documento programmatico - PNV. Press News Veneto
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parlata. Certo, ci sono molti segnali preoccupanti di una sua diminuzione tra le generazioni più giovani, ma la coercizione non è assolutamente la soluzione. Il protezionismo, ossia l’imporre al consumatore un prodotto “autoctono” è sempre una strategia fallimentare. Anche il protezionismo linguistico, ossia l’imporre al parlante la lingua “autoctona”, è una strada diritta verso la sconfitta. La lingua non ha bisogno dibarriere, di aiuti, di imposizioni, di stimoli: la via per far vivere e prosperare una lingua è la libertà. Non bisogna fare altro che liberare il veneto dalla gabbia nella quale è rinchiuso. Una gabbia mentale e politica che lo vuole nella migliore delle ipotesi come “lingua minoritaria” (sicuramente minoritaria nel Lazio, in Veneto no) e nella peggiore un “dialetto” parlato da contadini ignoranti di cui vergognarsi. Liberarlo dai vincoli politici che non lo vogliono lingua “alta” da usarsi in contesti formali. Quindi non barriere nuove, ma eliminazioni delle attualibarriere italiane che lo costringono; se accadesse questo, assisteremmo a un vero proprio Rinascimento linguistico! Una Venetia indipendente potrebbe molto facilmente portare a questo risultato. Bisogna anche sottolineare però che se ci fossero persone motivate in Regione Veneto, si potrebbe fare moltissimo già da adesso; putroppo i nostri politici veneto-italiani sembrano interessati solo a giochetti di potere. La rezione uguale e contraria allo Stato italico che vuole l’eliminazione della lingua italiana dal territorio veneto mi sembra un atteggiamento preoccupante perché totalmente antistorico e pericolosamente autoritario. Dal mio punto di vista, dire che l’italiano è una lingua straniera in Veneto non corrisponde al vero dato che molti Veneti nei secoli scorsi hanno contribuito alla sua nascita e diffusione e dato che l’italiano è parlato in modo accetabile dalla grande maggioranza dei Veneti. Il bilinguismo è un fenomeno che si riscontra in moltissimi luoghi del pianeta e lo ritengo un fattore che avvantaggia le popolazioni bilingue e non le mortifica. Libertà! Libertà di parlare in veneto o in italiano nei tribunali, a scuola, al lavoro, a casa, ovunque! La libertà è la strada per la vita. Per moltissimi veneti la lingua madre è il veneto, questo non implica che l’italiano sia un patrigno maligno. Cerchiamo di non confondere la lingua italiana con lo Stato italiano. Questo ovviamente apre il ragionamento verso altri aspetti collegati. Per aprire la gabbia di cui sopra e liberare la lingua veneta, secondo me serve una chiave ben precisa: la standardizzazione. Su questo punto, molti amanti della lingua veneta hanno delle perplessità o delle aperte ostilità dato che secondo loro questo porterebbe a un impoverimento delle varianti del veneto a favore di una lingua veneta artificiale. Per me non è così e voglio scrivere sinteticamente cosa intendo: Una grafia standard semplice: Niente robe inutilmente difficili come la Ł o il cercare per forza di associare un segno grafico ad ogni suono, con il rischio di avere complicazioni che rendono la lettura e la scrittura un campo minato. A mio avviso, la Grafia Veneta Unitaria sponsorizzata dalla Regione Veneto ha fallito nel suo scopo. Lo sviluppo di una koiné: Attraverso una grafia condivisa, può iniziare (con la pubblicazione di libri, attraverso internet, ecc ecc) la crescita di una lingua che non uccide le varianti locali ma che con il tempo e con l’uso si sviluppa naturalmente e che per forza di cose diventa standard. Ripeto, non sono un linguista e sono apertissimo ai suggerimenti. Però penso che se vogliamo che il veneto torni a tutti gli effetti a essere una lingua importante, dobbiamo dotarci degli strumenti. Pag. 88 di 133
Luca Schenato Il vero Risorgimento è il nostro ITA e tutte le sue menzogne STORIA Mi sono ritrovato recentemente in una trasmissione televisiva, diretta dall’eccellente Maria Luisa Vincenzoni, presso Triveneta – spero vada in onda presto – a parlare di “Veneto e unità di ITA”. Ero circondato da persone anziane, cui va tutto il mio rispetto naturalmente, tutte prese dalla loro funzioni di vestali della Vergine dal Candido Manto ITA – quella che in Riva degli Schiavoni schiaccia ancora la testa al leone in quell’infame monumento, che fonderemo per farci un motore a scoppio – con due significative eccezioni, Ivone Cacciavillani, venetissimo uomo d’alta cultura, eccellente giurista, giornalista e storico di vaglia, ed Ermanno Chasen, presidente della suddetta televisione, uomo di cultura non meno vasta ed aperto (con tutte le cautele) al nuovo e alla visione critica della storia. Ma è incredibile come la favola bella di Napoleone liberatore e Cavour unificatore, sotto l’ombra bonaria dei Savoia — dimenticando tra l’altro che ai Savoia Napoleone fece guerra e per primi, ne invase i territori, e lì mandò anche in esilio a Cagliari – e con il consenso di “tutti gli italiani”, sia diventata parte del DNA di questi professori, direttori di istituti mazziniani, delegati alle celebrazioni garibaldine, etc. etc. Insomma, mi sono trovato davanti, ad esempio, un professor Lenci, medico e partigiano, di anni 90, che difendeva con vigore il Napoleone “liberatore degli ebrei in ghetto”, “foriero di libertà uguaglianza e fraternità”, e così, fuor di trasmissione, gli ho chiesto: “Ma professore, lei che ha messo a rischio la propria vita come partigiano, a cui noi tutti dobbiamo molto (forse senza di lei io di famiglia parzialmente ebrea neanche sarei nato) e innanzi tutto rispetto, perché non capisce i veneti che insorsero contro Napoleone, così come lei, ventenne, mise a repentaglio la propria vita contro i tedeschi e i repubblichini? Non erano Napoleone e Hitler, entrambi, invasori stranieri?”. Nessuna risposta, ma nel suo cuore di uomo coraggioso e fiero una risposta l’avrà pur data, senza dirla. Non spetta a me, ma alla verità che si esprime sempre allo stesso modo in tante voci, portare gli uomini davanti alle loro contraddizioni. E poi la storia, la parola degli storici: ed in questo con moderazione l’avvocato Cacciavillani, ed io con enfasi – ma sono i peccati miei di gioventù, della poco che mi resta – abbiamo messo in luce il modo ingiusto, arrogante, superficiale, in cui dal 1866 l’ITA ha trattato la Venetia, umiliandola in tutti i modi, facendone una “questione”, la “questione veneta”, un po’ come la “questione ebraica” in Germania, che poi Hitler risolse nei modi a tutti noti. Così, radicalmente, vorrei dire (come ho detto in televisione) che l’ITA sabauda ancora, e tale fino al 1945, al “Veneto” portò quattro bei regali. Vediamoli uno per uno. La deportazione, ovvero la migrazione forzata, organizzata da funzionari di stato corrotti in combutta con i dirigenti delle grandi compagnie di navigazione sabaudo-genovesi, di milioni di uomini della Venetia, e non solo di essa. Veri nazisti in pectore, nati solo troppo presto per diventarlo davvero, come Nino Bixio, già viaggiavano negli anni Cinquanta in Australia, per trovare luoghi possibilmente inameni dove deportare gli italiani in “eccesso”. Secondo i loro calcoli malthusiasi, le mal digerite e scarse letture dei campioni dell’Italia “risorta”. Pag. 89 di 133
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Mi sono ritrovato recentemente in una trasmissione televisiva, diretta dall’eccellente Maria<br />
Luisa Vincenzoni, presso Triveneta – spero vada in onda presto – a parlare di “<strong>Veneto</strong> e<br />
unità di ITA”. Ero circondato da persone anziane, cui va tutto il mio rispetto naturalmente,<br />
tutte prese dalla loro funzioni di vestali della Vergine dal Candido Manto ITA – quella che<br />
in Riva degli Schiavoni schiaccia ancora la testa al leone in quell’infame monumento, che<br />
fonderemo per farci un motore a scoppio – con due significative eccezioni, Ivone<br />
Cacciavillani, venetissimo uomo d’alta cultura, eccellente giurista, giornalista e storico di<br />
vaglia, ed Ermanno Chasen, presidente della suddetta televisione, uomo di cultura non<br />
meno vasta ed aperto (con tutte le cautele) al nuovo e alla visione critica della storia. Ma è<br />
incredibile come la favola bella di Napoleone liberatore e Cavour unificatore, sotto l’ombra<br />
bonaria dei Savoia — dimenticando tra l’altro che ai Savoia Napoleone fece guerra e per<br />
primi, ne invase i territori, e lì mandò anche in esilio a Cagliari – e con il consenso di “tutti<br />
gli italiani”, sia diventata parte del DNA di questi professori, direttori di istituti mazziniani,<br />
delegati alle celebrazioni garibaldine, etc. etc. Insomma, mi sono trovato davanti, ad<br />
esempio, un professor Lenci, medico e partigiano, di anni 90, che difendeva con vigore il<br />
Napoleone “liberatore degli ebrei in ghetto”, “foriero di libertà uguaglianza e fraternità”, e<br />
così, fuor di trasmissione, gli ho chiesto: “Ma professore, lei che ha messo a rischio la<br />
propria vita come partigiano, a cui noi tutti dobbiamo molto (forse senza di lei io di<br />
famiglia parzialmente ebrea neanche sarei nato) e innanzi tutto rispetto, perché non<br />
capisce i veneti che insorsero contro Napoleone, così come lei, ventenne, mise a<br />
repentaglio la propria vita contro i tedeschi e i repubblichini? Non erano Napoleone e<br />
Hitler, entrambi, invasori stranieri?”. Nessuna risposta, ma nel suo cuore di uomo<br />
coraggioso e fiero una risposta l’avrà pur data, senza dirla. Non spetta a me, ma alla verità<br />
che si esprime sempre allo stesso modo in tante voci, portare gli uomini davanti alle loro<br />
contraddizioni. E poi la storia, la parola degli storici: ed in questo con moderazione<br />
l’avvocato Cacciavillani, ed io con enfasi – ma sono i peccati miei di gioventù, della poco<br />
che mi resta – abbiamo messo in luce il modo ingiusto, arrogante, superficiale, in cui dal<br />
1866 l’ITA ha trattato la Venetia, umiliandola in tutti i modi, facendone una “questione”, la<br />
“questione veneta”, un po’ come la “questione ebraica” in Germania, che poi Hitler risolse<br />
nei modi a tutti noti.<br />
Così, radicalmente, vorrei dire (come ho detto in televisione) che l’ITA sabauda ancora, e<br />
tale fino al 1945, al “<strong>Veneto</strong>” portò quattro bei regali. Vediamoli uno per uno.<br />
La deportazione, ovvero la migrazione forzata, organizzata da funzionari di stato corrotti in<br />
combutta con i dirigenti delle grandi compagnie di navigazione sabaudo-genovesi, di<br />
milioni di uomini della Venetia, e non solo di essa. Veri nazisti in pectore, nati solo troppo<br />
presto per diventarlo davvero, come Nino Bixio, già viaggiavano negli anni Cinquanta in<br />
Australia, per trovare luoghi possibilmente inameni dove deportare gli italiani in “eccesso”.<br />
Secondo i loro calcoli malthusiasi, le mal digerite e scarse letture dei campioni dell’Italia<br />
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