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gianfranco marziano: INFERNO

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<strong>INFERNO</strong><br />

CAP. I<br />

L’Italia è una repubblica infondata sul lavoro<br />

Dieci minuti dopo il casello avrebbe potuto essere<br />

ovunque.<br />

Cominciò a preoccuparsi, non troppo ma cominciò.<br />

"Poi c'è anche il modello col navigatore satellitare, ma<br />

saliamo di parecchio" aveva concluso il concessionario<br />

con tono di ammonimento paterno.<br />

Lui aveva abbassato gli occhi e si era vergognato di<br />

essere un po' povero. Non se l’era sentita di osare, però<br />

adesso se ne stava pentendo.<br />

Rate per rate era meglio fare un colpo di testa così<br />

almeno ora non si sarebbe trovato a cercare<br />

contemporaneamente di guidare e decifrare una cartina<br />

stradale del ‘90 mentre i camion lo rombavano dietro al<br />

culo.<br />

Guardò l'orologio falso vendutogli dall’amico “che ne<br />

capiva” (gli aveva assicurato che era identico a non so<br />

quale cazzo d’orologio di Berlusconi, solo che questo<br />

costava 20 euro).<br />

Fu solo in quel momento che si accorse quanto gli stesse<br />

male.<br />

La mamma aveva insistito perché mettesse quello d'oro<br />

buono ma lui sentiva di non meritarselo e poi aveva<br />

sentito dire di tossici extracomunitari che ti adocchiano<br />

negli autogrill e che ti trascinano nei cessi per rapinarti e<br />

figurati se a lui non capitava.<br />

La radio/lettoreCD gliela avevano già rubata il mese<br />

scorso, nonne aveva rimessa una nuova e allora gli<br />

avevano rotto un finestrino a sfregio.<br />

La cosa che lo aveva colpito non era tanto il danno<br />

economico quanto la consapevolezza patetica della sua<br />

totale impotenza nei confronti di un torto subito.<br />

Guardò di nuovo l’orologio, segnava ancora le 10.35,<br />

esattamente come venti minuti prima.<br />

Guardò l’orologio del cruscotto, segnava le 23.02, cosa<br />

altamente improbabile visto che era pieno giorno.<br />

Cercò il cellulare (con credito esaurito), lo incastrò nel<br />

cruscotto e cominciò a monitorare l’orario sul minuscolo<br />

2


display con un occhio mentre con l’altro cercava di non<br />

sfracellarsi sulla strada statale.<br />

Il display del Samsung segnava le 11.05, forse andava<br />

male, o almeno era questo quello che sperava.<br />

Il tempo cominciò a scorrere a velocità doppia, poi tripla,<br />

scartò una chewing gum e cominciò a masticare con aria<br />

da bello e maledetto (e anche un po' strafottente).<br />

Poi si ricordò che non era bello e provò a fare lo<br />

strafottente ma si pesò meglio e si rese conto che non<br />

poteva permetterselo.<br />

Era in ritardo, molto ben oltre un limite giustificabile.<br />

Si allargò nervosamente il nodo della cravatta, fino a<br />

quel momento aveva sempre creduto che quello fosse un<br />

gesto puramente cinematografico, accelerò senza motivo<br />

e quando toccò una velocità che non aveva mai toccato in<br />

vita sua un fotogramma gli balenò nell’estrema sinistra<br />

del suo campo visivo:<br />

SPARVIERO – serramenti e infissi in P.V.C .<br />

Era quella, era proprio quella ed era dall’altra parte!<br />

Pensò di tutto, fare inversione ad U, abbandonare la<br />

macchina e proseguire a piedi, trovare un telefono<br />

pubblico, chiamare e dire qualcosa tipo: “io vi vedo, vi<br />

ho trovati ma non riesco a raggiungervi, vale lo stesso?”.<br />

Fece l’unica cosa possibile, proseguì dritto finche non<br />

trovò uno svincolo a destra per un paese insignificante,<br />

“tanto poi chiedo..”, il ritardo sul ritardo adesso era di<br />

dodici minuti.<br />

Per qualche chilometro non incontrò niente e nessuno.<br />

Giunse a un bivio e prese la via sbagliata, se ne accorse<br />

dopo una decina di chilometri, tornò indietro e cercò di<br />

riflettere.<br />

Rimase cinque minuti fermo, imbambolato, cercando di<br />

pensare a qualcosa di utile ma gli venivano in mente solo<br />

valanghe di ricordi senza senso: amici delle scuole<br />

medie, sigle televisive, vacanze insignificanti, una rissa<br />

tra lavavetri.<br />

Imboccò l’altra strada mentre cercava di ricordarsi se<br />

aveva chiavato prima o dopo le vacanze di Natale.<br />

Si riprese nel parcheggio della ditta, alla disperazione<br />

era subentrata una strana calma, inquietante.<br />

Mentre si avviava verso l’ingresso della ditta si ricordò di<br />

quando era stato il paroliere di un gruppo di black metal,<br />

si firmava Master Therion: aveva previsto l’apocalisse e<br />

l’avvento della Grande Bestia per il 2000!<br />

3


SPARVIERO – serramenti e infissi in P.V.C, questo<br />

purtroppo non l’aveva previsto.<br />

Era il suo primo giorno di lavoro ed era in ritardo.<br />

Lo avrebbero cazziato come a un bambino, lui avrebbe<br />

cercato di difendersi, loro avrebbero ascoltato la difesa e<br />

poi lo avrebbero cazziato come a un cretino, cosa che<br />

infatti puntualmente accadde.<br />

Lo lasciarono nelle mani di una segretaria, la quale<br />

aveva assistito alla sua umiliazione con la fissità di un<br />

rettile e che fu ben lieta di fargli gli onori di casa con la<br />

giocosità, l’umanità e la leggerezza tipiche delle<br />

aguzzine frustrate.<br />

Il resto della giornata lo trascorse in un via vai frenetico<br />

da un compartimento aziendale ad un altro.<br />

Un infernale gioco dell’oca tra fotocopiatrici, dottori,<br />

ingegneri, signorine, computers, stampanti, tabelle,<br />

responsabili, magazzinieri, cancelli, cani, aiuole e cessi.<br />

Quella girandola di incontrì non fece altro che<br />

confondergli ulteriormente le idee e trasmettergli un<br />

senso crescente di inadeguatezza.<br />

Verso le 17 era stravolto dalla fame ed osò timidamente<br />

chiedere, ad un gruppo di tizi in giacca e cravatta che<br />

discorrevano amabilmente, se fosse prevista una pausa<br />

pranzo. Il più vecchio del gruppo lo fulminò con lo<br />

sguardo: “le sembro un addetto alla mensa?”.<br />

Cambiò reparto e chiese indicazioni ad un altro tizio che<br />

sorridendo gli suggerì di pensare “prima al lavoro e poi<br />

alla pappatoria”, infine si rivolse alla segretaria rettile<br />

che fu ben lieta di indicargli l’ubicazione della mensa<br />

“ovviamente già chiusa” come gli sottolineò con un<br />

sorriso polemico.<br />

Ci andò comunque, era deserta, c’era solo un inserviente<br />

che assunse subito un tono arrogante e gli chiese anche il<br />

tesserino mensa di cui naturalmente lui era sprovvisto.<br />

Riuscì a mendicare una mela e una bustina di zucchero.<br />

Tornò al reparto dove aveva incrociato la segretaria, che<br />

era ancora li,’ e che gli comunicò che il direttore lo stava<br />

cercando da un quarto d’ora.<br />

Alle 20 e qualche minuto aveva collezionato un numero<br />

di cazziate record per uno al suo primo giorno di lavoro.<br />

“Vabbè sono le otto passate, ormai la giornata è andata”<br />

fu il suo pensiero.<br />

Aspettò che qualcuno gli dicesse che poteva andarsene,<br />

“sarà questione di minuti” pensò.<br />

Rimase in attesa per un tempo imprecisato, mandarono<br />

un operaio ad avvertirlo che poteva andarsene.<br />

4


Uscì nel piazzale della ditta che puzzava di sudore freddo<br />

e di depliant, l’alito gli sapeva di mela e di sigaretta.<br />

Guardò l’orologio del siemens: le 23.14!<br />

In quel momento, e in quel momento solo, comprese che<br />

lo statuto dei lavoratori, i sindacati, la democrazia, il<br />

secolo dei lumi, la rivoluzione industriale, la<br />

costituzione, la filosofia, i filosofi, la politica, i libri, i<br />

giornali, la cultura, la musica, l’ossigeno e l’azoto non<br />

contavano nulla, non avevano mai contato nulla. Tutte<br />

queste belle conquiste rimanevano confinate fuori dai<br />

luoghi di lavoro ad aspettarti in macchina in sincero<br />

imbarazzo.<br />

Tornò a casa alle 2 passate, la madre lo aveva aspettato<br />

sveglia, “uè e allora come è andata?”<br />

La guardò, era stravolta dalla veglia e dalla<br />

preoccupazione e si sforzava di sorridergli. Pensò che<br />

anche se le avesse risposto che lo avevano sodomizzato,<br />

drogato, torturato e pisciato in faccia dopo avergli fatto<br />

rinnegare ad uno ad uno tutti i membri della famiglia sua<br />

madre non avrebbe smesso di sorridere.<br />

Tagliò corto e rispose: “bene, bene”.<br />

Si incamminò verso il bagno continuando a rispondere<br />

automaticamente “benissimo, no, no …tutto.. bene,<br />

veramente benissimo” mentre le domande della mamma<br />

si mescolavano col rumore dello scarico del cesso.<br />

5


CAP.II<br />

Probabilità<br />

In un altro luogo, in un’altra situazione e per tutt’altri<br />

motivi tale Claudio non prendeva sonno mentre rifletteva<br />

se quello che gli era accaduto era una cosa:<br />

a) buona<br />

b) ottima<br />

c) insignificante<br />

d) illusoria<br />

e) pericolosa<br />

f) preoccupante<br />

g) positiva<br />

h) negativa<br />

i) intrigante<br />

j) inesistente<br />

Verso le 3 giunse alla conclusione definitiva che era una<br />

cosa buona, anzi ottima.<br />

Ma allora perchè era preoccupato?<br />

Volle riesaminare nuovamente la cosa, così tornò<br />

indietro con il videoregistratore mentale alle 17 e<br />

qualcosa del giorno precedente.<br />

Ricordò distintamente di essere andato al cesso per pura<br />

noia e di esserne uscito dopo 30 minuti senza aver<br />

evacuato niente di niente, ricordava di essere sceso di<br />

casa per noia e di aver camminato per noia fino alla<br />

terrazza bar dello stabilimento, ricordava di essersi<br />

seduto su un dondolo vuoto e di essersi dondolato<br />

dimenticando, per qualche minuto, che la sua vita era<br />

noiosa.<br />

Aveva raggiunto una dimensione quasi zen di pace<br />

interiore che, con un po' di fortuna, avrebbe potuto durare<br />

per sempre quando una voce da gracula scema ruppe<br />

quell’incanto.<br />

“E che fai qua il filosofo?” Lui riconobbe la voce, “è<br />

impossibile”, pensò, “è impossibile”.<br />

“ Non ti giri nemmeno, stai pure dormendo? Il filosofo<br />

che dorme..hehhehe hehe heeh”.<br />

6


Era lui. Non poteva ancora vederlo ma sapeva che era lui.<br />

Per un momento sentì il sangue nel cervello diventare<br />

liquido freddo e pensò ad un ictus.<br />

In una frazione di secondo vide centinaia di cose, tutte<br />

brutte, e bestemmiò creato e creatore.<br />

Pensò addirittura di far finta di non aver sentito,<br />

compreso, capito o di mettersi a correre verso l’uscita,<br />

ma a cosa sarebbe servito? Era lui! Probabilmente aveva<br />

già disfatto i bagagli, magari proprio sul suo letto e<br />

magari aveva anche già rovistato nei suoi cassetti tra le<br />

sue scemenze più intime e poi lo aveva raggiunto,<br />

implacabile e preciso come un angelo punitore.<br />

Si girò con un sorriso falso e gli occhi tristi e mise il<br />

cervello in automatico: “Uè, zio Titino.”<br />

“Se, Se, zio Titino e zio Titino”, rispose pronto questa<br />

specie di emblema biologico dell’idiozia più irritante,<br />

“….tu sei un fetentone!”<br />

Era questi un coglione invadente con un nomignolo<br />

imbarazzante che come ogni fine estate veniva a<br />

infelicitargli la vita per 15 lunghissimissimi giorni, lui e ,<br />

quella vecchia cessa lumaca nanarospa della moglie.<br />

“Tu sei un fetentone”, ripeté con cadenza da ebete<br />

puntandogli il dito.<br />

Lui cominciò ad andare nel panico.<br />

Era vero che non era sceso di casa da molto tempo ma a<br />

quel vecchio cretino invadente potevano bastare pochi<br />

minuti per scoprire e leggere la sua agenda privata o per<br />

trovare il nascondiglio segreto dei suoi dvd porno o per<br />

controinterrogare tutti i suoi amici e nemici e farsi dire<br />

chi e che cosa…si calmò… forse stava esagerando. Forse<br />

zio Titino scherzava, diceva così per dire, si era<br />

semplicemente gettato avanti.<br />

Con un filo di voce e una risata falsa da fare schifo<br />

azzardò un : “perchè sono un fetentone? Che ho fatto?”<br />

“Eh lo so io, lo so io. Enza, Enza vieni a vedere a questo<br />

fetentone che ha fatto finta di non vederci”, il<br />

vecchiaccio si spostò lateralmente e come dal nulla<br />

apparve una lumaca vestita di viola con due occhi vitrei e<br />

pettegoli.<br />

“Uè zia Enza”, fece lui con la prontezza automatica di un<br />

flipper, “fetentone!” gli ribatté subito lei.<br />

Per un momento pensò a quei tizi che uccidono delle<br />

coppie di vecchi a martellate per fregargli la pensione e si<br />

immaginò la scena ristoratrice: Zio Titino e consorte<br />

spiaccicati un po' dappertutto nel salone, il servizio al<br />

Tg1, sua madre che li riconosce e che dice in lacrime<br />

7


…”e pensare che domani dovevano venire proprio da<br />

noi”.<br />

Non capiva cosa e perchè spingesse la madre e il padre<br />

ad invitare quei due brutti esempi di umanità.<br />

Non ricordava nemmeno più chi o cosa fossero e perchè<br />

li chiamasse zii.<br />

Forse la madre faceva una corte ereditaria a qualche loro<br />

segreta proprietà immobiliare o forse veramente si<br />

divertivano a giocare a e a parlare di che fine ha fatto zia<br />

tizia e zio caio e la sorella di cosa se si è sposata e il<br />

figlio di coso che si è messo con quella che già teneva un<br />

figlio…etc.<br />

In ogni caso Zio Titino e consorte ora erano lì, per<br />

quindici giorni, e lui tutto per loro.<br />

Solo che i conti non tornavano.<br />

Ebbe un riflesso istintivo, strinse la mano a zio Titino e<br />

disse: ci vediamo più tardi a casa, devo andare a fare un<br />

servizio a mam..” Non fini la frase, zio Titino gli afferrò<br />

il polso con una forza insospettabile: “ma dooove vaai,<br />

fetentone”, “tu non te ne vai da nessuna parte, eheh ehhe<br />

hehhehheheh” e lo afferrò per il collo spettinandolo<br />

completamente.<br />

Quel vecchio azzeccoso aveva una forza inspiegabile,<br />

quasi demoniaca, forse era davvero un demone mandato<br />

dall’inferno per punirlo. Ma di cosa? La sua vita era<br />

sempre stata noiosa ed inerte. Mentre subiva una stretta<br />

soffocante mista a odore di vecchio borotalcoso scorse a<br />

ritroso tutti i suoi peccati ma nonne trovò nemmeno uno<br />

significativo. “Chlaudio, gracchiò la moglie con lo<br />

sguardo vitreo e un sorriso indefinito, ti abbiamo trovato<br />

una bella ragazza, ora te la presentiamo, vieniti a sederh<br />

cco nnoi”.<br />

Ecco cosa non quadrava: con la coda dell’occhio aveva<br />

osservato qualcosa già da prima, qualcosa che la mente<br />

ancora non aveva messo a fuoco. C’era un tavolino che<br />

era sicuramente il tavolino occupato da zio Titino e<br />

consorte. Era il loro, lo sapeva perchè avrebbe<br />

riconosciuto quel borsello di merda tra un milione di<br />

borselli di merda. Zio Titino lo possedeva da tempo<br />

immemorabile, era come un martello di Thor vicino al<br />

quale stava adagiato una specie di scialle color violafunebre:<br />

la stessa tonalità del vestito di zia Enza. Ma il<br />

punto non era nemmeno questo.<br />

Il punto, invece, era la tizia seduta al loro tavolino.<br />

Non era possibile, non era un’impressione era proprio lei.<br />

Dio esisteva ed era un pervertito e lui adesso era curioso<br />

8


di sapere cosa Dio aveva escogitato per mettere zio<br />

Titino e zia Enza in relazione con quella tizia.<br />

Si chiamava Emanuela, e lui sapeva più cose su di lei di<br />

quanto ella potesse minimamente sospettare.<br />

Aveva trenta anni compiuti, forse trentuno o addirittura<br />

trentadue, ma di recente a un suo amico ne aveva<br />

dichiarati ventotto. Una decina di anni prima, o forse<br />

qualcosa in più, era stata una specie di Brook Shield<br />

locale. Frequentava i rampolli dei commercianti in auge e<br />

qualche sportivo locale, poi aveva fatto il colpo grosso<br />

fidanzandosi ( per un mese) col figlio di un deputato<br />

regionale.<br />

Poi il buio.<br />

Era comunque una di un livello che lui non aveva mai<br />

nemmeno sfiorato.<br />

A dire il vero non era nemmeno il suo tipo, ma chi gli<br />

avrebbe creduto.<br />

Era un biondastra tinta, di un metro e settanta con la<br />

faccia piccola e cattiva, lineamenti regolari, magra come<br />

un arpia muscolosa e si nutriva di roba insapore tipo<br />

fermenti lattici, cereali disidratati e succhi non<br />

zuccherati.<br />

Non aveva capito nemmeno lei per chi o cosa si tenesse<br />

ancora in forma.<br />

Il suo momento d’oro era passato e lei era rimasta zitella,<br />

ed ora erano cresciute nuove generazioni di giovanissime<br />

spregiudicate che spandevano bellezza a secchiate di<br />

fronte alle quali non potevi far altro che ritrarti come un<br />

polpo in tana e aspettare che passasse la tempesta.<br />

Insomma era una senza più fascino né mercato.<br />

Però lui una così non l’aveva mai nemmeno sfiorata.<br />

“Ciao, io sono Claudio” e le tese la mano come se avesse<br />

preso la rincorsa. Aveva impostato la voce, non pensava<br />

di fare colpo ma almeno di rendere la vita difficile a<br />

quella stronza. “piacere Emanuela”, rispose lei<br />

allungandogli da seduta una mano mezza moscia.<br />

“Senti Claudio”, disse ricomponendosi da una posizione<br />

stravaccata e giungendo le mani come fosse in preghiera,<br />

Claudio si fece attento, lei prese una lunghissima pausa<br />

come se cercasse il modo giusto per dire qualcosa. La<br />

pausa continuò, lui era tesissimo, valutava le ipotesi più<br />

disparate (e se mi confessa che è stata sempre<br />

innamorata di me? Davanti a zio Titino e a quella merda<br />

della moglie? No è impossibile e poi non si è nemmeno<br />

alzata per darmi la mano).<br />

9


In tutta questa pausa infinita Emanuela sembrava non<br />

curarsi minimamente della presenza di zio Titino e<br />

consorte appollaiati ad osservare la scena a meno di<br />

mezzo metro da loro con un sorriso da ebeti.<br />

Claudio si guardò alle spalle e vide i due coniugi in piedi,<br />

in attesa della prossima battuta, sporgersi come da un<br />

immaginaria balconata. La tensione gli deformava la<br />

percezione visiva con un leggero effetto grandangolare,<br />

gli sembrava di essere in un film di Kubrick. Poi<br />

improvvisamente i due vecchiastri si dileguarono dopo<br />

aver proferito una considerazione imbarazzante sui<br />

giovani e sull’amore.<br />

Emanuela continuava a rimanere con lo sguardo fisso ad<br />

un’altezza imprecisata come se attendesse una qualche<br />

forma di ispirazione.<br />

Claudio ruppe il silenzio: “Ma come lo conosci a zio<br />

Tit...”, “senti”, lo interruppe lei, “mica c’hai la<br />

macchina?”<br />

“No, perchè?” rispose Claudio d’istinto.<br />

“Nemmeno qualcuno che te la presta o la può prestare a<br />

me?”<br />

“No”, fece lui, “al momen…”, “vabbè” disse lei, non fa<br />

niente, alziamoci, vieni”, e si avviò fuori dallo<br />

stabilimento.<br />

Lui la seguì senza neanche accennare a rendersi conto di<br />

conto di cosa stesse succedendo, la raggiunse quasi di<br />

corsa, lei aveva già messo mano al cellulare e stava<br />

smanettando nervosamente.<br />

“Claudio hai credito sul cellulare?”<br />

“No, non ho il cellulare…appres…”, lei non fini<br />

nemmeno di ascoltare la risposta, premette un tasto,<br />

portò il cellulare all’orecchio ascoltò i primi due squilli e<br />

poi riattaccò. Seguì un minuto di silenzio glaciale con<br />

Claudio che cominciò a guardare il retro di un edicola in<br />

attesa di ordini, poi la stronza ripeté l’operazione,<br />

chiamata , due squilli, riattaccò e finalmente dopo altri<br />

30 secondi il cellulare della stronza squillò.<br />

“Uè”, fece lei , “ci possiamo vedere tra mezz’ora al bar<br />

di Canale, hai capito qual è? , si ha detto che li porta,<br />

Monica dobbiamo andarla a prendere, no ha detto che per<br />

i volantini se la vede lei….senti io per i corsi gia sto che<br />

non ti dico…eh sono 15, comunque mo sto con una<br />

persona, ci vediamo li, cià.”<br />

Claudio cominciò a scartare l’ipotesi che ella volesse<br />

confessargli il suo amore e continuò a guardare le riviste<br />

esposte sul retro dell’edicola. “Senti Carlo, scusami ma<br />

10


sai com’è”, “certo, certo”fece lui, senza sapere a che<br />

cazzo si riferisse.<br />

“Tu lavori”, le chiese lei a bruciapelo, lui lavorava come<br />

commesso part time in un negozio di videogiochi e<br />

modellismo alle dipendenze di un mezzo ricchione di 20<br />

anni viziatissimo e ricco, pieno di commessi che<br />

cambiava in continuazione, trattava una merda e che<br />

retribuiva con una mezza miseria di stipendio al nero e<br />

in ritardo, “più o meno” rispose, “perché?’” .<br />

“La nostra azienda…” esordì lei, quindi seguì un<br />

discorso probabilmente imparato a memoria del quale lui<br />

perse quasi subito il filo e alla fine del quale si ritrovò<br />

un biglietto in mano simile ad un menu di nozze che con<br />

aria esclusiva lo invitava ad un business planning party<br />

che si sarebbe tenuto sulla terrazza dell’hotel Raimo il<br />

giorno dopo alle ore 19.<br />

“Carlo ci terrei molto che tu ci verresti”, gli disse lei<br />

testualmente guardandolo negli occhi e stringendogli una<br />

mano, anzi un polso.<br />

Lui non tentò nemmeno di correggerla né sul nome e<br />

tantomeno sul verbo, tanto all’Hotel Raimo non ci<br />

sarebbe andato. Quella era un’adescatrice per corsi truffa,<br />

era già capitato ad un suo amico, ti promettevano un<br />

lavoro e poi ti obbligavano ad acquistare roba o ti<br />

iscrivevano ad un costosissimo corso di preparazione<br />

professionale che non serviva e non valeva un cazzo.<br />

Insomma, era stupido e credulone ma fino ad un certo<br />

punto.<br />

In questo caso però sarebbe stato irremovibile: non ci<br />

sarebbe andato!<br />

La decisione era stata presa!<br />

Il guaio ,pero,’ era che anche il destino aveva preso la sua<br />

decisione al riguardo e, purtroppo per lui, era esattamente<br />

opposta.<br />

“E bravo Claudietto!!!, Emanuela eh? Hai capito!”<br />

La voce e la violenta pacca sulla spalla che lo fecero<br />

sobbalzare dal nulla erano opera di Franco, uno schifo<br />

d’uomo, talmente brutto ed incapace che, dopo aver<br />

preso atto in tenera che tali qualità negative lo avrebbero<br />

accompagnato per sempre, aveva rinunciato ad avere una<br />

vita propria e si dedicava con inesauribile energia a<br />

rendere un po' peggiore quella degli altri.<br />

Essendo però un incapace, non era in grado di nuocere<br />

più di tanto a chicchessia Riusciva comunque ad<br />

infastidire il prossimo e talvolta, in maniera fortuita,<br />

addirittura a rovinargli qualcosa. Franco si fingeva<br />

11


grande amico di tutti e mostrava un’apparente<br />

disponibilità.<br />

Era prodigo di consigli ed informazioni non richieste,<br />

ovviamente erano cose inverosimili ed unicamente tese a<br />

farti sentire una merda, ma a volte alcuni ci cascavano e<br />

le prendevano per buone. Claudio, per esempio.<br />

“Uè Franco”, Claudio esordi subito con una<br />

giustificazione balbettata, “no…chi Emanuela..ma<br />

figurati, no..la conosco cosi…”.<br />

Franco il maligno inquadrò subito la situazione e partì<br />

lancia in resta: “Non mi dire che ancora non te la sei<br />

data?” e accompagnò quel “data” con un gesto osceno<br />

inequivocabile, “Oh Claudiè tu la sai la storia delle foto e<br />

del filmino su internet, no?” .<br />

“Quale storia”, chiese Claudio e fu la sua fine.<br />

Si ritrovò, senza sapere come, un’ora dopo a casa di<br />

Franco ad esaminare foto e un filmino scaricato da<br />

internet dove non si vedeva e non si capiva un emerito<br />

cazzo.<br />

C’era una tipa che avrebbe potuto essere chiunque, o<br />

qualunque cosa, che gemeva inquadrata non si capiva<br />

bene dove. Questo per dieci secondi, poi si vedeva un’<br />

inquadratura di un capocchione di cazzo sgocciolante<br />

quindi il filmino terminava.<br />

“Hai capito a Emanuela”, fece Franco con un tono da<br />

pornodivo consumato, “è ninfomane! Il tipo che se l’è<br />

chiavata nel filmino lo conosco, è uno che l’ha beccata in<br />

pullman, l’ha seguita, se l’è portata in un garage e se l’è<br />

chiavata. Ed è pure uno brutto, chiatto.”<br />

Ovviamente il racconto di Franco non era altro che una<br />

sua fantasia erotica sputtanatissima nella quale lui era il<br />

protagonista, ma era un racconto così assurdo che<br />

Claudio lo prese per vero.<br />

Essendosi instaurato un clima di complicità Claudio<br />

commise un errore madornale: confidò a Franco<br />

dell’invito all’hotel Raimo che Emanuela gli aveva<br />

lasciato.<br />

“Ho capito, è tutto chiaro” fece Franco impostando una<br />

recitazione decente, “l’hotel, lo conosco, fanno scambi di<br />

coppie, orge etc… Hai capito che culo che hai, in che ti<br />

ha messo in mezzo la puttanona??”.<br />

“Ma a me sembrava più una di quelle cose di lavoro dove<br />

vogliono appiopparti corsi”, tento di ribattere Claudio,<br />

“All’hotel Raimo? Claudiè? Ma hai capito di che albergo<br />

stai parlando?” . Lui nonne aveva la minima idea, come<br />

Franco del resto, ma cominciò a fantasticare di orge alla<br />

12


Eyes Wide Shut, e vuoi vedere che zio Titino niente,<br />

niente…bah, tutto poteva essere ma non era ancora del<br />

tutto convinto.<br />

Poi Franco pronunciò la formula magica in grado di<br />

convincere tutti i nullafacenti che non hanno né da<br />

perdere né da scegliere: “E vacci Claudiè, che ti costa,<br />

tanto che cazzo tieni da fare”.<br />

Questa semplice frase apparentemente amichevole, ma<br />

nella sua chiosa di una cattiveria sopraffina, gli instillò<br />

un senso di colpa che poteva essere rimosso solo<br />

prendendo parte al business meeting plan o come cazzo<br />

si chiamava e qualunque cosa fosse o significasse.<br />

13


CAP.III<br />

Il brindisi<br />

“Mo ti sei messo a lavorare eh? E bravo! Che? Mo non<br />

sei più comunista eh?”<br />

“Ma che centra comunista”, tentò di ribattere Sergio, ma<br />

subito lo incalzò un altro : “Che centra? Ma lo sai la<br />

Sparviero di chi è, è di Marotta, ò consigliere… che roba<br />

è Alfrè? Alleanza Nazionale, Forza Italia?”<br />

Alfredo annuì con la testa anche se non sapeva<br />

nemmeno se tale Marotta esistesse o meno.<br />

Quello che aveva appena parlato era Giacomo, 47 anni<br />

circa, informatissimo su tutto, non laureato, il cui unico<br />

scopo nella vita era di fare l’errata corrige umano davanti<br />

al bar con dei disgraziati pari suoi.<br />

“Sergiolì”, intervenne un nano magro alle sue spalle,<br />

“stai a sentire a mmè, mandali affanculo tu a loro, prima<br />

che ti mandano affanculo loro a te”.<br />

Era domenica mattina e “Sergiolino” stava subendo un<br />

vero e proprio processo politico/esistenziale davanti al<br />

bar. Giudici accusa e giurati ovviamente i suoi più cari<br />

amici, cari perchè unici, che non gli avevano perdonato<br />

quel cambio di passo sociale nei loro riguardi.<br />

Ora sapeva cosa gli sarebbe accaduto, l’avrebbero<br />

isolato, sparlato, diffamato, sputtanato, tutto tranne che<br />

invidiato, perchè anche le ultime merde della società<br />

avevano intimamente compreso che chi lavora oggi è uno<br />

sfigato.<br />

Un tempo anche tra loro trovare un lavoro era<br />

considerata una fortuna, o meglio, una cosa da invidiare.<br />

Poi un giorno avevano visto un loro amico,<br />

invidiatissimo, che insegnava italiano in un istituto<br />

tecnico, essere accostato da una macchina che costava<br />

quanto due suoi stipendi annuali. Dalla macchina era<br />

uscita una voce da cavernicolo viziato: ”Prufessò!”, poi<br />

era spuntato dal finestrino un braccio con una<br />

bomboletta, una nuvola di schiuma, una risata collettiva e<br />

la macchina era ripartita sgommando.<br />

Il loro amico si era tolto gli occhiali e aveva iniziato una<br />

mortificante operazione di pulizia e aveva abbozzato una<br />

14


giustifica con un sorriso imbarazzato: “no…sono alunni<br />

miei…che cape di merda che tengono”.<br />

Nessuno di loro era stato in grado di dire niente ma tutti<br />

istantaneamente avevano rimosso l’invidia che nutrivano<br />

nei suoi riguardi e l’avevano sostituita con una sorta di<br />

compassione acida.<br />

“Mo non mi dire che stasera non ti vieni a vedere<br />

nemmeno gli Enoch”, lo ammoni severo Giacomo.<br />

“ E chi cazzo sono gli Enoch?”, ribatté Sergio d’istinto,<br />

“Chi sono?”, qui Giacomo fece una pausa, si sistemò gli<br />

occhiali, fece un sorriso di commiserazione e poi attaccò<br />

con tono ironico: “niente, e chi devono essere…., hanno<br />

solo anticipato i Genesis di quasi 10 anni e i Pink Floyd<br />

si sono ispirati a loro, anzi diciamo che li hanno<br />

scopiazziati in lungo e in largo e non lo dico io lo<br />

ammette lo stesso Nick Mason. Melody Maker definì<br />

Gerardo De Tommaso, il tastierista cantante,“the Italian<br />

Syd Barrett”, ti ho detto tutto”.<br />

Ci fu un attimo di pausa, tutti guardarono Sergiolino che<br />

con un filo di voce pronunciò una frase di cui si capì solo<br />

“alzare, dovere, presto, lavorare”.<br />

Lo lasciarono solo col conto di due bitter e due caffé da<br />

pagare.<br />

CAP.III (bis)<br />

Alvi Wharol<br />

“Madò c’e ancora gente che va appresso al progréssive,<br />

bah!”<br />

Chi aveva pronunciato questa frase, non raccolta né<br />

ascoltata da nessuno, accompagnandola con un teatrale<br />

gesto di disgusto da dandy condominiale, era tale<br />

Domenico, un finto giovane che ogni mattina indossava<br />

una personalità diversa cosi come uno può indossare un<br />

vestito diverso. Nel suo caso erano tutti vestiti da 30 euro<br />

(scarpe comprese) così come le sue personalità.<br />

Domenico aveva il dono di passare inosservato, il suo era<br />

quasi un superpotere.<br />

La cosa bella era che anziché sfruttarlo per fare, ad<br />

esempio, il corriere per la malavita, cercava, al contrario,<br />

di farsi notare a tutti i costi.<br />

Purtroppo gli unici che talvolta lo avevano notato erano i<br />

giovinastri dei quartieri popolari i quali, essendo figli del<br />

loro tempo, avevano come modello di riferimento l’uomo<br />

15


vincente, un superuomo, non alla Nietzsche ma alla<br />

Scarface.<br />

Ovvio che la cosa che istintivamente odiavano di più era<br />

il fallito atteggiato, soprattutto se andava in giro in<br />

filovia o, peggio ancora, a piedi come appunto nel caso<br />

di Domenico ed perdippiù abbigliato anche alla David<br />

Bowie con tanto di ciuffo viola, occhiale dei marocchini<br />

e, cosa gravissima, un cellulare vecchio, uno di quelli che<br />

non valeva la pena nemmeno rubare, uno di quelli<br />

dismessi che i giovinastri abbandonavano in qualche<br />

angolo della casa e che i fratellini piccoli recuperavano<br />

per giocarci.<br />

I giovinastri rallentarono col motorino color squalo, uno<br />

era vestito tipo rapper, con una tuta in acetato da arresti<br />

domiciliari , l’altro invece era un simil Costantino con<br />

gilet con collo di pelliccia e una faccia che avrebbe<br />

dovuto essere lampadata e che invece era bianca e tesa<br />

come quella di un predatore cimiteriale.<br />

Avevano degli occhiali scuri ed enormi che li facevano<br />

somigliare agli alieni di Roswell.<br />

Lo inquadrarono quasi subito, diedero una scorsa veloce<br />

ai suoi vestiti cercando nel loro archivio mentale di<br />

inquadrare a cosa corrispondesse uno che si vestiva così.<br />

Purtroppo per Domenico nel loro archivio mentale alla B<br />

non c’era nessun Bowie ma al massimo Bobo Vieri e lui<br />

non gli somigliava affatto. Domenico inquadrò subito il<br />

pericolo e per darsi un tono tirò fuori il cellulare<br />

cominciando una specie di pantomima di conversazione<br />

manageriale come per dire: sono troppo preso dagli affari<br />

per occuparmi anche dei pericoli del mondo reale.<br />

Fu quello il suo errore.<br />

Il balordo che guidava inquadrò subito marca e modello<br />

del cellulare, capì che non c’era niente da rapinare e che<br />

quello era un pezzente senza una lira che si atteggiava<br />

pure.<br />

La punizione scattò automatica.<br />

“Uè, fece il primo giovinastro all’indirizzo di Domenico,<br />

“Uè mongoloide!”, ribadì urlando. Domenico tento di<br />

bluffare portandosi il cellulare all’orecchio come se non<br />

sentisse bene e facendo un cenno da segretaria ai due<br />

come per dire : “giusto un attimo di pazienza e il dottor<br />

Tronchetti Provera sarà da voi”.<br />

Il simil Costantino, con una precisione da circo, gli<br />

lanciò un mozzicone di sigaretta acceso tra l’occhio e gli<br />

occhiali, Domenico urlò e si portò le mani agli occhi.<br />

16


Il mozzicone gli ricadde in una specie di panciotto e<br />

cominciò a bruciacchiargli la camicia arabescata.<br />

Domenico cominciò a saltellare alla cieca cercando di<br />

domare quel penoso inizio di incendio.<br />

Intanto il giovinastro pilota rimise in moto il mezzo, era<br />

indeciso se investirlo, o dargli un cazzottone in faccia,<br />

poi ebbe un lampo di ispirazione, gli strappò il cellulare<br />

da mano e riparti a velocità folle, urlandogli qualcosa<br />

sulla sua condizione economica e scagliò il telefonino<br />

contro la fiancata di un palazzo.<br />

L’apparecchio esplose come fosse stato di vetro.<br />

Non lo soccorse nessuno, tranne i due giovinastri<br />

nessuno sembrava essersi accorto di lui.<br />

Per fortuna riuscì a recuperare la scheda e la batteria che<br />

,non si sa mai, poteva sempre servire.<br />

Qualche ora dopo aver rimosso il trauma e avendo<br />

constatato l’impossibilità di procurarsi un nuovo<br />

cellulare in tempi brevi, acquistò una scheda telefonica.<br />

Aveva un appuntamento in serata con tale Marisa<br />

conosciuta ad una mostra-mercato equo solidale.<br />

Se Marisa fosse stata un prodotto sarebbe stato un<br />

prodotto equo-solidale, tipo quella cioccolata che non sa<br />

di un cazzo, con un vago aroma di mangime per<br />

pappagalli ed un odore speziato.<br />

Marisa invece odorava di maglioni ammuffiti e di capelli<br />

unti, ma era quanto di meglio Domenico potesse<br />

permettersi in quel periodo.<br />

Come tutte le donne di questo tipo era presuntuosa in<br />

maniera sconsiderata ed era inoltre molto permalosa e<br />

molto tirchia.<br />

Marisa odiava la bellezza in qualsiasi forma e di riflesso<br />

odiava qualsiasi cosa che potesse dare allegria.<br />

Pertanto, tutti i suoi gusti, dalla cucina, alla musica, al<br />

cinema, erano tarati sull’aberrante.<br />

Ascoltava, e obbligava i suoi spasimanti ad ascoltare, cd<br />

di free jazz disconosciuti dagli stessi autori. Mangiava<br />

piatti che definiva “etnici” realizzati perlopiù con verdure<br />

locali semiammuffite e salsine orientali scadute. Il tutto<br />

era accompagnato da un vino di merda travasato da<br />

bidoni di plastica bianca definito da lei “vino genuino del<br />

mio paese” che, mischiato ai “piatti etnici,” ti faceva<br />

istantaneamente puzzare l’alito come il maglione di<br />

Marisa.<br />

Ovviamente come tutte le brutte trasandate aveva uno<br />

stuolo di gente appresso che immaginava che fosse facile<br />

chiavarsela.<br />

17


In parte era vero.<br />

Marisa aveva decine di amanti suddivisi più per fasce<br />

d’età che per fasce di reddito.<br />

C’era una fascia di 40/50enni composta da pittori, poeti,<br />

fotografi etc…ed altri dediti ad attività non redditizie che<br />

bazzicavano gli assessorati locali per mendicare una<br />

vetrinetta annuale in una manifestazione contro una<br />

guerra, un alluvione o qualche altra sciagura planetaria.<br />

Poi c’erano i 30enni suddivisi tra fuorisede, fuoricorso,<br />

musicisti etnici e coltivatori di hashish, ed infine c’era<br />

una fascia esigua di giovanissimi sconvolti o ubriachi,<br />

concupiti al volo in occasioni mondane tipo falò e<br />

concerti all’aperto.<br />

Chiudeva l’harem qualche extracomunitario.<br />

Domenico si era messo in fila ed era venuto anche il suo<br />

turno, non di fottersela ma di corteggiarla. Marisa gli<br />

aveva concesso un: ” richiamami che ti faccio sapere”,<br />

era un occasione unica e doveva giocarsela per bene.<br />

Infilò la scheda nel telefono pubblico, erano le 15 e<br />

qualcosa e compose il numero del cellulare di Marisa.<br />

Dalle 15 alle 17 il cellulare non era raggiungibile, dalle<br />

17 alle 18.30 non agganciava inspiegabilmente nemmeno<br />

la linea, alle 19 abbondanti il telefono suonava ma<br />

Marisa, da vera diva, non rispondeva poiché non<br />

compariva l’identificativo di chiamata.<br />

Domenico ci mise circa mezz’ora per realizzare che le<br />

cabine telefoniche non danno l’identificativo di chiamata<br />

e ce ne mise un’altra mezza per realizzare qual era la<br />

politica adottata da Marisa al riguardo.<br />

Poi ebbe un lampo di genio: il cineforum, forse lei era lì.<br />

Cominciò a correre dopo aver dimenticato di ritirare la<br />

scheda inutilizzata.<br />

Correva, sudava, ansimava per, cosa tremenda, una che<br />

nemmeno gli piaceva.<br />

Se ne chiese anche il perchè, ma non gli venne in mente<br />

niente.<br />

Il perchè, invece, era dato dal fatto che Domenico era<br />

uno di quelli che si sarebbero innamorati di una<br />

qualunque donna con dei tratti somatici appena regolari,<br />

ma questa risposta, per uno che ambiva ad essere l’Oscar<br />

Wilde etero della sua epoca, non era accettabile.<br />

Giunse nella piazzetta antistante al cineforum, Marisa era<br />

seduta su un muretto con altre due arpie e si passavano<br />

un birra da 3/4 di una marca sconosciuta.<br />

Domenico la salutò trafelato, Marisa si accorse di lui solo<br />

quando lo ebbe a 30 centimetri di distanza.<br />

18


Il film era già iniziato, Marisa aveva sperato sino<br />

all’ultimo momento di incontrare qualcuno per<br />

scroccargli il biglietto d’ingresso. All’apparire di<br />

Domenico ebbe una nuova idea.<br />

“Madonna, ho una fame, ci compriamo qualcosa?”, e,<br />

dicendo questo, scese dal muretto, si mise sottobraccio a<br />

Domenico e, con fare fidanzatesco, comincio a<br />

trascinarlo verso una rosticceria.<br />

19


CAP.IV<br />

Professionalità<br />

“Eccolo là, il nostro rubacuori, il nostro don Giovanni<br />

Casanuova!”, questa citazione erudita di zio Titino<br />

accolse il rientro di Claudio in casa.<br />

“Casanuova!”, gli fece eco la moglie batrace.<br />

Erano già tutti a tavola.<br />

La cena fu un martirio di luoghi comuni, proverbi del<br />

genere “al cuor non si comanda”, sorrisini complici e<br />

risate da malati di mente.<br />

“Claudio”, disse zio Titino fissandolo con degli occhi da<br />

faina, “quella è una ragazza in gamba, stalle appresso,<br />

che tiene bei progetti per te”. Quella frase enigmatica gli<br />

gelò le speranze, forse era solo una venditrice di corsi ma<br />

ormai il virus del dubbio gli rodeva l’anima, Franco il<br />

pallista maligno aveva vinto, era solo una questione di<br />

tempo.<br />

Il giorno seguente si svegliò nel panico.<br />

Non si erano nemmeno scambiati i numeri di cellulare<br />

quindi doveva basarsi unicamente sulle poche indicazioni<br />

riportate nell’invito.<br />

Non si sentiva benissimo, aveva un po’ di diarrea,<br />

doveva essere stata quella merda di dolce alle noci opera<br />

di zio Titino e consorte.<br />

Aveva la pressione bassa.<br />

Era una giornata caldo umida, pioveva a chiazze e dove<br />

non pioveva c’era un sole che ti spaccava il culo.<br />

Claudio rovistò in una cassettiera gigante, trovò lo<br />

stradario provinciale sotto degli addobbi natalizi.<br />

Cominciò una lunga operazione di intelligence tra pagine<br />

gialle, stradario Michelin e Guida Tuttocittà: alla fine si<br />

arrese e telefonò all’hotel Raimo.<br />

“Hotel Raimo?....si, cioè un’informazione…dove<br />

siete….no ho capito ma mi può dare un riferimento<br />

meglio…si, si, no non lo so dov’è, si, si”.<br />

La reception dell’hotel lo trattò da deficiente, ci mancò<br />

poco che cominciassero a sfotterlo in maniera palese.<br />

Si era fatto un idea più o meno vaga di dove poteva<br />

essere l’hotel, aveva quasi pensato di chiamare Franco<br />

per chiederglielo ma aveva il terrore inconscio di<br />

smascherarlo come bugiardo.<br />

20


“Vabbè”, pensò, ” prendo la macchina e poi si vede”. La<br />

macchina in quel preciso istante si trovava a circa 150<br />

km. di distanza diretta verso un santuario collinare di una<br />

madonna locale e baldanzosamente guidata da zio Titino.<br />

“Potevi dircelo che ti serviva la macchina” lo ammonì<br />

sua madre dal cellulare, lui non replicò niente e si diresse<br />

all’ufficio dei bus.<br />

Comprò un biglietto che copriva tutta la provincia per 24<br />

ore, poi si diresse alla pensilina dei bus dove<br />

campeggiava una cartina gigantesca con orari e percorsi<br />

di tutte le linee.<br />

Una “crew”di bombolettari composta da figli dei più<br />

facoltosi professionisti cittadini aveva inchiavicato la<br />

cartina con scritte e simboli appartenenti ad una cultura<br />

underground distante circa 8000 km da loro. Non si<br />

vedeva più un cazzo.<br />

Tornò nell’ufficio dei bus, chiese informazioni a dei tipi<br />

vestiti da autisti, questi si consultarono per un paio di<br />

minuti circa poi emisero il verdetto: “dovete prendere il<br />

24, scendere prima dell’autostrada e poi vi conviene<br />

farvela a piedi per la via che scende, saranno un 800<br />

metri”.<br />

Claudio seguì le istruzioni scrupolosamente.<br />

Prese il 24 e aspettò nervosamente la fermata prima<br />

dell’autostrada. Le mani gli sudavano, si accorse di aver<br />

ridotto l’invito all’hotel a guisa di uno strofinaccio da<br />

cesso, lo piego in 4 e se lo infilò in una tasca della<br />

giacca.<br />

Scese.<br />

La fermata prima dell’autostrada era nel bel mezzo del<br />

nulla.<br />

In lontananza, a circa 500 metri, si intravedeva un bivio,<br />

doveva esser quella la strada che scendeva.<br />

Claudio giunse al bivio sudacchiato, faceva un caldo<br />

inspiegabile per quell’ora e quel mese. Erano le 18.30,<br />

aveva un’ora abbondante, non c’era da preoccuparsi o<br />

così pensava.<br />

Quello che non sapeva, però, è che il dipendente della<br />

compagnia di bus che gli aveva dato l’indicazione o<br />

doveva essere un avatar di Franco, incarnatosi per<br />

l’occasione, o doveva aver preso come riferimento<br />

qualche sistema di coordinate spaziali che comprendesse<br />

dei tunnel spazio temporali perchè dal bivio al quale<br />

Claudio si trovava fino all’ingresso dell’hotel Raimo<br />

mancavano la bellezza di 6635 metri.<br />

21


Claudio giunse sulla terrazza dell’hotel Raimo alle 20.20.<br />

Sembrava un ubriaco che era stato licenziato in tronco.<br />

Aveva perso l’invito ma nessuno sembrò fregarsene.<br />

Non c’era alcun controllo all’ingresso, giusto una freccia<br />

gialla con un logo aziendale che indirizzava gli invitati<br />

verso la terrazza dell’hotel.<br />

Claudio seguì la freccia e si trovò al cospetto di un buffet<br />

intatto con degli addobbi tristissimi in plastica che<br />

riproducevano chincaglierie di lusso.<br />

C’erano di una trentina di disoccupati, a disagio in<br />

giacche e cravatte prestate, che pascolavano<br />

nervosamente a testa bassa. Sembrava una tonnara nelle<br />

fase che precede la mattanza.<br />

Emanuela comparve dal nulla reggendo un microfono da<br />

karaoke collegato ad un amplificatore da karaoke.<br />

Memore di quando presentava tornei per bambini negli<br />

stabilimenti balneari si lanciò in un discorso di<br />

benvenuto ampiamente collaudato.<br />

Claudio capì immediatamente che la possibilità che<br />

quella serata finisse in un orgia era seconda solo ad un<br />

invasione aliena che avesse come epicentro la terrazza di<br />

quell’hotel.<br />

Emanuela lasciò subito la parola a tale Massimo che<br />

sembrava il fratello fascista di Di Canio.<br />

Massimo attaccò uno discorso finto-improvvisato<br />

imparato a memoria a prezzo di chissà quali sacrifici<br />

mentali durante il quale si presentò attribuendosi una<br />

qualifica di tipo manageriale lunghissima e in inglese.<br />

Più che un manager aziendale ti dava l’idea di uno di<br />

quelli “italiano seconda lingua” che potevano passare<br />

dalla cortesia commerciale ad una testata sul setto nasale<br />

in meno di mezzo secondo.<br />

Claudio fece l’unica cosa sensata della giornata: girò sui<br />

tacchi e imboccò l’uscita.<br />

Forse era ancora in tempo per beccare il 24 che tornava<br />

in città.<br />

22


CAP.V<br />

Curriculums<br />

La fotocopiatrice sembrava guardarlo, aveva un pannello<br />

di controllo che sembrava il polsino di Predator, bello,<br />

fluorescente e totalmente incomprensibile.<br />

Sergio, la scrutò per buoni 5 minuti finché a 5 metri di<br />

distanza si materializzò la segretaria serpe che,<br />

vedendolo in difficoltà, cominciò a fissarlo immobile,<br />

con una perfidia glaciale.<br />

Sergio andò in paranoia e si sentì in dovere di fare<br />

qualcosa.<br />

Cominciò a premere dei simboli luminosi a caso.<br />

Non successe niente.<br />

Cercò allora di sollevare di forza il pannello superiore<br />

dell’apparecchio, ma era impossibile.<br />

Cercò un pulsante che lo sollevasse, non ce n’erano.<br />

Dopo due minuti esatti il dirigente che aveva incaricato<br />

Sergio di fotocopiargli in A3 la pagina 47 si affacciò<br />

sulla soglia del suo ufficio urlando: “ALLORA?!, ‘STA<br />

CAZZO DI FOTOCOPIA, DEVO CHIAMARE UNA<br />

DITTA APPOSITA?”<br />

Fu a quel punto che la serpe si mosse.<br />

Rapida e meccanica sfilò la rivista dalle mani di Sergio e<br />

in meno di 30 secondi ottenne una fotocopia A3 a colori<br />

di pagina 47.<br />

Sergio, si chiese come avesse fatto a indovinare la pagina<br />

e il formato, lei lo dribblò e consegno la fotocopia<br />

personalmente nelle mani del direttore accompagnando il<br />

gesto con un sorriso da contabile di lager.<br />

Sergio rientrò imbarazzato nel ufficio del dirigente che<br />

non lo degnò di uno sguardo. “Vada da Myriam e mi<br />

prenda un caffé, NON NEL BICCHIERINO DI<br />

PLASTICA, VOGLIO BERE UN CAZZO DI CAFFÈ<br />

IN UNA TAZZINA DI CE-RA-MI-CA, CRISTO DI<br />

UN DIO!”<br />

Sergio uscì dalla stanza senza avere la minima idea di chi<br />

cazzo fosse Myriam, poteva essere anche il nome di un<br />

bar.<br />

23


Myriam si trovava due piani più sotto, tra l’individuarla,<br />

recuperare una tazzina di ceramica e preparare il caffé<br />

passò mezz’ora.<br />

Sergio si chiese perchè il tempo lo odiasse così tanto.<br />

Quando rientrò nella stanza/ufficio del dirigente per<br />

portarglielo, il caffé era appena tiepido, il che, dopo il<br />

bicchierino di plastica, era la cosa che faceva incazzare di<br />

più il dirigente in questione.<br />

Era ormai il suo quinto giorno alla Sparviero e non<br />

aveva ancora capito che cazzo di lavoro facesse o cosa si<br />

aspettassero da lui.<br />

Aveva collezionato una serie ininterrotta di cazziate e di<br />

brutte figure, “forse è normale all’inizio” ,pensò, “finché<br />

non ingrano”, gli sfuggiva però cosa mai dovesse<br />

ingranare.<br />

La segretaria rettile gli spuntò alle spalle mentre il<br />

dirigente si accingeva a cazziarlo di nuovo.<br />

“L’ingegnere lo vuole in amministrazione” sibilò, “A<br />

chi?” rispose il dirigente visibilmente alterato, la<br />

segretaria gli indicò Sergio con la testa, “e portatelo va<br />

che è meglio”.<br />

Sergio aveva perso anche l’onore dell’ordine diretto.<br />

La seguì con la dignità di un cavia umana, ormai era<br />

troppo tardi per recuperare.<br />

L’ingegnere lo attendeva col suo curriculum in mano,<br />

Sergio capì subito cosa stava per accadere, pensò persino<br />

di scappare.<br />

Sergio era in grado di accendere un personal computer,<br />

fare clic sull’icona di explorer, connettersi a internet,<br />

controllare la posta e scrivere un curriculum guidato con<br />

Microsoft Word.<br />

Forte di queste conoscenze, e su consiglio di un amico<br />

fidato, aveva dichiarato di conoscere ed utilizzare a<br />

livello professionale: Microsoft Excel, Power Point,<br />

Linux, Unix, Java e Visual Basic (qualunque cosa<br />

fossero).<br />

“Sergiolì tu scrivi così, è una formalità lo fanno tutti,<br />

nessuno se ne fotte se è vero o meno, loro lo sanno che tu<br />

non li sai usare, ma devi far vedere che lo scrivi, hai<br />

capito?” .<br />

A lui sembrava un ragionamento senza capo né coda,<br />

soprattutto perchè veniva da un disoccupato che non<br />

aveva mai messo piede in un’azienda in vita sua, ma<br />

decise di seguire il consiglio perchè lo faceva sentire<br />

molto rampante e spregiudicato, in linea, una volta tanto,<br />

con lo spirito dei tempi.<br />

24


L’ingegnere era un maniaco dell’informatica con seri<br />

problemi di eiaculazione precoce.<br />

L’unica sua vera soddisfazione era poter dimostrare<br />

l’incompetenza e l’ignoranza altrui nell’utilizzo di<br />

funzioni particolari di applicativi software o di comandi<br />

dei sistemi operativi.<br />

Quando gli portarono Sergio, al quale il giorno prima<br />

aveva inutilmente affidato una serie di mansioni da<br />

svolgere su Excel, tremava quasi per l’eccitazione.<br />

Rispedirono Sergio all’agenzia interinale ,dalla quale lo<br />

avevano raccattato per imperscrutabili motivi,<br />

accompagnandolo con una sorta di foglio di via dal<br />

mondo del lavoro occidentale.<br />

Quando la madre se lo ritrovò in casa già alle 18 di<br />

quello stesso giorno, non disse niente e gli voltò le<br />

spalle:”stasera qui non si mangia, vedi dove devi andare”<br />

e sbattette la porta della cucina-lavanderia.<br />

La buona notizia, però, era che quella sera stessa ci<br />

sarebbe stato un concerto di gruppi locali ai giardinetti<br />

più l’esibizione di una band di Genova (la cosa era<br />

sottolineata sul manifesto con molta enfasi) che era la<br />

vera attrazione della serata.<br />

Sergio scese subito di casa senza nemmeno cambiarsi<br />

d’abito, ora doveva riconciliarsi con gli amici:<br />

innanzitutto con Giacomo.<br />

“Signora c’e Giacomo, sono Sergio”, al citofono rispose<br />

una voce d’oltretomba: “noooh Giacumino ha scces, o,<br />

concert’” e qui l’anziana madre ebbe un mezzo enfisema<br />

polmonare.<br />

Sandro non salutò nemmeno e si diresse dritto ai<br />

giardinetti.<br />

Giacomo era già li che si stava facendo autografare una<br />

locandina da un morto di fame seduto in un furgone. “Uè<br />

Sergio e che fai qua?”, Sergio raccontò una mezza verità,<br />

infarcita di cose e frasi che gli sarebbe piaciuto aver detto<br />

e fatto.<br />

Giacomo non sembrò interessarsene più di tanto.<br />

“Sergiolì stasera ci sono gli Zoso te ne rendi conto! Sono<br />

di Genova!” . Sergio colse solo il fatto che Giacomo lo<br />

aveva chiamato Sergiolino, il che significava che era<br />

stato reintegrato nel branco, ma chi fossero gli Zoso e<br />

perchè essere di Genova fosse un titolo di merito per lui<br />

rimaneva un mistero.<br />

“È considerata la migliore cover band degli Zeppelin e<br />

non lo pensa solo il sottoscritto ma anche …” Giacomo<br />

25


tenne una lectio magistralis su un gruppo conosciuto solo<br />

da lui e dagli amici intimi dei membri del gruppo.<br />

Sergio si chiedeva spesso dove Giacomo prendesse tutte<br />

quelle informazioni visto che non aveva soldi nè per<br />

libri, né per riviste e tantomeno per un collegamento<br />

internet.<br />

La risposta era semplice: Giacomo bazzicava, anzi<br />

viveva nelle emeroteche, biblioteche e uffici<br />

Informagiovani del Comune.<br />

Aveva decine di tessere di associazioni culturali ,<br />

scroccava internet dall’Informagiovani (riservato ai<br />

minori di 35 anni) e raccattava riviste invendute dalle<br />

edicole o fanzine gratuite dai negozi di dischi e di<br />

fumetti.<br />

Era un pezzentone senza vergogna.<br />

Una sera erano miracolosamente usciti in comitiva con<br />

delle ragazze. Mentre passeggiavano Giacomo aveva<br />

avvistato un vecchio pc, abbandonato vicino ad un<br />

cassonetto dell’immondizia e si era fiondato subito ad<br />

agguantarlo come se temesse che qualcuno del gruppo<br />

potesse precederlo. Le ragazze lo avevano guardato<br />

allibite e lo stupore si era trasformato in disgusto quando<br />

lo videro letteralmente scomparire nel cassonetto<br />

dell’immondizia e riemergere brandendo una stampante<br />

ad aghi praticamente inutilizzabile. Ora stava<br />

sproloquiando sugli Zoso di cui aveva avuto notizia<br />

tramite una newsletter di sfigati che si scambiavano<br />

informazioni su emuli rionali di gruppi morti e sepolti.<br />

La cosa sorprendente di Giacomo era che, nonostante la<br />

sua apparente erudizione enciclopedica, non capiva un<br />

emerito cazzo di musica.<br />

Aveva un orecchio da somaro col cimurro e non avrebbe<br />

distinto una scala maggiore dall’antifurto di un motorino<br />

nemmeno sotto tortura. Era patologicamente incapace di<br />

riconoscere il talento ma elargiva patenti di genialità o<br />

stroncature feroci in base a dei suoi codici<br />

imperscrutabili.<br />

Giacomo era convinto che il mondo brulicasse di geni<br />

sconosciuti e che invece quelli riconosciuti erano stati<br />

solo più fortunati o inclini “a vendersi”.<br />

Spesso adduceva il suo caso come esempio, anche se non<br />

aveva mai specificato in quale campo l’umanità avrebbe<br />

dovuto riconoscere la sua genialità.<br />

Gli Zoso erano un gruppo sui 30 anni, avevano scoperto i<br />

Led Zeppelin negli anni 90 e avevano scelto di creare una<br />

26


tribute band dedicata agli “Zep” perchè le altre band<br />

famose se le erano già accaparrate altri.<br />

Più che la passione per i led Zeppelin l’unica cosa che<br />

accomunava i membri della band e che suonavano tutti<br />

maluccio.<br />

Il batterista era fissato con la fusion ma essendo<br />

fisiologicamente incapace di suonare un tempo dispari<br />

aveva accettato la prima e unica proposta di ingaggio in<br />

un gruppo. Il cantante aveva una voce acuta ma era<br />

stonato e urlava come un femminiello isterico credendo<br />

che bastasse questo per emulare Robert Plant. Il bassista<br />

proveniva da un giro oscuro di matrimoni e compleanni e<br />

non sapeva nemmeno chi cazzo fosse John Paul Jones.<br />

E infine la perla: il chitarrista, un energumeno basso col<br />

fisico da babbuino con le mani corte e tozze,<br />

completamente privo di talento ma dotato di una volontà<br />

che rasentava il fanatismo.<br />

Aveva acquistato tutti gli spartiti dei Led Zeppelin e si<br />

era imbarcato nell’impresa titanica di emulare Jimmy<br />

Page nota per nota.<br />

Sui riff e sugli accompagnamenti faceva quasi cagare ma<br />

riusciva più o meno a dare l’idea di quale pezzo stessero<br />

eseguendo. La vera tragedia, però, erano gli assoli.<br />

Riusciva a memorizzarne giusto un paio di battute poi, in<br />

quel cervello da primate, avveniva un crollo, una sorta di<br />

collasso motorio che sfociava in un fraseggio squadrato<br />

,logorroico e banale, infarcito di imprecisioni e stonature.<br />

Eppure quel gruppo resisteva incredibilmente da oltre un<br />

quinquennio ed erano capaci di affrontare un viaggio di<br />

oltre 1000km tra andata e ritorno per 30 euro a testa.<br />

Gli Zoso attaccarono alle 22 in punto.<br />

La loro esibizione era stata preceduta da ben tre gruppi.<br />

Il primo era un gruppo pop formato da ragazzini con<br />

degli strumenti da paura che dovevano aver dissanguato<br />

la busta paga dei genitori.<br />

Il cantante era il più bello del gruppo, somigliava<br />

vagamente a Brad Pitt solo che era alto quanto la tazza<br />

del cesso. Aveva ad una sola mano un guanto di lana con<br />

le dita tagliate e cantava in italiano con un accento<br />

inglese una nenia incomprensibile di cui si capiva solo<br />

“la mmia aanimaaaaaa” e poi niente più.<br />

Il secondo gruppo erano in tre vestiti alla Eminem, uno ai<br />

piatti e gli altri due ai microfoni, purtroppo non<br />

funzionava niente, persero mezz’ora ad armeggiare coi<br />

cavi e a parlottare coi tecnici, poi si scusarono,<br />

salutarono e se ne andarono.<br />

27


Il terzo ed ultimo gruppo erano sui 55 anni, erano venuti<br />

al concerto coi figli grandi e le mogli che li sfottevano<br />

mentre li applaudivano.<br />

Suonarono tre pezzi: uno degli America, uno di<br />

Springsteen e uno di Battisti, cantato per l’occasione<br />

dalla figlia del tastierista.<br />

L’esibizione si spense nel silenzio, molti cominciarono<br />

ad andarsene.<br />

Passò una mezz’ora abbondante prima che un<br />

improvvisato presentatore annunciasse alla piazzetta<br />

sfollata: “a voi da GENOVA, gli ZOX”.<br />

Giacomo aveva quasi la faccia sul palco e fece un cenno<br />

di ok al chitarrista-autista-fruttivendolo che gli aveva<br />

autografato la locandina.<br />

Il gruppo attaccò una versione interminabile di un pezzo<br />

già di per se lunghissimo. Più che un concerto sembrava<br />

un sound check.<br />

Tra Giacomo, Sergio, qualche sfaccendato da bar, un<br />

rumeno ubriachissimo e dei ragazzini che impennavano<br />

con le bici da cross ci saranno state scarse 10 persone.<br />

Giacomo lo definì il miglior concerto degli ultimi 10<br />

anni dopo quello delle Orme ad Albanella.<br />

28


CAP. VI<br />

Billionaire<br />

“Prendiamo pure due birre, ti do i soldi dopo”, Marisa si<br />

infilò in una fiaschetteria senza aspettare nemmeno la<br />

risposta.<br />

Era un locale che puzzava di sughero marcio e di pisciata<br />

di gatto. Marisa solitamente vi acquistava birre<br />

misconosciute che pagava con monetine da 10 e 5<br />

centesimi. Quando ordinò 6 Nastro Azzurro da ¾ il<br />

proprietario ebbe un attimo di titubanza, poi Domenico si<br />

affacciò sulla soglia della bettola e al proprietario fu tutto<br />

chiaro, “sono giusto 15 euri signorina” e le porse una<br />

busta di plastica anonima con le birre sgocciolanti.<br />

Domenico, tirò fuori gli ultimi 20 euro dalla tasca con<br />

una mano mentre con l’altra cercava di tenere in<br />

equilibrio un enorme guantierone incartato della<br />

rosticceria. Quando non si trattava di soldi suoi Marisa<br />

era una cliente a dir poco brillante.<br />

Domenico non immaginava che fosse possibile spendere<br />

25 euro per due persone in una rosticceria di merda come<br />

quella.<br />

Marisa si era fatta confezionare una guantiera con<br />

imbastitura incrociata che aveva riempito di una varietà<br />

di schifezze bisunte al cui solo odore il colon di un<br />

organismo normale reagiva con una leggera fitta<br />

preventiva.<br />

Più che intontito, per essersi fatto spolpare quasi<br />

cinquanta euro da una cessa tirchia, Domenico era<br />

scientificamente incuriosito dal futuro immediato.<br />

Si chiedeva, infatti, dove e come Marisa avrebbe<br />

divorato tutto quel ben di Dio.<br />

“Andiamo a casa mia”, fu la risposta della donzella dai<br />

capelli sporchi.<br />

“Casa” era una parola grossa, si trattava di una mansarda<br />

che divideva con una studentessa e altri due balordi che<br />

si definivano rispettivamente: istruttore di capoeira e<br />

artista di strada.<br />

Mentre salivano le scale Marisa trovò il tempo di litigare<br />

con una condomina dei piani sottostanti e di scroccare<br />

una sigaretta a Domenico.<br />

Entrarono in casa di Marisa nel buio più pesto.<br />

29


C’era una puzza indefinibile che virava dalla merda al<br />

cous-cous con un retrogusto di calze sporche.<br />

Sistemarono guantiera e birre su un tavolaccio da presepe<br />

con un centrino arabo nel mezzo, quindi Marisa fece gli<br />

onori di casa, cioè si tolse le scarpe e si chiuse nel cesso.<br />

Domenico sperò che si stesse dando una rassettata ed una<br />

sciacquata dalle ascelle alla zona genitale perchè aveva<br />

percepito un odore di sudore costipato che non<br />

prometteva nulla di buono.<br />

Si sentì invece, in un silenzio imbarazzante, un rumore di<br />

sifone sfiatato, era Marisa che pisciava.<br />

Il rumore terminò e si aprì quasi immediatamente la porta<br />

del bagno.<br />

Domenico calcolò che non doveva avere avuto nemmeno<br />

il tempo di pulirsi con la carta igienica e cominciò a<br />

rabbrividire.<br />

“Tu hai fame?” gli disse sistemandosi la zip dei jeans,<br />

Domenico fece una smorfia di indifferenza, “vabbè”,<br />

disse Marisa “allora aspettiamo i ragazzi”.<br />

Alla parola “ragazzi” Domenico sentì il sacchetto delle<br />

palle diventargli di ghiaccio.<br />

I ragazzi arrivarono dopo un’ora, erano in tre:<br />

l’insegnante di capoeira, uno con una custodia di uno<br />

strumento che non sapeva suonare e la di lui ragazza: una<br />

specie di spettro coi capelli rossi che sembrava uscita da<br />

un centro di prima accoglienza.<br />

Tranne lo spettro che non mangiava, non parlava e non<br />

dava segni di vita intelligente, i ragazzi si spazzolarono<br />

birre e panzarotti vari nel giro di pochi minuti.<br />

Domenico riuscì a rimediare mezzo bicchiere di plastica<br />

di Nastro Azzurro.<br />

“Mo che finisci la birra , non lo buttare”, lo redarguì<br />

Marisa, quel bicchiere era parte del suo servizio di calici<br />

per 6 persone.<br />

Scolate le birre e divorati i fritti si passò alle droghe.<br />

Il maestro di capoeira tirò fuori un pezzetto di fumo, una<br />

pallottolina color merda, grande quanto un cece e avvolta<br />

nel domopak.<br />

Prepararono un paio di canne con le ultime sigarette di<br />

Domenico mentre il musicista con custodia tirò fuori un<br />

cd autoprodotto e automasterizzato e ne avviò la<br />

riproduzione con lo stereo autovox di Casa Marisa.<br />

Il lettore cd tossicchiò un paio di volte, poi si bloccò, poi<br />

si sbloccò quindi iniziò la lettura del disco.<br />

La musica era di un genere che comprendeva un po’ di<br />

tutto, i componenti del gruppo avevano deciso di puntare<br />

30


contemporaneamente su più generi in attesa di avere<br />

indicazioni più precise da un eventuale pubblico.<br />

Domenico finse di interessarsi alla cosa per dare una<br />

parvenza di senso a quella serata storta:”È il tuo<br />

gruppo?”domandò al semi-musicista, “diciamo di si”,<br />

rispose il tizio con un po’ di esitazione.<br />

Si chiamava Marco e quel Cd era di un gruppo col quale<br />

lui collaborava senza avere un ruolo ben definito.<br />

In realtà Marco aveva un computer ed un mixer<br />

acquistati su istigazione del cantante del gruppo, tale<br />

Nicola detto Nico un compendio vivente di stronzaggine<br />

autoesaltativa.<br />

“Anche io mi occupo di musica, o meglio, di<br />

management di gruppi”, bluffò Domenico. Marco gli<br />

credette subito e lo guardò con speranzosa ammirazione,<br />

Domenicò recepì quello sguardo come una proposta<br />

d’investitura manageriale e fu la sua fine.<br />

31


CAP. VII<br />

Onlus<br />

“Oggi ci occupiamo degli Zoso, la storica tribute band<br />

genovese che prende il suo nome dal celeberrimo<br />

simbolo…”, così iniziava la recensione che Giacomo<br />

stava redigendo alle 13,45 sul computer di Sergio, il<br />

quale, immobile alle sue spalle, attendeva nervoso la<br />

cazziata della mamma, che, dato l’orario, si profilava<br />

come inevitabile.<br />

La porta dell’improvvisata redazione giornalistica si<br />

spalancò: “È pronto, io mi sto mettendo a tavola!” esordì<br />

la madre in tono polemico.<br />

“Signora buongiorno”, rispose Giacomo senza staccare<br />

gli occhi dal monitor e senza dare il minimo segno di<br />

aver recepito l’atmosfera.<br />

Così come Devil era senza paura, Giacomo era senza<br />

vergogna.<br />

Continuò indisturbato a redarre la sua recensione in un<br />

clima che per chiunque altro sarebbe risultato<br />

insopportabile.<br />

Ogni mese Giacomo inviava delle recensioni alle e-mail<br />

della redazioni di riviste come Buscadero o Mucchio<br />

Selvaggio.<br />

Si trattava ovviamente di iniziative unilaterali che non<br />

avevano mai trovato alcun cenno di riscontro da parte dei<br />

destinatari, ma Giacomo millantava conoscenze ed<br />

entrature nelle loro redazioni e chiamava per nome<br />

direttori e collaboratori principali.<br />

Giacomo era il tipo che vagava nelle librerie per vedere<br />

se avessero pubblicato qualcosa di suo anche se non<br />

aveva mai sottoscritto alcun contratto editoriale, né<br />

ricevuto proposte in tal senso.<br />

Le commesse di Feltrinelli e Mondatori lo conoscevano e<br />

lo odiavano, erano sicure che a volte rubasse qualcosa ed<br />

aspettavano l’occasione buona per incastrarlo.<br />

A volte lo seguivano sperando di innervosirlo ed indurlo<br />

ad andarsene ma Giacomo capovolgeva la situazione ed<br />

interpretava quei pedinamenti come delle avances<br />

galanti, infatti dopo qualche minuto erano le commesse a<br />

battere in ritirata incalzate viscidamente da quel quasi<br />

50enne pessimo esempio di umanità.<br />

Giacomo terminò di scrivere la sua recensione alle 14.35.<br />

32


Alle 14.15 Sergio si era seduto a tavola con la madre ed<br />

aveva iniziato a pranzare.<br />

Giacomo si presentò in cucina mentre madre e figlio<br />

erano intenti a dividersi delle cotolette di pollo: “che si<br />

mangia di buono?’” disse sfregandosi le mani con un<br />

invadente atteggiamento confidenziale, Sergio gli<br />

preparò un mezzo panino con una mezza cotoletta di<br />

pollo sotto lo sguardo allibito di sua madre.<br />

Per disinnescare la genitrice che stava lì lì per esplodere<br />

Sergio annunziò di avere un appuntamento alle 16 per<br />

“una cosa di lavoro”.<br />

“Signò e che lavoratore che è vostro figlio! Sempre a<br />

pensare al lavoro eh?” esclamò Giacomo ironico<br />

cercando la complicità della madre di Sergio.<br />

“Faresti bene a pensarci pure tu, che con l’età che tieni<br />

dovresti stare quasi in pensione”, rispose stizzita la<br />

signora.<br />

Sergio si surgelò per l’imbarazzo attendendo la reazione<br />

ancora più stizzita di Giacomo,il quale, invece, giammai<br />

sarebbe entrato in polemica con coloro ai quali aveva da<br />

poter scroccare . Il pezzentone sorrise, si strofinò di<br />

nuovo le mani e rivolto alla signora che lo aveva appena<br />

offeso le chiese sorridendo: “un bel caffettuccio e vi<br />

tolgo il disturbo?”<br />

33


CAP. VIII<br />

Le regole dell’attrazione<br />

Lo squillo aspro della suoneria monofonica del cellulare<br />

squartò il silenzio casalingo della notte.<br />

Claudio rispose stravolto dal sonno: “Phronth?”,<br />

“Claudiè, ti ho disturbato? Sono io, Franco, che stavi<br />

facendo, ho interrotto qualcosa…eh? Eh? E che ci<br />

tieni!”<br />

Franco aveva preparato questa telefonata con una<br />

perfidia diabolica, aveva atteso che Claudio dormisse<br />

profondamente per obbligarlo al resoconto di una<br />

sconfitta in un momento in cui era più vulnerabile del<br />

solito.<br />

“Uè Franco, no sto dormendo veramen..”,<br />

“se, se, dormendo…”, lo incalzò la serpe, “e con chi?<br />

Eh..ehe..ehe”, per un momento Claudio pensò di avere un<br />

incubo, perché sentì la risata di Franco sdoppiarsi e<br />

materializzarsi alle sue spalle, si girò d’istinto e per poco<br />

non svenne per lo spavento.<br />

Di fianco al suo letto si stagliava zio Titino che<br />

ridacchiava all’unisono con Franco.<br />

Claudio lo riconobbe nella penombra, sembrava una<br />

creatura di un quadro di Fussli. Quella vecchia poiana<br />

aveva sentito il trillo di un cellulare e si era avventato<br />

dal suo letto alla sorgente sonora con la velocità di un<br />

rapace notturno.<br />

“Tu sei un fetentone”, sussurrò all’indirizzo di Claudio,<br />

stretto oramai tra due fuochi.<br />

La mattina dopo zio Titino gli intossicò la colazione<br />

raccontando a tutta la famiglia le prodezze inesistenti di<br />

“Claudio Don Giovanni Casanuova” importunato in<br />

piena notte dalle sue spasimanti.<br />

Claudio scese per strada senza avere una meta, non tornò<br />

a pranzo, mangiò in un Mc Donald, poi passeggiò fino al<br />

tramonto.<br />

Era una bellissima giornata di fine estate, il mare era così<br />

bello da sembrare importato, il cielo aveva dei colori con<br />

delle sfumature incredibili, c’era nell’aria un odore di<br />

spiagge pulite, l’aria era fresca e leggera e lui era solo<br />

come un cane.<br />

Emanuela era andata per sempre, ancora prima di<br />

iniziare.<br />

34


Certo non c’era da rimpiangerla, era una venditrice di<br />

bidoni ma era comunque la cosa più interessante che gli<br />

fosse capitata negli ultimi 9 mesi, o forse 10, o forse 12.<br />

Il guaio era che dopo di lei sarebbe trascorsa un’altra<br />

infinità di tempo prima del prossimo nulla di fatto.<br />

Per il momento aveva solo due certezze: l’autunno<br />

incombente e zio Titino, tanto valeva arrendersi subito e<br />

si avviò verso casa.<br />

Il destino odia darci delle certezze, così ,solo quando<br />

siamo intimamente convinti di come andranno le cose<br />

esso si diverte a sorprenderci, a volte anche<br />

positivamente, riservandosi in seguito di farcela pagare.<br />

E fu proprio una sorpresa quella che colse il<br />

rassegnatissimo Claudio non appena che ebbe varcata la<br />

soglia di casa.<br />

“Eccolo qua a Claudietto, meno male che sei arrivato,<br />

vedi che bella ragazza che ti stava aspettando!”.<br />

Claudio era senza parole, per la seconda volta nell’arco<br />

di 24 ore zio Titino gli aveva arruffianato una ragazza.<br />

Si trattava di tale MariaGrazia, detta Grazia, detta<br />

Graziella da zio Titino.<br />

Effettivamente a prima vista Graziella poteva dare<br />

un’idea di bellezza, aveva gli occhi a mandorla e le<br />

labbra grandi, l’unico problema però è che aveva un viso<br />

leggermente asimmetrico quindi talvolta, per strani<br />

giochi prospettici, assumeva dei tratti somatici cangianti<br />

che variavano da una Scarlet Johanson dei poveri ad una<br />

creatura da incubo degna di un videogioco horror.<br />

Claudio vide il lato Scarlet Johanson e se ne<br />

innamoracchiò quasi subito.<br />

“Anche tu vendi corsi o che cosa”, le chiese subito per<br />

rompere il ghiaccio e scovare l’eventuale fregatura che si<br />

celava sotto la crosta. “Che cosa?” fece lei,<br />

“niente,niente”, intervenne zio Titino, “Claudio, questa è<br />

una brava ragazza, figlia di una mia carissima amica e<br />

tiene bisogno di un amico, un amico vero, che la vuole<br />

bene veramente, un bravo ragazzo come a te”.<br />

Scarlett Johanson abbasso gli occhi e lo guardò un po'<br />

imbarazzata annuendo impercettibilmente come per dire<br />

“si, è così, è vero, ho bisogno di qualcuno che mi voglia<br />

bene davvero”.<br />

Ci fu qualcosa di percettibile di molto romantico e molto<br />

tenero nell’aria, era quasi palpabile, come una<br />

comunione di anime che si sono cercate a lungo ed infine<br />

si incontrano.<br />

35


Claudio la guardò di nuovo, “forse quest’anno si chiava”<br />

pensò e le sorrise.<br />

In realtà Graziella era un caso senza speranza.<br />

Aveva avuto tutte le malattie pscicofisiche che possono<br />

attecchire su una zitella occidentale di 28 anni. Era stata<br />

anoressica, bulimica, aveva tentato il suicidio,<br />

l’omicidio, si era drogata, intossicata, alcolizzata, era<br />

stata in una setta satanica, in un tempio buddista, coi<br />

neonazisti, si era tatuata, aveva fatto lo scambio di<br />

coppie, orgia due uomini e una donna, due donne e un<br />

uomo, tre donne senza uomini, aveva abortito, era<br />

scappata di casa con uno sposato, aveva fatto l’attrice di<br />

teatro, si era iscritta in palestra, si era presentata al<br />

comune con una lista civica ed era in cura da tre medici:<br />

uno con laurea e altri due con diplomi di specializzazione<br />

rispettivamente in bioenergia ed in terapia del corpo<br />

astrale.<br />

I genitori l’avevano portata anche da un esorcista con<br />

delega papale ma la figlia era rimasta più stronza di<br />

prima.<br />

A questo punto la madre e il padre disperati la andavano<br />

piazzando un po’ in giro a chiunque capitava pensando<br />

che, a quel punto, qualunque carta potesse essere quella<br />

buona.<br />

Trascorsero una mezz’ora in camera di Claudio.<br />

Lui le mostrò tutti i libri che non aveva mai letto<br />

commentandoglieli ad intuito poi passarono ad esaminare<br />

la sua collezione di cd masterizzati.<br />

Graziella cominciava ad annoiarsi.<br />

Per recuperare la situazione Claudio propose di scendere<br />

a fare quattro passi, “si, ma a piedi”, propose lei, Claudio<br />

accettò volentieri.<br />

Franco lo incrociarono dopo circa 800 metri.<br />

Si aggirava come uno di quei cani che brancolano i<br />

cassonetti dell’immondizia. Li bloccò subito: “uè<br />

Claudiè ti devo parlare, scusaci un momento” disse<br />

rivolgendosi a Graziella senza nemmeno presentarsi.<br />

Era una sua tattica istintiva e collaudata, quando<br />

incontrava uno con una ragazza (magari nuova) usava<br />

questo espediente e lo trascinava sottobraccio iniziando<br />

un discorso fitto e inconsistente. A volte poteva accadere<br />

che la ragazza si spazientisse e se ne andasse, in qual<br />

caso la missione poteva dirsi compiuta con successo.<br />

Claudio si divincolò infastidito, Franco capì che doveva<br />

cambiare tattica, si voltò verso un chiosco e cominciò a<br />

36


chiamare degli amici, “oh avete visto chi ci sta?,<br />

Claudietto!”.<br />

Non appena ebbero intravisto una sagoma femminile,<br />

“gli amici” cominciarono ad avvicinarsi lentamente ma<br />

inesorabilmente come gli zombi del film di Romero.<br />

Fecero subito capannello intorno a Claudio e Graziella la<br />

quale, nel frattempo, aveva iniziato una conversazione<br />

fitta fitta addirittura con Franco.<br />

Claudio cercò di riprendere le redini della situazione ma<br />

era circondato dagli amici zombi i quali fingevano di<br />

interessarsi a lui incalzandolo con domande inutili.<br />

Il capannello non sembrava scemare.<br />

Graziella si voltò un attimo verso di lui e gli disse:”è<br />

simpatico Franco, eh?” .<br />

Claudio comincio ad avvertire uno strano stato di<br />

dissociazione che durò una quantità di minuti<br />

imprecisati. Gli sembrava di galleggiare in un acquario di<br />

irrealtà.<br />

All’improvviso vide Graziella-Scarlet-Johanson prendere<br />

Franco sotto braccio ed avviarsi verso i giardinetti, “noi<br />

ci andiamo a fare un giro ragazzi” fece lei dandogli un<br />

occhiata di sfuggita, Claudio si sentì avvampare di<br />

un’umiliante gelosia soprattutto perchè causata da un<br />

uomo che aveva il sex appeal di un malato di lebbra.<br />

Cominciarono ad alterarglisi le percezioni come quando<br />

aveva la febbre oltre i 38.<br />

I suoni diventavano ora attutiti ora incredibilmente<br />

limpidi, le voci sembravano provenirgli dal retro di un<br />

impianto stereo molto distante e su tutta la realtà visibile<br />

Dio aveva applicato un immenso filtro cromatico simile a<br />

quelli che utilizzano i fotografi quando vogliono ottenere<br />

un effetto psichedelico.<br />

Cominciò a vagare seguito da un codazzo di zombi.<br />

sembravano il serpente umano del capodanno cinese.<br />

Improvvisamente il serpente si arrestò e tutti gli zombi<br />

ammutolirono: di fronte a loro Franco e Graziella-<br />

Scarlet-Johanson si stavano sbaciucchiando.<br />

37


CAP. VIII<br />

Demoni<br />

“MA ALLORA SEI STRONZO!!!!”, colei che aveva<br />

appena proferito questa offesa gratuita ed immotivata<br />

all’indirizzo di un incolpevole laureato in informatica col<br />

massimo dei voti (e che aveva quasi il doppio dei suoi<br />

anni) era tale Attilia.<br />

Attilia, alias Taty, (alias Attila secondo il nonno, l’unico<br />

che ci aveva preso in pieno) non aveva nemmeno 20<br />

anni.<br />

Non era viziata, era oltre: era posseduta.<br />

Ore ed ore di spot, televisione, film, GigaByte di<br />

informazioni, trailer, marche, marchi, manga, suonerie,<br />

immagini, dvd, loghi, chat, sms, mms e di un numero<br />

indefinibile di dati immateriale che correvano e<br />

rimbalzavano da un angolo all’altro del globo alla<br />

velocità della luce lungo le nuove rotte tracciate dal<br />

consumo totale e globale, si erano materializzate<br />

incarnandosi ed impossessandosi di queste giovani<br />

vestali contemporanee.<br />

Taty, e altre come lei, erano le incarnazioni viventi dei<br />

nuovi demoni. Demoni che avevano scalzato i vecchi<br />

Pazuzu e Belial rendendoli inattuali, demoni dai nomi<br />

bisillabi che non li nascondevano in oscuri grimori ma<br />

che li dichiaravano apertamente sostituendoli a quelli<br />

dati loro dalle proprie madri, demoni inesorcizzabili<br />

perche’ nessuno ne aveva intuito l’esistenza.<br />

Questi nuovi demoni, infatti, non vomitavano bava<br />

verde o chiodi, al massimo vomitavano cheesburgers o<br />

long drinks, non parlavano sanscrito ma curiosi gerghi<br />

sgrammaticati che variavano da un anno all’altro, e non<br />

avevano bisogno di forze sovrannaturali per spostare,<br />

spaccare o distruggere oggetti grossi e pesanti, bastava la<br />

normale forza di una biondina tinta di 45 chili<br />

neopatentata per sfracellare un’Audi 6 nuova in mille<br />

pezzi.<br />

Erano demoni irrequieti, infondati ed insensati che nella<br />

logica infondata ed insensata del consumismo<br />

occidentale si mimetizzavano alla perfezione.<br />

38


Non avrebbero ispirato alcun film horror, la realtà era il<br />

loro palcoscenico d’orrore ed i genitori erano i loro<br />

spettatori impotenti e terrorizzati.<br />

Il padre di Taty era un pezzo medio nella politica e<br />

nell’università’ locale, considerato uno stimato<br />

intellettuale progressista, da giovane era stato un leader<br />

del movimento studentesco.<br />

Aveva sposato una brillante e capace dottoressa, primaria<br />

ospedaliera, ed aveva avuto quest’unica figlia inviatagli<br />

dalle tenebre forse per compensare, con un po’ di<br />

sciagura, una vita lastricata di successi.<br />

Taty era stata fatta “diplomare” dal padre ricorrendo a<br />

mezzi così biechi da far vergognare persino un politico<br />

navigato come lui, dopodichè la piccina era stata iscritta<br />

ad una facoltà della quale, dopo quasi due anni, l’unica<br />

cosa che conosceva e frequentava era il bar: punto di<br />

raccordo e base organizzativa per gli altri demoni suoi<br />

consimili.<br />

Il padre faceva salti mortali per convincerla almeno a<br />

salvare le apparenze e a presentarsi fisicamente agli<br />

appelli degli esami, ma era del tutto inutile.<br />

Taty non disubbidiva nemmeno, semplicemente non lo<br />

degnava della benché minima considerazione.<br />

In uno sconsiderato eccesso di fiducia il padre le aveva<br />

affidato la direzione di un portale su Internet finanziato<br />

dall’ateneo cittadino con una somma spropositata.<br />

Taty aveva accettato l’incarico con la sobrietà mentale di<br />

Ludovico II di Baviera ed aveva preteso un ufficio in<br />

pieno centro con vista sulle boutique.<br />

Era un ufficio di sette stanze + servizi arredato Ikea con<br />

dei computer inutilmente potenti e ancora più inutilmente<br />

iperaccessoriati.<br />

La gestione e la realizzazione del portale Internet erano<br />

stati affidati ad una società esterna che agiva per i cazzi<br />

suoi e che stava facendo un lavoro discreto finché Taty,<br />

con un democratico spirito organizzativo degno di<br />

Caligola, si era messa di mezzo e aveva decretato che il<br />

portale informativo che stavano realizzando era: ”o’<br />

cess!” e che non si capiva “popo niente!”<br />

Taty era alta più o meno quanto paperino, bionda tinta,<br />

sguardo da cartone animato, era perennemente preda di<br />

desideri tanto infantili quanto compulsivi che le<br />

scatenavano degli sbalzi d’umore incontrollabili.<br />

Aveva l’intelligenza di un bambino di 6 anni e si<br />

percepiva come una sorta di fatina dolce, sensibile e<br />

39


sbarazzina, una di quelle che popolano i manga<br />

giapponesi.<br />

Essendo irrimediabilmente tarata su un senso estetico di<br />

tipo consumistico/puerile aveva preteso che grafica e<br />

contenuti del portale informatico venissero rimodellati<br />

sui canoni di Hello Kitty e di altre cagate per minorati a<br />

base di cuoricini, stelline e icone animate lampeggianti<br />

coi nomi delle sue più care amiche.<br />

Nel giro di qualche settimana aveva ridotto il portale<br />

internet ad un insensatezza semantica con blog e foto di<br />

cuccioli e bellimbusti sparse un po’ dappertutto.<br />

Sergio fu assunto, senza colloquio, nell’agenzia di Taty<br />

in un momento di basso impero.<br />

Taty aveva riempito l’ufficio di amiche e amici con<br />

licenza perenne di cazzeggio.<br />

Il padre, preoccupato di uno scandalo imminente, aveva<br />

cercato di salvare le apparenze assumendo un impiegato<br />

di paglia pescato dalle liste di collocamento<br />

dell’Informagiovani.<br />

Sergio era stato assunto perché aveva consegnato un<br />

curriculum nel quale dichiarava di essere un esperto di<br />

reti informatiche, firewalls, protocolli di trasmissione,<br />

sicurezza, tcp/ip e di qualsiasi cazzo di cosa fossero o<br />

significassero quelle cose lì.<br />

Giunse nell’ufficio in un clima surreale, non lo accolse<br />

nessuno.<br />

La porta era socchiusa, c’era un silenzio rotto solo dal<br />

ticchettare dei tasti in ogni stanza.<br />

I demoni erano impegnati a chattare con degli adepti e<br />

non lo degnarono di uno sguardo.<br />

Le luci erano basse e soffuse, c’erano carte gettate per<br />

terra, miste a custodie spaccate di dvd, miste a scatoline<br />

di polistirolo vuote della McDonald.<br />

Taty capo demone era a bocca semispalancata di fronte<br />

ad un Lcd gigante, ipnotizzata dal secondo quadro di un<br />

gioco ebete. Stava cercando di far completare ad una<br />

sorta di gattino antropomorfo un percorso a ostacoli in<br />

una specie di paesaggio demenziale color rosa-fucsia.<br />

Una serie di melodiche nenie e cicalini elettronici<br />

provenienti da ogni stanza si intrecciavano nell’aria<br />

generando un contrappunto sconclusionato.<br />

L’ufficio sembrava una sorta di trasposizione<br />

adolescenziale del villaggio di Kurz nella jungla di<br />

Apocalypse now.<br />

I demoni tiravano avanti in questo stato fino alle prime<br />

tenebre, poi capitava che qualcuna di loro gettasse un<br />

40


occhiata fuori dalla finestra ed urlasse come un allarme<br />

stridulo, qualcosa del tipo tipo: ”TATY CORRI<br />

C’E’MIRKO!” e in un attimo il branco di demoni<br />

abbandonava tutto e, come uno stormo di pipistrelle,<br />

calava sulle vie del centro.<br />

I demoni vivevano per soddisfare degli entusiasmi<br />

compulsivi e, ad ogni nuova compulsione,<br />

abbandonavano la precedente al proprio destino.<br />

L’ultima in ordine temporale rispondeva al nome di<br />

Mirko, un deficiente lampadato rampollo di una stirpe di<br />

grossisti, molto conteso dalle varie Taty della città.<br />

In suo onore erano stati sfregiati, con gigantesche scritte<br />

spray, le mura di vari edifici cittadini, alcuni anche di<br />

importanza storica.<br />

Le scritte, pur essendo opera di mani diverse, erano tutte<br />

penosamente simili: MIRKO IO E TE TRE METRI<br />

SOPRA IL CIELO!!!<br />

I demoni infatti mancavano completamente di fantasia e<br />

anche quella frase beota, che per loro rappresentava la<br />

più grande realizzazione poetica dell’umanità’, era stata<br />

coniata da un tizio, semi calvo, più anziano dei loro<br />

genitori.<br />

Ovviamente i demoni non si sporcavano le mani con lo<br />

spray ma si limitavano a dirigere i lavori.<br />

Il lavoro sporco, e penalmente rilevante, veniva compiuto<br />

da dei disgraziati tuttofare, segretamente innamorati di<br />

loro ma fisicamente o caratterialmente sfigati.<br />

I demoni, anziché farli a pezzi, li impiegavano a guisa di<br />

schiavi nubiani affidandogli gli incarichi più noiosi,<br />

faticosi o umilianti.<br />

I “nubiani” potevano essere svegliati a qualunque ora<br />

della notte e dovevano rendersi immediatamente<br />

disponibili per compiti quali: accompagnare, venire a<br />

prendere, portare e aspettare, aspettare, portare senza<br />

aspettare, portare e forse aspettare, forse aspettare,<br />

scrivere con lo spray, bucare ruote, prestare soldi,<br />

invitare, pagare, procurare biglietti, fare la fila, fare<br />

riassunti, portare ambasciate, farsi picchiare, picchiare (o<br />

almeno cercare di), provocare, farsi provocare,<br />

organizzare, presentare, installare, aggiustare, imparare,<br />

imparare e spiegare, imparare e spiegare a uno che<br />

doveva spiegare, spiegare senza annoiare, portare a<br />

pisciare cani, rianimare criceti, fare da cavie per cibi,<br />

droghe, piercing, tatuaggi, masterizzare…insomma tutto<br />

tranne che chiavare.<br />

41


Nei primi giorni Sergio si aggirava nell’ufficio vuoto con<br />

timida circospezione poi, via, via questo sentimento fu<br />

rimpiazzato dalla strafottenza più totale.<br />

Si impadronì di una postazione e passava delle ore a<br />

navigare in internet, a scaricare musica o a stampare ebook<br />

sugli argomenti più bizzarri.<br />

Ogni tanto qualcuna delle fedelissime di Taty lo<br />

interpellava per i motivi più disparati.<br />

Alcune erano sull’orlo delle lacrime se gli si bloccava il<br />

giochino o se non riuscivano a visualizzare un allegato<br />

sull’e-mail, Sergio si era guadagnato il loro rispetto<br />

risolvendo più di una volta dei problemi di una banalità<br />

elementare, cosi ora i demoni lo consideravano una sorta<br />

di genio informatico, “un super scienziato” come lo<br />

aveva definito una tale MuMy, ( Dio solo sa quale fosse<br />

il suo nome di battesimo originario).<br />

L’ufficio odorava di dolciastro dovuto ad una mistura di<br />

profumini, sigarette e sudore di ragazzine.<br />

Se non fosse stato per il fumo sarebbe stato un odore<br />

identico a quello degli asili .<br />

La donna delle pulizie era solita raccattare cornicioni di<br />

pizza o caramelle gommose nei posti più impensati, a<br />

volte doveva tamponare delle macchie immense frutto di<br />

qualche frappé rovesciato per intero o di qualche yogurt<br />

dietetico al lampone spiaccicato su una parete come un<br />

quadro di Pollock.<br />

Tutto sommato sia a lei che a Sergio gli era andata bene,<br />

il loro datore di lavoro non aveva mai alcuna rimostranza<br />

da fare.<br />

Spesso Sergio non si presentava nemmeno o<br />

abbandonava l’ufficio e scendeva giù ai tavolini del<br />

sottostante bar.<br />

Col passare dei giorni le ragazze si facevano vedere<br />

sempre più di rado.<br />

Ogni tanto comparivano per battere una tesina a qualche<br />

Saby o Pupy che doveva essere interrogata.<br />

Anche la mania dei blog le aveva stufate e, dopo averne<br />

aperti una ventina, li avevano abbandonati tutti al loro<br />

destino virtuale: invecchiare intatti, senza un filo di<br />

polvere.<br />

42


CAP IX<br />

Sfitness<br />

La nuova vecchiaia non era fatta di rughe, di crepe o di<br />

polvere, la nuova vera vecchiaia era l’inattualità’.<br />

La vecchiaia classica era un canone estetico non più<br />

ammesso ne’ tollerato.<br />

Oggi potevi crepare di infarto senza avere un filo di<br />

grasso superfluo o spaccarti le anche osteoporotiche<br />

mentre facevi snowboard.<br />

Insomma si moriva anche a 60 anni ma si moriva in<br />

perfetta forma.<br />

Nonostante ciò Domenico guardava con preoccupazione<br />

quel gruppo di befane over 50 esagitarsi al ritmo di una<br />

musica che marciava sui 160 battiti al minuto.<br />

Si trattava dell’inaugurazione dell’ennesimo fallimento<br />

annunciato, uno di quelle iniziative imprenditoriali sulle<br />

quali uno avrebbe dovuto apporre una targhetta adesiva<br />

raffigurante delle banconote di grosso taglio con la<br />

scritta: noi non possiamo entrare!<br />

A differenza dell’ufficio di Taty, che era uno sperpero<br />

finanziato dalla comunità, questo era uno sperpero di<br />

denaro privato. Domenico, che dalla sera a casa di<br />

Marisa aveva indossato la personalità del manager di<br />

gruppi, era stato invitato a partecipare con il gruppo<br />

(l’unico), di cui curava il managment.<br />

L’ingaggio per la serata era avvenuto fortuitamente<br />

tramite un amico di una befana che aveva bisogno di<br />

“una situazione live da abbinare ad un resident dj per<br />

l’inaugurazione di una…diciamo agenzia di eventi cioè<br />

un office in progress, una situazione creativa di<br />

installazioni e percorsi artistici che però funge anche<br />

da promotore di contenuti per strategie di<br />

comunicazione e di mercato”.<br />

Domenico aveva mentalmente tradotto il tutto in termini<br />

comprensibili: si trattava di andare a suonare in un<br />

ufficio di fancazzisti che da lì a 6 mesi avrebbe chiuso e<br />

che comunque non gli avrebbero dato una lira.<br />

Accettò subito.<br />

L’agenzia, o qualunque cosa fosse, era un ex garage<br />

ristrutturato male da un architetto amico fraterno della<br />

befana che, come ogni amico fraterno, aveva preteso di<br />

essere pagato sull’unghia e, ovviamente, le aveva fatto un<br />

insindacabile lavoro da cani.<br />

43


C’era un umidità da galera veneziana e le stampe sui<br />

muri, opere in serie di illustri esponenti dell’arte<br />

contemporanea rionale, presto si sarebbero riempite di<br />

bozzi come dolci lievitati.<br />

L’ingresso era una porta a vetro serigrafata con logo della<br />

ditta, opera di un altro genio/amico fraterno, con doghe<br />

nere in metallo che ne delimitavano i bordi.<br />

Luci e suppellettili degli interni portavano la firma, anzi<br />

la zampa, di un ricchione che, come lui stesso amava<br />

millantare, “lavorava soprattutto a New York”.<br />

Non si vedeva un cazzo ed i mobili erano quasi<br />

volutamente inutilizzabili.<br />

Nel mezzo della sala campeggiava una pedana rialzata<br />

delimitata da luci tubolari che ingabbiavano una<br />

scrivania di plastica trasparente , al centro della quale si<br />

ergeva un Machintosh trasparente molto suggestivo (e<br />

fuori commercio da circa due anni).<br />

Seguiva quindi un angolo bancone a forma di serpe sul<br />

quale erano sistemati depliant, riviste di arte, riviste di<br />

cultura underground (che costavano il doppio di Capital)<br />

e un Photo-Book sulla cultura dell’estremo tipo tatuaggi<br />

sulle palle etc… Insomma la befana si era quasi ritagliata<br />

un angolo di Berlino nella sua città.<br />

Peccato però per quella pescheria giusto di fronte di<br />

fronte e per quel magazzino del fruttivendolo giusto<br />

affianco...<br />

“Che genere fate?”, chiese una cara amica della befana<br />

rivolta a Domenico, questi ebbe un attimo di<br />

smarrimento dovuto non tanto alla domanda ma<br />

all’aspetto della tipa in questione. Era vestita come Cat<br />

Woman ma con la faccia di Bette Davis in “Ballata<br />

macabra”, aveva il pancino di fuori come una sedicenne<br />

solo che il suo era secco e rugoso come la mummia di<br />

Similaun.<br />

Domenico stava per darle del voi ma si contenne:<br />

”mmma… diciamo che non sapremmo definirlo, perché<br />

diciamo che in effetti siamo unici, qualcuno ci paragona<br />

ai Radiohead, ma il nostro discorso e’ molto più ampio”.<br />

La vecchia annuì e rilanciò: “ho l’ultimo dei Radiohead,<br />

non male…non male”.<br />

Era un discorso tra idioti fatto non di risposte ma di<br />

rimandi.<br />

La porta a vetri serigrafati, si aprì, con un leggero striscìo<br />

(era leggermente fuori squadra) e fece il suo ingresso<br />

Nicola detto Nico.<br />

Domenico tirò un sospiro di sollievo.<br />

44


Nico era il cantante leader del gruppo il cui nome non era<br />

ancora definito, stavano sfogliando ancora i vocabolari di<br />

greco in cerca di qualcosa che fosse abbastanza<br />

incomprensibile.<br />

La biondastra che lo seguiva a ruota era la sua ragazza.<br />

Era la figlia unica di un avvocato in pensione (al quale<br />

aveva causato già un paio di infarti) aveva la fama di<br />

essere una piena di soldi, in realtà era una ceto medio in<br />

via di decadenza, con una casa in città e un rudere al<br />

paese.<br />

Nico la spacciava come un’esponente di antiche<br />

aristocrazie terriere discendente da principi-alchimisti e<br />

dotata di poteri paranormali.<br />

La principessa in questione si chiamava Ernestina, come<br />

la nonna, e l’unico potere paranormale di cui era dotata<br />

consisteva nel riuscire a passare da una calma catatonica<br />

a degli scatti d’ira imbarazzanti causati quasi sempre<br />

dalla gelosia morbosa che nutriva nei riguardi di Nico,<br />

percepito da lei come un incrocio tra Matt Dillon e<br />

Benicio del Toro, ma che agli occhi di chiunque altro<br />

sarebbe apparso come Mino Reitano truccato da dark.<br />

Nico era uno scontemporaneo, uno di quelli in ritardo coi<br />

trend internazionali di circa dieci anni.<br />

In realtà Nico, che si definiva “prigioniero di un<br />

provincialismo soffocante in una nazione di merda”, era<br />

italiano fin dentro al midollo.<br />

Come tutti gli italiani d.o.c. temeva più di ogni cosa le<br />

novità ed i cambiamenti che riusciva ad accettare solo<br />

con estrema cautela ed esasperante lentezza.<br />

Quando finalmente decideva di abbracciare qualcosa di<br />

nuovo con convinzione e farsene promotore la cosa era<br />

già bella e finita, dappertutto, tranne che nella sua<br />

cerchia.<br />

Recentemente aveva scoperto i loops di batteria ed aveva<br />

cominciato ad accarezzare l’idea di aprire un sito internet<br />

a nome del suo gruppo, anche se non aveva ancora ben<br />

chiaro come funzionasse la cosa.<br />

Questa faccenda dei loops e delle batterie campionate<br />

non era stata accettata con entusiasmo da Enzo ,il loro<br />

batterista, un energumeno che continuava a sperare di<br />

poter convertire il gruppo al genere “Pino Daniele”.<br />

Nico lo trattava con disprezzo e senza saperlo aveva<br />

innescato in quella mente semplice e violenta un<br />

meccanismo a tempo di cui prima o poi ne avrebbe<br />

subito le conseguenze. Il gruppo comprendeva anche un<br />

tizio con basco, mosca al mento e occhiali alla Spike Lee<br />

45


munito di una chitarra sette corde collegata ad una serie<br />

di pedalini infernali sui quali non aveva nessun controllo<br />

e che spesso causavano dei feedback ingestibili.<br />

Infine alle tastiere, o meglio alla tastiera, Marco, il<br />

mecenate del gruppo che non sapeva suonare<br />

assolutamente nulla che fosse preposto ad emettere note.<br />

Lo avevano piazzato vicino a una sorta di campionatore<br />

coi tasti e doveva premere un pulsante di start, poi la<br />

macchina avrebbe fatto il resto. Enzo il batterista,<br />

comprendendo di essere sempre più estromesso da quella<br />

ventata di tecnologia, aveva trattato col resto del gruppo<br />

affinché gli fosse consentito di montare almeno una<br />

coppia di rototom trasparenti giusto per non rimanere<br />

impalato a guardare gli altri che “suonavano”.<br />

“ E vabbè ”, aveva sentenziato Nico con sufficienza<br />

magnanima, “se proprio ti devi fare ‘ste masturbazioni<br />

mentali…”.<br />

Enzo non aveva decifrato l’offesa insita nel messaggio e<br />

l’aveva interpretato come un sì, ma dentro di lui un<br />

meccanismo ad orologeria continuava imperterrito il suo<br />

conto alla rovescia.<br />

Resident Dj era un ragazzo sui 25 coi tratti sudamericani,<br />

(forse era proprio sudamericano) che da circa un ora<br />

stava martellando l’aria del garage, e le coronarie delle<br />

befane, con una musica per impasticcati.<br />

Impasticcati però lì non ce n’erano<br />

Gli avventori: ricchioni, befane, sedicenti giornalisti,<br />

sedicenti attori, scrittori, poeti, pittori, webmasters,<br />

assistenti di assistenti e semplici scrocconi si erano<br />

avventati su di un misero buffet di rustici mignon,<br />

noccioline, patatini e triangolini di salumi, spazzolandolo<br />

all’osso.<br />

Avevano fatto fuori 4 litri di coca cola, 4 di aranciata,<br />

due bottiglie di minerale naturale e si erano gettati sui<br />

cartoni da 9 bottiglie ciascuno di vino bianco. Era un<br />

vino di merda da un paio di euro a bottiglia, dava subito<br />

alla testa ma non ti rendeva allegro, rimanevi lucido e<br />

intontito: l’anticamera della paranoia.<br />

Intanto, due piani più sopra, causa baccano da<br />

inaugurazione, al suocero del titolare del magazzino di<br />

frutta adiacente all’office in progress stavano già<br />

iniziando lentamente ma inesorabilmente a girare le<br />

palle.<br />

Tuttavia erano le 22,15 ed era ancora troppo presto per<br />

cominciare a sclerare.<br />

46


Le befane tracannavano vino bianco a tutto spiano e<br />

continuavano ad agitarsi come disgraziate, cominciavano<br />

a sudare e a puzzare di cosmetici marci.<br />

La principessa Ernestina le osservava disgustate,<br />

soprattutto una, un zoccolone vecchio mezza leopardata,<br />

capelli biondo ucraina, push up e collo tartarugato, la<br />

quale aveva osato chiedere al suo Nico: ”Tu sei il<br />

cantante eh? Quando suonate?”.<br />

Alle 22.30 in punto il Dj stoppò la musica, Nico si tolse<br />

lo spolverino e si avviò verso il microfono godendosi<br />

l’attenzione generale con ogni fibra del corpo.<br />

Si era vestito come Mino Reitano ad Hallowen.<br />

Afferrò il microfono appoggiato su una sedia ( l’asta non<br />

c’era doveva portarla il batterista ma si era dimenticato) e<br />

diede una specie di urlo modulato che doveva essere il<br />

segnale di Start.<br />

Purtroppo il microfono era spento e la scena si trasformò<br />

in un involontario siparietto comico, alcuni<br />

ridacchiarono.<br />

“Vai Nico”, urlò il puttanone leopardato.<br />

La principessa Ernestina cominciò a vibrare come un<br />

diapason umano.<br />

Il resto del gruppo presse posizione, Marco accese il<br />

mixer… e scoppiò l’inferno.<br />

Un fischio infernale, noto alla scienza come effetto<br />

Larsen, squarciò il garage.<br />

Tutti presenti di sesso maschile bestemmiarono i santi<br />

più disparati, le donne si limitarono a qualche “che<br />

cazzo”.<br />

Rispensero il mixer, controllarono i collegamenti,<br />

abbassarono tutti volumi degli strumenti e degli effetti,<br />

quindi riaccesero il mixer, alzarono i volumi e non si<br />

senti un emerito cazzo di niente per circa mezz’ora.<br />

Gli ospiti iniziarono a spazientirsi, alcuni cominciarono a<br />

gironzolare in cerca di residui di noccioline o rustici<br />

smozzicati.<br />

C’era anche Giacomo, che si era intrufolato<br />

accreditandosi come “giornalista del Manifesto”.<br />

Aveva una busta in mano nella quale aveva infilato un<br />

numero imprecisato di depliant e una bottiglia di vino<br />

bianco non aperta. Stava esaminando con attenzione un<br />

cd omaggio con custodia spaccata, uscito in allegato con<br />

una rivista di auto, ed era indeciso se infilarselo nella<br />

busta o meno.<br />

Alle 23.02 si udì un gorgoglio incomprensibile uscire<br />

dall’impianto, era la voce di Nico che iniziò la sua<br />

47


performance recitando una cagata scritta a 4 mani con la<br />

principessa Ernestina, e tradotta da quest’ultima in un<br />

inglese altamente improbabile.<br />

Se quel gorgoglio effettato con echi, e riverberi digitali<br />

fosse stato comprensibile il pubblico avrebbe potuto<br />

sentirlo declamare il seguente testo: “I am a computer, a<br />

computer virus, the virus that gos in your brain, virus<br />

of informatic brain”.<br />

Ernestina lo guardava ammirata ed annuiva.<br />

Quella dei virus informatici era una scoperta recente per<br />

Nico e consorte.<br />

Era un concetto che li affascinava: il virus che creato su<br />

un computer poteva infettare il cervello di un essere<br />

umano e distruggerlo! Ovviamente questo e’ quello che<br />

loro pensavano che fosse un virus informatico e quando<br />

qualcuno gli aveva fatto notare che le cose non stavano<br />

proprio così, avevano ribattuto che invece un loro amico<br />

,”un genio dei computer”, glielo aveva confermato<br />

rivelandogli che anche lui era in grado di fare una cosa<br />

del genere e che addirittura il Pentagono lo aveva<br />

contattato per creare un virus informatico per uccidere i<br />

membri di Al Qaeda via computer: ma lui si era rifiutato!<br />

Nico e consorte raccontavano queste cose con un tono da<br />

spie braccate, dando lunghe tirate alle sigarette.<br />

Non si capì bene se il primo interminabile pezzo era<br />

finito ed era iniziato il secondo o se si trattava ancora del<br />

primo pezzo perché, sin dall’inizio della performance,<br />

Enzo, il batterista, aveva attaccato un assolo di rototom<br />

alla Tullio De Piscopo e stava seguendo un sua jam<br />

session immaginaria incurante della realtà circostante.<br />

Nico lo guardò con disgusto e attaccò quello che avrebbe<br />

dovuto essere il testo del secondo pezzo. Purtroppo il<br />

chitarrista ebbe una crisi di protagonismo e, cercando di<br />

strafare, cominciò a smanettare i potenziometri del delay<br />

senza alcun criterio innescando un effetto di feedback<br />

che in pochi secondi sovrastò tutto e tutti.<br />

Marco andò nel panico e, per la seconda volta nella<br />

serata, fu costretto a spegnere bruscamente il mixer.<br />

Le casse scopparono come un pop corn gigante e calò un<br />

silenzio immediato ed irreale.<br />

Era quasi mezzanotte e dal balcone di due piani più sopra<br />

si cominciavano ad udire le urla bestemmiate del suocero<br />

del fruttivendolo il quale, in fatto di musica, doveva<br />

avere gusti molto distanti dal teknopunk amatoriale.<br />

“Bravo Nico!”, urlò il puttanone leopardato sempre più<br />

avvinazzata” nel silenzio generale.<br />

48


“E MO’ M’ STAI SCASSANN’ O’ CAZZ!”: la<br />

principessa Ernestina aveva esaurito la sua dose di<br />

diplomazia.<br />

Cercò di avventarsi sul puttanone biondo, Nico la placcò<br />

al volo.<br />

Furono 5 minuti molto brutti ed imbarazzanti nei quali la<br />

principessa diede fondo ad un repertorio dialettale<br />

insospettabile per una nobildonna del suo rango.<br />

Il DJ ne approfittò per staccare i cavi agli strumenti del<br />

gruppo e riattaccare i suoi, in pochi secondi il garage fu<br />

nuovamente inondato da un ritmo infernale.<br />

Il suocero del fruttivendolo, che aveva interpretato quel<br />

silenzio momentaneo come una resa, alla ripresa del<br />

frastuono compose il numero dei vigili ed andò a<br />

svegliare il figlio, una specie di pitecantropo che dormiva<br />

in un ripostiglio adattato a camera da letto.<br />

Le befane ripresero a bere e danzare, una di loro, tale<br />

Tina, sui 54 anni, barcollò, sbiancò, sbandò e rovinò su<br />

un tavolino di plastica, frocissimo, a forma di luna.<br />

Il DJ fu costretto di nuovo a fermare la musica.<br />

Si fece un capannello di gente intorno alla vecchia<br />

sbronza e cominciò un consulto medico collettivo basato<br />

su conoscenze di medicina amatoriali.<br />

Chiamare l’ambulanza sembrava esagerato così<br />

telefonarono al figlio dicendogli di venirsela a<br />

recuperare. Molti ospiti cominciarono a sfollare, Enzo il<br />

batterista cominciò a smontare i rototom per caricarli in<br />

macchina. Uscì fuori dal garage reggendo l’asta di<br />

supporto in una mano e il set di rototom nell’altra, vide<br />

un paio di persone allontanarsi di scatto da lui mentre<br />

uno gli urlò qualcosa tipo: ”attent’..” e poi fu inondato da<br />

5 litri di acqua sporca.<br />

Bagnare i rototom a Enzo era, dopo fottergli la ragazza,<br />

la cosa peggiore che uno potesse fargli in questa vita e su<br />

questo pianeta.<br />

Enzo sollevò la testa e vide un vecchio al secondo piano<br />

bestemmiargli contro mentre riponeva un secchio vuoto,<br />

coadiuvato dal figlio in pigiama e ancora mezzo<br />

rincoglionito dal sonno. Stranamente Enzo sembrò non<br />

reagire, si diresse alla macchina e cominciò ad asciugare<br />

i rototom con meticolosità.<br />

Nel frattempo giunse una Smart che inchiodò i freni<br />

davanti all’ingresso del locale. Ne scese un tizio sui 20<br />

anni, fisico da calciatore, cervello da calciatore, capelli<br />

cortissimi, lampadatissimo, maglietta rosa aderente con<br />

49


collo a V, catenazzone al collo, parasole, occhiali a<br />

mascherone, jeans e stivali.<br />

Entrò nell’”office in progress” bestemmiando e<br />

travolgendo tutte le suppellettili che incrociava.<br />

Le checche presenti ebbero un fremito, alcune se ne<br />

innamorarono al volo. Era venuto a recuperare la mamma<br />

ubriaca che lo aveva costretto ad abbandonare<br />

momentaneamente la sua bella, tale Noemi, lasciata<br />

incustodita su uno sgabello della rosticceria “il<br />

Pellicano”.<br />

Si caricò la mamma in macchina come un cervo morto e<br />

partì sgommando tra la delusione delle vecchie e dei<br />

froci che vedevano sfuggirsi l’unico vero uomo della<br />

serata.<br />

L’altro vero uomo, o meglio ominide, della serata<br />

sistemò i rototom con cura nel bagagliaio dell’Alfa e poi<br />

si guardò intorno alla ricerca di qualcosa, la individuò<br />

quasi subito.<br />

Era un ciottolo bianco sui due chili, probabilmente<br />

doveva servire a qualcosa, visto che era stato sistemato<br />

nell’angolo basso di un portone.<br />

Enzo lo afferrò e guardò il balcone dal quale era partita la<br />

secchiata, fece un breve calcolo mentale di fisica<br />

intuitiva e si diresse verso quello che aveva stabilito<br />

essere il punto migliore per il lancio.<br />

Il vetro del balcone esplose mentre suocero del<br />

fruttivendolo e figlio pitecantropo stavano rientrando<br />

dentro.<br />

Quello che si scatenò subito dopo si protrasse fino alle 2<br />

di notte circa e fu solo grazie alla presenza di vigili e<br />

poliziotti se non ci scappò anche il morto.<br />

50


CAP. X<br />

Spaziotempo<br />

Franco era ad un bivio, da una parte c’era l’occasione di<br />

un amore unico, inaspettato, immeritato, non più<br />

sperato, con le fattezze e le grazie di una giovane donna<br />

di nome Grazia che somigliava vagamente a Scarlet<br />

Johanson e dall’altra c’era la possibilità di dare un<br />

dispiacere ad un amico.<br />

Franco fece la sua scelta senza esitazioni: “Claudiè ma lo<br />

sai che quella Graziella è proprio ‘na grande zoccola,<br />

mamma mia che puttana, ne ho viste di bucchinare in<br />

vita mia, ma una magnacazzi zucasburro come quella<br />

mai e poi mai, ma dove l’hai trovata? Meno male che<br />

avevo un preservativo appresso, eh la c’è da rischiare<br />

minimo minimo l’aids”.<br />

Claudio, all’altro capo del telefono, era vetrificato.<br />

Aveva un crampo allo stomaco e sentiva i peli tendersi<br />

come fili di rame.<br />

Naturalmente Franco stava bluffando, tuttavia l’ultima<br />

cosa che Claudio aveva visto erano Franco e Graziella<br />

Scarlet Johanson allontanarsi, lingua in bocca e mano<br />

nella mano, quindi tutto poteva essere stato.<br />

Nella realtà reale, invece, Graziella aveva salutato Franco<br />

poco dopo senza nemmeno chiedergli il cellulare. Si era<br />

congedata con un ”sei stato molto dolce, ci vediamo” e<br />

poi era scomparsa.<br />

Era lì che Franco si era trovato al bivio tra il seguirla o<br />

correre a casa, attendere un tempo strategico, calcolare il<br />

rientro di un Claudio demoralizzato e telefonarlo per<br />

dargli la mazzata finale.<br />

“Hai capito?”, ribadì Franco, “Claudiè, pronto…pronto ,<br />

oh mi senti?”, temeva fosse svenuto, “Si, si “, rispose<br />

Claudio recuperando un filo di voce da sotto al macigno<br />

che gli schiacciava il plesso solare. “Scusami Frà, ti<br />

chiamo dopo, stavo facendo ‘na cosa”, e riattaccò mentre<br />

Franco continuava imperterrito a vomitargli particolari<br />

scabrosi.<br />

“Lo so io che tieni da fare: fetentone!”, zio Titino gli era<br />

comparso alle spalle come un poltergeist.<br />

Claudio pensò di colpirlo con una testata sul naso ma<br />

aveva paura che zio Titino si smaterializzasse e rivelasse<br />

la sua vera natura demoniaca.<br />

51


Una voce dalla sala da pranzo annunciò che la cena era in<br />

tavola, e che la consorte batrace aveva preparato una<br />

specialità.<br />

Man mano che si avvicinavano alla tavola Claudio<br />

percepiva un odore dolciastro sempre più forte e<br />

nauseante.<br />

“Claudiè, adesso assaggi una cosa che non la trovi da<br />

nessuna parte, queste sono specialità che in Italia se le<br />

sognano”. Zio Titino aveva ragione perchè quella che<br />

scoperchiò era una specialità probabilmente in voga a<br />

Innsmouth o in qualche altra città da incubo uscita dalla<br />

penna di uno scrittore visionario: era una specie di<br />

enorme Totano rosaceo lungo circa un metro, adagiato in<br />

un intruglio cremoso/brodoso ed imbottito con del<br />

passato di verdura e della frutta secca. Emanava un odore<br />

nauseante come di neonato morto.<br />

“La porzione più grande tocca a questo fetentone ehheh<br />

ehhe, che deve recuperare le fatiche d’amore ehheheh”,<br />

zio Titino trascinò tutti in una risata isterica, solo<br />

Claudio non rideva e guardava tutti con preoccupazione.<br />

Forse non se ne era mai accorto ed era cresciuto in una<br />

famiglia di psicopatici come quelle che si vedono negli<br />

horror americani, forse lo avrebbero ucciso, o forse prima<br />

o poi sarebbe impazzito anche lui…”speriamo presto”<br />

sperò.<br />

Claudio trascorse una notte fastidiosa, dormì poco e<br />

male.<br />

Si alzò per non pisciare nulla almeno 5 volte, mise un<br />

dvd masterizzato nel lettore, c’erano una decina di<br />

puntate di un telefilm anni 70, una serie considerata “un<br />

cult” ma che a lui sembrò una stronzata senza infamia e<br />

senza lode.<br />

Si addormentò alla fine del 4 episodio, la mamma lo<br />

svegliò che era mezzogiorno passato: “Claudio, c’è una<br />

tua amica al telefono” e gli allungò il cordless.<br />

Claudio rispose senza aver nemmeno capito cosa gli<br />

avesse detto la madre “Pphonto, chi e?’” disse<br />

continuando a dormire, “ciao Claudio, sono Grazia, stavi<br />

dormendo? Ti ho disturbato?” .<br />

Claudio spalancò gli occhi e si ricompose come se lei in<br />

quel momento potesse vederlo, “ciao Grazia, nooo<br />

figurati”.<br />

“Senti Claudio volevo invitarti stasera, sempre se ti<br />

va,…se volevamo vederci insomma, se ti fa piacere”,<br />

“certo, certo, va benissimo Grazia, e dove ?”, “senti<br />

52


possiamo vederci a “Le Terrazze”, ok? Verso le otto, le<br />

nove va bene?”<br />

“Ok , va bene”<br />

In verità avrebbe voluto obiettare che tra le otto e le nove<br />

c’erano 60 minuti di differenza ma non voleva dare l’idea<br />

di essere uno con l’ansia di perdere l’appuntamento<br />

(anche se fino a quel momento non è che avesse dato<br />

l’idea di essere un duro).<br />

La telefonata si concluse lasciandolo pieno di dubbi che<br />

lo avrebbero tormentato per il resto della giornata, ma<br />

ora innanzitutto doveva organizzarsi.<br />

Nemmeno finì di pensarlo che la madre inferse subito un<br />

duro colpo ai suoi progetti organizzativi: “Claudio io e<br />

papà scendiamo, ti ho lasciato tutto pronto in cucina, lo<br />

devi solo riscaldare, veniamo stasera sul tardi”.<br />

“Che cosa?”, fece Claudio, cominciando a temere di<br />

essere senza macchina, “andiamo con zio Titino al paese,<br />

ci portiamo la macchina, ciao Claudiè” e sentì il rumore<br />

inconfondibile della porta blindata che si chiudeva.<br />

Claudio, cominciò a pensare.<br />

Pensava come il capo degli X-Men, fece una mappa<br />

mentale della città, localizzò “Le Terrazze”, tracciò tutti i<br />

percorsi noti dei bus cittadini, scorse un elenco di amici<br />

con macchine, motorini, biciclette, calcolò addirittura di<br />

partire dopo pranzo per giungere in tempo e alla fine<br />

cominciò a disperare.<br />

“Le Terrazze” era un locale per cachieri, carissimo e a<br />

20 Km dalla città.<br />

Lo conoscevano tutti perchè esisteva da un infinità di<br />

tempo, aveva resistito a tutte le mode passeggere forte<br />

del fatto di essere un locale con dei prezzi<br />

ingiustificatamente alti.<br />

Frequentarlo era quasi una prova iniziatica per gli<br />

aspiranti benestanti, era un tempio pagano all’invidia<br />

economica paesana, un arena di cimento per il classismo<br />

di provincia.<br />

Il locale sorgeva quasi in collina al termine di una strada<br />

ripida e tortuosa come quella che conduceva al castello di<br />

Dracula.<br />

Per Claudio il primo problema era poterlo raggiungere, il<br />

secondo era poterselo permettere.<br />

Claudio era sicuro, anzi sicurissimo, di avere una<br />

banconota da 100 euro nello scrigno ex portacaramelle<br />

che teneva sulla scrivania. Lo scrigno però era vuoto in<br />

maniera inequivocabile. C’era solo all’interno un elastico<br />

giallo e due viti minuscole che avevano fatto parte di un<br />

53


qualcosa, ma di banconote da 100 euro nessuna traccia.<br />

Claudio, fece tutte le ipotesi possibili, era giunto perfino<br />

alla conclusione che gliele avesse rubate zio Titino,<br />

quando ebbe un flashback e ricordò di averle prestate a<br />

sua madre due giorni prima la quale doveva fare la spesa<br />

e non aveva tempo per passare dal bancomat.<br />

Aveva 15 euro e qualche spicciolo, non poteva affrontare<br />

una serata a “Le Terrazze” con quella miseria. Cominciò<br />

a rovistare la casa negli angoli più remoti, guardò anche<br />

nei bagagli di zio Titino e consorte. Nemmeno un euro!<br />

Recuperò una ventina di centesimi tra cucina e bagno e<br />

poi niente più.<br />

Rimase mezzo digiuno fino alle 16 ,indeciso sul da farsi,<br />

poi, come spinto da una forza misteriosa, si vestì di tutto<br />

punto e scese di casa senza avere un piano.<br />

Comprò un biglietto per il pullman col quale avrebbe<br />

potuto girare la regione in lungo e in largo per 4 ore e che<br />

lo lasciò con una somma residua di 10 euro e zero<br />

centesimi.<br />

Si avviò ad una fermata lontanissima, ci giunse<br />

sudacchiato, ebbe l’impressione che gli puzzassero le<br />

scarpe.<br />

Per un ora non passò nessun pullman utile, poi ne arrivò<br />

uno che non era proprio perfetto ma che comunque era la<br />

cosa che lo avrebbe lasciato più vicino a “Le Terrazze”.<br />

Salì sul pullman insieme ad una zingara con un due<br />

bambini al seguito e ad un vecchio che sputava e<br />

bestemmiava.<br />

Il pullman lo lasciò dopo un viaggio interminabile in un<br />

punto che distava all’incirca 5 Km. dall’inizio della<br />

collina in cima alla quale sorgeva il locale.<br />

Claudio osservò la strada da percorrere per giungere ai<br />

piedi della collina agognata, sembrava pericolosa, non<br />

era ancora buio ma il rischio di essere travolti da un SUV<br />

o da un camionista distratto era alto, senza contare le<br />

macchine che sfrecciavano rare ma a velocità folli.<br />

Camminava e sudava, non aveva mangiato né bevuto<br />

quasi un cazzo per tutta la giornata.<br />

La sua riserva di potassio e magnesio terminò quasi<br />

subito in quel Sahara asfaltato.<br />

Cominciò a canticchiare nervosamente, aveva paura di<br />

sentirsi male.<br />

Per un attimo si chiese se valesse la pena affrontare tutto<br />

questo per una che l’aveva preso in bocca addirittura a<br />

Franco.<br />

E se era malata?<br />

54


E se era una di quelle untrici che diffondono l’aids?<br />

Ormai era troppo tardi per chiederselo, era una sfida, una<br />

sfida di qualche tipo che lui aveva accettato.<br />

Giunse ai piedi della collina a sole già tramontato.<br />

Attaccò il primo tornante e subito si rese conto di non<br />

potercela fare, non poteva tornare indietro, pensò che<br />

sarebbe stato peggio.<br />

Aveva più probabilità di sopravvivere se fosse arrivato a<br />

“Le Terrazze” e poi quella che stava percorrendo era una<br />

strada obbligata. Forse Grazia sarebbe arrivata nel<br />

frattempo e lo avrebbe raccattato lungo la strada.<br />

Decise di proseguire e di fare l’autostop ai veicoli di<br />

passaggio.<br />

Non passò nessuno, era sudato fracido, aveva perso il<br />

conto delle ore, dei chilometri e dello scopo di quel<br />

viaggio.<br />

Lo raccolse un vecchio con un trerruote diretto a “Le<br />

Terrazze” per consegnare dei formaggi.<br />

Claudio scese dal trerruote sudato fradicio mentre il<br />

vecchio aveva iniziato ad litigare col parcheggiatore del<br />

locale. Alcuni clienti (tra cui Grazia) si affacciarono da<br />

una terrazza sovrastante il parcheggio attirati dalle urla e<br />

dalle bestemmie del vecchio.<br />

Grazia vide Claudio scendere dal trerruote, accorgersi di<br />

lei e salutarla. Gli amici di lei cominciarono a chiederle<br />

spiegazioni.<br />

“Ciao Grazia,” esordì Claudio, “non ti dico che mi è<br />

successo”.<br />

Grazia non gli rispose nemmeno, aveva già sbalzato di<br />

personalità per ben due volte nel corso della stessa<br />

giornata: ora era sull’isterico/visionario.<br />

La tensione le acuiva l’asimmetria del volto e una<br />

combinazione casuale ma infelice di luci le conferì un<br />

espressione aberrata degna di un ritratto di Bacon.<br />

Claudio l’osservava con terrore, gli sembrò di trovarsi al<br />

cospetto di una creatura da incubo uscita da una<br />

schermata di Silent Hill.<br />

“Signore qui in sala c’è l’obbligo di consumazione”,<br />

Claudio sbandò a quell’ingiunzione del cameriere e senza<br />

nemmeno rendersene conto ordinò qualcosa.<br />

Gli portarono un bicchiere da cocktail riempito da<br />

qualcosa cosa che sapeva di bagnoschiuma con una<br />

foglia di menta galleggiante. Claudio lo tracannò prima e<br />

poi ne chiese il prezzo: gli mancavano otto euro!<br />

Il cameriere lo mise alla porta dopo avergli sequestrato<br />

la banconota da dieci euro.<br />

55


Claudio fu quasi contento di essersene uscito da<br />

quell’incubo imbarazzante (anche se in quel modo) e si<br />

avviò baldanzoso lungo la via del ritorno.<br />

“ Scendere è facile, mica è come salire” pensò, anche se<br />

oramai era già buio e man mano che si allontanava dal<br />

locale la luce diventava sempre più debole.<br />

Dopo i primi due tornanti non si vedeva più un cazzo e<br />

cominciò a preoccuparsi.<br />

In un attimo Claudio comprese che stava per attenderlo il<br />

quarto d’ora più brutto della sua vita, una cosa che fino a<br />

quel momento aveva visto accadere solo in film come<br />

Jurassic Park 2 , o forse era il 3, non ricordava.<br />

Senti prima un fruscio nell’erba circostante, poi un altro,<br />

poi un altro ancora più definito, uno scalpitio di unghie e<br />

zampe ed un ringhio inconfondibile: i cani!<br />

56


CAP XI<br />

L’amore ai tempi della chat<br />

Il Tatyufficio si spalancò con strepiti, urla e pianti.<br />

Sergio lasciò la postazione e corse verso l’ingresso.<br />

Pensava fosse scoppiato un incendio o qualcosa del<br />

genere.<br />

Taty urlava come un uccello preistorico, gli altri demoni<br />

facevano lo stesso, nessuna cercava di calmare nessuna.<br />

In un eccesso di protagonismo Taty sfasciò un computer<br />

da 2000 euro alto quasi quanto lei.<br />

Sergio era allibito ed inerme, cominciò a temere per la<br />

sua incolumità.<br />

Una dei demoni, che aveva un nome tipo Kali o Shiva o<br />

qualcosa del genere, gli si gettò al collo piangendo e<br />

biascicando frasi incomprensibili. Puzzava di sudore<br />

infantile e di pastelli colorati.<br />

Tra le lacrime, le urla e le frasi smozzicate Sergio riuscì<br />

ad individuarne la causa: Mirko era morto!<br />

Il bellissimo, bonissimo e contesissimo Mirko si era un<br />

po’ spalmato e un po’ fuso tra le lamiere di un auto non<br />

omologata per il volo a bassa quota.<br />

Mirko aveva cercato di replicare su un viadotto una<br />

manovra che sulla Playstation gli riusciva abbastanza<br />

facilmente e adesso Gesù (o chi per lui) gli stava<br />

spiegando dove aveva sbagliato.<br />

I genitori inconsolabili accolsero la notizia con la<br />

sobrietà tipica dei cafoni arricchiti.<br />

Organizzarono un funerale degno di un boss<br />

Colombiano, tappezzarono la città di gigantografie a<br />

colori con foto del figlio a porto Cervo in tenuta da<br />

Windsurf, gli fecero intitolare un centro sportivo, un<br />

torneo di calcetto ed un associazione culturale.<br />

La madre rilasciò interviste a quattro quotidiani, tre<br />

televisioni libere locali ed un tg regionale, riuscirono<br />

anche ad avere una diretta con un programma televisivo<br />

nazionale, uno di quelli della fascia pomeridiana dove i<br />

parenti si vanno a vendere le disgrazie in diretta.<br />

Furono intervistati da una bucchinara con la faccia molto<br />

compenetrata nelle disgrazie altrui e, durante l’intervista,<br />

il padre lanciò accuse durissime alle autorità cittadine e<br />

al corpo docente scolastico che “avrebbero dovuto<br />

vigilare” e che erano a suo dire ”i veri assassini di mio<br />

57


figlio!”. Ovviamente tralasciò particolari come il fatto<br />

che fossero le tre di notte quando l’incidente era<br />

avvenuto e che suo figlio, neopatentato, guidava una<br />

Porsche Cayman regalatagli da lui qualche giorno prima.<br />

Mirko lasciò un vuoto incolmabile nel cuore di Taty,<br />

vuoto che durò quasi una settimana, finché non adocchiò<br />

Ciro, un aiuto carrozziere sottoproletario con qualche<br />

piccolo precedente penale per furto e rissa (definito<br />

“toooppo dolce” da tutti i demoni all’unanimità). Biondo,<br />

scocche rosse, labbroni, occhi azzurri e sguardo da<br />

cucciolone abbandonato era conosciuto nel suo quartiere<br />

come “Ciro a’mmerda”, uno che per soldi si vendeva gli<br />

amici ai nemici ed entrambi alla polizia.<br />

Le preziose suppellettili di casa Taty avrebbero presto<br />

fatto la sua conoscenza.<br />

Nel mese che seguì Ciro le fece sparire un portatile<br />

dall’ufficio, una Smart, due cellulari con videocamera,<br />

600 euro in contanti, un quadro a olio del ‘700<br />

napoletano, uno Schifano, un lettore cd portatile, una<br />

pelliccia, una X-box, uno swatch da collezione, un rolex<br />

e una manciata di gioielli vari.<br />

Quando uno schiavo nubiano di Taty, tale Gianguido,<br />

laureando in ingegneria chimica col massimo dei voti, le<br />

fece rispettosamente notare che forse c’era un legame tra<br />

Ciro e quell’impennata statistica di furti inspiegabili fu<br />

colpito da un ceffone in pieno volto e subì una vera e<br />

propria aggressione collettiva da parte dell’indignato<br />

branco di demoni: ”NON TI PERMETTERE POPO<br />

MANCO DI PENSARLE QUESTE COSE! E CHI<br />

ME LO DICE CHE NON SEI STATO POPO TU?!<br />

AH?!”<br />

In ogni caso l’ingresso di Ciro in quella cerchia di papere<br />

baccanti segnò l’epilogo del Tatyufficio.<br />

Sergio era diventato ormai una figura mistica, passava<br />

intere giornate in un ufficio disfatto, consultava siti di<br />

ufo, di scommesse, di beppegrilli, di teocon.<br />

Internet era molto cambiato negli ultimi anni, era<br />

diventato una specie di surrogato di fama per quelli che<br />

non ce l’avevano fatta a diventare veramente famosi in<br />

qualsiasi campo per qualsiasi cosa.<br />

I famigerati 15 minuti di notorietà,’ a cui ciascuno<br />

avrebbe dovuto avere diritto secondo Andy Warhol,<br />

erano stati sostituiti da 15 mega di notorietà che ciascuno<br />

si accaparrava nel Web. Era tutto un brulicare di blog che<br />

spaziavano dai diari delle compulsioni di Taty a dei<br />

proclami di guerra teocon infarciti da bannerini tipo: ”io<br />

58


sto con Oriana” o “io sto con Israele”. Spesso c’era anche<br />

la foto formato tessera del “crociato” in questione, la<br />

stessa che era stata inviata alle selezioni del grande<br />

fratello, al casting delle ”Iene”, ad una quantità<br />

imprecisata di festival per nuove voci, volti etc… Era<br />

come se tutto si fosse trasformato in un gigantesco<br />

ufficio di collocamento e quelle grida che si levavano<br />

contro l’Islam, Prodi, la C.I.A., Di Pietro, Hamas, la<br />

Juve, i froci, il Papa, gli embrioni, gli ogm, le toghe rosse<br />

erano perlopiù grida di disperazione di chi non voleva<br />

morire senza essere invidiato. Tuttavia quello che<br />

sfuggiva agli umani sgomitanti era il fatto (parafrasando<br />

una legge di Murphy) che la felicità sul pianeta terra è<br />

una costante e che la popolazione è in continuo aumento.<br />

Alla fine Sergio fece l’unica cosa che fa un impiegato<br />

immotivato, con un lavoro infondato e che dispone di un<br />

pc collegato in rete sul posto di lavoro: si mise a chattare.<br />

Per accedere alla chat dovevi scaricare un programmino<br />

che per essere utilizzato richiedeva un nome utente e<br />

password che potevano essere ottenuti compilando un<br />

formulario lungo come un 740 nel quale, in teoria, avresti<br />

dovuto rivelare a degli estranei tutti i cazzi tuoi.<br />

Sergio mentì su tutto tranne che sul sesso, dichiarò di<br />

essere maschio, etero ed alla ricerca di una partner.<br />

Dopo una procedura snervante fatta di email di<br />

conferma, di link da ciccare e password da inserire, si<br />

avviava un programma dalla grafica adolescenziale che<br />

faceva dei suoni cretini ogni volta che veniva eseguita<br />

un’operazione.<br />

Sergio disattivò gli effetti sonori ed intraprese una ricerca<br />

tematica-geografica di possibili interlocutrici. Cercò<br />

innanzitutto di chattare con donne comprese in una fascia<br />

di età che andava dai 18 ai 25 anni, ma non ci fu verso.<br />

Gli risposero solo un paio di simil-Taty.<br />

Una lo giudicò troppo vecchio e l’altra scriveva come un<br />

codice fiscale, Sergio la mandò affanculo.<br />

Per i primi due giorni non riuscì a mantenere una<br />

conversazione oltre i 2 minuti, poi, un pomeriggio in cui<br />

cominciava quasi a disperare, agganciò MataHari76 e<br />

sentì che quello era l’inizio di qualcosa.<br />

Dietro quell’intrigante nickname si celava una trentenne<br />

insignificante che rispondeva al nome reale di<br />

Mariarosaria.<br />

Faceva la segretaria nell’azienda del padre, aveva una<br />

laurea inutilizzata ed inutilizzabile che l’aveva resa una<br />

disoccupata incollocabile.<br />

59


Il padre l’aveva messa a rispondere al telefono e a<br />

cazzeggiare al computer con Word processor ed e-mail<br />

dell’azienda, a fine mese le passava una paghetta e così<br />

la illudeva di aver trovato un lavoro e l’indipendenza.<br />

Mariarosaria aveva l’aspetto che avrebbe avuto un brodo<br />

d’ospedale o una pasta al burro acquosa se fossero state<br />

persone. Era una donna completamente scialba con un<br />

retrogusto malaticcio che sapeva di vix-vaporub e di<br />

influenze stagionali.<br />

Sergio riuscì a prendere un appuntamento con lei nella<br />

vita reale dopo un paio di sedute di chat.<br />

Mariarosaria abitava in un paese vicino, non molto<br />

distante dalla città, “ti raggiungo io”, disse lei, ed<br />

optarono per un bar vicino la stazione.<br />

Quando Sergio se la trovò davanti la prima cosa che si<br />

chiese era perchè avesse scelto “MataHari” come<br />

nickname.<br />

Trovò che “Anna Frank” sarebbe stato molto più<br />

appropriato.<br />

Nella sessione di chat che aveva preceduto il loro primo<br />

incontro, lei lo aveva avvertito: “non aspettarti chissà<br />

che”, ma Sergio si era convinto che lei si schermisse e<br />

volesse giocare al ribasso per poi sorprenderlo<br />

piacevolmente.<br />

Insomma: una che si era scelta come pseudonimo<br />

“MataHari” doveva pur aver qualcosa…<br />

Mariarosaria le allungò una mano bianca, fredda e<br />

viscida da malata di nervi.<br />

Sergio le sorrise con lo stesso sorriso che dovevano aver<br />

avuto i soldati americani coi reclusi di Auschwitz che<br />

avevano appena liberato.<br />

Si sedettero ai tavolini del bar.<br />

Venne una cameriera a prendere le ordinazioni, non era<br />

nemmeno carina, anzi, ma se gliela avessero scambiata<br />

con Mariarosaria Sergio avrebbe fatto i salti di gioia.<br />

Ordinarono un paio di stronzate con gli ombrellini e la<br />

panna.<br />

Sergio guardava quella faccia di saponetta guasta<br />

cercando di scovare almeno un pregio, ma non gli<br />

suscitava niente di niente.<br />

Mariarosaria Frank gli raccontò la storia della sua vita<br />

universitaria fatta di aneddoti noiosissimi sui guasti della<br />

burocrazia universitaria e sulla mancanza di riconoscenza<br />

delle colleghe di facoltà, quindi passò a descrivergli nel<br />

dettaglio tipologia e modalità di partecipazione a<br />

concorsi e corsi di specializzazione.<br />

60


Quando attaccò il capitolo sulla colite da stress Sergio<br />

staccò completamente il cervello e cominciò ad assistere<br />

ad una proiezione mentale a base di immagini casuali e<br />

ricordi insensati.<br />

Si congedarono dopo una noiosissima passeggiata.<br />

Cominciò a piovigginare, il cielo si era ammantato di<br />

grigio e l’aria puzzava di umido.<br />

Sergio era stato volutamente noioso e aveva infarcito le<br />

sue poche uscite con osservazioni tra l’insipido e il<br />

deficiente, sperava così che quella tattica suicida fosse un<br />

modo gentile per dirle: “ok ci abbiamo provato ma non è<br />

il caso né di rivederci, né di risentirci mai più né in<br />

questa vita, né su questo pianeta e né in questo universo”.<br />

Evitò anche di accompagnare Mariarosaria alla<br />

macchina e si congedò bruscamente adducendo un<br />

impegno di cui si era improvvisamente ricordato.<br />

Mariarosaria si ritrovò sola come uno spaventapasseri<br />

abbandonato nel traffico.<br />

“Secondo me l’ha capita”, pensò Sergio mentre si<br />

allontanava a passo svelto con un leggero scrupolo di<br />

coscienza da maleducazione.<br />

Quella sera stessa, alle 21.45 il suo cellulare gli annunciò<br />

la ricezione di un sms, era di Mariarosaria: “io sono stata<br />

molto bene con te e credo anche tu, un bacio!<br />

M.Rosaria”. Non aveva assimilato ancora l’infondatezza<br />

di quel messaggio che un urlo da Pterodattilo femmina<br />

misto a un rombo di marmitta spaccata gli gelò il<br />

sangue:”SEEEEGGGGGIIOOOOOOOOOO,<br />

CCIAAAAAAOOOOOO”<br />

Era Taty, senza casco, avvinghiata ad un energumeno<br />

biondo con labbroni e occhi azzurri, anche lui senza<br />

casco, che impennava con una moto truccata.<br />

Il tesorino aveva visto Sergio e lo aveva salutato con la<br />

sua abituale grazia.<br />

Mariarosaria era la seconda di tre figli.<br />

Aveva una sorella più grande, quasi identica a lei ma con<br />

una quinta abbondante di reggiseno che le aveva forse<br />

evitato di morire zitella, ed un fratello di qualche anno<br />

più piccolo, senza velleità universitarie, diplomato e<br />

molto attaccato ai soldi. Lavoratore instancabile era il<br />

braccio destro del padre ed il sicuro erede dell’azienda<br />

famigliare.<br />

L’azienda era qualcosa di così grigio e triste che<br />

nemmeno la camorra, o chi per essa, gli avrebbe chiesto<br />

il pizzo per paura che gli portasse sfiga.<br />

61


Si occupavano di materiali per imballaggio e il massimo<br />

della mondanità che si concedevano era il far stampare<br />

degli anonimi calendari da muro, tipo quelli che regalano<br />

le macellerie, con l’intestazione della ditta.<br />

Una volta avevano addirittura commissionato un<br />

centinaio di penne a sfera con relativa intestazione, gialle<br />

con cappuccio nero, ma quello era stato un colpo di testa.<br />

Mariarosaria invece aveva suggerito la creazione di un<br />

sito internet per l’azienda, con tanto di e-mail.<br />

Il padre non aveva capito a che cazzo servisse e cosa<br />

fosse una cosa del genere ma aveva accettato più che<br />

altro per evitare un’eventuale figura di merda con la<br />

concorrenza locale.<br />

Mariarosaria era stata fidanzata per quasi un anno col<br />

figlio di un tizio che aveva rapporti di affari con suo<br />

padre ed era stata sverginata dal padre di questi una<br />

domenica sera in macchina. Il figlio non si era sentito<br />

bene e il padre si era offerto per riaccompagnarla a casa.<br />

La cosa si era ripetuta un paio di volte, poi il tizio aveva<br />

lasciato decadere la cosa e Mariarosaria non se l’era<br />

sentita di richiamarlo. Il figlio nel frattempo si era iscritto<br />

ad un università per figli di arricchiti molto distante e<br />

molto prestigiosa e aveva lasciato Mariarosaria via<br />

telefono. Per consolarsi lei aveva iniziato a scrivere<br />

poesie e contemporaneamente a prepararsi per<br />

partecipare ai concorsi pubblici più disparati.<br />

Era stato proprio ad un concorso per impiegati con la<br />

terza media che aveva conosciuto Sandro, un balordo che<br />

l’aveva iniziata al mondo dell’informatica fotografandole<br />

il culo con una webcam ed impostando tale immagine<br />

come sfondo del desktop del computer aziendale del<br />

padre di lei.<br />

Mariarosaria era andata in paranoia e aveva passato quasi<br />

una nottata per scoprire come eliminare un’immagine di<br />

sfondo dal desktop di Windows, ma almeno aveva fatto<br />

un po’ di pratica col computer.<br />

L’incontro con Sergio era la cosa più vicina ad una<br />

relazione normale che le fosse capitata nel corso della<br />

vita e aveva deciso di non lasciarselo sfuggire<br />

Era sicura di piacergli, aveva solo paura che lui potesse<br />

essere intimidito dalla sua femminilità e ritrarsi o<br />

addirittura fuggire non credendosi all’altezza.<br />

Naturalmente questi pensieri non erano farina del suo<br />

sacco, né poggiavano su alcun elemento oggettivamente<br />

reale, erano piuttosto nozioni sparse che Mariarosaria<br />

carpiva da rubriche e articoli di settimanali di moda che<br />

62


erano le sue uniche letture (oltre agli interessantissimi<br />

bignami dedicati al diritto amministrativo, alla<br />

legislazione degli enti pubblici, alla biblioteconomia e ai<br />

test attitudinali).<br />

Mariarosaria aveva capito che i veri problemi che<br />

determinavano l’orientamento politico della nazione non<br />

erano quelli riportati sulle prime pagine dei giornali ma<br />

quelli riportati nelle ultime, tipo “la posta del cuore”,<br />

“ditelo a Donna Elisa”, “l’avvocato risponde”, “lo<br />

psicologo consiglia”, etc…<br />

Che poi la gente si accapigliasse sui talebani o sui<br />

partigiani non erano cazzi che influivano nella sua realtà<br />

più di questioni come l’esistenza degli u.f.o. o del mostro<br />

di Loch Ness. Probabilmente prima o poi ci sarebbe stato<br />

il primo attentato terroristico nucleare della storia e<br />

qualche milione di persone se la sarebbe presa nel culo,<br />

ma per gli altri quasi 5 miliardi di sopravvissuti tutto<br />

sarebbe continuato come prima e in più ci sarebbe stata<br />

una pacchia di telegiornali, servizi speciali, dirette di<br />

Emilio Fede, edizioni straordinarie, film , videogiochi,<br />

edizioni straordinarie e moviole del famoso monumento<br />

che si sgretola o dell’inestimabile museo che se ne va<br />

affanculo per sempre: altro che i mondiali!<br />

In un interessantissima lettera inviata ad una rubrica<br />

tenuta dalla moglie cornuta di uno famoso,<br />

“l’opinionista” suggeriva alla racchia che le aveva scritto<br />

,per chiederle come tenersi stretto uno che andava in giro<br />

fottendosi le badanti, di “non essere aggressiva” ma di<br />

conquistare il suo lui “prendendolo per gola” con<br />

qualche delizioso pranzetto o magari di “sorprenderlo<br />

con un regalo inaspettato”.<br />

L’arguta opinionista argomentava, infatti, che gli uomini<br />

andavano con le strafighe dell’est o con le brasiliane “per<br />

esorcizzare il senso di inferiorità che avvertivano nei<br />

confronti delle italiane, sempre più indipendenti,<br />

spregiudicate, aggressive e sessualmente esigenti,<br />

bisognava quindi rassicurarli come dei cuccioli<br />

impauriti, conquistandosi la loro fiducia con qualche<br />

gesto d’affetto, magari un regalo, chessò una<br />

sciocchezza, un orologio, un cellulare…”<br />

E per pura combinazione a piè di pagina di questo<br />

mirabile saggio di psicoanalisi campeggiava proprio<br />

un’esclusiva offerta di lancio di un nuovo elegante<br />

telefonino, una specie di portasigarette da mafioso anni<br />

’50, il cui design era stato curato in esclusiva dal noto<br />

63


artista (noto al grande pubblico soprattutto in qualità di<br />

ricchione).<br />

A Mariagrazia la spesa non proprio modica di 399 euro<br />

sembrò una cifra accettabile per un regalo di classe che<br />

suggellasse l’amore. Inoltre, nel loro breve incontro,<br />

aveva notato che il cellulare di Sergio aveva il coperchio<br />

del vano batteria attaccato con del nastro adesivo.<br />

Si diresse sicura e baldanzosa nel negozio di telefonia<br />

più chic del paese domandandosi chissà con quale regalo<br />

Sergio le avrebbe ricambiato il pensiero.<br />

Quando che Sergio ebbe scartato la confezione regalo del<br />

Centro Telefonia Di Mauro assunse l’espressione che di<br />

solito assumono i disoccupati quando la loro ragazza gli<br />

comunica sorridendo di essere incinta.<br />

Mariarosaria era riuscito ad individuare il bar sotto il<br />

Tatyufficio dove Sergio poltriva a pomeriggi interi.<br />

Quando la vide sbandò, non avrebbe dovuto essere così<br />

prodigo di particolari sul genere e sull’ubicazione del suo<br />

lavoro, ma non voleva fare la figura del disoccupato e ora<br />

se ne stava pentendo.<br />

Le donne interessate sono dei segugi infallibili.<br />

Se l’amministrazione Bush avesse voluto davvero<br />

scovare Bin Laden non avrebbe dovuto fare altro che<br />

seguire una sua spasimante non ricambiata.<br />

Sergio era ammutolito, non riusciva a dire niente,<br />

rigirava quella pacchianata tecnologica tra le mani senza<br />

capire nemmeno come si aprisse.<br />

Non c’era un cazzo di pulsante, una sporgenza minima,<br />

niente!<br />

Era come cercare di aprire con le mani una cozza cruda.<br />

“Uaaa, toppa bello! Questo è quello come lo tiene Ciro”,<br />

era Taty, comparsa alle sue spalle dal nulla e che in una<br />

frazione di secondo gli sfilò il cellulare dalle mani, lo<br />

aprì e cominciò a smanettare funzioni con una semplicità<br />

innaturale.<br />

Taty e gli altri demoni si erano trovate a passare di lì per<br />

puro caso e subito individuarono ed accerchiarono la<br />

coppia di neofidanzati.<br />

“Ma lei è la tua ragazza?” , disse Taty rivolgendosi a<br />

Sergio ed indicando con un dito Mariarosaria, “uà che<br />

cesso”, commentò nemmeno tanto a bassa voce Saby<br />

senza attendere la risposta di Sergio.<br />

“SABY, ma sei scema?!”, la redarguì Taty mettendosi<br />

però a ridere.<br />

Mariarosaria teneva lo sguardo basso e fece un sorriso di<br />

circostanza.<br />

64


Sergio era ancora sotto choc per il regalo ed incapace di<br />

trovare un’interpretazione plausibile della realtà.<br />

Taty premette qualcosa che emise un accordo e che fece<br />

richiudere il cellulare come un’ ostrica, lo restituì a<br />

Sergio e si dileguò col resto del branco.<br />

Quando Sergio si riprese gli furono chiare due cose: la<br />

prima è che aveva perso per sempre il rispetto dei<br />

demoni (il che voleva dire la fine della tranquillità sul<br />

lavoro, o addirittura la fine del lavoro) e la seconda era<br />

che, suo malgrado, Mariarosaria se lo era fidanzato.<br />

Cominciò una delle passeggiate più penose nella storia<br />

dei rapporti umani eterosessuali con Mariarosaria che<br />

cercava di prendergli la mano e lui che faceva dei<br />

movimenti quasi pianistici per sfuggirle.<br />

Alla fine lei gli agganciò un gomito col braccio e reclinò<br />

la testa sulla sua spalla.<br />

Sergio pensò che peggio di cosi non potesse andare ma<br />

si sbagliava: inspiegabilmente, ad un orario insolito, in<br />

un luogo insolito, in una formazione insolita Sergio si<br />

imbatté nella sua comitiva al completo capitanata da<br />

Giacomo che stava conducendo tutti al teatro tenda con<br />

un anticipo immotivato.<br />

“Sergiolì”, esordì Giacomo trionfante, “siamo tutti pronti<br />

per gli “Ars Longa”, tu pure stai andando li eh?”, Sergio<br />

fece l’errore di rispondere: “eh chi so’ gli Ars Longa?”<br />

Giacomo lo guardò schifato, sbuffò allargò le braccia e<br />

rivolgendosi non più a lui ma a Mariarosaria come per<br />

cercare supporto alla sua indignazione attaccò: “Eh, e chi<br />

devono essere, sono semplicemente considerati la<br />

migliore tribute band nazionale, se non e-u-r-o-p-e-a, dei<br />

Nice, e questo non lo pensa soltanto il sottoscritto ma<br />

anche Gianbattista Ferraro il direttore della maggiore<br />

rivista europea dedicata al progressive”.<br />

Mariarosaria guardò Sergio con uno sguardo di<br />

ammonimento materno, “Sergio e andiamoci pure noi,<br />

scusa” e guardò Giacomo come a dire “lo scusi signor<br />

maestro, sa come sono questi ragazzi, vanno<br />

incoraggiati”.<br />

Giacomo annuì e rimise in marcia quella tristissima<br />

comitiva coi due nuove adepti riprendendo la conferenza<br />

sulla tribute band da dove l’aveva interrotta.<br />

Il resto della comitiva, il cui livello di esperienze sessuali<br />

collettivamente non raggiungeva la penetrazione,<br />

osservavano timidamente, ma insistentemente,<br />

65


Mariarosaria, che più che invidia sembrava suscitare in<br />

loro curiosità.<br />

Giunsero al teatro tenda che, tranne per qualche tecnico<br />

ed uomo di fatica, era praticamente deserto.<br />

Giacomo annusò un chiosco lurido che vendeva salsicce<br />

fetenti a 300 metri di distanza e cominciò ad agitarsi in<br />

attesa di un’occasione di scrocco.<br />

Non conosceva nessuno degli avventori che sostavano<br />

nei pressi del chiosco e stava quasi pensando di<br />

avvicinarsi a degli sconosciuti per chiedere se gli<br />

facessero dare un morso al panino, quando ebbe un’idea<br />

brillante: “Ragazzi io vado al chiosco a prendere<br />

qualcosa, voi che volete”, era una tattica penosa e<br />

nessuno dei suoi amici ci sarebbe cascato…tranne<br />

Mariarosaria.<br />

“Signorina lei che prende?”<br />

“Niente grazie”,<br />

“una cosa da bere almeno?, un’aranciata?”,<br />

“Va bene”, rispose ingenuamente Mariarosaria alla quale<br />

sembrava brutto rifiutare.<br />

“Vabbè allora vado io, l’unica cosa ragà datemi i soldi<br />

prima che sono sceso senza portafogli ho i soldi giusto<br />

per prendermi un panino”.<br />

Nessuno tirò fuori un soldo perchè nessuno aveva chiesto<br />

di prendergli niente.<br />

Mariarosaria tirò fuori cinque euro dalla borsa, “Sergiolì<br />

e che fai pagare la tua ragazza?”, disse la merda umana,<br />

Sergio si infilò una mano in tasca e cacciò una banconota<br />

da 5, Giacomo gliel’afferrò al volo, poi, prima che<br />

Mariarosaria la riponesse, afferrò anche la banconota di<br />

lei.<br />

“Prendo un attimo pure questa così compro le sigarette<br />

per tutti quanti” e sparì in direzione del chiosco<br />

scomparendo per il resto della serata.<br />

L’infelice comitiva orfana di Giacomo si accomodò nel<br />

teatro tenda deserto due ore prima dell’inizio del<br />

concerto.<br />

Gli argomenti di conversazione toccarono marginalmente<br />

la musica poi si cominciò a parlare di politica, di scienza<br />

e di come la tecnologia aveva rovinato tutto: il cibo, il<br />

cinema, la musica.<br />

Uno di loro, particolarmente ferrato sull’economia dei<br />

Soviet, attaccò una filippica sulla gente che gira nelle<br />

città intasate dal traffico coi fuoristrada e su “quei<br />

coglioni che spendono centinaia di euro per un cellulare<br />

66


che dopo un mese è gia fuori moda e non vale più<br />

niente”.<br />

Sergio rabbrividì, anche perchè era perfettamente<br />

d’accordo e inoltre gli era venuto in mente che la<br />

macchina di Mariarosaria era una Toyota grande quanto<br />

la cucina del tizio che parlava.<br />

Il concerto si aprì con un gruppo di spalla composto da<br />

due tipi, erano anche loro una tribute band ma non si<br />

capiva bene di quale band.<br />

Erano un maschio ed una femmina, rispettivamente<br />

chitarrista e cantante. Erano vestiti come i pastori del<br />

presepe vivente ed eseguivano delle nenie spappolapalle<br />

intervallate da dei brani strumentali infarciti di stecche.<br />

A Sergio sembrò di riconoscere uno di quei motivi, gli<br />

sembrava che fosse la musica di uno spot di un<br />

formaggino o qualcosa del genere.<br />

L’applauso più deciso lo ebbero quando se ne andarono.<br />

Subito subentrò un tizio che attendeva spazientito al lato<br />

del palco ed annunciò l’ingresso degli “Ars Longa”.<br />

Arrivarono tre tizi di età indefinibile, uno era vestito<br />

normalmente, un altro aveva una tuta e un altro aveva dei<br />

capelli da paggetto e una camicia con dei frattali colorati.<br />

Avevano un carisma da pensionati e trasmettevano<br />

un’energia analoga.<br />

Il pubblico applaudì i primi due pezzi.<br />

Il terzo si protrasse troppo a lungo, il pubblico rimase<br />

polemicamente silenzioso alla fine del pezzo.<br />

Per recuperare la situazione il batterista attaccò un<br />

assolo poco collaudato durante il quale si tolse la<br />

maglietta e la lanciò verso il pubblico, nessuno<br />

ovviamente la raccolse anche perchè lo spazio che li<br />

separava dai posti a sedere era rimasto deserto sin<br />

dall’inizio del concerto. La maglietta rimase lì per terra<br />

come a sottolineare quel vuoto e probabilmente sarebbe<br />

rimasta lì per sempre se da un angolo del tendone non<br />

fosse spuntato Giacomo che, con la velocità e le<br />

movenze di un ratto umano, recuperò l’indumento e poi<br />

sparì nuovamente nel nulla.<br />

La comitiva di Sergio si sciolse a mezzanotte passata.<br />

Sergio aveva sperato fino all’ultimo che qualcuno di loro<br />

cercasse di soffiargli la ragazza ma nessuno di loro le<br />

aveva rivolto nemmeno la parola.<br />

Camminarono verso la macchina di lei con Sergio che<br />

pensava ad un modo per evitare di essere baciato.<br />

67


“Ti è piaciuto il telefono?”, fece lei per rompere un<br />

silenzio imbarazzante, “si, si”, fece Sergio, “ma non<br />

dovevi”.<br />

“E perchè no”, disse lei fermandosi di scatto e<br />

gettandogli le mani al collo, “è bello fare una gesto<br />

spontaneo per una persona a cui ci tieni di sentirci<br />

veramente”.<br />

Sergio stava cercando di decodificare che cazzo avesse<br />

voluto dire quando si trovò tra le labbra una lingua che<br />

sapeva di filetto di platessa bollito, lei le sussurrò in un<br />

orecchio: ”perchè non andiamo da me, non c’è nessuno”.<br />

Sergio senti il suo cazzo che gli diceva: “arrangiati tu, io<br />

scappo!”.<br />

68


CAP XII<br />

Area 51<br />

Nico aveva avuto un idea geniale, aveva trovato un nome<br />

per il gruppo che riuniva tutto: la tecnologia, il mistero,<br />

la modernità, l’esoterismo, l’esclusività…altro che il<br />

vocabolario di greco.<br />

Era un nome, o meglio una sigla, semplice ed incisiva ed<br />

indicava uno dei segreti meglio custoditi nella storia<br />

dell’umanità (almeno fino a quel momento) ma ora il<br />

segreto era stato svelato da un suo amico che ne era<br />

venuto a conoscenza attraverso dei canali segretissimi e<br />

privilegiati che aveva su Internet.<br />

L’amico non si fidava di nessuno, ne aveva parlato solo<br />

con Nico e la principessa consorte raccomandandogli di<br />

non “sputtanare la cosa in giro perchè poteva essere<br />

rischioso”, ma Nico ed Ernestina avevano deciso di<br />

rischiare e di rompere quella congiura del silenzio<br />

utilizzando addirittura quella sigla super segreta come<br />

nome del loro gruppo: AREA 51!<br />

Telefonarono a Domenico entusiasti per comunicargli<br />

quella decisione così azzardata.<br />

Domenico, che pure non era una cima, avrebbe voluto<br />

obbiettare che quello dell’Area 51 era un segreto quanto<br />

l’omosessualità di George Michael e che era addirittura<br />

possibile visualizzarla anche con la mappa di Google, ma<br />

non se la sentì di rovinargli la trovata e poi doveva<br />

comunicargli che il gruppo aveva incredibilmente avuto<br />

un nuovo ingaggio per la domenica seguente.<br />

Dovevano suonare ad una sagra gastronomica di paese<br />

che era stata funambolicamente abbinata ad una<br />

“rassegna di gruppi di nuove tendenze”.<br />

Nemmeno questa volta li avrebbero pagati ma i musicisti<br />

avrebbero avuto dei buoni-sagra per gustare gratis<br />

braciole di capra e vino rosso paesano.<br />

La principessa Ernestina domandò a Domenico se, in<br />

qualità di manager, li avesse iscritti alla S.I.A.E. o se<br />

aveva fatto qualcosa per depositare i loro diritti d’autore<br />

presso un notaio. Ovviamente Ernestina non sapeva<br />

nemmeno lei di cosa stava parlando, aveva solo<br />

orecchiato qualcosa da qualcuno e aveva finito di<br />

confondersi le idee chiedendo lumi al padre ex-avvocato.<br />

69


Domenico fu preso in contropiede ma per non darlo a<br />

vedere rispose deciso: “Nessun problema, me ne occupo<br />

domattina”.<br />

Intanto gli organizzatori della rassegna volevano una foto<br />

del gruppo con biografia artistica dei singoli membri e<br />

relativa demo audio o video della band.<br />

Non che queste cose venissero visionate o vagliate da<br />

qualcuno per davvero ma niente era peggio come<br />

l’affidare una rassegna artistica a gente che non contava<br />

niente e che voleva disperatamente rifarsi su qualcuno.<br />

Il direttore artistico della rassegna, tale Ferdinando, era<br />

una nullità burocratica col baffetto alla D’Alema, uno di<br />

quelli “lei non sa chi avrei voluto essere io” che si<br />

autocollocava nell’aria riformista Ds.<br />

La realtà però lo aveva collocato in un paesello di collina<br />

alle dipendenze di sottodipendenti Ds che gli<br />

elemosinavano incarichi infimi.<br />

Ferdinando occupava il gradino più basso di<br />

un’immaginaria enorme piramide il cui vertice non era<br />

rappresentato nemmeno da D’Alema ma tuttalpiù da un<br />

Velardi.<br />

Quando poteva Ferdinando assumeva un atteggiamento<br />

alla D’Alema e, con voce alla D’Alema, cercava di<br />

trasmettere un senso di inadeguatezza in qualche povero<br />

disgraziato tipo Domenico.<br />

“Guardi, peggio per lei, se non mi porta entro<br />

dopodomani il materiale devo cassssare il gruppo dal<br />

programma della rassegna”, cosi parlò Ferdinando con<br />

voce sgradevolmente nasale.<br />

Domenico fece presente la cosa a Nico e consorte e li<br />

pregò anche di avvertire il resto del gruppo.<br />

“No veditela tu, io sto incasinatissimo con la testa” gli<br />

rispose Nico mentre Ernestina annuiva compenetrata.<br />

Domenico riuscì miracolosamente a concordare un<br />

appuntamento con tutto il gruppo per mezzogiorno nel<br />

bar più bohemienne della città.<br />

Aveva assolutamente bisogno del materiale richiesto per<br />

partecipare, bastava che mancasse una virgola e<br />

Ferdinando D’Alema li avrebbe cassssati.<br />

Il giorno dopo Domenico, con una valigetta praticamente<br />

vuota ed un look misto tra Elvis Costello ed uno<br />

sguattero Tecnocasa, si aggirava nel cuore affaristico<br />

commerciale della città soffermandosi sulle enormi<br />

targhe in ottone di studi notarili ed avvocati.<br />

Voleva chiedere lumi a qualcuno riguardo qualcosa che<br />

nemmeno lui sapeva bene cosa avrebbe dovuto essere ma<br />

70


che probabilmente doveva riguardare cose tipo diritti<br />

d’autore, gruppi, S.I.A.E…insomma quelle cose lì.<br />

Il bello è che fu proprio questo che disse testualmente ad<br />

un avvocato il quale lo guardò allibito anche perchè si<br />

chiedeva chi l’avesse fatto entrare.<br />

La segretaria si giustificò dicendo che le era sembrato<br />

una persona normale.<br />

Domenico spaccò il minuto e a mezzogiorno in punto era<br />

davanti al Bar Aurora, caffetteria con sala da the dal<br />

1952.<br />

Era un bar che puzzava di chiuso frequentato soprattutto<br />

da professori ed assistenti universitari invidiosi e che non<br />

contavano un cazzo.<br />

Nico aveva preteso che si incontrassero lì per darsi un<br />

tono, Enzo il batterista aveva bestemmiato tutti santi per<br />

trovare un parcheggio, mentre Marco era già lì dalle<br />

11,30 con la ragazza/spettro dai capelli rossi che<br />

sorseggiava un the senza zucchero.<br />

Di Nico e consorte però non v’era traccia.<br />

Marco ed Enzo avevano portato i rispettivi curriculum<br />

con foto e un cd masterizzato contenente due pezzi<br />

registrati male. Enzo aveva allegato una foto tessera fatta<br />

alle macchinette della stazione, sembrava uno scafista.<br />

La vera perla era il curriculum artistico che aveva<br />

allegato sembrava una domanda d’assunzione in nero<br />

scritta da un extracomunitario.<br />

La foto di Marco era invece sull’artistico con effetto<br />

viraggio seppia, il curriculum era completamente<br />

inconsistente, si era attribuito qualifiche quali “keyboard<br />

programmer per noti gruppi nazionali ed internazionali”<br />

ed altre collaborazioni inesistenti con gruppi altrettanto<br />

inesistenti, ma comunque era meglio di niente.<br />

Il chitarrista invece aveva mandato a dire tramite Marco<br />

che lui lasciava il gruppo per seguire la sua vera<br />

vocazione: il cinema!<br />

Nico arrivò alle 13.15.<br />

“Uè Nicò, l’appuntamento era a mezzogiorno”, gli fece<br />

notare Enzo che aveva lasciato la macchina in doppia<br />

fila.<br />

“Per piacere, vatti a pigliare ‘na camomilla, vai, và” fu la<br />

risposta sguaiata di Nico.<br />

Il conto alla rovescia del meccanismo attivatosi già da<br />

tempo nella testa di Enzo accellerò sensibilmente.<br />

Nico non aveva portato un foto, aveva portato un ritratto<br />

eseguito dalla principessa Ernestina mentre era “in<br />

trance”.<br />

71


Come curriculum aveva allegato invece un testo<br />

scopiazzato dai Doors da mostrare come credenziale.<br />

Domenico raccattò il tutto e si avviò preoccupato<br />

all’ufficio di Ferdinando D’Alema, prima però passò per<br />

casa dove scrisse a mano un finto curriculum di Nico e<br />

recuperò una sua foto stile Matrix da spacciare per foto<br />

di Nico nel caso in cui D’Alema non avesse accettato il<br />

ritratto eseguito dalla principessa in trance.<br />

Domenico giunse nell’ufficio di D’Alema dopo una<br />

mezza giornata di viaggio, Ferdinando non stava facendo<br />

un cazzo di niente e lo fece aspettare mezz’ora senza<br />

motivo.<br />

“Ha portato i documenti?”, esordì impostando una voce<br />

stizzosa senza nemmeno rispondere al “dottore<br />

buongiorno” generosamente rivoltogli da Domenico.<br />

Ferdinando non era dottore aveva un diploma tecnico e<br />

non sapeva se quel titolo che gli era stato<br />

spontaneamente attribuito da Domenico fosse un modo<br />

sottile di prenderlo per il culo.<br />

“Manca la foto del gruppo”, puntualizzò acido.<br />

Domenico balbettò qualcosa di indefinito, non sapeva<br />

che dire: “io avevo capito che lei aveva bisogno delle<br />

foto dei singoli componenti, veramen…” , “eh aveva<br />

capito male”, lo interruppe il simil leader Ds<br />

“Io parlo italiano e credo di parlarlo anche piuttosto<br />

bene” e dicendo questo chiuse gli occhi e inarcò le ciglia<br />

scuotendo la testa in un gesto di diniego, in quel<br />

momento immaginava di essere a Porta a Porta col<br />

massimo dello share.<br />

Domenico guardava quella curiosa imitazione<br />

dell’imitazione che la Guzzanti faceva di D’Alema e<br />

cominciò a capire che con uno così non c’era verso di<br />

spuntarla.<br />

Il gruppo fu comunque autorizzato a partecipare alla<br />

rassegna in quanto i gruppi presenti erano due ed uno era<br />

anche in forse, come in forse era la rassegna stessa.<br />

Ferdinando ovviamente si guardò bene dal dirlo e finse di<br />

compiere un magnanimo strappo alle regole solo dopo<br />

aver mortificato inutilmente Domenico per un ulteriore<br />

quarto d’ora.<br />

Il giorno dopo potè dare l’annuncio trionfale a tutti i<br />

membri del gruppo comunicandogli che gli organizzatori<br />

avevano ascoltato il cd ed erano rimasti entusiasti e che il<br />

gruppo era stato inserito ufficialmente nel programma<br />

della sagra.<br />

72


Nico “si riservò” di partecipare, “dipende dall’impianto”,<br />

disse con un tono da artista di lungo corso, “se fa schifo<br />

io sul palco non ci salgo, non mi voglio sputtanare”.<br />

Domenico si augurò che Nico stesse recitando perchè da<br />

come aveva inquadrato la situazione nell’ufficio di<br />

Ferdinando era poco probabile che l’organizzazione<br />

disponesse di un impianto.<br />

Pensò di fugare, o confermare, i suoi dubbi e telefonò<br />

alla segreteria del comitato organizzativo della<br />

sagra/rassegna. Gli rispose Ferdinando in persona che in<br />

quel momento stava immaginando di essere a cena nella<br />

villa di Arcore: “certo che no, gli strumenti ve li dovete<br />

portare voi, ci mancherebbe altro, adesso mi metto a<br />

pensare pure a come amplificare tamburi e trombette...”.<br />

Questa fu la garbata risposta che Domenico ricevette<br />

riguardo alla disponibilità di un impianto.<br />

Inoltre c’era un altro problema: Enzo, che aveva appena<br />

scoperto di essere stato lasciato dalla fidanzata.<br />

Domenico si auguro subito che preso dallo sconforto<br />

abbandonasse il gruppo.<br />

Enzo, invece, aveva reagito nella maniera opposta.<br />

Per una sorta di logica malata pensava di poter riscattare<br />

l’amore perduto con una suonata magistrale di cui si<br />

sarebbe parlato a lungo e che lo averebbe rivalutato agli<br />

occhi della sua amata.<br />

Così stavolta aveva deciso di fare le cose in grande e di<br />

presentarsi al concerto con il suo set di batteria completo.<br />

Enzo faceva un lavoro umile ma redditizio.<br />

Viveva con i genitori, gente di paese molto parsimoniosa<br />

che si facevano il cibo in casa importando la materia<br />

prima dal paese. Enzo, dunque, non spendeva nulla né in<br />

vitto né in alloggio. Il vestiario gli veniva fornito dalla<br />

madre, grande frequentatrici delle bancarelle d’occasioni<br />

nei mercatini rionali, la macchina era una storica Alfa<br />

che aveva da una vita e che gli andava più che bene e i<br />

soldi guadagnati li spendeva concedendosi qualche caffé<br />

o qualche pizza il sabato con la ragazza. Ma il grosso dei<br />

suoi risparmi lo dilapidava in un’unica ossessione: la<br />

batteria.<br />

Enzo possedeva una batteria enorme, era un condominio<br />

di percussioni.<br />

Se un extraterrestre fosse atterrato sul nostro pianeta ed<br />

avesse visto la batteria di Enzo nonne avrebbe mai<br />

dedotto che gli esseri umani hanno soltanto due braccia e<br />

due gambe.<br />

73


Parte della batteria era costituita da un modello di punta<br />

degli anni ’80 autografato da un tizio che sembrava un<br />

parrucchiere per pornodive.<br />

Enzo aveva aggiunto un infinita, di piatti, percussioni,<br />

timbales, chincaglierie ritmiche, campanacci, un gong, un<br />

timpano da orchestra, una cassa aggiuntiva con doppio<br />

pedale, tom trasparenti, altri in legni esotici, campane<br />

tubolari, congas e tutto quello il negozio di strumenti<br />

locale riusciva ad appioppargli ad ogni nuovo stipendio.<br />

Enzo aveva espresso l’intenzione a Domenico di<br />

presentarsi al concerto con il suo set completo, che a sua<br />

volta aveva cercato di mediare la faccenda con Nico il<br />

quale aveva stroncato la mediazione con un: ”non<br />

cominciamo co’ ‘ste paranoie jazzistiche, anzi digli ad<br />

Enzo che si stesse proprio a casa o che si comprasse un<br />

campionatore, perchè io in mente ho il futuro, non il<br />

passato, il passato è out, capitò Domè ? è out!”, e mentre<br />

declamava questo manifesto futurista, con un tono di<br />

voce impostato per nascondere la cadenza paesana, la<br />

principessa Ernestina annuiva estasiata.<br />

L’ultima disperata telefonata Domenico la riservò a<br />

Marco, forse lui avrebbe potuto metterci una pezza<br />

almeno per quanto riguardava la faccenda dell’impianto.<br />

Marco non capì nemmeno di cosa stessero parlando,<br />

aveva capito un amplificatore per stereo o qualcosa del<br />

genere e pensò che si riferissero a quello: “si mi sembra<br />

che ce l’ho, lo porto io”.<br />

Domenico si sentì felice per circa due minuti, poi gli<br />

passò.<br />

Per il concerto si diedero l’appuntamento a mezzogiorno<br />

nella piazza del paese, ognuno ci sarebbe arrivato per<br />

cazzi suoi con grande spirito di gruppo.<br />

Domenico fu l’unico puntuale, cercò subito Ferdinando,<br />

senza trovarne traccia.<br />

Chiese in giro, non lo conosceva nessuno, domandò in un<br />

bar: “È ‘nu scem” commentò un giovinastro che stava<br />

armeggiando con un videopoker.<br />

Domenico aspettò in piazza con un leggero inizio di<br />

paranoia, era tutto deserto, il paese sembrava morto.<br />

C’era un unico manifesto senza data che annunciava una<br />

sagra, della rassegna musicale non faceva alcun cenno.<br />

Tommaso aveva finito di pranzare a mezzogiorno e<br />

mezzo quindi aveva girato a vuoto in casa per 10 minuti.<br />

Era sceso in giardino, aveva guardato senza motivo il<br />

cane, poi le galline e infine si era diretto verso la piazza<br />

del paese.<br />

74


Per una strana coincidenza si era vestito col vestito<br />

elegante del padre morto, tranne le scarpe che erano delle<br />

Nike comprate l’anno prima di contrabbando da un<br />

venditore itinerante con furgoncino.<br />

In paese Tommaso era conosciuto con un nomignolo<br />

descrittivo tipo quelli che usavano gli indiani per<br />

sintetizzare l’essenza di una persona. Il nomignolo che<br />

gli era stato affibbiato indicava nel dialetto locale un<br />

fannullone disadattato, patologicamente bugiardo con<br />

personalità dissociata.<br />

Domenico se lo vide venire incontro e, con l’arguzia<br />

tipica che lo contraddistingueva, lo inquadrò subito:<br />

vestito classico, scarpe da ginnastica, un tipo originale!<br />

Pensò che sicuramente doveva essere il discografico di<br />

cui avevano millantato gli organizzatori della<br />

sagra/rassegna.<br />

Infatti, nel suo primo incontro con Domenico,<br />

Ferdinando gli aveva rivelato “in via del tutto<br />

confidenziale” che era prevista la presenza “ufficiosa ma<br />

non ufficiale” di un “talent scout di una grossa casa<br />

discografica, una major!”.<br />

“Forse ha già sentito parlare di noi, perciò è qui ”, pensò<br />

Domenico andando incontro al fannullone svitato.<br />

“Salve, possiamo darci del tu, io sono<br />

Domenico…diciamo il manager degli Area 51, possiamo<br />

dire di essere colleghi eh? Ehheheh”.<br />

Tommaso, che non cercava altro che uno spunto, sorrise<br />

a sua volta e gli allungò una mano: “si, si, i colleghi<br />

ehehheh”.<br />

Domenico interpretò quella risposta ebete come una<br />

conferma alle sue speranze, era solo un po’ preoccupato<br />

per il gruppo che ancora non si vedeva.<br />

Ci sono due tipi di pazzi: quelli che si vede e quelli che<br />

non si vede, a Tommaso non si vedeva, anche perchè<br />

parlava poco, molto poco.<br />

Si limitava a riflettere a voce le imbeccate involontarie<br />

dell’interlocutore, elaborandole via via ed infarcendole<br />

di balle.<br />

Tommaso si presentò come Tommy, disse che lavorava a<br />

Milano (senza specificare in quale settore) e che<br />

conosceva bene Vasco Rossi.<br />

Domenico stava per entrare nello specifico quando senti<br />

una strombazzata di clacson e uno che gli faceva un<br />

cenno di saluto da un furgone bianco enorme: era Enzo<br />

con la batteria al completo.<br />

75


Ci furono i saluti di circostanza, poi Domenico presentò<br />

Tommy ad Enzo: ” è un discografico di Milano, è qui per<br />

il concerto”.<br />

Enzo gli strinse la mano con convinzione e cominciarono<br />

a parlare di musica e di musicisti.<br />

Enzo gli chiese se conoscesse Tullio De Piscopo,<br />

Tommy confermò sorridendo.<br />

Cominciarono a passeggiare per la piazza del paese,<br />

passeggiarono per oltre un ora senza incontrare<br />

praticamente nessuno.<br />

Alle 13.30 lo stomaco di Enzo cominciò a fare dei<br />

rumori tipo una radio ad onde medie.<br />

Domenico cercò una cabina a gettoni e provò a<br />

telefonare all’ufficio di Ferdinando, ubicato in una<br />

frazione vicina a qualche chilometro di distanza, ma non<br />

ottenne nessuna risposta.<br />

Enzo lo guardò preoccupato, “niente, niente “, lo<br />

rassicurò Domenico, “è ‘na cosa mia”.<br />

“È na femmina eh?”, ribatté Enzo sconsolato, “Domè<br />

lasciale perdere, so tutte zoccole!”, e sospirò<br />

amareggiato.<br />

Enzo cercava di distrarsi ma non ci riusciva<br />

completamente.<br />

Serena, la sua ex ragazza, maestra d’asilo piuttosto<br />

corpulenta, lo aveva lasciato con la motivazione di avere<br />

altre ambizioni ed altri progetti quindi si era data alla<br />

macchia.<br />

Enzo sapeva quali erano questi altri progetti, erano le<br />

corna, le famigerate corna belle e buone.<br />

Qualcuno se l’era lavorata ben bene, magari uno stronzo<br />

come a Nico che chissà che cazzo di chiacchiere<br />

intellettuali le aveva messo in testa e mo se la stava<br />

fottendo alla faccia sua.<br />

Ma ora c’era il concerto, il primo della sua vita, poteva<br />

essere un’occasione di riscatto e lui non voleva rovinarla.<br />

Però intanto gli era venuta fame, una cazzo di fame che<br />

non ci vedeva.<br />

“Domè ma non dovevamo mangiare qui? La braciola, la<br />

capra, ma addò stanno?” .<br />

Domenico gli fece cenno di attendere accompagnandolo<br />

il gesto con un occhiolino rassicurante.<br />

Enzo cominciò a spazientirsi.<br />

Erano passate le due del pomeriggio, non si vedeva<br />

nessuno dell’organizzazione, né della rassegna, né della<br />

sagra.<br />

76


“È strano”, commentò Domenico, “dovrebbero essere gia<br />

qui, avevamo concordato anche il pranzo”, ma nemmeno<br />

lui credeva alla stronzata che stava dicendo. Giocò una<br />

carta disperata, chiese a Tommy se avesse il numero di<br />

cellulare di Ferdinando o di qualcuno<br />

dell’organizzazione e sennò sarebbe andato direttamente<br />

all’ufficio di questi per informarsi.<br />

Se avesse fatto questo Domenico avrebbe limitato i danni<br />

della tragedia ma Tommy, con un autentico guizzo da<br />

fuoriclasse, tirò fuori un cellulare e finse di telefonare a<br />

degli organizzatori inesistenti.<br />

“Stanno venendo”, disse rivolto a Domenico, “ma dove<br />

stavano”, gli domandò quest’ultimo ingenuamente, “ a<br />

Roma”, rispose prontissimo Tommy che doveva avere<br />

una fissazione per i capoluoghi di regione.<br />

Intanto né Nico e né Marco avevano dato notizie.<br />

Ad Enzo la cosa non dispiaceva, anzi.<br />

Già immaginava di tenere un concerto solista a base di<br />

batteria e percussioni come aveva visto fare ad un tizio in<br />

uno stand di batterie Yamaha ad una fiera nazionale di<br />

strumenti musicali.<br />

In fondo ad un vialone del paese vi era un gazebo da<br />

orchestra abbandonato, Domenico azzardò: “mi sa che è<br />

là che dobbiamo suonare” e guardò Tommy che<br />

confermò immediatamente.<br />

Per tenere buono Enzo che scalpitava per la fame<br />

Domenico disse: “dobbiamo sistemare gli strumenti là”,<br />

ed indicò il gazebo, “forse ci conviene cominciare a<br />

montarli”.<br />

Enzo guardò la struttura semifatiscente e annuì , poi<br />

rivolto a Domenico quasi con tono di minaccia disse: “<br />

Si, ma prima aggia magnà!”.<br />

Alle 15 in punto Enzo, Domenico e Tommy vagavano in<br />

quel villaggio dei dannati in cerca di un ristorante, di una<br />

bettola o almeno di una salumeria.<br />

Entrarono in una specie di vinaio con un arredamento di<br />

altri tempi e chiesero di mangiare.<br />

Si accomodarono in uno squallore irreale in tre ad un<br />

tavolinetto che conteneva due persone a stento.<br />

“Questi sono i posti dove si mangia meglio, la vera<br />

cucina paesana…”, disse Domenico per infondere un po’<br />

di ottimismo in quell’ atmosfera da sfacelo.<br />

Un vecchio gli portò un piatto misto composto da<br />

qualche fetta di galbanino e un misto di salumi<br />

provenienti da qualche discount cittadino, una bottiglia di<br />

vino acido e un paio di arance.<br />

77


In qualità di manager del gruppo il conto toccò a<br />

Domenico: venti euro.<br />

Quando uscirono dalla bettola cominciò<br />

improvvisamente a piovere, prima lentamente, poi come<br />

in un film di Frankenstein.<br />

Ripararono sotto l’arcata di un palazzo che puzzava di<br />

merda di porco e, ipnotizzati dallo scrosciare incessante,<br />

persero la cognizione del tempo.<br />

Quando spiovve era quasi il tramonto, si riportarono<br />

verso la piazzetta del paese.<br />

Nico li stava aspettando polemico, era arrivato da un<br />

paio di minuti: “ma dove cazzo stavate, io me ne stavo<br />

già andando”.<br />

Enzo non gli rispose nemmeno e si avviò al furgone.<br />

Salì, lo mise in moto e parcheggiò vicino al gazebo.<br />

Domenico presentò il discografico Tommy a Nico, il<br />

quale, con l’atteggiamento per nulla intimorito da<br />

rockstar abituata a fronteggiare i pescecani delle<br />

multinazionali, gli chiese: “Per chi lavori?”<br />

“Canale 5” , ribatté a volo il pazzo.<br />

“Aeeehhh Berlusconi…”, fece Nico con un espressione<br />

semi disgustata, “vabbè …ne possiamo parlare, a<br />

proposito Domè l’impianto?”.<br />

Domenico non sapeva che cazzo dire e disse l’unica cosa<br />

che gli venne in mente: “lo doveva portare Marco”,<br />

“Marco?”, fece Nico, “e dove lo prendeva Marco<br />

l’impianto, e chi glielo portava babbo natale o la befana o<br />

la fata turchina? ”<br />

Nico non si limitava mai ad una semplice constatazione<br />

polemica, doveva sempre aggiungervi uno strascico<br />

offensivo ed esasperante.<br />

Proprio in quel momento giunse la macchina di Marco<br />

con fidanzata/spettro al seguito.<br />

Era una macchina troppo piccola per contenere un<br />

impianto insieme al resto degli strumenti, Domenico fece<br />

subito questa constatazione e cominciò a provare una<br />

sensazione che non sentiva dai tempi della scuola quando<br />

i professori lo beccavano impreparato.<br />

Dopo i saluti e le presentazioni di rito affrontarono la<br />

questione dell’impianto: “l’ho portato” annunciò Marco<br />

trionfante e tirò fuori da portabagaglio della macchina un<br />

comunissimo amplificatore per impianto stereo con due<br />

casse da 20W.<br />

“Ho portato anche questo”, aggiunse alla platea allibita e<br />

tirò fuori un amplificatore con ingresso microfonico e<br />

lettore cd incorporato per karaoke.<br />

78


Nico non trovava le parole per offendere, rimase muto<br />

per circa 30 secondi, poi con un atteggiamento<br />

divistico/stizzito alla David Bowie durante il periodo<br />

Glam ingiunse a Domenico di farlo parlare<br />

immediatamente con gli organizzatori.<br />

“Stanno arrivando”, cercò di rassicurarlo Domenico,<br />

“stanno arrivando, calmati, hanno parlato con Tommy”,<br />

Nico guardò Tommy che aveva lo stesso sorriso ebete da<br />

quando glielo avevano presentato.<br />

“Dove sono gli organizzatori, dove cazzo stanno tutti? Io<br />

qui non vedo nessuno!” ribadì Nico rivolgendosi a<br />

Tommy il quale, senza scomporsi né smettere di<br />

sorridere, gli chiese di rimando: “oh, mica tieni ‘na<br />

sigaretta?”.<br />

Domenico guardò Tommy con occhi nuovi e solo in quel<br />

momento ebbe una triste intuizione su tutta la faccenda,<br />

intuizione che gli fu confermata in maniera casuale da un<br />

giovinastro del luogo che proprio in quel momento<br />

passava di lì su un motorino. Non appena avvistò<br />

Tommaso il giovinastro inchiodò il mezzo e gli urlò<br />

qualcosa in dialetto stretto, una sorta di nomignolo che<br />

Domenico non riuscì a decifrare ma che su Tommaso<br />

ebbe un effetto simile all’esecuzione di un comando di<br />

avvio di un programma.<br />

Tommaso cominciò ad urlare e a scagliare tutto quello<br />

che riusciva a raccogliere da terra all’indirizzo del<br />

giovinastro, urlando imprecazioni in un dialetto<br />

strettissimo, il giovinastro dal canto suo se la rideva e<br />

cominciò ad effettuare dei giri larghissimi intorno a<br />

Tommaso, sempre più esagitato, alla fine impennò e si<br />

diresse verso un’uscita del paese con Tommaso che lo<br />

rincorreva schiumando.<br />

Domenico era pietrificato per l’imbarazzo, doveva<br />

risolvere da solo quella situazione, “Marco mi<br />

accompagni un attimino all’ufficio degli organizzatori<br />

qui vicino, così vediamo di risolvere ‘sto casino una<br />

volta per tutte?”.<br />

Marco annuì e salì in macchina, fece scendere lo spettro<br />

da i capelli rossi, che in tutto ciò non aveva fatto una<br />

piega, e la lasciò assieme a Nico, allo stereo e al<br />

Karaoke.<br />

“”Ragà torniamo subito”, fece Domenico e si diressero<br />

verso un ufficio vuoto distante qualche chilometro.<br />

Nico sbuffò, risbuffò, si girò ed inquadrò qualcosa in<br />

lontananza. Era un gazebo e c’era uno che stava<br />

scaricando e montando un set di batteria come non si<br />

79


vedeva dalla tournee del 1977 degli Emerson, Lake and<br />

Palmer.<br />

Nico riconobbe Enzo e fece il più grande errore di una<br />

giornata errata, andò a comunicargli di persona che non<br />

era più il batterista degli Area 51 e che poteva rimettere<br />

le sue bagattelle in macchina e andarsene perchè lì non<br />

avrebbe suonato.<br />

“Cioè se ti devi fare ‘ste masturbazioni mentale, fattele<br />

per i cazzi tuoi, tu stai male, te ne rendi conto, noi<br />

facciamo un discorso nuovo e tu vieni qua co’ ‘sti<br />

baldacchini, i gongs, i bonghetti, cioè tu sta male fratè sei<br />

out, out! Fatti meno masturbazioni mentali e non sono<br />

mentali pure manuali”, e accompagnò quest’osservazione<br />

di alta psicanalisi mimando un pugnettone, “meno seghe<br />

fratè, meno seghe e vedi che la prossima volta la tua<br />

ragazza non ti molla!”.<br />

Detto questo Nico fece il secondo gravissimo errore, cioè<br />

gli girò le spalle e cominciò ad incamminarsi verso la<br />

piazza del paese.<br />

Gli stava squillando il videofonino appena regalatogli<br />

dalla principessa Ernestina, la quale lo stava chiamando<br />

per dirgli che lei sarebbe stata pronta verso le 20 e di<br />

mandare qualcuno a prenderla, come si conveniva alla<br />

donna di una star.<br />

Enzo appoggiò una coppia di tom in bubinga sul<br />

pavimento del gazebo e scese la scaletta di legno con una<br />

calma apparente, il meccanismo attivato<br />

inconsapevolmente da Nico nel suo cervello aveva<br />

compiuto il suo conto alla rovescia.<br />

“Amò mi vedi?”, gli videochiese la principessa<br />

Ernestina giocherellando con un lenzuolo (si era<br />

svegliata da un quarto d’ora), “certo che ti vedo piccola e<br />

tu mi vedi?”, “si, anche io Nick, stasera canterai per<br />

me?”<br />

Nico afferrò il telefonino come fosse stato un microfono,<br />

lo sistemò un po’ più in alto all’altezza degli occhi e con<br />

delle movenza alla Jim Morrison versione super Alvi<br />

attaccò il suo nuovo hit: “Looking into my eyes, I can<br />

feel the future of a love whi..”<br />

La principessa Ernestina vide la faccia di Nico<br />

scomparire dall’inquadratura unitamente ad un rumore<br />

sordo ed alla comparsa di una mano da energumeno che<br />

si abbatté da tergo sulla zona orecchio-mandibola del suo<br />

diletto. Il videofonino rotolò per terra continuando ad<br />

inquadrare uno spicchio di aiuola di paese mentre l’audio<br />

80


trasmetteva la diretta di un pestaggio feroce ed<br />

unilaterale.<br />

“NICO, NICO, NICOOOOOO”, si sgolava la<br />

principessa impotente, mentre continuava a ricevere la<br />

diretta audio di pugni, calci, schiaffoni, bestemmie e<br />

insulti e infine anche il rumore di una conclusiva ed<br />

umiliante sputazzata in faccia.<br />

“Aiut’, aaiut….aiutathem”, era Nico singhiozzante,<br />

rannicchiato per terra che ingoiava muco e sangue mentre<br />

gli veniva da vomitare.<br />

Lo spettro dai capelli rossi aveva osservato tutta la scena<br />

senza battere ciglio, in piedi, immobile, vicino<br />

all’apparecchio del karaoke.<br />

81


CAP XIII<br />

Quarto potere<br />

Claudio non ricordava chi era lo stronzo che una volta<br />

aveva detto che se dei cani vogliono morderti devi<br />

rimanere immobile e non mostrare alcun segno di<br />

nervosismo.<br />

Il primo bastardo lo aveva morsicato al polpaccio due<br />

volte, a quel punto aveva iniziato a correre e ad urlare<br />

come una di quelle tipe che vengono scannate nei film di<br />

Dario Argento, solo che lo scenario era molto meno<br />

suggestivo e molto più ripido.<br />

Claudio cadde quasi subito in maniera ridicola e<br />

cominciò a rotolare circondato da un branco di bastardini<br />

di media taglia che abbaiavano e smozzicavano<br />

qualunque arto avessero a tiro, poi ci fu un bagliore, una<br />

frenata e un botto.<br />

Era stato semi-investito da un fuoristrada bianco, che<br />

sembrava un gigantesco orso polare, guidato dal re<br />

cittadino della pasta fresca.<br />

Si era strappato la maglietta e bucato il pantalone,<br />

Sanguinava dalle braccia dal polpaccio e forse si era<br />

anche un po’ pisciato addosso.<br />

Il re della pasta fresca lo recuperò a bordo di quello<br />

shuttle a 4 ruote e lo riportò al locale dal quale era stato<br />

appena cacciato.<br />

Fu medicato dallo stesso cameriere che lo aveva messo<br />

alla porta, mentre il re della pasta fresca si vantava con<br />

una piccola folla di clienti curiosi raccontando di come lo<br />

avesse strappato da morte sicura da un branco di pitbull<br />

feroci che volevano sbranarlo.<br />

Era presente un giornalista locale con fotografo al<br />

seguito, venuto ad immortalare la vincitrice di un torneo<br />

di burraco che si stava svolgendo nel locale.<br />

Al giornalista venne un’ ispirazione improvvisa e in men<br />

che non si dica Claudio diventò la notizia del giorno<br />

nella prima pagina di un quotidiano cittadino di bassa<br />

tacca.<br />

Lo fotografarono sudato, sporco e graffiato vicino al re<br />

della pasta fresca.<br />

Grazia lo guardava schifata e a chi le chiedeva se lo<br />

conoscesse rispondeva con lo sguardo assente di sì,<br />

aggiungendo che si trattava di un ragazzo con dei<br />

82


problemi psichici e che si trovava lì perchè erano mesi<br />

che la seguiva e la perseguitava e una volta aveva cercato<br />

addirittura di violentarla.<br />

Al giornalista non sfuggì una virgola di quelle ghiotte<br />

rivelazioni e pubblicò il tutto con sobrietà e scrupolosa<br />

verifica delle fonti: “Il re della pasta fresca salva un<br />

maniaco dai pitbull che usava per violentare le sue<br />

vittime”, seguiva una foto di Claudio in primo piano, con<br />

un espressione stravolta ma riconoscibilissimo, affiancata<br />

ad una foto del re della pasta fresca di dieci anni più<br />

giovane e da un’ulteriore foto della “perseguitata” con<br />

tanto di intervista.<br />

Claudio rientrò a casa a notte inoltrata, cercando di non<br />

svegliare nessuno.<br />

Nel buio silenzioso della notte, mentre attraversava il<br />

corridoio sentì una voce sgradevolmente nota rompere il<br />

silenzio: ”È tornato Casanuova, buona notte, Don<br />

Giovanni ehhehehhe”.<br />

Claudio raggiunse la sua stanza distrutto coi gomiti e<br />

polpaccio in fiamme, dovette addormentarsi a pancia<br />

sotto e senza lenzuola.<br />

Un ginocchio ancora sanguinava.<br />

Fu svegliato il giorno dopo da zio Titino che su<br />

indicazione di Franco, che aveva telefonato a casa di<br />

Claudio da un bar alle 8 di mattina, era corso a comprare<br />

il quotidiano locale con la foto di “Claudio S. il<br />

maniaco”.<br />

“Claudio ma che hai combinato”, esordì Zio Titino con<br />

uno sguardo vitreo da toporagno, “lo sai che le donne<br />

non si picchiano nemmeno con un fiore!”.<br />

Claudio pensò che stesse sognando, arrivò la madre che<br />

gli passò il cordless disgustata: “Rispondi! È Franco!”.<br />

“Claudio, Claudiè, ma che hai fatto?! Mannaggia a te,<br />

mannaggia, addirittura con i cani?! Ma come ti piacciono<br />

‘ste cose? Comunque Claudiè io ti sono amico e per me<br />

non c’è problema ma è meglio che non scendi e che non<br />

ti fai vedere in giro perchè qua l’hanno presa male, ( e<br />

qui Franco, da attore consumato abbassò il tono di voce)<br />

pare che ‘sta Grazia fosse fidanzata con un mezzo<br />

camorrista e mo dicono che questo ti va cercando e che<br />

ha detto che se ti trova prima della polizia…vabbè<br />

Claudiè hai capito…stammi bene è meglio che non sto<br />

troppo al telefono, ciao cià”.<br />

Claudio avrebbe voluto avere una macchina del tempo,<br />

tornare al giorno prima dell’arrivo di zio Titino a casa<br />

83


sua, fare la valigia e andarsene in vacanza da qualche<br />

parte, qualunque parte.<br />

Rimpiangeva quei giorni di noia che lo avevano<br />

accompagnato per anni e che forse non sarebbero mai più<br />

tornati.<br />

Passò la giornata chiuso in camera a leggere e rileggere<br />

quegli articoli demenziali e a dare spiegazioni che<br />

apparivano ancora più incredibili della versione riportata<br />

dal giornale.<br />

“Se ti arrestano io non ti pago l’avvocato”, concluse la<br />

madre prima di lasciarlo solo.<br />

Claudio guardò il cielo fuori dal balcone.<br />

C’era un tramonto bellissimo ma ormai tutto sembrava<br />

una gigantesca trappola mortale e forse la prossima volta<br />

non si sarebbe salvato.<br />

Qualche tempo prima aveva letto di una sindrome che<br />

colpiva alcuni adolescenti giapponesi che<br />

,improvvisamente, decidevano di chiudersi nella loro<br />

stanza e di non uscirne più. I genitori per nutrirli gli<br />

passavano il cibo con dei vassoi portavivande attraverso<br />

apposite fessure ricavate nelle porte.<br />

Al momento gli era sembrato un comportamento assurdo<br />

ma ora lo stava rivalutando, forse quei ragazzi non<br />

avevano tutti i torti.<br />

84


CAP XIV<br />

Cany&Porcy<br />

Fu un altro quotidiano, ma un po’ più serio di quello che<br />

aveva sbattuto “Claudio il maniaco” in prima pagina, a<br />

comunicare a Sergio che non aveva più un lavoro. Sergio<br />

era finito ai margini di uno scandalo cittadino che aveva<br />

come oggetto il Tatyufficio.<br />

Lo scandalo veniva denominato, a seconda delle testate,<br />

Internettopoli, Golden Web o Figliopoli, come<br />

velenosamente aveva insinuato il cronista più arguto e<br />

meglio informato.<br />

Il padre di Taty era ad un passo dalla galera, i vertici<br />

universitari erano nella bufera.<br />

Le correnti politiche avverse gridavano allo scandalo “di<br />

questi baroni che dissanguavano gli studenti e<br />

distraevano fondi che venivano sperperati in iniziative<br />

fantoccio create unicamente per trovare una collocazione<br />

nepotistica”.<br />

Gli unici ai quali la faccenda sembrava interessare meno<br />

di zero erano proprio gli studenti e, ovviamente, Taty la<br />

quale nessun pubblico ministero della repubblica italiana<br />

avrebbe mai giudicato capace di intendere e di volere.<br />

Secondo il giornale Sergio figurava nell’organigramma<br />

societario come consulente esperto di reti dallo stipendio<br />

d’oro, Saby (una paperiforme con tatuaggio di Snoopy)<br />

come esperta di e-commerce e Ciro a’mmerda (che in<br />

quel preciso istante stava cercando di capire a che cazzo<br />

servisse il router che aveva appena rubato) come addetto<br />

al customer care service.<br />

Sergio tornò a casa di nuovo nelle vesti di disoccupato.<br />

La mamma lo avvertì che lo aveva telefonato una certa<br />

Mariarosaria da una certa azienda, Sergio bluffò e per<br />

prendere tempo con la madre disse che era una cosa di<br />

lavoro. La madre ribatté allora di tenere acceso il<br />

cellulare visto che la tipa le aveva detto che sul cellulare<br />

Sergio risultava non raggiungibile.<br />

“E vedi di fartelo dare ‘sto lavoro” chiosò la madre.<br />

Sergio pensò che forse la mamma gli aveva<br />

involontariamente suggerito come utilizzare l’inutile<br />

Mariarosaria.<br />

La richiamò sul telefono dell’azienda per risparmiare sul<br />

cellulare, gli rispose proprio lei.<br />

85


Sergio recitò la parte del preoccupato nervoso finché lei<br />

non abboccò e gli chiese che cosa avesse, “niente, ho<br />

perso il lavoro, ma figurati, non mi va di parlarne, non<br />

voglio romperti le palle”.<br />

A Mariarosaria quell’imbeccata di disgrazia non sembrò<br />

vera.<br />

Gli fece la cronistoria di un lavoro perso da una sua<br />

carissima amica che durò circa un’ora, Sergio entrò in<br />

una fase di ipnosi indotta, si riprese quando sentì il<br />

campanello di casa, “scusa, ma devo andare ad aprire”.<br />

Prima di congedarsi Mariarosaria lo invitò ad una festa di<br />

laurea della cugina e gli disse di non preoccuparsi per il<br />

lavoro perchè lei avrebbe chiesto in giro e sicuramente<br />

gli avrebbe fatto sapere qualcosa.<br />

Da come aveva inquadrato Mariarosaria e parenti,<br />

Sergio aveva capito che erano dei ricchi sfigati, cioè<br />

quelli che, anche se sono ricchi, sanno comunque di<br />

assegno posdatato.<br />

In effetti Mariarosaria e famiglia facevano parte di una<br />

parentela di sfigati benestanti sui quali i soldi non<br />

facevano figura. Se si fossero messi alla guida di una<br />

Ferrari, il rosso della carrozzeria avrebbe cominciato a<br />

sbiadire, le curve della carrozzeria a squadrarsi e in breve<br />

anche una F40 nuova di zecca ti avrebbe fatto l’effetto di<br />

un’ Alfasud non lavata.<br />

Intanto avrebbe dovuto ricambiare il regalo ma non<br />

sapeva né con cosa né con quali mezzi, visto che dal<br />

Tatyufficio non aveva visto nemmeno un accenno di<br />

stipendio.<br />

Se la cavò con un tappetino del Mouse fregato al<br />

Tatyufficio ancora imballato, con Homer e Marge<br />

Simpson che si baciavano.<br />

Per quanto riguardava il regalo da fare alla cugina di<br />

Mariarosaria pensò che non era tenuto perchè a questa<br />

chi cazzo la conosceva e poi era stato invitato mica aveva<br />

chiesto lui di andarci e poi…figurati se arrivato lì gli<br />

avrebbero chiesto il regalo.<br />

Gli invitati alla festa di laurea di Mina (Gelsomina?,<br />

Guglielmina? Boh?) dovevano sfilare in una sorta di<br />

processione uno alla volta lungo un percorso obbligato al<br />

termine del quale giungevano al cospetto di una<br />

cafonazza grassoccia con una specie di zucchero filato<br />

rosso sangue al posto dei capelli e con un vestito nero<br />

brillantinato da baldracca da circo.<br />

Gli invitati dovevano quindi stringere la mano, farle gli<br />

auguri, baciarla sulla guancia e consegnarle l’invito e il<br />

86


egalo che lei riponeva, dopo averne valutato la<br />

consistenza, su un lunghissimo tavolo laterale messo lì<br />

apposta.<br />

Questa cerimonia di buon gusto aveva luogo<br />

nell’ingresso dell’hotel-ristorante-salone-per-sponsalicomunioni-battesimi-feste-di-laurea<br />

“il Giglio”, che<br />

cambiava gestione ogni volta che ammazzavano o<br />

arrestavano il proprietario del momento.<br />

Era un locale per taccagni che volevano il lusso ma che<br />

non intendevano pagarlo l’unica cosa che ti garantivano e<br />

che probabilmente non saresti finito in ospedale per<br />

intossicazione alimentare, ma sulla qualità della materia<br />

prima non potevi pretendere più di tanto.<br />

L’arredamento del locale era frutto della sovrapposizione<br />

di vari stili dovuti alle varie gestioni, nel complesso era<br />

fermo ad un estetica metà annì80, un po’ come gli<br />

invitati alla festa di laurea.<br />

Quella di Mina, così come quella di Mariarosaria erano<br />

la prima generazione di laureati di un ceppo famigliare<br />

dove l’analfabetismo aveva regnato indisturbato dall’età<br />

del bronzo fino ai loro nonni.<br />

I loro genitori “avevano fatto i soldi” solo che erano stati<br />

troppo presi dal lavoro per potersi affrancare socialmente<br />

non solo negli estratti conto ma anche nell’aspetto.<br />

Avevano un’idea del benessere e dell’eleganza basata<br />

probabilmente su film vecchi di 20 anni trasmessi dalle<br />

tv locali di cui erano rimasti spettatori affezionatissimi ed<br />

avevano ancora il videoregistratore con le videocassette<br />

che andavano da “Totò truffa” a “Il ciclone”.<br />

Sergio si trovò posizionato in fila all’ingresso davanti a<br />

Mariarosaria e quando giunse a mani vuote al cospetto<br />

della neodottressa, le strinse la mano, le fece tanti auguri<br />

e stop. Ci fu un momento di empasse, risolto<br />

brillantemente da Mariagrazia che si gettò in avanti con<br />

un pacco contenete Dio solo sa cosa: ”Mina questo è da<br />

parte mia e di Sergio…lui è Sergio…il mio …rh’gazzo”,<br />

osò Mariagrazia affievolendo la voce, Sergio sperò di<br />

non aver capito bene e dribblata la dottoressa entrò nella<br />

sala.<br />

C’era un ambiente da strozzini in decadenza, tavoli<br />

addobbati, vecchie che già avevano preso posto e<br />

bambini che le facevano disperare.<br />

C’erano cugine venute dal paese vestite con una sobrietà<br />

da viados e con relative mamme che le aizzavano a<br />

mettersi in mostra.<br />

87


I maschi avevano le facce appese e parlavano tra di loro<br />

di forniture e pagamenti, i più allegri si sfottevano<br />

reciprocamente sulle squadre del cuore.<br />

Poi c’era anche qualche pompato male che, su un fisico<br />

geneticamente sgraziato e sproporzionato, aveva<br />

ipertrofizzato coppie di muscoli a sprazzi.<br />

Indossavano delle magliette aderentissime e, nonostante<br />

la temperatura fosse tutt’altro che mite, erano a maniche<br />

corte.<br />

Stavano seduti in disparte, serissimi, depilatissimi e<br />

lampadati male, sembravano lessati nell’acqua bollente.<br />

Uno di loro aveva un tatuaggio fatto da poco, tutto gonfio<br />

ed unto di vaselina, fingeva indifferenza ma si capiva che<br />

soffriva di un bruciore cane.<br />

Sergio e Mariarosaria si accomodarono ad un tavolo con<br />

una vecchia decrepita, un vecchio con la faccia da<br />

ubriacone, un tipo giovane che sembrava un<br />

rappresentante di bare e una che doveva esserne la sorella<br />

brutta e pallida con delle venuzze bluastre che le<br />

guarnivano palpebre e occhiaie.<br />

Si chiamava qualcosa tipo Sardina o Sartira, Sergio non<br />

lo riuscì a decifrare, ed era la cugina preferita di<br />

Mariarosaria infatti attaccarono subito una conversazione<br />

fitta scambiandosi esperienze di disgrazie che andavano<br />

dal campo amministrativo/burocratico a quello<br />

medico/sanitario.<br />

All’improvviso Sergio ebbe un flash percettivo che lo<br />

fece sobbalzare, guardò meglio e sentì il sacchetto delle<br />

palle raggrinzirglisi per l’imbarazzo: a qualche tavolo di<br />

distanza da lui c’era la segretaria serpe della Sparviero<br />

che lo fulminò con uno sguardo beffardo.<br />

Sergio cercò di convincersi che non gliene fregava<br />

niente, ma non gli riuscì, cominciò ad avvertire un<br />

curioso senso di paranoia che gli provocava una<br />

sensazione di straniamento.<br />

Rispondeva in ritardo o in maniera sconclusionata alle<br />

domande di rito che gli rivolgevano, Mariarosaria lo<br />

guardò preoccupato:”Ma ti senti bene?”, lui fece cenno di<br />

sì e tracannò un bicchiere di spumantino.<br />

Cercò di concentrarsi su qualcosa, prima giocherellò con<br />

dei grissini poi cominciò a scorrere il menù, lo lesse più<br />

volte, era un delirio:<br />

88


Antipasto della costa in salsa fumè<br />

Cocktail delle isole<br />

Stuzzichini fantasia mondiale 2006<br />

Trofie tartufi e salmone<br />

Linguettine al cacao con anima di seppia<br />

Vitello azzurro in crema di emozioni<br />

Trionfo di mare con guazzetto di perle<br />

Insalata normanna<br />

Antichi sapori<br />

Torta Sharm el Sheik<br />

Champagne Prada<br />

Sergio fissava i riflessi dei calice da aperitivo svuotato<br />

pensando a quando era stato felice senza sapere di<br />

esserlo, pensava al Tatyufficio e a quella banda di papere<br />

invasate che, tutto sommato, ti mettevano di buonumore.<br />

Sergio non poteva saperlo ma in quel momento Taty era<br />

in viaggio per Sharm el Sheik, quella vera non quella<br />

millantata nel Menu.<br />

Il padre l’aveva tolta da mezzo in attesa che si<br />

calmassero le acque e lei, probabilmente, non si era<br />

nemmeno accorta di essere stata imbarcata.<br />

In questo momento stava sorvolando la Sicilia in<br />

compagnia di Nuit ed Hadit e stavano facendo passare un<br />

brutto quarto d’ora a qualche hostess o ai loro vicini di<br />

posto.<br />

Sergio sobbalzò allo scoppiare di un fragoroso applauso,<br />

erano arrivati Marta & Tony, rispettivamente cantante e<br />

tastierista: lo squallore fatto musica.<br />

Tony caricò una base sulla tastiera e cominciò a fingere<br />

di suonare, Marta, quasi quarant’anni con un figlio a<br />

carico, attaccò una versione di “Senza Fine” con dei<br />

suoni orrendi di orchestra sintetica che fece aumentare di<br />

ben due tacche il livello dello squallore generale.<br />

89


La cantante somigliava in modo impressionante alla<br />

festeggiata, Sergio pensava che fossero la stessa persona,<br />

si accorse dell’equivoco solo quando la neolaureata si<br />

avvicinò alla cantante per una richiesta.<br />

Marta si consultò con Tony che armeggiò un poco sul<br />

pannello della tastiera e poi partì la base di un pezzo di<br />

Vasco Rossi, “questa canzone la conosco” disse<br />

Mariarosaria rivolgendosi a Sergio, “è molto bella la<br />

conosci?”<br />

Sergio la conosceva e gli sembrava una cagata ma per<br />

non polemizzare le fece segno di no, “sentila, sentila,<br />

soprattutto il testo è bellissimo” disse Mariarosaria e<br />

cominciò a canticchiarlo all’unisono con Marta.<br />

Più la cena andava avanti, più aumentava il tasso alcolico<br />

nel sangue degli ospiti e più venivano fuori le radici di<br />

ciascuno.<br />

La cantante fiutò l’atmosfera da sagra e si lanciò in un<br />

medley di tarantelle che culminò in un gigantesco trenino<br />

danzante al quale fu costretto a partecipare anche Sergio<br />

che incrociò più di una volta lo sguardo sarcastico della<br />

segretaria serpe che, naturalmente, era rimasta seduta.<br />

Dopo il trenino fu la volta dei lenti, la dottoressa Mina<br />

aprì le danze col fidanzato (uno brizzolato col doppio<br />

della sua età che andava a puttane in Romania).<br />

A Sergio toccò ballare avvinghiato da Mariarosaria un<br />

pezzo di Giorgia che diceva “io ci metterò/ tutta l’anima<br />

che ho…” mentre Mariarosaria, che puzzava di profumo<br />

abbinato male, lo guardava languida.<br />

In quel momento Sergio decise definitivamente di<br />

rinunciare alla possibilità di un eventuale lavoro e di<br />

mollare Mariarosaria e tutta quella vagonata di<br />

Buddenbrock con partita i.v.a. seduta stante.<br />

Poi si ricordò che però erano andati lì con il fuoristrada<br />

di Mariarosaria, quindi continuò a ballare.<br />

Le danze furono interrotte da un discorso al microfono di<br />

Mina che si prese incredibilmente sul serio e nel finale<br />

cominciò addirittura a piangere.<br />

Quella di piangere a sproposito fu l’unica cosa che diede<br />

a quella festa un tocco televisivo di contemporaneità.<br />

I festeggiamenti terminarono dopo la mezzanotte, Sergio<br />

finse un malore da vino bianco per evitare che a quella<br />

sogliola racchia e arrapata di Mariarosaria venisse in<br />

mente di prendere qualche iniziativa e si fece<br />

accompagnare subito a casa.<br />

La mattina dopo Sergio evitò accuratamente di accendere<br />

il cellulare e passò gran parte della giornata fuori casa.<br />

90


Quello che ignorava, però, era che Mariarosaria, non<br />

riuscendo a raggiungerlo sul cellulare, lo aveva<br />

telefonato più di una volta a casa ed aveva imbastito un<br />

inaspettata conversazione amichevole con sua madre<br />

durante la quale, oltre ad averle rivelato di essere in<br />

pratica la sua nuova nuora, voleva altresì comunicarle di<br />

aver trovato un ottima opportunità di lavoro a Sergiolino.<br />

Certo, si trattava solo di un colloquio ma c’erano delle<br />

ottime possibilità perchè suo padre era molto<br />

ammanicato con questa ditta e aveva già fatto assumere<br />

più di una persona.<br />

“Sono sicura che come conosceranno Sergio rimarranno<br />

entusiasti”, cinguettò in risposta la madre alla quale tanta<br />

fortuna non pareva vera.<br />

“Sergio gli saprà dimostrare subito quello che vale, li<br />

farà rimanere a bocca aperta”.<br />

L’unico a rimanere a bocca aperta, invece, fu Sergio il<br />

quale, rientrato in casa, su ingiunzione improrogabile<br />

della madre, fu costretto a richiamare alle 22.30<br />

Mariarosaria addirittura sul numero di casa.<br />

Rispose proprio lei al primo squillo e raggiante<br />

comunicò a Sergio che gli aveva fissato un colloquio di<br />

lavoro con una ditta che stava molto “ammanicata” con<br />

suo padre: la SPARVIERO –serramenti e infissi in P.V.C<br />

Sergio, che non aveva detto nulla alla madre sui veri<br />

motivi del licenziamento della SPARVIERO ma che le<br />

aveva raccontato una balla inverosimile a base di<br />

contratto scaduto, lavori a progetto ed emendamenti della<br />

finanziaria, non riuscì ad opporre alcuna difesa né alcuna<br />

scusa plausibile e all’alba di due giorni dopo si ritrovò a<br />

rivivere lo stesso ciclico incubo autostradale di qualche<br />

tempo prima.<br />

Guidava teso, sudacchiava e pensava.<br />

Migliaia di pensieri gli si accavallavano, tutti di merda.<br />

Lo avrebbero riconosciuto?<br />

Questo era certo!<br />

E cosa avrebbero fatto?<br />

Avrebbero avvertito Mariarosaria?<br />

La madre?<br />

Lo avrebbero rispedito indietro direttamente?<br />

Lo avrebbero fatto umiliare dalla segretaria serpe?<br />

Avrebbero raccontato l’aneddoto per anni<br />

sghignazzando?<br />

In effetti era una situazione da barzelletta e se non<br />

fossero stati cazzi suoi ne avrebbe anche riso.<br />

91


Chiunque ne avrebbe riso, tranne la madre di Sergio.<br />

Mentre pensava sfaceli, adocchiò ad una cinquantina di<br />

metri un’uscita laterale con l’insegna della Sparviero e<br />

quando che la ebbe a pochi metri di distanza ingranò la<br />

marcia superiore e, accelerando, tirò dritto verso il nulla.<br />

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