilizzo <strong>della</strong> giustizia<br />

politica e dei campi <strong>di</strong> concentramento amministrati dal Gulag <strong>di</strong>sseminati in tutta l'Unione Sovietica.<br />

L'opera <strong>di</strong> Solženicyn unisce i tratti caratteristici dell'autobiografia, <strong>della</strong> ricerca storiografica e <strong>della</strong> critica incessante<br />

verso il potere sovietico, descrivendo minuziosamente, attraverso anche numerose testimonianze dei superstiti, il<br />

percorso carcerario dall'istruttoria ai lager speciali, dall'arresto causato da una delazione fino al termine <strong>della</strong> pena.<br />

Arcipelago Gulag ha avuto una risonanza molto rilevante per quel che riguarda l'opinione pubblica internazionale in<br />

quanto ha fornito il più seminale e dettagliato contributo sull'altra faccia dell'URSS post-rivoluzionaria.<br />

13


IL FREDDO ESTREMO DI KOLYMA<br />

[dal sito “Studenti&Citta<strong>di</strong>ni” dell’Assemblea Legislativa <strong>della</strong> Regione Emilia-Romagna]<br />

Nei racconti <strong>di</strong> Varmam Salamov (arrestato nel 1937 e liberato nel 1951), il freddo mici<strong>di</strong>ale <strong>della</strong> Siberia nord-orientale <strong>di</strong>venta<br />

metafora <strong>di</strong> un altro ben più terribile gelo, presente a Kolyma: quello <strong>della</strong> totale in<strong>di</strong>fferenza per le sofferenze umane.<br />

A noi lavoratori non mostravano mai il termometro; del resto era inutile visto che con qualsiasi temperatura dovevamo<br />

comunque andare a lavorare. Inoltre i veterani <strong>della</strong> galera, anche senza termometro, potevano stabilire con precisione<br />

quasi assoluta quanti gra<strong>di</strong> sotto zero ci fossero: se c’è una nebbia gelata, fuori fa meno quaranta; se l’aria esce con<br />

rumore dal naso, ma non si fa ancora fatica a respirare, vuol <strong>di</strong>re che siamo a meno quarantacinque; se la respirazione<br />

è rumorosa e si avverte affanno, allora meno cinquanta. Sotto i meno cinquantacinque, lo sputo gela in volo. Ed erano<br />

già due settimane che gli sputi gelavano in volo.<br />

Ogni mattina, Potasnikov si svegliava con una speranza: si era attenuato il gelo? Dall’esperienza dell’inverno<br />

precedente sapeva che, per quanto bassa fosse la temperatura, era sufficiente una sua variazione improvvisa, un<br />

contrasto netto per provare una sensazione <strong>di</strong> calore. Anche se la temperatura fosse risalita solo fino a quarantaquarantacinque<br />

gra<strong>di</strong>, per un paio <strong>di</strong> giorni avrebbero sentito caldo; e fare progetti al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> quei due giorni era del<br />

tutto insensato.<br />

Ma il gelo non si attenuava, e Potasnikov si rendeva conto che non avrebbe potuto resistere ancora molto. La colazione<br />

gli bastava per un’ora <strong>di</strong> lavoro al massimo, poi arrivava la stanchezza, il gelo gli trapassava il corpo fino alle ossa e<br />

quel modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re popolare non era affatto una metafora. Non poteva fare altro che agitare il più possibile l’attrezzo che<br />

stava usando e saltellare da un piede all’altro per non congelare, questo fino all’ora <strong>di</strong> pranzo. Il pasto caldo – la<br />

famigerata juska acquosa e due cucchiaiate <strong>di</strong> pappa, la kasa – non lo rimetteva in forze ma almeno lo riscaldava. E <strong>di</strong><br />

nuovo aveva forze bastanti per non più <strong>di</strong> un’ora <strong>di</strong> lavoro, dopo <strong>di</strong> che Potasnikov desiderava soltanto una cosa:<br />

riscaldarsi, oppure abbandonarsi lungo <strong>di</strong>steso sulle aguzze pietre ghiacciate e morire. La giornata in qualche modo<br />

finiva e dopo il pasto serale, bevuta l’acqua calda con il pane – nessuno mangiava il pane alla mensa con la minestra,<br />

se lo portavano tutti nella baracca – Potasnikov si metteva subito a letto.<br />

Naturalmente lui dormiva su uno dei tavolacci <strong>di</strong> sopra: da basso faceva freddo come in una cantina ghiacciata e quelli<br />

che avevano i posti <strong>di</strong> sotto passavano metà <strong>della</strong> notte in pie<strong>di</strong> vicino alla stufa, facendo a turno per stringersi contro<br />

<strong>di</strong> essa con entrambe le braccia: era appena tiepida. Non c’era mai legna sufficiente: bisognava procurarsela, a quattro<br />

chilometri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, dopo il lavoro, e tutti cercavano <strong>di</strong> sottrarsi in qualsiasi modo a questa incombenza. Di sopra<br />

faceva più caldo, ma naturalmente anche lì tutti dormivano con addosso gli stessi indumenti che indossavano <strong>di</strong> giorno<br />

per andare a lavorare: berretti, giacconi, casacche, pantaloni imbottiti. Di sopra faceva più caldo, ma anche lì bastava<br />

una notte perché il gelo incollasse i capelli al cuscino.<br />

Potasnikov sentiva le sue forze <strong>di</strong>minuire <strong>di</strong> giorno in giorno. Lui, un uomo <strong>di</strong> trent’anni, faceva ormai fatica sia a issarsi<br />

sui tavolacci superiori, sia a ri<strong>di</strong>scenderne. Il suo vicino <strong>di</strong> letto era morto il giorno prima, era morto così, non si era<br />

svegliato, e nessuno si era preoccupato <strong>di</strong> sapere <strong>di</strong> cosa fosse morto, come se la causa potesse essere una sola, quella<br />

che tutti conoscevamo bene. Il piantone <strong>della</strong> baracca era contento che fosse morto <strong>di</strong> mattina e non <strong>di</strong> sera:<br />

l’approvvigionamento giornaliero del defunto sarebbe andato a lui. Non era un segreto, e Potasnikov aveva preso il<br />

coraggio a quattro mani, gli si era avvicinato: "Dammene una crosta", ma l’altro l’aveva accolto con una serie <strong>di</strong><br />

violente ingiurie, quali poteva proferire solo un uomo debole <strong>di</strong>ventato forte, il quale sa che le sue ingiurie resteranno<br />

impunite. Solo in circostanze eccezionali accade che un debole ingiuri un forte, ed è il coraggio <strong>della</strong> <strong>di</strong>sperazione.<br />

Potasnikov non aveva replicato e si era fatto da parte. [...]<br />

Non faceva una colpa a nessuno per tanta in<strong>di</strong>fferenza. Aveva capito per tempo da dove venisse quell’ottusità spirituale,<br />

quel freddo dell’anima. Il gelo, quello stesso gelo che trasformava in ghiaccio uno sputo prima che toccasse terra, era<br />

penetrato anche nelle anime degli uomini. Se potevano congelarsi le ossa, se poteva congelarsi e intorpi<strong>di</strong>rsi il cervello,<br />

altrettanto poteva accadre anche all’anima. Nella morsa del gelo non si poteva pensare a niente. Ed era tutto molto<br />

semplice. Con il freddo e la fame il cervello veniva alimentato in modo insufficiente e le cellule cerebrali deperivano: un<br />

evidente processo fisico che chissà se era reversibile, come si <strong>di</strong>ce in me<strong>di</strong>cina, al pari <strong>di</strong> un congelamento, o provocava<br />

un danno definitivo. Così l’anima: si era congelata, rattrappita e sarebbe forse rimasta tale per sempre. In passato<br />

Potasnikov aveva avuto spesso <strong>di</strong> questi pensieri, ma ora non gli restava nient’altro che il desiderio <strong>di</strong> resistere, <strong>di</strong><br />

vedere la fine <strong>di</strong> quel gelo restando vivo.<br />

(V. Salamov, I racconti <strong>di</strong> Kolyma , Torino, Einau<strong>di</strong>, 1999, pp. 17-19. Traduzione <strong>di</strong> S.<br />

Rapetti)<br />

MASSACRO DI KATYN<br />

(www.wikipe<strong>di</strong>a.it)<br />

Il Massacro <strong>della</strong> foresta <strong>di</strong> Katyń, noto anche più semplicemente come Massacro <strong>di</strong> Katyń, avvenne durante la<br />

seconda guerra mon<strong>di</strong>ale e comportò l'esecuzione <strong>di</strong> massa, da parte dell'Unione Sovietica, <strong>di</strong> soldati e civili<br />

polacchi. L'espressione si riferì inizialmente al massacro dei soli ufficiali polacchi detenuti del campo <strong>di</strong> prigionia <strong>di</strong><br />

Kozielsk, che avvenne appunto nella foresta <strong>di</strong> Katyn, vicino al villaggio <strong>di</strong> Gnezdovo, a breve <strong>di</strong>stanza da Smolensk.<br />

Attualmente l'espressione denota invece l'uccisione <strong>di</strong> circa 22.000 citta<strong>di</strong>ni polacchi: i prigionieri <strong>di</strong> guerra dei campi <strong>di</strong><br />

Kozielsk, Starobielsk e Ostashkov e i detenuti delle prigioni <strong>della</strong> Bielorussia e Ucraina occidentali, fatti uccidere su<br />

or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Stalin nella foresta <strong>di</strong> Katyn e nelle prigioni <strong>di</strong> Kalinin (Tver), Kharkov e <strong>di</strong> altre città sovietiche.<br />

Molti polacchi erano stati fatti prigionieri a seguito dell'invasione e sconfitta <strong>della</strong> Polonia da parte <strong>di</strong> tedeschi e sovietici<br />

nel settembre 1939. Vennero internati in <strong>di</strong>versi campi <strong>di</strong> detenzione, tra cui i più noti sono Ostashkov, Kozielsk e<br />

Starobielsk. Kozielsk e Starobielsk vennero usati principalmente per gli ufficiali, mentre Ostashkov conteneva<br />

principalmente, guide, gendarmi, poliziotti e secon<strong>di</strong>ni. Contrariamente ad una credenza <strong>di</strong>ffusa, solo 8.000 dei circa<br />

15.000 prigionieri <strong>di</strong> guerra <strong>di</strong> questi campi erano ufficiali.<br />

14


L'ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Katyn fa riflettere perché da esso emerge un carattere <strong>della</strong> <strong>di</strong>ttatura staliniana che è stato a lungo<br />

imbarazzante riconoscere, vale a <strong>di</strong>re la sua affinità con il nazismo. Infatti, poiché il sistema <strong>di</strong> coscrizione polacco<br />

prevedeva che ogni laureato <strong>di</strong>venisse un ufficiale <strong>della</strong> riserva, il massacro doveva servire ad eliminare una parte<br />

cospicua <strong>della</strong> classe <strong>di</strong>rigente nazionale. Tutto ciò nel quadro <strong>di</strong> una spartizione <strong>della</strong> Polonia tra Germania ed<br />

URSS, due potenze che rappresentano due sistemi culturali ed ideologici opposti ed antitetici, ma che, fino<br />

al giugno 1941, furono legate da un patto <strong>di</strong> alleanza. Il 5 marzo 1940, secondo un'informativa preparata da<br />

Lavrentij Beria (capo <strong>della</strong> polizia segreta sovietica) <strong>di</strong>rettamente per Stalin, alcuni membri del politburo dei Soviet –<br />

Stalin, Vyacheslav Molotov, Lazar Kaganovich, Mikhail Kalinin, Kliment Vorošilov, e Beria stesso – firmarono un or<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> esecuzione degli attivisti "nazionalisti e controrivoluzionari" detenuti nei campi e nelle prigioni delle parti occupate <strong>di</strong><br />

Ucraina e Bielorussia. L'ampia definizione del capo d'accusa comportò la condanna a morte <strong>di</strong> una parte importante<br />

dell'intellighentsia polacca, oltre a poliziotti, riservisti e ufficiali in servizio attivo. Morirono oltre 22.000 uomini,<br />

compresi circa 15.000 prigionieri <strong>di</strong> guerra.<br />

La scoperta del massacro nel 1943 causò l'imme<strong>di</strong>ata rottura delle relazioni <strong>di</strong>plomatiche tra il governo polacco in esilio<br />

a Londra e l'Unione Sovietica. L'URSS negò le accuse fino al 1990, quando riconobbe nell'NKVD la responsabile<br />

del massacro e <strong>della</strong> sua copertura.<br />

IL COMPLOTTO DEI MEDICI<br />

(www.wikipe<strong>di</strong>a.it)<br />

Il Complotto dei Me<strong>di</strong>ci (o l'Affare dei Me<strong>di</strong>ci) fu un caso giu<strong>di</strong>ziario montato ad arte a carico <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci<br />

dell'Unione Sovietica, accusati <strong>di</strong> aver attentato alla vita <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi leader sovietici. I primi arresti vennero<br />

effettuati nell'ottobre del 1952, ma la vicenda si chiuse <strong>di</strong> colpo con l'agonia e la morte <strong>di</strong> Stalin nei primi<br />

giorni del marzo 1953.<br />

L'affare prese le mosse da una lettera inviata dalla dottoressa Lidja Timašuk, car<strong>di</strong>ologa dell'Ospedale del Cremlino, che<br />

aveva appena visitato Andrej Zdanov, vittima <strong>di</strong> un malore mentre era in vacanza. La <strong>di</strong>agnosi <strong>della</strong> Timašuk era <strong>di</strong><br />

parere opposto a quella <strong>di</strong> altri specialisti che avevano visitato Zdanov, il quale morì pochi giorni dopo. La cosa rimase<br />

sostanzialmente segreta fino all'ottobre 1952, quando Stalin or<strong>di</strong>nò l'arresto <strong>di</strong> molte personalità eminenti in ambito<br />

me<strong>di</strong>co, fra cui <strong>di</strong>versi specialisti operanti al Cremlino, compreso il <strong>di</strong>rettore stesso dell'Ospedale del Cremlino, Egorov,<br />

ed il suo stesso me<strong>di</strong>co curante, Vinogradov. Solo a questo punto, venne portata la lettera <strong>della</strong> Timašuk come prova a<br />

carico dei me<strong>di</strong>ci, colpevoli <strong>di</strong> aver attentato alla salute delle alte cariche dello stato.<br />

La presunta organizzazione del complotto coinvolgeva moltissime persone <strong>di</strong> origine ebraica, e si inquadra pertanto<br />

nella volontà <strong>di</strong> Stalin <strong>di</strong> ravvivare l'antisemitismo nel paese. Con il proseguire <strong>della</strong> campagna <strong>di</strong> stampa, si<br />

cominciarono a confondere genericamente tutti i complotti <strong>di</strong> supposta origine ebraica, mischiandoli a vicende <strong>di</strong><br />

spionaggio con protagonisti i paesi occidentali.<br />

Le false confessioni che dovevano servire a coinvolgere altri me<strong>di</strong>ci furono estorte con la tortura, e fornivano la prova<br />

<strong>della</strong> presenza <strong>di</strong> un complotto organizzato per "assassinare <strong>di</strong>rigenti del partito, dello stato e dell'esercito, attraverso<br />

meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> cura notoriamente errati".<br />

Scopo secondario <strong>della</strong> campagna era probabilmente anche mettere sotto accusa l'apparato <strong>di</strong> sicurezza nazionale, nelle<br />

persone <strong>di</strong> Berija ed V.A.Abakumov, accusando gli organi <strong>di</strong> sicurezza <strong>di</strong> scarsa vigilanza.<br />

Le prime notizie dell'arresto dei me<strong>di</strong>ci e i dettagli del "complotto" comparvero sulla Pravda del 13 gennaio 1953 in un<br />

articolo dal titolo "Sotto la maschera dei professori-dottori: Spie e assassini infami". L'articolo non era firmato, ma<br />

esistono forti sospetti che alla sua redazione partecipò Stalin in prima persona. La settimana successiva, la dottoressa<br />

Timašuk venne insignita dell'Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Lenin, mentre proseguiva la campagna <strong>di</strong> stampa, e nel paese si faceva strada<br />

l'ostilità <strong>della</strong> popolazione nei confronti dei me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> origine ebraica. Altri articoli successivi, come quello del 31<br />

gennaio 1953, collegavano i presunti delitti dei me<strong>di</strong>ci ebrei in Russia ad altre operazioni per colpire rappresentanti dei<br />

governi comunisti, come il processo simile svoltosi a Praga. La stampa faceva anche circolare sospetti <strong>di</strong> collegamenti<br />

con servizi segreti occidentali, in particolare britannici.<br />

L'ultimo articolo nella stampa ufficiale, che menziona il complotto dei me<strong>di</strong>ci ed il collegamento a vicende <strong>di</strong> spionaggio<br />

internazionale, comparve il 1. marzo 1953. Nel frattempo era cominciata l'agonia <strong>di</strong> Stalin, che sarebbe poi morto il 5<br />

marzo, ed i responsabili del partito avevano dato in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> cessare la campagna antisemita, anche se non si può<br />

escudere che lo stesso Stalin avesse preparato una sorta <strong>di</strong> marcia in<strong>di</strong>etro o rallentamento <strong>della</strong> campagna stessa.<br />

Siti Internet<br />

Sul GULag in generale:<br />

www.gulag-italia.it: è un sito in italiano –<br />

curato dal Centro Stu<strong>di</strong> Memorial <strong>di</strong> Mosca e dalla<br />

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli <strong>di</strong> Milano -<br />

ricchissimo d’informazioni sulla storia del sistema<br />

dei Gulag, con cartine geografiche per la loro<br />

localizzazione, bibliografia e biografie <strong>di</strong> vittime e<br />

carnefici).<br />

www.memorial-italia.it: l'associazione<br />

Memorial-Italia è stata costituita il 20 aprile<br />

2004, con lo scopo <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgare in Italia le<br />

iniziative scientifiche e culturali dell'Associazione<br />

Memorial <strong>di</strong> Mosca, promuovere le ricerche sulla<br />

15<br />

storia delle repressioni politiche in URSS nel XX<br />

secolo, <strong>di</strong>ffondere attraverso mostre e seminari,<br />

lezioni nelle scuole e nelle università la<br />

conoscenza <strong>della</strong> storia dell'URSS nel XX secolo,<br />

raccogliere materiale documentario sulle vittime<br />

italiane delle repressioni staliniane, tenere viva la<br />

memoria del Gulag e delle sue vittime attraverso<br />

la pubblicazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ari, lettere e altri materiali,<br />

adoperarsi per la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> informazioni, stu<strong>di</strong><br />

e ricerche che riguar<strong>di</strong>no le tematiche dei <strong>di</strong>ritti<br />

dell'uomo e la loro violazione e <strong>di</strong>fesa all'interno<br />

<strong>della</strong> Russia e degli altri stati nati dalla<br />

<strong>di</strong>ssoluzione dell'URSS.


www.gariwo.net: il sito in italiano del Comitato<br />

per la foresta dei Giusti, che ha organizzato nel<br />

<strong>di</strong>cembre 2003 a Milano un convegno sui “Giusti<br />

nel GULag”. Nel sito si può trovare moltissimo<br />

materiale su questo argomento e su altri<br />

genoci<strong>di</strong>: Shoah, armeni, etc.<br />

www.libertates.org: il sito degli organizzatori del<br />

convegno “Memento Gulag”, svoltosi il 7-8<br />

novembre 2003 a Roma, alla presenza del<br />

Presidente del Senato, Marcello Pera)<br />

www.anneapplebaum.com: il ricco sito<br />

dell’Autrice del fortunato libro Gulag. A History,<br />

Doubleday 2003<br />

Sulla carestia artificiale in Ucraina del 1932-33:<br />

www.holomodor.org (in inglese) (nella sezione<br />

“References” si trovano moltissimi link verso altri<br />

siti che parlano <strong>di</strong> questo argomento).<br />

Bibliografia sul GULag e sull’URSS<br />

16<br />

www.infoukes.com/history/famine<br />

www.ukrania.com/pages/Arts_and_Humanities/Hi<br />

story<br />

www.usukraine.org<br />

www.yale.edu/gsp/index.html: il sito del<br />

“Programma <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o dei genoci<strong>di</strong>” dell’Università<br />

<strong>di</strong> Yale<br />

www.faminegenocide.com: il sito curato dal<br />

Famine Genocide Commemorative Committee<br />

<strong>della</strong> filiale <strong>di</strong> Toronto dell’Ukrainian Cana<strong>di</strong>an<br />

Congress<br />

Siti sulla realtà politica attuale nelle ex<br />

Repubbliche Sovietiche:<br />

www.e<strong>qui</strong>libri.net (in italiano) (ci sono schede su<br />

tutte le aree <strong>di</strong> crisi del mondo)<br />

www.eurasianet.org: sito in inglese dell’Open<br />

Society Institute<br />

1. AA.VV., Gulag. Il sistema dei lager in Urss, Mazzotta 1999 (su una importante mostra fotografica sul Gulag,<br />

svoltasi a Milano)<br />

2. AA.VV., Il libro nero del comunismo, Mondadori, Milano (un noto e <strong>di</strong>scusso libro sugli orrori dei regimi<br />

comunisti nel mondo)<br />

3. Anna Achmatova, Poema senza eroe e altre poesie, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1980 (una grande poetessa russa che<br />

racconta il periodo delle “purghe”)<br />

4. Anne Applebaum, Gulag. Storia dei campi <strong>di</strong> concentramento sovietici, Mondadori, Milano 2004 (un<br />

importante stu<strong>di</strong>o generale <strong>di</strong> una brillante stu<strong>di</strong>osa americana, che è anche e<strong>di</strong>torialista del “Washington<br />

Post”)<br />

5. Igor Argamakow, Morte da cani. Piccola storia stalinista, Il Mulino, Bologna 2000 (su una vittima delle purghe<br />

staliniane)<br />

6. Janusz Bardach – Katleen Gleeson, L’uomo del GULag. Kolyma: i ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> un sopravvissuto, Il saggiatore,<br />

Milano 2003 (le memorie <strong>di</strong> un deportato del GULag)<br />

7. Janina Bauman, Un sogno <strong>di</strong> appartenenza. La mia vita nella Polonia del dopoguerra, Il Mulino, Bologna 1997<br />

(il passaggio <strong>della</strong> Polonia alla sfera comunista dopo il 1945)<br />

8. Antony Beevor, Berlino 1945, Rizzoli, Milano 2003 (sugli ultimi giorni del regime hitleriano e sul<br />

comportamento delle truppe sovietiche in Germania)<br />

9. Nina Berberova, Il quaderno nero, Adelphi, Milano 2000 (il <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> una grande scrittrice russa, scritto a partire<br />

dal 1939)<br />

10. Nina Berberova, Il caso Kravcenko, Guanda, Parma 1991 (un processo per <strong>di</strong>ffamazione svoltosi a Parigi<br />

contro un <strong>di</strong>ssidente russo anticomunista)<br />

11. Jurij Brodskij, Solovki. Le isole del martirio. Da monastero a lager sovietico, La Casa <strong>di</strong> Matriona, Milano 1998<br />

(il primo lager sovietico)<br />

12. Margarete Buber Neumann, Prigioniera <strong>di</strong> Stalin e Hitler, Il Mulino, Bologna (le memorie <strong>di</strong> una<br />

importante esponente del Partito Comunista Tedesco, finita sia nel Gulag staliniano che nel lager nazista <strong>di</strong><br />

Ravensbrück)<br />

13. Robert Conquest, Il Grande Terrore. Le "purghe" <strong>di</strong> Stalin negli anni Trenta, Rizzoli, Milano, 1999<br />

(lo <strong>storico</strong> che ha fatto entrare la questione delle purghe nel <strong>di</strong>battito <strong>storico</strong> internazionale)<br />

14. Robert Conquest, Raccolto <strong>di</strong> dolore, E<strong>di</strong>zioni liberal, Milano 2004 (sulle carestie artificiali in Ucraina)<br />

15. Marta Craveri, Resistenza nel gulag. Un capitolo ine<strong>di</strong>to <strong>della</strong> destalinizzazione in Unione Sovietica, Rubbettino,<br />

2003<br />

16. Alessandro M. Curletto, Spartak Mosca. Storie <strong>di</strong> calcio e potere nell'URSS <strong>di</strong> Stalin, Il Melangolo,<br />

Genova 2005<br />

17. Marina Cvetaeva, Il paese dell’anima, Lettere (1909-1925), Adelphi, Milano 1988<br />

18. Marina Cvetaeva, Deserti luoghi. Lettere (1925-1941), Adelphi, Milano 1989 (l’epistolario <strong>di</strong> una grande<br />

scrittrice russa)<br />

19. Elena Dundovich e Francesca Gori, Italiani nei lager <strong>di</strong> Stalin, Laterza, Roma-Bari 2006<br />

20. Marta Dell'Asta, Una via per ricominciare, Il <strong>di</strong>ssenso in URSS dal 1917 al 1990, La Casa <strong>di</strong> Matriona, 2003<br />

21. Pavel Florenskij, Non <strong>di</strong>menticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico,<br />

filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2000 (una gran<strong>di</strong>ssima testimonianza)<br />

22. François Furet, Il passato <strong>di</strong> un’illusione, Mondadori, Milano 1996 (i motivi del successo dell’ideologia<br />

comunista nel corso del Novecento: un libro che ha provocato molte polemiche)<br />

23. Evgenija S. Ginzburg, Viaggio nella vertigine, Mondadori, Milano, 1967, 1979 (2 voll.) (le memorie <strong>di</strong> una<br />

vittima del GULag)<br />

24. Di<strong>di</strong> Gnocchi, O<strong>di</strong>ssea rossa, Einau<strong>di</strong>, Torino 2001 (le vicende <strong>di</strong> un leader comunista italiano finito nel vortice<br />

del regime totalitario <strong>di</strong> Stalin)<br />

25. Francesca Gori (a cura <strong>di</strong>), Reflections on the Gulag, Fondazione Feltrinelli, Milano 2003


26. Andrea Graziosi (a cura <strong>di</strong>), Lettere da Char'kov: la carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei<br />

rapporti dei <strong>di</strong>plomatici italiani. 1932-33, Einau<strong>di</strong>, Torino 1991 (le relazioni del Console italiano in<br />

Ucraina sulla carestia artificiale or<strong>di</strong>nata da Stalin: un documento fondamentale)<br />

27. Vasilij Grossman, Tutto scorre, Adelphi, Milano 1987 (uno straor<strong>di</strong>nario romanzo <strong>storico</strong> che racconta la<br />

dekulakizzazione, la carestia artificiale in Ucraina e le “purghe”)<br />

28. Vasilij Grossman, Vita e destino, Jaca Book, Milano 1998 (la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale vista con occhi russi,<br />

scritta da un grande scrittore <strong>di</strong>ssidente)<br />

29. Gustav Herling, Un mondo a parte, Feltrinelli, Milano 2003<br />

30. Ryszard Kapuscinski, Imperium, Feltrinelli, Milano 2002 (un grande giornalista polacco racconta i <strong>di</strong>sastri<br />

umani e politici dell’URSS negli anni Ottanta)<br />

31. Arthur Koestler, Buio a mezzogiorno, Mondadori, Milano 1996 (il più famoso romanzo sulle purghe <strong>di</strong><br />

Stalin)<br />

32. Arthur Koestler, Freccia nell’azzurro. Autobiografia, Il Mulino, Bologna 1990<br />

33. Arthur Koestler, La scrittura invisibile. Autobiografia, Il Mulino, Bologna 1991<br />

34. Dimitrij Lichacev, La mia Russia, Einau<strong>di</strong>, Torino 1999 (le memorie <strong>di</strong> un grande stu<strong>di</strong>oso russo del<br />

Me<strong>di</strong>oevo, finito nel lager delle isole Solovki)<br />

35. Martin McCauley, Stalin e lo stalinismo, Il Mulino, Bologna 2004<br />

36. Roj A. Medvedev Roj e Zores A. Medvedev, Stalin sconosciuto. Alla luce degli archivi segreti sovietici,<br />

Feltrinelli, Milano 2006<br />

37. Alessandro Mongili, Stalin e l'impero sovietico, Giunti-Castermann, Firenze 1996 (una buona e breve sintesi<br />

sullo stalinismo)<br />

38. S. Pons e R. Service (a cura <strong>di</strong>), Dizionario del comunismo nel XX secolo. Vol. 1: A-L, Einau<strong>di</strong>, Torino 2006<br />

39. Donald Rayfield, Stalin e i suoi boia. Un'analisi del regime e <strong>della</strong> psicologia stalinisti, Garzanti, Milano 2005<br />

40. Louis Rapoport, La guerra <strong>di</strong> Stalin contro gli ebrei, Rizzoli, Milano 2003 (un importante stu<strong>di</strong>o<br />

sull’antisemitismo <strong>di</strong> Stalin e sul mancato secondo Olocausto che il leader sovietico stava per scatenare alla<br />

vigilia <strong>della</strong> sua morte)<br />

41. Varlam Salamov, I racconti <strong>della</strong> Kolyma, Adelphi, Milano (i racconti autobiografici del più noto<br />

sopravvissuto al Gulag)<br />

42. Helga Schneider, L’usignolo dei Linke, Adelphi, Milano 2004 (un racconto autobiografico sulle violenze<br />

perpetrate dai sovietici nei riguar<strong>di</strong> <strong>della</strong> popolazione tedesca dopo la fine <strong>della</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale)<br />

43. Simon Sebag Montefiore, Gli uomini <strong>di</strong> Stalin. Un tiranno, i suoi complici e le sue vittime, Rizzoli, Milano 2005<br />

44. Victor Sebastyen, Budapest 1956. La prima rivolta contro l’impero sovietico, Rizzoli, Milano 2006<br />

45. Alexandr Solzenicyn, Arcipelago Gulag, Mondadori, Milano (il più famoso libro sul GULag, l’opera che ha<br />

fatto conoscere questa realtà all’Occidente; Solzenicyn è premio Nobel per la letteratura)<br />

46. Aleksandr Solzhenicyn, Una giornata <strong>di</strong> Ivan Denisovic, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1963 (forse il romanzo più<br />

famoso sulla vita dei deportati nel GULag)<br />

47. Boris Souvarine, Stalin, Adelphi, Milano 2003 (il libro che già alla fine degli anni Trenta denunciava gli<br />

orrori <strong>di</strong> Stalin)<br />

48. Solomon Volkov, Stalin e Sostakovic. Lo straor<strong>di</strong>nario rapporto tra il feroce <strong>di</strong>ttatore e il grande musicista,<br />

Garzanti, Milano 2006<br />

49. Nicolas Werth, L'isola dei cannibali. Siberia, 1933: una storia <strong>di</strong> orrore all'interno dell'arcipelago<br />

gulag, Corbaccio, Milano 2007<br />

50. Victor Zaslavsky, Pulizia <strong>di</strong> classe. Il massacro <strong>di</strong> Katyn, Il Mulino, Bologna 2006 (un breve stu<strong>di</strong>o<br />

sulla strage <strong>di</strong> ufficiali polacchi compiuta dai sovietici ma attribuita per molto tempo ai nazisti)<br />

51. Victor Zaslavsky, Lo stalinismo e la sinistra italiana. Dal mito dell'Urss alla fine del comunismo. 1945-1991,<br />

Mondadori, Milano 2004<br />

52. Elena Zubkova, Quando c’era Stalin, Il Mulino, Bologna 2003 (sul periodo tra il 1945 e il 1953)<br />

Bibliografia sulla Russia <strong>di</strong> oggi e sulla Cecenia<br />

1. AA.VV., Cecenia. Un piano per la libertà, la democrazia e la pace, numero monografico<br />

<strong>della</strong> rivista Diritto e libertà (10. 2004)<br />

2. Carlo Benedetti, Chi comanda a Mosca. Tutti gli uomini <strong>della</strong> vecchia e nuova<br />

nomenklatura da Abramovic a Putin, Datanews, Roma 2004<br />

3. Leonardo Coen, Putingrad. La Mosca <strong>di</strong> Zar Vla<strong>di</strong>mir, Alet, Padova 2008<br />

4. Comitato Cecenia, Cecenia nella morsa dell’impero, Guerini e Associati, Milano<br />

2003<br />

5. Mauro De Bonis e Orietta Moscatelli, Cecenia,E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 2004<br />

6. Wojciech Gorecki, Pianeta Caucaso, Bruno Mondadori, Milano 2003<br />

7. F. Gori (a cura <strong>di</strong>), La Cecenia dei bambini. I giovani raccontano la trage<strong>di</strong>a del<br />

Caucaso, Einau<strong>di</strong>, Torino 2007<br />

8. Wojciech Jagielski, Le torri <strong>di</strong> pietra. Storie dalla Cecenia, Bruno Mondadori, Milano 2007<br />

9. Julija Juzik, Le fidanzate <strong>di</strong> Allah. Voci e destini delle kamikaze cecene,<br />

(Manifestolibri, Roma 2004<br />

10. Garry Kasparov, Gli scacchi, la vita. Lezione <strong>di</strong> strategia dal campione che è <strong>di</strong>ventato il<br />

principale oppositore <strong>di</strong> Putin, Mondadori, Milano 2007<br />

11. Stephen Lovell, Destinazione incerta. La Russia dal 1989, EDT, Torino 2008<br />

17


12. Loris Marcucci, Dieci anni che hanno sconvolto la Russia. La Russia da Gorbacev a Putin,<br />

Il Mulino, Bologna 2002<br />

13. Anna Politkovskaya, Cecenia. Il <strong>di</strong>sonore russo, Fandango, Milano 2004<br />

14. Anna Politkovskaya, La Russia <strong>di</strong> Putin, Adelphi, Milano 2005 (l’importante libro<br />

<strong>della</strong> giornalista assassinata)<br />

15. Anna Politkovskaya, Proibito parlare. Cecenia, Beslan, Teatro Dubrovka: le<br />

verità scomode <strong>della</strong> Russia <strong>di</strong> Putin, Mondadori, Milano 2007<br />

16. Anna Politkovskaya, Diario russo 2003-2005, Adelphi, Milano 2007<br />

17. Asne Seierstad, Il bambino dal cuore <strong>di</strong> lupo. Storie dall'inferno <strong>della</strong> Cecenia in<br />

guerra, Rizzoli, Milano 2008 (il reportage sulla Cecenia <strong>della</strong> famosa autrice de Il<br />

libraio <strong>di</strong> Kabul)<br />

18. Francesca Sforza, Mosca-Grosny: neanche un bianco su questo treno. Viaggio nella<br />

Cecenia <strong>di</strong> Vla<strong>di</strong>mir Putin, Salerno, 2007<br />

19. Milana Terloeva, Ho danzato sulle rovine, Corbaccio, Milano 2007 (un libro sulla guerra<br />

in Cecenia)<br />

20. Piero Sinatti, La Russia e i conflitti del Caucaso, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino<br />

2000<br />

Filmografia<br />

- La corazzata Potëmkin (1924) <strong>di</strong> S. Ejzenstein (sull’ammutinamento <strong>della</strong> celeberrima nave al largo<br />

del porto <strong>di</strong> Odessa durante la rivoluzione del 1905)<br />

- Ottobre (1928) <strong>di</strong> S. Ejzenstejn (il racconto degli avvenimenti del 1917)<br />

- La felicità (1935) <strong>di</strong> Aleksandr Medvedkin<br />

- Prigionieri (1936) <strong>di</strong> Evgenij Cerviakov<br />

- Volga-Volga (1938) <strong>di</strong> Grigorij Aleksandrov (il film preferito <strong>di</strong> Stalin)<br />

- La caduta <strong>di</strong> Berlino (1949) <strong>di</strong> Michail Chiaureli (forse il più noto film propagan<strong>di</strong>sta su Stalin: una<br />

sorta <strong>di</strong> documentario sceneggiato sulla seconda guerra mon<strong>di</strong>ale vista con gli occhi del Cremlino)<br />

- Il dottor Zivago (1965) <strong>di</strong> David Lean (il famosissimo film tratto dall’altrettanto famosissimo<br />

romanzo del premio Nobel per la letteratura, Boris Pasternak)<br />

- Ivan Denisovic (1971) <strong>di</strong> Casper Wrede (un romanzo anglo-norvegese tratto dal famoso romanzo <strong>di</strong><br />

Solzenicyn)<br />

- Reds (1981) <strong>di</strong> Warren Beatty (la storia del giornalista americano John Reed che partecipò alla<br />

rivoluzione bolscevica del 1917, e la narrò in un famoso libro: "Dieci giorni che sconvolsero il mondo")<br />

- Gulag 77 (1984) <strong>di</strong> Robert Malcolm Young<br />

- Mosca ad<strong>di</strong>o (1986) <strong>di</strong> M. Bolognini (sul tentativo degli ebrei russi <strong>di</strong> lasciare l’URSS negli anni<br />

Ottanta)<br />

- Sole ingannatore (1994) <strong>di</strong> Nikita Mikhalkov (una drammatica storia ambientata nel periodo delle<br />

purghe, Premio speciale <strong>della</strong> giuria al Festival <strong>di</strong> Cannes nel 1994 e poi premio Oscar per il miglior<br />

film straniero)<br />

- Barak (1999) <strong>di</strong> Valerij Ogorodnikov (su un villaggio nella Russia alla morte <strong>di</strong> Stalin)<br />

- Famine 33 (2003) (un documentario sulle carestie artificiali in Ucraina)<br />

18


DUE LIBRI INTERESSANTI SULL’UNIONE SOVIETICA<br />

LA STRAORDINARIA STORIA<br />

DEL DISSENSO SOVIETICO<br />

Marta Dell'Asta, Una via per incominciare. Il<br />

<strong>di</strong>ssenso in URSS dal 1917 al 1990, La Casa <strong>di</strong><br />

Matriona, Milano 2003, 240 pagine, 13 euro.<br />

[Giugno 2004] La crisi internazionale che stiamo<br />

vivendo e le stesse <strong>di</strong>visioni e incomprensioni che<br />

caratterizzano in questo periodo il processo <strong>di</strong><br />

unificazione europea hanno probabilmente offuscato il<br />

carattere epocale <strong>di</strong> quello che è avvenuto il 1° maggio<br />

2004: <strong>di</strong>eci nuovi Paesi sono entrati nell'Unione, otto<br />

dei quali in passato appartenenti – pur a <strong>di</strong>verso titolo -<br />

al blocco comunista. Tre <strong>di</strong> essi, ovvero Lituana,<br />

Lettonia ed Estonia, erano ad<strong>di</strong>rittura parte integrante<br />

dell'Unione Sovietica.<br />

La storia <strong>di</strong> questa "altra" Europa è decisamente poco<br />

conosciuta e generalmente non fa parte <strong>della</strong> nostra<br />

memoria collettiva. E’ <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> da applau<strong>di</strong>re il fatto che<br />

molti e<strong>di</strong>tori italiani stiano cercando <strong>di</strong> colmare molte<br />

delle nostre lacune conoscitive in proposito,<br />

pubblicando tutta una serie <strong>di</strong> opere relativamente agli<br />

episo<strong>di</strong> più drammatici <strong>della</strong> storia sovietica, a partire<br />

dalla rie<strong>di</strong>zione del quasi introvabile Stalin <strong>di</strong> Boris<br />

Souvarine (Adelphi, Milano 2003), forse una delle<br />

prime denunce sistematiche degli orrori dello<br />

stalinismo, scritta alla fine degli anni Trenta.<br />

La nuova ondata <strong>di</strong> opere sul Gulag e sull'URSS tiene<br />

conto delle notevoli scoperte fatte dagli stu<strong>di</strong>osi<br />

successivamente all'apertura <strong>di</strong> tanti archivi prima<br />

assolutamente off limits. Tra i libri che sembrano degni<br />

<strong>di</strong> particolare attenzione ci permettiamo <strong>di</strong> segnalare,<br />

ad esempio, il bestseller (nonché premio Pulitzer) <strong>di</strong><br />

Anne Applebaum, Gulag. Storia dei campi <strong>di</strong><br />

concentramento sovietici (Mondadori, Milano 2004), un<br />

libro utile per chi vuole avere uno visione complessiva<br />

<strong>della</strong> costruzione e dello sviluppo del sistema<br />

concentrazionario sovietico, così come il poderoso<br />

Reflections on the gulag. With a documentary appen<strong>di</strong>x<br />

on the italian victims of repression in the USSR, curato<br />

dalla Fondazione Feltrinelli (Feltrinelli, Milano 2003) la<br />

quale è anche curatrice – insieme ai russi <strong>di</strong> Memorial -<br />

del ricco sito Internet www.gulag-italia.it. Sulla vita nel<br />

GULag si è occupata Marta Craveri, che ha scritto<br />

Resistenza nel Gulag. Un capitolo ine<strong>di</strong>to <strong>della</strong><br />

destalinizzazione in Unione Sovietica (Rubbettino,<br />

Soveria Mannelli 2003), mentre una testimonianza<br />

interessante è quella del(l’ex) comunista francese<br />

Jacques Rossi, che racconta la sua prigionia nel lager<br />

sovietico in Com'era bella questa utopia. Cronache dal<br />

Gulag <strong>di</strong> Jacques Rossi (Marsilio, Venezia 2003). Su<br />

vicende più particolari <strong>della</strong> travagliata e complessa<br />

storia sovietica sono usciti anche Raccolto <strong>di</strong> dolore.<br />

Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica <strong>di</strong><br />

Robert Conquest, un’importante opera sulla trage<strong>di</strong>a<br />

<strong>della</strong> carestia artificiale del 1932-1933 in Ucraina,<br />

finalmente tradotta da Liberal Libri (Firenze 2004), il<br />

saggio <strong>di</strong> Marco Buttino dell’Università <strong>di</strong> Torino, La<br />

rivoluzione capovolta. L'Asia centrale tra il crollo<br />

dell'Impero zarista e la formazione dell'URSS (L'Ancora<br />

del Me<strong>di</strong>terraneo, Napoli 2003), sulle zone islamiche<br />

dell'"impero sovietico", o ancora Lo stalinismo e la<br />

sinistra italiana. Dal mito dell'URSS alla fine del<br />

comunismo. 1945-1991 dello stu<strong>di</strong>oso russo trapiantato<br />

in Italia, Victor Zasklavsky (Mondadori, Milano 2004),<br />

che si occupa invece dei <strong>di</strong>scussi rapporti tra il regime<br />

sovietico, il PCI e il PSI. Un'opera curiosa e<br />

potenzialmente intrigante sembra infine La casa alta. I<br />

suoi abitanti raccontano la Russia <strong>di</strong> ieri e <strong>di</strong> oggi (Le<br />

19<br />

Lettere, Firenze 2004), che la giornalista francese <strong>di</strong><br />

Libération, Anne Nivat, ha de<strong>di</strong>cato alle storie degli<br />

abitanti <strong>di</strong> uno dei sette famosi grattacieli costruiti a<br />

Mosca nel 1952 dai detenuti del Gulag.<br />

Una via per incominciare. Il <strong>di</strong>ssenso in URSS dal 1917<br />

al 1990 <strong>di</strong> Marta Dell'Asta è stato pubblicato, invece, da<br />

La Casa <strong>di</strong> Matriona, la casa e<strong>di</strong>trice milanese che –<br />

oltre a prendere il nome dal famoso racconto <strong>di</strong><br />

Aleksandr Solženicyn e ad essere legata<br />

all'organizzazione cattolica Russia Cristiana<br />

(www.russiacristiana.org) - è stata probabilmente in<br />

passato uno dei più attenti canali <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione in<br />

Occidente delle voci del <strong>di</strong>ssenso sovietico. Anche oggi,<br />

questo piccolo e<strong>di</strong>tore continua ad essere specializzato<br />

in testi <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione letteraria, religiosa, filosofica ed<br />

artistica <strong>della</strong> Russia e dell'Est Europeo. E’ appunto<br />

presso la Fondazione Russia Cristiana che agisce Marta<br />

Dell’Asta: il suo libro traccia una storia dello sviluppo e<br />

delle caratteristiche del <strong>di</strong>ssenso sovietico, con un<br />

approccio <strong>di</strong>dattico molto utile per inquadrare un<br />

fenomeno che le brusche trasformazioni successive al<br />

1989 hanno finito per mettere in ombra.<br />

La tesi <strong>di</strong> fondo che anima quest’opera viene riassunta<br />

nelle note <strong>di</strong> copertina: «Molti si sono chiesti, dopo la<br />

fine dell'Unione Sovietica, come fosse stata possibile<br />

una trasformazione così pacifica <strong>di</strong> un regime che per<br />

settant'anni si era retto sulla violenza. La storia del<br />

<strong>di</strong>ssenso offre una delle possibili risposte a questo<br />

paradosso: i <strong>di</strong>ssidenti non hanno proposto una nuova<br />

ideologia, ma hanno semplicemente richiamato in vita il<br />

reale. All'inizio è stata un'opera silenziosa, ma anche<br />

quando, dagli anni Sessanta, il <strong>di</strong>ssenso ha potuto<br />

uscire allo scoperto, non ha mai con<strong>qui</strong>stato le masse,<br />

eppure ha trasformato la mentalità <strong>di</strong> un paese». La<br />

Dell’Asta crede fermamente che il <strong>di</strong>ssenso sia «stato la<br />

risposta più adeguata alla minaccia moderna del<br />

totalitarismo; una risposta assolutamente incoraggiante<br />

perché ha saputo trovare una via minima ma sempre<br />

percorribile <strong>di</strong> fronte a un pericolo che si presentava<br />

globale e talmente invasivo da intaccare l’anima stessa<br />

dell’uomo» (p. 3).<br />

Nella prima parte del libro, de<strong>di</strong>cata al periodo 1917-<br />

1940, la stu<strong>di</strong>osa ci mostra la progressiva scomparsa<br />

in URSS <strong>di</strong> ogni forma <strong>di</strong> opposizione culturale e politica<br />

e la nascita del consenso coatto e del reato d’opinione.<br />

Evidenzia inoltre i compromessi e l’ari<strong>di</strong>tà a cui furono<br />

condannati molti intellettuali in seguito alla<br />

“normalizzazione sovietica”, culminata per certi versi<br />

con la creazione dell’Unione degli scrittori nel 1932 «che<br />

assieme ai privilegi <strong>di</strong>stribuiva ferree <strong>di</strong>rettive<br />

ideologiche». Da quel momento in poi, secondo la<br />

Dell’Asta, «lo scrittore riceveva la <strong>di</strong>fesa sociale in<br />

cambio <strong>della</strong> propria opera a sostegno del sistema […].<br />

Da quel momento ogni “devianza” fu tacciata <strong>di</strong><br />

formalismo e punita a norma <strong>di</strong> legge» (p. 29).<br />

Ma proprio quando «l’omologazione sembrò compiuta<br />

come un’opera perfetta», tanto che sembrava proprio<br />

che «tutto il popolo all’unisono vedesse la realtà non<br />

così com’era, ma come l’ideologia voleva che fosse» (p.<br />

31), piccoli ma fondamentali atti <strong>di</strong> <strong>resistenza</strong><br />

intellettuale hanno avuto comunque luogo: quello <strong>della</strong><br />

grande poetessa Anna Achmatova, ad esempio, che<br />

custodì nella propria memoria il testo del poema<br />

Re<strong>qui</strong>em (sulle purghe staliniane), gesto simile a quello<br />

compiuto dalla moglie <strong>di</strong> Osip Mandel’štam<br />

relativamente alle liriche del proprio marito ucciso nel<br />

lager (pp. 32-35).<br />

L’epoca degli anni Quaranta e Cinquanta, secondo la<br />

Dell’Asta, vide «molti intellettuali (e con loro moltissimi<br />

uomini <strong>della</strong> strada)» <strong>di</strong>videre «la coscienza tra


l’adesione al regime e l’opinione personale; in questi<br />

anni si costituì quel fenomeno tipicamente sovietico che<br />

fu la “doppia coscienza”, che lasciava convivere nella<br />

stessa persona il volto autentico e la maschera» (p.<br />

49). Tipico <strong>di</strong> questo periodo fu lo “scrivere per il<br />

cassetto”, ovvero l’azione <strong>di</strong> molti intellettuali <strong>di</strong><br />

continuare a scrivere sapendo comunque <strong>di</strong> non potere<br />

rivolgersi a un pubblico <strong>di</strong> lettori. E’ in questa maniera<br />

che nascono capolavori letterari come Il Maestro e<br />

Margherita <strong>di</strong> Michail Bulgakov, Vita e destino <strong>di</strong><br />

Vasilij Grossman e – ovviamente - Il dottor Živago <strong>di</strong><br />

Boris Pasternak, la cui pubblicazione da parte <strong>di</strong><br />

Feltrinelli nel 1957 ha degli effetti importantissimi<br />

anche in Unione Sovietica (pp. 50-62).<br />

Il gesto che fa uscire allo scoperto il <strong>di</strong>ssenso è, però,<br />

secondo l’autrice, la lettura pubblica <strong>di</strong> poesie, da<br />

parte <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> giovanissimi scrittori, il 29 luglio<br />

1958, in piazza Majakovskij a Mosca, in occasione<br />

dell’inaugurazione del monumento al grande poeta <strong>della</strong><br />

rivoluzione (p. 68), luogo <strong>di</strong>ventato presto – anche se<br />

per un brevissimo periodo – una sorta <strong>di</strong> Hyde Park<br />

Corner. E’ il periodo in cui nascono le prime riviste<br />

clandestine, copiate con la carta carbone, a partire da<br />

“Sintaksis” <strong>di</strong> Aleksandr Ginzburg (1959), la prima<br />

rivista <strong>di</strong> quello che verrà chiamato presto<br />

“samizdat”, letteralmente “e<strong>di</strong>to in proprio”, un<br />

termine che «qualificò a tal punto l’intero movimento<br />

che spesso è ritenuto sinonimo dello stesso termine<br />

“<strong>di</strong>ssenso”» (p. 75).<br />

Il libro <strong>della</strong> Dell’Asta ripercorre gli sforzi del <strong>di</strong>ssenso,<br />

l’accanita caccia ai suoi protagonisti da parte del regime<br />

sovietico - caccia culminata in processi famosi come<br />

quello (1964) al futuro Nobel Iosif Brodskij (p. 89) -,<br />

ma anche le tappe del cosiddetto “<strong>di</strong>sgelo”<br />

chruscioviano come la clamorosa pubblicazione sulla<br />

rivista Novyj Mir <strong>di</strong> Una giornata <strong>di</strong> Ivan Denisovič <strong>di</strong><br />

Aleksandr Solženicyn (p. 82), che fa uscire “dal<br />

cassetto” tante memorie autobiografiche relative ai<br />

drammi del recente passato sovietico.<br />

Anche in URSS il 1968 è un anno fondamentale dato<br />

che, secondo la stu<strong>di</strong>osa, «si inaugurò il periodo <strong>di</strong><br />

massimo sviluppo del <strong>di</strong>ssenso, il che non vuol <strong>di</strong>re che<br />

non vi fossero persecuzioni o crisi interne, ma piuttosto<br />

che nonostante la forte reazione dello Stato […], un<br />

gruppo relativamente esiguo <strong>di</strong> protagonisti attivi riuscì<br />

con le proprie prese <strong>di</strong> posizione a risvegliare la<br />

coscienza civile <strong>di</strong> tutto il paese» (p. 117).<br />

In questo periodo - che si conclude con la violenta<br />

repressione precedente alle Olimpia<strong>di</strong> <strong>di</strong> Mosca del 1980<br />

(il cosiddetto “terrore preolimpico”) -, protagonisti<br />

assoluti del <strong>di</strong>ssenso sovietico a livello internazionale<br />

sono sicuramente i due Nobel Sacharov e Solženicyn:<br />

nella <strong>di</strong>scussione a <strong>di</strong>stanza nata tra <strong>di</strong> loro sembra<br />

rinascere per certi versi la <strong>di</strong>scussione ottocentesca tra<br />

occidentalisti e slavofili (pp. 198-201). Come viene<br />

ricordato nel libro, sono molti altri però gli intellettuali<br />

che portano avanti l’opposizione al regime: tutti<br />

costoro «erano d’accordo sull’impostazione etica e<br />

personale, apolitica e non violenta ». Per questo<br />

motivo, «il <strong>di</strong>ssenso proseguì il suo cammino allo stesso<br />

modo in cui era nato: senza legami formali tra le<br />

persone, al centro come in periferia, senza leader;<br />

nessuno che incaricasse altri <strong>di</strong> fare una certa cosa, chi<br />

vedeva qualcosa da fare la faceva in prima persona;<br />

niente obblighi se non quelli dettati dalla coscienza<br />

personale. Ma fu proprio questa base assolutamente<br />

volontaria che <strong>di</strong>ede al <strong>di</strong>ssenso la massima efficienza<br />

possibile in un paese dove tutto era alla mercé <strong>della</strong><br />

repressione, dove tutto era pianificato e si era persa<br />

l’educazione più elementare al lavoro e alla<br />

responsabilità personali. In questa specie <strong>di</strong> “or<strong>di</strong>ne<br />

fraterno” del <strong>di</strong>ssenso si trovava sempre un volontario<br />

per qualsiasi esigenza, e soprattutto si trovava sempre<br />

20<br />

qualcuno per colmare i vuoti lasciati nei ranghi dagli<br />

arresti, benché fosse assolutamente chiaro che questa<br />

<strong>di</strong>sponibilità già da sola poteva condurre nel lager» (p.<br />

141).<br />

L’ultima parte <strong>di</strong> Una via per incominciare è de<strong>di</strong>cata<br />

agli anni Ottanta, i quali ebbero per la Dell’Asta «due<br />

fasi ben <strong>di</strong>stinte: prima un forte irrigi<strong>di</strong>mento del<br />

regime tutto teso a salvarsi con l’eterna arma <strong>della</strong><br />

repressione; poi la perestrojka, cioè un repentino<br />

cambiamento <strong>di</strong> rotta nel tentativo in extremis <strong>di</strong><br />

razionalizzare il sistema» (p. 211). Paradossalmente,<br />

secondo la stu<strong>di</strong>osa, «la ‘democratizzazione’, battezzata<br />

propagan<strong>di</strong>sticamente come ‘nuovo pensiero’<br />

gorbačëviano, in sostanza fu l’assunzione formale e<br />

tar<strong>di</strong>va del <strong>di</strong>scorso del <strong>di</strong>ssenso, presentata come<br />

conforme agli auspici del padre spirituale del<br />

socialismo», ovvero Lenin. «Incalzato da una parte<br />

dall’esigenza <strong>di</strong> recuperare cre<strong>di</strong>bilità internazionale e<br />

dall’altra dalla necessità <strong>di</strong> rilanciare l’economia<br />

rivitalizzando la società con un’iniezione <strong>di</strong> fiducia e <strong>di</strong><br />

liberta, Gorbačëv scelse i suoi slogan <strong>di</strong> punta,<br />

perestrojka e glasnost’, fra le gran<strong>di</strong> riven<strong>di</strong>cazioni<br />

sostenute per anni dai <strong>di</strong>ssidenti. Ma niente <strong>di</strong> tutto<br />

questo aveva qualche rapporto con la rinuncia reale<br />

all’ideologia, certi slogan lanciati da Gorbačëv<br />

sembravano piuttosto la paro<strong>di</strong>a del pathos morale del<br />

<strong>di</strong>ssenso […]. Il regime si appropriò in maniera<br />

abbastanza cinica <strong>di</strong> idee e valori non suoi,<br />

attribuendosi la paternità <strong>di</strong> certe analisi per le quali<br />

alcuni <strong>di</strong>ssidenti avevano pagato con il lager o il<br />

manicomio» (p.222).<br />

Paolo Bogo<br />

IL CALCIO NEL GULAG:<br />

LE ESALTANTI E TRAGICHE VICENDE<br />

DELLO “SPARTAK MOSCA” DI NIKOLAJ<br />

STAROSTIN<br />

MARIO ALESSANDRO CURLETTO, Spartak Mosca.<br />

Storie <strong>di</strong> calcio e potere nell’URSS <strong>di</strong> Stalin,<br />

Genova, il melangolo, 2005, pp. 155, euro 9.<br />

[Dicembre 2005[ Gli appassionati <strong>di</strong> calcio non possono<br />

non conoscere lo Spartak Mosca (Футбольный клуб<br />

"Спартак-Москва"), probabilmente una delle più<br />

importanti squadre che si siano mai viste in Unione<br />

Sovietica e – dopo il 1991 – in Russia. Protagonista non<br />

solo dei vari campionati del proprio Paese, ha giocato<br />

sovente nei principali tornei internazionali, Champions’<br />

League e Coppa UEFA comprese. Difficilmente, però, i<br />

cultori nostrani del pallone hanno informazioni esatte<br />

sulle origini <strong>della</strong> squadra e probabilmente non sanno<br />

che, nei tempi più bui dello stalinismo, essa si sia<br />

trovata coinvolta in incre<strong>di</strong>bili quanto tragiche vicende.<br />

Una lacuna che ha cercato <strong>di</strong> colmare – brillantemente -<br />

Mario Alessandro Curletto, docente <strong>di</strong> Lingua e<br />

Cultura russa all’Università <strong>di</strong> Genova, nonché<br />

collaboratore del settimanale “Diario” (www.<strong>di</strong>ario.it).<br />

In questo suo piccolo libro, scritto con precisione storica<br />

e <strong>di</strong>vertito gusto del racconto, ci fa conoscere un<br />

aspetto pressoché ine<strong>di</strong>to <strong>della</strong> storia dell’URSS. Ci<br />

spiega, ad esempio, che «lo Spartak Mosca era l’unica<br />

squadra sovietica a godere <strong>di</strong> un autentico e profondo<br />

seguito popolare, non limitato alla capitale ma <strong>di</strong>ffuso<br />

capillarmente in tutto il territorio dell’immenso paese,<br />

escluse forse l’Ucraina e la Georgia, dove il tifo per le<br />

Dinamo rispettivamente <strong>di</strong> Kiev e <strong>di</strong> Tbilisi era anche<br />

espressione <strong>di</strong> orgoglio nazionale, del desiderio <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fferenziarsi in qualche modo dalla Russia» (p. 7). Una<br />

passione che non è affatto mutata con la fine dell’URSS.<br />

Anzi, secondo Curletto, «è <strong>di</strong>ventata un elemento<br />

unificante per le popolazioni <strong>di</strong> etnia russa al <strong>di</strong> là dei


confini nazionali», tanto che oggi ci sono dei fan club<br />

dello Spartak in Kazakhstan come nella sempre più<br />

russa Israele (pp. 7-8).<br />

Un successo così “popolare” non è certo casuale ma è<br />

dovuto certamente alle origini <strong>della</strong> squadra, nata in un<br />

quartiere operaio moscovita, la Presnja, in cui «le<br />

famiglie in genere erano numerose e i ragazzi non<br />

ancora in età da lavoro trascorrevano la maggior parte<br />

del tempo in strada, dove le zuffe erano sempre<br />

all’or<strong>di</strong>ne del giorno» (p. 8). Il futuro Spartak, in realtà,<br />

sarebbe per certi versi la conseguenza <strong>di</strong> queste risse<br />

che, nella Mosca <strong>di</strong> inizio Novecento, ac<strong>qui</strong>sirono presto<br />

una forma - per così <strong>di</strong>re - ritualizzata: ogni domenica,<br />

infatti, i “combattenti” <strong>della</strong> Presnja si battevano<br />

ferocemente con quelli del vicino quartiere<br />

Dorogomilov. A queste tenzoni partecipavano anche i<br />

fratelli Starostin, futuri pilastri <strong>della</strong> celeberrima<br />

squadra <strong>di</strong> calcio.<br />

Curletto ci mostra come la preistoria dello Spartak si<br />

intersechi con la prima guerra mon<strong>di</strong>ale, la rivoluzione<br />

bolscevica e la successiva guerra civile. La società<br />

sportiva che nasce <strong>di</strong> lì a poco alla Presnja - «nel<br />

frattempo ribattezzata Krasnaja Presnja (Presnja rossa)<br />

per alti meriti rivoluzionari» (p. 23) - nasce col<br />

contributo <strong>di</strong> tutti gli sportivi del quartiere. Il successo<br />

fu imme<strong>di</strong>ato. «La fama del club appena nato e già<br />

sorprendentemente vincente superò l’ambito sportivo<br />

per <strong>di</strong>venire una sorta <strong>di</strong> fenomeno <strong>di</strong> costume, tanto<br />

da meritarsi un estemporaneo epinicio futurista <strong>di</strong><br />

Vla<strong>di</strong>mir Majakovskij» (p. 30)<br />

La denominazione “Spartak Mosca” giunse, però,<br />

solamente nel 1935 ed è curioso scoprire come essa<br />

fosse ispirata da un romanzo italiano a noi pressoché<br />

sconosciuto, Spartaco, scritto nel 1878 dal garibal<strong>di</strong>no<br />

Raffaello Giovagnoli (1838-1915). «Soltanto lo<br />

Spartak», spiega l’Autore, «tra tutti i club in<br />

competizione portava il nome <strong>di</strong> un rivoluzionario che<br />

era anche un atleta, il capo <strong>di</strong> un’epica rivolta <strong>di</strong> schiavi.<br />

E’ possibile che tale simbologia, associata alla già<br />

ricordata reale “<strong>di</strong>versità”, motivasse la calorosa<br />

adesione alla causa dello Spartak <strong>di</strong> larga parte <strong>della</strong><br />

classe operaia moscovita» (p. 54). Un successo dovuto<br />

probabilmente anche al fatto che «agli occhi del<br />

pubblico [esso] si impose subito per la sua natura <strong>di</strong><br />

società libera da ogni rapporto con le forze armate», a<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>della</strong> Dinamo, nata invece «come<br />

emanazione del commissariato del popolo agli Affari<br />

Interni, per iniziativa <strong>di</strong> Feliks Dzeržinskij» (p. 32).<br />

Nel 1936, Nikolaj Starostin, senza dubbio il giocatore<br />

più importante, abbandona il calcio agonistico per<br />

<strong>di</strong>ventare <strong>di</strong>rettore responsabile dell’intera società<br />

Spartak Mosca. Sono i giorni in cui la squadra riceve<br />

una vera e propria “bene<strong>di</strong>zione dall’alto”, anzi,<br />

letteralmente dalla sommità del potere sovietico. Il 6<br />

luglio 1936, infatti, “Giornata <strong>della</strong> cultura fisica”, lo<br />

Spartak viene incaricato <strong>di</strong> esibirsi nientemeno che nella<br />

Piazza Rossa <strong>di</strong> fronte al compagno Stalin. Curletto ci<br />

racconta la costruzione <strong>di</strong> un gigantesco tappeto <strong>di</strong><br />

feltro <strong>di</strong> <strong>di</strong>ecimila metri quadrati, le <strong>di</strong>fficoltà tecniche,<br />

numerosi aneddoti più o meno comici ma anche<br />

l’incre<strong>di</strong>bile ostruzionismo da parte dei «vertici<br />

dell’NKVD, a cui faceva capo la Dinamo, società che in<br />

tre<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> vita costellata <strong>di</strong> successi, non aveva<br />

tuttavia mai ottenuto dal partito-stato un<br />

riconoscimento pubblico così eclatante» (p. 66). Non<br />

sarà una vera e propria partita, ma una sorta <strong>di</strong> recita,<br />

dal copione rigi<strong>di</strong>ssimo, che dovrà essere prolungata, a<br />

sorpresa, a causa dell’imprevisto entusiasmo <strong>di</strong> Stalin.<br />

Mentre in Unione Sovietica infuriano le “purghe”, alcuni<br />

segnali preoccupanti iniziano a manifestarsi: per<br />

esempio, tornato vincitore dalla cosiddetta Olimpiade<br />

dei Lavoratori ad Anversa e dalla Coppa del mondo per<br />

Squadre <strong>di</strong> Lavoratori <strong>di</strong> Parigi, lo Spartak si scopre<br />

21<br />

attaccato da alcuni articoli che accusano i suoi giocatori<br />

«<strong>di</strong> compiacersi dello stile <strong>di</strong> vita borghese», in<strong>di</strong>cano<br />

anche «la fonte <strong>di</strong> tale corruzione dei costumi», ovvero i<br />

fratelli Starostin, e non esitano a passare «a dati<br />

concreti, denunciando la scandalosa pratica, vigente<br />

all’interno <strong>della</strong> società Spartak, <strong>di</strong> pagare gli atleti» (p.<br />

91).<br />

Ma la fine <strong>della</strong> buona sorte per i fratelli Starostin arriva<br />

quando Berija succede a Ezov alla guida dell’NKVD,<br />

<strong>di</strong>ventando allo stesso tempo presidente onorario del<br />

club pansovietico Dinamo, che la sua carica<br />

necessariamente implicava. Una carica che Berija, ex<br />

calciatore ed in passato rivale sportivo <strong>di</strong> Nikolaj<br />

Starostin, occupò in modo niente affatto simbolico,<br />

utilizzando, per spingere la “sua” squadra, anche<br />

strumenti decisamente poco corretti. L’arresto per gli<br />

Starostin arriva alla fine nel marzo 1942. Vengono<br />

portati alla Lubjanka, dove passano mesi in isolamento<br />

assoluto, mentre si susseguono interrogatori e pratiche<br />

<strong>di</strong> tortura progressivamente sempre più aspre. Prima<br />

accusati, in modo decisamente surreale, <strong>di</strong> aver tentato<br />

<strong>di</strong> uccidere la <strong>di</strong>rigenza sovietica, Stalin compreso,<br />

durante un’e<strong>di</strong>zione <strong>della</strong> “Giornata <strong>della</strong> cultura fisica”,<br />

poi <strong>di</strong> aver compiuto un gigantesco furto, alla fine i<br />

quattro vengono condannati a <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> lavoro<br />

forzato per “propaganda dello sport borghese”.<br />

Di lì a poco, i fratelli, ognuno deportato<br />

separatamente, scoprono che anche nel Gulag «il<br />

football veniva <strong>di</strong>ffusamente praticato a <strong>di</strong>spetto delle<br />

con<strong>di</strong>zioni climatiche sfavorevoli» e che, anzi, «si<br />

<strong>di</strong>sputava un campionato a cui partecipavano anche<br />

squadre <strong>di</strong> città se<strong>di</strong> <strong>di</strong> gulag, e per ogni comandante<br />

rappresentava un motivo d’orgoglio particolare<br />

schierare una formazione agguerrita» (p. 125). E avere<br />

uno Starostin era – ovviamente - un privilegio notevole.<br />

In mezzo agli orrori dei campi, i quattro sportivi<br />

potranno godere <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita relativamente<br />

migliori degli altri detenuti-schiavi e in alcuni casi<br />

finiranno per essere l’oggetto <strong>della</strong> contesa tra<br />

comandanti <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi lager. Nikolaj, in particolare, si<br />

troverà in mezzo ad un vero scontro tra Vasilij Stalin<br />

(il figlio del <strong>di</strong>ttatore), anche lui <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> una<br />

squadra <strong>di</strong> calcio legata all’aviazione, e l’NKVD del suo<br />

nemico personale, Berija.<br />

Arrestato, però, quest’ultimo, dopo la morte <strong>di</strong> Stalin<br />

nel 1953, «per la giustizia sovietica il caso Starostin» si<br />

chiude definitivamente «il 9 marzo 1955, con<br />

l’annullamento <strong>della</strong> sentenza <strong>di</strong> condanna pronunciata<br />

nei confronti dei quattro fratelli del Collegio Militare<br />

<strong>della</strong> Corte Suprema dell’URSS in data 20 ottobre<br />

1943» (p. 149).<br />

I quattro fratelli uscirono dal lager, assolutamente non<br />

piegati dalla drammatica esperienza. Tra l’altro, Andrei<br />

Starostin <strong>di</strong>venne Presidente <strong>della</strong> Federazione<br />

Sovietica <strong>di</strong> Calcio, mentre Nikolaj «venne reintegrato<br />

nel club Spartak in qualità <strong>di</strong> responsabile <strong>della</strong> squadra<br />

<strong>di</strong> calcio, carica che mantenne, con due brevi<br />

interruzioni, per più <strong>di</strong> quarant’anni. E non fu una carica<br />

onorifica, tutt’altro; nell’avvicendarsi <strong>di</strong> allenatori e <strong>di</strong><br />

intere generazioni <strong>di</strong> calciatori egli rimase non tanto<br />

come custode <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione, ma piuttosto come figura<br />

centrale. Negli anni settanta e ottanta continuava a<br />

prendere le decisioni importanti in seno alla società<br />

come aveva fatto mezzo secolo prima, e come allora<br />

sbagliava <strong>di</strong> rado» (153-154).<br />

Paolo Bogo


ANTOLOGIA SU STALIN E SULL’EREDITA’ SOVIETICA<br />

NELLA RUSSIA CONTEMPORANEA<br />

1) Un giar<strong>di</strong>no dei Giusti nella foresta del Male<br />

Vittorio Strada (Corriere <strong>della</strong> sera, 8 <strong>di</strong>cembre 2003)<br />

Si apre domani alle 9, al Teatro Parenti <strong>di</strong> Milano, il convegno internazionale «I Giusti nel Gulag. Il valore<br />

<strong>della</strong> <strong>resistenza</strong> morale al totalitarismo sovietico», che continuerà fino a giovedì.<br />

Per tre giorni Milano sarà la capitale <strong>di</strong> un Paese del quale non c’è traccia nelle carte geografiche, un Paese senza<br />

frontiere, senza dominio statale, senza vessillo nazionale. E’ un Paese sconfinato, popolato dalle vittime <strong>di</strong> un potere<br />

illuminato sotto una ban<strong>di</strong>era usurpata, un Paese fantasma che vive e rivive nella memoria storica, anzi nel suo spazio<br />

labile si ricostituisce proprio ora, dopo che a lungo vi era stato quasi cancellato.<br />

Non si tratterà certo del primo atto <strong>di</strong> riconoscimento tributato a quell’orrore del XX secolo che è stato il sistema<br />

concentrazionario dell’Unione Sovietica, il Gulag, il quale, parte centrale <strong>di</strong> una violenza omicida organizzata, ha<br />

sventolato un drappo vermiglio originariamente simbolo delle lotte <strong>di</strong> emancipazione dei lavoratori, ma poi intriso dal<br />

profluvio <strong>di</strong> sangue delle vittime marcate con la macabra sigla «Gulag».<br />

Quello del Teatro Parenti è però il primo convegno che va al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> una testimonianza storica e <strong>di</strong> una denuncia<br />

politica, manifestazioni entrambe che indubbiamente costituiscono i primari strumenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> verità contro un<br />

soffocante silenzio: si tratta, invece, <strong>di</strong> un’iniziativa che vuole avere preminente valore morale, anzi, <strong>di</strong>latando forse il<br />

senso che dai promotori le è attribuito, un valore etico-religioso.<br />

Parlare <strong>di</strong> religiosità a proposito del Gulag che, a <strong>di</strong>fferenza dell’altro e <strong>di</strong>verso scempio dello scorso secolo, la Shoah, ne<br />

sembra privo, è giustificato se si interpreta il termine nel suo significato più ampio, metaconfessionale, che accomuna<br />

spiritualmente uomini e donne d’ogni fede capaci <strong>di</strong> riconoscere i <strong>di</strong>ritti delle fe<strong>di</strong> altrui, nonché, in uno spirito laico nato<br />

nella tra<strong>di</strong>zione cristiana occidentale, i senza fede aperti al dubbio vivificatore. Ebbene, una trage<strong>di</strong>a come quella che,<br />

nell’in<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> chi ne era estraneo spettatore e nella complicità <strong>di</strong> chi la giustificava e occultava, si è consumata<br />

nell’area <strong>della</strong> <strong>di</strong>ttatura comunista, non poteva non avere, al <strong>di</strong> là del suo carattere puramente <strong>storico</strong>, una <strong>di</strong>mensione<br />

abissale e misteriosa, ovvero religiosa, mentre <strong>di</strong>chiaratamente atea era l’ideologia che reggeva quella macchina <strong>di</strong><br />

morte.<br />

I due più gran<strong>di</strong> testimoni che hanno dato inestinguibile voce a quella catastrofe, Aleksandr Solzhenitsyn e Varlam<br />

Scialamov, offrono prospettive <strong>di</strong>verse, forse opposte, per attingere il senso <strong>di</strong> quel fenomeno senza uguale che si<br />

chiama Gulag: il primo, Solzhenitsyn, è pervaso da un senso cristiano <strong>di</strong> <strong>resistenza</strong> al male, da un cristianesimo non<br />

remissivo, ma combattivo, che unisce la pietà per le vittime e l'esecrazione per i boia; mentre Scialamov ha la stoica<br />

<strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong> chi contempla l’atroce <strong>di</strong>sastro patito dalle singole vittime, da chi è stato spinto al punto in cui l’uomo<br />

s’annulla nella sua umanità prima ancora che nella sua fisicità, un fondo buio in cui balena solo qualche vaga scintilla.<br />

A Milano, al Teatro Parenti, risuoneranno le voci deboli ma indelebili sopravvissute e captate <strong>di</strong> quel mondo remoto.<br />

Voci che si faranno u<strong>di</strong>re senza spegnersi dopo la chiusura del convegno: sul modello <strong>di</strong> ciò che è stato fatto per le<br />

vittime <strong>della</strong> Shoah a Gerusalemme, infatti, l’animatore <strong>di</strong> questa iniziativa, Gabriele Nissim, intende<br />

portare a Mosca dall’Italia un ricordo costante del Gulag, creando un Giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> quei Giusti che, anche<br />

nell’abisso <strong>della</strong> sofferenza e dell’ini<strong>qui</strong>tà, seppero mantenere accesa la luce dell’anima e <strong>della</strong> libertà.<br />

L’uomo, capace <strong>di</strong> Male e <strong>di</strong> Bene, non è una pianta, ma quale più bella ricompensa terrena per chi ha lasciato così<br />

tremendamente la terra, se non un albero piantato in suo nome da mani memori per formare un fiorente bosco,<br />

simbolo <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> speranza?<br />

2) Guarnaschelli e gli altri, quei comunisti italiani uccisi nei gulag<br />

Aurelio Lepre (Corriere <strong>della</strong> Sera, 9 <strong>di</strong>cembre 2003)<br />

Anche molti italiani morirono nei gulag <strong>di</strong> Stalin. Il più noto al grande pubblico è Emilio Guarnaschelli, un<br />

operaio comunista torinese, che, per sfuggire alla polizia fascista, fu costretto a emigrare prima in Belgio e poi, nel<br />

1933, in Unione Sovietica, dove lavorò per qualche tempo in fabbrica. Nel 1935 fu arrestato con l’imputazione<br />

tanto vaga quanto grave <strong>di</strong> trockismo, e inviato prima al confino e poi nel gulag <strong>di</strong> Kolyma, dove fu fucilato<br />

nel 1938. Le lettere scritte alla moglie, Nella Masutti, anche lei una giovane comunista che si era rifugiata in URSS, ma<br />

era riuscita ad uscirne dopo la condanna del marito, furono pubblicate in Francia nel 1978 e in Italia nel 1982. Le ha<br />

ripubblicate nel 1998 l’e<strong>di</strong>tore Marsilio: «Una piccola pietra. Le lettere <strong>di</strong> un operaio comunista morto nei gulag<br />

<strong>di</strong> Stalin». Ma la questione dei comunisti italiani morti nei gulag era stata già aperta nel 1956 dalla riabilitazione, da<br />

parte dei tribunali sovietici, <strong>di</strong> Edmondo Peluso, arrestato nel 1938 e condannato a morte nel 1942, ed era stata poi<br />

risollevata da Dante Corneli, un trockista arrestato per la prima volta nel 1935, che era sfuggito alla morte, ma era<br />

finito nuovamente in carcere dopo la guerra ed era riuscito a tornare in Italia solo nel 1965, con l’appoggio <strong>di</strong> Umberto<br />

Terracini. Nessuno, in tempi <strong>di</strong> pace, ha fatto morire tanti comunisti quanti ne fece morire Stalin nella<br />

seconda metà degli anni Trenta, al tempo dei gran<strong>di</strong> processi che segnarono l’eliminazione <strong>di</strong> quasi tutti i<br />

<strong>di</strong>rigenti che erano stati protagonisti <strong>della</strong> rivoluzione d’ottobre e <strong>di</strong> gran parte dei membri del comitato<br />

centrale del partito bolscevico.<br />

Gli accusatori pretesero dagli imputati non solo una piena ammissione <strong>di</strong> colpevolezza, ma anche la reiterazione <strong>di</strong><br />

questa ammissione, una sorta <strong>di</strong> autoflagellazione. Il pubblico accusatore Vishinsky, che nel dopoguerra sarebbe<br />

<strong>di</strong>ventato viceministro degli esteri, accusò Zinov’ev, un esponente dell’ala sinistra, <strong>di</strong> avere fatto uccidere Kirov, un<br />

<strong>di</strong>rigente del partito comunista <strong>di</strong> Leningrado, molto popolare, assassinato probabilmente per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Stalin. Zinov’ev<br />

ammise la sua responsabilità, ma Vishinsky non si accontentò e insistette: «Dunque, siete voi che avete organizzato<br />

l’assassinio <strong>di</strong> Sergej Kirov?». Zinov’ev confermò: «Sì». Ma per Vishinsky non era ancora sufficiente e proseguì:<br />

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«Dunque, tutti voi avete assassinato Sergej Kirov?». Zinov’ev dovette <strong>di</strong>re ancora una volta: «Sì». Alcuni imputati<br />

confessarono perché furono torturati; altri per non danneggiare il partito, in cui continuavano a credere.<br />

Una singolarità <strong>di</strong> questi processi sta nel fatto che erano pubblici (tranne quello celebrato contro il<br />

maresciallo Tukhacevsky e altri alti ufficiali dell’esercito) e furono fatti conoscere in tutto il mondo con la<br />

pubblicazione dei verbali dei <strong>di</strong>battimenti, tradotti in lingua francese, in modo da dare a essi la massima<br />

<strong>di</strong>ffusione. A leggerli oggi, non si comprende come i comunisti (ma anche molti non comunisti) potessero credere che<br />

il nucleo <strong>di</strong>rigente del partito bolscevico fosse composto da tra<strong>di</strong>tori, tranne un piccolo gruppo raccolto intorno a Stalin.<br />

Arthur Koestler in «Buio a mezzogiorno» ha immaginato che il protagonista del suo romanzo, in cui raffigurò<br />

Bucharin, guardasse a Vishinsky come un civile scimpanzé guardava al rozzo e tetro uomo <strong>di</strong> Neanderthal: gli faceva<br />

orrore, ma rappresentava pur sempre un salto epocale nella storia dell’evoluzione. Se non si tiene conto <strong>di</strong> questo<br />

aspetto, non si può comprendere il comportamento <strong>di</strong> tanti comunisti, convinti <strong>di</strong> trovarsi <strong>di</strong> fronte a una transizione<br />

necessaria.<br />

Qualche sospetto si addensò anche sulla testa <strong>di</strong> Togliatti, che però riuscì, abbandonando alla loro sorte gli accusati<br />

(anche il cognato Paolo Robotti), ad evitare processi al gruppo <strong>di</strong>rigente del Pci. Ma ancora il 19 luglio 1941 il massimo<br />

<strong>di</strong>rigente dell’Internazionale Comunista, Georgi Dimitrov, scrisse sul suo <strong>di</strong>ario che Dolores Ibarruri, la «pasionaria»<br />

comunista spagnola, sentiva in Togliatti «qualcosa <strong>di</strong> estraneo, <strong>di</strong> non nostro». E fu deciso, per il momento, <strong>di</strong><br />

utilizzarlo, ma «<strong>di</strong> non renderlo partecipe <strong>di</strong> questioni strettamente segrete». In quegli anni il confine che <strong>di</strong>vise<br />

persecutori e perseguitati fu molto sottile: non solo Gramsci sarebbe potuto finire sul banco degli imputati, ma lo stesso<br />

Togliatti.<br />

3) Ucraina, voci dal silenzio <strong>di</strong> uno sterminio<br />

Vittorio Strada (Corriere <strong>della</strong> Sera, 14 febbraio 2004)<br />

Di recente Giovanni Paolo II ha inviato un messaggio ai car<strong>di</strong>nali ucraini Husar e Jaworski in occasione del 70°<br />

anniversario dell’«Holodomor», cioè <strong>della</strong> carestia che nel 1932-33 affamò in particolare l’Ucraina, allora<br />

sovietica, e altre popolazioni, dal Kazachistan al Caucaso settentrionale, causando milioni <strong>di</strong> vittime. Tra gli stermini<br />

che, per responsabilità del potere comunista, decimarono i vari popoli forzosamente riuniti nell’Urss, quello <strong>della</strong> Grande<br />

fame, uno dei più terribili, aspetta ancora il debito riconoscimento (anche se non manca ormai una vasta letteratura) e<br />

opportunamente ad esso lo scorso anno è stato de<strong>di</strong>cato un convegno dell’Istituto per le ricerche <strong>di</strong> storia sociale e<br />

religiosa, il cui presidente, Gabriele De Rosa, ha chiesto al Parlamento italiano <strong>di</strong> riconoscere quel massacro come<br />

genoci<strong>di</strong>o.<br />

Di questo tragico episo<strong>di</strong>o, taciuto nell’Urss, ma <strong>di</strong> cui scrissero un giornalista come William Chamberlin e poi uno<br />

<strong>storico</strong> come Robert Conquest, le fonti storiche permettono <strong>di</strong> ricostruire i meccanismi. Ma, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni ricerca<br />

specifica, c’è l’impressionante quadro <strong>di</strong> questo strazio che solo i suoi testimoni <strong>di</strong>retti, anzi le vittime sopravvissute,<br />

possono far rivivere, come è il caso dei racconti raccolti da Daria Chubova, e <strong>qui</strong> in parte tradotti, frammenti <strong>di</strong> una<br />

«storia orale» che nessuna storia «scritta» può superare.<br />

Un’altra testimonianza si legge nelle memorie <strong>di</strong> uno dei maggiori «<strong>di</strong>ssidenti» sovietici, Lev Kopelev, che, in gioventù<br />

fanatico comunista, partecipò come attivista del partito alle spietate azioni contro i conta<strong>di</strong>ni affamati e, ricordando gli<br />

orrori cui assistette, si stupisce <strong>di</strong> non essere impazzito o <strong>di</strong> non essersi suicidato, ma <strong>di</strong> aver creduto che tutto ciò<br />

fosse necessario per un ra<strong>di</strong>oso avvenire comunista.<br />

Dire che la colpa <strong>di</strong> questo ecci<strong>di</strong>o (le cui vittime oscillano tra i quattro e i sei milioni) è del regime<br />

sovietico e <strong>di</strong> Stalin è ovvio. Meno facile è in<strong>di</strong>viduare il modo in cui tale crimine si è attuato. Si può<br />

affermare che l’«Holodomor», la «Grande fame» nacque al punto <strong>di</strong> confluenza <strong>di</strong> due linee <strong>della</strong> politica staliniana:<br />

quella <strong>della</strong> «collettivizzazione» forzata e accelerata <strong>di</strong> tutta la campagna sovietica e quella <strong>della</strong><br />

«deucrainizzazione» dell’Ucraina, cominciata proprio allora, nel 1933.<br />

Quale trage<strong>di</strong>a sia stata la «collettivizzazione», che poneva violentemente fine al mondo conta<strong>di</strong>no costringendolo nelle<br />

aziende agricole <strong>di</strong> Stato, è noto. Come è noto che tale politica venne svolta all’insegna <strong>di</strong> una «guerra <strong>di</strong> classe»<br />

ideologica e poliziesca senza quartiere contro i cosiddetti kulak, i «conta<strong>di</strong>ni ricchi» che in realtà per lo più tali non<br />

erano e semplicemente si opponevano alla re<strong>qui</strong>sizione dei loro beni. Di questa politica soffrirono tutti i conta<strong>di</strong>ni<br />

laboriosi e attivi, russi e non russi, ma più <strong>di</strong> altri quelli ucraini, le cui tra<strong>di</strong>zioni erano meno legate a tra<strong>di</strong>zioni<br />

«collettive». D’altra parte, quando la carenza <strong>di</strong> derrate, a causa delle <strong>di</strong>sfunzioni del nuovo sistema agricolo e del<br />

cattivo raccolto, avrebbe reso necessaria una importazione <strong>di</strong> granaglie, Stalin oppose nettamente il suo rifiuto perché,<br />

come aveva scritto precedentemente, «l’importazione <strong>di</strong> grano minerebbe il nostro cre<strong>di</strong>to all’estero e aggraverebbe le<br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>della</strong> nostra posizione internazionale. Dobbiamo <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> farne a meno ad ogni costo. Il che è impossibile se non<br />

si intensifica l’ammasso del grano».<br />

Nel 1932, quando cominciò la carestia, e milioni <strong>di</strong> persone morivano <strong>di</strong> fame, non solo avvenne tale «intensificazione»<br />

re<strong>qui</strong>sendo tutto il possibile ai conta<strong>di</strong>ni, ma continuò l’esportazione all’estero, il che, assieme alle draconiane misure <strong>di</strong><br />

polizia varate, rese il potere centrale <strong>di</strong>rettamente responsabile dell’ecatombe (tenuta nascosta per non minare il<br />

«cre<strong>di</strong>to» dell’Urss!).<br />

L’altra linea che spiega l’accanimento <strong>di</strong> Stalin nei riguar<strong>di</strong> dell’Ucraina è la svolta nella politica nazionale in generale per<br />

tutte le componenti dell’Unione Sovietica e in particolare verso la seconda repubblica, per importanza e grandezza,<br />

l’Ucraina appunto. È questa una storia meno nota e chiara. Basterà ricordare che per un decennio, dal 1923 al 1933, si<br />

svolse la cosiddetta «ucrainizzazione» dell’Ucraina, cioè il riconoscimento da parte del potere centrale sovietico delle<br />

peculiarità (linguistiche, culturali, amministrative) <strong>di</strong> questa repubblica. Si parla ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> nazionalcomunismo<br />

ucraino, espressione eccessiva poiché il momento politico unitario e centralizzato sovietico non venne mai meno; pur<br />

tuttavia questo decennio fu piuttosto positivo per l’Ucraina e per quei suoi rappresentanti, politici e culturali, che<br />

aspiravano a una relativa autonomia da Mosca in quanto centro <strong>della</strong> Russia. L’«ucrainizzazione» era il modo tattico in<br />

cui il potere sovietico si voleva ra<strong>di</strong>care in una singola area etnico-nazionale: con la franchezza da lui usata almeno in<br />

privato, in una lettera a Lenin, nel 1922, Stalin riconobbe che negli anni precedenti, durante la guerra civile, «noi siamo<br />

stati costretti a far mostra del liberalismo <strong>di</strong> Mosca nella questione nazionale», ma, aggiungeva, in tal modo<br />

involontariamente si erano formati dei comunisti che «esigono una vera in<strong>di</strong>pendenza in tutti i sensi», il che era<br />

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inammissibile. Nel 1933, quando il regime comunista si era ra<strong>di</strong>cato e Stalin aveva ormai conclusa la sua ascesa al<br />

potere totale, e non c’era <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> più bisogno <strong>di</strong> far mostra <strong>di</strong> «liberalismo», all’«ucrainizzazione» venne posto fine, come<br />

del resto, in modo analogo avvenne per le altre repubbliche, e si affermò l’unità assoluta <strong>della</strong> «patria sovietica», la cui<br />

componente centrale era quella russa (a partire dalla lingua), a sua volta, però denazionalizzata e sovietizzata.<br />

Non è possibile riferire <strong>qui</strong> ciò che avvenne poi in Ucraina: la decimazione dei suoi <strong>di</strong>rigenti «nazionalcomunisti»,<br />

accompagnata da suici<strong>di</strong> illustri anche <strong>di</strong> intellettuali, il cui «sogno» si spezzava contro la realtà. L’Ucraina subì, per così<br />

<strong>di</strong>re, una duplice trage<strong>di</strong>a entro quella generale sovietica: un ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> massa e un massacro <strong>di</strong> vertice e fu così<br />

sottomessa con un’ulteriore ondata <strong>di</strong> terrore al «nuovo corso», soltanto col crollo del comunismo riac<strong>qui</strong>stando,<br />

settant’anni dopo, la sua in<strong>di</strong>pendenza nazionale.<br />

4) «L’orrore <strong>della</strong> fame cieca che ci ha reso cannibali»<br />

(Corriere <strong>della</strong> Sera, 14 febbraio 2004)<br />

Pubblichiamo alcune testimonianze <strong>di</strong> sopravvissuti all’Holodomor, raccolte dalla storica moscovita Daria<br />

Chubova. I cognomi sono seguiti dalle iniziali del nome e del patronimico<br />

«Anche cani si mangiava, e gatti, e ratti... Gli uccelli piccoli, passeri e cornacchie, li avevamo mangiati in autunno, da<br />

un pezzo non ce n’erano più... Perché nasconderlo, si mangiava la gente.» (Ivanova O.I.)<br />

«Dietro <strong>di</strong> noi abitava Michailo Davydenko che si era mangiato la moglie. L’aveva uccisa, cotta e mangiata... Prova un<br />

po’ tu a fare la fame... La gente usciva <strong>di</strong> testa... Varvara, quella che stava in fondo al villaggio, era andata a far acqua<br />

al pozzo. Ma vicino al pozzo si scivola, l’acqua versata era tutta una lastra <strong>di</strong> ghiaccio... Varvara scivolò e cadde... Per<br />

alzarsi le mancavano le forze... Rimase lì stesa finché non congelò. Il suo uomo la prese com’era, gelata, e la tagliò a<br />

pezzi per mangiarla...». (Bakanova V.S.)<br />

«C’era una fame terribile... La gente era tutta gonfia. Una notte vado verso l’officina e vedo un vecchietto... L’inverno<br />

era fred<strong>di</strong>ssimo... Lui trascina una bambina, morta congelata, per il collo: che vuoi, bisogna pur mangiare».<br />

(Komlitskij I.V.)<br />

«Mia mamma era già tutta gonfia e non poteva alzarsi dalla panca. Se ne stava lì sdraiata da qualche giorno... Ma era<br />

ancora viva. Dai vicini era rimasta viva una bambina, gli altri erano tutti morti. Andai da lei e in due cominciammo a<br />

<strong>di</strong>sfare lo steccato per fare casse da morto... Mentre lo <strong>di</strong>sfacevamo (così <strong>di</strong>cendo piange)... la mia mamma... la<br />

portarono via, viva... Non le ho dato l’ultimo saluto e non so dove è la sua tomba». (Kononenko A.N.)<br />

«Che cosa ho fatto?... A partire dalla scuola abbiamo cominciato a scavare. Da tutto il villaggio portano i morti... Ma<br />

che morti... Crepati erano. Scaviamo la fossa profonda fino al ginocchio e li sten<strong>di</strong>amo lì come acciughe, uno sull’altro,<br />

purché basti la terra per coprirli. Arriviamo fino al policlinico, ve<strong>di</strong>, <strong>di</strong> <strong>qui</strong> sono quattrocento metri. Dall’ospedale<br />

trasportavano a carrettate tutti i cadaveri nu<strong>di</strong>. I carri non sono coperti e ora un braccio, ora una gamba finisce tra le<br />

ruote. Ma ecco che una donna porta un bambino che conosco: è la mia ex vicina, e mi <strong>di</strong>ce: "Grisha, sotterramelo".<br />

Allora io, per non offendere gli altri, scavo un po’ da una parte e metto lì quella piccola bara... Nella bara non si poteva<br />

seppellire e se qualcuno portava morti nella bara, noi la spaccavamo perché occupava troppo spazio... Le bare le<br />

spaccavamo e i cadaveri li stendevamo come acciughe» (Gontar G.K.)<br />

«Soprattutto se la passavano male i bambini piccoli: cadevano semplicemente per terra, come mosche». (Gontar<br />

M.S.)<br />

Racconto dell’autista <strong>di</strong> un <strong>di</strong>rigente <strong>di</strong> partito: «Ne abbiamo fatta allora <strong>di</strong> strada, dappertutto le vie erano piene <strong>di</strong><br />

cadaveri... Ce n’erano moltissimi, una quantità enorme... Non ricordo dove, lui mi <strong>di</strong>ce: "Ve<strong>di</strong>, Vasilij, i kulak hanno<br />

nascosto il grano: preferiscono crepare piuttosto che tirarlo fuori"». (Lozovoj V.P.)<br />

5) Il Paese <strong>della</strong> guerra infinita. Stalin 60 anni fa deportò l’intera<br />

popolazione<br />

André Glucksmann (la Repubblica, 21 febbraio 2004)<br />

Malgrado la cortina <strong>di</strong> silenzio, nessun responsabile occidentale ignora che in materia <strong>di</strong> <strong>di</strong>sumanità, oggi, su quella<br />

minuscola parte <strong>di</strong> Caucaso si abbatte il peggio del peggio. L´ultima trovata <strong>di</strong> questa guerra "esemplare", piena<br />

zeppa <strong>di</strong> invenzioni, è il fagotto umano. Significa, in un qualsiasi villaggio, prendere donne, bambini e vecchi,<br />

legarli insieme e buttare in mezzo a loro alcune granate. I nostri potenti rivolgono lo sguardo altrove e non <strong>di</strong>cono<br />

niente. Perché? Per far piacere a Mosca? Ma Mosca, cosa vuole?<br />

L´enigma rimane senza risposta. La volontà che spinge il Cremlino a proseguire la propria guerra contro i<br />

civili ceceni, costi quel che costi, sfida ogni calcolo razionale. E´ chiaro che i centocinquanta milioni <strong>di</strong> russi<br />

sparsi nel loro immenso territorio non hanno il minimo interesse ad andarsi a impantanare, a scapito dei propri figli<br />

e delle proprie finanze, in un fazzoletto <strong>di</strong> terra grande quanto la Calabria. Il petrolio, allora? Quello serve<br />

giusto ad arrotondare la paga dei generali che lo prelevano. Il tracciato degli oleodotti? Ormai il loro<br />

percorso aggira questa zona pericolosa. Il pericolo islamico che minaccia la regione e <strong>di</strong> cui la Cecenia sarebbe<br />

il braccio armato?<br />

Cosa teme Mosca? Il rischio d´incoraggiare altri in<strong>di</strong>pendentismi, l’effetto-domino? Per più <strong>di</strong> tre secoli, i<br />

ceceni sono stati gli unici al mondo a resistere a una tale pressione e con tale perseveranza. In Arcipelago Gulag<br />

Soljenitsin racconta ammirato: <strong>di</strong>etro il filo spinato "c´è una nazione sulla quale la psicologia <strong>della</strong> sottomissione<br />

resta senza effetto; non in<strong>di</strong>vidui isolati, non ribelli, no: la nazione intera. Sono i ceceni. Abbiamo già visto il loro<br />

atteggiamento nei confronti degli evasi dai campi. Abbiamo visto come, soli tra tutti questi reietti avevano tentato<br />

<strong>di</strong> sostenere l´insurrezione <strong>di</strong> Kenghir. I ceceni non hanno mai e da nessuna parte cercato <strong>di</strong> servire le autorità, né<br />

<strong>di</strong> essere compiacenti; il loro atteggiamento è sempre stato fiero, a volte apertamente ostile [...].<br />

Perché tanta ostinazione, da Caterina II a Putin, da San Pietroburgo a Vla<strong>di</strong>vostock? Perché ostinarsi a seppellire<br />

uomini, armi e anime in un lontano cimitero caucasico? La posta in gioco <strong>di</strong> questo bagno <strong>di</strong> sangue non è la<br />

Cecenia, la sua terra devastata, il suo popolo annientato. Si tratta piuttosto delle teste dei russi, dell´or<strong>di</strong>ne che<br />

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perio<strong>di</strong>camente viene ristabilito in ogni cervello russo. Da tre secoli l´autocrazia bianca, e poi rossa, reitera questa<br />

battaglia pedagogica. Lo zar Nicola I ha portato avanti lo sterminio dei ribelli per quarant´anni. Nel 1944 Stalin li<br />

fa deportare tutti in tre giorni. Prima le donne e i bambini (gli uomini combattono al fronte contro i<br />

nazisti, i sopravvissuti saranno arrestati più tar<strong>di</strong>), un terzo <strong>di</strong> loro muore durante il viaggio. La Russia <strong>di</strong><br />

oggi, definita democratica, è già alla sua seconda guerra: nella prima aveva ucciso un abitante su <strong>di</strong>eci, nella<br />

seconda raddoppia il record <strong>di</strong> <strong>di</strong>sumanità. Perché una tale valanga <strong>di</strong> sofferenze? Dal Settecento a oggi, le<br />

guerre cecene vengono citate come "esempio per tutta la nazione": è letteralmente in questi termini che<br />

Putin ha presentato la sua spe<strong>di</strong>zione militare. Le guerre cecene si decifrano come un breviario d´obbe<strong>di</strong>enza e<br />

s´impongono come il catechismo dell´asservimento. Si ritiene che il martirio caucasico sia un deterrente: la<br />

crocifissione dei montanari che non si sottomettono deve servire da esempio per tutti. Ogni russo deve capire il<br />

prezzo da pagare per resistere agli or<strong>di</strong>ni che arrivano dall´alto. Ancora oggi, quando i ceceni si salutano, non si<br />

<strong>di</strong>cono buongiorno o buonasera, non chiedono come stai, né invocano la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Dio. Rendono invece<br />

omaggio all´essenziale: "Che la libertà sia con te!". Tolstoj, nel suo ultimo racconto Chadzi-Murat, testamento<br />

spirituale proibito finché era in vita, consegna l´ultima ratio <strong>di</strong> questa strategia pedagogica: sra<strong>di</strong>care il "cardo<br />

ceceno" per annientare l´idea <strong>di</strong> libertà in ogni anima russa. La guerra in Cecenia <strong>di</strong>sciplina l´impero.<br />

Un simile con<strong>di</strong>zionamento ha un prezzo. Sin dai tempi <strong>di</strong> Ivan il Terribile, i padroni del momento hanno raramente<br />

avuto esitazioni a far pagare il conto ai loro sud<strong>di</strong>ti. La costruzione <strong>di</strong> San Pietroburgo sotto la ferula <strong>di</strong> Pietro il<br />

Grande richiese il lavoro forzato dei mujik, che perirono a centinaia <strong>di</strong> migliaia nelle palu<strong>di</strong>. Settanta anni <strong>di</strong><br />

comunismo hanno battuto ogni record <strong>di</strong> orrore.<br />

In nome <strong>della</strong> mobilitazione anticecena si mette fine al "carnevale eltsiniano", viene proclamata la "verticale del<br />

potere", le libertà pubbliche vengono limitate, i mass me<strong>di</strong>a vengono rimessi sotto controllo e l´opinione pubblica è<br />

invitata all´autocensura, mentre la polizia ritrova prestigio e poteri. Lo spirito spetznaz ha ormai contaminato quel<br />

terzo d´Europa dove i corpi speciali, all’occorrenza mascherati, dettano legge a piacimento e si alleano con le varie<br />

mafie e i ricchi predatori.<br />

Per <strong>di</strong>eci anni le democrazie occidentali si sono cullate nelle illusioni, immaginando una via d´uscita dal comunismo<br />

a senso unico: tutti, antichi servi e vecchi padroni, popoli oppressi e nomenklatura sfruttatrice, inconsapevoli<br />

bambini sperduti e cinici sfruttatori senza scrupoli, tutti avrebbero percorso come un sol uomo la via magna del<br />

rispetto e <strong>della</strong> tolleranza, nell´ambito <strong>di</strong> un´economia <strong>di</strong> mercato regolata dai Diritti dell´Uomo. A sinistra come<br />

a destra, abbiamo deciso che il tempo delle violenze era passato, e che ormai esisteva solo un<br />

irresistibile e pacifico progresso economico versione Davos o Porto Alegre.<br />

Non ce ne vogliano gli angelici estimatori <strong>di</strong> storie a lieto fine, ma i fatti sono ostinati e la storia rimane tragica.<br />

Non c´è un modo solo per uscire dal sovietismo e dalle <strong>di</strong>ttature totalitarie, ma due. C´è la via <strong>di</strong> Vaclav Havel,<br />

democratica e tollerante ma lunga, penosa e <strong>di</strong>sseminata d´ostacoli. Oppure la mobilitazione alla Milosevic, con il<br />

suo carico <strong>di</strong> pulizie etniche e avventure sanguinarie. La Russia è al bivio. La sporchissima guerra che ha scatenato<br />

<strong>di</strong> nuovo contro il Caucaso la incancrenisce completamente. Assistendo impavi<strong>di</strong> e in<strong>di</strong>fferenti a questo massacro<br />

senza fine, favoriamo, nel nostro grande vicino dell´Est, la nascita <strong>di</strong> un’autocrazia postideologica senza fede né<br />

legge. Il sonno degli europei, <strong>della</strong> loro morale e <strong>della</strong> loro ragione, scava un buco nero nel nostro suolo, avalla una<br />

società né comunista né liberale, ma sempre più mostruosa. Nella lotta dei ceceni per la propria <strong>di</strong>gnità e<br />

sopravvivenza, il destino spirituale <strong>della</strong> Russia e l´avvenire materiale dell´Europa vacillano.<br />

6) Trionfo georgiano per Bush<br />

Il presidente Usa accolto con tutti gli onori a Tblisi esalta la «rivoluzione delle rose»<br />

Filippo De Danieli (il manifesto, 11 maggio 2005)<br />

TBILISI - Ore 13,30: da un palco montato in Tavisuplebis Moedani, la piazza principale <strong>di</strong> Tbilisi, e per sfondo uno<br />

striscione che inneggia alla libertà e alla democrazia, il presidente degli Stati uniti George W. Bush inizia il suo <strong>di</strong>scorso<br />

al popolo georgiano. Fin dalle prime ore del giorno le vie centrali <strong>della</strong> capitale si riempiono <strong>di</strong> gente. L'affluenza è<br />

minore alle aspettative (5-10 mila persone al massimo), nonostante sia una sorta <strong>di</strong> un giorno <strong>di</strong> vacanza per la<br />

popolazione georgiana: nella capitale scuole e uffici pubblici sono rimasti chiusi. Il presidente Mikhail Saakashvili -<br />

salito al potere con la cosiddetta «rivoluzione delle rose», la prima tra le rivoluzioni floreal-colorite verificatesi nello<br />

spazio ex sovietico - le ha tentate tutte per fare bella figura con il suo alleato-protettore Bush. Le strade principali sono<br />

state riasfaltate per l'occasione, le facciate dei palazzi che si affacciano sulla piazza ripulite e ri<strong>di</strong>pinte. Per Saakashvili<br />

non ci potrebbe essere occasione migliore <strong>di</strong> questa per mostrare alla popolazione la riuscita <strong>della</strong> sua politica estera.<br />

Le misure <strong>di</strong> sicurezza sono rigorosissime. La strada principale, Rutaveli Gamziri, è chiusa al traffico da 10 giorni (con<br />

enormi problemi alla circolazione). Da ieri tutte le vie intorno alla piazza sono transennate. Per entrare in Tavisuplebis<br />

Moedani è necessario sottoporsi a rigi<strong>di</strong> controlli. Per questioni <strong>di</strong> sicurezza è stato ad<strong>di</strong>rittura annullato uno<br />

spettacolo tra<strong>di</strong>zionale in cui i ballerini si esibivano con delle spade. Si <strong>di</strong>ce che <strong>qui</strong> a Tbilisi siano presenti tra<br />

gli 800 e i 1200 agenti speciali americani per sorvegliare la visita del loro presidente. Alla maggior parte dei corpi<br />

militari e <strong>di</strong> polizia locali sono state tolte le armi. È vietato affacciarsi alle finestre che danno sulla piazza. L'e<strong>di</strong>ficio del<br />

Parlamento, in cui avverrà il primo incontro tra i due presidenti, da venerdì scorso è off-limits per gli stessi deputati<br />

georgiani.<br />

Nel suo <strong>di</strong>scorso Bush lancia gran<strong>di</strong> proclami <strong>di</strong> amicizia verso il popolo georgiano e il suo presidente. Afferma che in<br />

questo paese la volontà popolare ha portato al trionfo <strong>della</strong> libertà e <strong>della</strong> democrazia. Auspica che l'esempio<br />

georgiano possa funzionare da modello per le altre repubbliche ex-sovietiche in cui ancora regna la <strong>di</strong>ttatura (o meglio,<br />

in cui Mosca esercita ancora la propria influenza, Bielorussia in primis). Loda l'impegno <strong>di</strong> Saakashvili nella lotta<br />

contro la corruzione e la sua volontà <strong>di</strong> introdurre riforme.<br />

Insomma, tutto secondo copione. Con la «rivoluzione delle rose», infatti, la propensione euro-atlantica <strong>di</strong> questo paese<br />

caucasico, già ampiamente manifestatasi durante il governo <strong>di</strong> Shevarnadze, ha subìto un ulteriore rafforzamento prostatunitense.<br />

Saakashvili fin dall'inizio del suo mandato ha posto come obbiettivo prioritario <strong>della</strong> sua<br />

politica estera l'avvicinamento agli Usa.<br />

Washington non gli ha mai fatto mancare il suo appoggio, ponendo, però, delle ferme con<strong>di</strong>zioni. Innanzitutto,<br />

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Saakashvili si è dovuto impegnare per ottenere lo smantellamento delle due basi russe ancora presenti sul territorio<br />

georgiano. In questo anno e mezzo i negoziati con la Russia su questa spinosa questione non hanno portato a nessun<br />

risultato, se non a un inasprimento dei rapporti tra Mosca e Tbilisi. Prova ne è la mancata partecipazione <strong>di</strong><br />

Saakashvili alle celebrazioni per i 60 anni dalla fine <strong>della</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, tenutesi lunedì nella<br />

capitale russa.<br />

La politica statunitense è abbastanza comprensibile: il Caucaso è un nodo strategico cruciale. Nella zona del mar<br />

Caspio sono presenti ingenti riserve <strong>di</strong> petrolio e gas. Assicurandosi la fedeltà <strong>della</strong> Georgia e, in parallelo,<br />

dell'Azerbaigian - paese sotto forte influenza <strong>della</strong> Turchia, <strong>storico</strong> alleato Usa nell'area - Washington ha creato una<br />

testa <strong>di</strong> ponte tra gli Urali ed il Me<strong>di</strong>oriente. La prossima apertura - l'inaugurazione è prevista per la fine <strong>di</strong> questo<br />

mese - dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan sarà il primo risultato <strong>di</strong> queste scelte strategiche.<br />

La nuova politica <strong>di</strong> Tbilisi appare invece alquanto spregiu<strong>di</strong>cata. La Georgia è uno stato piccolo (5 milioni <strong>di</strong> abitanti),<br />

povero <strong>di</strong> risorse energetiche e sta attraversando una fase <strong>di</strong> gravissima crisi economica. Non bisogna <strong>di</strong>menticare<br />

inoltre che due regioni <strong>di</strong> questo paese, l'Abkhazia e l'Ossezia meri<strong>di</strong>onale, hanno <strong>di</strong>chiarato, all'inizio degli anni<br />

`90, la propria in<strong>di</strong>pendenza, e sono tutt'ora al <strong>di</strong> fuori del controllo governativo. Le scelta politica <strong>di</strong> Saakashvili <strong>di</strong><br />

acuire i contrasti con il potente vicino russo risulta, <strong>qui</strong>n<strong>di</strong>, in un vicolo cieco, dal quale <strong>di</strong>fficilmente Tbilisi potrà tirarsi<br />

fuori. E la partita per il petrolio del Caspio sembra tutt'altro che chiusa.<br />

7) L’orrore <strong>della</strong> Cecenia: in sei mesi 152 sparizioni che nessuno sa spiegare<br />

Francesca Sforza (La Stampa, 23 settembre 2005)<br />

Si tengono per mano, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente, si chiamano dalle finestre dei ballatoi e scendono in strada, si contano,<br />

scelgono la più anziana perché parli e spieghi la situazione a nome <strong>di</strong> tutte. «Lei è più lucida, suo figlio è tornato»,<br />

<strong>di</strong>cono. Ma poi a sentire la loro storia non ce la fanno a restare in silenzio, e intervengono, parlano, piangono.<br />

«Ridateci i nostri figli!», ripetono ossessivamente con gli occhi persi nel vuoto le madri <strong>di</strong> Novij Atoghi, un villaggio<br />

venti chilometri a Sud <strong>di</strong> Grozny, nella Cecenia <strong>della</strong> «normalizzazione» in cui la guerra è finita.<br />

Spariscono all'improvviso - ragazzi dai 14 ai 20 anni - e la <strong>di</strong>namica è sempre la stessa: «Era il 13 settembre<br />

scorso, verso le cinque <strong>di</strong> pomeriggio - racconta Liza, quarant'anni che sembrano sessanta -. Stavo tornando a casa e<br />

vedo una macchina che entra nel nostro cortile. Andava veloce, era scura, con i vetri neri, comincio a correre e vedo<br />

che escono quattro uomini in uniforme, tutti vestiti <strong>di</strong> nero, con le facce coperte. Mi metto a gridare, ma loro non mi<br />

guardano neanche, prendono Akhmed e lo portano via. Da allora non so più niente, ho solo negli occhi la faccia <strong>di</strong> mio<br />

figlio, sconvolta dal terrore, che cercava aiuto con lo sguardo. Dove sarà adesso?».<br />

Akhmed, 17 anni. Shamil, 15. Soslan, 17. Apty, 21. «Nella prima metà del 2005 abbiamo ricevuto 152 segnalazioni <strong>di</strong><br />

ragazzi scomparsi, ma è impossibile fare una statistica - <strong>di</strong>ce Natasha Estimirova, instancabile attivista <strong>di</strong> "Memorial",<br />

una delle poche organizzazioni umanitarie presenti in Cecenia -. Le persone hanno paura <strong>di</strong> fare nomi, pensano che poi<br />

potrebbe toccare ad altri uomini <strong>della</strong> famiglia, quello che si sa è una piccolissima parte <strong>di</strong> quello che succede».<br />

La rabbia urlata per strada dalle madri <strong>di</strong> Novij Atoghi è un'eccezione <strong>di</strong>sperata, ma il loro dolore è lo stesso <strong>di</strong> tante<br />

altre madri cecene. «E' la faccia <strong>di</strong> un separatista questa - <strong>di</strong>ce piangendo Zveda con in mano la foto <strong>di</strong><br />

Shamil -. La guar<strong>di</strong>, è la faccia <strong>di</strong> un guerrigliero?». Sull'istantanea rovinata, il volto <strong>di</strong> un ragazzino con le spalle<br />

strette, un sorrisetto da grande, vicino al suo cane. «Prima <strong>di</strong> portarlo via mi hanno chiesto il suo passaporto, come se<br />

neanche sapessero chi stavano prendendo».<br />

Ma chi rapisce i figli delle madri <strong>di</strong> Grozny? «Possono essere quelli <strong>della</strong> milizia, oppure i fondamentalisti<br />

wahaabiti, oppure gli uomini <strong>di</strong> Kadyrov, <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>rlo», risponde un funzionario dell'Nvd, il ministero degli<br />

Interni. In Cecenia ci sono oggi 16 mila uomini impiegati nelle strutture militari o <strong>di</strong> forza pubblica, la percentuale più<br />

alta <strong>di</strong> tutta la Russia rispetto al numero degli abitanti. Fsb, Omon, Atz, Sb, Nvd, Gru, ognuna <strong>di</strong> queste sigle, per<br />

la gente <strong>di</strong> Grozny, significa un <strong>di</strong>verso modo <strong>di</strong> avere paura. Al vertice <strong>della</strong> piramide si trova Ramzan<br />

Kadyrov, figlio del presidente filorusso ucciso in un attentato il 9 maggio 2004. Ufficialmente sarebbe il vicepremier<br />

dell'attuale governo ceceno, ma le funzioni istituzionali, a Grozny, hanno smesso da tempo <strong>di</strong> corrispondere alla realtà.<br />

«Kadyrov è il re <strong>della</strong> Cecenia», <strong>di</strong>ce Timur, agente <strong>della</strong> polizia ferroviaria. Di recente ha creato un Centro<br />

Antiterroristico <strong>di</strong> 500 unità che risponde <strong>di</strong>rettamente a lui. «Il problema è che tra i "ka<strong>di</strong>rovszy" ci sono molti<br />

criminali ricercati dalle autorità federali, gente che si è macchiata <strong>di</strong> gravi reati penali», spiega il funzionario<br />

degli Interni.<br />

I ragazzi nel frattempo continuano a sparire, e spesso pagare un riscatto non serve a niente, tanto dopo li rapiscono <strong>di</strong><br />

nuovo: Elsa è stata fortunata, perché suo figlio è tornato dopo tre mesi. «Aveva bruciature su tutto il corpo,<br />

l'hanno torturato con la corrente elettrica, adesso ha l'epilessia, ma almeno è vivo». Dopo le torture Islam ha<br />

confessato <strong>di</strong> avere degli amici guerriglieri, e ha fatto qualche nome, vicini <strong>di</strong> casa che poi sono spariti a loro volta. «La<br />

confessione - recitava un famoso slogan <strong>della</strong> Russia <strong>di</strong> Stalin - è la regina <strong>di</strong> tutte le prove».<br />

Alla domanda «Di chi è la colpa?», qualsiasi ceceno risponderà che la colpa è dei russi, occupanti e invasori. Ramzan<br />

Kadyrov però è ceceno, invita a Grozny personaggi <strong>di</strong> fama mon<strong>di</strong>ale come Mike Tyson a fargli pubblicità, e<br />

intrattiene rapporti cor<strong>di</strong>ali con il Cremlino. E ceceni sono ormai la maggioranza degli uomini legalmente armati.<br />

«Non c'è altro modo <strong>di</strong> guadagnare sol<strong>di</strong>, a Grozny - <strong>di</strong>ce ancora il funzionario dell'Nvd, ceceno anche lui -. Si lavora<br />

solo se si è in qualche struttura militare, ma io non sono al soldo dei russi, io lavoro per il popolo ceceno». Per la<br />

stabilizzazione dell'area, Mosca ha stanziato dal 2000 quasi due miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> euro. Ma le abitazioni del centro <strong>di</strong><br />

Grozny sono ancora sventrate dalle bombe del 1991. Dove sono finiti quei sol<strong>di</strong>? «In armi e uniformi - <strong>di</strong>ce<br />

Natasha -. Il Cremlino è riuscito a realizzare il suo scopo: "cecenizzare" il conflitto, lasciare che i ceceni si scannino tra<br />

loro».<br />

Dai villaggi <strong>di</strong> Argun e Vi<strong>di</strong>no, 250 ragazzi negli ultimi sei mesi si sono uniti ai guerriglieri. I sequestri dovrebbero forse<br />

servire ad impe<strong>di</strong>re questo genere <strong>di</strong> fughe, ma molti <strong>di</strong> loro se ne vanno per paura. «Li abbiamo salvati dalle bombe,<br />

dalla fame, dalle malattie - <strong>di</strong>ce Zveda, con la foto <strong>di</strong> Shamil stretta tra le mani -. E adesso ce li strappano dalle case, i<br />

nostri figli, e chissà se li rivedremo mai». Alle sei <strong>di</strong> sera scende il coprifuoco, nell'aria cominciano a risuonare le raffiche<br />

<strong>di</strong> mitra. Chi ha suo figlio ancora a casa non lo perde <strong>di</strong> vista neanche un istante, soprattutto quando comincia a fare<br />

buio.<br />

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8) I <strong>di</strong>menticati del Gulag<br />

Gabriele Nissim (Il Giornale, 9 novembre 2005)<br />

Perché la memoria dei gulag stenta a <strong>di</strong>ventare un ricordo universale e non si pone accanto a quella <strong>della</strong> Shoah come<br />

un monito morale per tutta la cultura europea? È quasi normale insegnare ai ragazzi nelle scuole <strong>di</strong> non<br />

<strong>di</strong>menticare Auschwitz, mentre non c'è ancora un senso comune attorno al ricordo <strong>di</strong> Kolyma e dei campi<br />

sovietici. Vale la pena affrontare <strong>di</strong> petto i motivi <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>fficoltà nella giornata <strong>di</strong> «Memento gulag».<br />

Un vero profeta <strong>della</strong> situazione che si vive nella Russia <strong>di</strong> Putin - ma che attraversa anche molti settori che in passato<br />

hanno guardato con entusiasmo al sistema sovietico - è stato negli anni Cinquanta il grande scrittore Vassilij<br />

Grossman. Nel suo ultimo libro, Tutto scorre (Adelphi), racconta un episo<strong>di</strong>o emblematico: quando il professore Ivan<br />

Grigor'evic ritorna a Mosca dopo trent'anni <strong>di</strong> condanna in Siberia, il suo vecchio amico Pinegin, che lo aveva<br />

denunciato all’NKVD, si sente profondamente a <strong>di</strong>sagio. Colto da un senso <strong>di</strong> vergogna pensa <strong>di</strong> confessare a Ivan la<br />

propria colpa per liberarsi del peso ingombrante del passato, ma poi decide <strong>di</strong> tacere e <strong>di</strong> rimuovere il<br />

malessere interiore davanti a una tavola imban<strong>di</strong>ta in un buon ristorante. Preferisce reprimere la spinta al<br />

pentimento e arriva a guardare con rancore l'amico <strong>di</strong> un tempo, che è tornato a turbare la sua vita<br />

tran<strong>qui</strong>lla, ora minacciata dal rimorso.<br />

Attraverso Pinegin, Grossman mette in evidenza la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> una società <strong>di</strong>venuta ostaggio <strong>della</strong> paura:<br />

<strong>di</strong>etro ogni uomo finito nel gulag non c’erano solo i cekisti, ma un vero o proprio esercito <strong>di</strong> delatori, perché il potere<br />

era riuscito con il terrore a coinvolgere larghissimi strati popolari nel meccanismo <strong>della</strong> persecuzione. Nel pianeta<br />

sovietico la delazione era considerata il dovere civico per eccellenza. Quando veniva lanciata una campagna<br />

politica contro una nuova categoria <strong>di</strong> «nemico», tutti dovevano parteciparvi denunciando amici, vicini <strong>di</strong> casa, colleghi,<br />

chiunque rispecchiasse in qualche modo le caratteristiche che il potere aveva in<strong>di</strong>cato come nocive per la società.<br />

Grossman ci fa capire come in Russia la memoria del gulag non sia per niente semplice, bensì richieda un<br />

atto <strong>di</strong> responsabilità, un'ammissione <strong>di</strong> colpa <strong>di</strong>ffusa, che ampi settori <strong>della</strong> società preferiscono<br />

rimuovere. Il ricordo del passato viene visto con ostilità non solo da chi è stato all'interno <strong>della</strong> macchina repressiva,<br />

ma anche da chi vi è rimasto coinvolto per costrizione, per motivi <strong>di</strong> carriera, o semplicemente per non rischiare<br />

problemi nella propria vita quoti<strong>di</strong>ana. Per salvarsi era meglio acconsentire alle richieste del regime, anche senza<br />

convinzione.<br />

La stessa situazione descritta da Grossman l'ha vissuta Luciana De Marchi, la figlia <strong>di</strong> un giovane regista amico <strong>di</strong><br />

Gramsci, fucilato a Butovo nel 1938. Le capitò per uno strano<br />

destino <strong>di</strong> lavorare negli stu<strong>di</strong> cinematografici <strong>di</strong>retti da un certo Britikov, l'uomo che aveva testimoniato contro suo<br />

padre e aveva offerto alla troika staliniana le "prove" <strong>della</strong> sua attività controrivoluzionaria. Luciana De Marchi soltanto<br />

due anni fa ha scoperto la verità negli archivi sovietici: la deposizione <strong>di</strong> Britikov contro suo padre spiegava il mistero<br />

del boicottaggio a cui l'aveva sottoposta nel suo lavoro <strong>di</strong> attrice. Come ha scritto Cechov, si o<strong>di</strong>ano le persone a<br />

cui si è fatto del male. E così l'uomo che aveva fatto condannare suo padre si accaniva sulla figlia perché gli evocava<br />

la sua colpa.<br />

Questi episo<strong>di</strong> ci illuminano - come ha osservato <strong>di</strong> recente Sergio Romano sul Corriere <strong>della</strong> Sera - sulle aporie <strong>della</strong><br />

memoria nella Russia <strong>di</strong> Putin. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Israele che in tutti questi anni ha promosso una memoria statale<br />

<strong>della</strong> Shoah, a Mosca il ricordo del gulag è per ora soltanto nelle mani <strong>di</strong> organizzazioni volontarie<br />

in<strong>di</strong>pendenti come Memorial o il museo <strong>di</strong> Perm. Il presidente russo ha evitato <strong>di</strong> costruire un memoriale come lo<br />

Yad Vashem <strong>di</strong> Gerusamme e ha rimosso nel suo <strong>di</strong>scorso pubblico qualsiasi riferimento al dovere <strong>della</strong> memoria dei<br />

gulag, non soltanto per la sua provenienza dai servizi segreti, ma anche per le <strong>di</strong>visioni che provoca il passato. Quando<br />

si ricorda una vittima, si ricorda il suo delatore, e questo non piace a tutti. Così, in un incontro inusuale con gli<br />

storici, nel novembre 2003 Putin ha <strong>di</strong>chiarato: «Dobbiamo ripulire la storia dagli scarti. Il nostro era un grande Paese.<br />

Dobbiamo insegnare alla gioventù a essere orgogliosa <strong>della</strong> nostra storia». Gli scarti erano i gulag e i crimini del<br />

totalitarismo. Il meccanismo <strong>di</strong> rimozione descritto da Grossman e la mancanza <strong>di</strong> una purificazione morale non<br />

riguarda soltanto la Russia <strong>di</strong> Putin, ma anche qualche pezzo <strong>di</strong> storia italiana. Sono stati ben 1024 gli italiani<br />

perseguitati negli anni dello stalinismo: 111 furono fucilati e 140 finirono nei gulag, da cui vivi solo in 36. E<br />

a queste vittime vanno aggiunti i 602 deportati <strong>della</strong> comunità <strong>di</strong> Kerc. La loro sorte è stata decisa anche con<br />

la corresponsabilità <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>rigenti comunisti italiani, che consegnavano regolarmente agli agenti del NKVD i<br />

dossier relativi ai quadri del partito in<strong>di</strong>viduati come «tra<strong>di</strong>tori <strong>della</strong> causa». Erano i <strong>di</strong>rigenti del Pci ai massimi livelli, a<br />

partire da Togliatti, i delatori che aprivano la strada ai processi ai «compagni» emigrati.<br />

I racconti drammatici delle loro vicende ci sono giunti prima attraverso la battaglia solitaria <strong>di</strong> donne splen<strong>di</strong>de come<br />

Nella Masutti, Pia Piccioni e Luciana De Marchi, poi attraverso le testimonianze scritte <strong>di</strong> Dante Corneli, che trascorse 20<br />

anni nei gulag perché accusato <strong>di</strong> trotzskismo.<br />

Recentemente il grande lavoro <strong>di</strong> documentazione <strong>di</strong> Elena Dundovich, Francesca Cori ed Emanuela Cuercetti ha<br />

portato alla luce il materiale degli archivi sovietici. Eppure attorno a loro continua il silenzio <strong>della</strong> politica, perché la<br />

sinistra <strong>di</strong> origine comunista, che pure ha rotto con il sistema totalitario, non ha mai pensato <strong>di</strong> affrontare in termini<br />

autocritici una riflessione sugli anni del fascino sovietico. Mentre è normale chiedere a Gianfranco Fini <strong>di</strong> condannare le<br />

leggi razziali e <strong>di</strong> andare ad Auschwitz, non sembra importante per questa sinistra rendere omaggio ai memoriali <strong>di</strong><br />

Butovo, a Mosca, o <strong>di</strong> Levashovo, a San Pietroburgo, o nelle miniere <strong>di</strong> Kolyma, dove sono sepolti migliaia <strong>di</strong> prigionieri<br />

politici.<br />

Come ha sostenuto Walter Benjamin nelle sue riflessioni sull'agire umano, non basta voltare pagina e guardare al<br />

futuro, si ha anche il dovere <strong>di</strong> mettere or<strong>di</strong>ne nei cocci del passato. Così questa reticenza preclude anche nel nostro<br />

Paese la nascita <strong>di</strong> una memoria con<strong>di</strong>visa che accomuni la destra e la sinistra non solo nel nicordo <strong>della</strong> Shoah, ma<br />

anche in quello dei gulag.<br />

A Mosca, Memorial svolge con grande determinazione un lavoro pionieristico esteggiato dal vecchio apparato e dagli<br />

ex delatori. In Italia non è necessario tanto coraggio, eppure ancora sembra mancare la serenità per affrontare quella<br />

storia senza rimozioni.<br />

Una grande occasione comune per tutti potrebbe essere domani, il 10 novembre, quando a Milano verrà de<strong>di</strong>cato<br />

il parco Valsesia alla memoria delle vittime italiane. C'è una grande posta in gioco. Non si tratta soltanto <strong>di</strong> non<br />

<strong>di</strong>menticare per rispettare il <strong>di</strong>ritto alla memoria delle vittime. Come si ricorda la Shoah per una responsabilità nel<br />

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tempo presente <strong>di</strong> fronte all'antisemitismo, si dovrebbe ricordare Kolyma per essere sempre in guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> fronte ai<br />

regimi e alle ideologie che <strong>di</strong>vidono il mondo in «amici» e in «nemici del popolo» da eliminare.<br />

Non è ancora così.<br />

9) Terra <strong>di</strong> nessuno detta «zona <strong>di</strong> sicurezza»<br />

Nè Armenia né Azerbaigian né Karabakh. Solo cumuli <strong>di</strong> macerie<br />

Viaggio a Fizuli, città azera con<strong>qui</strong>stata dagli armeni do<strong>di</strong>ci anni fa e da allora abbandonata da tutti. Un<br />

posto dove «non si può andare». E, soprattutto, dove non si può vivere<br />

Astrit Dakli (il manifesto, 19 novembre 2005)<br />

STEPANAKERT - Sono soltanto una trentina <strong>di</strong> chilometri ma sembrano non finire mai, quelli che separano l'antica ma<br />

ormai semideserta e spettrale capitale storica dell'Artsakh, Shushi, dal villaggio <strong>di</strong> Karmir Shouka. Su e giù all'infinito<br />

per valli, costoni, forre, dossi, altre valli, senza incontrare praticamente mai nessuno se non gli operai che stanno<br />

lavorando qua e là per rifare la strada - un cantiere donato da uno dei numerosi «telethon» internazionali che<br />

raccolgono fon<strong>di</strong> dalla <strong>di</strong>aspora armena per la ricostruzione del Nagorno Karabakh. Intanto che loro lavorano<br />

- e ci vorranno molti mesi se non anni prima che finiscano - la strada resta però un inferno che per quasi due ore<br />

tormenta e mette a dura prova la <strong>resistenza</strong> <strong>di</strong> automobili e passeggeri, nonostante la gradevolezza del paesaggio,<br />

fatto <strong>di</strong> boschi e pascoli ver<strong>di</strong>ssimi a <strong>di</strong>spetto dell'inverno ormai innegabile. Nel villaggio <strong>di</strong> Karmir Shouka, quattro<br />

case sul fondovalle, si incrocia un'altra strada - finita, in questo caso - donata dalla <strong>di</strong>aspora per congiungere<br />

una serie <strong>di</strong> villaggi a nord con una serie <strong>di</strong> villaggi a sud, senza dover passare dalla città azera <strong>di</strong> Fizuli,<br />

occupata dagli armeni durante la guerra e da allora rimasta nella cosiddetta «zona <strong>di</strong> sicurezza». Ma noi<br />

proprio lì vogliamo andare, a Fizuli, per capire meglio cosa sia successo, nei do<strong>di</strong>ci anni dopo la con<strong>qui</strong>sta armena dei<br />

territori azeri esterni al Karabakh, chiamati appunto «zona <strong>di</strong> sicurezza».<br />

Lo status <strong>di</strong> queste terre è quanto <strong>di</strong> più incerto si possa immaginare: occupate da uno stato che formalmente<br />

non esiste, non essendo riconosciuto da nessuno, tutti sono d'accordo (in teoria anche le stesse autorità<br />

dell'«inesistente» Karabakh) sul fatto che esse appartengono all'Azerbaigian. Però in Armenia ormai le carte<br />

geografiche e stradali che vengono pubblicate comprendono come in un unico paese l'Armenia stessa, il Karabakh e<br />

anche questi territori, dove tutti i toponimi sono stati cambiati («ripristinati», <strong>di</strong>cono le carte, affermando che sono<br />

stati rimessi in uso i «veri» toponimi armeni: ma quando, usando la nuova carta, si chiede a qualcuno se la<br />

strada per «Verdana» è giusta, nessuno capisce <strong>di</strong> che posto stiamo parlando finché non tiriamo fuori il nome <strong>di</strong> Fizuli.<br />

E parliamo <strong>di</strong> armeni, ovviamente).<br />

La zona <strong>di</strong> sicurezza, dunque. Tanto per capire: non si tratta <strong>di</strong> poca cosa, <strong>di</strong> una striscia <strong>di</strong> nessuno, ma <strong>di</strong> un<br />

territorio più grande del Karabakh stesso, e più popolato - almeno fino al 1993; un territorio in parte <strong>di</strong> alta<br />

montagna ma per la parte maggiore anche <strong>di</strong> pianura, fertile e produttivo, con citta<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> una certa <strong>di</strong>mensione.<br />

Alcune <strong>di</strong> queste citta<strong>di</strong>ne erano state visitate da chi scrive quando erano azere, durante la guerra. Cosa ne è stato?<br />

A più riprese le autorità del Karabakh ci avevano detto «lì non si può andare», adducendo motivi <strong>di</strong> sicurezza, tensioni<br />

sulla linea d'armistizio, aree minate; altre persone non «ufficiali» ci avevano invece detto «perché non dovreste poterci<br />

andare? Non c'è nessun problema». E allora, proviamo: al massimo qualcuno ci manderà in<strong>di</strong>etro.<br />

La verifica conclusiva la compiamo proprio nel villaggio <strong>di</strong> Karmir Shouka, l'ultimo prima dell'inizio <strong>della</strong><br />

«zona», chiedendo come andare nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Martuni (il maggior centro del Karabakh nel sud-est <strong>della</strong><br />

regione). La risposta è netta: «andate a Fizuli, poi prendete a sinistra».<br />

Ci sono venti chilometri fino a Fizuli, lungo i quali non incontreremo letteralmente nessuno, né persone né<br />

veicoli - né tantomeno posti <strong>di</strong> blocco, confini o simili. La strada, devastata, scende gradualmente verso la<br />

pianura; si procede a passo d'uomo. Un vecchio cartello arrugginito mette in guar<strong>di</strong>a dalle mine: ma intorno i<br />

campi, <strong>di</strong> cereali e foraggi, per quanto si capisce, sono sempre più ricchi e ben tenuti; qualcuno evidentemente li ha<br />

bonificati e adesso li coltiva, anche se non ve<strong>di</strong>amo anima viva - è domenica, peraltro. Ogni tanto si passa vicino alle<br />

rovine <strong>di</strong> qualche casa colonica. A metà percorso, ormai quasi in pianura, compare un villaggio <strong>di</strong>scosto qualche<br />

centinaio <strong>di</strong> metri dalla strada: tutte le case sono <strong>di</strong>strutte, ma a poca <strong>di</strong>stanza sorge un gruppo <strong>di</strong> una trentina <strong>di</strong><br />

case nuove, tutte uguali, bianche, con il giar<strong>di</strong>no intorno. E abitate: un inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> coloni armeni, quelli che<br />

coltivano i campi visti prima (e che hanno l'aria <strong>di</strong> produrre più dell'intero Karabakh). Passiamo oltre, con la<br />

sensazione che non troveremo niente <strong>di</strong> bello in questo viaggio. E arriviamo infine a Fizuli.<br />

L'entrata in città era sorvegliata un tempo da una sorta <strong>di</strong> obelisco, fatto <strong>di</strong> tre «onde» <strong>di</strong> ferro congiunte alla base e<br />

in cima, probabilmente un residuo <strong>di</strong> epoca sovietica inneggiate alla pace e all'Urss. La cosa è ancora in pie<strong>di</strong>,<br />

ma pericolante perché una delle tre onde è spezzata. Non ci sono più le scritte che sicuramente c'erano prima. E<br />

soprattutto non c'è niente né davanti né <strong>di</strong>etro né intorno, mentre prima c'era la città. Il panorama è <strong>di</strong><br />

devastazione totale, non c'è un muro in pie<strong>di</strong>, impossibile riconoscere i luoghi - anche se sarebbe comunque<br />

<strong>di</strong>fficile, per chi è stato a Fizuli lo spazio <strong>di</strong> una giornata do<strong>di</strong>ci anni prima, visitando un ospedale azero dove venivano<br />

curati in qualche modo i feriti che arrivavano dal fronte, alla vigilia del crollo e <strong>della</strong> con<strong>qui</strong>sta armena. Incrociamo due<br />

grosse auto che arrivano da chissà dove - la <strong>di</strong>rezione è quella <strong>della</strong> linea d'armistizio, una decina <strong>di</strong> chilometri oltre<br />

Fizuli - e ci passano accanto senza neanche rallentare. Per il resto, deserto assoluto. Vorremmo fermarci ma i due<br />

angeli custo<strong>di</strong> che sono con noi non ci stanno: «non si può, non si può». Così, nel panorama spettrale delle rovine,<br />

raggiungiamo una grande rotonda e, come da istruzioni, pren<strong>di</strong>amo a sinistra. Del resto, ci sono anche le in<strong>di</strong>cazioni<br />

stradali, in russo e azero, per Martuni. Dalla parte opposta si va verso la frontiera iraniana.<br />

Questa parte del viaggio è rapida e tran<strong>qui</strong>lla. Tra Fizuli e Martuni la strada è <strong>di</strong>screta (almeno rispetto a prima), una<br />

trentina <strong>di</strong> chilometri in leggera salita tra campi vuoti e incolti. Qualche e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong>strutto qua e là, e sempre il deserto<br />

intorno; finché non comincia a comparire qualche or<strong>di</strong>nato frutteto, segno che siamo tornati in territorio del<br />

Karabakh - non si piantano alberi in terre altrui. Martuni è una citta<strong>di</strong>na sparpagliata su un paio <strong>di</strong> colline, <strong>di</strong><br />

aspetto insignificante e molto povero. Non ci sono tracce evidenti dei bombardamenti cui per parecchio tempo fu<br />

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sottoposta; c'è un cimitero <strong>di</strong> guerra, qualche monumento <strong>di</strong> epoca sovietica, uno sgangherato caffè e un <strong>di</strong>stributore<br />

<strong>di</strong> benzina. Niente in<strong>di</strong>cazioni stradali. Quando chie<strong>di</strong>amo a un conta<strong>di</strong>no la strada migliore per tornare a Stepanakert,<br />

ci risponde <strong>di</strong> passare per Agdam - cioè <strong>di</strong> entrare <strong>di</strong> nuovo nella «zona» e raggiungere quella che a suo tempo era<br />

una vera città, la maggiore <strong>di</strong> tutta la regione, famosa per il suo vino e il suo bazar, con un aeroporto e un importante<br />

snodo ferroviario. La città per la quale esplicitamente le autorità del Karabakh ci avevano detto «no».<br />

Quale strada si deve prendere? «Quella lì. E tenete sempre a sinistra, a destra finite in bocca ai turchi», <strong>di</strong>ce il<br />

conta<strong>di</strong>no. I «turchi» sono gli azeri, ovviamente: per gli armeni non c'è <strong>di</strong>fferenza. Le nostre guide sono<br />

in<strong>qui</strong>ete, ma abbozzano. An<strong>di</strong>amo. Altri trenta chilometri <strong>di</strong> lunghi rettilinei, questa volta <strong>di</strong> nuovo in <strong>di</strong>scesa (il<br />

Karabakh è in alto, le terre azere in basso), costeggiando a breve <strong>di</strong>stanza - un paio <strong>di</strong> chilometri al massimo, secondo<br />

la cartina; ma chissà se è giusta - la linea armistiziale. La strada è buona, si va veloci fra immense <strong>di</strong>stese ondulate e<br />

incolte; solo <strong>di</strong> tanto in tanto si vede qualche campo arato, chissà da chi. Non c'è anima viva, su tutto il percorso<br />

incontreremo tre auto tre; militari, zero, tanto sulla strada quanto fuori, nonostante la vicinanza almeno teorica del<br />

nemico. Gli unici segni <strong>di</strong> un'attività militare, probabilmente roba vecchia, sono delle buche per interrare i tank e usarli<br />

come artiglieria fissa. Ma sono vuote.<br />

L'arrivo in quella che fu Agdam mette l'angoscia. L'intera città, dal centro alla periferia, è stata rasa al<br />

suolo. Al posto <strong>di</strong> ogni e<strong>di</strong>ficio resta qualche traccia <strong>di</strong> muro perimetrale e un mucchio <strong>di</strong> blocchetti <strong>di</strong> pietra chiara che<br />

<strong>qui</strong> sono il materiale da costruzione unico per qualunque e<strong>di</strong>ficio, dal cesso al palazzo municipale; il concetto <strong>di</strong> «non<br />

lasciare pietra su pietra» <strong>qui</strong> è stato applicato in modo letterale. Una <strong>di</strong>struzione sistematica, capillare, non certo<br />

il risultato <strong>di</strong> battaglie o bombardamenti: è chiaro che è stata attuata con calma, dopo la presa <strong>della</strong> città. Tra i<br />

ruderi cresce una folta vegetazione inselvatichita. Attraversiamo buona parte <strong>di</strong> Agdam in un silenzio spettrale, sotto<br />

un cielo plumbeo; ve<strong>di</strong>amo dall'auto anche due persone vive: un tipo che ha messo a bordo strada un banchetto per<br />

vendere qualche frutto e qualche bibita e una vecchia, con l'aspetto <strong>di</strong> una barbona, che esce da una baracca <strong>di</strong><br />

lamiera tra le rovine. Vorremmo fermarci ma <strong>di</strong> nuovo le nostre guide rifiutano, in<strong>qui</strong>ete: niente soste,<br />

niente fotografie, <strong>qui</strong> non si doveva neanche venire. Difficile capire chi potrebbe <strong>di</strong>rci qualcosa, visto il deserto<br />

che ci circonda, ma tant'è, tocca accettare. Passiamo accanto anche al grande cimitero islamico, alla periferia est:<br />

appare molto vandalizzato, pur se non completamente <strong>di</strong>strutto; molte lapi<strong>di</strong>, anche antiche, sono rotte o buttate a<br />

terra.<br />

Ma che senso ha? Chie<strong>di</strong>amo, insistendo sul fatto che queste rovine alla fine non impe<strong>di</strong>ranno certo agli azeri <strong>di</strong><br />

tornare, se i rapporti <strong>di</strong> forza produrranno un trattato <strong>di</strong> pace che <strong>di</strong>ce questo. La risposta non lascia molto spazio alla<br />

<strong>di</strong>scussione: «Noi non ucci<strong>di</strong>amo i civili, donne e bambini, come hanno fatto loro quando hanno preso i<br />

nostri villaggi. In qualche modo dovevamo sfogare la nostra rabbia». Venti secoli <strong>di</strong> scontri, da queste<br />

parti, non passano invano.<br />

Lasciamo le rovine <strong>di</strong> Agdam alle nostre spalle, puntando verso Askeran, il primo centro del Karabakh, che <strong>di</strong>sta una<br />

decina <strong>di</strong> chilometri; da lì a Stepanakert sono poi pochi minuti d'auto. Lungo questa strada si è combattuto per due<br />

anni, prima che il fronte si rompesse. Vicino ad Askeran, dove c'è un gran fervore e si sta costruendo molto,<br />

compaiono cartelli con scritto «Area sminata da ...» e il nome delle ong e delle aziende americane ed europee che<br />

hanno fatto il lavoro. Aumenta anche il traffico, e superiamo <strong>di</strong>versi camion carichi <strong>di</strong> blocchetti <strong>di</strong> pietra chiara, molto<br />

simili a quelli ammucchiati al posto delle case <strong>di</strong> Agdam. Una città «turca» muore, una città armena cresce...<br />

10) [Sull’isola <strong>di</strong> Nazino]: In un libro choc le infamie del comunismo<br />

Massimo Introvigne (Il Giornale, 10 maggio 2006)<br />

[N.B.: il libro <strong>di</strong> Nicolas Werth è ora pubblicato anche in Italia da Corbaccio col titolo L’isola dei cannibali]<br />

Isola <strong>di</strong> Nazino, Siberia, 1933: nel cuore <strong>di</strong> ghiaccio <strong>di</strong> Kostia Venikov, uno degli aguzzini <strong>della</strong> polizia politica sovietica<br />

Gpu, spunta un sentimento umano. La guar<strong>di</strong>a s'innamora <strong>di</strong> una giovanissima deportata. Conoscendo i suoi<br />

commilitoni, quando si allontana dall'isola teme il peggio: e il peggio succede. Violentata? No: mangiata. «Le hanno<br />

tagliato il petto, i muscoli, tutto quello che si mangia, tutto, tutto...». Parole <strong>di</strong> Silvio Berlusconi? No: <strong>di</strong> Jozif Stalin, o<br />

meglio <strong>di</strong> una commissione da lui nominata per accertare se è vero quanto gli scrive il compagno siberiano Vassilii<br />

Velitchko a proposito <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>e - e deportati - che si mangiano altri deportati in Siberia, donne e bambini compresi. La<br />

campagna lanciata da Stalin nel 1932 che incita i membri del Partito a scrivergli personalmente e denunciare i loro<br />

superiori non è mera propaganda: Stalin legge le lettere, e nel caso <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Velitchko indaga. Ora dalla miniera <strong>di</strong><br />

orrori degli archivi sovietici escono i lavori <strong>di</strong> quella commissione d'indagine, pubblicati in Francia da uno dei massimi<br />

storici dell'Urss, Nicolas Werth, in un volume choc dal titolo L'Isola dei Cannibali (Perrin).<br />

I fatti <strong>di</strong> Nazino si inquadrano nel progetto <strong>della</strong> Gpu <strong>di</strong> affiancare ai campi <strong>di</strong> lavoro - i gulag - un secondo girone<br />

infernale <strong>di</strong> località inospitali <strong>della</strong> Siberia dove assegnare a domicilio coatto, muniti solo <strong>di</strong> un sacco <strong>di</strong> utensili e<br />

sementi, due milioni <strong>di</strong> «elementi antisovietici» non condannati ai campi. Si tratta <strong>di</strong> «purificare la società socialista»<br />

espellendo dalle gran<strong>di</strong> città e dalle località <strong>di</strong> villeggiatura - dove la loro vista infasti<strong>di</strong>sce gerarchi e visitatori - non solo<br />

eventuali «nemici <strong>di</strong> classe» superstiti (ex proprietari, sacerdoti, <strong>di</strong>ssidenti) ma anche gli invali<strong>di</strong>, i vecchi decrepiti, i<br />

men<strong>di</strong>canti. La tecnica per prelevare milioni <strong>di</strong> persone e mandarle ai luoghi <strong>di</strong> domicilio coatto è la<br />

«passaportizzazione»: <strong>di</strong>venta obbligatorio circolare con il passaporto dovunque e a qualunque ora, e chi è troppo<br />

vecchio, debole o ignorante per procurarsi un passaporto è deportato.<br />

In Siberia - ma anche altrove - le strutture <strong>di</strong> accoglienza per i deportati sono inesistenti, e le guar<strong>di</strong>e <strong>della</strong> Gpu sono<br />

spesso sa<strong>di</strong>ci criminali. Nell'isola <strong>di</strong> Nazino, dove nel 1933 si ammassano seimila deportati e ne muoiono cinquemila, la<br />

commissione scoprirà che il comandante si ingozza <strong>di</strong> dolci <strong>di</strong> fronte a persone che non mangiano da giorni, e il suo vice<br />

usa i deportati come «cani da riporto» gettandoli nelle acque gelide del fiume perché vadano a riprendergli le anitre che<br />

ha abbattuto. Peggio, giacché il cibo manca anche per le guar<strong>di</strong>e, si passa senza vergogna al cannibalismo, prima sui<br />

cadaveri, poi anche sui vivi: una donna cui sono stati staccati i seni per mangiarli sarà trovata ancora viva dalla<br />

commissione ma passerà il resto <strong>della</strong> sua vita in manicomio.<br />

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Si potrebbe <strong>di</strong>re che in questo caso almeno il sistema reagisce, e Stalin stesso indaga. Ma la conclusione del tiranno<br />

sarà terribile. Se i deportati non riescono a sopravvivere, per evitare episo<strong>di</strong> incresciosi c'è una soluzione semplicissima:<br />

fucilarli tutti. Nel luglio 1937, il famigerato Or<strong>di</strong>ne 00447 <strong>di</strong>stingue i deportati sopravvissuti in due categorie. La<br />

maggioranza - ottocentomila persone - è fucilata nei mesi successivi, gli altri sono condannati a <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> gulag.<br />

Sono trage<strong>di</strong>e che faticosamente emergono dagli archivi sovietici: ma che, finché c'è chi continua a proclamarsi<br />

orgogliosamente comunista, a nessuno è lecito <strong>di</strong>menticare.<br />

11) Il russo Shalamov, sopravvissuto ai gulag, cercò <strong>di</strong> tradurre in versi «la<br />

lingua dell’erba e <strong>della</strong> pietra». La poesia <strong>della</strong> Kolyma<br />

Pigi Colognesi (Avvenire, 29 luglio 2006)<br />

Varlam Shalamov inizia il primo dei suoi Racconti <strong>di</strong> Kolyma con una domanda: «Come viene aperta una strada<br />

nella neve vergine?». E risponde così: il primo dei cinque prigionieri fa un tratto <strong>di</strong> cammino nella <strong>di</strong>stesa immacolata;<br />

gli altri lo seguono avendo l'accortezza <strong>di</strong> mettere i pie<strong>di</strong> non esattamente nelle orme del primo, ma un po' <strong>di</strong> fianco;<br />

poi si torna in<strong>di</strong>etro usando la stessa tecnica: la strada è fatta. Nel telegrafico racconto ci sono significativi elementi<br />

<strong>della</strong> gran<strong>di</strong>osità epica che fa dei Racconti <strong>di</strong> Kolyma uno dei capolavori <strong>della</strong> letteratura russa del secolo<br />

scorso. Anzitutto la natura - la neve -, infinita, incombente e partecipe, carica <strong>di</strong> mistero. Poi la selvaggia <strong>di</strong>sumanità<br />

dei lavori forzati, delle leggi del gulag, quelle per cui, sono parole <strong>di</strong> Shalamov, «l'uomo si trasformava in una bestia<br />

feroce nel giro <strong>di</strong> tre settimane <strong>di</strong> estenuante lavoro, fame, freddo e percosse». Eppure, ed è proprio questa la<br />

testimonianza suprema che lo scrittore ha lasciato, anche in queste con<strong>di</strong>zioni c'è una <strong>di</strong>gnità che si può conservare,<br />

una verità cui è possibile non venir meno, un personalissimo sentiero che si può tracciare sulla neve.<br />

Shalamov (1907-1982) non fu solo straor<strong>di</strong>nario narratore; fu parallelamente grande poeta. E ora, grazie ad Angela<br />

Dioletta Siclari che ha curato la traduzione <strong>di</strong> un centinaio <strong>di</strong> componimenti e a «La Casa <strong>di</strong> Matriona» che li ha<br />

pubblicati con testo russo a fronte, possiamo addentarci nel suo mondo poetico; mettere con lui i nostri pie<strong>di</strong> nella neve<br />

fresca, a fianco delle orme indelebili lasciate dai racconti in prosa.<br />

Fu la madre, Nadezhda Vorob'eva, che introdusse Shalamov fanciullo alla poesia. Trasferitosi nella culturalmente<br />

vivacissima Mosca degli anni Venti, frequentando e poi <strong>di</strong>staccandosi dai circoli più attivi <strong>della</strong> intelligencija moscovita,<br />

si convinse <strong>di</strong> ciò che sarebbe stato il sigillo permanente <strong>della</strong> sua vita artistica; che, cioè, «i versi, per quanto stu<strong>di</strong>,<br />

non nascono dai versi. I versi nascono dalla vita». E la sua, <strong>di</strong> vita, gli riservava il gulag; prima al nord degli<br />

Urali e poi negli sterminati spazi <strong>della</strong> gelida Kolyma, costellata <strong>di</strong> miniere-lager. Per lunghi, durissimi, anni, la<br />

vita <strong>di</strong> Shalamov fu lavoro bestiale, <strong>di</strong>sperato tentativo <strong>di</strong> non perdere la propria umanità «nel sordo regno glaciale /<br />

delle tane degli orsi e degli umani». Per questo definì se stesso come il poeta «che ha mostrato l'anima dell'uomo<br />

nell'estremo nord del lager».<br />

È significativo che buona parte delle poesie <strong>di</strong> Shalamov sia de<strong>di</strong>cato esattamente alla riflessione sul valore e sul<br />

significato <strong>della</strong> poesia. Come se proprio la poesia fosse la soglia misteriosa <strong>di</strong> una verità mai raggiunta<br />

eppure così reale da costituire la ragione stessa - unica per lui - per continuare a vivere. «Tutti i miei racconti,<br />

quasi ogni poesia, sono stati scritti con le lacrime», sul filo <strong>della</strong> <strong>di</strong>sperazione, sull'orlo <strong>di</strong> un abisso in cui non si cade<br />

esattamente perché la poesia - fragilissimo ponte sospeso sul baratro, come <strong>di</strong>ce Shalamov stesso - offre l'inattesa<br />

possibilità <strong>di</strong> continuare a sperare. Così, scrive Shalamov rivolgendosi al se stesso che fa poesia, «Ogni sera, nello<br />

stupore / <strong>di</strong> essere ancora vivo / io ripetevo poesie / e u<strong>di</strong>vo <strong>di</strong> nuovo la tua voce».<br />

Una voce a volte flebile, impacciata dalle con<strong>di</strong>zioni stesse in cui nasceva (in lager era proibito scrivere versi). Ma una<br />

voce sempre «vera», cioè aderente senza smarginature alla vita reale così come si presenta e non come la si può<br />

immaginare nell'esaltazione del sentimento o, peggio ancora, nel travisamento dell'ideologia. Per questo Shalamov può<br />

realisticamente scrivere: «Le parole sono semi scadenti, / troppo poca è in esse la forza / per cui una terra infeconda /<br />

fiorisca all'istante. / Ma a fianco dei canti, c'è l'esempio / del comportamento <strong>di</strong> vita… / E sopravvivere si può tra i<br />

ghiacci / ed essere più pro<strong>di</strong>gioso degli altri, / ma allora, allora, allora soltanto, / quando anche la vita sarà come un<br />

canto». Figlio <strong>di</strong> un sacerdote ortodosso, a sua volta figlio <strong>di</strong> sacerdote, su su fino a progenitori sciamani, Shalomon<br />

aveva perso la fede fin da bambino per non ritrovarla poi più. Ma la <strong>di</strong>mensione religiosa <strong>della</strong> sua poesia è<br />

inconfutabile, nella presenza in essa <strong>della</strong> natura. Una natura a sua volta sentita come presenza, come un mistero al<br />

quale il poeta risponde. Come davanti al piccolo mughetto rosa che, «con l'occhio asperso <strong>di</strong> sangue, / guarda in faccia<br />

il tramonto», mentre noi «impalli<strong>di</strong>amo / e <strong>di</strong> qualcosa ci sentiamo colpevoli».<br />

Varlam Shalamov<br />

Il destino <strong>di</strong> poeta<br />

La Casa <strong>di</strong> Matriona.<br />

Pagine 320. Euro 20,00<br />

12) Le ultime denunce <strong>di</strong> Anna [Politkovskaya]:<br />

«Putin? Gira voce che farà la fine <strong>di</strong> Ceaucescu in Romania»<br />

(Corriere <strong>della</strong> sera, 9 ottobre 2006)<br />

Ecco le ultime riflessioni su Putin, la Russia e la situazione in Cecenia <strong>di</strong> Anna Politkovskaya, la giornalista uccisa<br />

sabato nel palazzo dove abitava a Mosca, così come le ha raccolte il suo giornale, Novaya Gazeta, che le pubblicherà<br />

oggi. La reporter denuncia, tra l'altro: «Io scrivo libri e pubblico articoli. Bisogna spiegare come vanno le cose e <strong>di</strong>re che<br />

se il sistema sentirà la necessità <strong>di</strong> eliminare qualcuno, questo qualcuno verrà eliminato senza scrupoli».<br />

«La Russia è in un vicolo cieco. Qualsiasi cosa scrivo non cambia nulla. Il compito <strong>di</strong> Putin è far sì che sul mercato<br />

internazionale arrivi l'informazione che tutto va bene, che il Paese lotta contro il terrorismo e che i nostri<br />

servizi segreti lo fanno con successo. Una parte dei russi capisce che abbiamo <strong>di</strong> fronte il degrado morale <strong>di</strong> quella<br />

democrazia iniziale che c'era ai tempi <strong>di</strong> Eltsin. In quel periodo, nonostante tutto quello che accadeva, il popolo<br />

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poteva parlare, <strong>di</strong>scutere. Quello che è accaduto credo sia dovuto al fatto che nei posti chiave del governo del Paese<br />

ci sono oramai tutti uomini che erano del Kgb (la polizia segreta dell'era sovietica). E la memoria genetica del nostro<br />

popolo è tale che a questo non ci si riesce a opporre. Mi chiedono se <strong>di</strong>etro Putin ci sia il vecchio sistema <strong>di</strong> potere che<br />

si prende la rivincita. Ricor<strong>di</strong>amoci che all'inizio è stato Boris Berezovskij (ex banchiere <strong>di</strong> Eltsin che ora vive in Gran<br />

Bretagna, ndr) a metterlo lì. Poi lui ha voluto <strong>di</strong>ventare signore assoluto. Non sa fare <strong>di</strong>versamente, era stato educato<br />

così. La maggioranza <strong>della</strong> popolazione è d'accordo. Ma cosa si fa con la minoranza? Io scrivo libri e pubblico articoli.<br />

Bisogna spiegare come vanno le cose e <strong>di</strong>re che se il sistema sentirà la necessità <strong>di</strong> eliminare qualcuno, questo<br />

qualcuno verrà eliminato senza scrupoli».<br />

IL PRIMO OLIGARCA<br />

«Chi gestisce in questo modo il potere non si prefigge nessun fine. C'è solo un'idea, quella <strong>di</strong> rimanere al potere e<br />

arraffare il più possibile fino a che si è al potere. Si parla <strong>di</strong> oligarchi. Ma il primo degli oligarchi è<br />

l'amministrazione del presidente. Le persone che ne fanno parte controllano il business. Ciascuno <strong>di</strong> loro ha lo<br />

stesso obiettivo, quello <strong>di</strong> mantenere la posizione e garantire la vita dei propri <strong>di</strong>scendenti per molti anni. A chi mi<br />

chiede se un cambio <strong>di</strong> potere potrebbe portare a delle conseguenze, rispondo che negli ultimi tempi circola la voce che<br />

il sistema finirà come quello <strong>di</strong> Ceausescu (il leader <strong>della</strong> Romania che al termine <strong>di</strong> una rivolta fu sommariamente<br />

processato e poi ucciso in compagnia <strong>della</strong> moglie il giorno <strong>di</strong> Natale del 1989, ndr) ».<br />

CHI SONO IO<br />

«A chi in Occidente mi vede come la principale militante contro Putin rispondo che io non sono una militante, sono solo<br />

una giornalista. E basta. E il compito del giornalista è quello <strong>di</strong> informare. Quanto a Putin, ne ha fatte <strong>di</strong> tutti i colori e<br />

io devo scriverne».<br />

LO STALIN CECENO<br />

«Attualmente sulla mia scrivania ci sono due foto. Sto facendo delle indagini e so che si tratta <strong>di</strong> persone torturate nelle<br />

prigioni <strong>di</strong> Kadyrov (il primo ministro filorusso <strong>della</strong> Cecenia, ndr), adesso e in precedenza. Sono persone rapite dagli<br />

uomini dei reparti speciali <strong>di</strong> Kadyrov per una ragione inspiegabile. Sono state eliminate solo per motivi pubblicitari. Lui<br />

appare in tv e <strong>di</strong>ce che sono guerriglieri uccisi e non persone rapite. Uno <strong>di</strong> loro è russo l'altro è ceceno.<br />

Kadyrov è lo Stalin dei nostro giorni, su questo non ci sono dubbi. Per il popolo ceceno è proprio così. Quando la<br />

gente parla pubblicamente, esprime solo ammirazione; quando si parla invece in segreto, a voce bassa, allora ti<br />

rispondono che lo o<strong>di</strong>ano in maniera viscerale. C'è questo sdoppiamento nell'anima delle stesse persone. È una cosa<br />

molto pericolosa. Kadyrov è un vigliacco armato fino ai denti, circondato da guar<strong>di</strong>e del corpo. Credo che non <strong>di</strong>venterà<br />

presidente <strong>della</strong> Cecenia. Il mio sogno personale il giorno del compleanno <strong>di</strong> Kadyrov è solo uno, ne parlo<br />

assolutamente sul serio. Mi auguro <strong>di</strong> vederlo seduto sul banco degli imputati in un processo severissimo, con l'elenco<br />

<strong>di</strong> tutto i suoi crimini e indagini su tutte le uccisioni. In seguito a quanto è stato pubblicato sul mio giornale, sono state<br />

avanzate querele contro suoi uomini e contro <strong>di</strong> lui personalmente. In una <strong>di</strong> queste cause io sono testimone».<br />

13) Mosca torna all'Urss.<br />

Dopo l'uccisione <strong>della</strong> giornalista Anna Politkovskaja,<br />

il j'accuse dell'ex <strong>di</strong>ssidente Sergej Kovalev, già amico <strong>di</strong> Sacharov<br />

Silvia Pochettino (Avvenire, 10 ottobre 2006)<br />

Amico <strong>di</strong> lunga data <strong>della</strong> giornalista Anna Politkovskaja, assassinata brutalmente nell'atrio <strong>di</strong> casa sabato scorso,<br />

Sergej Kovalev non si da pace. «La libertà <strong>di</strong> informazione in Russia è inesistente, così come la democrazia»<br />

<strong>di</strong>ce senza mezzi termini. Storico <strong>di</strong>ssidente del periodo sovietico, grande amico <strong>di</strong> Sacharov, alle spalle sette anni<br />

<strong>di</strong> gulag e tre <strong>di</strong> Siberia, Sergej Kovalev è stato deputato del Soviet Supremo e plenipotenziario per i <strong>di</strong>ritti umani<br />

durante la perestrojka, poi li<strong>qui</strong>dato per la sua ferma opposizione alla guerra in Cecenia. E proprio per la fine delle<br />

ostilità in Cecenia e il rispetto dei <strong>di</strong>ritti umani aveva con<strong>di</strong>viso con Anna Politkovskaja anni <strong>di</strong> impegno, nei rispettivi<br />

settori <strong>della</strong> politica e dell'informazione. Seduto nella piccola cucina del suo modesto appartamento, in un anonimo<br />

palazzone in stile sovietico <strong>della</strong> periferia <strong>di</strong> Mosca, si capisce subito che Kovalev, dal potere, non ha ricavato<br />

privilegi personali. Ed è forse uno dei pochi nella Russia <strong>di</strong> oggi. Indomabile critico, come Anna, <strong>della</strong> politica<br />

oligarchica <strong>di</strong> Putin nel suo recente libro La pragmatica dell'idealismo politico ha posto coraggiosamente il rispetto dei<br />

<strong>di</strong>ritti umani alla base <strong>di</strong> qualunque organizzazione politica. «La Russia non è mai stata dove si sta in<strong>di</strong>rizzando ora -<br />

<strong>di</strong>ce -. In modo grossolano si potrebbe <strong>di</strong>re che sta tornando in<strong>di</strong>etro, verso il periodo sovietico, ma i tempi sono<br />

cambiati, non si possono ricreare i gulag o la censura <strong>di</strong> Stato. Così cambiano i meto<strong>di</strong>, ma l'idea <strong>di</strong> fondo resta la<br />

stessa». Ovvero il concetto sovietico del potere, che, secondo Kovalev, Putin sta ricostruendo, dove «lo Stato è un<br />

valore in sé, quasi un concetto religioso. L'in<strong>di</strong>viduo e la società sono al servizio del potere e non viceversa». E continua<br />

l'anziano deputato: «È esattamente il contrario delle democrazie occidentali, dove il <strong>di</strong>ritto <strong>della</strong> persona è<br />

sovrano, nel concetto sovietico il collettivo è più importante dell'in<strong>di</strong>viduale, salvaguardare lo "Stato" è più<br />

importante <strong>della</strong> stessa integrità dell'in<strong>di</strong>viduo. Basti ricordare quante vite umane si sono sacrificate nel teatro <strong>di</strong><br />

Na Dubrovke o a Beslan per <strong>di</strong>fendere l'integrità dello Stato». Ma il più delle volte la supremazia dello "Stato-potere"<br />

ritorna non con la violenza <strong>di</strong>retta e sfacciata, come nel caso dell'assassinio <strong>di</strong> Anna, ma in modo più subdolo: «il<br />

tribunale è governato, il potere legislativo è servile fino all'indecenza, le elezioni portano i risultati stabiliti dal<br />

Cremlino». È il concetto <strong>di</strong> «democrazia governata», sostenuto apertamente da Putin, dove il potere produce le regole<br />

per la democrazia. Solo l'anno scorso 50 giornalisti sono stati incriminati, 11 sono "spariti" (<strong>di</strong> cui 9 in<br />

Cecenia), così come sono stati uccisi membri <strong>di</strong> ong e <strong>di</strong>fensori dei <strong>di</strong>ritti umani. «I giornali chiudono ma non<br />

più con la censura ufficiale, si usano meto<strong>di</strong> "tecnici"» sostiene Kovalev. Un esempio? «Ntv, una delle televisioni<br />

in<strong>di</strong>pendenti più popolari, ha ricevuto ingenti prestiti da Gazprom, su mandato del Cremlino (anche se questo non si<br />

<strong>di</strong>ce ufficialmente). I capitali sono poi stati ritirati all'improvviso mandandola sul lastrico. Dopo pochi mesi era chiusa».<br />

Secondo uno stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> sociologa Olga Krishtanovskaia oltre il 60% dell'attuale classe <strong>di</strong>rigente russa proviene dalle<br />

file del del Kgb, come, d'altra parte, lo stesso presidente. «È gente che ragiona in modo molto pragmatico - <strong>di</strong>ce<br />

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Kovalev - ha bisogno <strong>di</strong> una facciata <strong>di</strong> democrazia per mantenere i rapporti con i colleghi esteri, ma considera<br />

la democrazia una cosa inutile e scomoda. La cosa più triste è che anche il popolo russo è assuefatto a questo». Così<br />

Putin ha potuto, l'anno scorso, abolire le elezioni dei governatori regionali senza che nessuno <strong>di</strong>cesse niente.<br />

Sergej si abbandona per un attimo ai ricor<strong>di</strong> del passato: «C'è un episo<strong>di</strong>o che non scorderò mai; quando ero<br />

prigioniero nel gulag, è venuto in visita il procuratore generale e ha or<strong>di</strong>nato a noi prigionieri politici <strong>di</strong> non citare mai<br />

più la costituzione nei nostri appelli. "La costituzione non è scritta per voi - ha detto - è scritta per gli<br />

americani, per far loro sapere come sta bene la gente nell'Unione sovietica". Ecco, questo è il nostro rapporto<br />

tra<strong>di</strong>zionale con la legge scritta. Non conta niente, non si conosce neppure, la legge è semplicemente il comando del tuo<br />

superiore». Ma dove può condurre questa strada che «ritorna al passato»? «La grande Russia è un sogno senza futuro:<br />

nessuna nazione dell'Asia centrale vorrà tornare sotto il giogo russo. Perché allora insistere con il massacro<br />

ceceno? Ricattare l'Ucraina chiudendo il gas? Perché vietare l'importazione del vino georgiano? Io credo<br />

che il potere non cerchi veramente <strong>di</strong> combattere il terrorismo o <strong>di</strong> intimi<strong>di</strong>re Ucraina o Georgia, e neanche<br />

l'Europa. Il potere lo fa per intimi<strong>di</strong>re noi che viviamo in Russia, per risuscitare il nazionalismo, l'idea che<br />

siamo circondati dai nemici. I regimi hanno sempre bisogno <strong>di</strong> nemici, non possono esistere senza». Eppure oggi la<br />

Russia è al vertice <strong>di</strong> tutte le più gran<strong>di</strong> istituzioni democratiche internazionali; G8, Consiglio d'Europa…«Ci sono state<br />

<strong>di</strong>verse condanne verso la Russia da parte del Consiglio d'Europa per l'ingiustificata guerra in Cecenia, le torture, l'uso<br />

<strong>di</strong> armi illecite, la mancanza <strong>di</strong> libertà <strong>di</strong> stampa, ecc... Secondo l'in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> libertà politica <strong>di</strong> Freedom House, la Russia è<br />

al 167° posto, al pari <strong>di</strong> Pakistan, Ruanda, Vietnam, Zaire. Eppure oggi proprio la Russia presiede lo stesso Consiglio<br />

d'Europa. Non è assurdo?». L'assassinio brutale <strong>della</strong> giornalista Anna Politkovskaja sembra avere aperto, almeno per il<br />

momento, una breccia nel muro <strong>di</strong> silenzio sulle violazioni dei <strong>di</strong>ritti umani in Russia, ma quanto durerà? «Non sono<br />

molto fiducioso sul futuro. È evidente lo scambio tra Bush e Putin nel silenzio vicendevole sull'Iraq e la Cecenia.<br />

Altrettanto il silenzio dell'Europa in cambio <strong>di</strong> gas e petrolio. Io penso che i problemi che oggi abbiamo in Russia non<br />

siano solo problemi locali».<br />

14) Khodorkovsky è il nuovo Sakharov<br />

André Glucksmann (Corriere <strong>della</strong> sera, 26 ottobre 2007)<br />

Grazie Elena Bonner-Sakharov! Grazie Anna Politkovskaya! Queste due donne straor<strong>di</strong>narie mi hanno aperto gli occhi:<br />

Mikhail Khodorkovsky, l'ex onnipotente proprietario <strong>della</strong> Yukos — principale trust petrolifero <strong>della</strong> Russia — non è<br />

più l'uomo d'affari invi<strong>di</strong>ato per il troppo successo, è prigioniero politico incarcerato da quattro anni nel profondo <strong>della</strong><br />

Siberia, sottoposto a processi dopo processi (finché morte non ne consegua?).<br />

In Francia, per tra<strong>di</strong>zione, non c'è grande affinità fra uomini de<strong>di</strong>ti alla scrittura e uomini de<strong>di</strong>ti al denaro. Perché<br />

prendere le <strong>di</strong>fese <strong>di</strong> un capitano d'industria che i suoi simili hanno presto abbandonato? Capitalisti <strong>di</strong> tutto il<br />

mondo unitevi? Macché! Dopo la <strong>di</strong>sgregazione dell'Unione Sovietica, la Banca Mon<strong>di</strong>ale e Bill Clinton, presidente degli<br />

Stati Uniti, hanno avallato le privatizzazioni russe che Eltsin incoraggiava in nome <strong>di</strong> una libertà <strong>di</strong> mercato finalmente<br />

raggiunta. In verità: lo sfascio del secolo permise ad alcune persone astute <strong>di</strong> arricchirsi, non a spese <strong>di</strong><br />

proletari esangui per colpa <strong>della</strong> «<strong>di</strong>ttatura del proletariato», ma a spese <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigenti comunisti troppo<br />

fiacchi per <strong>di</strong>fendere la loro torta.<br />

Tentiamo <strong>di</strong> capire. La favola putiniana schiera da un lato gli oligarchi corrotti e dall'altro i cavalieri bianchi<br />

del governo che combattono gli affaristi. Questi bravi apostoli si guardano bene dal ri<strong>di</strong>stribuire al popolo ricchezze<br />

che non ha mai posseduto. Né Róbespierre né Eliot Ness, Putin non ha nulla dell'Incorruttibile che pulisce le stalle <strong>di</strong><br />

Augia. Putin ha gestito gli affari fruttuosi e i trasferimenti <strong>di</strong> capitali red<strong>di</strong>tizi del Comune <strong>di</strong> San Pietroburgo e poi<br />

dell'amministrazione del Cremlino. Sembra che si sia pro<strong>di</strong>giosamente arricchito (in miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> euro, si <strong>di</strong>ce a Mosca).<br />

Ha coperto le prevaricazioni <strong>della</strong> famiglia Eltsin. In compenso, è stato scelto per <strong>di</strong>rigere la Russia.<br />

La Mosca degli affari assomiglia, al punto <strong>di</strong> confondersi, alla Chicago degli anni Trenta, quando Al Capone<br />

e i suoi uomini imperversavano. Una strage <strong>di</strong> San Valentino che va avanti giorno per giorno: ricatti, tangenti,<br />

omici<strong>di</strong>, carcerazioni arbitrarie; i <strong>di</strong>versi clan dei servizi segreti si contendono il bottino senza tanti complimenti. Per<br />

parlare chiaramente, le autorità russe non desiderano sopprimere gli oligarchi, ma selezionano i «buoni», quelli che<br />

obbe<strong>di</strong>scono e sopprimono i «cattivi», quelli che <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>scono. Questi ultimi vengono puniti, il loro gruzzolo<br />

sequestrato e ri<strong>di</strong>stribuito agli amici dell'ex Kgb (oggi Fsb). Non <strong>di</strong>spiaccia ai nostri sovranisti e agli ingenui no<br />

global, questo smistamento collettivo non scatena una battaglia antiliberale, ugualitaria, né una battaglia contro il<br />

Capitale. Gli unici ad illudersi sono coloro che non ci vedono chiaro. Oggi la Russia è terra <strong>di</strong> corruzione dove<br />

malgrado, o a causa, <strong>di</strong> un sottosuolo favoloso, il 50 per cento <strong>della</strong> popolazione vive al <strong>di</strong> sotto <strong>della</strong> soglia<br />

<strong>di</strong> povertà, bocche inutili spinte a scomparire. La mortalità aumenta, il potere non se ne cura. Mikhail<br />

Khodorkovsky aveva offerto agli innumerevoli impiegati <strong>della</strong> Yukos le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro migliori <strong>della</strong> Russia. Mal<br />

gliene incolse.<br />

Per tre motivi il grande impren<strong>di</strong>tore dava fasti<strong>di</strong>o alla «verticale del potere»:<br />

1. Mikhail Khodorkovsky ha rimesso in causa la verticale me<strong>di</strong>atica del potere. Le attività umanitarie e la sua fondazione<br />

«Russia aperta» lo rendevano popolare.<br />

2. Mikhail Khodorkovsky ha contrastato la verticale politica del potere. Il partito del Cremlino «Nostra Russia» non<br />

sopporta oppositori potenti. L'oligarca malpensante ha sostenuto i partiti liberali e democratici.<br />

3. Supremo peccato, Mikhail Khodorkovsky ha perturbato la verticale economica del potere. La «ristrutturazione»<br />

secondo i desideri del Cremlino concentra in monopoli i settori red<strong>di</strong>tizi dell'economia. I gran<strong>di</strong> esempi sono Gazprom<br />

per il gas e Rosneft (e forse presto Gazprom?) per il petrolio. La stessa concentrazione avviene nell'aeronautica, nello<br />

sfruttamento del nickel e dei metalli rari. Questa riappropriazione è a beneficio <strong>della</strong> «corporazione Putin», che da sola<br />

<strong>di</strong>rige il Paese politicamente, militarmente ed economicamente.<br />

Un'altra posta in gioco, non delle meno importanti, è la «grande» politica estera. Nel 2005, quando l'Ucraina <strong>della</strong><br />

Rivoluzione Arancione si libera <strong>della</strong> sua tutela, la Russia le rivolge una minaccia chiara moltiplicando i prezzi del<br />

petrolio o del gas; poi, per festeggiare l'anno nuovo, ostenta la propria onnipotenza e chiude i rubinetti. Lo stesso accade<br />

per la Georgia <strong>della</strong> Rivoluzione delle Rose, sottomessa ai suoi continui capricci e al suo embargo. Quando la<br />

Polonia e i Paesi Baltici, membri dell'Unione Europea, si mostrano recalcitranti, la firma del progetto Schroeder/Putin<br />

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sull'oleodotto germano-russo del Baltico viene anticipata: l'oleodotto aggira l'Ucraina riottosa, la Polonia e gli Stati<br />

baltici, puniti per la loro in<strong>di</strong>pendenza. I Paesi d'Europa centrale, un tempo sottoposti al «Patto <strong>di</strong> Varsavia», <strong>di</strong>pendono<br />

per il 90 per cento dai rifornimenti energetici russi ed è <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> facile farli tremare. L'ambizione del Cremlino sarebbe forse<br />

<strong>di</strong> installare una sorta <strong>di</strong> legge noleggio-prestito al contrario? Durante la Seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, gli Stati Uniti<br />

spe<strong>di</strong>vano i loro sussi<strong>di</strong> in Russia. Oggi, l'obiettivo è <strong>di</strong> inviare gas verso le coste americane a partire da Murmansk. La<br />

Russia si da i mezzi per ricattare l'Occidente.<br />

Questa «grande» politica esigeva lo smembramento <strong>della</strong> Yukos. La Compagnia agiva da sola nella corte dei gran<strong>di</strong> e il<br />

suo capo non obbe<strong>di</strong>va agli or<strong>di</strong>ni. Ostacolo in politica interna e mon<strong>di</strong>ale, Yukos è stata smantellata. Capace <strong>di</strong> bloccare<br />

le autorità russe attraverso il gioco <strong>di</strong> mercato, Khodorkovsky, opponendosi alla predazione delle risorse <strong>di</strong> petrolio e<br />

gas, privava Putin <strong>della</strong> sua arma antioccidentale numero uno.<br />

La sorte <strong>di</strong> Mikhail Khodorkovsky serve da esempio negativo per gli industriali recalcitranti, come la<br />

Cecenia serve da spaventapasseri per il popolo russo. Grozny rasa al suolo è un argomento pedagogico<br />

destinato a tutti i citta<strong>di</strong>ni <strong>della</strong> Federazione: «Ecco cosa accade ai popoli amanti <strong>di</strong> libertà!». La galera per Mikhail<br />

Khodorkovsky è una lezione destinata alle élite: «Piegatevi!». L'omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Anna Politkovskaya serve da consiglio<br />

ai giornalisti curiosi. L'avvelenamento atomico <strong>di</strong> Litvinenko serve a <strong>di</strong>ssuadere gli ex del Kgb <strong>di</strong> non grande<br />

onestà. L'agonia in una prigione dell'avvocato Trepashkine serve da avvertimento ai suoi simili... I messaggi sono<br />

tutti ugualmente limpi<strong>di</strong>.<br />

Sentendosi minacciato, Khodorkovsky non è fuggito, ha scelto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi in Russia. Si sottovaluta il personaggio e<br />

l'importanza che egli può assumere nel suo Paese. Per capire, bisogna far riferimento a Sakharov. Ricordo<br />

l'osservazione <strong>di</strong> Elena Bonner, sua vedova e mia amica, che commentava un incontro al Cremlino, dove erano invitati<br />

attorno a Putin gli oligarchi più potenti: «Quando apparve Khodorkovsky, ho pensato che fosse troppo intelligente e<br />

troppo rilassato, coraggioso e incosciente e che l'avrebbe pagata cara».<br />

Khodorkovsky non è certamente un uomo del tutto can<strong>di</strong>do. Neppure Sakharov lo era: patrocinò la bomba H<br />

sovietica. Ma, presa coscienza dell'oppressione e <strong>della</strong> sopraffazione che lo circondavano, protesse i <strong>di</strong>ssidenti e si<br />

oppose alla <strong>di</strong>ttatura rossa. Khodorkovsky, fra i più gran<strong>di</strong> impren<strong>di</strong>tori, fu <strong>di</strong>sgustato dal ritorno dell'autocrazia. Molti<br />

russi mi hanno detto e Anna Politkovskaya in particolare: era ricco e per questo il popolino <strong>di</strong>ffidava <strong>di</strong> lui. «Ma se vai al<br />

bagno penale e non ti pieghi, agli occhi dell'opinione pubblica appari come purificato».<br />

La <strong>resistenza</strong> <strong>di</strong> Mikhail Khodorkovsky, nella sua solitu<strong>di</strong>ne mon<strong>di</strong>ale, lo consacra grande figura <strong>di</strong> oppositore al fianco <strong>di</strong><br />

Garry Kasparov e Vla<strong>di</strong>mir Bukovsky.<br />

15) [Il presidente <strong>della</strong> Cecenia:]<br />

Kadyrov jr, scheletri e culto <strong>della</strong> personalità<br />

Luigi Geninazzi (Avvenire, 6 novembre 2007)<br />

Si presenta in maglietta e giubbotto <strong>di</strong> pelle, come un ragazzo qualsiasi: capelli corti, faccia larga e barbetta ben curata.<br />

Non a-ma l'ufficialità, il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, 31 anni appena compiuti. Ci viene incontro per<br />

strada, apparentemente senza guar<strong>di</strong>e del corpo. E lui l'autore <strong>della</strong> "cecenizzazione" del conflitto, un piano<br />

messo a punto dal Cremlino e portato avanti con implacabile durezza dal giovane ex guerrigliero. Si comporta come un<br />

signorotto stravagante, tiene in garage Ferrari e Bentley e in casa un piccolo zoo con un cucciolo <strong>di</strong> leone, un lupo e un<br />

orso siberiano.<br />

La città è piena dei suoi ritratti. Non è un nuovo culto <strong>della</strong> personalità? «Macché - risponde sorridendo -. La gente è<br />

sod<strong>di</strong>sfatta del governo, è contenta <strong>di</strong> quello che sto facendo, e lo <strong>di</strong>mostra così. Lo so, a volte esagerano, io stesso ho<br />

strappato via le mie foto dai muri. Ma cosa ci posso fare se il popolo mi ama?». Più che un'intervista è una conversazione<br />

surreale. Il leader ceceno conosce già il risultato delle prossime elezioni parlamentari: «Nella nostra<br />

Repubblica vincerà il partito <strong>di</strong> Putin con il 100% dei voti. Da noi non esiste l'opposizione, non ce n'è bisogno». Nel suo<br />

Paese sono stati commessi crimini efferati... «Lo so, è terribile. Abbiamo avuto migliaia <strong>di</strong> persone uccise, sequestrate,<br />

sparite nel nulla. Ma io <strong>di</strong>fendo il mio popolo e farò <strong>di</strong> tutto perché i criminali, anche quelli che portano una <strong>di</strong>visa,<br />

vengano giu<strong>di</strong>cati e puniti. Molti <strong>di</strong> loro appartengono all'esercito federale. Io non sono una marionetta <strong>della</strong> Russia e<br />

sono deciso a trascinarli davanti ai tribunali». Secondo le organizzazioni per i <strong>di</strong>ritti umani sono stati proprio i suoi<br />

uomini a compiere molti crimini. Forse è per questo che, da quando lei è <strong>di</strong>ventato presidente, non ci sono quasi più<br />

sequestri in Cecenia? Kadyrov scuote la testa. «Io sono sempre stato contrario a queste cose. Nella mia vita ho perso<br />

tutto, ho visto cadere gli amici più cari, mi hanno ucciso il padre. Rapimenti e sequestri sono stati praticati dai terroristi,<br />

da Shamil Basaev e dagli altri capi <strong>della</strong> lotta armata». Eppure, alla Corte europea dei <strong>di</strong>ritti dell'uomo, qualcuno vuole<br />

metterla sotto accusa per violazioni dei <strong>di</strong>ritti umani... «Mi chiamino, io sono uno che rispetta la legge. E se risulterò<br />

colpevole sconterò la pena». Parola <strong>di</strong> Kadyrov.<br />

Per incontrarci ha scelto un luogo simbolico <strong>di</strong> Grozny, la piazza dove sorge il monumento "Ai giornalisti caduti per la<br />

libertà". Il pensiero corre ad Anna Politkovskaja, la reporter russa che raccolse testimonianze agghiaccianti sui crimini<br />

compiuti dal leader ceceno e venne assassinata un anno fa. «Mi ha accusato ingiustamente, ha citato la testimonianza<br />

scritta <strong>di</strong> un ubriacone che era pure analfabeta- si <strong>di</strong>fende Kadyrov- Io non l'ho mai<br />

minacciata, io amo le donne, sono la bellezza del mondo. Chi l'ha uccisa è stato il suo padrone, Boris<br />

Berezovskij (l'ex oligarca nemico <strong>di</strong> Putin ed esule a Londra, ndr). È stato lui a far scoppiare la guerra in<br />

Cecenia. Tramite il Caucaso voleva con<strong>qui</strong>stare il mondo. Ma non c'è riuscito. Adesso il mio Paese è risorto,<br />

siamo la Repubblica più tran<strong>qui</strong>lla <strong>di</strong> tutta la Federazione russa».<br />

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16) [Dopo l’in<strong>di</strong>pendenza del Kosovo:]<br />

La Russia all'Onu: «Atto da annullare»<br />

Fabrizio Dragosei (Corriere <strong>della</strong> sera, 18 febbraio 2008)<br />

La Russia chiede che siano le Nazioni Unite ad annullare la <strong>di</strong>chiarazione unilaterale d'in<strong>di</strong>pendenza. La richiesta al<br />

Consiglio <strong>di</strong> Sicurezza è partita solo qualche minuto dopo che le agenzia <strong>di</strong> stampa avevano dato notizia <strong>della</strong> decisione<br />

presa a Pristina. Il ministero degli Esteri è stato durissimo nel sostenere anche la necessità <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ate misure<br />

amministrative contro gli organismi kosovari. Contemporaneamente si sono mosse le «creature» russe nel Caucaso, per<br />

ricordare al mondo che il fuoco potrebbe propagarsi e <strong>di</strong>ventare un incen<strong>di</strong>o. I presidenti delle repubbliche <strong>di</strong> Abkhazia e<br />

Ossezia del Sud (che nessuno riconosce) sono volati a Mosca e oggi terranno una conferenza stampa per sostenere le<br />

loro ragioni.<br />

«Ci aspettiamo che la missione dell'Onu e le forze guidate dalla Nato in Kosovo si attivino imme<strong>di</strong>atamente per<br />

esercitare il loro mandato annullando la decisione degli organismi <strong>di</strong> autogoverno <strong>di</strong> Pristina», ha spiegato il ministero<br />

degli Esteri russo nel chiedere una imme<strong>di</strong>ata riunione del Consiglio <strong>di</strong> Sicurezza. Dagli altri componenti <strong>di</strong> questo<br />

organismo la Russia vuole ottenere anche «dure misure amministrative».<br />

Il Segretario Generale dell'Alleanza Jaap de Hoop Scheffer si è rivolto a tutte le parti in causa perché «esercitino il<br />

massimo <strong>della</strong> moderazione possibile». I se<strong>di</strong>cimila uomini <strong>della</strong> Nato presenti, ha ricordato de Hoop Scheffer,<br />

«reagiranno imme<strong>di</strong>atamente e fermamente contro chiunque ricorra alla violenza».<br />

«Gli eventi <strong>di</strong> oggi rappresentano la conclusione <strong>di</strong> un processo che ha esaurito tutte le possibilità nella ricerca <strong>di</strong> una<br />

soluzione negoziata. Ce ne rammarichiamo, ma lo status quo era <strong>di</strong>ventato insostenibile», hanno <strong>di</strong>chiarato con un<br />

documento comune i membri europei del Consiglio <strong>di</strong> Sicurezza dell'Onu (Belgio, Croazia, Francia, Gran Bretagna e<br />

Italia) assieme alla Germania, alla presidenza dell'Unione Europea e agli Stati Uniti. Questo anche se da molte parti,<br />

compresa l'Italia, arrivano appelli a tener conto delle conseguenze <strong>della</strong> <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza. Di una situazione<br />

«<strong>di</strong> grave rischio per l'Europa» ha parlato, ad esempio, il ministro per la Solidarietà Sociale Paolo Ferrero.<br />

E il pericolo per l'Europa è proprio quello che agita Mosca, il presidente Putin aveva già detto che il riconoscimento non<br />

sarebbe stato un atto «né morale né legale». Una iniziativa che potrebbe avere conseguenze in tutto il continente, dai<br />

Paesi Baschi (e la Spagna <strong>di</strong>fatti è contraria) al Belgio. Ma soprattutto un'area profondamente instabile attorno all'ex<br />

Unione Sovietica. L'Ossezia del Sud, abitata da russofoni, è una costola <strong>della</strong> Georgia che ha proclamato l'in<strong>di</strong>pendenza<br />

nel 1990. «Ci appelleremo alla Russia, all'Onu e alle altre repubbliche ex sovietiche», ha <strong>di</strong>chiarato imme<strong>di</strong>atamente il<br />

presidente Eduard Kokoity. Situazione simile per l’Abkhazia, separata dalla Georgia da truppe <strong>di</strong> pace russe. «Il<br />

Kosovo è un precedente», si è affrettato a <strong>di</strong>re il presidente abkhazo Sergej Bagapsh. Torna d'attualità anche il<br />

Nagorno-Karabak, zona armena all'interno dell'Azerbaigian. E la Transdnistria, regione a ridosso dell'Ucraina<br />

staccatasi dalla Moldova, <strong>di</strong>fesa dai russi e che, secondo i moldavi, è da tempo un centro del contrabbando<br />

internazionale.<br />

17) Precipita la situazione in Armenia: 8 morti, esercito per le strade<br />

Enrico Piovesana (www.peacereporter.net, 2 marzo 2008)<br />

Il centro <strong>della</strong> capitale armena, Yerevan, sembrano un campo <strong>di</strong> battaglia. Le strade, ingombre <strong>di</strong> carcasse <strong>di</strong> auto<br />

bruciate e pietre, sono deserte, presi<strong>di</strong>ate da carri armati e soldati armati <strong>di</strong> fucili mitragliatori.<br />

Si contano le vittime <strong>della</strong> brutale repressione delle proteste popolari <strong>di</strong> ieri: almeno 8 manifestanti morti e 33 poliziotti<br />

feriti. Le autorità sostengono che alcuni manifestanti erano armati.<br />

Il governo ha proclamato nella notte lo stato d’emergenza fino al 20 marzo.<br />

Il leader dell’opposizione, Levon Ter-Petrosian, è stato messo agli arresti domiciliari, da dove in serata ha invitato i<br />

manifestanti a porre fine alle proteste. Decine <strong>di</strong> suoi sostenitori sono stati arrestati nelle ultime ore.<br />

Le violenze <strong>di</strong> ieri sono esplose dopo che la polizia, in mattinata, aveva sgomberato la tendopoli dell’opposizione in<br />

Piazza <strong>della</strong> Libertà.<br />

Dal 19 febbraio le opposizioni armene protestavano contro i risultati delle elezioni presidenziali vinte dal can<strong>di</strong>dato<br />

presidenziale Serge Sarkisian: il voto sarebbe stato, secondo loro, falsato da gravi brogli.<br />

18) [Sull’elezione <strong>di</strong> Medvedev:] La misura del Delfino<br />

Sandro Viola (la Repubblica, 3 marzo 2008)<br />

Com'è lineare, priva <strong>di</strong> incertezze e complicazioni, la politica in Russia. Se Putin <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> votare il suo partito,<br />

Russia Unita, due elettori su tre corrono a votarlo. E se <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> votare come suo successore al Cremlino<br />

Dmitrij Medvedev, il risultato non cambia.<br />

Alle elezioni parlamentari del <strong>di</strong>cembre scorso Russia Unita aveva raccolto il 65 per cento, e il giovane Medvedev è<br />

asceso ieri sera alla presidenza con un risultato che - a computo non ancora concluso - sfiora il 66 per cento dei voti. Il<br />

metodo elettorale brevettato da Vla<strong>di</strong>mir Putin funziona dunque come un orologio <strong>di</strong> gran marca. Non sbaglia un voto.<br />

Tra l'altro, i calcoli elettorali erano stavolta più complicati, e il compito degli scrutatori molto più delicato, perché la<br />

vittoria <strong>di</strong> Medvedev non poteva oltrepassare un certo limite.<br />

Il Delfino doveva infatti vincere largamente, ma non poteva certo raggiungere un risultato superiore a quel 71,3 per<br />

cento che Putin ottenne alle presidenziali del 2004. Sarebbe stato un atto <strong>di</strong> lesa maestà. Un risultato che avrebbe<br />

potuto mettere in <strong>di</strong>scussione la grande popolarità <strong>di</strong> Putin, far calare un'ombra sui futuri rapporti tra il nuovo e l'ex<br />

presidente, e imprimere una scossa pericolosa alla saldezza del regime, già indebolita dagli attacchi che i vari potentati<br />

sorti in questi anni attorno a Putin e alle ricchezze russe, s'erano lanciati nei mesi scorsi attorno al problema <strong>della</strong><br />

successione.<br />

Ma niente paura, il metodo elettorale Putin ha funzionato ancora una volta perfettamente. E infatti le<br />

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televisioni del regime ne tessono l'elogio. Sono state elezioni libere, affermano, e lo si vede con i voti ottenuti dagli<br />

altri can<strong>di</strong>dati. Ma la verità è che anche gli altri can<strong>di</strong>dati hanno raccolto quel che si fa loro raccogliere ad ogni elezione:<br />

il 15-16 per cento i comunisti e il 10-11 Zhirinovskij, il clown al guinzaglio del Cremlino. Mentre il solo personaggio<br />

nuovo, l'in<strong>di</strong>pendente (e stravagante) Bogdanov, ha avuto l'1 per cento.<br />

Basta adesso, però, col metodo elettorale Putin. I lettori dei giornali europei sanno già da tempo come si svolgono le<br />

elezioni in Russia, e possono da soli valutare e commentare i risultati <strong>di</strong> queste presidenziali. Più interessante può<br />

essere invece dare ancora un'occhiata all'eletto <strong>di</strong> ieri sera, Dmitrji Medvedev.<br />

Perché una cosa è certa. Tra qualche settimana, quando al Cremlino avverrà il passaggio formale delle consegne,<br />

all'apice del potere moscovita ci sarà un personaggio <strong>di</strong>verso, e per certi aspetti assai <strong>di</strong>verso, da tutti quelli che vi<br />

s'erano succeduti dalla rivoluzione russa in poi. Vale a <strong>di</strong>re da poco più <strong>di</strong> novant'anni.<br />

Medvedev non è infatti un rivoluzionario <strong>di</strong> professione come Lenin o Stalin, né un "apparatcik" del partito comunista<br />

dell'Urss <strong>di</strong>plomato per corrispondenza come Kruscev, Breznev, Cernienko o Eltsin. Non è un uomo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a istruzione<br />

emerso da una lunga e grigia carriera nella burocrazia del partito come Gorbaciov, non un capo del Kgb come<br />

Andropov, e neppure un ex tenente colonnello dello stesso Kgb come Putin.<br />

Insomma, Dmitrij Medvedev non ha nulla a che fare con le biografie personali e politiche dei suoi predecessori,<br />

comunisti e post-comunisti, al Cremlino.<br />

Per stu<strong>di</strong>, formazione giuri<strong>di</strong>ca, esperienza del mondo economico e buona conoscenza dell'inglese, somiglia non poco ad<br />

un politico europeo, un francese, un tedesco, uno spagnolo. Proviene infatti da una famiglia d'intellettuali, e avendo<br />

solo 42 anni non ha fatto a tempo, prima del crollo dell'Urss e del comunismo, ad avere rapporti politicamente<br />

significativi con uno o un altro settore del sistema sovietico. La facoltà <strong>di</strong> giurisprudenza a Pietroburgo dove s'è laureato<br />

negli anni Ottanta aveva una vaga fama <strong>di</strong> ambiente liberale, e il suo primo lavoro è stato al Comune <strong>di</strong> Pietroburgo (a<br />

quel tempo ancora Leningrado) col sindaco Anatolij Sobchak, anche lui considerato un liberale.<br />

È vero: proprio al Comune <strong>di</strong> Pietroburgo avviene il suo incontro con Putin, che si rivelerà l'evento centrale, decisivo,<br />

nella vita <strong>di</strong> Medvedev. Siamo alla fine degli Ottanta, e da allora i due non si sono infatti più allontanati. La irresistibile<br />

ascesa del giovane giurista sarà tutta trainata da Vla<strong>di</strong>mir Putin, <strong>di</strong>venuto nel '99 primo ministro e il primo gennaio<br />

2000, con le <strong>di</strong>missioni <strong>di</strong> Eltsin, presidente <strong>della</strong> Federazione russa. Prima le importanti cariche nella segreteria <strong>di</strong><br />

Putin, poi la presidenza del colosso Gazprom, <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> la nomina a primo vice-primo ministro, e ieri sera l'elezione a capo<br />

dello Stato. Il tutto in soli otto anni.<br />

Lasciamo da parte per ora i dubbi emersi già a <strong>di</strong>cembre, dopo che Putin aveva designato Medvedev come suo<br />

successore. Quali margini <strong>di</strong> vera in<strong>di</strong>pendenza, quali poteri effettivi potrà avere il nuovo presidente, essendo debitore<br />

d'ogni fase <strong>della</strong> sua carriera, una carriera davvero napoleonica, all'ex ufficiale del Kgb incontrato una ventina d'anni fa<br />

al Comune <strong>di</strong> Pietroburgo.<br />

Lasciamo da parte questi dubbi e interrogativi, perché per ora nessuno sa esattamente come funzionerà la Russia <strong>della</strong><br />

Reggenza, con un Medvedev che al momento sembra un re minorenne sotto la tutela <strong>di</strong> Vla<strong>di</strong>mir Putin. Per capire<br />

qualcosa bisognerà aspettare almeno un anno, un anno e mezzo, se e quando verranno pian piano estromessi i capi dei<br />

clan che cumulano oggi il potere politico e il potere economico in Russia.<br />

Quel che resta, però, è l'anomalia del personaggio sullo sfondo <strong>della</strong> transizione post-comunista. L'uomo con<br />

cui tratteranno nei prossimi mesi i governi europei e l'amministrazione americana. Il quale non ha il volto impenetrabile<br />

né i mo<strong>di</strong> spigolosi <strong>di</strong> Putin, ma al contrario il sorriso cor<strong>di</strong>ale, il tratto business-like, d'uno dei suoi colleghi in<br />

Occidente. E infatti non è un caso che la comunità internazionale degli affari aveva sempre puntato, in vista <strong>della</strong><br />

successione, sul suo nome.<br />

Oggi almeno, <strong>qui</strong>n<strong>di</strong>, immaginare Medvedev con la grinta, la tracotanza che Putin ha esibito dal marzo 2006, dal<br />

<strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Monaco, nei confronti degli occidentali, riesce <strong>di</strong>fficile. Difficile immaginarlo mentre ripete anche lui che sta<br />

per far puntare i missili nucleari sulle città europee, che ha dato l'or<strong>di</strong>ne ai bombar<strong>di</strong>eri strategici <strong>di</strong> riprendere i voli <strong>di</strong><br />

pattugliamento. Insomma, <strong>di</strong>mostrarsi sulla scena internazionale il clone del suo Grande Elettore.<br />

Ci si può sbagliare, questo è ovvio, specie quando si fanno ipotesi sulla base dell'aspetto fisico delle persone. Ma un<br />

abbassamento dei toni nelle relazioni con l'Occidente non è da scartare. I <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong> restano, dallo scudo spaziale<br />

all'allargamento <strong>della</strong> Nato e al Kossovo (tutte questioni su cui nessun governante russo può fare sconti), ma il<br />

linguaggio potrebbe farsi meno tracotante. La Russia ha un mare <strong>di</strong> gravi problemi interni, lo sviluppo economico, le<br />

crepe affiorate ultimamente nell'e<strong>di</strong>ficio del regime, e una pausa nell'antagonismo putiniano con l'Occidente può esserle<br />

utile.<br />

19) Venti <strong>di</strong> guerra tra Armenia e Azerbaigian<br />

Scoppiano combattimenti in Nagorno-Karabakh: almeno 15 morti<br />

Enrico Piovesana (www.peacereporter.net, 5 marzo 2008)<br />

E’ stata la più grave violazione del cessate il fuoco degli ultimi quattor<strong>di</strong>ci anni. Ieri le truppe armene e azere si sono<br />

date battaglia per tutta la giornata nel nord del Nagorno-Karabakh, l’enclave che l’Armenia cristiana e filo-russa<br />

controlla all’interno dell’Azerbaigian musulmano e filo-occidentale.<br />

I combattimenti hanno avuto luogo nei <strong>di</strong>stretti <strong>di</strong> Terter e Goranboy e hanno visto, per la prima volta dal 1994, il<br />

massiccio impiego dell’artiglieria pesante. Il bilancio, a fine giornata, era <strong>di</strong> <strong>qui</strong>n<strong>di</strong>ci morti: 12 soldati armeni e 3<br />

azeri.<br />

I governi <strong>di</strong> Baku e Yerevan – che all’inizio degli anni ’90 combatterono per il Nagorno-Karabakh una guerra costata<br />

35mila morti e un milione <strong>di</strong> profughi – si accusano a vicenda <strong>di</strong> aver innescato gli scontri.<br />

Accuse reciproche. La versione degli azeri, rilanciata da tutti me<strong>di</strong>a occidentali, parla <strong>di</strong> una provocazione del governo<br />

armeno, desideroso <strong>di</strong> <strong>di</strong>strarre l’opinione pubblica interna e straniera dalla drammatica crisi politica che sta affliggendo<br />

il Paese, degenerata sabato in sanguinosi scontri <strong>di</strong> piazza a cui è seguita la proclamazione dello stato d’emergenza e<br />

un’ondata <strong>di</strong> arresti <strong>di</strong> esponenti dell’opposizione. “L’Armenia cerca <strong>di</strong> <strong>di</strong>stogliere l’attenzione dei suoi citta<strong>di</strong>ni e <strong>della</strong><br />

comunità internazionale dai problemi interni al nemico esterno”, ha <strong>di</strong>chiarato oggi il portavoce del ministro degli Esteri<br />

azero, Elmar Mammadyarov.<br />

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Per il suo omologo armeno, Vartan Oskanian, è invece stato l’Azerbaigian ad attaccare, sfruttando il momento <strong>di</strong><br />

debolezza e <strong>di</strong> crisi interna dell’Armenia. “Forse hanno pensato che noi avessimo concentrato tutta la nostra attenzione<br />

sulla nostra situazione interna e che questo poteva dargli un vantaggio psicologico – ha <strong>di</strong>chiarato Oskanian – ma non è<br />

andata così”.<br />

Minacce azere. L’ipotesi <strong>di</strong> un <strong>di</strong>versivo creato dal governo armeno è più che plausibile. La situazione a Yerevan,<br />

pattugliata dai carri armati dell’esercito dopo gli otto manifestanti uccisi sabato scorso, è molto testa: l’opposizione<br />

denuncia decine <strong>di</strong> arresti e promette battaglia. Un’aria da guerra civile che verrebbe spazzata via in caso <strong>di</strong> una nuova<br />

guerra contro il comune nemico azero.<br />

Ma è anche vero che da giorni il presidente dell'Azerbaigian, Ilham Aliyev, temendo che l’effetto Kosovo<br />

rianimi l’in<strong>di</strong>pendentismo del Nagorno-Karabakh, va ripetendo che il suo Paese è ormai pronto a<br />

ricon<strong>qui</strong>stare militarmente la regione. “L’in<strong>di</strong>pendenza del Kosovo ha avuto un impatto negativo sulla soluzione del<br />

conflitto, gli sforzi <strong>di</strong>plomatici non bastano più. Abbiamo comprato mezzi militari, aerei e munizioni e ormai siamo pronti<br />

per liberare le nostre terre, i nostri territori occupati dagli armeni”.<br />

Il petroliere. Grazie ai favolosi introiti delle ven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> petrolio all’occidente (schizzate alle stelle dopo l’apertura<br />

dell’oleodotto Baku-Tbilsii-Ceyan) e forte del sostegno <strong>della</strong> Nato (l’Azerbaigian è membro dell’alleanza filo-atlantica<br />

G.u.a.m. con Georgia, Ucraina e Moldova), lo corso novembre il presidente Aliyev ha quasi raddoppiato le spese militari,<br />

portando il budget annuo <strong>della</strong> Difesa a 1,3 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari. Per molti questo significa solo una cosa: l’Azerbaigian si<br />

sta preparando a una nuova guerra con l’Armenia per ricon<strong>qui</strong>stare il Nagorno-Karabakh perduto negli anni ’90, quando<br />

l’Azerbaigian era un Paese povero e militarmente debole.<br />

(dal New York Times dell’11 agosto 2008)<br />

20) Georgia-Russia: quasi guerra per l'Ossezia<br />

(www.corriere.it, 8 agosto 2008)<br />

TBILISI (Georgia) - Georgia e Russia sono sull'orlo <strong>della</strong> guerra a causa dell'Ossezia del sud, la provincia separatista<br />

georgiana che gode dell'appoggio <strong>di</strong> Mosca. Gli Stati Uniti hanno chiesto ai contendenti un imme<strong>di</strong>ato cessate il fuoco,<br />

ma ancora nella tarda serata <strong>di</strong> venerdì era in corso una violentissima battaglia a sud <strong>di</strong> Tskhinvali, capitale<br />

dell'Ossezia del sud tra i soldati <strong>della</strong> forza <strong>di</strong> interposizione russa in Ossezia del sud e l'esercito georgiano. La<br />

situazione è delicatissima: secondo il premier russo, Vla<strong>di</strong>mir Putin, si è già «in una situazione <strong>di</strong> guerra». Il segretario<br />

<strong>di</strong> Stato americano, Condoleeza Rice, dal canto suo, ha chiesto proprio alla Russia «<strong>di</strong> porre termine agli attacchi<br />

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condotti in Georgia con aerei e missili, il rispetto dell'integrità territoriale <strong>della</strong> Georgia e il ritiro delle forze militari dal<br />

territorio georgiano». Intanto il presidente georgiano, Mikhail Saakashvili, si appresta a <strong>di</strong>chiarare la legge marziale.<br />

Gli scontri sono iniziati tra giovedì e venerdì. All'alba <strong>di</strong> venerdì c'è stato un nuovo attacco georgiano. Il<br />

capoluogo sudosseto Tskhinvali è stato bombardato e, secondo il capo dei militari russi <strong>della</strong> forza <strong>di</strong><br />

interposizione, «è stato quasi completamente <strong>di</strong>strutto». Le cifre sulle vittime non hanno conferme ma il<br />

presidente dell'Ossezia del sud Eduard Kokoity, ha detto che «i morti sono stati 1.400. Lo abbiamo stimato sulla base<br />

delle informazioni fornite dalle famiglie delle vittime»». I russi hanno lanciato raid aerei contro la Georgia. Tbilisi ha<br />

<strong>di</strong>chiarato un cessate il fuoco unilateriale <strong>di</strong> tre ore (sino alle 16 ora italiana) per l'evacuazione dei civili.<br />

Il governo russo ha inviato in Sud Ossezia una colonna <strong>di</strong> carri armati che hanno aperto il fuoco contro le postazioni<br />

georgiane in Ossezia del sud. I georgiani hanno dovuto lasciare alcune postazioni a Tskhinvali. Il presidente<br />

Saakashvili, ha <strong>di</strong>chiarato: «I russi sono entrati nel nostro territorio. Ci consideriamo in stato <strong>di</strong> guerra». Il presidente<br />

ha or<strong>di</strong>nato la mobilitazione generale richiamando anche i riservisti e, in un'intervista alla Cnn, ha chiesto agli Stati<br />

Uniti <strong>di</strong> intervenire: «Non è più solo una questione georgiana. Si tratta dell'America e dei suoi valori. Noi siamo una<br />

nazione amante <strong>della</strong> libertà che ora si trova sotto attacco». Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha<br />

accusato i georgiani <strong>di</strong> aver messo in atto in Sud Ossezia «una pulizia etnica». Il presidente russo Dmitri<br />

Medvedev ha poi lanciato una pesante accusa: «I soldati <strong>della</strong> forza <strong>di</strong> pace georgiana hanno sparato sui colleghi russi.<br />

In Sud Ossezia stanno morendo civili, donne, bambini e anziani russi». Infine, il premier russo, Vla<strong>di</strong>mir Putin, a<br />

Pechino per l'apertura dell'Olimpiade, parlando con il presidente americano Bush ha <strong>di</strong>chiarato che «volontari russi<br />

sono pronti a partire per l'Ossezia, e non saremmo in grado <strong>di</strong> fermarli». A Mosca un centinaio <strong>di</strong> persone (in<br />

gran parte osseti) nel pomeriggio ha manifestato davanti il ministero degli Esteri chiedendo un intervento militare in<br />

Ossezia del Sud. È prevista un'altra manifestazione davanti all'ambasciata georgiana.. Il conflitto rischia <strong>di</strong> ampliarsi<br />

con la ritorsione aerea russa sulla città <strong>di</strong> Gori (dove è nato Stalin). L'altra provincia separatista filorussa<br />

dell'Abkhazia è stata «avvertita» da Tbilisi <strong>di</strong> tenersi fuori da un conflitto che non la riguarda.<br />

Nella serata <strong>di</strong> venerdì il presidente Mikhail Saakasvhili, in un <strong>di</strong>scorso televisivo, ha detto che le truppe <strong>di</strong> Tblisi<br />

«hanno il pieno controllo <strong>della</strong> capitale dell'Ossezia del sud, Tskhinvali, e <strong>di</strong> tutti i <strong>di</strong>stretti e delle aree residenziali <strong>della</strong><br />

regione, ad eccezione del <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> Java». Saakashvili ha giustificato l'operazione militare come una risposta<br />

al «regime criminale» dei separatisti, e per «ripristinare l'or<strong>di</strong>ne». Saakashvili ha definito il raid russo<br />

«un'operazione militare su larga scala. Chiedo alla Russia <strong>di</strong> interrompere i bombardamenti sui pacifici paesi<br />

georgiani». Le notizie sulle attività belliche e sul bilancio <strong>di</strong> vittime e danneggiamenti arrivano in modo frammentario.<br />

Tre aerei russi hanno violato lo spazio aereo georgiano lanciando alcune bombe, ha riferito il governo georgiano<br />

annunciando alcuni feriti tra i civili. In seguito è stata bombardata anche Gori: secondo la Georgia due aerei russi<br />

sarebbero stati abbattuti (nessuna conferma da Mosca). Il bombardamento russo <strong>della</strong> base aerea <strong>di</strong> Marneuli ha<br />

provocato la morte <strong>di</strong> tre soldati georgiani. Una caserma a Tskhinvali delle forze d'interposizione russe è stata colpita<br />

da colpi <strong>di</strong> artiglieria e i russi <strong>di</strong>cono che una decina <strong>di</strong> loro soldati sono morti e 30 sono stati feriti, oltre a numerose<br />

vittime civili. Distrutto l'ospedale principale <strong>di</strong> Tskhinvali, in fiamme anche l'e<strong>di</strong>ficio dell'università.<br />

Su richiesta <strong>della</strong> Russia si è riunito in seduta straor<strong>di</strong>naria il Consiglio <strong>di</strong> sicurezza delle Nazioni Unite a New York.<br />

L'ambasciatore belga Jan Grauls, presidente <strong>di</strong> turno, ha riferito che al momento «il Consiglio <strong>di</strong> sicurezza non è in<br />

grado <strong>di</strong> esprimere un'opinione sul conflitto». Usa e Gran Bretagna e altri Paesi non hanno votato un documento in cui<br />

si chiedeva a entrambe le parti del conflitto <strong>di</strong> «rinunciare all'uso <strong>della</strong> forza». L'ambasciatore russo ha commento che<br />

la posizione occidentale è «un grave errore <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio». L'Unione europea ha chiesto la cessazione imme<strong>di</strong>ata delle<br />

ostilità. Il can<strong>di</strong>dato repubblicano alla presidenza Usa, John McCain, ha invitato la Casa Bianca a chiedere una riunione<br />

imme<strong>di</strong>ata del Consiglio <strong>di</strong> sicurezza dell'Onu che intimi alla Russia <strong>di</strong> ritirare le proprie truppe dalla Georgia. L'Ocse<br />

manderà imme<strong>di</strong>atamente in Georgia il suo inviato speciale. Il presidente georgiano Saakashvili ha parlato per telefono<br />

con il segretario <strong>di</strong> Stato Usa Condoleezza Rice, con il segretario <strong>della</strong> Nato Jaap de Hoop Scheffer. A Tbilisi sono attesi<br />

nelle prossime ore i ministri degli Esteri <strong>di</strong> Svezia e Lituania. L'Unità <strong>di</strong> cisi <strong>della</strong> Farnesina, in coor<strong>di</strong>namento con<br />

l'ambasciata italiana a Tbilisi, si è subito attivata per assicurare i contatti con i circa 120 italiani presenti in Georgia.<br />

La Borsa russa ha subito pesanti ribassi (6%) e il rublo ha perso l'uno per cento a causa dell'attacco georgiano in<br />

Ossezia del sud. «C'è il rischio <strong>di</strong> una ven<strong>di</strong>ta in massa delle azioni sul mercato russo», ha commentato un analista del<br />

mercato. Un milione <strong>di</strong> barili <strong>di</strong> petrolio al giorno <strong>di</strong>retti verso occidente sono messi a rischio dal conflitto. L'oleodotto<br />

Baku-Ceyhan in funzione da oltre un anno attraversa per 249 chilometri la Georgia ed è l'unico a evitare<br />

Iran e Russia per fornire Stati Uniti ed Europa. In Turchia la scorsa settimana un attentato a opera dei<br />

cur<strong>di</strong> del Pkk ha provocato un incen<strong>di</strong>o e l'interruzione del flusso e non sarà ripristinato prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci<br />

giorni.<br />

21) Viaggio nella paura tra caccia e cecchini<br />

Andrea Nicastro (Corriere <strong>della</strong> sera, 11 agosto 2008)<br />

KHASHURI (Georgia) — Truppe georgiane allo sbando. Terrorizzate dai caccia russi che gli volano sopra la testa.<br />

Paralizzate dalla <strong>di</strong>sparità <strong>di</strong> fuoco a <strong>di</strong>sposizione: minuscola da una parte, immensa dall'altra. Tbilisi ha offerto <strong>di</strong><br />

aprire negoziati per il cessate-il-fuoco e ha or<strong>di</strong>nato il «riposizionamento» delle sue truppe fuori dalla provincia<br />

separatista dell'Ossezia meri<strong>di</strong>onale. In un giorno <strong>di</strong> viaggio sulle strade del Caucaso si ricava forte la<br />

sensazione che questa sia destinata a rivelarsi una guerra lampo. E che la Georgia l'abbia già persa. Se<br />

l'armata russa resta nelle due province separatiste, Abkhazia e Ossezia del Sud, si troverà contro qualche commandos,<br />

qualche cecchino, ma la gente è a suo favore. Non c'è guerriglia <strong>qui</strong>. Non c'è un popolo in rivolta. La pulizia etnica<br />

degli ultimi 15 anni ha fatto il suo lavoro. Gli scontri sono il frutto <strong>della</strong> scommessa <strong>di</strong> un presidente ambizioso<br />

con un esercito mignon e la reazione <strong>di</strong> una potenza enorme. Il risultato è logico. Il piccolo Davide contava su<br />

ben altri alleati per abbattere il gigante Golia. La Georgia ha chiesto troppo ai suoi protettori in Occidente.<br />

Un'immagine <strong>di</strong> ieri rende bene il problema. Due motovedette georgiane se ne stavano all'ancora appena fuori dal<br />

porto <strong>di</strong> Poti. Bianche con le quattro croci ortodosse <strong>della</strong> ban<strong>di</strong>era nazionale luccicanti a tribordo. Eleganti quanto<br />

impotenti. In mare, a portata <strong>di</strong> binocolo, c'era la sagoma dell'ammiraglia <strong>della</strong> flotta russa nel Mar Nero, l'incrociatore<br />

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lanciamissili Moskwa. Ai tempi d'oro dell'impero sovietico le <strong>di</strong>dascalie che accompagnavano la Moskwa nelle riviste<br />

militari la descrivevano come capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere metà dell'Europa occidentale in appena 20 minuti. Ieri,<br />

l'incrociatore non aveva probabilmente a bordo testate nucleari per i suoi missili <strong>di</strong> genere Cruise, ma per fermare il<br />

tentativo <strong>di</strong> una delle due motovedette georgiane è bastato il tiro d'avvertimento <strong>di</strong> una batteria <strong>di</strong> cannoni.<br />

L'esplosione e una gigantesca colonna d'acqua davanti alla prua hanno convinto l'avventuroso comandante a invertire<br />

la rotta e tornare in porto. Così tutto ieri i moli <strong>di</strong> Poti sono rimasti fermi, il porto chiuso, la Georgia senza accesso al<br />

suo mare.<br />

La vera reazione è arrivata dall'estero, come avrebbe voluto il presidente georgiano Mikhail Saakashvili: contro il<br />

blocco navale, l'Ucraina, can<strong>di</strong>data quanto la Georgia all'ingresso nella Nato, ha prospettato ritorsioni<br />

legali sulla base russa <strong>di</strong> Sebastopoli, nel suo territorio. Ma è poco, comunque troppo poco per cambiare gli<br />

e<strong>qui</strong>libri in campo. Le motovedette sono restate all'ancora. C'è un'unica efficace via <strong>di</strong> comunicazione in Georgia ed è<br />

la strada che corre, parallela alla ferrovia, da Ovest a Est, dal porto sul Mar Nero <strong>di</strong> Poti sino alla capitale Tbilisi. È una<br />

grande vallata, bella e verde. Ricorda il Kosovo o la Cecenia, anche se <strong>qui</strong>, terra ortodossa, mancano gli spilli dei<br />

minareti. Da una parte e dall'altra si alzano montagne che arrivano ai confini. Per questo i russi hanno<br />

bombardato praticamente tutte le infrastrutture militari dei paesotti lungo l'intera <strong>di</strong>rettrice. Da Kutaisi a<br />

Khashuri, da Gori (il passaggio obbligato per andare in Ossezia del Sud) alla capitale Tbilisi. Bloccando la strada, hanno<br />

tagliato i rifornimenti, colpendo le strutture militari, hanno ridotto le armi che avrebbero potuto sparargli addosso.<br />

Aeroporti, hangar con caccia in riparazione, depositi d'armi e carri armati. Un po' ovunque lungo la spina dorsale<br />

georgiana si vedevano le tracce delle bombe. Ai russi manca la sistematicità americana nel <strong>di</strong>struggere le strutture <strong>di</strong><br />

«comando e controllo». Non sono certo stati bombardamenti a tappeto. Non missili a guida laser. Mosca non ne ha<br />

ancora i mezzi nonostante il surplus <strong>di</strong> bilancio. Il suo resta uno stile low-tech. Ma armi a bassa tecnologia<br />

uccidono da millenni e continuano egregiamente a farlo.<br />

Ieri, a Gori, bombardata nella notte, le strade restavano deserte. La città è sfigurata, l'ospedale in<br />

emergenza. In Serbia, Afghanistan e Iraq si chiamavano «danni collaterali», <strong>qui</strong> i russi semplicemente<br />

negano <strong>di</strong> aver colpito un solo obbiettivo civile. Eppure le occhiaie aperte nei condomini <strong>di</strong> Gori sono lì a<br />

smentirli.<br />

Ielena Abdalashvili ha perso il marito. Un missile è entrato venerdì notte in casa sua, al terzo piano e ha portato via<br />

salotto, tinello e bagno. Disintegrando anche lui. Lei piange facendo dondolare le gambe nel vuoto. I morti sono stati<br />

soprattutto in Ossezia. Prima per il martellamento dei katiusha georgiani poi per i cannoni dei tank russi. La regione<br />

ora sembra sotto controllo <strong>di</strong> Mosca e degli osseti loro alleati, ma schermaglie continuano e c'è sempre qualcuno che<br />

ne paga le conseguenze. Come i due giornalisti, uno polacco e uno georgiano, uccisi ieri dal fuoco incrociato.<br />

O il figlio <strong>di</strong> Sergei, rifugiatosi in lacrime in una sorta <strong>di</strong> pizzeria <strong>di</strong> Khashuri. «Era un riservista, l'hanno chiamato<br />

giovedì per combattere in Ossezia e ieri mi hanno riportato il corpo». I georgiani si sono scoperti in prima linea<br />

all'improvviso, mentre erano in spiaggia o in un parco nazionale a godersi le vacanze. Dopo una settimana <strong>di</strong> fuoco c'è<br />

ancora qualcuno che rientra a casa con l'ombrellone che spunta dal bagagliaio. «Si può passare da <strong>qui</strong>?» chiede un<br />

padre <strong>di</strong> famiglia ad un tenente dell'esercito georgiano nascosto all'ombra <strong>di</strong> un grande pino. L'ufficiale si sporge per<br />

un attimo da sotto i rami, guarda il cielo e allarga le braccia. Chi può prevedere le intenzioni <strong>di</strong> chi comanda in questo<br />

angolo <strong>di</strong> mondo? «Colpiscono quando e come vogliono» in territorio georgiano.<br />

La sconfitta in Ossezia rischia <strong>di</strong> peggiorare le carte per la Georgia anche in Abkhazia, la sua provincia ribelle a<br />

occidente. Ieri a Zug<strong>di</strong><strong>di</strong>, neppure il più grande assembramento <strong>di</strong> <strong>di</strong>vise georgiane visto nella giornata riusciva a dare<br />

il senso <strong>di</strong> una temibile macchina bellica. Zug<strong>di</strong><strong>di</strong> è l'ultima citta<strong>di</strong>na sotto controllo georgiano prima dell'Abkhazia. I<br />

soldati si consultavano l'un l'altro e soprattutto chiamavano le mogli con il telefonino a casa per sapere che cosa<br />

avrebbero dovuto aspettarsi. Dei civili avevano appena raccontato ai militari <strong>di</strong> combattimenti nelle gole <strong>di</strong> Kodori,<br />

dove i filo-georgiani hanno mantenuto un'enclave nella provincia ribelle. Il massiccio ingresso dei russi e l'impegno<br />

delle migliori truppe georgiane in Ossezia hanno dato al presidente secessionista Eduard Kokoity la possibilità <strong>di</strong><br />

attaccare le gole. Dovesse riuscire a liberarsi <strong>della</strong> presenza filo-georgiana nel cuore <strong>della</strong> sua provincia sarebbe un<br />

grande passo avanti verso la secessione. Per il giovane presidente georgiano Mikhail Saakashvili, sarebbe invece<br />

l'epitaffio <strong>di</strong> un'avventura politica pagata con troppo sangue altrui.<br />

22 La stampa russa dopo l’Ossezia ora vuole la Crimea<br />

Andrea Romano (Il Riformista, 9 settembre 2008)<br />

Ora che la crisi georgiana è forse superata, almeno nei suoi aspetti militari, si può tornare a riflettere pacatamente sul<br />

nazionalismo russo. Non tanto su come lo ve<strong>di</strong>amo noi (inevitabile e giustificato, prodotto dagli errori<br />

dell’occidente eccetera) ma su come se lo spiegano gli stessi russi. Perché se ci siamo detti e ripetuti che dobbiamo<br />

«metterci nei panni <strong>della</strong> Russia» e comprenderne le ragioni, non c’è stato un solo corrispondente italiano da Mosca<br />

(ammesso che ce ne siano ancora, dopo la grande fuga del nostro giornalismo dall’ex impero sovietico) che durante la<br />

crisi abbia raccontato dall’interno <strong>di</strong> quel mondo la nuova rappresentazione <strong>di</strong> potenza che<br />

andava emergendo. Allora proviamoci, qualche giorno dopo gli scontri militari, a far parlare il nazionalismo russo con<br />

le sue stesse parole. Senza pescare un qualche foglio ra<strong>di</strong>cale e revanscista ma sfogliando le Izvestija: il principale<br />

quoti<strong>di</strong>ano russo <strong>di</strong> establishment, il giornale più vicino al Cremlino ma anche quello tenuto per pubblico e tra<strong>di</strong>zione a<br />

mantenere in ogni occasione un profilo e<strong>qui</strong>librato. C’è ad esempio Vitalij Tret’jakov, tra i decani del giornalismo<br />

in<strong>di</strong>pendente e fondatore a suo tempo <strong>della</strong> liberale Nezavizimaja Gazeta, che in un e<strong>di</strong>toriale del 28 agosto scrive che<br />

«la guerra <strong>di</strong> Saakashvili e <strong>della</strong> Georgia contro <strong>di</strong> noi ha scolpito nella pietra la lista dei nemici più autentici <strong>della</strong><br />

Russia. È la lista <strong>di</strong> quei regimi e <strong>di</strong> quei leader che hanno armato la Georgia, che si sono affollati ai pie<strong>di</strong> del<br />

nuovo Fuhrer Saakashvili nelle sue piazze. Oggi i popoli <strong>della</strong> Russia hanno un conto aperto con quei politici. E spero<br />

che il Cremlino farà arrivare anche a loro una piccola dose <strong>di</strong> quella giusta punizione che è stata comminata al capo<br />

georgiano. Sono i politici che governano gli Usa, Israele, l’Ucraina, la Polonia, la Lituania, la Lettonia<br />

e l’Estonia».<br />

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Ma Tret’jakov guarda soprattutto al futuro, alla prospettiva <strong>di</strong> unificare il popolo russo al <strong>di</strong> là dei confini esistenti. E<br />

sostiene con sicurezza che «la storia procede non solo per <strong>di</strong>visioni ma anche per unificazioni. E se negli ultimi<br />

decenni si è unificato il popolo tedesco, e se la stessa Unione europea ha favorito l’unificazione del<br />

popolo albanese, cosa impe<strong>di</strong>sce che in prospettiva storica il popolo russo si possa unire a quello osetino.<br />

O forse gli osetini sono inferiori ai tedeschi?».<br />

Etnie che si uniscono per confini che cambiano, oggi ma soprattutto domani. Sulle Izvestija il riferimento che sempre<br />

meno velatamente ha accompagnato la crisi georgiana è stato alla Crimea, la penisola ucraina oggetto <strong>di</strong> un<br />

contenzioso permanente tra Mosca e Kiev per l’alta percentuale <strong>di</strong> popolazione <strong>di</strong> lingua russa non meno che per la<br />

presenza a Sebastopoli <strong>della</strong> flotta russa del Mar Nero. Il 29 agosto un’intera pagina delle Izvestija a firma <strong>di</strong> Ksenija<br />

Fokina è de<strong>di</strong>cata a <strong>di</strong>scutere un interrogativo che <strong>di</strong> <strong>qui</strong> a pochi mesi si porrà <strong>di</strong>nanzi all’intera comunità<br />

internazionale: «E pronta la Russia a riprendersi la penisola <strong>di</strong> Crimea?». Se non è chiaro cosa significhi nel concreto<br />

quel «riprendersi», per le Izvestija è vicino il momento <strong>della</strong> verità. «Nell’aprile del 2009 decadrà l’accordo <strong>di</strong><br />

cooperazione tra Ucraina e Russia, che fino ad oggi ha garantito l’integrità territoriale ucraina. La Russia ha sempre<br />

rispettato quel patto, ma non c’è un solo punto sul quale la politica <strong>di</strong> Jushenko si sia rivelata amichevole<br />

nei nostri confronti: le riven<strong>di</strong>cazioni <strong>della</strong> popolazione <strong>di</strong> lingua russa, gli onori concessi agli ex<br />

combattenti fascisti e antisovietici, l’intenzione <strong>di</strong> entrare nella Nato. Oggi la posizione <strong>di</strong> Kiev nei<br />

confronti degli avvenimenti georgiani ha definitivamente sepolto ogni speranza <strong>di</strong> rapporto amichevole».<br />

E dunque?<br />

L’inevitabile che attende l’Ucraina è né più né meno la decurtazione <strong>di</strong> ampie porzioni <strong>di</strong> territorio. Perché «in<br />

settembre sarà il parlamento russo ad affrontare la questione. Non è escluso che si decida <strong>di</strong> uscire dal patto <strong>di</strong><br />

collaborazione. In quel caso l’integrità territoriale ucraina sarà definitivamente messa in <strong>di</strong>scussione (assai più <strong>di</strong><br />

quanto non lo sia già in conseguenza <strong>della</strong> politica <strong>di</strong> Jushenko). E lo stato pseudo-unitario <strong>di</strong> Ucraina potrà<br />

tran<strong>qui</strong>llamente andare in pezzi, come una torta mal riuscita». Ad ulteriore chiarimento del messaggio politico, le<br />

Izvestija pubblicano lo stesso giorno i risultati <strong>di</strong> un sondaggio realizzato tra i propri lettori. Alla domanda: «La Crimea<br />

è necessaria alla Russia?» il 45 per cento ha risposto: «Sì, abbiamo combattuto secoli per averla» e il 16 per<br />

cento: «Sì, è una base strategica <strong>della</strong> nostra flotta». Solo il 10 per cento degli interpellati ritiene invece che «Ora è<br />

territorio <strong>di</strong> un altro stato».<br />

E poi venuto il turno <strong>di</strong> un’ampia pattuglia <strong>di</strong> analisti <strong>di</strong> politica interna e internazionale, intervenuti in gran numero a<br />

consolidare la nuova rappresentazione nazionale che andava prendendo corpo negli scontri intorno a Tblisi. Scrive ad<br />

esempio il politologo Aleksej Pushkov che «sembra che qualcuno ci voglia spingere ai margini <strong>della</strong> comunità<br />

internazionale, ma si tratta <strong>di</strong> un irresponsabile tentativo europeo-americano. E poi cosa sarà mai questa<br />

comunità internazionale? In linea <strong>di</strong> principio non esiste alcuna comunità che sia superiore a quella russa. E la<br />

rappresentazione <strong>di</strong> una comunità internazionale è solo un’invenzione dell’occidente». Lo stesso giorno<br />

Vla<strong>di</strong>mir Zharichin, vice<strong>di</strong>rettore dell’Istituto dei paesi <strong>della</strong> Csi, aggiunge: «Questa crisi ha <strong>di</strong>mostrato che non<br />

solo l’Europa ma nemmeno gli Stati Uniti sono minimamente pronti ad accennare alcuna prova <strong>di</strong> forza con<br />

noi. Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> inutili <strong>di</strong>chiarazioni verbali, al <strong>di</strong> là dei fiacchi tentativi <strong>di</strong> ricon<strong>qui</strong>stare <strong>di</strong>plomaticamente ciò<br />

che è stato perso in battaglia, non c’è stato e non ci sarà niente <strong>di</strong> serio. Non dobbiamo temere che qualcuno<br />

provi ad isolarci. Perché per riuscirci vi sarebbe bisogno <strong>di</strong> quella potente volontà politica che da quelle parti manca del<br />

tutto. Deve essere questo il punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> ogni nostra politica». E infine il bellicoso Aleksandr Dugin, che da<br />

teorico dell’eurasismo ra<strong>di</strong>cale si è trasformato da qualche anno in tenace sostenitore <strong>di</strong> Putin, secondo il quale «la<br />

Russia non ha vinto la guerra ma solo una battaglia, con un’operazione condotta in maniera esemplare. Oggi siamo<br />

entrati in una nuova fase, dopo aver seriamente alzato il livello <strong>di</strong> conflittualità con l’Occidente. Non possiamo pensare<br />

che sia tutto finito. Perché oggi siamo pronti a condurre la guerra, per quanto obbligata».<br />

Sono solo parole in libertà, si <strong>di</strong>rà. Ma sono le parole più aspre <strong>di</strong> una nuova e compiuta ideologia nazionale, che per<br />

giorni hanno riempito la stampa quoti<strong>di</strong>ana più e<strong>qui</strong>librata e che raccontano assai meglio <strong>di</strong> molte nostre analisi il<br />

mutamento politico e culturale avvenuto in Russia dopo l’incertezza <strong>di</strong> status degli anni Novanta. Ed è probabilmente<br />

con quelle parole - e non con le espressioni del nostro eterno senso <strong>di</strong> colpa - che dovremo fare i conti da<br />

domani.<br />

23) Russia? Democrazia finta<br />

Garry Kasparov (Corriere <strong>della</strong> sera, 16 <strong>di</strong>cembre 2008)<br />

Il 2 marzo 2008 Dmitry Medvedev è stato eletto presidente <strong>della</strong> Russia, anche se è <strong>di</strong>fficile non mettere la parola<br />

«eletto» tra virgolette. In Russia, democrazia ed elezioni sono state separate. In una vera elezione i votanti possono<br />

scegliere e influire realmente sul risultato. II 2 marzo non è andata così. Ma quel che è successo il giorno dopo è stato<br />

anche peggio: i leader del mondo hanno accettato la fraudolenta ascesa al potere <strong>di</strong> Medvedev. L’approvazione da<br />

parte dell’Occidente dell’elezione <strong>di</strong> Medvedev ha rappresentato un momento importante per le relazioni internazionali.<br />

Ha rimosso l’ultimo ostacolo perché Putin potesse mantenere il potere. Ha mostrato che gli Usa e la Ue<br />

avrebbero accolto anche le finzioni più assurde pur <strong>di</strong> evitare conflitti.<br />

Quel che succederà dal 2009 in poi <strong>di</strong>penderà dalla volontà del mondo <strong>di</strong> contribuire al ritorno <strong>della</strong> democrazia<br />

in Russia. Il regime <strong>di</strong> Vla<strong>di</strong>mir Putin ha avuto inizio nel 2000 e continua oggi. E un regime che mantiene la facciata <strong>di</strong><br />

sistema democratico, ma le istituzioni sono state svuotate <strong>di</strong> significato, e la loro ragion d’essere - consentire il<br />

governo da parte del popolo - è stata vanificata. Per 8 anni Putin ha consolidato il suo potere, fino al punto in cui ogni<br />

elemento del governo è <strong>di</strong>venuto un’estensione <strong>della</strong> sua volontà. Come scrisse Montes<strong>qui</strong>eu nel 1750, non può esserci<br />

libertà quando i poteri legislativo ed esecutivo sono riuniti nella stessa persona. E il sistema giu<strong>di</strong>ziario segue i dettami<br />

del Cremlino. Putin ha inoltre preso <strong>di</strong> mira i mass me<strong>di</strong>a. Tutte le tv e i giornali in<strong>di</strong>pendenti sono stati chiusi o ceduti<br />

ai suoi oligarchi più fedeli. Le organizzazioni politiche non governative e i partiti <strong>di</strong> opposizione hanno subito<br />

continue pressioni e sono stati emarginati o costretti a cessare l’attività. Poco prima che il G8 si riunisse in Russia nel<br />

luglio 2006, Putin aveva approvato la draconiana «Legge sull’estremismo», che da allora è stata usata contro pacifici<br />

<strong>di</strong>mostranti, giornalisti e chiunque manifestasse un briciolo <strong>di</strong> opposizione.<br />

Il percorso che va dalla democrazia fragile e corrotta <strong>di</strong> Boris Eltsin allo Stato <strong>di</strong> polizia <strong>di</strong> Putin è contrassegnato da<br />

<strong>di</strong>versi incidenti significativi (Cecenia, l’affare Yukos/Khodorkovsky, Beslan…). Nonostante. la relativa in<strong>di</strong>fferenza<br />

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occidentale <strong>di</strong> fronte a questi <strong>di</strong>sastri, la gestione <strong>della</strong> fine del secondo mandato <strong>di</strong> Putin teneva in apprensione la<br />

<strong>di</strong>rigenza del Cremlino. Violare la costituzione o cambiarla per consentire a Putin un terzo mandato avrebbe irritato i<br />

partner occidentali. Come ci si poteva aspettare, le elezioni del 2 marzo sono state una farsa.<br />

Noi dell’opposizione aspettavamo con ansia <strong>di</strong> vedere che cosa il resto del mondo avrebbe detto del ritorno <strong>di</strong> un<br />

aperto <strong>di</strong>spotismo in Russia. Pensavamo che i leader del mondo libero avrebbero senz’altro espresso critiche severe,<br />

dopo aver consentito alla Russia <strong>di</strong> aderire al G7 e aver trattato Putin da democratico al pari <strong>di</strong> loro. Speravamo che<br />

questo scandaloso passaggio <strong>di</strong> potere avrebbe suscitato forti pressioni esterne che avrebbero indebolito la stretta del<br />

Cremlino sul suo Paese. Dopo tutto Putin e il resto dell’élite russa tengono le loro fortune miliardarie in Occidente e<br />

hanno bisogno <strong>di</strong> contare su buone relazioni con l’Ue e gli Usa per mantenere il loro stile <strong>di</strong> vita da zar. Quel che invece<br />

è accaduto non avrebbe potuto essere più sconcertante. I governi occidentali sono stati concor<strong>di</strong> nell’applau<strong>di</strong>re la<br />

vittoria <strong>di</strong> Medvedev anche se quasi tutti hanno lasciato l’imbarazzante incombenza a dei portavoce.<br />

Il presidente francese ha telefonato a Medvedev per congratularsi con lui e invitarlo in Francia (do per scontato<br />

che Silvio Berlusconi e Gerhard Schroeder, da tempo soci in affari <strong>di</strong> Putin, abbiano inviato una nota personale). Per<br />

l’opposizione russa questa reazione dell’Occidente è stata un <strong>di</strong>sastro. La nostra coalizione comprende nazionalisti,<br />

esponenti <strong>della</strong> sinistra e liberali che hanno poco in comune a parte la fiducia nelle potenzialità <strong>della</strong><br />

democrazia. Senza poter accedere ai mass me<strong>di</strong>a e sottoposti a continue vessazioni, i nostri aderenti cercano <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ffondere l’importanza <strong>di</strong> questi principi. Il mondo libero ha invece fatto sapere che la democrazia è una finzione, una<br />

copertura per gli affari, proprio quel che Putin e i suoi alleati hanno sempre sostenuto. In quel che<br />

potremmo considerare il culmine del senso <strong>di</strong> impunità <strong>di</strong> Putin, l’esercito russo ha invaso in agosto la Georgia, appena<br />

l’Ossezia del Sud gli ha offerto un pretesto per farlo. Putin non aveva ragione <strong>di</strong> temere una reazione dell’Occidente.<br />

L’or<strong>di</strong>ne mon<strong>di</strong>ale ha regole basate su un co<strong>di</strong>ce d’onore e <strong>di</strong> rado messe in questione. Putin ha capito <strong>di</strong><br />

poter applicare sulla scena globale i meto<strong>di</strong> del suo Kgb. E in Cecenia, dove la violenza era tornata a farsi sentire,<br />

Putin si era creato la fama <strong>di</strong> uomo forte quando era salito alla ribalta <strong>della</strong> politica russa un decennio fa. La vera<br />

catastrofe, quella che gli ha permesso gli spargimenti <strong>di</strong> sangue, si è verificata il 3 marzo 2008, quando la<br />

comunità internazionale ha avuto un’ultima possibilità per lanciare l’allarme sulla <strong>di</strong>ttatura <strong>di</strong> Putin, la possibilità <strong>di</strong><br />

affermare con chiarezza che la democrazia è importante. Un’opportunità mancata può pesare quanto<br />

un’opportunità che si è colta. Le elezioni non erano importanti, ma la reazione del mondo lo era.<br />

ESERCIZI<br />

1. Che <strong>di</strong>fferenza c’è tra “socialismo” e<br />

“comunismo”?<br />

2. Chi è Lenin?<br />

3. Cosa significano i termini “bolscevico” e<br />

“menscevico”?<br />

4. In che senso la prima rivoluzione russa<br />

avviene nel 1905?<br />

5. Perché le vicende <strong>di</strong> una nave, la corazzata<br />

Potëmkin, sono <strong>di</strong>ventate famosissime?<br />

6. Che cos’era uno zar?<br />

7. Qual era lo zar al potere durante la prima<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale?<br />

8. Quanto dura la prima guerra mon<strong>di</strong>ale?<br />

9. In che senso nel 1917 la Russia è teatro <strong>di</strong><br />

due rivoluzioni?<br />

10. Che cosa si intende per “presa del palazzo<br />

d’inverno”?<br />

11. Chi erano Trockij, Zinov'ev e Kamenev?<br />

12. In che senso la rivoluzione comunista scatena<br />

una guerra civile? Chi erano i “bianchi”?<br />

13. Che cos’era il “comunismo <strong>di</strong> guerra”?<br />

14. E la CEKA?<br />

15. In che senso il lager delle isole Solovki (cfr.<br />

pag. 6) può essere definito la Dachau<br />

sovietica?<br />

16. Chi era Dzerzinskij?<br />

17. Che cos’è la NEP?<br />

18. E la rivolta <strong>di</strong> Kronstadt?<br />

19. Che cosa significa la sigla URSS?<br />

20. Che cos’è la GPU?<br />

21. Perché ad un certo punto a Lenin subentra<br />

Stalin?<br />

22. Che cos’è il “Testamento politico” <strong>di</strong> Lenin e<br />

che cosa affermava su Stalin?<br />

40<br />

23. Che cos’è la teoria del "socialismo in un solo<br />

paese"?<br />

24. Quando finisce la NEP?<br />

25. Che cos’è la dottrina artistica del “realismo<br />

socialista”?<br />

26. Che cos’era un “piano <strong>qui</strong>nquennale”?<br />

27. Che cosa si intende col termine<br />

"industrializzazione accelerata”?<br />

28. Che cos’è il canale Mar Bianco – Mar Baltico<br />

(cfr. pag. 6)?<br />

29. E per “collettivizzazione forzata delle<br />

campagne”?<br />

30. Che cos’è un kolchoz? E un sovchoz?<br />

31. Che cos’è il movimento stachanovista? Chi<br />

era Stachanov?<br />

32. Che cos’erano le kommunal'ka?<br />

33. Che cos’è la dekulakizzazione? Chi erano i<br />

kulaki (cfr. pag. 7)?<br />

34. Che cosa sono le carestie artificiali (cfr. pag.<br />

8)?<br />

35. Dove si svolsero?<br />

36. Che cos’era la "legge delle spighe" dell’agosto<br />

1932?<br />

37. Perché un console italiano ha un ruolo<br />

importantissimo per lo stu<strong>di</strong>o del genoci<strong>di</strong>o<br />

ucraino?<br />

38. Che cos’è l’”Holomodor”?<br />

39. Che cos’è il "congresso dei vincitori" del<br />

1934?<br />

40. Chi era Sergej Kirov? E perché e da chi è<br />

stato assassinato il 1° <strong>di</strong>cembre 1934?<br />

41. Che cosa sono le purghe?<br />

42. Che cosa sono le autodenunce?<br />

43. E i processi spettacolo?


44. E l’NKVD?<br />

45. Perché Trockij viene scacciato dall’URSS? E<br />

poi perché viene assassinato in Messico nel<br />

1940?<br />

46. Perché durante le cosiddette “purghe”<br />

vennero arrestati e deportati la gran parte dei<br />

<strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong> fabbrica e dei funzionari dei<br />

ministeri economici?<br />

47. Perché vennero arrestati quasi tutti i <strong>di</strong>rigenti<br />

dei partiti comunisti stranieri presenti in quel<br />

momento nell’URSS?<br />

48. Che cosa significa la sigla GULag (cfr.<br />

pag.11)?<br />

49. Chi è Solzenicyn e perché il suo nome è<br />

legato al termine “GULag” (cfr. pag. 12)?<br />

50. Dove si trovano i più importanti lager?<br />

Sapresti <strong>di</strong>re i loro nomi (cfr. pag. 13)?<br />

51. Che cos’era l’Hotel Lux a Mosca negli anni<br />

Trenta?<br />

52. E la Lubjanka?<br />

53. Chi era Ezov?<br />

54. Che cos’è l’articolo 58 del Co<strong>di</strong>ce penale<br />

sovietico?<br />

55. In che cosa consiste il massacro <strong>di</strong> Katyn (cfr.<br />

pag. 13)?<br />

56. Chi è Chruscëv?<br />

57. Che cosa <strong>di</strong>sse costui nel XX congresso del<br />

PCUS nel 1956?<br />

58. Chi è Berija?<br />

59. E che cos’è il patto Molotov-Ribbentrop?<br />

60. Come mai Stalin fece un patto con Hitler? In<br />

precedenza erano stati in buoni rapporti?<br />

61. Quando e perché Hitler invade l’URSS?<br />

62. Che cosa avvenne a quel punto?<br />

63. Perché dopo la guerra Stalin fece deportare<br />

nel GULag molti prigionieri sovietici liberati<br />

dai campi nazisti?<br />

64. Che cos’è il “complotto dei me<strong>di</strong>ci” (cfr. pag.<br />

14)?<br />

65. In che senso per molti stu<strong>di</strong>osi alla vigilia<br />

<strong>della</strong> sua morte nel 1953 Stalin voleva<br />

scatenare un secondo Olocausto, contro gli<br />

ebrei russi?<br />

DOMANDE SULL’ANTOLOGIA DEGLI<br />

ARTICOLI<br />

66. Dopo aver letto gli articoli 1 e 8 descrivi il<br />

progetto del “Giar<strong>di</strong>no dei Giusti” del GULag.<br />

Chi sono i Giusti? Ve ne sono già altri luoghi<br />

simili relativamente ad altre trage<strong>di</strong>e <strong>della</strong><br />

storia contemporanea?<br />

67. Leggi l’articolo 2 e spiega perché molti italiani<br />

morirono nel GULag.<br />

68. Leggi il brano a pag. 13 e l’articolo 11 e<br />

descrivi l’opera <strong>di</strong> Shalamov.<br />

69. Leggi gli articoli 3 e 4 e spiega in che cosa<br />

consiste l’Holomodor.<br />

70. Leggi l’articolo 10 e spiega le terribili vicende<br />

dell’isola <strong>di</strong> Nazino, contestualizzandole<br />

storicamente.<br />

71. Leggi gli articoli 5 e 7 e spiega che cosa è<br />

avvenuto in Cecenia dopo la caduta<br />

dell’URSS?<br />

41<br />

72. Che cosa era successo in Cecenia nel 1944?<br />

73. Come appare la Georgia oggi leggendo gli<br />

articoli 7 e 15?<br />

74. Descrivi la figura <strong>di</strong> Kadyrov jr?<br />

75. Chi era Kadyrov senior?<br />

76. Leggi l’articolo 13 e descrivi la figura <strong>di</strong> Anna<br />

Politkovskaja.<br />

77. Leggi l’articolo 14 e descrivi la figura <strong>di</strong><br />

Khodorkovsky.<br />

78. Chi era Sakharov?<br />

79. Dopo aver letto l’articolo 9, spiega i motivi, la<br />

<strong>di</strong>namica e i risultati <strong>della</strong> guerra del Nagorno<br />

Karabakh.<br />

80. Dove si trova questo territorio?<br />

81. Quali Paesi ha coinvolto questo conflitto?<br />

82. Perché Fizuli è <strong>di</strong>ventata una specie <strong>di</strong> terra<br />

<strong>di</strong> nessuno?<br />

83. Leggi gli articoli 17 e 19 e descrivi la<br />

recrudescenza che questo conflitto ha avuto<br />

nel 2008.<br />

84. Leggi l’articolo 6 e descrivi la visita <strong>di</strong> Bush in<br />

Georgia nel 2005.<br />

85. Da quando tra Georgia e USA c’è un rapporto<br />

speciale?<br />

86. Leggendo l’articolo 16, descrivi le reazioni<br />

russe alla proclamazione dell’in<strong>di</strong>pendenza<br />

del Kosovo.<br />

87. Che cos’è il Kosovo?<br />

88. Quali casi – secondo la Russia – sarebbero<br />

simili a quello del Kosovo?<br />

89. Chi è Medvedev? Che rapporti ha con Putin<br />

(art. 18)?<br />

90. In che senso il giornalista Sandro Viola usa<br />

per lui l’espressione “Delfino”?<br />

91. Leggi gli artt. 20-22 e descrivi il conflitto tra<br />

Russia e Georgia dell’estate 2008.<br />

92. Che cosa sono l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud?<br />

93. E l’Ossezia del Nord?<br />

94. Qual è stata la scintilla che ha fatto scatenare<br />

il conflitto?<br />

95. Qual è stata la reazione russa?<br />

96. La capitale georgiana è stata minacciata?<br />

97. Che cosa è successo a Gori?<br />

98. I georgiani si sentono europei oppure no?<br />

99. Descrivi la manifestazione <strong>di</strong> Tbilisi <strong>di</strong> fine<br />

agosto.<br />

100. Qual è stato il ruolo dell’Europa nel<br />

conflitto?<br />

101. La Georgia vorrebbe entrare nella<br />

NATO?<br />

102. La Russia è d’accordo?<br />

103. Quale altro Paese ex sovietico vorrebbe<br />

entrare nella NATO?<br />

104. Descrivi il problema <strong>della</strong> Crimea.<br />

105. Potrebbe essere un nuovo teatro <strong>di</strong><br />

guerra?<br />

106. Con quali risultati?<br />

107. Che cos’è l’oleodotto Baku-Tbilisi-<br />

Ceyhan?<br />

108. Leggi l’articolo 23 e spiega chi è<br />

Kasparov.<br />

109. Quali sono le sue tesi sulla Russia <strong>di</strong><br />

oggi.

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