Il modello istituzionale corporativo a Torino nel Settecento ...
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Giacomina Caligaris<br />
<strong>Il</strong> <strong>modello</strong> <strong>istituzionale</strong> <strong>corporativo</strong> a <strong>Torino</strong> <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>.<br />
Applicazioni <strong>nel</strong> tessile- seta*<br />
Abstract<br />
<strong>Il</strong> paper intende rivisitare il paradigma tradizionale che interpreta l’oltranzismo <strong>corporativo</strong><br />
subalpino come un fattore anacronistico dal punto di vista <strong>istituzionale</strong> e ritardante dal punto<br />
vista economico. L’immagine di staticità del sistema è soltanto apparente poiché <strong>nel</strong> settore<br />
produttivo considerato emergono componenti dinamiche che indicano l’esistenza di alte<br />
capacità di adattamento delle istituzioni economiche di fronte all’evolvere delle condizioni di<br />
mercato. Nel caso specifico, quindi, l’assetto <strong>corporativo</strong> dato alla produzione e alla<br />
distribuzione dei beni nonché all’organizzazione e alla tutela del lavoro si proporrebbe come<br />
una sorta di percorso sperimentale ai fini della piena affermazione della cosiddetta<br />
preindustrial industry .<br />
Novembre 2003<br />
(*) La presente monografia raccoglie i risultati di una ricerca co - finanziata dal MIUR per lo studio delle istituzioni<br />
corporative <strong>nel</strong>le economie urbane italiane durante l’età moderna. Una relazione sintetica è stata presentata al Convegno<br />
internazionale Dalla corporazione al mutuo soccorso. Organizzazione e tutela del lavoro tra XVI e XX secolo svoltosi a<br />
Imperia dal 15 al 17 maggio 2003 ed è in corso di pubblicazione negli Atti del medesimo.<br />
1
INDICE<br />
Introduzione 3<br />
1. Gli aggregati macroeconomici 3<br />
2. Lo stato e il mercato 11<br />
3. <strong>Il</strong> prodotto di alta qualità, in piccola serie o esclusivo 20<br />
4. Attività di filiera 35<br />
5. I traguardi delle arti seriche torinesi 39<br />
Considerazioni finali 43<br />
2
Introduzione<br />
I maggiori successi produttivi e di mercato ottenuti <strong>nel</strong> Regno di Sardegna dall'organizzazione<br />
corporativa del lavoro durante il <strong>Settecento</strong> si ebbero <strong>nel</strong> tessile -seta con l'affermazione del ciclo<br />
completo, dalla risorsa naturale disponibile localmente , al semilavorato ricercato in Europa , a una<br />
gamma di beni finali come le stoffe unite e operate dall'armatura complessa, i fazzoletti, le calze, i<br />
nastri, la passamaneria , i cappelli, tutti prodotti in grado di alimentare flussi più o meno consistenti<br />
di esportazioni. La singolarità dell'esperienza sabauda risiede <strong>nel</strong> fatto che questa forma di<br />
organizzazione del lavoro coesistette con le tipologie più moderne e più antiche di organizzazione<br />
della produzione: quella accentrata e meccanizzata della filatura, che <strong>nel</strong>le strutture più avanzate<br />
adombrava il sistema di fabbrica, quella tradizionale decentrata basata sul fondaco del mercante e<br />
sulla bottega artigiana propria della tessitura. L'assetto <strong>corporativo</strong>, inoltre, si accompagnò e fu parte<br />
integrante della distrettualizzazione cittadina del processo produttivo finale, una scelta localizzativa<br />
forzata e regolata dall'alto , decisa solo in parte dal mercato.<br />
1- Gli aggregati macro - economici<br />
La disponibilità della risorsa naturale e del filato standardizzato ottenuti internamente alla regione<br />
economica di appartenenza, la relativa accessibilità dei mercati di sbocco attraverso le esistenti vie<br />
di comunicazione, la dotazione di risorse idriche , la presenza di manodopera qualificata, ma anche<br />
la prossimità al mercato lionese del lavoro specializzato, gli stimoli pubblici, soprattutto,<br />
rappresentarono altrettanti fattori di localizzazione dell'industria dei prodotti serici a <strong>Torino</strong>.<br />
Per quanto attiene ai dati di produzione della materia prima in Piemonte le serie storiche disponibili ,<br />
pur incomplete e disomogenee , lasciano intravedere qualche andamento tendenziale. Esse sono state<br />
ricostruite e sistemate recentemente da Chicco 1 , ma già Arese 2 aveva tentato i primi accertamenti<br />
sulle consegne dei bozzoli effettuate dalle province piemontesi <strong>nel</strong> corso del tempo.<br />
Nel sottoporre ad analisi l’ insieme delle informazioni numeriche raccolte la maggiore difficoltà si<br />
incontra volendo tentare delle aggregazioni (V. fig. 1) poiché si ha a che fare con materiale<br />
eterogeneo riferito a una base territoriale in continuo movimento durante il secolo. Si notano,<br />
inoltre, maggiori vuoti conoscitivi per la prima metà del <strong>Settecento</strong> mentre, durante la seconda, le<br />
serie storiche risultano più complete.<br />
Figura 1. Produzione dei bozzoli <strong>nel</strong>lo stato espressa in rubbi (1719- 1788)*<br />
800000<br />
700000<br />
600000<br />
500000<br />
400000<br />
300000<br />
200000<br />
100000<br />
0<br />
bozzoli consegnati<br />
1719<br />
1721<br />
1729<br />
1731<br />
1735<br />
1737<br />
1739<br />
1741<br />
1764<br />
1775<br />
1778<br />
1780<br />
1782<br />
1784<br />
1787<br />
(*) elaborazione da G. Chicco, La seta in Piemonte 1650-1800, Milano , F . Angeli 1995,Appendice 2, pp. 353 -360<br />
1 rubbo di 25 libbre = kg. 9,221<br />
1 G. Chicco, La seta in Piemonte 1650-1800, Milano, F. Angeli 1995,pp. 353-360<br />
2 G. Arese , L’industria serica piemontese dal secolo XVII alla metà del XIX, <strong>Torino</strong>, E. Bona 1922, passim..<br />
3<br />
rubbi
All'osservazione dei dati si riscontra la presenza di un salto <strong>nel</strong>la dimensione produttiva a partire<br />
dagli anni ‘60 (V. fig.1), ma , per le considerazioni fatte sopra, l’impennata potrebbe trovare una<br />
spiegazione <strong>nel</strong>la maggiore completezza delle fonti quantitative che includono <strong>nel</strong> totale le consegne<br />
di bozzoli presentate da province prima non conteggiate. Con il 1748, infatti, il Regno di Sardegna si<br />
era ingrandito verso oriente acquisendo quei territori del Novarese, del Pavese e della Lomellina in<br />
cui fioriva spontaneamente la gelsibachicoltura, quindi, il significativo aumento di produzione della<br />
seconda metà del secolo potrebbe essere semplicemente ricondotto all'inclusione <strong>nel</strong> conteggio<br />
complessivo dei bozzoli provenienti dalle terre di «nuovo acquisto». L'esistenza di un effettivo e<br />
generale trend espansivo della produzione di materia prima , non dipendente dalla variazione della<br />
base di riferimento, tuttavia, risulterebbe confermata se si seguono gli andamenti disaggregati delle<br />
antiche province nei quali si osserva un effettivo balzo verso l'alto a partire dalla metà del secolo (V.<br />
fig. 2 ).<br />
Figura 2. Produzione dei bozzoli <strong>nel</strong>le province piemontesi espressa in rubbi (1719-1788)*<br />
100000<br />
90000<br />
80000<br />
70000<br />
60000<br />
50000<br />
40000<br />
30000<br />
20000<br />
10000<br />
0<br />
1719<br />
1721<br />
1729<br />
1731<br />
1735<br />
1737<br />
1739<br />
1741<br />
1764<br />
1775<br />
1778<br />
1780<br />
1782<br />
1784<br />
1787<br />
Acqui Alba Alessandria Asti<br />
Bagnasco Biella Carmagnola Casale<br />
Chieri Cocconato Cuneo Gattinara<br />
Ivrea Lago Maggiore Moncalvo Mondovì<br />
Nizza Monferrato Novara Pinerolo Saluzzo<br />
Savigliano Susa <strong>Torino</strong> Tortona<br />
Trino Vercelli<br />
(*) elaborazione da G. Chicco, La seta in Piemonte 1650-1800, Milano , F . Angeli 1995,Appendice 2, pp. 353-360<br />
Alla dinamica produttiva della materia prima serica manifestatasi <strong>nel</strong>la seconda metà del secolo<br />
,fosse essa dovuta all’inclusione dei nuovi territori o a una maggiore produzione in quelli di antico<br />
dominio,si accompagnò un ampliamento della struttura produttiva del filato ritorto (V. fig. 3) e al<br />
contempo il cambiamento <strong>nel</strong> <strong>modello</strong> localizzativo dei filatoi di medio -grande dimensione che era<br />
prevalso <strong>nel</strong> quarantennio 1730-70. Si passò , infatti, dall’insediamento policentrico <strong>nel</strong> triangolo<br />
Saluzzo – Carmagnola - <strong>Torino</strong> a una maggiore concentrazione nei due poli torinese e saluzzese.<br />
Quest’ultimo all’epoca comprendeva i filatoi di Racconigi. Così, nei dintorni di <strong>Torino</strong> <strong>nel</strong> 1787 si<br />
contava oltre il 20% dei filatoi presenti <strong>nel</strong>lo stato che davano lavoro al 20% delle maestranze del<br />
settore 3 .<br />
3 G. Chicco , La seta in Piemonte… cit., pp. 206-207<br />
4
Figura 3. Consistenza numerica degli impianti industriali di filatura <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>*<br />
18000<br />
16000<br />
14000<br />
12000<br />
10000<br />
8000<br />
6000<br />
4000<br />
2000<br />
0<br />
consegne di filatoi<br />
1708 1720 1722 1724 1728 1752 1787<br />
piante 375 373 429 384 421 882<br />
addetti 6990 7107 7800 7067 16097<br />
(*)elaborazione da G. Chicco, La seta in Piemonte 1650-1800, Milano , F . Angeli 1995,Appendice 6, pp.379- 415<br />
La indisponibilità di fonti statistiche attendibili per la seconda metà del <strong>Settecento</strong> non consente<br />
apprezzamenti sulla consistenza degli impianti e sulla produzione di filato, tuttavia i dati<br />
occupazionali relativi al 1787 indicano una prodigiosa crescita <strong>nel</strong> numero degli addetti.<br />
All’epoca si reputava che ogni pianta di filatoio lavorasse annualmente in media 1500 libbre di seta<br />
in trama o “organzino” 4 . Se dividiamo i dati di produzione disponibili per il numero delle piante (V.<br />
figg. 4 e 3) notiamo che <strong>nel</strong> corso degli anni il rapporto presenta variazioni comprese tra 1836 e<br />
1231. La media tra i due valori si avvicina effettivamente alla stima indicata dai contemporanei<br />
essendo pari a 1533,5<br />
Anche il rapporto tra addetti e piante denota una certa costanza <strong>nel</strong> tempo essendo compreso tra i<br />
numeri 18 e 19 ( V. fig. 3).<br />
1200000<br />
1000000<br />
800000<br />
600000<br />
400000<br />
200000<br />
0<br />
Figura 4. Produzione di filato <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>*<br />
1708 1720 1722 1724 1728 1752 1787<br />
filato libbre 688600 640000 634000 639000 518376 1130350<br />
(*) elaborazione da G. Chicco, La seta in Piemonte 1650-1800, Milano , F . Angeli 1995,Appendice 6, pp. 379-415<br />
Data la constatazione di simili connessioni tra le grandezze prese in esame si possono tentare delle<br />
proiezioni sull’andamento delle tre variabili, produzione, piante, addetti relativamente agli anni in<br />
cui i dati disponibili risultano incompleti. Così, per il 1787 si potrebbe stimare un numero di piante<br />
compreso tra 847 e 894 (V. fig. 5) e una produzione corrispondente oscillante tra libbre 1.072.500 e<br />
libbre 1.131.000 . <strong>Il</strong> dato di produzione ottenuto per approssimazione ,tuttavia, è certamente assai<br />
lontano dalla realtà perché il 1787 fu l’anno forse .più drammatico <strong>nel</strong>la storia del filatoio<br />
piemontese. Difatti, una improvvida brinata primaverile ridusse a 1/3 il raccolto dei bozzoli<br />
4 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, m. 7 (sta per Archivio di Stato di <strong>Torino</strong>, Archivio di Corte - Sezione I-, fondo delle<br />
materie economiche- commercio, categoria IV, mazzo 7 )<br />
5
nazionali lasciando i filatori disoccupati poiché <strong>nel</strong>l’arco di 3 o 4 mesi esaurirono la trasformazione<br />
del grezzo esistente 5 . Negli anni successivi ,in ogni modo, si tornò alla normalità, per questo motivo<br />
il dato a stima può fornire qualche lume riguardo alla presumibile potenzialità produttiva raggiunta a<br />
quel tempo.<br />
Quanto al dato aggregato relativo al numero delle piante è difficile valutarne la rappresentatività<br />
dato che <strong>nel</strong>le statistiche non è sempre chiara l’inclusione o meno dei filatoi a mano che per tutto il<br />
secolo e ancora <strong>nel</strong>l’Ottocento continuarono a sussistere numerosi a fianco di quelli idraulici rispetto<br />
ai quali svolgevano una funzione complementare. Le roche, come venivano denominate le piccole<br />
macchine azionate da un solo addetto spesso in ambiente domestico 6 , si trovavano particolarmente<br />
numerose <strong>nel</strong>la capitale dove producevano trame per i tessitori torinesi.<br />
18000<br />
16000<br />
14000<br />
12000<br />
10000<br />
8000<br />
6000<br />
4000<br />
2000<br />
0<br />
Figura 5. Proiezione degli impianti di filatura <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong><br />
filatoi<br />
1708 1720 1722 1724 1728 1752 1787<br />
piante 375 373 429 384 421 882 894<br />
addetti 6990 7107 7800 7067 7578 15876 16097<br />
Negli ultimi decenni del <strong>Settecento</strong>, inoltre, intervennero fattori esogeni che comportarono un<br />
mutamento <strong>nel</strong>le condizioni del mercato per il filato piemontese segnando una battuta d'arresto <strong>nel</strong><br />
trend espansivo precedente, relativamente accertabile, come si è detto, fino alla metà del secolo: dal<br />
sopraggiungere delle sete asiatiche, in realtà meno concorrenziali di quanto temuto , al cambiamento<br />
della moda tra le classi alte che privilegiavano tessuti chiari di cotone e tele, al delinearsi di una crisi<br />
economica generale.<br />
5<br />
G. Chicco, La seta in Piemonte… cit., p. 307<br />
6<br />
V. Marchis ,Acque, mulini e lavoro a <strong>Torino</strong>, in G. Bracco( a cura di),Acque, ruote e mulini a <strong>Torino</strong>,<strong>Torino</strong>, Archivio storico della<br />
città di <strong>Torino</strong> 1988, p.59<br />
6
Figura 6. Indici dei prezzi dei filati sul mercato di Amsterdam <strong>nel</strong>la seconda metà del <strong>Settecento</strong>*<br />
160<br />
140<br />
120<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
0<br />
indici prezzi filato<br />
1766<br />
1768<br />
1770<br />
1772<br />
1774<br />
1776<br />
1778<br />
1780<br />
1782<br />
1784<br />
1786<br />
1788<br />
1790<br />
1792<br />
1794<br />
China silk first quality Milanese tram f.q. Bologna organzine<br />
(*) N. W . Posthumus ,Nederlandsche prijsgeschiedenis,Brill, Leiden 1943, vol. I, pp. 123-29 ( citato in Chicco, p. 333),<br />
rielaborazione.<br />
Le difficoltà del setificio piemontese all’affacciarsi di uno squilibrio tra domanda e offerta sui<br />
mercati internazionali, si manifestarono con la caduta dei prezzi sia del filato sia dei bozzoli ( V.<br />
figg. 6 e 7). I profitti falcidiati spinsero così i produttori marginali a disinvestimenti e abbandoni 7<br />
Figura 7. Indici dei prezzi del grano e dei bozzoli sul mercato di Vercelli <strong>nel</strong>la seconda metà del <strong>Settecento</strong>*<br />
140<br />
120<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
0<br />
1762-70<br />
indici prezzi<br />
1774-80<br />
7<br />
1781-92<br />
bozzoli<br />
(*)G. Chicco, La seta in Piemonte 1650-1800, Milano , F . Angeli 1995, p. 337, elaborazione dell’Autore<br />
<strong>Il</strong> divieto di esportazione della seta grezza dallo Stato, introdotto sperimentalmente <strong>nel</strong> 1722 e<br />
confermato in via definitiva <strong>nel</strong> 1751, aveva stimolato non solo lo sviluppo della trasformazione<br />
interna della materia prima fino al sopraggiungere della crisi degli anni ottanta, ma anche un certo<br />
contrabbando di grezzo, specie da parte delle province orientali, stimabile intorno all’ 8% della<br />
produzione 8 .<br />
I dati statistici disponibili sulle esportazioni di filato, comunque, sembrano indicare una chiara<br />
tendenza al rialzo per la seconda metà del secolo.(V. fig. 8) favorita dalla caduta dei prezzi.<br />
7 G. Chicco, La seta in Piemonte… cit ., p. 306<br />
8 Ibidem, p. 236<br />
grano
1200000<br />
1000000<br />
800000<br />
600000<br />
400000<br />
200000<br />
0<br />
Figura 8. Esportazione di filato piemontese <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>*<br />
filato esportato<br />
1727 1728 1729 1730 1778 1779 1780 1781 1782 1783 1784 1789<br />
libbre 377636 392307 373577 375446 654843 860135 896574884252 820663 960601 970848 895561<br />
G. Arese , L’industria serica piemontese dal secolo XVII alla metà del XIX, <strong>Torino</strong>, V. Bona 1922, pp. 58-63; G.<br />
Chicco, La seta in Piemonte 1650-1800, Milano , F .Angeli 1995,p .243, rielaborazione.<br />
Per tutto il secolo la destinazione geografica delle esportazioni rimase sostanzialmente immutata.<br />
Primeggiava il mercato lionese che ne assorbiva all’incirca il 60% ; per gli scali di Genova, Savona<br />
e Nizza si imbarcava il 25-30% diretto in Inghilterra, mentre la parte restante, da un 10 a un 15% ,<br />
prendeva la via di Milano , della Svizzera e della Germania (V. fig. 9).<br />
Figura 9. Destinazione del filato esportato dal Piemonte <strong>nel</strong><br />
<strong>Settecento</strong>*<br />
destinazione geografica(1)<br />
Lione Ginevra Genova e Savona(GB) Nizza Milano Londra<br />
(*)elaborazione da G. Arese , L’industria serica piemontese dal secolo XVII alla metà del XIX, <strong>Torino</strong>, V. Bona<br />
1922,pp. 58-63<br />
(1)a<strong>nel</strong>lo interno anno 1727;a<strong>nel</strong>li successivi: 1728,1729,1730,1756,1783,1784,1788,1789,1791<br />
La proporzione della produzione di filato che alimentava la tessitura nazionale, localizzata<br />
principalmente a <strong>Torino</strong> per i prodotti più fini e a Vigevano,un “territorio di nuovo acquisto”, per<br />
quelli meno pregiati, non era inferiore al 12% 9 .<br />
I dati frammentari sulla produzione delle stoffe,disponibili solo per i primi anni '80, sembrano<br />
riflettere anch’essi il sopraggiungere di tendenze recessive(V. fig. 10).<br />
9 Ibidem, p. 236; G. Caligaris , Processi di qualificazione e de-qualificazione del lavoro a <strong>Torino</strong> <strong>nel</strong>l’età dell’assolutismo<br />
accentratore, in M. Taccolini e S. Zani<strong>nel</strong>li, <strong>Il</strong> lavoro come fattore produttivo e come risorsa <strong>nel</strong>la storia economica<br />
italiana,Milano,Vita & Pensiero 2002, p. 69.<br />
8
Figura 10. Produzione di stoffe di seta in Piemonte <strong>nel</strong>la seconda metà del <strong>Settecento</strong>*<br />
140000<br />
120000<br />
100000<br />
80000<br />
60000<br />
40000<br />
20000<br />
0<br />
produzione stoffe<br />
1779 1780 1781 1782 1783<br />
libbre 100790 121790 102149 88301<br />
(*) elaborazione da G. Chicco , La seta in Piemonte 1650-1800, Milano , F . Angeli 1995, p. 243<br />
In questo periodo, la gran parte delle stoffe di seta prodotte <strong>nel</strong> paese veniva esportata, anche se in<br />
misura inferiore rispetto ai picchi raggiunti <strong>nel</strong> biennio1737, 1738 (V. fig. 11). Nel 1783, la quantità<br />
della produzione realizzata <strong>nel</strong>la capitale che prese la via dell'estero superò il 50% 10 . Sommando le<br />
esportazioni dei due centri tessili di <strong>Torino</strong> e Vigevano si osserva che quelle del capoluogo<br />
rappresentavano in peso il 38,13% del totale , ma in valore salivano al 43,4%.<br />
Figura 11. Esportazione delle stoffe di seta torinesi <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>*<br />
60000<br />
50000<br />
40000<br />
30000<br />
20000<br />
10000<br />
0<br />
esportazioni stoffe<br />
1715 1716 1717 1718 1719 1721 1722 1727 1728 1737 1738 1782 1783<br />
libbre 23268148322209415856172942683932193431624656351785535843974039948<br />
(*)Asto Corte, Materie economiche, cat .IV, m. 7 n.45, mm. 8 e 10<br />
1lb.= kg. 0,369<br />
A <strong>Torino</strong> , la localizzazione del ciclo finale di lavorazione della seta, introdotto sia da produttori<br />
privati organizzati corporativamente sia da manifatture pubbliche ,si accompagnò all'espulsione del<br />
lanificio avvenuta per legge <strong>nel</strong> 1732 . L’ insediamento <strong>nel</strong>la città di tale attività, affiancando una<br />
considerevole industria pubblica di guerra impiantata presso l'Arsenale militare 11 , favorì <strong>nel</strong> corso<br />
del secolo processi di inurbamento .<br />
L’espansione demografica di <strong>Torino</strong> <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong> è documentata dalla serie di censimenti<br />
nominativi svolti dagli ufficiali di polizia municipale, senza alcun intervento del clero, conservati<br />
dalla città a partire dal 1714 e per 125 anni. I “cantonieri” effettuavano la rilevazione procedendo<br />
per isolati e visite domiciliari durante le quali raccoglievano informazioni su genere, età, ceto sociale<br />
dei censiti distinguendo, in quest’ultimo caso, tra appartenenti al clero, militari di polizia -non di<br />
10<br />
Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz . 10 .<br />
11<br />
M. Abrate, Lo sviluppo della siderurgia e della meccanica <strong>nel</strong> Regno di Sardegna dal 1831 al 1861, Louvain, Publication<br />
Universitaires, 1960, p. 164<br />
9
guarnigione- servitori, operai, scolari. Tutti gli individui restanti erano collocati <strong>nel</strong>la categoria<br />
“altri" dove comparivano distribuiti per genere e per età , ovvero distinti in maggiori o minori di 18<br />
anni 12 .<br />
In base alle risultanze quantitative, si osserva una crescita costante della popolazione torinese<br />
<strong>nel</strong>l'arco del secolo al tasso medio annuo dello 0,75%. Poiché appare particolarmente elevato per<br />
attribuirlo al solo movimento naturale cittadino c’è da supporre che inglobi un consistente<br />
movimento migratorio (V. fig. 12).<br />
100000<br />
90000<br />
80000<br />
70000<br />
60000<br />
50000<br />
40000<br />
30000<br />
20000<br />
10000<br />
0<br />
Figura 12. Popolazione di <strong>Torino</strong> <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>*<br />
popolazione di <strong>Torino</strong> e cintura<br />
1715 1725 1735 1745 1755 1765 1775 1785 1798<br />
totale 55612 63551 59485 65869 72308 77159 81750 87017 90613<br />
maschi 24600 34320 30850 34030 38374 40689 42540 45090 45927<br />
femmine 21673 29224 28632 31834 33934 36470 39184 41921 44686<br />
totale maschi femmine<br />
(*)G. Prato,Censimenti e popolazione in Piemonte nei secoli XVI,XVII e XVIII, Roma, Tip. Editrice degli Olmi 1906, pp.<br />
52-53, rielaborazione.<br />
Ad un’analisi disaggregata dei dati per fasce sociali si rileva, in generale, un andamento quasi<br />
costante per le categorie individuate in modo specifico, mentre la categoria generica “altri” ricalca il<br />
trend più vivace della popolazione e rafforza l’ipotesi dell’esistenza di flussi immigratori( V. fig. 13)<br />
100.000<br />
90.000<br />
80.000<br />
70.000<br />
60.000<br />
50.000<br />
40.000<br />
30.000<br />
20.000<br />
10.000<br />
Figura 13. Popolazione di <strong>Torino</strong> per fasce sociali ( sec. XVIII) *<br />
-<br />
popolazione di <strong>Torino</strong><br />
1715 1725 1735 1745 1755 1765 1775 1785 1795 1798<br />
CLERO OPERAI SERVITORI MILITARI SCOLARI ALTRI Totale<br />
(*)G. Prato,Censimenti e popolazione in Piemonte nei secoli XVI,XVII e XVIII, Roma, Tip .Editrice degli Olmi 1906,<br />
pp. 52 -53, rielaborazione.<br />
Se si osservano più da vicino le fasce sociali censite, tuttavia, si nota, soprattutto a partire dal 1745,<br />
una dinamica sostenuta <strong>nel</strong>la presenza dei servitori,e ancor più in quella degli operai di entrambi i<br />
12 G. Prato,Censimenti e popolazione in Piemonte nei secoli XVI,XVII e XVIII, Roma, Tip. Editrice degli Olmi 1906, pp. 49 – 53 . Dal<br />
1792 i censimenti verranno effettuati con la cooperazione diretta dei cittadini che consegnavano i dati a scritturali incaricati dal<br />
municipio.<br />
10
generi, comprendente lavoranti e apprendisti, (V. fig. 14) che mostra una relativa concordanza con<br />
l’evoluzione della struttura produttiva serica cittadina, anche se alla fine degli anni ’40 le fonti<br />
segnalano il sopraggiungere di gravi difficoltà. <strong>Il</strong> dato finale relativo al 1798 appare decisamente in<br />
contrasto con le tendenze recessive emerse <strong>nel</strong> setificio urbano, è probabile, quindi, che l'anomalo<br />
rialzo di lavoranti e apprendisti presenti a <strong>Torino</strong> a fine secolo sconti gli effetti degli avvenimenti<br />
politici e del balzo verso l’alto subito dai prezzi del grano 13 .<br />
10.000<br />
8.000<br />
6.000<br />
4.000<br />
2.000<br />
-<br />
Figura 14. Fasce sociali in dettaglio*<br />
fasce sociali<br />
1715 1725 1735 1745 1755 1765 1775 1785 1795 1798<br />
CLERO 2.679 2.427 2.803 3.052 2.914 2.758 2.550 2.058<br />
OPERAI 2.260 2.907 1.795 2.143 4.304 3.306 2.880 3.978 8.286<br />
SERVITORI 4.510 5.998 5.200 6.457 7.244 7.534 7.537 8.468 8.819<br />
MILITARI 108 294 275 408 491 582 225 274<br />
SCOLARI 906 1.355 564 887 1.587 1.175 1.234 1.537<br />
(*) G. Prato,Censimenti e popolazione in Piemonte nei secoli XVI, XVII e XVIII, Roma, Tip. Editrice degli Olmi 1906,<br />
pp. 52-53<br />
2- Lo Stato e il mercato<br />
Sull'evoluzione degli aggregati macro economici del Piemonte <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong> influì pesantemente il<br />
ruolo dello stato e dell'assolutismo mercantilistico. L'azione dello stato è misurabile in primo luogo<br />
sul piano <strong>istituzionale</strong>. dove si assiste alla creazione di due fondamentali enti di natura giuridico-<br />
economica: la Magistratura del consolato di commercio di <strong>Torino</strong>, <strong>nel</strong> 1676 e il Consiglio di<br />
commercio in epoca successiva 14 . L'introduzione di una magistratura speciale pubblica fu<br />
fondamentale per ricondurre l'autonomia corporativa <strong>nel</strong>l’alveo di una legislazione unitaria. che<br />
esaltasse il potere normativo del sovrano .Sebbene non tutte le università di mestiere venissero a<br />
dipendere dal Consolato 15 , la gran parte di esse perse la figura del giudice conservatore scelto fino ad<br />
allora dal monarca in una terna proposta direttamente dall'arte interessata. Nella fase iniziale l'ente<br />
venne dominato dal ceto mercantile, ma ,a partire dal 1733, il Consolato fu composto da tre soggetti<br />
togati affiancati da due banchieri di prestigio individuati dal governo ai quali , tuttavia, veniva<br />
riconosciuto il solo voto consultivo 16 . L’importanza <strong>istituzionale</strong> della Magistratura settecentesca è<br />
13 G. Prato, L’evoluzione agricola <strong>nel</strong> sec. XVIII. Cause economiche dei moti del 1792-98 in Piemonte,in “ Memorie della Reale<br />
Accademia delle Scienze di <strong>Torino</strong>”, serie seconda,tomo LX, 1910, p. 56<br />
14 I due enti hanno prodotto un'ampia documentazione. In particolare presso la Sezione prima dell'Archivio di Stato di <strong>Torino</strong> è<br />
conservato il fondo Materie Economiche catalogato tra il materiale ministeriale dell' Interno. Racchiude ben 173 mazzi intitolati al<br />
Commercio che contengono documentazione di tipo sintetico ordinata in categorie per argomento: Magistrato del Consolato (cat. 1^),<br />
Consiglio di commercio (cat. 2^), Commercio in generale, tanto di terraferma che marittimo (cat.3^), Professioni arti e manifatture<br />
(cat. 4^), Privilegi e privative (cat.5^), Società commerciali e industriali. <strong>Il</strong> materiale analitico connesso all'attività del Consolato si<br />
trova invece presso le Sezioni riunite dell'archivio di Stato nei fondi Atti di società e Atti del Consolato di commercio.<br />
15 Facevano capo ai giudici ordinari i sarti e gli scarpi<strong>nel</strong>li , mentre i panatari e gli altri venditori di commestibili dipendevano dal<br />
Vicariato (Asto Corte, Materie Economiche, cat. 3, maz. 1 da ordinare).<br />
16 Alla costituzione era soprattutto un tribunale arbitrale composto di un giureconsulto, due banchieri, un mercante da panni, uno da<br />
seta, un droghiere aventi tutti rapporti commerciali con l'estero. La rifondazione del Consolato avvenuta <strong>nel</strong> 1687,tuttavia, ne limitò la<br />
giurisdizione alle cause riguardanti mercanti e negozianti escludendo le corporazione degli artigiani. Con i nuovi regolamenti del<br />
1723 vennero soppresse le magistrature particolari e sottoposte alla sua autorità gran parte delle università di mestiere . In questa fase<br />
tornarono al vertice banchieri, mercanti e negozianti finché <strong>nel</strong> 1733 rinunciarono ufficialmente alla direzione (S. Cerutti, Mestieri e<br />
privilegi. Nascita delle corporazioni a <strong>Torino</strong> secoli XVII – XVIII, <strong>Torino</strong>, Einaudi 1993 p. 206)<br />
11
sottolineata dal fatto che <strong>nel</strong>l'Ottocento verrà rimpiazzata dai moderni tribunali di commercio ,in età<br />
napoleonica, dapprima ,e cavourriana in seguito.<br />
Quanto al Consiglio di commercio ricalcava un’analoga istituzione francese creata all’inizio del<br />
secolo per soprintendere, sotto la presidenza del sovrano, alla navigazione e agli affari commerciali<br />
di terra e di mare. Sorse come organo autonomo <strong>nel</strong> 1729 stralciando le funzioni consultive e di<br />
controllo svolte fino ad allora dal Consolato che conservò, invece, mansioni di tribunale mercantile,<br />
ossia il “giuridico e il contenzioso”, oltre a mansioni operative di vario tipo .Nel 1783 anche queste<br />
ultime competenze, che rientravano <strong>nel</strong> “politico ed economico”, passarono al Consiglio di<br />
commercio, sebbene ormai da due anni fosse stato esautorato dei poteri di authority concessi,<br />
invece, alla nuova figura <strong>istituzionale</strong> del Procuratore generale di commercio 17 . All’ente di<br />
derivazione settecentesca, soppresso come inutile <strong>nel</strong> 1831,avrebbero fatto capo le prime Camere di<br />
agricoltura industria e commercio di <strong>Torino</strong> , Chambery e Nizza istituite <strong>nel</strong> 1825 18 .<br />
La documentazione prodotta dai due organi <strong>nel</strong> corso del <strong>Settecento</strong> fa emergere l’esistenza di un<br />
<strong>modello</strong> mentale condiviso di tipo istituzionalista che crede <strong>nel</strong>la possibilità dello sviluppo delle<br />
forze produttive del paese promosso e guidato da corpi intermedi, mentre reputa effimera o<br />
comunque instabile la crescita ottenibile seguendo vie alternative come quella dell’individualismo<br />
suggerita dalle dottrine economiche provenienti d’oltremanica . Così, <strong>nel</strong> corso del <strong>Settecento</strong><br />
l'inquadramento dell'economia di mercato, sotto il coordinamento del Consiglio di commercio,<br />
procedette lungo direttrici già tracciate in precedenza dai sovrani sabaudi, sebbene talvolta moderne<br />
idee liberiste affiorassero anche nei pareri espressi dall’ente o nei dibattiti condotti in seno allo<br />
stesso.<br />
Nella realizzazione dei programmi economici della monarchia le aggregazioni più o meno<br />
istituzionalizzate di quanti operavano <strong>nel</strong>la realtà quotidiana divennero interlocutrici necessarie dei<br />
due organismi ai fini di una concreta azione di governo . Le arti, in quanto corpi intermedi, furono<br />
chiamate, attraverso gli strumenti di regolazione propri del Consolato e del Consiglio, a sostenere<br />
una politica economica che, in contraddizione con le spinte autarchiche provenienti dalle esigenze di<br />
sicurezza dello Stato, tendesse a far uscire il paese dall'isolamento di stampo feudale in cui era<br />
ancora sostanzialmente confinato, agganciandone l'attività produttiva ai mercati internazionali. E’<br />
<strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong> che, con apparente anacronismo, si sviluppa anche in Piemonte un sistema<br />
<strong>corporativo</strong> senza che avesse alle spalle una forte tradizione associativa di tipo economico con<br />
carattere di spontaneità.<br />
Non che mancasse <strong>nel</strong>la realtà una pluralità di forme di aggregazione, ma dalle associazioni meno<br />
strutturate, come i corpi senza regole o i sindaci delegati da categorie produttive che non facevano<br />
corpo, a quelle di intonazione religiosa, come le confraternite e le compagnie d'altare, non emergeva<br />
la coesistenza di chiari o specifici intenti economici. Neppure vi era stata in Piemonte una tradizione<br />
di corporazione come <strong>modello</strong> di rappresentanza popolare <strong>nel</strong> governo della cosa pubblica.<br />
La sofisticata spiegazione in chiave sociologica 19 della improvvisa fioritura delle arti in Piemonte tra<br />
gli anni ‘20 e ‘40 del <strong>Settecento</strong> che la interpreta come una rivendicazione di status di fronte alle<br />
tendenze livellatrici manifestate da Vittorio Amedeo II con le Regie Costituzioni del 1723 e<br />
1729,non esaurisce la comprensione di una realtà che aveva a che vedere con il complesso problema<br />
della pianificazione dello sviluppo delle forze produttive del paese. Difatti, alle preoccupazioni di<br />
finanza pubblica che già avevano spinto i sovrani predecessori a imporre l'immatricolazione forzosa<br />
delle arti, sempre si erano affiancate ,non solo formalmente, preoccupazioni di ordine produttivistico<br />
che, anzi, erano divenute una costante delle politiche economiche dei governi sabaudi.<br />
Nel 1791 il presidente del Consolato di <strong>Torino</strong>, conte Valperga, ebbe a dire ,esplicitando l’esistenza<br />
effettiva di un progetto produttivistico a monte della fioritura corporativa:<br />
17 Asto Corte, Materie economiche, cat. 2^, maz. 2 da ordinare e cat. 3^ maz.1 da ordinare<br />
18 Asto Corte,Materie Economiche, cat. II, maz. II da ordinare<br />
19 Cfr., S. Cerutti, Mestieri e privilegi. Nascita delle corporazioni a <strong>Torino</strong>, secoli XVII-XVIII, <strong>Torino</strong> 1993<br />
12
«sembrò convenevole ridurre le arti in corporazione quando erano <strong>nel</strong>l’infanzia» 20<br />
La mobilitazione del lavoro ai fini dello sviluppo delle forze produttive del paese attuata dal<br />
Consiglio e dal Consolato di commercio con stimoli di ordine sociale ed economico dati ai corpi,<br />
come quelli di «decorarli con esenzioni e prerogative», mirava in primo luogo alla formazione di<br />
manodopera altamente qualificata, un capitale umano che , all’inizio del secolo, era<br />
drammaticamente carente negli stati del re di Sardegna . L’altra fondamentale aspettativa nutrita dal<br />
governo nei confronti delle corporazioni di mestiere riguardava la garanzia di un rigoroso controllo<br />
di qualità sul prodotto per tutelare il made in , «sostenere il credito presso gli stranieri»<br />
La pressione dall’alto per un rigido inquadramento della vita economica ,specie <strong>nel</strong>la capitale, ai fini<br />
del conseguimento degli obiettivi produttivistici della monarchia, trova evidenza documentaria in un<br />
quadro statistico dell’ inizio degli anni novanta presentato al Ministero dell’interno dal presidente<br />
Valperga , recante lo stato delle università che a quel tempo dipendevano direttamente dal<br />
Consolato 21 . La fonte attesta che ben quattro corpi sui 37 citati non si erano formati spontaneamente<br />
con la presentazione del memoriale a capi per l’approvazione, ma erano stati istituiti per legge, con<br />
editto regio. Si trattava dei mercanti drapieri e tovaglieri ,inquadrati con manifesto del<br />
Consolato,dei tintori da seta e dei filatori da seta 22 , un’ attività quest 'ultima che in seguito<br />
all'introduzione del filatoio meccanico <strong>nel</strong> processo produttivo sperimentava forme di<br />
organizzazione della produzione che anticipavano il factory system. Agli affaitori, che operavano in<br />
un settore strategico per le forniture militari come la concia delle pelli e non «facevano unione ne<br />
corporazione»,sempre il legislatore aveva prescritto quale dovesse essere “ il tempo della subalterna<br />
qualità e il capo d’opera” 23 .<br />
Vincoli tanto rigidi finivano con l’ingabbiare la vita economica spingendo il mercante imprenditore<br />
che coordinava la produzione su scala maggiore alla trasgressione delle regole per poter seguire le<br />
indicazioni del mercato . Difatti il consumo dei prodotti di moda, andava spesso in direzione opposta<br />
rispetto alle direttive provenienti dal potere centrale che intendevano favorire ad ogni costo la<br />
produzione nazionale fino a imporne l’assorbimento attraverso riparti forzosi quando, come accadde<br />
ripetutamente alla manifattura laniera, ma anche alla serica, le merci si accumulavano invendute nei<br />
magazzini .<br />
L’altra realtà produttiva,la manifattura privilegiata che <strong>nel</strong> corso del secolo crebbe numericamente<br />
così come d’altro canto fecero anche le corporazioni della capitale che giunsero a inquadrare fino a<br />
quindicimila persone , non era sostanzialmente alternativa al sistema delle arti, ma lo affiancava per<br />
favorire il raggiungimento delle finalità perseguite dal mercantilismo sabaudo 24 . Sebbene si<br />
collocasse al di fuori della regolamentazione corporativa, ne seguiva la logica basata sul<br />
conseguimento di privilegi economici come l’ esenzione fiscale, la privativa, la protezione per poter<br />
contare su vantaggi comparati <strong>nel</strong>l’ agganciare i mercati internazionali o per non generare situazioni<br />
asimmetriche nei ristretti mercati interni . <strong>Il</strong> monopolio legale sul quale ambedue le forme<br />
organizzative del lavoro e della produzione si reggevano non aveva, quindi, obbiettivi massimizzanti<br />
rispetto al profitto , sul cui livello, in ogni caso, vegliavano Consiglio e Consolato di commercio in<br />
funzione di authority . <strong>Il</strong> privilegio, concesso a titolo oneroso a vantaggio delle regie finanze ,<br />
serviva piuttosto a stabilizzare il mercato per garantire il livello occupazionale della forza lavoro<br />
qualificata. In un tale sistema non concorrenziale, ma regolato dalle associazioni corporative<br />
legittimate, l’ "ingordigia del guadagno" era guardata con profondo sospetto essendo ritenuta foriera<br />
20<br />
Asto Corte,Materie Economiche,cat. III, m. 1 da ordinare.<br />
21<br />
Ibidem<br />
22<br />
La Corporazione dei filatori da seta in Racconigi era stata “eretta in seguito a rescritto del Consolato delli 10 novembre 1687 in<br />
conformità del capo 16 dell’Ordine generale di S.A.R. delli 17 maggio istesso anno” ( Ibidem).<br />
23<br />
Ibidem<br />
24<br />
G. Caligaris, Trade Guilds, Manufacturing and Economic Privilege in the Kingdom of Sardinia during the Eighteenth Century, in<br />
A. Guenzi, P. Massa, F.Piola Caselli, Guilds, Markets and Work Regulations in Italy, 16^-19^ Centuries, Aldershot (G.B.), Ashgate<br />
1998, pp.56-81, passim<br />
13
di gravi alterazioni dell’equilibrio esistente e non già di armonie economiche, come veniva<br />
preconizzato dagli alfieri del liberismo.<br />
La documentazione prodotta dal Consiglio e dal Consolato di commercio, dunque, sembra indicare<br />
che durante il <strong>Settecento</strong> la pratica di negare ai produttori libertà di ingresso sul mercato rientrasse in<br />
un <strong>modello</strong> generalmente condiviso per approntare <strong>nel</strong> paese una struttura produttiva adeguata agli<br />
scambi internazionali. Affinché le attività produttive, specie quelle ritenute strategiche a tal fine ,<br />
potessero mettere solide radici <strong>nel</strong>lo stato e quindi la crescita divenire irreversibile bisognava<br />
introdurre incentivi per attirare capitale umano dall'estero, sviluppare all’interno le istituzioni che<br />
erano in grado di formarne di nuovo, ma soprattutto limitare i rischi connessi alla perdita del lavoro<br />
quando la domanda ristagnava. <strong>Il</strong> patto implicito che univa i produttori di una corporazione e<br />
riemergeva nei momenti di maggiore tensione era che le commesse dei mercanti dovessero<br />
distribuirsi equamente tra tutti i mastri operai .<br />
Anche la manifattura privilegiata , se intendeva conservare la privativa, doveva impegnarsi a<br />
mantenere in attività un certo numero di telai indipendentemente dalle condizioni del mercato ,<br />
quindi, pur di assicurare l’occupazione agli operai qualificati, l’impresa veniva forzata dal potere<br />
centrale a produrre per il magazzino. Quando, infine, la situazione si faceva insostenibile,<br />
intervenivano le autorità economiche che, violando ogni legge di mercato, imponevano ai mercanti<br />
importatori, anch’essi peraltro monopolisti di diritto se non di fatto, l’acquisto forzoso di una quota<br />
parte della produzione nazionale.<br />
Rientrava <strong>nel</strong> <strong>modello</strong> condiviso anche una viva ostilità verso i processi di concentrazione messi in<br />
atto dagli operatori più dinamici presenti soprattutto <strong>nel</strong> settore tessile. In generale, tali<br />
comportamenti venivano intesi <strong>nel</strong> senso di un’aspirazione al massimo profitto invece di leggerli<br />
come una ricerca di economie attraverso l’ampliamento della scala produttiva . La concentrazione ,<br />
infatti, era sospettata di essere causa prima non tanto di fenomeni di proletarizzazione, quanto di<br />
emigrazione dei lavoratori specializzati, mastri e lavoranti, con il temuto effetto di uno sradicamento<br />
di quelle attività industriali dipendenti dal capitale umano che erano state faticosamente introdotte<br />
<strong>nel</strong> paese. Lo sviluppo delle forze produttive guidato dalle istituzioni economiche che si facevano<br />
garanti dell’osservanza delle regole , quindi, sembrava assicurare maggiore stabilità e difesa contro i<br />
rischi che <strong>nel</strong> lungo andare potessero manifestarsi <strong>nel</strong>lo stato processi di deindustrializzazione.<br />
Sebbene, già dalla metà del secolo, le inefficienze del sistema <strong>corporativo</strong> in ordine alla<br />
realizzazione degli obbiettivi produttivistici fossero state all’origine delle prime incertezze sulla<br />
reale efficacia ed efficienza del <strong>modello</strong> che raccoglieva il maggior consenso <strong>nel</strong> paese, dubbi anche<br />
più consistenti sorgevano nei protagonisti della vita economica circa la capacità del <strong>modello</strong><br />
alternativo, concorrenziale e individualista, di conseguire uno sviluppo dell’offerta in spontaneo<br />
equilibrio con la domanda. L’eventualità più temuta era che in assenza di una adeguata regolazione<br />
da parte delle istituzioni economiche si verificassero crisi di saturazione del mercato che venivano<br />
considerate assai più dannose di quelle connesse alla sottoproduzione di materie prime perché le<br />
aspettative pessimistiche che avrebbero generato sarebbero state tali da mettere in fuga il bene più<br />
prezioso per la vita produttiva del piccolo regno, la manodopera specializzata, appunto. L’<br />
esperienza di economia di mercato che i manifattori subalpini e la classe dirigente in genere avevano<br />
maturato fino ad allora era limitata ad ambienti troppo ristretti perché la legge dei grandi numeri<br />
avesse potuto trovare applicazione. Quindi, risultava assai difficile per questi soggetti credere agli<br />
effetti rigeneranti in termini di efficienza che potevano venire dall'allontanamento dei produttori<br />
marginali per effetto della crisi e della successiva migliore allocazione delle risorse. Non solo ,ma<br />
l'esperienza fatta fino ad allora aveva mostrato l'imperfezione del mercato piuttosto che la sua<br />
teorica perfezione, per questa ragione buona parte dei memorialisti sabaudi ,interlocutori del<br />
Ministero dell’interno, riteneva che in un sistema economico guidato dalla smitthiana “mano<br />
invisibile”, anziché dall'istituzione , l'arbitrio sarebbe stato anche maggiore rispetto a quello che<br />
caratterizzava il sistema tradizionale basato sul privilegio <strong>corporativo</strong>. Difatti, così si argomentava,<br />
mentre il monopolio legale era comunque delimitato e controllabile da un'autorità, il sistema di<br />
concorrenza oltre a non offrire garanzie per il consumatore in merito alla tutela della qualità del<br />
14
prodotto scadeva inevitabilmente in monopoli di fatto che sfuggivano ad ogni controllo e<br />
delimitazione.<br />
La visione individualista ,quindi, non convinceva e non riusciva ad imporsi proprio a causa della<br />
centralità assunta dalla risorsa lavoro <strong>nel</strong>la produzione manifatturiera di alta qualità realizzata tanto<br />
su piccola quanto su grande scala, come dimostrava il successo internazionale raggiunto dal filato<br />
serico piemontese, solo in parte attribuibile alla precoce meccanizzazione della fase di lavorazione e<br />
dipendente ancora molto dall’abilità delle maestranze. Prevalse quindi la tendenza a conservare il<br />
sistema <strong>corporativo</strong> correggendo di volta in volta le più macroscopiche inefficienze di questa o quell<br />
’arte - come la selezione negativa della forza lavoro o la insufficiente formazione di operai<br />
qualificati- attraverso deroghe alle regole statutarie concesse ad personam direttamente dall’autorità<br />
sovrana. Sebbene sul finire del secolo gli interventi limitativi dell’autonomia corporativa divenissero<br />
sempre più frequenti , essi conservarono il carattere dell’ eccezionalità e quindi non furono tali da<br />
mettere in discussione il patto solidale che , secondo il <strong>modello</strong> condiviso, doveva dare stabilità allo<br />
“zoccolo duro” delle forze produttive. Difatti, si può ritenere che il sistema produttivo <strong>corporativo</strong><br />
fosse tarato,attraverso l’arma del controllo all’ingresso, su quel livello della domanda che<br />
l’esperienza indicava come il più stabile, mentre i picchi venivano soddisfatti ricorrendo all’ “<br />
abusivismo”, ossia al lavoro non inquadrato svolto dai cosiddetti “lavoranti in camera” ai quali le<br />
fonti fanno frequente riferimento.<br />
L’ istituzione d’altro canto non era priva di capacità adattative, come dimostra l'esito del conflitto tra<br />
mastri e lavoranti ingaggiato <strong>nel</strong> corso del secolo per la tutela dei salari che interessò le arti<br />
maggiori. 25 Anziché condurre alla disgregazione del sistema <strong>corporativo</strong> lo scontro venne riassorbito<br />
e tenuto sotto controllo attraverso la costituzione delle università dei lavoranti .A fine secolo ne<br />
esistevano sei autorizzate con R.B. e munite del permesso del Consolato di «collettazione per il<br />
soccorso dei lavoranti poveri e la solennizzazione del santo patrono». Esse riunivano i cappellai dal<br />
1736 e, negli anni seguenti, i calzettai, calzolai, vellutai, serraglieri e altri.<br />
La logica <strong>nel</strong>la quale mercanti e produttori torinesi e piemontesi raccolti in corporazione agivano<br />
non era quella dell'astratta armonia di un mondo bipolare costituito da anonimi produttori e<br />
consumatori , bensì di una realtà scossa da forti asimmetrie <strong>nel</strong>la quale gli stati nazionali in<br />
formazione, piccoli o grandi che fossero, perseguivano in misura più o meno palese ,anche<br />
attraverso l’arma del commercio estero, politiche di potenza dalle quali poteva dipendere la<br />
sopravvivenza stessa di una dinastia. La strategia seguita dal Regno di Sardegna, che peraltro,<br />
proprio <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>, si era dimostrata vincente <strong>nel</strong> caso dell’organzino, mirava a creare delle<br />
dipendenze economiche conquistando posizioni monopolistiche in qualche comparto produttivo in<br />
modo da influire a proprio vantaggio sulle ragioni di scambio internazionali, ossia sui prezzi relativi<br />
internazionali (una possibilità che la nascente scienza economica avrebbe negato) .In questo<br />
contesto la vita economica del paese doveva continuamente fare i conti con la politica rispetto alla<br />
quale manteneva una posizione di subalternità. Così, <strong>nel</strong> quadro delle direttive per lo sviluppo delle<br />
forze produttive elaborato in seno al Consiglio di commercio erano stati individuati settori guida, sia<br />
in una prospettiva autarchica, relativamente all’ industria della lana e delle pelli, per assicurare al<br />
regno essenziali forniture militari, sia per raggiungere l’attivo della bilancia dei pagamenti, <strong>nel</strong> caso<br />
del setificio nazionale, ma anche della trasformazione della canapa grezza 26 .<br />
Nel <strong>Settecento</strong>, a monte dello sviluppo del tessile–seta piemontese esisteva dunque una forte spinta<br />
politica per avviare <strong>nel</strong> paese il ciclo completo di lavorazione, dalla materia prima al prodotto finito.<br />
Pressioni altrettanto forti esistevano nei confronti della lavorazione della lana, della canapa, e del<br />
pellame .L'ingerenza dello stato <strong>nel</strong>la vita produttiva di ciascun settore forzava gli operatori a<br />
specializzarsi in una singola fase del processo come avveniva <strong>nel</strong>la produzione del filato di seta<br />
dove la rigida regolamentazione tecnica imposta dai decreti del Consolato di commercio assicurava<br />
25<br />
Cfr.,G. Caligaris, Processi di qualificazione e de-qualificazione del lavoro a <strong>Torino</strong>…cit.<br />
26<br />
Cfr., G. Caligaris, Lino e canapa:raw materials per lo sviluppo della manifattura in Piemonte ( secc. XVII- XVIII),in « Economia e<br />
Storia»,1980.<br />
15
sui mercati internazionali la competitività del prodotto grazie all’alta qualità e alla sua<br />
standardizzazione 27 .<br />
Anche <strong>nel</strong>la tessitura si avverte l'ingerenza del potere politico che va ad interporsi tra il mercante e il<br />
fabbricatore per fare valere le ragioni della produzione su quelle del commercio . I mercanti, infatti,<br />
in gran parte legati agli interessi lionesi preferivano esportare semilavorato e importare prodotto<br />
finito, quindi commercializzare prodotto straniero piuttosto di impegnarsi a fondo <strong>nel</strong>la tessitura<br />
nazionale.<br />
Così <strong>nel</strong> 1752 venne costituita direttamente dal sovrano e dall'alta aristocrazia, attraverso un ente<br />
assistenziale pubblico, la Fabbrica della Carità, una Compagnia reale del Piemonte per le opere e<br />
negozi in seta su <strong>modello</strong> delle compagnie nord-europee (olandesi in particolare) per la produzione e<br />
distribuzione sul mercato nazionale ed estero di tessuti ottenuti dalla trasformazione della seta<br />
indigena. Sorse <strong>nel</strong>la forma azionaria e venne aperta ai privati, nobili e corporazioni, sia pure con<br />
una limitazione alle quote individualmente sottoscritte, ma escludeva tassativamente da qualunque<br />
partecipazione i mercanti ossia coloro che «facessero fabbricare le stoffe in seta oppure avessero<br />
bottega aperta per la vendita delle medesime» 28 .<br />
Tale società operò per circa quarant 'anni, dapprima sotto il controllo dell'aristocrazia e poi dei<br />
banchieri finanziatori. Fu in grado di distribuire saltuariamente dividendi oscillanti tra il 4 e il 6%<br />
(livello medio dell'interesse pagato sui censi), costituire fondi di riserva, ma accumulò anche perdite<br />
consistenti che vennero ripianate con progressive riduzioni di capitale sociale.<br />
La Compagnia reale rientra <strong>nel</strong>la tipologia della compagnia commerciale più che in quella della<br />
manifattura privilegiata. Nata con lo scopo di «servire da stimolo agli altri [fabbricatori e mercanti<br />
riuniti in corporazione] per dilatare e assicurare questo genere di commercio ostacolato da gravezze<br />
di costo degli operai [per questo fece ampio ricorso al lavoro coatto della Fabbrica della carità] e<br />
ristrettezza del mercato interno» doveva stabilire una rete di corrispondenze sulle principali piazze<br />
europee, Lione, Amsterdam, Londra.<br />
L'ingerenza dello stato <strong>nel</strong>la vita economica,infatti, andava oltre il mondo della produzione per<br />
pianificare interventi mirati a una dilatazione del mercato che potesse giustificare una maggiore<br />
specializzazione produttiva <strong>nel</strong> paese. L’attenzione era rivolta ai mezzi più idonei per inserire il<br />
commercio del regno <strong>nel</strong>le grandi correnti del traffico internazionale: l’apertura di collegamenti<br />
essenziali e la stipulazione dei trattati . I trattati commerciali conclusi 29 o semplicemente progettati 30<br />
dai Savoia rispondevano innanzitutto a ragioni politiche e militari. La fragile strategia economica<br />
che caratterizzava i progetti formulati <strong>nel</strong> Sei - <strong>Settecento</strong> poggiava sul comune denominatore<br />
dell'ipotetico sviluppo del porto franco di Nizza e Villafranca e della marineria sabauda. La<br />
progettazione e le realizzazioni seicentesche si erano concentrate sul potenziamento, mediante<br />
investimenti pubblici, delle infrastrutture portuali e viarie e segnatamente sulla costruzione di<br />
moli,di magazzini di stoccaggio, del “lazzaretto” per le merci provenienti dal Levante, sulla<br />
realizzazione di strade carreggiabili, sul traforo del Colle di Tenda, sul naviglio da Cuneo a<br />
Moncalieri, presso la capitale 31 . Nel <strong>Settecento</strong> l’interesse si focalizzò prevalentemente sugli aspetti<br />
di relazione e istituzionali. Così, a nome della città di <strong>Torino</strong> fu tentato il riscatto dei pedaggi per<br />
introdurre la libera navigazione sul fiume Po fino a Venezia, la stipulazione di una tregua <strong>nel</strong><br />
Mediterraneo con i pirati barbareschi del Nord Africa, sorsero progetti e iniziative intesi alla<br />
27 Vale a tale proposito la testimonianza fornita dal Vaucanson che <strong>nel</strong> corso degli anni quaranta aveva studiato a fondo i sistemi di<br />
lavorazione piemontesi su incarico del Conseil du Commerce ( G. Chicco,La seta in Piemonte…, cit.,p. 253)<br />
28 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz . 9, nn. 16 e 18.La Compagnia verrà sciolta <strong>nel</strong> 1793 e sostituita dall’Associazione<br />
reale per la manifattura della seta ( G. Prato,La vita economica in Piemonte a mezzo il secolo XVIII, <strong>Torino</strong> 1908, p. 227)<br />
29 Con l'Inghilterra, firmato a Firenze <strong>nel</strong> 1669,( cfr. Contessa, Aspirazioni commerciali intrecciate ad alleanze politiche della casa di<br />
Savoia con l'Inghilterra nei secoli XVII e XVIII, in «Memorie della regia Accademia delle scienze di <strong>Torino</strong>»,serie II, vol. LXIV<br />
(1913), n. 3);con l'Ungheria <strong>nel</strong> 1743; con Modena <strong>nel</strong> 1752 ( F. Duboin , Raccolta per ordine di materia delle leggi, editti, manifesti<br />
ecc., <strong>Torino</strong>,1850, tomo XV, p. 1293 e sgg); con Basilea <strong>nel</strong> 1731, con il Levante e con Smirne <strong>nel</strong> 1749 e 1788, con la Danimarca <strong>nel</strong><br />
1786, con Malta <strong>nel</strong> 1797 (Asto Corte, Materie economiche,cat. II, maz. 2 da ordinare).<br />
30 Con il Portogallo 1678-1682, cfr , C. Contessa, Progetti economici della seconda Madama Reale di Savoia fondati sopra un<br />
contratto nuziale (1678-1682), <strong>Torino</strong> 1914; con la Russia <strong>nel</strong> 1770-'83, cfr., Asto,Corte,Materie economiche, cat. III, maz. II, n. 27 e<br />
maz. III. Ma<br />
31 Cfr. L. Bulferetti, Sogni e realtà <strong>nel</strong> mercantilismo di Carlo Emanuele II, in "Nuova rivista storica",XXXVII (1953)<br />
16
creazione delle necessarie strutture finanziarie, amministrative, giudiziarie come la costituzione di<br />
compagnie bancarie, assicurative, commerciali, di una Camera di Commercio, di piazze di cambio<br />
in <strong>Torino</strong>, della Magistratura speciale per la maggior speditezza delle cause commerciali. Rendere<br />
Nizza sufficientemente concorrenziale nei confronti di Genova, Marsiglia, Livorno era il target da<br />
raggiungere per trasformare la città in uno scalo internazionale sufficientemente appetibile per le<br />
merci provenienti da Ponente e dirette al Lombardo Veneto e alla Germania. Lo sviluppo di un<br />
entroterra adeguato con l’approntamento dei collegamenti e delle istituzioni necessari rendeva più<br />
complessa e articolata la forma di intervento dello stato rispetto alla semplice periodica riconferma<br />
del porto franco 32 . Difatti la franchigia concessa al porto di Nizza si integrava con tentativi di<br />
potenziamento della via fluviale padana dato che il Po era navigabile con le chiatte da Villafranca<br />
Piemonte a Venezia . Erano questi. i punti di forza di un più vasto progetto inteso a attirare <strong>nel</strong>lo<br />
stato il commercio di transito, ottenere « per la via del Po tutte le mercanzie provenienti dal Levante<br />
e per la strada di Nizza e Villafranca tutte quelle da Ponente» 33 per raggiungere, così, un sensibile<br />
risparmio sui costi di transazione legati alle provvigioni di intermediazione da corrispondere ai<br />
mercanti stranieri e rendere così più competitivi i prodotti delle manifatture piemontesi da esitare sui<br />
mercati esteri.<br />
<strong>Il</strong> tentativo di sfruttare sistematicamente la via fluviale trovava il più grave ostacolo <strong>nel</strong>la<br />
sopravvivenza dei pedaggi feudali o statali imposti lungo il percorso. I più onerosi erano quelli di<br />
Cremona, Borgoforte , Ferrara; da Casale sino a Venezia se ne contavano all’incirca 22.<br />
Ci furono progetti di riscattarli tutti con una previsione di spesa per oltre cento scudi. Per «evitare gli<br />
scogli del puntiglio <strong>nel</strong> contrattare», il riscatto venne proposto a nome della città di <strong>Torino</strong>. <strong>Il</strong><br />
collegamento fu effettivamente stabilito tanto è vero che <strong>nel</strong> 1777 i servizi di trasporto sul Po da<br />
<strong>Torino</strong> a Venezia erano assicurati da due barche che circa due volte l'anno facevano il viaggio di<br />
andata e ritorno sotto il vessillo sabaudo. Appartenevano alle ditte Truchi ed Albera e Gianolio e<br />
Ossola. Ogni barca era in grado di trasportare dai 5 ai 6 mila rubbi di mercanzie, un quantitativo<br />
corrispondente all’incirca a 47-56 ton<strong>nel</strong>late. I due vettori operavano in condizioni concorrenziali<br />
con effetti molto positivi sull'abbattimento dei costi di trasporto. Difatti, a causa della concorrenza il<br />
nolo fra il 1751 e il 1777 era andato continuamente ribassando da lire di Piemonte 3 il rubbo<br />
(equivalente a kg. 9,22) a soldi 30 , un importo, quest ' ultimo, ritenuto ormai insufficiente a coprire<br />
i costi di trasporto. Infatti <strong>nel</strong> nolo erano compresi tutti i dazi- evidentemente non riscattati- che il<br />
vettore avrebbe dovuto pagare lungo il percorso. Per coprire le perdite, le due ditte avevano<br />
sviluppato un commercio in proprio di manganese, guado, riso durante il viaggio di andata, di<br />
anguille vive e sotto sale in quello di ritorno. Verso la fine degli anni ‘70 , in seguito alle<br />
agevolazioni fiscali concesse per favorire il transito delle merci dal porto di Nizza, il traffico si era<br />
molto ridotto perché i prodotti coloniali che in precedenza si importavano per la via fluviale<br />
provenivano ormai in prevalenza da tale scalo. In una memoria del 1781 il presidente del Consiglio<br />
di commercio, Petitti, sosteneva che il regime tariffario particolarmente favorevole aveva centrato<br />
l’obbiettivo di partenza poiché «la maggior parte delle droghe dirette alla Lombardia e Svizzera<br />
costa[va] meno per la scala di Nizza che per quella di Genova, onde approda[va] adesso a Nizza» 34<br />
Così gli organzini piemontesi esportati in Inghilterra che trenta o quarant ’ anni prima gli inglesi<br />
acquistavano a Genova, venivano ora direttamente imbarcati su navi in partenza da Nizza «onde non<br />
passa più una balla da Genova»e le sete della Lombardia e di Bergamo, in precedenza inviate ai<br />
porti di Genova e Livorno, passavano ormai per Nizza.<br />
Di fatto, la politica economica attuata dalla monarchia negli anni ottanta fece ampio ricorso alla leva<br />
doganale e al potenziamento della rete viaria per rilanciare il progetto di inserimento dello stato <strong>nel</strong><br />
commercio a lunga distanza. Con R. B. 20 aprile 1784 35 venne introdotta una tariffa daziaria portante<br />
drastiche riduzioni sulle merci in transito per gli scali piemontesi. Le riduzioni sulle sete che<br />
32 La franchigia dei porti di Nizza e Villafranca era stata introdotta con editto 22 gennaio 1612 e periodicamente riconfermata durante<br />
il secolo e in seguito fino a metà Ottocento, cfr.,E. Beri , Le port franc a Nice (1612-1854).Causerie faite à l’Academie Nissarda<br />
33 Asto Corte, Materie economiche, cat. III, maz. 1, n. 45<br />
34 Asto Corte,Materie economiche,cat III, maz. 3, « Commercio di Nizza»<br />
35 Asto Corte,Materie economiche, cat. III, maz. 2, n. 29<br />
17
transitavano per quello di Nizza raggiunsero il 70-80%. Secondo le stime dell’epoca,inoltre, i lavori<br />
che si stavano ultimando in quegli anni per rendere carreggiabile il percorso Nizza - <strong>Torino</strong><br />
avrebbero ridotto del 45% il costo di trasporto delle merci portandolo da soldi 18- 19 per rubbo a<br />
soldi 10-11. In effetti seguendo la destinazione geografica del filato piemontese esportato <strong>nel</strong> corso<br />
del secolo, risalta la maggiore importanza assunta dallo scalo nizzardo negli anni ottanta (V. fig. 9).<br />
I Savoia, in realtà, non avevano mai del tutto rinunciato ai progetti per un inserimento più o meno<br />
diretto del Regno di Sardegna <strong>nel</strong> grande commercio transoceanico .<strong>Il</strong> più noto di essi che risaliva al<br />
periodo1678-1682 intendeva stringere un patto commerciale con il Portogallo da suggellare con le<br />
nozze tra Vittorio Amedeo II e l'infante Isabella di Braganza, nipote della seconda Madama Reale. 36<br />
I progetti economici di Giovanna Battista di Savoia Nemours strettamente intrecciati a quelli politici<br />
e alle strategie matrimoniali prevedevano l'invio di due navi piemontesi ogni anno, l'una diretta al<br />
Brasile e l'altra alle Indie orientali cariche di quelle mercanzie piemontesi di cui verso gli anni<br />
ottanta "se ne faceva un continuo commercio nei paesi esteri" 37 . Tra i prodotti elencati <strong>nel</strong>la<br />
relazione di viaggio dell’ambasciatore Carello, inviato a Lisbona dalla reggente per stringere i<br />
necessari accordi, figuravano al primo posto gli organzini, ma venivano citati anche i nastri di seta e<br />
mista seta lisci e broccati con oro e argento, di velluto; i galloni ; le stoffe di seta lisce e a fiori, “<br />
taffettà , moele, satini, damaschi da abito e da mobile, droghetti, velluti, brocati in oro e argento”; le<br />
stoffe di seta mista a filo, “satinate, broccatelli, dobletti, filoselle, fioretti filati di moresche”; le calze<br />
di seta, di fioretto da un uomo ,donna e bambino. Con il carico di ritorno, costituito dai prodotti<br />
coloniali che i mercanti sabaudi erano costretti ad acquistare a caro prezzo dai genovesi, si sarebbe<br />
potuto rifornire il paese e farne un commercio concorrenziale in Italia. Com'è noto il trattato con il<br />
Portogallo non venne concluso, ma <strong>nel</strong> corso del <strong>Settecento</strong> vari progetti vennero discussi in seno al<br />
Consolato di commercio per valutare la possibilità di intraprendere uno scambio diretto con i paesi<br />
del nuovo mondo. Gran parte dei progetti presi in esame si riferivano alla possibilità di stabilire un<br />
commercio diretto con i produttori dei generi coloniali, tuttavia diversi altri proponevano la<br />
costituzione di compagnie commerciali per accedere ai prodotti elencati non già direttamente, ma<br />
attraverso il mercato di Cadice divenuto ormai "il magazzino dei mari del Sud". Si sarebbe aperto, in<br />
tal modo, un mercato di sbocco di inconsuete dimensioni per le merci prodotte in Piemonte ,<br />
seguendo così l'esempio francese, inglese, olandese e soprattutto dei vicini genovesi . Su quel<br />
mercato venivano particolarmente richieste le stoffe di seta nera lionesi, i "gros de Tours, taffetas ,<br />
satins ", le calze di seta, i nastri e il filo di seta per cucire, questi ultimi fabbricati a Napoli e a<br />
Genova. Erano prodotti spesso realizzati con la seta piemontese o con sete di qualità inferiore che<br />
l'industria tessile torinese era in grado di imitare sotto lo stimolo degli alti profitti conseguiti su quel<br />
mercato dai produttori esteri, valutati <strong>nel</strong>l'ordine del 25-30% 38 .<br />
Nuove opportunità di sbocco per i prodotti piemontesi verso oriente si aprirono con l'adesione<br />
sabauda avvenuta <strong>nel</strong> 1783 all'accordo anglo russo che era stato stilato il 20 giugno 1766 per<br />
stabilire la libertà di navigazione e di commercio sul mare in odio al monopolio che olandesi, danesi,<br />
svedesi, prussiani esercitavano sulla via del Baltico, e a quello che i turchi detenevano sulla via dei<br />
Darda<strong>nel</strong>li 39 . Fu questa una soluzione di ripiego perché il progetto originale era assai più ambizioso.<br />
Intendeva, infatti, stabilire una corrispondenza diretta tra il Piemonte e la Russia attraverso la<br />
stipulazione di un trattato di commercio ,la costituzione in <strong>Torino</strong> di una compagnia commerciale<br />
russo- piemontese alla quale avrebbero potuto aderire in seguito gli altri mercanti italiani, il<br />
potenziamento del porto di Nizza Villafranca . Ancora una volta si cercava di conseguire risparmi<br />
sui costi di transazione eliminando le onerose commissioni da corrispondere agli intermediari del<br />
Nord nonché i gravosi interessi per regolare i pagamenti su quei lontani mercati. Anche in questo<br />
caso <strong>nel</strong>l'elenco delle merci piemontesi adatte ad essere esportate in Russia oltre all'organzino<br />
venivano citate stoffe e calze di seta .<br />
36<br />
Cfr., C. Contessa, Progetti economici della seconda Madama Reale di Savoia fondati sopra un contratto nuziale(1678-<br />
1682),<strong>Torino</strong> 1914<br />
37<br />
Asto Corte,Materie economiche, cat. III, maz.1 n. 13<br />
38<br />
Asto Corte,Materie economiche, cat.III, maz.3 n.6, maz.2 n.19<br />
39<br />
Asto Corte,Materie economiche,cat. III, maz.3<br />
18
L'ampliamento della dimensione del mercato che l’inserimento del piccolo regno <strong>nel</strong> commercio a<br />
lunga distanza implicava, giustificava la specializzazione industriale torinese <strong>nel</strong> tessile seta. Questa<br />
venne avviata quasi per decreto con il già citato trasferimento deciso <strong>nel</strong> 1732 dei lanifici torinesi<br />
che furono spinti a localizzarsi in maniera decentrata sul territorio, "verso rimote province fra le<br />
quali le più alpestri e meno feconde, ma ricche di popolazione” 40 , in quanto la loro permanenza <strong>nel</strong>la<br />
capitale li avrebbe messi in concorrenza con il setificio <strong>nel</strong>l'acquisizione dei fattori di produzione.<br />
La divisione territoriale del lavoro forzosamente introdotta assegnò al capoluogo il ruolo di distretto<br />
serico accanto a quello di centro finanziario già collegato al commercio del semilavorato in sede<br />
internazionale 41 . L'intero processo di trasformazione , dal prodotto grezzo a quello finito, insediatosi<br />
<strong>nel</strong>la città e nei suoi dintorni era organizzato <strong>nel</strong>la forma corporativa che si estendeva anche alle<br />
attività di filiera. L’inquadramento non escludeva nemmeno l'attività di filatura e torcitura, sebbene<br />
essa fosse prevalentemente localizzata in centri periferici e organizzata su basi produttive del tutto<br />
innovative in macrostrutture verticalmente integrate. Nello stato esistevano infatti due università dei<br />
filatori, quella di Racconigi, con i primi statuti approvati dal Consolato <strong>nel</strong> 1687poi riconfermati <strong>nel</strong><br />
1724, e quella di <strong>Torino</strong> istituita anch’ essa in tale ultimo anno. L'azione pubblicistica svolta dalle<br />
corporazioni subalpine, tuttavia, era ricondotta <strong>nel</strong> quadro normativo dello stato moderno ed<br />
assoluto, così l'università diveniva responsabile di fronte al sovrano del rispetto dei precetti che<br />
regolavano l'attività della categoria ed erano il frutto dell'attività di regolamentazione propria, ma<br />
anche, in misura sempre più vincolante, del potere centrale. Diverso fu l'atteggiamento del governo<br />
locale che continuò a difendere il lavoro libero.<br />
Durante la fioritura corporativa che si ebbe a <strong>Torino</strong> nei primi decenni del <strong>Settecento</strong> emersero<br />
nuovi rapporti gerarchici <strong>nel</strong>le attività produttive contrassegnati da una relativa perdita di posizione<br />
del ceto mercantile. Con le R. Costituzioni del 1723 cessò, infatti, l'antica Università dei banchieri,<br />
mercanti e negozianti che <strong>nel</strong> secolo precedente era stata dominata dagli operatori in grado di<br />
controllare i flussi commerciali con l'estero 42 . Nel Seicento tale associazione sembrava ancora vitale<br />
poiché riuniva al suo interno i mercanti con i fabbricatori dei comparti tessile e affini, questi ultimi<br />
in posizione subordinata , e aveva dato vita al Consolato di commercio, la magistratura speciale che<br />
<strong>nel</strong> secolo successivo venne estendendo il suo controllo sui settori più dinamici delle arti. Con il<br />
<strong>Settecento</strong>, all’ eclissi dell'Università 43 e alla perdita dapprima temporanea poi definitiva della<br />
direzione del Consolato da parte dell'élite mercantile 44 , corrispose, invece, un processo di<br />
frantumazione in corpi distinti che segnò la netta separazione tra produttori e mercanti e il<br />
progressivo distacco, specie <strong>nel</strong>le arti maggiori, dei lavoranti dai mastri i quali avrebbero dato vita<br />
ben presto a propri raggruppamenti istituzionalizzati finalizzati al mutuo soccorso.<br />
40 Asto Corte,Materie economiche,cat. IV, maz.9. L’industria della lana tornerà in città <strong>nel</strong>l’ultimo quarto del secolo con<br />
l’insediamento di una manifattura e relativo spaccio <strong>nel</strong> recinto dell’Ospedale Maggiore di S. Giovanni Battista per utilizzare il lavoro<br />
coatto dei poveri che vi erano stati forzosamente ricoverati.<br />
41 G. Chicco, La seta in Piemonte…,cit., p. 235 e segg<br />
42 L'università risaliva al 1589 e riuniva i mercanti all'ingrosso che praticavano l'import- export dei tessuti di lana e della seta, i<br />
banchieri -cambiavalute e i negozianti ossia fondichieri, tessitori, calzettai,tintori, filatori, sensali (cfr., I. M. Sacco ,Professioni,arti e<br />
mestieri in <strong>Torino</strong> dal sec. .XIV al sec. .XIX, <strong>Torino</strong>, Editrice Libraria Italiana 1940)<br />
43 Rimase in vita l'associazione devozionale collegata sotto la forma di Congregazione dei banchieri, mercanti e negozianti.<br />
44 Simona Cerutti spiega il progressivo isolamento del ceto mercantile con riferimento al processo di riorganizzazione delle gerarchie<br />
sociali avviato dall'assolutismo. La deprivazione degli spazi di rappresentanza <strong>nel</strong> Consiglio comunale e <strong>nel</strong> Consolato di commercio,<br />
nonostante il crescente peso economico assunto dalla categoria con il commercio della seta, ne avrebbe ridimensionato la tendenza a<br />
dominare l'economia nazionale (S . Cerutti, Mestieri e privilegi… cit., <strong>Torino</strong>, Einaudi,1993, capitoli III e IV )<br />
19
3- <strong>Il</strong> prodotto di alta qualità,in piccola serie o esclusivo.<br />
La strategia di mercato adottata nei primi decenni del <strong>Settecento</strong> dai mercanti fabbricatori di stoffe<br />
in seta 45 riuniti in corporazione era in linea con le direttive di politica industriale che provenivano dal<br />
centro . Sembrava più vantaggioso realizzare prodotti di qualità superiore, esclusivi per design o<br />
colore o tipo di tessuto che potessero indurre bisogni nei consumatori e quindi costituissero un<br />
grimaldello non solo per vincere la concorrenza, ma per forzare comunque i mercati internazionali,<br />
anche quando si chiudevano per ragioni, come le guerre o il proibizionismo , che esulavano dal<br />
riequilibrio spontaneo tra la domanda e l’offerta. I produttori di stoffe in seta come le autorità di<br />
governo giocavano sull'immagine della “piazza” (made in) ,che, se spinta ai livelli più alti, poteva<br />
liberare quanti operavano <strong>nel</strong> settore del lusso dai vincoli cui deve soggiacere il comune fabbricante<br />
quando cerca di ottimizzare il rapporto tra la qualità del prodotto e il suo prezzo. Una strategia di<br />
immagine che andava <strong>nel</strong>la direzione opposta rispetto a quella che sarebbe prevalsa <strong>nel</strong> più lungo<br />
periodo, quando, dopo la crisi di fine <strong>Settecento</strong> , anche tra i setaioli si sarebbe affermata la tendenza<br />
ad abbassare il prezzo di vendita delle stoffe per allargare il mercato e compensare con la maggiore<br />
quantità venduta la caduta dei ricavi unitari 46 .<br />
La produzione di tessuti di lusso per il magazzino, realizzata presso le botteghe artigiane della città<br />
in piccole serie o in esclusiva, tuttavia, comportava l'assunzione di forti rischi , ma questi, in virtù di<br />
rapporti consuetudinari, venivano ripartiti tra i partecipanti al processo produttivo : i mercanti-<br />
tessitori , proprietari dei telai sui quali si formavano le stoffe, i tintori , in quanto "produttori di fase"<br />
e i droghieri, in quanto fornitori di materie prime essenziali. Secondo i mercanti, il sistema in uso<br />
non solo sulla piazza torinese , ma anche su quelle più rinomate internazionalmente come le città di<br />
Firenze e Lione che veniva adottato generalmente “con il consenso e la reciproca soddisfatione”<br />
delle parti, si basava sullo scambio non monetario. Difatti le fatture presentate dai tintori venivano<br />
compensate con droghe per tintura , stoffe o altre mercanzie che giacevano invendute nei magazzini<br />
dei fabbricanti.<br />
In questo modo veniva superato il problema della gestione degli scarti particolarmente rilevanti <strong>nel</strong>la<br />
vendita al minuto poiché le botteghe che operavano <strong>nel</strong> made in dovevano mantenere ai massimi<br />
livelli gli standard qualitativi.<br />
Gli scarti erano riconducibili sostanzialmente a tre tipologie.<br />
In primo luogo vi erano gli scampoli detti “scapparoni, [ovvero] tutti quei pezzi di stoffa ove non vi<br />
è l'intiero per fare qualche sorta d'abito”.<br />
Seguivano le giacenze di magazzino, merci che con l'andar del tempo tendevano a deteriorarsi a<br />
causa della cattiva conservazione,-quelle che “per ragione del longo fermarsi invendute <strong>nel</strong>le<br />
botteghe e magazeni per lo più umidi per trovarsi al piano di terra in cortile d'aria grossa (...) si<br />
machian tutte”- o perché i colori tendevano a stingere se non si stava “ben attenti al farli prender<br />
l'aria secca di tempo in tempo”; merci che non avevano incontrato il gusto del pubblico o altre “di<br />
moda trascorsa e che poi vengono fatte adietro da una più nuova sovraveniente e di miglior gusto”.<br />
Una terza tipologia comprendeva gli scarti di lavorazione veri e propri, stoffe mal lavorate che<br />
rimanevano a carico del mercante. Questi ultimi risultavano particolarmente onerosi <strong>nel</strong> sistema di<br />
organizzazione decentrata del lavoro per la scarsa efficacia della funzione di controllo esercitabile<br />
sul processo produttivo:<br />
45 Gli orientamenti strategici e le pratiche di mercato adottate dagli operatori del tessile- seta emergono da un documento presentato al<br />
sovrano dalla corporazione dei Mercanti -fabbricatori di stoffe in seta per richiedere un emendamento al Manifesto del Consolato di<br />
Commercio dell’ 8 aprile 1724 relativamente all'articolo 1 che prevedeva l'introduzione della "tassa" delle tinture . Difatti in questo<br />
modo il Consolato con il concorso delle parti interessate,i mercanti e i tintori, veniva a fissare per le operazioni di tintura un prezzo<br />
massimo , indicizzato all'andamento del prezzo delle " droghe", sul quale basare le future transazioni in denaro , poiché quelle in<br />
natura venivano proibite <strong>nel</strong>lo stesso Manifesto sotto la penale del quadruplo del valore per i trasgressori. (Asto,Corte, Materie<br />
economiche, cat .IV, m. 7)<br />
46 G. Federico, <strong>Il</strong> filo d’oro. L’industria mondiale della seta dalla restaurazione alla grande crisi, Venezia, Marsilio 1994, p.85<br />
20
«[gli operai] quai anche che siino visitati soventi da mercanti proprietari per esigere il buon lavoro, purtroppo<br />
una gran parte di essi, incostanti che sono <strong>nel</strong> ben fare et anche mal esperti, oggi lavorano bene e domani<br />
strappassan il lavoro». 47<br />
<strong>Il</strong> mercante, sulla base di un calcolo costi / benefici , riteneva più conveniente prenderli a suo carico,<br />
sia per l'elevatezza dei costi di transazione che in caso contrario avrebbe dovuto sopportare, sia<br />
perché la gran parte degli operai era nullatenente :<br />
«[il lavoro] qualunque egli sii, buono o cattivo, convien rettirarlo non valendo la ragione che resta di farglielo<br />
pagare per le vie di giustizia perché sono [ gli operai] per lo più miserabili e non aventi con che puoter rifare<br />
il mercante a cui tale stoffa spetta» 48<br />
<strong>Il</strong> meccanismo delle compensazioni in natura dei rapporti di debito e credito legati<br />
all'organizzazione decentrata del ciclo produttivo ,ossia alla sistemazione non monetaria dei<br />
“rapporti di fase” tra tessitori e tintori , di fatto, serviva a salvaguardare i profitti dei mercantifabbricatori<br />
consentendo loro di condurre un business sufficientemente remunerativo.<br />
Difatti potevano ridurre il capitale circolante immobilizzato negli scarti di magazzino, annualmente<br />
assai rilevanti, barattandoli contro “droghe” e tinture fornite dai negozianti genovesi che a loro volta<br />
li esitavano a proprio nome sui lontani mercati e <strong>nel</strong>le città di mare . In questo modo l'immagine del<br />
made in torinese non veniva compromessa in alcun modo. Le materie coloranti che i mercanti<br />
imprenditori avevano scambiato con i negozianti genovesi venivano poi cedute ai tintori della città a<br />
compenso delle loro fatture con reciproca soddisfazione dei contraenti. In questo modo <strong>Torino</strong><br />
poteva caratterizzarsi come un centro di contrattazione delle stoffe migliori e più alla moda. La<br />
strategia era stata dettata dalla conoscenza del mercato che i produttori torinesi avevano maturato:<br />
« l'esperienza ci insegna non doverne né poterne sperar verun esito[degli scarti di magazzino] da soliti<br />
avventori, quali al primo vederli ce li schifano, e ciò per la gran ragione che la stoffa di seta si usa unicamente<br />
per la proprietà e politessa del vestire e non per la necessità, dal che ne sorte che se in essa manca la moda e<br />
la vaghezza, vi sii la macchia o non vi sia tutta la quantità necessaria ella è sempre rifiutata e ci resta<br />
purtroppo sui bracci per Dio sa quanto invenduta» 49<br />
Essi imitavano anche comportamenti analoghi tenuti dai produttori fiorentini e soprattutto lionesi<br />
che spedivano gli scarti a Marsiglia barattandoli con prodotti coloniali per la tintura con il notevole<br />
vantaggio di non creare squilibri <strong>nel</strong>la bilancia commerciale a seguito delle importazioni di materie<br />
prime essenziali alla creazione di valore aggiunto.<br />
Dalla documentazione archivistica consultata emerge che tra il 1709 e il 1724 le stoffe torinesi<br />
conseguirono effettivamente un buon successo di mercato anche sul piano internazionale:<br />
« [l’arte di fabbricare stoffe in seta] che alli otto incirca milla persone della città sostiene (…) delle più belle<br />
et ingegnose che in questi stati si pratichi, è inferiore in niente al far di Lione e di tanto lustro e gloria che già<br />
si è acquistato e ogni via più si va acquistando per l'Italia, Germania, Svizzera e paesi del Nord et in Parigi<br />
medesimo ove et in ciascuna di loro città continuamente si inviano casse di stoffe (...) che da 15 e più anni in<br />
qua si è notabilmente dilatata in tutte le principali città degli sovra nominati regni la nomina delle nostre<br />
stoffe e sono altrettanti anni che i due terzi dei tellari travagliano tutti per committioni che ci vengono da<br />
mercanti di dette città quali dal ponto che han cominciato sino al presente non han più, grazie a Dio,<br />
discontinuato» 50<br />
Anche i dati quantitativi relativi alle esportazioni , sebbene frammentari e disomogenei, sembrano<br />
confermare un promettente debutto dell’attività produttiva <strong>nel</strong> distretto industriale torinese ( V.<br />
sopra fig. 11) .<br />
47 Asto Corte, Materie economiche,cat. IV, m. 7.<br />
48 Ibidem<br />
49 Ibidem<br />
50 Ibidem<br />
21
In effetti, anteriormente al 1750 i mercanti e fabbricatori torinesi avevano effettuato “grandiose “<br />
spedizioni di moelle, taffettà, damaschi e altre “stoffe di gusto” oltre a calze di seta in Germania e<br />
soprattutto a Vienna. La successiva chiusura del mercato austriaco, in connessione agli eventi<br />
bellici,mise però in difficoltà il settore e la nascita della Compagnia reale e della Fabbrica reale della<br />
Venaria servirono a rilanciarlo. La ricerca e l’apertura dei nuovi mercati Nord -orientali fino a quello<br />
russo, raggiunto per gli scali di Milano, Como, Coiro, Lindò, Norimberga o Francoforte avrebbe<br />
portato i telai battenti <strong>nel</strong>la capitale a 1300 .All’inizio degli anni ottanta dal 45 al 48% delle stoffe<br />
prodotte a <strong>Torino</strong> erano spedite all’estero; buona parte prendeva la via di Milano e di Ginevra. A<br />
quel tempo , tuttavia, come si è già avuto occasione di osservare, il 62- 63% dei tessuti serici<br />
esportati dal Regno di Sardegna, proveniva dalla città di Vigevano 51 . Dopo il 1798 si ebbe una<br />
nuova battuta d’arresto con la proibizione introdotta dal re di Prussia di importare stoffe in seta nei<br />
propri stati 52<br />
Come si è visto, il commercio delle stoffe che si affermò nei primi decenni del secolo lasciava<br />
ampio spazio alle forme di scambio non monetario attraverso le quali i produttori riuscivano ad<br />
affrontare i problemi connessi a scarsa liquidità.<br />
Proprio in ordine a tali modalità di pagamento, tuttavia, sorse un conflitto di interesse tra la<br />
corporazione dei droghisti e fondichieri 53 che dal 1734 riuniva i commercianti all’ingrosso e al<br />
minuto di prodotti coloniali , le cosiddette “robe vive”, come il pepe, lo zucchero, la can<strong>nel</strong>la, e<br />
l'Università dei mercanti fabbricatori di stoffe in seta. I primi ,in quanto acquirenti delle piazze con<br />
le quali ottenevano dall'autorità sovrana la privativa di vendita tanto all'ingrosso che al minuto di tali<br />
generi , ricorsero al Consolato contro la pratica invalsa di barattare le merci che li escludeva dal<br />
commercio delle materie coloranti.<br />
L'ente pubblico ,per onorare gli obblighi contrattuali assunti all’atto della vendita della privativa ai<br />
droghieri, procedette, secondo l'uso, alla “tassa delle tinture” ovvero alla fissazione ,in<br />
contraddittorio delle parti interessate, del prezzo massimo delle fatture indicizzato alla variazione<br />
del prezzo delle materie coloranti, “alla prorata del valore delle droghe”. I conti tra i mercanti<br />
fabbricatori e i tintori andavano quindi regolati non già con il baratto , ma a denari sulla base della<br />
tariffa fissata e ogni quattro mesi.<br />
Per i trasgressori erano previste penalità severissime che la maggior parte dei contraenti non aveva i<br />
mezzi di affrontare trattandosi di multe pari al quadruplo del valore delle fatture . Ciò che<br />
preoccupava maggiormente i produttori, tuttavia, era il dover abbandonare le compensazioni in<br />
natura poiché il sistema di commercio ancora in uso sul mercato torinese non garantiva loro<br />
sufficienti flussi di cassa:<br />
«per dare le facilità necessarie et opportune quante volte ci accontentiamo, e anche con gusto grande, di<br />
prendere da cavalieri, massime in pagamento, grano, vino e legna in forti quantità a quali effetti noi ,con le<br />
nostre semplici famiglie, non possiamo dar spaccio e per forza conviene scaricarsene coi nostri creditori e<br />
usar con essi ciò che si usa con noi» 54 .<br />
<strong>Il</strong> timore nutrito dall'Università, che fece ricorso al sovrano per opporsi alle disposizioni del<br />
Consolato, era che le aziende artigiane potessero cadere <strong>nel</strong>l'insolvenza fino a giungere alla<br />
liquidazione, di fronte alla perentoria fissazione dei quattro mesi come termine ultimo di dilazione<br />
<strong>nel</strong> pagamento delle fatture ai tintori,poiché i due terzi dei fabbricatori erano "deboli, con poco<br />
capitale, vend[evano] poco e esig[evano] stentatamente”.<br />
La fragilità della struttura produttiva <strong>nel</strong> primo quarto del <strong>Settecento</strong> dipendeva in buona misura dal<br />
fatto che , all’interno come all’estero, l'economia di scambio in cui i mercanti fabbricatori torinesi si<br />
trovavano ad operare era ancora insufficientemente sviluppata :<br />
51 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 10<br />
52 Asto Corte, Materie economiche, cat. 3, maz. 1 da ordinare, n. 2<br />
53 F.A. Duboin, Raccolta delle leggi, editti, manifesti ecc., <strong>Torino</strong> 1849, tomo X,p.153<br />
54 Asto,Corte, Materie economiche,cat.IV, m. 7<br />
22
«tutti i nostri debitori non ci pagano già dentro si corto termine, i cavalieri a cui si fanno le più forti vendite<br />
per quel che riguarda il dettaglio, conviene ben aspettarli alcuni allo scoder de fitti, altri al raccolto o vendita<br />
de grani e vino e altri a tempi che si prendono di loro comodo. Li mercanti forestieri negozian pur tutti sul<br />
puro credito di 6-8 mesi e anche d'un anno d'aspetta, e se così siam astretti di fare co’ nostri creditori e così<br />
richiede la natura del negozio, quale maggiore ragione hanno verso di noi i nostri tintori di dover essere<br />
pagati ogni quattro mesi sotto pena sì grave!» 55 .<br />
Nella prima metà del <strong>Settecento</strong>, in ogni modo, i produttori nazionali furono in grado di alimentare<br />
flussi di esportazione di una discreta gamma di manufatti serici verso mercati lontani approfittando<br />
delle fasi espansive infrabelliche, segnate dalla ripresa dei consumi di lusso internazionali 56 . La<br />
capacità di resistenza durante le crisi periodiche cui andò incontro il setificio piemontese negli anni<br />
assai prossimi a quelli di guerra dipese , in buona misura, dal sostegno e dalla protezione dello<br />
stato 57 . Difatti, alla fioritura della prima metà degli anni ‘40 era seguita, <strong>nel</strong> 1749, una crisi assai<br />
grave alla quale era stato posto rimedio con il riparto forzoso tra i mercanti degli operai oziosi con<br />
l'obbligo, imposto a ciascuno di essi, di mantenere comunque in attività 5 telai. 58 . Una lieve ripresa si<br />
ebbe verso la metà degli anni ‘50, ma <strong>nel</strong> ‘57- ‘58 sopraggiunsero nuove difficoltà e così accade<br />
negli anni ‘70 e ‘80. Le cadute erano solitamente correlate al rialzo dei prezzi della materia prima di<br />
base e dunque alle crisi di sotto produzione per eventi atmosferici che assumevano un carattere di<br />
particolare gravità in Piemonte, area di elezione della piccola proprietà coltivatrice, proprio perché<br />
l'offerta dei bozzoli era tarata sui consumi dei trasformatori interni. Nella crisi degli anni '80, la più<br />
drammatica per gli effetti sull'occupazione, si ebbe la combinazione perversa di una grave caduta del<br />
raccolto di bozzoli e di un crollo della domanda lionese legato al cambiamento della moda .<br />
Per gran parte del secolo la produzione più competitiva sui mercati internazionali permanse, sia pure<br />
con alterne fortune, quella del semilavorato serico grazie alla conservazione del monopolio tecnico.<br />
Nella tessitura, invece, dove la concorrenza era ai massimi livelli, mastri fabbricatori e mercanti, per<br />
recuperare margini di profitto, avviarono processi di concentrazione che misero a repentaglio la<br />
tenuta del sistema <strong>corporativo</strong> stesso. Occorreva infatti sottrarre quote di mercato a nuovi e vecchi<br />
centri di produzione, come Lione, Genova o Milano, celebrati all'estero e all'interno dello Stato per<br />
l'eccellenza dei tessuti auroserici, dei velluti, dei nastri o delle calze.<br />
Nella produzione delle stoffe i mercanti cercavano di recuperare competitività concentrando le<br />
commesse su un numero limitato di tessitori che venivano così indotti ad aumentare la quantità dei<br />
telai. La strategia organizzativa che si delineò già dai primi decenni del secolo mirava a contenere i<br />
costi di controllo e transazione, ma anche all'aumento della produttività che la selezione dei mastri<br />
più efficienti attuata dai mercanti rendeva possibile e alla fruizione delle economie consentite dalla<br />
concentrazione della produzione in un minor numero di botteghe. Le resistenze della corporazione<br />
dei fabbricatori all'avvio di processi del genere che perseguivano obiettivi di razionalizzazione, ma<br />
andavano a intaccare il principio fondamentale dell'uguaglianza tra i mastri furono forti, ma non<br />
sufficienti a bloccare il processo in atto, come dimostra il continuo riemergere della questione<br />
durante la prima metà del <strong>Settecento</strong> con la reiterata pubblicazione degli editti che introducevano<br />
limitazioni agli imprenditori. Difatti sotto la pressione dell'Università dei mastri fabbricatori di<br />
stoffe d'oro, argento e seta per ottenere una "giusta distribuzione del lavoro ed uguaglianza fra di<br />
loro" venne fissato con R. E. 23 luglio 1730 59 il vincolo massimo di quattro telai per mastro. Dalla<br />
limitazione ,tuttavia, venivano esclusi i mastri vellutai, lavoratori della corporazione specializzati<br />
55 Ibidem<br />
56 Nella prima metà del secolo numerosi e fortunati conflitti, rispetto alle mire sabaude di ingrandimento territoriale, vennero<br />
combattuti <strong>nel</strong>lo Stato: la guerra di successione di Spagna (1701-1713), quella di successione polacca (1733-38), la guerra di<br />
successione d’ Austria (1743-48). Nella seconda metà del secolo altre guerre combattute lontano, dei sette anni (1756-1763) e d’<br />
indipendenza americana, non mancarono di riflettersi negativamente sull'industria del lusso e, infine, tra il 1794 e il 1798 l'invasione<br />
francese e la resa del generale Grouchy determinarono un cambiamento radicale del quadro politico <strong>istituzionale</strong>, non proprio<br />
favorevole al decollo del tessile -seta torinese. '<br />
57 G. Prato, La vita economica in Piemonte…cit. , <strong>Torino</strong> 1908,p. 230 e segg.<br />
58 Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 9<br />
59 Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 13<br />
23
<strong>nel</strong>la tessitura dei velluti operati, poiché essendo all’epoca in numero del tutto insufficiente per<br />
soddisfare le commesse dei mercanti, non avvertivano il problema dell'equa distribuzione del lavoro.<br />
All'inizio del secolo, prima della nascita dell’Università, tutti i fabbricanti di stoffe in seta erano<br />
etichettati come mastri vellutai 60 .Presso l'Albergo di Virtù veniva intessuto il velluto operato<br />
destinato al consumo di corte che imitava modelli genovesi del periodo. Si trattava del velluto<br />
cesellato noto come velluto "giardino", un prodotto di altissima qualità che richiedeva una elevata<br />
perizia tecnica, come dimostra il frammento di manifattura piemontese conservato presso il Musèe<br />
Historique des Tissus di Lione. 61 . I velluti operati continuarono ad essere prodotti <strong>nel</strong> corso del<br />
secolo, come testimonia l'esistenza di esami di capo d'opera basati su di essi ancora alla fine del<br />
<strong>Settecento</strong>, ma non furono in grado di alimentare significativi flussi di esportazione . Nei primi<br />
decenni del secolo non rappresentarono più dell’1,9% del peso delle stoffe esportate .<br />
Figura 15. Produzione delle stoffe in seta <strong>nel</strong> 1783(*)<br />
stoffe a fiori<br />
stoffe a fiori correnti<br />
stoffe piciol opera e<br />
rigate<br />
stoffe unite<br />
fazzoletti<br />
garza,toga e tela di<br />
seta<br />
stoffe di commissione<br />
produzione 1783 in rasi<br />
18176; 2%<br />
713402; 80%<br />
24<br />
17830; 2%<br />
762; 0%<br />
4935; 1%<br />
97551; 11%<br />
32363; 4%<br />
(*) Asto Corte,Materie economiche, cat.IV, maz. 10<br />
1 raso= cm. 59,93<br />
Al centro della produzione torinese di tessuti stavano comunque le stoffe unite(V. fig. 15) o solie, un<br />
genere tessile molto ampio che ne comprendeva svariati tipi di pura seta o miste realizzate con il<br />
telaio a licci .Tra di esse, <strong>nel</strong> 1783 moelle e satin erano le stoffe più richieste ( V. fig. 16). Le prime,<br />
tessute in 12 fili passanti per dente del pettine ,erano anche note come gros de tours, ma la<br />
produzione maggiore in assoluto era in 8 fili. Se ne fabbricavano anche in 8 con bava, in 10<br />
all’inglese, a lama d’oro o d’argento. I satin tessuti in 16 fili erano detti taspè ;se ne producevano<br />
anche in 12 , ma la parte più rilevante era in 8, e in “sattinetto” che era un raso liseré . Seguivano per<br />
importanza i taffettà in 4 fili , in 3 fili, in 4 detti alla bonne femme, taffettà lustrato o sanpareille ,<br />
crosiato ossia synopole largo. Non irrilevante era infine la produzione di saglie, peau de soie,<br />
cendali, papline o grisette , un genere di stoffe a trame di seta di seconda qualità, come moresche,<br />
bave, fioretti,o con orditura di canapa o cotone, particolarmente usata nei tessuti per mobili.<br />
60 Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 7<br />
61 Ibidem, p. 212
Figura 16. Produzione di stoffe unite <strong>nel</strong> 1783 (*)<br />
produzione1783 in rasi<br />
494535; 70%<br />
876; 0%<br />
137850; 19%<br />
25<br />
79472; 11%<br />
taffettà saglie moella e satin velluto<br />
(*) Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 10<br />
Nella seconda metà del <strong>Settecento</strong> ,a partire dal 1759 ,entrarono in produzione anche <strong>nel</strong> Regno di<br />
Sardegna i “piccoli operati”, stoffe a minuscoli disegni per abiti maschili venute di moda. Si<br />
distinguevano dai tessuti operati di struttura assai più complessa perché venivano realizzati sul telaio<br />
a licci opportunamente modificato, anziché su quello al tiro 62 . Tra le stoffe “picol opera” rientrava<br />
anche il velluto a quattro peli fondo seta considerato il più pregiato perché più folto.<br />
Figura 17. Incidenza delle stoffe operate sulla produzione a fine <strong>Settecento</strong>*<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
% stoffe operate<br />
1779 1780 1781 1782 1783<br />
% 11 16 22,5 25 15,25<br />
Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 10<br />
L’incidenza delle stoffe operate sulla produzione complessiva fu crescente tra il 1779 e il 1782 ( V.<br />
fig. 17)<br />
Nel 1783 in testa alla produzione di stoffe operate del tipo corrente( V. fig. 18) c'era il damasco in<br />
otto fili utilizzato sia per mobili sia per abiti e i damaschini in 6 fili , tipologia che comprendeva<br />
anche la moella <strong>nel</strong>le varietà ribordata o damascata , viennese in due corpi, di Firenze ribordata,<br />
ossia tessuti a doppia armatura contrapposta e a trama lanciata. Seguivano per importanza le stoffe<br />
appartenenti alla famiglia dei lampassi, i broccati e broccatelli, a doppia orditura, di fondo e<br />
superficiale, le satinate a fiori , lampassi a fondo raso con trama di decoro broccata o lanciata. Vi<br />
erano in produzione tessuti a imitazione del lampasso come il droghetto <strong>nel</strong>le versioni satinata,<br />
moella, liseré ossia due corpi, all'inglese ossia musulmana e le persienne con fondo raso o a taffettà .<br />
Tali tessuti erano il frutto della sperimentazione di nuove tecniche di lavorazione al telaio avvenuta<br />
verso l'ultimo quarto del <strong>Settecento</strong>.<br />
Modesta era infine la tessitura di satinate a fiori e anche il taffettà a fiori o rigato era prodotto in<br />
piccolissima quantità.<br />
62 G. Boschini , M. Rapetti, Produzione di tessuti di seta in Piemonte tra Sei e <strong>Settecento</strong>: una tipologia tecnica e decorativa, in Le<br />
fabbriche magnifiche. La seta in provincia di Cuneo tra Seicento e Otto cento, Cuneo,L'Arciere 1993,p.211
Figura 18 Produzione di stoffe operate <strong>nel</strong> 1783*<br />
produzione 1783 in rasi<br />
12324; 12%<br />
14460; 14%<br />
5124; 5%<br />
4935; 5%<br />
19362; 19%<br />
damasco moella<br />
26<br />
46281; 45%<br />
broccato broccatello<br />
lampassi broccati e satinati dobletto,basin turco,grisetta<br />
(*) Asto Corte, Materie economiche,cat. IV, maz. 10<br />
I mastri fabbricatori torinesi avevano sviluppato elevate capacità tecniche che consentivano ai<br />
migliori tra di essi di imitare con un certo decoro i tessuti lionesi più ricercati. Mancavano tuttavia di<br />
autonomia per l'assenza di una scuola di disegno torinese in grado di imporsi all'attenzione dei<br />
consumatori più sofisticati e di un filato prezioso che stesse al livello di quello d'oltralpe 63 . Per<br />
queste ragioni l’auroserico torinese non decollò e i telai destinati a questo tipo di stoffe rimasero<br />
frequentemente inattivi.<br />
Della produzione di stoffe unite e operate realizzata in <strong>Torino</strong> andavano all'estero per lo più i<br />
damaschi, i satin e il taffettà . Nel 1782 la quantità di tessuti destinati al consumo interno<br />
rappresentò il 51,23% della produzione,l’anno seguente salì al 54,75 % .<br />
All'inizio degli anni '80 il quantitativo di organzino prodotto dai filatoi piemontesi che veniva<br />
trasformato dai tessitori torinesi poteva aggirarsi tra il 5 e l’8%. Con i nuovi acquisti territoriali della<br />
prima metà del <strong>Settecento</strong>, tuttavia, si era aggiunto un nuovo centro di produzione, la città di<br />
Vigevano che diede un significativo contributo alla trasformazione interna della seta, anche se vi si<br />
realizzavano tessuti di qualità inferiore. Difatti, mentre il valore medio delle stoffe torinesi si<br />
aggirava intorno a Lp. 32.10 la libbra, le concorrenti valevano mediamente Lp. 26 la libbra. Veniva<br />
mantenuta in questo modo una divisione territoriale del lavoro che specializzava la capitale <strong>nel</strong>le<br />
produzioni più raffinate. 64<br />
La fissazione di un numero massimo di telai per mastro, di cui si è detto sopra, era strenuamente<br />
difesa dalla base della corporazione che si opponeva alla concentrazione delle commesse dei<br />
mercanti su un numero molto ristretto di botteghe di successo. Essa trovava una giustificazione<br />
<strong>nel</strong>l'esigenza di mantenere, attraverso la garanzia del lavoro, un sufficiente incentivo<br />
all'investimento in formazione professionale .<br />
Allora, le autorità di governo, particolarmente interessate a mantenere alta <strong>nel</strong>la capitale l'offerta di<br />
lavoro specializzato mediarono fra i mercanti e i mastri fabbricatori legando l'aumento del numero<br />
dei telai , al di là dei quattro previsti dalle disposizioni del 1730, all'assunzione di apprendisti<br />
selezionati entro liste di collocamento cittadine 65 . Se mantenendo comunque un vincolo al numero<br />
dei telai veniva assicurata la giustizia distributiva che, diversamente, sarebbe stata messa in pericolo<br />
dal processo di concentrazione, l'obbligo di reclutare nuovi apprendisti incitava la corporazione a<br />
incrementare quel ruolo formativo che sul piano quantitativo sembrava aver disatteso. Difatti, verso<br />
la metà del <strong>Settecento</strong> il Consiglio di commercio aveva denunciato che <strong>nel</strong>le università torinesi era<br />
in atto un’involuzione corporativa, come dimostravano la tendenza al monopolio delle cariche, <strong>nel</strong><br />
caso dei tessitori auroserici , la pretesa estensione della giurisdizione in provincia, <strong>nel</strong> caso dell’<br />
63 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 8, n. 1<br />
64 Asto Corte, Materie economiche,cat. IV, maz. 10<br />
65 Asto Sezioni Riunite( in seguito Sez. R.) ,Consolato di Commercio, Ordinati , vol. 184 , R. B. 9 gennaio 1731.
Università dei cappellai di <strong>Torino</strong> rispetto a quella di Asti, e soprattutto il contenimento dell'offerta<br />
di operai specializzati sul mercato del lavoro torinese. I mastri corporati venivano accusati di volersi<br />
conservare <strong>nel</strong> "minor numero che possono" ponendo ostacoli agli aspiranti che intendevano<br />
accedere al maestrato, rendendo loro più oneroso e difficile il capo d'opera, allungando a dismisura<br />
il tirocinio anche <strong>nel</strong>le arti facili, ostacolando la venuta di artigiani stranieri, esaminando in maniera<br />
arbitraria i candidati e così via 66 .<br />
Di fronte al persistere di tali atteggiamenti le direttive che vennero dal centro alle Università del<br />
settore tessile furono chiare. Se infatti la corporazione dei tessitori voleva salvaguardare la giustizia<br />
distributiva doveva farsi carico del problema fondamentale del costo del lavoro specializzato che<br />
andava affrontato proprio con l'aumento dell'offerta e con il miglioramento della produttività.<br />
Questo ultimo obiettivo venne implicitamente perseguito, come accennato in precedenza, non<br />
ostacolando la selezione che i mercanti di fatto facevano dei fabbricatori più efficienti i quali, in<br />
virtù della nuova normativa, potevano aumentare sia il numero dei telai sia il numero degli allievi.<br />
<strong>Il</strong> principio venne ribadito dal Consolato in occasione dell'esame delle modificazioni statutarie<br />
presentate alla sua approvazione <strong>nel</strong> 1741 dall'Università dei mastri fabbricatori di stoffe d'oro,<br />
argento e seta. <strong>Il</strong> magistrato respinse il capo VI con la motivazione che:<br />
«non pare giusto e conveniente vengano li mercanti legati <strong>nel</strong>l'arbitrio della distribuzione del travaglio a<br />
mastri, dovendo bastare che non si ecceda <strong>nel</strong> numero dei telai permessi».<br />
<strong>Il</strong> Consolato era anche contrario a “proibire che un mastro responsale po[tesse] procurare del lavoro<br />
ad altri mastri che difficilmente [avrebbero potuto] impetrarne addirittura da mercanti per non esser<br />
li medesimi in credito”. Spesso infatti grazie a tale pratica accadeva che "detti mastri non responsali,<br />
con l'andar del tempo, [andassero]acquistando credito". Se invece non fosse stata concessa loro una<br />
opportunità del genere i mastri meno accreditati "[sarebbero stati] costretti a travagliare da lavoranti<br />
con pregiudizio loro per il minor guadagno ed anche della fabbrica che si [sarebbe ristretta] in minor<br />
numero di telai" 67 .<br />
Di fronte al problema del costo del lavoro sorse una netta contrapposizione tra i mercanti e i<br />
fabbricatori. I primi erano i più attenti alle indicazioni del mercato che, <strong>nel</strong> settore tessile, era<br />
particolarmente influenzato dalle mode. Gli interessi mercantili privilegiavano, quindi,<br />
l'importazione dei manufatti esteri più ricercati dai consumatori nei confronti dei quali le politiche<br />
mercantilistiche dettavano,invece, provvedimenti protezionistici fino alla proibizione d’<br />
importazione a vantaggio delle produzioni interne di cui intendevano favorire l'avviamento (velluti,<br />
tessuti auroserici). I mercanti erano tuttavia limitatamente interessati allo sviluppo della produzione<br />
interna fintanto che il prezzo della seta filata era in aumento. Quando una caduta <strong>nel</strong>la produzione<br />
dei bozzoli o un aumento della domanda estera di organzino determinavano un repentino rialzo del<br />
prezzo della seta tratta e filata, infatti, i mercanti riducevano le commesse di tessuti e dismettevano i<br />
telai lasciando i mastri senza ordinativi e i lavoranti disoccupati.<br />
In vista di un loro coinvolgimento diretto <strong>nel</strong>lo sviluppo interno dell'attività di trasformazione della<br />
seta, inoltre, ottennero dalle autorità di governo la privativa di importazione delle stoffe estere<br />
escludendo da tale attività ogni altro mercante generico contro l'impegno a mantenere attivi un certo<br />
numero di telai per assicurare il lavoro a mastri e lavoranti. L’ elevato costo del lavoro e la<br />
competizione dei produttori esteri più avviati, tuttavia, riducendo i margini di profitto<br />
disincentivarono i mercanti ad investire <strong>nel</strong>la tessitura. Nel 1749 quando sopraggiunse un forte<br />
rialzo <strong>nel</strong> prezzo dei bozzoli e nei paesi in cui si trovavano i principali mercati di sbocco vennero<br />
pubblicate prammatiche, i mercanti sostennero di commerciare con un "utile inferiore di molto al<br />
solito e consueto di 10% stato sempre mai in uso in ogni tempo". Solo un drastico crollo del prezzo<br />
dei bozzoli, piuttosto improbabile <strong>nel</strong> regno di Sardegna dove il mercato della seta grezza non era<br />
66 E. De Fort , Mastri e lavoranti <strong>nel</strong>le università di mestiere fra <strong>Settecento</strong> e Ottocento in A. Agosti, G.M. Bravo ( a cura di ) Storia<br />
del movimento operaio, del socialismo, delle lotte sociali in Piemonte, Bari 1979, pp. 101,109<br />
67 Asto Corte,Materie Economiche, cat. IV, maz. 8, n. 22<br />
27
libero, ma regolato, avrebbe potuto creare condizioni favorevoli ad un'effettiva attivazione del ceto<br />
mercantile ai fini dello sviluppo della produzione interna. In questi casi i mercanti erano pronti a<br />
intercettare la domanda estera, poiché l'organizzazione produttiva era flessibile. Qui gli elementi di<br />
rigidità non andavano tanto ricercati dal lato del capitale fisso, il telaio il cui costo era facilmente<br />
ammortizzabile, quanto dal lato del capitale circolante per la necessità di conservare <strong>nel</strong>lo stato una<br />
dotazione sufficiente di risorse umane, di lavoro specializzato, impedendo la pericolosa emigrazione<br />
durante le crisi. Per mantenere un telaio battente tutto l'anno e quindi lavoro assicurato all'operaio<br />
indipendentemente dall'esito della produzione, secondo le stime dei mercanti, alla metà del<br />
<strong>Settecento</strong> sarebbe occorso un capitale di Lp. 5.000 per la sola materia prima, organzino e trame. A<br />
tale capitale si sarebbero dovuto aggiungere le spese di fattura e tintura, ossia manodopera e<br />
coloranti. Mantenerne cinque, come prescritto dalla legge, in contropartita al privilegio concesso di<br />
esclusiva importazione delle stoffe estere, rappresentava per i mercanti un’immobilizzazione non<br />
indifferente. Essi erano restii a produrre per il magazzino, dato che “oltre ad essere denaro morto,<br />
corre ancora il pericolo delle macchie e la mutazione delle mode d’un anno all'altro”, perciò<br />
avrebbero voluto mantenere in esercizio un numero di telai proporzionato all'andamento della<br />
domanda 68 .<br />
Alla tutela del lavoro specializzato era più interessato il potere centrale che non i mercanti i quali<br />
tenevano maggiormente alla conservazione del capitale e tendevano a scaricare interamente sui<br />
lavoratori, mastri e lavoranti, tutto il peso delle frequenti congiunture negative senza preoccuparsi<br />
delle conseguenze. La renitenza mercantile indusse allora il governo a reiterate precettazioni che<br />
rischiavano di trasformare il disinteresse di tale ceto verso l'attività di trasformazione in aperta<br />
ostilità. Difatti, se i mercanti volevano continuare ad operare in regime di monopolio commerciale<br />
dovevano farsi carico del problema della disoccupazione durante le fasi recessive. Spettava dunque<br />
alla loro università "far travagliare li detti operai e mantenere loro il lavoro continuamente per<br />
impedire che diversi di loro, privati di ogni alternativa ,se non la mendicità si "absentino dal paese".<br />
Così <strong>nel</strong> 1750 ,su parere dell'Intendente generale delle gabelle, non solo vennero sottoposti<br />
all'obbligo di tenere attivi un certo numero di telaio anche durante la crisi, a fronte del privilegio di<br />
esclusiva importazione delle stoffe estere tutelato dall'introduzione di un bollo, ma vennero costretti<br />
a partecipare al riparto forzoso degli operai disoccupati:<br />
«debba essere a peso di tutta l' Università di detti mercanti da seta di mantenere gli operai oziosi, che sono<br />
capaci e fedeli, secondo un giusto riparto» 69 .<br />
Per recuperare il rapporto con i mercanti, riconosciuti come gli autentici promotori delle manifatture<br />
, lo Stato intervenne in vari modi. Con sussidi alle imprese attraverso il Consolato che corrispose<br />
una “bonificazione”, ossia un dato numero di soldi per operaio e per giorno a quei mercanti che<br />
tenevano attivi i telai necessari ad assorbire i tessitori disoccupati. Durante la crisi del 1756<br />
risultarono in tale stato 49 mastri e 80 lavoranti. Ai mastri e lavoranti impose per contro una<br />
riduzione delle rispettive tariffe. I mercanti , tuttavia, restii a produrre per il magazzino in tempi di<br />
congiuntura negativa, durante la crisi del 1749 ,attraverso i sindaci della loro università, elevarono<br />
una vibrata protesta al Magistrato mentre rifiutarono i sussidi offerti dallo Stato durante quella del<br />
1756. Le forme di sostegno pubblico consistettero anche in elargizioni alle maestranze nei momenti<br />
più critici finanziate direttamente dal sovrano. Vi fu, inoltre ,il tentativo di costituire presso il<br />
Consolato una "Cassa del soccorso per le manifatture di seta" alla quale andavano i proventi del<br />
bollo delle stoffe e la tassa pagata dagli aspiranti per l'esame di abilitazione alla professione 70 .<br />
Più rilevante di quello dei mercanti ,ai fini di una radicale trasformazione delle forme organizzative,<br />
fu il comportamento dei mastri fabbricatori che avviarono processi di concentrazione e di selezione<br />
delle botteghe che misero in serio pericolo l'unità della corporazione tenuta assieme attraverso il<br />
68 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 9<br />
69 Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 9<br />
70 Ibidem<br />
28
monopolio delle cariche. La nuova denominazione dell'Università, detta dei mastri mercanti<br />
fabbricatori, era indicativa circa il processo in atto di trasformazione degli operai più qualificati e<br />
intraprendenti in veri e propri imprenditori che tentavano di avviare la produzione accentrata, con un<br />
aumento del numero dei telai per bottega e dei telai per mastro. Costoro realizzarono l’ integrazione<br />
tra produzione e distribuzione, difatti conseguirono una doppia immatricolazione, <strong>nel</strong>l'Università dei<br />
fabbricatori e in quella di mercanti, <strong>nel</strong>l'intento di ridurre i costi di produzione e interazione e<br />
recuperare in tal modo competitività ai prodotti nazionali. Fu questo il caso di due mercanti<br />
fabbricatori che aprirono bottega nei locali dell' Albergo di Virtù, una istituzione assistenziale<br />
cittadina che praticava l'avviamento coattivo al lavoro 71. Carlo Francesco Vanetto e Giuseppe<br />
Grosso, i due soggetti in questione,ingrandirono il giro d'affari dapprima raddoppiando e poi<br />
triplicando il numero iniziale di telai e di apprendisti che selezionavano tra gli ospiti dell'istituto e<br />
che si impegnavano a formare. Difatti, Vanetto aveva iniziato l'attività con 6 telai e 3 apprendisti,<br />
ma ben presto chiese al Consolato l’autorizzazione ad elevarne il numero rispettivamente a 18 e a 6<br />
adducendo la difficoltà a evadere le commesse provenienti dall'estero. La concentrazione di un<br />
numero crescente di telai distribuiti in più stanze distinte, ma contigue, definite botteghe, e il<br />
reclutamento dei mastri aggiunti, per non trasgredire alla regola che fissava il numero massimo di<br />
telai per ciascuno, consentì a queste nuove figure imprenditoriali di catturare valore in vari punti<br />
della catena di trasformazione dei prodotti attraverso l'integrazione tra produzione e distribuzione.<br />
Grazie al credito di cui godevano presso i consumatori esteri potevano accedere direttamente alle<br />
commesse straniere senza l’intermediazione dei mercanti importatori che, <strong>nel</strong>le fasi di rialzo dei<br />
prezzi della seta, speculavano sul lucroso commercio di import-export , tessuti contro filato,<br />
trascurando la più rischiosa produzione interna di seterie dai margini assai ristretti. La riduzione dei<br />
costi di produzione che rese competitivi sui mercati esteri i tessuti realizzati dal Vanetto e dal<br />
Grosso, venne ottenuta sia attraverso la selezione dei mastri, che persero così la loro autonomia<br />
produttiva, sia facendo ampio ricorso al lavoro femminile. Ai “mastri aggiunti” gli imprenditori<br />
fornirono "il lavoro, i telai, gli ordigni e le camere", così costoro<br />
«non po[tevano],allo stato delle loro capitolazioni, considerarsi per veri capì mastri, ma per semplici<br />
giornalieri o sia agenti dello stesso Vanetto non potendo essi fare alcun risparmio attesa la tenuità della<br />
mercede convenuta, meno accettare commissione per non essere loro propri li telai» 72 .<br />
L'impiego di manodopera femminile ai telai presentava numerosi vantaggi perché oltre a consentire<br />
una sensibile riduzione del costo del lavoro, le operaie "non si assenta[va]no dagli stati, [era]no più<br />
diligenti, fa[ceva]no lavori rifiutati dagli uomini".<br />
I comportamenti dell’ élite dei tessitori, tuttavia, erano fortemente osteggiati dalla base della<br />
corporazione, costituita dai mastri estranei al processo di concentrazione e dai lavoranti, che<br />
difendeva strenuamente il lavoro garantito. La richiesta di mantenere in attività il sesto telaio<br />
avanzata al Consolato dal pool di mercanti fabbricatori interessati a derogare alla regola che fissava<br />
a quattro il numero massimo di telai per mastro, venne interpretata dalla base della corporazione<br />
come un tentativo di "togliere a meno avviati e più bisognosi il travaglio per tutto trarlo alle loro<br />
botteghe" durante le fasi fortemente recessive. <strong>Il</strong> principio dell' equi distribuzione delle commesse<br />
tra le botteghe venne reiteratamente ribadito per tutto il corso del secolo attraverso l'intervento del<br />
legislatore che introdusse e confermò, peraltro con non eccessiva convinzione, la regola, già citata,<br />
della limitazione del numero dei telai per mastro.<br />
E’ ben vero che la fissazione di tale numero tendeva ad adeguarsi all'andamento congiunturale e<br />
quindi i telai aumentarono quando c’era il rischio di lasciare insoddisfatta la domanda estera, ma il<br />
principio generale rimase inalterato per impedire di portare alle estreme conseguenze il processo di<br />
concentrazione in atto. Questa battaglia di difesa a oltranza del sistema <strong>corporativo</strong> era condivisa<br />
71 Asto Corte,Materie economiche, cat . IV, maz. 8, n.33<br />
72 Ibidem<br />
29
tanto dai mastri esclusi dal processo in atto quanto dai lavoranti per i quali equivaleva alla<br />
salvaguardia del salario.<br />
<strong>Il</strong> livello salariale a <strong>Torino</strong> pareva infatti più elevato rispetto alle piazze concorrenti e ciò si doveva<br />
non solo e non tanto al caro viveri, quanto al fatto che la domanda di lavoro specializzato <strong>nel</strong>la<br />
tessitura serica non era continuativa durante l'anno, ma risultava molto volatile dato che il prodotto<br />
piemontese stentava ad affermarsi stabilmente sia sul mercato interno sia su quello internazionale:<br />
«Egli è certo che la manodopera è più a caro prezzo in <strong>Torino</strong> di quello sia in Lione, sebbene i viveri di<br />
entrambe le città siano di egual costo; la differenza solo consiste in ciò che in Lione gli operai s'applicano<br />
vigorosamente al lavoro tutta l'intera giornata e tutta la settimana intiera facendo visita alle osterie li soli<br />
giorni festivi; in <strong>Torino</strong> all'incontro gli operai, volendo vivere con maggior aggio, lasciano vacue più ore<br />
della giornata (parlo de’ lavoranti )per la facilità di trasportarsi alle loro case all’ora di pranzo ed impiegano,<br />
oltre le feste, alle osterie anche i giorni feriali indispensabilmente il lunedì e sabato» 73 .<br />
I dati quantitativi di produzione disponibili per il 1783 indicano che il costo del lavoro incideva sul<br />
valore delle stoffe per una percentuale variabile da un massimo di 37 in quelle a fiori a un minimo di<br />
13, 5 in quelle unite (V. fig. 19)<br />
Figura 19. Incidenza del costo del lavoro sul valore delle stoffe (1783)*<br />
stoffe di commissione<br />
garze,toga,tela di seta<br />
fazzoletti<br />
stoffe unite<br />
stoffe piccol opera<br />
stoffe a fiori correnti<br />
stoffe a fiori<br />
0 5 10 15 20 25 30 35 40<br />
tintura tessitura costo del lavoro<br />
(*)Asto Corte, Materie economiche,cat. IV, maz. 10<br />
Poiché si trattava di prodotti voluttuari legati al lusso delle corti, la domanda era tendenzialmente<br />
elastica ed era fortemente influenzata da eventi extraeconomici, come guerre, lutti, prammatiche,<br />
chiusure mercantilistiche , ma anche e forse soprattutto, dalle mode. Sostenevano, infatti ,i mercanti<br />
insofferenti all'obbligo di mantenere in attività un certo numero di telai anche durante le fasi<br />
recessive:<br />
« venduto un taglio di broccato resta difficilissimo di esitare il resto della pezza a motivo che ciascuno cerca<br />
la singolarità del suo abito; ed il far montare un telaio per cadun taglio sarebbe cagione di un'intollerabile<br />
spesa; oltre di che se si avesse <strong>nel</strong> paese un buon disegnatore, questi dopo due o tre anni non è più al caso di<br />
far disegni di gusto per il spesso variare delle mode» 74.<br />
All'epoca, erano le corti con il loro apparato scenografico a diffondere ed imporre le mode. Durante<br />
il regno di Vittorio Amedeo II la corte sabauda aspirò a competere con quella di Luigi XIV, ma col<br />
tempo ,nonostante i successivi ingrandimenti territoriali, lo stato sabaudo rimase troppo minuscolo ,<br />
privo di possedimenti d'oltremare per imporre le proprie mode <strong>nel</strong> consesso internazionale. Ai<br />
produttori nazionali non rimase dunque che imitare quelli stranieri di maggior successo e sfruttare<br />
appieno il vantaggio offerto dal minor costo della materia prima disponibile in loco adeguando il<br />
73 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 9, n. 23<br />
74 Ibidem<br />
30
costo del lavoro a quello dei competitori stranieri. Esisteva, ad esempio, un sensibile divario tra il<br />
prezzo della fattura del velluto torinese e il più qualificato concorrente genovese:<br />
«sul Genovesato la manifattura del velluto si riduc[eva] a soldi 30 il raso ed in <strong>Torino</strong> a soldi 42:6 e fino a<br />
45».<br />
Per rendere competitivo il prodotto piemontese, che non appariva inferiore a quello ligure sul piano<br />
qualitativo, sarebbe stato necessario concordare il prezzo a soldi 35 , una via praticabile qualora<br />
fosse stato assicurato agli operai "il lavoro continuamente tutto l'anno". In quest’ultimo caso,<br />
secondo il giudizio del presidente del Consolato, Stortiglioni, “facile cosa sarebbe[stata], anche in<br />
ragione di costo, far la guerra a veluti genovesi”.<br />
Tentativi vennero fatti anche per battere la strada alternativa che portava ad aumentare la<br />
produttività attraverso l'innovazione. Le ricerche in quest 'ultima direzione furono stimolate dal<br />
potere centrale attraverso le istituzioni preposte al commercio, il Consiglio e il Consolato, ma i<br />
risultati tardarono ad arrivare . Si trattava di macchine che risparmiavano lavoro sia come tempo di<br />
produzione, sia come unità. Quella di maggior spicco fu sicuramente il cosiddetto telaio alla barra<br />
introdotto in Piemonte <strong>nel</strong> 1749 che veniva utilizzato <strong>nel</strong>la fabbricazione dei nastri e consentiva di<br />
produrne venti contemporaneamente con l'impiego di una sola persona 75 . L’innovazione incontrò<br />
tuttavia la resistenza della corporazione dei passamantai che per tutelare i livelli occupazionali si<br />
oppose alla loro diffusione aggrappandosi all’argomentazione della tutela della qualità. Varie<br />
invenzioni che si ripromettevano di aumentare la produttività sul telaio tanto <strong>nel</strong>la tessitura delle<br />
stoffe che dei nastri utilizzando maestranze prive di esperienza vennero sperimentate a <strong>Torino</strong> e<br />
sottoposte al parere del Consiglio di commercio 76<br />
<strong>Il</strong> loro esame da parte dell’ ente rientrava, probabilmente, <strong>nel</strong> tentativo di rilanciare la tessitura<br />
serica, messo in atto dal Consolato per uscire dalla crisi del ‘49 , attraverso l’introduzione del<br />
principio della libertà di iniziativa <strong>nel</strong>la fabbricazione delle stoffe di seta lisce e operate, con il quale<br />
venne data "facoltà a chiunque di poter far fabbricare ancorché non aggregato all'università senza<br />
alcun’altra obbligazione salvo quella di valersi dei mastri operai approvati".<br />
La libertà d’ingresso non rappresentò un incentivo sufficiente. Difatti non comparve alcuno che<br />
"mett[esse] in piedi un solo telaio" e gli stessi mercanti approvati incontrarono difficoltà ad avviarne<br />
"per mancanza di mastri fabbricatori capaci a sostenerli". Alla metà del secolo, quindi, il processo di<br />
formazione professionale sembrava inceppato, l’offerta di manodopera specializzata non cresceva<br />
nonostante gli stimoli e gli incentivi che la corporazione aveva ricevuto a tal fine dal centro. <strong>Il</strong><br />
governo fece allora un ulteriore ricorso alla leva della concorrenza in aperta sfida alla corporazione.<br />
Nel 1740, per diretta concessione sovrana, un mastro ebreo di Amsterdam venne autorizzato a<br />
produrre in <strong>Torino</strong> tessuti auroserici, nonostante il parere contrario dell'Università dei mastri<br />
fabbricatori, e ciò in virtù dei capitoli approvati <strong>nel</strong> 1603 che avevano consentito l’esercizio di<br />
qualunque arte agli ebrei residenti <strong>nel</strong>lo stato.<br />
Di fronte alla concorrenza montante, la corporazione cercò di abbattere il costo del lavoro attraverso<br />
il crescente ricorso alle maestranze femminili, già utilizzate durante la prima metà del secolo.<br />
Ricorse, inoltre, al . reclutamento dei meno qualificati rimpiazzando i lavoranti, ossia gli operai più<br />
costosi, con gli apprendisti:<br />
« Succede …che i mastri…abusando della loro libertà per risparmio di mercede sono soliti ricevere un gran<br />
numero di imprendizzi conpagati, non servendosi più delle opere dei lavoranti a’ quali dovrebbero per contro<br />
corrisponderla» 77 .<br />
75 E. De Fort,Mastri e lavoranti…, cit., pp.123-124<br />
76 Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 9<br />
77 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 8<br />
31
L'opportunismo dei mastri toglieva però incentivi alla specializzazione. Allora i lavoranti ricorsero<br />
all'autorità sovrana per ottenere integrazioni statutarie limitative del numero di apprendisti per<br />
mastro.<br />
Così tra mastri e lavoranti si aprì un duro contenzioso che aveva per oggetto la limitazione del<br />
numero degli apprendisti. Ancora una volta il Consolato intervenne con funzione di mediazione<br />
consentendo ai primi di ricorrere maggiormente al lavoro meno qualificato e ai secondi di associarsi<br />
in proprie università finalizzate al mutuo soccorso.<br />
La nascita delle Università dei lavoranti, come quella dei calzettai e dei tintori di seta, per limitare il<br />
discorso al tessile -seta, può essere letta, quindi, come il tentativo di dare soluzione al problema<br />
della demotivazione <strong>nel</strong>l'investimento formativo generata dalle incertezze sugli esiti occupazionali e<br />
sulla progressione di carriera, un rischio, quest 'ultimo, che il sistema <strong>corporativo</strong> si rivelava sempre<br />
più incapace di contenere. Le autorità di governo temevano ,infatti, che il dilagare di un<br />
atteggiamento pessimistico potesse influire negativamente sulla dinamica dell'offerta di lavoro<br />
specializzato, la cui centralità <strong>nel</strong> processo produttivo rimase fuori discussione <strong>nel</strong> periodo a ridosso<br />
del macchinismo.<br />
Oltre alle stoffe ,altri prodotti delle corporazioni torinesi che riuscirono ad affermarsi sul mercato<br />
furono le passamanerie e i nastri. Passamantai e bindellai , riuniti in corporazione, furono pronti a<br />
intercettare la domanda. Tali artigiani non controllavano la distribuzione dei loro manufatti, ma<br />
lavoravano su commessa dei mercanti da moda che avevano intravisto buone opportunità di mercato<br />
per i prodotti del falso lusso, in questo caso dei “nastri e bindelli d'oro e argento falso”, fabbricati<br />
alla maniera della Svizzera e della Germania, il cui basso valore intrinseco rendeva più conveniente<br />
l’avvio di una produzione locale anziché l'importazione. Passamantai e bindellai si adattarono con<br />
facilità al nuovo orientamento della domanda, misero in piedi una doppia linea produttiva dei "nastri<br />
e bindelli di pura seta" a fianco di quella dei "nastri e bindelli con oro e argento falso". Alla metà<br />
<strong>Settecento</strong> la seconda linea produttiva dava lavoro continuativo a quaranta famiglie che<br />
diversamente "non avrebbero[avuto] di che occuparsi tutto l'anno".<br />
L'importanza dei nuovi sbocchi che si aprivano alle attività produttive della capitale non sfuggiva<br />
alle autorità che governavano l'economia le quali, pur con opportune cautele a tutela del<br />
consumatore, non solo consentirono l'abbassamento qualitativo della produzione, ma ne trassero<br />
spunto per l'elaborazione di nuove strategie di mercato. Soprattutto mostrarono di non avere un<br />
atteggiamento necessariamente pregiudiziale verso la riduzione del livello qualitativo, se, come in<br />
questo caso, si aprivano effettive opportunità di sbocco grazie alla domanda di falso lusso<br />
proveniente dai ceti rurali. I suggeritori delle politiche economiche sabaude giunsero ad esaltare il<br />
ruolo di stimolo per l'attività produttiva che un concetto laico come quello dell'ostentazione poteva<br />
avere se veniva consentito a tutti i ceti sociali:<br />
«il lusso commuove egualmente la fantasia dei nobili facoltosi che de’ rurali poveri,fomenta l'industria e<br />
promuove le manifatture. Ama il contadino la comparsa[apparire], ma le facoltà[redditi] non s'adattano al di<br />
lui desiderio; l'industria de’ bindelli in questione[ di oro e argento falsi] supplisce al genio[desiderio] essendo<br />
propria indole delle manifatture lo secondare le rispettive condizioni umane» 78 .<br />
In tale enunciazione la definizione del livello qualitativo della produzione veniva rimandata, quindi,<br />
all'orientamento della domanda di mercato di fronte alle cui indicazioni i responsabili del governo<br />
dell'economia erano disponibili a fare un passo indietro. Lo sviluppo produttivo basato su un<br />
abbassamento dello standard qualitativo, tuttavia, non era inteso come alternativo alla ricerca dell’<br />
eccellenza, ma le due linee produttive mantenendosi parallele e distinte assecondavano la crescita<br />
dell’economia senza turbare per questo l’equilibrio e l’ordine sociale costituito.<br />
Nei primi decenni del <strong>Settecento</strong> si faceva un "abundante smaltimento" di nastri sui mercati di<br />
Genova e Spagna. 79<br />
78 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 9<br />
79 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 8, n.1<br />
32
Un’altra produzione in grado di alimentare flussi di esportazione, sempre realizzata <strong>nel</strong>l'ambito<br />
<strong>corporativo</strong>, riguardava le calze di seta. I calzettai erano a un tempo mercanti e fabbricatori, non<br />
dipendevano quindi dai mercanti da seta, ma controllavano essi stessi la produzione e la<br />
distribuzione. La loro attività produttiva <strong>nel</strong>la prima metà del secolo prese un discreto avviamento<br />
così che i fabbricatori riuscirono a collocare direttamente la produzione tanto sul mercato interno -<br />
soddisfacendo una domanda che proveniva dal ceto medio, i particolari, che era in formazione<br />
durante l'assolutismo - quanto su quello estero, grazie alle commesse provenienti dagli stati italiani e<br />
tedeschi e a volte persino da Amsterdam.<br />
Sul piano organizzativo la bottega artigiana tendeva ad evolvere verso forme più complesse. <strong>Il</strong><br />
mastro non si identificava più con l'operaio addetto al telaio, ma accanto alla funzione di direttore<br />
tecnico della produzione sviluppava quella imprenditoriale e pur continuando a utilizzare lavoro e<br />
capitale familiare reclutava sul mercato non solo manodopera specializzata, ma in misura crescente,<br />
lavoro non qualificato:<br />
«Per esperienza si vede che parte dei suddetti mastri da se soli non ponno accudire alle loro fabbriche, oltre<br />
l'assistenza de’ loro figlioli, convenendo salariare gente per farsi assistere <strong>nel</strong>le loro fabbriche stante<br />
l'azienda[organizzazione] considerabile che si richiede per il provvedimento delle sete e disposizione d'esse,<br />
per ridur[le] in stato da poter far travagliare i lavoranti oltre l'altre fatture che si richiedono dopo che li detti<br />
lavoranti rendono il lavoro dal telaro, come sarebbe in primo luogo farli cucire, indi rimondarli, che si<br />
richiede un tempo considerevole, riparare le falle ed altri difetti che per negligenza e trascuraggine di detti<br />
lavoranti assai frequentemente lasciano trascorrere in dette calzette, quelle mettere in forma ed alla pressa<br />
impattìmarle, imprimerli il nome <strong>nel</strong> bordo indi impacchettarle, mandarle al bollo[attestato di qualità<br />
rilasciato dall'autorità], che sono fatture tutte di tempo considerabile e che si richiede molte persone per<br />
quanto sopra compire aggionto poi l'assistenza che ogni mastro deve prestare alla sua bottega per la vendita,<br />
tenimento de’ libri, carteggio e spedizione delle calzette» 80 .<br />
Alla metà degli anni venti tra mastri e lavoranti sorse una dura vertenza in seguito all'introduzione di<br />
innovazioni <strong>nel</strong> processo di lavorazione delle calze dettata dall'esigenza di seguire le mode che si<br />
andavano affermando sui mercati internazionali . I lavoranti portarono avanti una rivendicazione<br />
salariale con rimostranze presentate alla Magistratura del Consolato in cui denunciavano di subire<br />
ingiustificate decurtazioni salariali da parte dei mastri i quali in tal modo cercavano di recuperare<br />
competitività .<br />
Nella vertenza il Consolato si schierò però apertamente dalla parte padronale dimostrando che in<br />
realtà i cambiamenti in atto <strong>nel</strong> processo produttivo comportavano un innalzamento dei salari reali e<br />
che quindi la riduzione del salario nominale era più che giustificata dalla necessità di mantenere su<br />
un livello invariato il costo del lavoro specializzato. Difatti, il salario reale era aumentato perché si<br />
erano molto ridotti i tempi di lavorazione, sia per l'accorciamento delle calze sia per le<br />
semplificazioni introdotte <strong>nel</strong>la lavorazione:<br />
« [<strong>nel</strong> 1715] si facevano le diminuzioni sopra il ginocchio e lo slargamento per lo pieno della gamba... Si<br />
facevano pure in passato generalmente per tutti li calzetti li cunietti distaccati all'inglese e in oggi si fanno alla<br />
grisotta e sopra il tellaro contemporaneamente per il che risparmiano lì lavoranti un'ora circa di tempo. Oltre<br />
di che la metà circa de’ calzette si fabbricano uniti e senza cunietti e grisotta perché invece d’essi se li fa la<br />
broderia che costa, fatta una comune, soldi 10 e perciò risparmiano lì lavoranti per cadun para ore due di<br />
tempo» 81<br />
I lavoranti a cottimo guadagnavano mediamente rispetto a prima 2,5 ore di lavoro riuscendo a<br />
produrre giornalmente un paio di calze da uomo o tre da ragazzo o da donna. Erano a carico del<br />
lavorante le avarie , ossia le spese per l’olio da illuminazione necessario al lavoro notturno,gli aghi,<br />
lo stagno.<br />
80 Asto Corte,Materie economiche,cat. IV, maz. 8<br />
81 Asto Corte,Materie economiche, catIV,maz. 7, n. 47<br />
33
Nella vertenza il Consolato si schierò dalla parte dei mastri ritenendo che l'imprenditore piemontese<br />
fosse già sufficientemente penalizzato da un costo del lavoro qualificato superiore a quello dei suoi<br />
omologhi francesi e genovesi e quindi che non avrebbe potuto sopportare ulteriori rialzi. L'analisi<br />
del Consolato tuttavia peccava di parzialità perché scaricava la responsabilità del più alto prezzo<br />
delle fatture piemontesi interamente sull'opportunismo del lavoranti che venivano descritti come<br />
oziosi e poco assidui al lavoro <strong>nel</strong> corso della giornata grazie alla tutela corporativa limitativa della<br />
concorrenza. Non teneva conto invece del problema della continuità occupazionale durante l'anno<br />
lavorativo. In Francia e a Genova la fattura costava meno, non tanto perché gli operai fossero più<br />
virtuosi, ma perché, “dove vi sono maggiori fabbriche”, la domanda di lavoro è continuativa <strong>nel</strong><br />
tempo e quindi sorgono gli incentivi per un rialzo dell'offerta di lavoro specializzato il che facilita la<br />
caduta del prezzo delle fatture. <strong>Il</strong> maggior prezzo della fattura praticato dagli operai calzettai<br />
piemontesi che lavoravano a cottimo era incomprimibile perché non era sufficiente a coprire le<br />
esigenze di sussistenza tanto che i medesimi ,per aumentare gli introiti, cercarono di ridurre i tempi<br />
di lavorazione:<br />
« in oggi i lavoranti abusivamente non vogliono far diminuzione[sotto il ginocchio] nè slargamento <strong>nel</strong>la<br />
rotondità della gamba perché importa mezz'ora circa di maggior travaglio, cosa che si crederebbe doversi far<br />
osservare così facendosi in Inghilterra e in Francia» 82 .<br />
In realtà il Consolato riteneva che la tutela concessa ai lavoranti attraverso l'obbligo imposto ai<br />
mastri di utilizzare solo operai specializzati <strong>nel</strong>la speranza di " ridur a maggior perfezione quest<br />
'arte", avesse provocato una strozzatura che ne impediva l'avanzamento ,"mancando il vivaio dei<br />
lavoranti colla proibizione degli apprendizzi”imposta ai mastri. Difatti <strong>nel</strong> marzo del 1738 con regio<br />
biglietto era stato proibito ai mastri dotati di tre telai di tenere apprendisti; potevano invece<br />
assumerne uno se ne avevano sei, e solo due per qualunque maggior numero di telai. Una prima<br />
deroga alla regola vincolante venne introdotta <strong>nel</strong> 1745 legando il numero degli apprendisti alla<br />
metà del numero dei telai posseduti senza che <strong>nel</strong>le botteghe, tuttavia, si potesse eccedere<br />
complessivamente il numero di 4 unità 83<br />
<strong>Il</strong> Consolato concesse allora ai mastri maggiore libertà <strong>nel</strong>l'utilizzo di manodopera non specializzata,<br />
ma non in senso "illimitato come essi chied[evano], ma ristretta in maniera che lasci sempre un<br />
sufficiente luogo alli lavoranti". Ai mastri che avevano quattro telai in opera venivano concessi due<br />
apprendisti, con più di quattro un numero corrispondente a 1/3 dei telai battenti, con un solo telaio<br />
un apprendista.<br />
Sul finire degli anni quaranta le posizioni si radicalizzarono: gli operai denunciarono al Consolato<br />
che i padroni "cerc[avano] vieppiù di diminuirle la mercede" e ne invocarono l’intervento affinché<br />
mantenesse i vincoli al numero degli apprendisti per "non rimanere senza lavoro" Per difendersi<br />
dalle prevaricazioni misero in atto forme di resistenza passiva, di insubordinazione e anche, a detta<br />
dei mastri, comportamenti intimidatori che questi ultimi segnalarono in varie occasioni alla<br />
Magistratura consolare. I mastri lamentavano all'opposto la carenza di lavoratori specializzati quale<br />
sottoprodotto della tutela corporativa concessa ai lavoranti, una situazione che ne penalizzava<br />
gravemente la competitività nei confronti dei produttori esteri. A loro dire la differenza di prezzo<br />
delle fatture piemontesi rispetto alle estere era piuttosto elevata:<br />
« mentre in Francia è noto essere il prezzo sopra li telai ordinari stabilito, le calzette da barolé a cunietti con<br />
fiore, 20 soldi il para e quelle alla cadetta simili 14 soldi... ed all'opposto qui quelle a barolé si pagano trenta<br />
soldi per para e quelle alla cadetta 22 mezzo» 84 .<br />
La costituzione dell'università dei lavoranti avvenne con il beneplacito dei mastri perché, essendo i<br />
lavoranti retribuiti a cottimo, i mastri non risentivano danno dall'assenteismo operaio per la<br />
82 Ibidem<br />
83 Asto Corte, Materie economiche,cat. IV, maz. 9<br />
84 Asto Corte, materie economiche, cat. IV, maz. 8<br />
34
"collettazione" destinata al mutuo soccorso dei bisognosi ed ammalati. Corporazioni di lavoranti<br />
finalizzate al mutuo soccorso sorsero anche in altri settori produttivi, ma le autorità che governavano<br />
la vita economica del paese erano attente a bloccare quelle congregazioni che avrebbero potuto<br />
assumere atteggiamenti rivendicativi ,come <strong>nel</strong> caso dei lavoranti parrucchieri. Un processo,<br />
dunque, che si avviava non solo <strong>nel</strong>la tessitura, ma investiva anche altri settori soggetti a fluttuazioni<br />
cicliche e dunque periodicamente alle prese con problemi di ristrutturazione e riduzione dei costi. <strong>Il</strong><br />
crescente ricorso al lavoro dequalificato è ampiamente segnalato dalle fonti attraverso le proteste dei<br />
lavoranti, ma i processi descritti sono visibili soprattutto nei settori produttivi collegati alle<br />
oscillazioni della moda.<br />
4- Attività di filiera.<br />
La specializzazione torinese <strong>nel</strong> tessile seta fu all'origine dell'introduzione <strong>nel</strong>la città di attività di<br />
filiera.<br />
La tintura, in primo luogo, che presentava le caratteristiche della produzione di fase e richiedeva una<br />
elevata qualificazione delle maestranze. Proprio la tintura della seta divenne un settore di forte<br />
ingerenza dello Stato <strong>nel</strong> mondo del lavoro dato che l'arte tendeva a sottrarsi ad ogni forma di<br />
controllo sia di tipo <strong>corporativo</strong> sia da parte delle istituzioni pubbliche. Vista la riluttanza del settore<br />
all'inquadramento e la valenza strategica che esso rivestita per l'affermazione della tessitura torinese<br />
il Consolato ,con manifesto 8 aprile 1724, decretò la costituzione forzosa dell'università dei tintori in<br />
seta che, come nei casi dei filatori di <strong>Torino</strong> e di Racconigi, avvenne senza presentazione del<br />
memoriale a capi 85 . I tintori furono parimenti forzati a una localizzazione concentrata <strong>nel</strong> Borgo di<br />
Po sopra e sotto il ponte di ingresso in città , lungo la riva sinistra del fiume non solo per ragioni<br />
igieniche , ma per la presenza di importanti fattori quali l’abbondanza di acqua corrente e sorgiva(<br />
fontana delle Torrette) necessaria al lavaggio delle sete , di manodopera sperimentata, di facilità di<br />
accesso per i mercanti da seta 86 , ma anche per la prossimità al quartiere dei tessitori. Nel 1764 erano<br />
insediate <strong>nel</strong> Borgo di Po 10 tintorie alle quali si unì alcuni anni dopo la Regia tintoria di sete<br />
trasferitasi in città dalla Venaria dopo la parziale privatizzazione della Fabbrica reale di stoffe in seta<br />
avvenuta in quegli anni. In tal modo veniva rafforzata l’attività di filiera torinese poiché la regia<br />
tintoria, privatizzata anch'essa <strong>nel</strong> 1777, operava con gli artigiani e portava avanti un programma di<br />
ricerca e sperimentazione di nuove materie tintorie, come il vetriolo di Brozzo per la tintura in nero<br />
che valorizzava una materia prima interna allo stato con una sensibile riduzione dei costi 87 . La<br />
corporazione non impose limiti al numero degli apprendisti e vi furono mastri che ne tennero fino a<br />
sei. La progressione di carriera avveniva con il superamento dell’esame di capo d'opera dopo cinque<br />
anni di apprendistato non retribuito e altri cinque di lavoranzia , magari presso botteghe diverse.<br />
Anche <strong>nel</strong> caso dell'arte tintoria, che al tempo era basata sull'uso di materie prime naturali e di<br />
procedimenti empirici venne introdotta una rigida regolamentazione dal centro relativamente al<br />
processo tecnico produttivo che guardava alla tradizione delle migliori scuole europee del tempo ,<br />
olandese , lionese e veneziana allo scopo di ottenere un prodotto tessile standardizzato e di qualità<br />
costante da esitare sui mercati internazionali. A tal fine, a partire dal 1730 particolare attenzione<br />
venne posta alla qualità delle materie tintorie e dei mordenti utilizzati favorendo l'importazione dei<br />
prodotti di base come l'allume, il tartaro e la cocciniglia per tingere in rosso. In seguito l'interesse fu<br />
rivolto alla riduzione dei costi e quindi alla ricerca dei coloranti sul territorio nazionale per avviare<br />
una produzione locale da proteggere con l'introduzione di dazi doganali. Nell'ultimo quarto del<br />
<strong>Settecento</strong>, con il moltiplicarsi di stimoli e esperimenti per avviare <strong>nel</strong>lo stato la coltivazione di<br />
sostanze tintorie di origine organica naturale, fu introdotta, specie <strong>nel</strong>le tenute reali, la pianta detta<br />
garance o robbia dalla cui radice si otteneva il colore rosso <strong>nel</strong> tentativo di sostituire le importazioni<br />
85 F . A. Duboin , Raccolta…cit,<strong>Torino</strong>, Zappata 1850, tomo XVI, p. 184<br />
86 L . Picco,Colori e sete sulla riva di un fiume. La Regia Tintoria di sete al Borgo di Po a <strong>Torino</strong> <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>, in Studi in memoria<br />
di Mario Abrate , <strong>Torino</strong> 1986, p. 920,921<br />
87 Ibidem, p. 923<br />
35
della cocciniglia di provenienza americana 88 . Si tentò anche di avviare la coltivazione del guado<br />
(Isatis tinctoria), una pianta che cresceva spontaneamente sugli spalti delle fortezze dei castelli per<br />
la tintura in azzurro in sostituzione dell'indaco proveniente dall'America. L’ Accademia delle<br />
scienze, inoltre, venne incaricata di sviluppare ricerche applicate all'arte tintoria. Gli studi portarono<br />
alla nascita <strong>nel</strong> 1781 delle prime fabbriche di prodotti chimici per tintura su iniziativa dei soci conte<br />
Giuseppe Ignazio Valperga e Francesco Cumino, maggiore di fanteria situate <strong>nel</strong>le valli di Brozzo,<br />
Chy e Pont per avviare una produzione nazionale di vetriolo verde(solfato di ferro), acquaforte<br />
(acido nitrico) e allume 89 . Si giunse all’istituzione di un ente pubblico per il controllo delle stoffe in<br />
seta tinte frapposto tra i tintori e gli utenti, mercanti , fabbricanti e privati. Le sete nostrane<br />
risultarono tinte meglio rispetto alle inglesi e olandesi che sbiadivano facilmente , sebbene il colore<br />
iniziale di queste ultime fosse più vivace ed attraente, ma inferiori a quelli di Lione 90 .<br />
Altra attività di filiera insediata a <strong>Torino</strong> fu la produzione dei pettini per le stoffe in seta. La fabbrica<br />
dei pettini era stata introdotta da certo Delaunaj e proseguita dalla figlia Teresa Rainera trasferitasi<br />
<strong>nel</strong> capoluogo dalla cittadina di Mondovì per produrre i pettini necessari alla “fabbrica delle stoffe in<br />
seta” che non era solo quella reale, ma comprendeva anche l'attività produttiva dei fabbricatori<br />
corporati .Tra il 1727 e il 1732 la donna non ebbe difficoltà a smaltire la produzione dato che veniva<br />
assunta interamente dal Consolato che aveva stanziato un fondo apposito. L’ente rivendeva quindi i<br />
pettini ai fabbricatori di stoffe in seta, ma mentre "era facile il ritirarli e pagarli alla Rainera, con<br />
altrettanta difficoltà si potevano esitare ai fabbricatori". Dopo il 1732 e per un certo tempo la<br />
maestra di Mondovì fu libera di collocare i pettini prodotti sia sul mercato interno sia fuori stato.<br />
Quest 'ultima facoltà, tuttavia, venne revocata dal Consolato <strong>nel</strong> 1741. <strong>Il</strong> quadro produttivo cittadino<br />
divenne più articolato quando il fratello, Nicolao Delauney "molto più perito della medesima" aprì<br />
una propria attività a <strong>Torino</strong>, anch’ egli contando sul sostegno del Consolato che si era impegnato a<br />
mantenere il lavoro a entrambi affinché "i mastri operari di stoffe[fossero] a tempo debito<br />
provveduti di buoni pettini". <strong>Il</strong> settore ebbe difficoltà ad affermarsi tant'è che il Delaunay si<br />
allontanò dalla città e la Rainera stentò a smaltire i pettini prodotti sia per il sopraggiungere di una<br />
crisi <strong>nel</strong>la tessitura torinese alla metà del secolo ,sia per la incostanza qualitativa, avendo riscontrato<br />
l’esistenza di partite difettose. Sebbene in seguito ad accertamenti eseguiti dal Consiglio di<br />
commercio fosse risultato che la Rainera, in realtà, non aveva mai trovato sbocchi all'estero per la<br />
propria produzione, i pettini torinesi <strong>nel</strong> 1741 formarono oggetto assieme ad altri ordigni necessari<br />
ai tessitori auroserici, di un'operazione di spionaggio industriale a vantaggio della fabbrica delle<br />
stoffe di seta della città di Napoli. Difatti, un fabbricatore lionese di stoffe in seta , Sebastiano<br />
Buisson, destinato ad assumere la direzione della fabbrica napoletana venne arrestato in flagranza di<br />
reato per aver organizzato il trasferimento <strong>nel</strong>la città partenopea di operai e attrezzi torinesi. In<br />
particolare aveva avvicinato un fabbricatore di stoffe residente a <strong>Torino</strong>, ma nativo di Lione, tale<br />
Giovanni Piot, convincendolo al trasferimento "sulla rappresentanza dei maggiori vantaggi che<br />
avrebbe in essa[città] trovati". La " subornazione" avvenne con l'offerta del necessario: il denaro, il<br />
passaporto rilasciato dall'ambasciatore di Spagna residente a <strong>Torino</strong> , la vettura fino a Genova. Si<br />
trattava peraltro di un solo soggetto, particolarmente versato alla mobilità, poiché la sua residenza a<br />
<strong>Torino</strong> era stata intermittente. L'accusa più grave, in ogni modo, fu di avere acquistato da un perito<br />
tiraoro di <strong>Torino</strong>, certo Paccalino, l’attrezzatura necessaria a filare l’oro:<br />
«mollino di ferro da tirar l’oro… rovetto da filar l’oro, per zecchini 14, diversi maticalli e ponte di ferro e un<br />
pettine per il taffetà d'Inghilterra» 91<br />
<strong>Il</strong> Buisson venne arrestato e poi bandito in perpetuo dallo Stato, mentre il complice Paccalino, al<br />
quale veniva riconosciuta una "distinta abilità <strong>nel</strong> tirar l'oro e <strong>nel</strong>la manifattura d’esso "e lavorava<br />
per i mercanti di galloni torinesi ,venne graziato, ma sottoposto alle sanzioni economiche previste<br />
88<br />
Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 27 d’addizione<br />
89<br />
Ibidem<br />
90<br />
Asto Corte,Materie economiche, cat . IV, maz . 27 d’addizione<br />
91<br />
Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 8, n.14<br />
36
per chi assecondava l'estrazione delle attrezzature necessarie alla manifattura "delle sete, stoffe, ori e<br />
argenti filati e tret".<br />
Quella del tira l’oro era una specializzazione lavorativa che apparteneva alla Corporazione degli<br />
orefici, argentieri e gioiellieri, una delle più antiche tra le torinesi poiché risaliva al 1612. <strong>Il</strong> tira l’oro<br />
lavorava le gavette ,ovvero il filato d'oro o d'argento che usciva dalla prima filiera e aveva il<br />
diametro di circa un centimetro, per "ridurlo a molta maggior sottigliezza".<br />
Tira l'oro e fila oro trafilavano e laminavano la gavetta facendola passare<br />
«su due ruotoli d'acciaio liscio, che le stacciano in forma di laminetta assai sottile: le avvolgono sopra un<br />
foglio di seta mediante un rocchetto in guisa che la seta se ne trova tutta coperta e serve per le stoffe, per i<br />
galloni, per le frange, per i pizzi e per altre opere miste con oro e argento tirato» 92<br />
Lo Stato intervenne pesantemente in tale settore produttivo escludendo i privati, gli orafi e gli<br />
argentieri, dalla produzione delle gavette e attribuendone la privativa alla regia Zecca :<br />
« [ fu deciso di] stabilire un argano pubblico <strong>nel</strong>la regia Zecca sotto la direzione del mastro d'essa, ad effetto<br />
che ognuno po[tesse] provvedersi della quantità di gavetta le resta[ssero] necessarie, tanto d'argento che<br />
dorate a giusto titolo e prezzo » 93 .<br />
In tal modo gli operai filatori torinesi potevano rifornirsi di gavette presso la Zecca, a credito senza<br />
interesse, versando semplicemente una cauzione e saldare il conto dopo aver venduto i lavori 94 .<br />
A sostegno della specializzazione lavorativa lo stato introdusse un dazio protettivo sui tret d'oro e<br />
d'argento e soprattutto la proibizione d’ importazione ai fabbricatori di galloni e altri tessuti in oro<br />
argento e seta, "di valersi di filati d'oro e argento forestieri, salvo che manchino quelli fabbricati <strong>nel</strong><br />
paese". Nonostante il sostegno pubblico e la formazione di un pool iniziale di valenti tira l’oro<br />
lionesi , ma anche locali, l'arte non decollò tanto che verso il 1793 a <strong>Torino</strong> si contavano solo due<br />
mastri in attività, entrambi di origine straniera , rispettivamente francese e tedesca 95 .<br />
Le ragioni dell'insuccesso, secondo l'analisi condotta presso il Consiglio di commercio, non erano<br />
intrinseche al sistema <strong>corporativo</strong> , bensì discendenti,in primo luogo, dal cattivo rapporto qualità/<br />
prezzo delle gavette prodotte dalla Zecca. Nel passaggio alla trafilatrice i mastri fila oro , per quanto<br />
pèriti fossero, ottenevano dei traits meno brillanti dei francesi, che non potevano ricevere " il lucido<br />
e la bianchezza" necessari in quanto gli affinamenti introdotti dalla Zecca rendevano il materiale<br />
poco duttile e chiaro. <strong>Il</strong> problema sembrava essere squisitamente tecnico in quanto " negli affinaggi<br />
reali ignor[avasi] il segreto della preparazione della materia" dal che ne derivava un maggior<br />
consumo di metallo fino e di manodopera che metteva fuori mercato il filato prezioso ottenuto dai<br />
mastri torinesi e con esso i tessuti auroserici realizzati <strong>nel</strong>la capitale 96 .<br />
Una seconda ragione, tuttavia, veniva addotta per spiegare il decadimento dell’arte e segnatamente il<br />
conflitto d'interessi insorto tra i mercanti di dorure , ossia di galloni, e i produttori nazionali. Difatti,<br />
il ceto mercantile torinese in genere e , <strong>nel</strong> caso specifico, in particolare, preferiva rifornirsi<br />
all'estero, soprattutto in Francia per la "la maggior bellezza, miglior mercato, lunga mora di un anno<br />
per soddisfare il prezzo" dei prodotti acquistati su quei mercati e questo anche se il titolo, <strong>nel</strong> caso<br />
del filato prezioso, era inferiore a quello usato in Piemonte 97 .<br />
Così <strong>nel</strong> 1768 i sindaci della corporazione dei passamantai ,unitamente a 4 mastri tira l’oro e fila<br />
l’oro denunciarono al Consolato, affinché prendesse gli opportuni provvedimenti, che "si<br />
introduc[evano] annualmente da paesi esteri in questi da alcuni per il valore di Lp. 80.000 e da altri<br />
92 Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 1 d’addizione, n. 9<br />
93 F.A. Duboin , Raccolta…, cit.,tomo XVII, p.124 e segg.<br />
94 Asto Corte, Materie economiche,cat. IV, maz. 1 d’addizione, n. 8<br />
95 Asto Corte,Materie economiche,cat. IV, maz.1 d’addizione, n. 9<br />
96 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 1 d’addizione, n. 2; n. 8<br />
97 Asto Corte, Materie economiche,cat. IV, maz. 1 d’addizione, n.4<br />
37
per Lp.60.000 galloni d'oro e argento e ogni altra sorte di doreria di inferiore bontà di quella delle<br />
fabbriche di detti mastri passamantari” 98 .<br />
Nonostante gli insuccessi accumulati dall'arte, le provvidenze sovrane nei confronti degli operai che<br />
sapevano filare i metalli preziosi non cessarono e ancora <strong>nel</strong> 1793 l'attività era considerata strategica<br />
<strong>nel</strong> Regno di Sardegna, sia per le necessità dell'abbigliamento militare sia per quelle della Real Casa,<br />
specie per la decorazione delle livree dei servitori 99 .<br />
<strong>Il</strong> filato prezioso realizzato <strong>nel</strong>le botteghe torinesi serviva, quindi, tanto ai tessitori di stoffe<br />
auroseriche, quanto ai passamantai che fabbricavano galloni d'oro e d'argento ,le dorure, nei quali il<br />
filo prezioso o falso o le lamine sottili venivano mischiati con seta o lana.<br />
All’inizio del secolo questa lavorazione non era presente <strong>nel</strong> Regno di Sardegna e i mercanti di<br />
“dorure” si rifornivano in Francia. Era stata introdotta <strong>nel</strong> 1721 attraverso un'operazione di transfert<br />
tecnologico sostenuta dallo Stato. Difatti , il sovrano Vittorio Amedeo II<br />
«invitò l'amico Sessel a venire, come venne da Ginevra con tutti i necessari ordigni e con varie operatrici, che<br />
sotto la di lui direzione travagliavano in essa manifattura» 100<br />
I passamantai erano riuniti in corporazione fin dal 1677 e <strong>nel</strong> 1686 avevano ottenuto l'approvazione<br />
del Consolato per introdurre modifiche al memoriale a capi 101 . L’attività ebbe una buona<br />
affermazione tanto che <strong>nel</strong> 1765 si contavano a <strong>Torino</strong> 80 mastri riuniti <strong>nel</strong>la Università dei passa<br />
mantai e fabbricatori con la piccola navetta di galloni d'oro, argento e seta. Nella seconda metà del<br />
secolo la corporazione ingaggiò una vivace lotta contro l’ introduzione del telaio alla barra che<br />
sovvertiva l’ equilibrio esistente tra i produttori:<br />
« si sono da qualche anno a questa parte fatto lecito diverse persone di altra professione e condizione di<br />
tenere ordegni artificiosi riguardanti l'arte di passamantaro suddetta ed in specie tellari denominati della barra<br />
e quegli fare travagliare con tener eziandio giovani e imprendizzi senza che li sindaci e consiglieri<br />
dell'Università antecessori si siano curati di averne li opportuni ricorsi al fine che venissero osservati li regi<br />
editti e capitoli » 102<br />
I prodotti ottenuti con il nuovo telaio che risparmiava lavoro specializzato non superarono l'esame<br />
dei sindaci dell'Università che li ritrovarono difettosi. Diverso fu il parere espresso in proposito dal<br />
mercante Dupré secondo il quale “potevano esitarsi <strong>nel</strong> paese, per essere impiegati solamente a<br />
“bordar cottini, ferraioli a preti, far codini”.<br />
Nel 1743 la filiera produttiva torinese si arricchì dell’ attività di un disegnatore francese patentato,<br />
stipendiato dalla Cassa del Consolato con l'obbligo di fare allievi, posto al servizio dei mastri<br />
fabbricatori di stoffe in seta cittadini 103 . Poiché il disegno e la tintura erano attività di filiera<br />
strategiche ai fini del successo della produzione tessile torinese tra gli operatori del settore era<br />
particolarmente avvertita l'esigenza di superare la fase imitativa delle mode lionesi per sviluppare<br />
internamente la ricerca di uno stile produttivo facendo sorgere una scuola di disegno cittadina per le<br />
stoffe in seta .<br />
98 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 1 d’addizione, n. 2 a<br />
99 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 1 d’addizione, n. 9<br />
100 Asto Corte,Materie economiche, cat. IV, maz. 1 d’addizione<br />
101 F. A. Duboin , Raccolta.., tomo XVI, p. 906 e segg.<br />
102 Asto Corte, Materie economiche,cat. IV, maz. 1 d’addizione<br />
103 Ibidem<br />
38
5- I traguardi delle arti seriche torinesi<br />
Scarsamente attendibili sono i dati quantitativi rintracciati sulle variazioni <strong>nel</strong> numero dei telai e<br />
degli addetti alla produzione tessile torinese <strong>nel</strong> corso del secolo poiché il loro accertamento è<br />
viziato dai tentativi di evasione alle limitazioni imposte dal Consolato relativamente al numero dei<br />
telai per mastro e a quello degli apprendisti<br />
Figura 20. Telai e addetti alle stoffe in seta <strong>nel</strong> <strong>Settecento</strong>(*)<br />
1400<br />
1200<br />
1000<br />
800<br />
600<br />
400<br />
200<br />
0<br />
1702 1729 1730 1741 1743 1744 1745 1749 1789<br />
telai 423 772 728 818 720 865 857 818 1188<br />
telai battenti 562 655 818 399 867<br />
telai vacanti 159 163 47 321<br />
addetti 446 703 1062<br />
mastri 187 247 195 220<br />
lavoranti 231 258 464<br />
apprendisti 28 144 378<br />
telai telai battenti telai vacanti addetti mastri lavoranti apprendisti<br />
(*) Asto Corte, Materie economiche, cat. 3^ maz. 1 da ordinare; cat. 4^, maz. 7, nn 7 e 49,maz. 8 nn. 13 e 28, maz.9.<br />
.Uno stato dei mastri vellutari di <strong>Torino</strong>, risalente al 1702, indicava in 446 il numero degli addetti<br />
alla produzione delle stoffe di seta esistente all'inizio del secolo. Di essi, il 42% era costituito da<br />
mastri, il 51,79% da lavoranti, e solo un 2% era rappresentato dagli apprendisti. Tra i mastri la<br />
presenza piemontese superava il 90%, mentre tra i lavoranti quasi il 44% era costituito da francesi.<br />
Risultavano attivi 423 telai; di essi, il 23, 87% produceva damasco per vesti e il 7% per mobili<br />
entrambi di buona qualità, al pari di quelli francesi. Un altro 23,87% era impegnato <strong>nel</strong>la produzione<br />
di cendallo e ormesino, tanto unito che operato in tre e soprattutto in quattro fili, tessuti utilizzati per<br />
vesti e manteaux belli al pari di quelli di Francia. <strong>Il</strong> 16,31% in moelle unite e operate, dobletti e<br />
veneziane con trama in soli due fili mentre per stoffe di qualità perfetta ne sarebbero occorsi tre 104 .<br />
Nel documento si osservava che le tinture erano ben fatte, anche il nero era bello, ma, molte volte, le<br />
sete si bruciavano <strong>nel</strong>la tintura e i damaschi ottenuti da questo filato risultavano imperfetti in quanto<br />
gli operai non potevano battere bene la stoffa che restava alquanto debole. <strong>Il</strong> nero del tintore<br />
Salvaressa, comunque, superava tutti gli altri per bontà. Quanto ai lavoranti , i piemontesi erano<br />
anche meglio dei francesi, sebbene tra questi ve ne fossero di validi . La qualità delle trame andava<br />
migliorata anche se alcuni mercanti torinesi ne producevano di ottime 105 . Nel corso del 1739<br />
giunsero agli artigiani della città numerose commissioni per stoffe di seta , soprattutto moelle e gros<br />
de Tours provenienti dalla Germania e da altri paesi del Nord 106 . In un parere formulato dal<br />
Consiglio di commercio <strong>nel</strong> 1741 si osservava che l'industria delle stoffe di seta si andava<br />
“notabilmente dilatando massimamente con nuove invenzioni di foggia di stoffe procurate<br />
dall'incessante industria di quelli che vi si applicano”, stoffe che risultavano d'ottimo uso e venivano<br />
104<br />
Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 7<br />
105<br />
Ibidem<br />
106<br />
Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 8 n. 13<br />
39
offerte a modico prezzo 107 . Nel corso delle visite alle botteghe fatte dai sindaci dell'Università <strong>nel</strong><br />
1743 risultò che su 829 telai solo sei erano destinati ormai alla produzione di tessuti auroserici 108 .<br />
In quegli anni tra i mastri operai di stoffe in seta stavano emergendo nuove figure imprenditoriali<br />
capaci di imporsi all'attenzione dei consumatori europei come il già menzionato Carlo Francesco<br />
Vanetto che, in società con il Regio Albergo di virtù avrebbe rilevato <strong>nel</strong> 1765 la Fabbrica di seta<br />
della Venaria a partecipazione pubblica. 109 . Le iniziative sul piano organizzativo prese dall’artigiano<br />
torinese suscitarono la vibrata protesta presso il Consolato di trecento giovani lavoranti fabbricatori<br />
di stoffe d’oro, argento e seta. <strong>Il</strong> Vanetto che, per massimizzare il profitto., "per arricchirsi", si era<br />
fatto immatricolare <strong>nel</strong>l'arte dei mercanti concentrava sulla sua bottega le commesse dei mercanti<br />
imprenditori ricorrendo al lavoro di " mastri volanti stipendiati" ossia di lavoratori dipendenti a<br />
giornata e di apprendisti di genere soprattutto femminile. Questo personale non qualificato occupava<br />
il posto dei lavoranti estensori del ricorso i quali dopo sei anni di apprendistato rimanevano senza<br />
lavoro a meno di soggiacere alla riduzione di mercede alla mera sussistenza, dieci- dodici soldi al<br />
giorno, proposta loro dal Vanetto 110 . In effetti, le visite dei sindaci per l'anno 1744 indicano a fronte<br />
di una media di 865 telai ,818 dei quali in attività, la presenza di 220 mastri-mercanti operai, di 464<br />
lavoranti e 378 apprendisti. La femminilizzazione delle maestranze è ben visibile tra lavoranti ed<br />
apprendisti con una presenza rispettivamente del 32 e del 33% 111 .<br />
La concentrazione in atto sul piano produttivo non mancava di riflettersi <strong>nel</strong> governo interno della<br />
corporazione dove la formazione abusiva di una rosa di candidati da parte del consiglio della stessa<br />
all'atto dell'elezione dei sindaci ne conservava il controllo <strong>nel</strong>le mani di un gruppo di famiglie. Al<br />
ricorso inoltrato dalla base del corpo dei fabbricatori, il Consolato rispose deliberando che l'elezione<br />
dei sindaci dovesse avvenire a suffragio allargato a tutti i componenti dell'Università che fossero<br />
intervenuti <strong>nel</strong>la congrega. 112 . Alla base dei rapporti conflittuali interni all'università stava la<br />
contrapposizione tra un gruppo di mastri autonomi, più facoltosi e in maggior voga, in grado di<br />
mantenere il controllo della produzione e della distribuzione , interessati alla concentrazione del<br />
numero dei telai, e la parte più numerosa dei fabbricatori che, invece, dipendeva totalmente dalle<br />
commesse dei mercanti .<br />
Alla fine degli anni ‘40 sopraggiunse una crisi gravissima: alla periodica visita dei sindaci del<br />
novembre 1749 appena 399 telai su 818 risultarono battenti. L'università dei mastri fabbricatori di<br />
stoffe in seta per porre rimedio alle " grandi miserie" in cui erano caduti gran parte dei suoi aderenti<br />
per mancanza di lavoro chiese al Consolato di introdurre il divieto di importazione delle stoffe<br />
forestiere, tanto unite che a fiori con oro e argento, suscitando in tal modo l'immediata reazione della<br />
corporazione dei mercanti da seta che inoltrò un contro ricorso adducendo che gli acquisti delle<br />
stoffe estere a danno dei produttori nazionali erano fatte irregolarmente da altri mercanti ,come<br />
quelli da tele, da d'orerie, o dai sarti. Si trattava di operatori non immatricolati che, quindi, non erano<br />
obbligati per legge a mantenere attivi cinque telai che producessero all'interno del paese la stessa<br />
tipologia di stoffe importate 113 .<br />
La crisi venne superata con interventi pubblici di sostegno che andarono dalle elargizioni gratuite di<br />
pane agli operai rimasti senza lavoro, al già ricordato riparto forzoso dei disoccupati tra i mercanti di<br />
stoffe in seta , all'estensione ai soci dei medesimi, che si erano fatti importatori delle stoffe estere,<br />
dell'obbligo di mantenere attivi i cinque telai 114 .<br />
Non meno drammatica fu la crisi recessiva del 1773 che spinse all'espatrio 22 mastri vellutai con le<br />
famiglie, in tutto 76 persone, ma partirono anche 45 lavoranti a causa della " gran quantità degli<br />
imprendizi che si trova[vano] <strong>nel</strong>l'arte più del regolamento stabilito". Gli apprendisti in eccesso<br />
107<br />
Ibidem, n. 21<br />
108<br />
Ibidem, n. 13<br />
109<br />
G. Arese, L’industria serica…cit., p.105<br />
110<br />
Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 8 n.21<br />
111<br />
Ibidem, n. 13<br />
112<br />
Ibidem<br />
113<br />
Asto Corte, cat. Iv, maz. 9 n. 2<br />
114<br />
Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 9 n.8<br />
40
erano 98 , 77 i maschi e 21 le femmine ; di essi, 72 risultavano impiegati presso l'Albergo di virtù<br />
dove operava il Vanetto. In <strong>Torino</strong> i mastri che controllavano un numero di telai superiore a cinque,<br />
fino a 19, risultarono 35 115 .<br />
Alla fine del <strong>Settecento</strong> sopraggiunsero alcune circostanze tendenzialmente favorevoli al rilancio del<br />
tessile -seta torinese che , <strong>nel</strong>la produzione delle stoffe e delle calze, sembrava poter recuperare i<br />
livelli già raggiunti <strong>nel</strong>la prima metà del secolo durante la fase di maggior avviamento, tra il 1739 e<br />
il 1744 (V. fig. 20). Difatti, allo scoppio della guerra del 1792 le difficoltà della “Fabrique” lionese ,<br />
privata dei tradizionali clienti dell'Europa orientale, ebbero effetti drammatici per la filatura<br />
piemontese 116 , ma liberarono la tessitura torinese dal più temibile dei concorrenti , mentre il<br />
prezioso filato veniva offerto sul mercato cittadino in quantitativi abbondanti e a prezzi decrescenti.<br />
Cadevano anche i salari reali per effetto della crisi , come indicano quelli dei filatori di Racconigi<br />
che rimasero stabili tra il 1786 e il 1798 nonostante il rincaro dei viveri 117 . Ancora una volta il<br />
potere assoluto, <strong>nel</strong> tentativo di evitare il collasso della filatura, usava violenza al mercato interno<br />
proibendo l'uso di abiti di cotone e tela, obbligando la corte a vestire unicamente di seta, vietando<br />
addirittura l'utilizzo di tappezzeria di carta. 118 .<br />
A quel tempo, i prodotti dell’ artigianato tessile torinese erano ormai inseriti <strong>nel</strong>le correnti di<br />
scambio internazionale e commercializzati in piccola scala sui mercati vicini e lontani. Se ne<br />
vendeva per l'Italia, in Portogallo, specie a Cadice, dove affluivano i mercanti che trafficavano con<br />
le colonie del Nuovo Mondo, in Germania, anche a Lipsia ,centro di distribuzione verso oriente dei<br />
prodotti dell’Europa occidentale ,in Turchia ,a Smirne, piazza mercantile proiettata verso la Russia.<br />
Ignorando l'incalzare dei drammatici eventi politici , <strong>nel</strong> 1796, per cogliere le opportunità che si<br />
aprivano - “la fabbrica delle stoffe in seta può fra noi accrescersi assaissimo”- venne formulato<br />
l'ennesimo progetto di costituzione di compagnia commerciale che sfruttasse i canali di<br />
distribuzione già esistenti a vantaggio della manifattura nazionale per "ingrandire l'estero commercio<br />
che già da qualche speculatore si fa[ceva] con prospero successo" 119 . Alcuni dati quantitativi riferiti<br />
al 1789 indicano che i telai esistenti all’epoca erano saliti a 1188, di cui 867 attivi. <strong>Il</strong> 34,6 % di essi<br />
lavorava per l’estero e le commesse maggiori riguardavano i damaschi 120 .<br />
Alla fine del secolo, quindi, l'artigianato serico torinese appariva in grado di inserirsi a pieno titolo<br />
<strong>nel</strong>l'economia europea di scambio basata su un mercato elitario , di fornire prodotti di lusso per una<br />
regione geograficamente assai ampia , ma per mercati che rimanevano tendenzialmente ristretti. Si<br />
sarebbero ampliati significativamente solo con la restaurazione in seguito al ritorno della moda dei<br />
tessuti di seta tanto <strong>nel</strong>l'abbigliamento quanto <strong>nel</strong>l'arredamento e all'estensione del loro consumo ai<br />
ceti borghesi .<br />
<strong>Il</strong> traguardo della specializzazione produttiva era stato raggiunto dal lavoro <strong>corporativo</strong> stimolato<br />
dagli incentivi e dal sostegno pubblico. Sul piano tecnico gli artigiani torinesi avevano sviluppato<br />
elevate capacità imitative delle più pregiate produzioni di Lione <strong>nel</strong>le stoffe damascate e di Genova<br />
<strong>nel</strong> velluto nero fin dall'inizio del secolo facendo largo ricorso a lavoranti francesi 121 . <strong>Il</strong> risultato era<br />
stato conseguito nonostante la libertà di iniziativa avesse trovato un freno ancor più da parte del<br />
legislatore che dai regolamenti corporativi. Così per abbassare l’altezza delle stoffe di velluto a 7/8<br />
di raso, come usava presso i concorrenti olandesi e genovesi e renderla competitiva <strong>nel</strong><br />
prezzo,occorse un parere del Consiglio di commercio e un successivo decreto del Consolato 122 .<br />
Nella prima metà del secolo mancò <strong>nel</strong>la capitale una vera scuola di disegno, "qui non si hanno né si<br />
può avere disegnatori e inventori [ di disegni] di quella abilità che si trovano in Francia" 123 , per<br />
questa ragione non venne mai introdotto il divieto di importazione delle stoffe estere concorrenti con<br />
115 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 10 n. 4<br />
116 G. Chicco,La seta in Piemonte…cit., p.327<br />
117 Ibidem,p. 327 n.77<br />
118 Ibidem, p.328<br />
119 Asto Corte, Materie economiche, cat. III, maz. 1 da ordinare<br />
120 Ibidem<br />
121 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 7<br />
122 Asto Corte, Materie economiche, cat. IV, maz. 9 n.12<br />
123 Asto Corte, Materie economiche,cat. IV maz. 8<br />
41
le nazionali perché, così facendo, sarebbe venuta meno la possibilità di copiarle direttamente presso<br />
i mercanti da seta. L'orgoglio dei mastri operai tessitori li induceva a sostenere che se avessero avuto<br />
a disposizione i disegni e i filati di materia preziosa degli artigiani di Francia avrebbero fatto tessuti<br />
auroserici “al pari di loro”. Nel 1738 per attirare in città un maggior numero di disegnatori il<br />
Consolato proibì a ciascun mercante di avvalersi dei disegni dell’ altro "con fare rilevare copia di<br />
quelli e metterli a telaio". La mancata elaborazione di un originale stile torinese rendeva<br />
particolarmente vulnerabile la produzione degli artigiani cittadini specie nei momenti di caduta della<br />
domanda o di chiusura dei mercati . Per questa ragione un disegnatore francese, certo Beltramo<br />
venne stipendiato direttamente dalla Cassa del Consolato “a beneficio delle fabbriche del paese” con<br />
il compito di formare allievi.<br />
42
Considerazioni finali<br />
A conclusione dell’ analisi della vicenda corporativa sabauda, considerata <strong>nel</strong>l’ottica settoriale del<br />
tessile - seta torinese <strong>nel</strong> corso del <strong>Settecento</strong>, si può convenire sulla non staticità del sistema che<br />
presenta al suo interno dinamiche evolutive sia sul piano della organizzazione della produzione<br />
verso strutture più accentrate sia sul piano mutualistico con la nascita delle università dei lavoranti.<br />
La conflittualità interna alle organizzazioni dei mastri operai di stoffe e dei mastri operai di calze<br />
segnalata dalle fonti è da intendersi come una reazione agli stimoli di mercato piuttosto che come<br />
una chiusura corporativa.<br />
Proprio la dipendenza dal mercato riscontrata <strong>nel</strong>le arti tessili rivolte al “commercio”, ossia alla<br />
produzione dei beni internazionali , potrebbe avvalorare un paradigma interpretativo di tipo<br />
strutturalista e continuista incentrato sulle dinamiche interne per spiegare la fioritura e l’abolizione<br />
tardive delle corporazioni torinesi, pur essendo sostanzialmente prive di una tradizione medievale.<br />
Difatti, se <strong>nel</strong> Seicento sembra esistere un grande corpo <strong>nel</strong> quale confluiscono tanto gli interessi<br />
mercantili dei negozianti e dei banchieri quanto quelli produttivi della maggior parte degli artigiani<br />
della città , nei primi decenni del <strong>Settecento</strong> questa unità viene meno e la corporazione si frantuma<br />
fino a scomparire. Forze centrifughe portano i negozianti di stoffe in seta - importatori di stoffe<br />
lionesi e al contempo mercanti – imprenditori - a costituirsi in corporazione distinta dai mastri<br />
tessitori che a loro volta si danno una propria organizzazione corporativa, ma ben presto anche i<br />
lavoranti tessitori si renderanno visibili con proprie unioni finalizzate al mutuo soccorso.<br />
Dalla ricostruzione dei fatti relativi all’evoluzione settoriale del tessile –seta torinese emergerebbe la<br />
necessità di focalizzare l’attenzione sul mutamento delle condizioni di mercato come causa prima<br />
dell’agire di forze disgregatrici dell’unità iniziale. All’interno del grande corpo sorgono, infatti,<br />
interessi conflittuali che tendono a confrontarsi in forma organizzata. Gli interessi dei produttori<br />
sono altri da quelli dei mercanti ,dato che questi ultimi conseguono profitti più elevati<br />
commerciando le stoffe lionesi invece delle nazionali, ma proprio sui primi fa leva il potere centrale<br />
per piegare l’individualismo mercantile all’interesse più generale dello stato ponendo forti vincoli<br />
alla libertà d’intrapresa in cambio del privilegio concesso alla corporazione di esclusiva<br />
importazione . Dalla parte dei mastri tessitori , una élite tende a emanciparsi dalla subordinazione<br />
verso i mercanti importatori assumendo direttamente il controllo della distribuzione attraverso la<br />
doppia immatricolazione <strong>nel</strong>la università dei tessitori e dei mercanti di stoffe. I processi di<br />
concentrazione cui entrambi i soggetti danno vita per sostenere la concorrenza sui mercati<br />
internazionali, tuttavia, scatenano gli interessi in conflitto della base dei produttori che chiedono e<br />
ottengono limitazioni al numero di telai per mastro così come i lavoranti, che vedono ridursi le<br />
possibilità di progressione <strong>nel</strong>la carriera e perdono salario e lavoro in seguito al reclutamento da<br />
parte dei mastri di personale meno qualificato, chiedono e ottengono l’introduzione di limitazioni al<br />
numero degli apprendisti , ma soprattutto ottengono la possibilità di associarsi separatamente , sia<br />
pur per sole finalità assistenziali e previdenziali. In questo gioco delle parti le corporazioni<br />
sopravvivono fintanto che la base del mondo produttivo si aggrappa ai due principi fondanti del<br />
patto associativo: la distribuzione delle commesse tra tutti i mastri e la difesa del lavoro qualificato.<br />
Per quanto attiene all’aspetto della valutazione di efficienza ed efficacia dell’azione corporativa, si<br />
può ritenere che <strong>nel</strong>la produzione di alta qualità su piccola scala il ruolo svolto dal lavoro<br />
<strong>corporativo</strong> non abbia rappresentato sostanzialmente un elemento di ostacolo al raggiungimento dei<br />
traguardi di valorizzazione della risorsa serica nazionale indicati dalla programmazione sabauda,<br />
anche se i risultati non raggiunsero la dimensione auspicata. Difatti, mentre il gioco competitivo nei<br />
confronti del produttore francese era perfettamente riuscito con il semilavorato piemontese che<br />
aveva messo fuori mercato i filatoi d'Oltralpe, altrettanto non era avvenuto nei confronti di Lione per<br />
i beni finali. Sebbene fossero stati conseguiti traguardi produttivi non del tutto insignificanti e fosse<br />
cresciuta la capacità tecnica dei fabbricatori fino ai più alti livelli, sebbene esistesse una reale<br />
convenienza economica da parte dei consumatori esteri all'acquisto dei tessuti torinesi, il destino del<br />
settore <strong>nel</strong> corso del secolo rimase incerto. Attribuirne la causa unicamente al mantenimento del<br />
43
sistema <strong>corporativo</strong> appare riduttivo per la complessità delle variabili che interagivano. Se il<br />
successo di mercato dell'organzino piemontese si può ricondurre con relativa certezza al livello<br />
tecnico raggiunto dalle maestranze , <strong>nel</strong>la produzione dei tessuti il successo è decretato in misura<br />
altrettanto rilevante da componenti psicologiche assai forti in società altamente stratificate, come<br />
sono i giochi delle mode. Qui , decisivo diviene l'effetto pubblicitario esercitato dalla corte di un<br />
sovrano vincente e dunque potente. Gli ingrandimenti territoriali conseguiti dal Regno di Sardegna<br />
<strong>nel</strong> corso del <strong>Settecento</strong> potevano attirare l'attenzione dei consumatori dei tessuti preziosi verso la<br />
corte sabauda, ma impari rimaneva comunque la competizione con la corte dei re di Francia.<br />
44
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Materie Economiche= fondo delle materie economiche- commercio<br />
cat. = categoria<br />
m. = mazzo<br />
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