gianfranco marziano: INFERNO
gianfranco marziano: INFERNO
gianfranco marziano: INFERNO
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<strong>INFERNO</strong><br />
CAP. I<br />
L’Italia è una repubblica infondata sul lavoro<br />
Dieci minuti dopo il casello avrebbe potuto essere<br />
ovunque.<br />
Cominciò a preoccuparsi, non troppo ma cominciò.<br />
"Poi c'è anche il modello col navigatore satellitare, ma<br />
saliamo di parecchio" aveva concluso il concessionario<br />
con tono di ammonimento paterno.<br />
Lui aveva abbassato gli occhi e si era vergognato di<br />
essere un po' povero. Non se l’era sentita di osare, però<br />
adesso se ne stava pentendo.<br />
Rate per rate era meglio fare un colpo di testa così<br />
almeno ora non si sarebbe trovato a cercare<br />
contemporaneamente di guidare e decifrare una cartina<br />
stradale del ‘90 mentre i camion lo rombavano dietro al<br />
culo.<br />
Guardò l'orologio falso vendutogli dall’amico “che ne<br />
capiva” (gli aveva assicurato che era identico a non so<br />
quale cazzo d’orologio di Berlusconi, solo che questo<br />
costava 20 euro).<br />
Fu solo in quel momento che si accorse quanto gli stesse<br />
male.<br />
La mamma aveva insistito perché mettesse quello d'oro<br />
buono ma lui sentiva di non meritarselo e poi aveva<br />
sentito dire di tossici extracomunitari che ti adocchiano<br />
negli autogrill e che ti trascinano nei cessi per rapinarti e<br />
figurati se a lui non capitava.<br />
La radio/lettoreCD gliela avevano già rubata il mese<br />
scorso, nonne aveva rimessa una nuova e allora gli<br />
avevano rotto un finestrino a sfregio.<br />
La cosa che lo aveva colpito non era tanto il danno<br />
economico quanto la consapevolezza patetica della sua<br />
totale impotenza nei confronti di un torto subito.<br />
Guardò di nuovo l’orologio, segnava ancora le 10.35,<br />
esattamente come venti minuti prima.<br />
Guardò l’orologio del cruscotto, segnava le 23.02, cosa<br />
altamente improbabile visto che era pieno giorno.<br />
Cercò il cellulare (con credito esaurito), lo incastrò nel<br />
cruscotto e cominciò a monitorare l’orario sul minuscolo<br />
2
display con un occhio mentre con l’altro cercava di non<br />
sfracellarsi sulla strada statale.<br />
Il display del Samsung segnava le 11.05, forse andava<br />
male, o almeno era questo quello che sperava.<br />
Il tempo cominciò a scorrere a velocità doppia, poi tripla,<br />
scartò una chewing gum e cominciò a masticare con aria<br />
da bello e maledetto (e anche un po' strafottente).<br />
Poi si ricordò che non era bello e provò a fare lo<br />
strafottente ma si pesò meglio e si rese conto che non<br />
poteva permetterselo.<br />
Era in ritardo, molto ben oltre un limite giustificabile.<br />
Si allargò nervosamente il nodo della cravatta, fino a<br />
quel momento aveva sempre creduto che quello fosse un<br />
gesto puramente cinematografico, accelerò senza motivo<br />
e quando toccò una velocità che non aveva mai toccato in<br />
vita sua un fotogramma gli balenò nell’estrema sinistra<br />
del suo campo visivo:<br />
SPARVIERO – serramenti e infissi in P.V.C .<br />
Era quella, era proprio quella ed era dall’altra parte!<br />
Pensò di tutto, fare inversione ad U, abbandonare la<br />
macchina e proseguire a piedi, trovare un telefono<br />
pubblico, chiamare e dire qualcosa tipo: “io vi vedo, vi<br />
ho trovati ma non riesco a raggiungervi, vale lo stesso?”.<br />
Fece l’unica cosa possibile, proseguì dritto finche non<br />
trovò uno svincolo a destra per un paese insignificante,<br />
“tanto poi chiedo..”, il ritardo sul ritardo adesso era di<br />
dodici minuti.<br />
Per qualche chilometro non incontrò niente e nessuno.<br />
Giunse a un bivio e prese la via sbagliata, se ne accorse<br />
dopo una decina di chilometri, tornò indietro e cercò di<br />
riflettere.<br />
Rimase cinque minuti fermo, imbambolato, cercando di<br />
pensare a qualcosa di utile ma gli venivano in mente solo<br />
valanghe di ricordi senza senso: amici delle scuole<br />
medie, sigle televisive, vacanze insignificanti, una rissa<br />
tra lavavetri.<br />
Imboccò l’altra strada mentre cercava di ricordarsi se<br />
aveva chiavato prima o dopo le vacanze di Natale.<br />
Si riprese nel parcheggio della ditta, alla disperazione<br />
era subentrata una strana calma, inquietante.<br />
Mentre si avviava verso l’ingresso della ditta si ricordò di<br />
quando era stato il paroliere di un gruppo di black metal,<br />
si firmava Master Therion: aveva previsto l’apocalisse e<br />
l’avvento della Grande Bestia per il 2000!<br />
3
SPARVIERO – serramenti e infissi in P.V.C, questo<br />
purtroppo non l’aveva previsto.<br />
Era il suo primo giorno di lavoro ed era in ritardo.<br />
Lo avrebbero cazziato come a un bambino, lui avrebbe<br />
cercato di difendersi, loro avrebbero ascoltato la difesa e<br />
poi lo avrebbero cazziato come a un cretino, cosa che<br />
infatti puntualmente accadde.<br />
Lo lasciarono nelle mani di una segretaria, la quale<br />
aveva assistito alla sua umiliazione con la fissità di un<br />
rettile e che fu ben lieta di fargli gli onori di casa con la<br />
giocosità, l’umanità e la leggerezza tipiche delle<br />
aguzzine frustrate.<br />
Il resto della giornata lo trascorse in un via vai frenetico<br />
da un compartimento aziendale ad un altro.<br />
Un infernale gioco dell’oca tra fotocopiatrici, dottori,<br />
ingegneri, signorine, computers, stampanti, tabelle,<br />
responsabili, magazzinieri, cancelli, cani, aiuole e cessi.<br />
Quella girandola di incontrì non fece altro che<br />
confondergli ulteriormente le idee e trasmettergli un<br />
senso crescente di inadeguatezza.<br />
Verso le 17 era stravolto dalla fame ed osò timidamente<br />
chiedere, ad un gruppo di tizi in giacca e cravatta che<br />
discorrevano amabilmente, se fosse prevista una pausa<br />
pranzo. Il più vecchio del gruppo lo fulminò con lo<br />
sguardo: “le sembro un addetto alla mensa?”.<br />
Cambiò reparto e chiese indicazioni ad un altro tizio che<br />
sorridendo gli suggerì di pensare “prima al lavoro e poi<br />
alla pappatoria”, infine si rivolse alla segretaria rettile<br />
che fu ben lieta di indicargli l’ubicazione della mensa<br />
“ovviamente già chiusa” come gli sottolineò con un<br />
sorriso polemico.<br />
Ci andò comunque, era deserta, c’era solo un inserviente<br />
che assunse subito un tono arrogante e gli chiese anche il<br />
tesserino mensa di cui naturalmente lui era sprovvisto.<br />
Riuscì a mendicare una mela e una bustina di zucchero.<br />
Tornò al reparto dove aveva incrociato la segretaria, che<br />
era ancora li,’ e che gli comunicò che il direttore lo stava<br />
cercando da un quarto d’ora.<br />
Alle 20 e qualche minuto aveva collezionato un numero<br />
di cazziate record per uno al suo primo giorno di lavoro.<br />
“Vabbè sono le otto passate, ormai la giornata è andata”<br />
fu il suo pensiero.<br />
Aspettò che qualcuno gli dicesse che poteva andarsene,<br />
“sarà questione di minuti” pensò.<br />
Rimase in attesa per un tempo imprecisato, mandarono<br />
un operaio ad avvertirlo che poteva andarsene.<br />
4
Uscì nel piazzale della ditta che puzzava di sudore freddo<br />
e di depliant, l’alito gli sapeva di mela e di sigaretta.<br />
Guardò l’orologio del siemens: le 23.14!<br />
In quel momento, e in quel momento solo, comprese che<br />
lo statuto dei lavoratori, i sindacati, la democrazia, il<br />
secolo dei lumi, la rivoluzione industriale, la<br />
costituzione, la filosofia, i filosofi, la politica, i libri, i<br />
giornali, la cultura, la musica, l’ossigeno e l’azoto non<br />
contavano nulla, non avevano mai contato nulla. Tutte<br />
queste belle conquiste rimanevano confinate fuori dai<br />
luoghi di lavoro ad aspettarti in macchina in sincero<br />
imbarazzo.<br />
Tornò a casa alle 2 passate, la madre lo aveva aspettato<br />
sveglia, “uè e allora come è andata?”<br />
La guardò, era stravolta dalla veglia e dalla<br />
preoccupazione e si sforzava di sorridergli. Pensò che<br />
anche se le avesse risposto che lo avevano sodomizzato,<br />
drogato, torturato e pisciato in faccia dopo avergli fatto<br />
rinnegare ad uno ad uno tutti i membri della famiglia sua<br />
madre non avrebbe smesso di sorridere.<br />
Tagliò corto e rispose: “bene, bene”.<br />
Si incamminò verso il bagno continuando a rispondere<br />
automaticamente “benissimo, no, no …tutto.. bene,<br />
veramente benissimo” mentre le domande della mamma<br />
si mescolavano col rumore dello scarico del cesso.<br />
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CAP.II<br />
Probabilità<br />
In un altro luogo, in un’altra situazione e per tutt’altri<br />
motivi tale Claudio non prendeva sonno mentre rifletteva<br />
se quello che gli era accaduto era una cosa:<br />
a) buona<br />
b) ottima<br />
c) insignificante<br />
d) illusoria<br />
e) pericolosa<br />
f) preoccupante<br />
g) positiva<br />
h) negativa<br />
i) intrigante<br />
j) inesistente<br />
Verso le 3 giunse alla conclusione definitiva che era una<br />
cosa buona, anzi ottima.<br />
Ma allora perchè era preoccupato?<br />
Volle riesaminare nuovamente la cosa, così tornò<br />
indietro con il videoregistratore mentale alle 17 e<br />
qualcosa del giorno precedente.<br />
Ricordò distintamente di essere andato al cesso per pura<br />
noia e di esserne uscito dopo 30 minuti senza aver<br />
evacuato niente di niente, ricordava di essere sceso di<br />
casa per noia e di aver camminato per noia fino alla<br />
terrazza bar dello stabilimento, ricordava di essersi<br />
seduto su un dondolo vuoto e di essersi dondolato<br />
dimenticando, per qualche minuto, che la sua vita era<br />
noiosa.<br />
Aveva raggiunto una dimensione quasi zen di pace<br />
interiore che, con un po' di fortuna, avrebbe potuto durare<br />
per sempre quando una voce da gracula scema ruppe<br />
quell’incanto.<br />
“E che fai qua il filosofo?” Lui riconobbe la voce, “è<br />
impossibile”, pensò, “è impossibile”.<br />
“ Non ti giri nemmeno, stai pure dormendo? Il filosofo<br />
che dorme..hehhehe hehe heeh”.<br />
6
Era lui. Non poteva ancora vederlo ma sapeva che era lui.<br />
Per un momento sentì il sangue nel cervello diventare<br />
liquido freddo e pensò ad un ictus.<br />
In una frazione di secondo vide centinaia di cose, tutte<br />
brutte, e bestemmiò creato e creatore.<br />
Pensò addirittura di far finta di non aver sentito,<br />
compreso, capito o di mettersi a correre verso l’uscita,<br />
ma a cosa sarebbe servito? Era lui! Probabilmente aveva<br />
già disfatto i bagagli, magari proprio sul suo letto e<br />
magari aveva anche già rovistato nei suoi cassetti tra le<br />
sue scemenze più intime e poi lo aveva raggiunto,<br />
implacabile e preciso come un angelo punitore.<br />
Si girò con un sorriso falso e gli occhi tristi e mise il<br />
cervello in automatico: “Uè, zio Titino.”<br />
“Se, Se, zio Titino e zio Titino”, rispose pronto questa<br />
specie di emblema biologico dell’idiozia più irritante,<br />
“….tu sei un fetentone!”<br />
Era questi un coglione invadente con un nomignolo<br />
imbarazzante che come ogni fine estate veniva a<br />
infelicitargli la vita per 15 lunghissimissimi giorni, lui e ,<br />
quella vecchia cessa lumaca nanarospa della moglie.<br />
“Tu sei un fetentone”, ripeté con cadenza da ebete<br />
puntandogli il dito.<br />
Lui cominciò ad andare nel panico.<br />
Era vero che non era sceso di casa da molto tempo ma a<br />
quel vecchio cretino invadente potevano bastare pochi<br />
minuti per scoprire e leggere la sua agenda privata o per<br />
trovare il nascondiglio segreto dei suoi dvd porno o per<br />
controinterrogare tutti i suoi amici e nemici e farsi dire<br />
chi e che cosa…si calmò… forse stava esagerando. Forse<br />
zio Titino scherzava, diceva così per dire, si era<br />
semplicemente gettato avanti.<br />
Con un filo di voce e una risata falsa da fare schifo<br />
azzardò un : “perchè sono un fetentone? Che ho fatto?”<br />
“Eh lo so io, lo so io. Enza, Enza vieni a vedere a questo<br />
fetentone che ha fatto finta di non vederci”, il<br />
vecchiaccio si spostò lateralmente e come dal nulla<br />
apparve una lumaca vestita di viola con due occhi vitrei e<br />
pettegoli.<br />
“Uè zia Enza”, fece lui con la prontezza automatica di un<br />
flipper, “fetentone!” gli ribatté subito lei.<br />
Per un momento pensò a quei tizi che uccidono delle<br />
coppie di vecchi a martellate per fregargli la pensione e si<br />
immaginò la scena ristoratrice: Zio Titino e consorte<br />
spiaccicati un po' dappertutto nel salone, il servizio al<br />
Tg1, sua madre che li riconosce e che dice in lacrime<br />
7
…”e pensare che domani dovevano venire proprio da<br />
noi”.<br />
Non capiva cosa e perchè spingesse la madre e il padre<br />
ad invitare quei due brutti esempi di umanità.<br />
Non ricordava nemmeno più chi o cosa fossero e perchè<br />
li chiamasse zii.<br />
Forse la madre faceva una corte ereditaria a qualche loro<br />
segreta proprietà immobiliare o forse veramente si<br />
divertivano a giocare a e a parlare di che fine ha fatto zia<br />
tizia e zio caio e la sorella di cosa se si è sposata e il<br />
figlio di coso che si è messo con quella che già teneva un<br />
figlio…etc.<br />
In ogni caso Zio Titino e consorte ora erano lì, per<br />
quindici giorni, e lui tutto per loro.<br />
Solo che i conti non tornavano.<br />
Ebbe un riflesso istintivo, strinse la mano a zio Titino e<br />
disse: ci vediamo più tardi a casa, devo andare a fare un<br />
servizio a mam..” Non fini la frase, zio Titino gli afferrò<br />
il polso con una forza insospettabile: “ma dooove vaai,<br />
fetentone”, “tu non te ne vai da nessuna parte, eheh ehhe<br />
hehhehheheh” e lo afferrò per il collo spettinandolo<br />
completamente.<br />
Quel vecchio azzeccoso aveva una forza inspiegabile,<br />
quasi demoniaca, forse era davvero un demone mandato<br />
dall’inferno per punirlo. Ma di cosa? La sua vita era<br />
sempre stata noiosa ed inerte. Mentre subiva una stretta<br />
soffocante mista a odore di vecchio borotalcoso scorse a<br />
ritroso tutti i suoi peccati ma nonne trovò nemmeno uno<br />
significativo. “Chlaudio, gracchiò la moglie con lo<br />
sguardo vitreo e un sorriso indefinito, ti abbiamo trovato<br />
una bella ragazza, ora te la presentiamo, vieniti a sederh<br />
cco nnoi”.<br />
Ecco cosa non quadrava: con la coda dell’occhio aveva<br />
osservato qualcosa già da prima, qualcosa che la mente<br />
ancora non aveva messo a fuoco. C’era un tavolino che<br />
era sicuramente il tavolino occupato da zio Titino e<br />
consorte. Era il loro, lo sapeva perchè avrebbe<br />
riconosciuto quel borsello di merda tra un milione di<br />
borselli di merda. Zio Titino lo possedeva da tempo<br />
immemorabile, era come un martello di Thor vicino al<br />
quale stava adagiato una specie di scialle color violafunebre:<br />
la stessa tonalità del vestito di zia Enza. Ma il<br />
punto non era nemmeno questo.<br />
Il punto, invece, era la tizia seduta al loro tavolino.<br />
Non era possibile, non era un’impressione era proprio lei.<br />
Dio esisteva ed era un pervertito e lui adesso era curioso<br />
8
di sapere cosa Dio aveva escogitato per mettere zio<br />
Titino e zia Enza in relazione con quella tizia.<br />
Si chiamava Emanuela, e lui sapeva più cose su di lei di<br />
quanto ella potesse minimamente sospettare.<br />
Aveva trenta anni compiuti, forse trentuno o addirittura<br />
trentadue, ma di recente a un suo amico ne aveva<br />
dichiarati ventotto. Una decina di anni prima, o forse<br />
qualcosa in più, era stata una specie di Brook Shield<br />
locale. Frequentava i rampolli dei commercianti in auge e<br />
qualche sportivo locale, poi aveva fatto il colpo grosso<br />
fidanzandosi ( per un mese) col figlio di un deputato<br />
regionale.<br />
Poi il buio.<br />
Era comunque una di un livello che lui non aveva mai<br />
nemmeno sfiorato.<br />
A dire il vero non era nemmeno il suo tipo, ma chi gli<br />
avrebbe creduto.<br />
Era un biondastra tinta, di un metro e settanta con la<br />
faccia piccola e cattiva, lineamenti regolari, magra come<br />
un arpia muscolosa e si nutriva di roba insapore tipo<br />
fermenti lattici, cereali disidratati e succhi non<br />
zuccherati.<br />
Non aveva capito nemmeno lei per chi o cosa si tenesse<br />
ancora in forma.<br />
Il suo momento d’oro era passato e lei era rimasta zitella,<br />
ed ora erano cresciute nuove generazioni di giovanissime<br />
spregiudicate che spandevano bellezza a secchiate di<br />
fronte alle quali non potevi far altro che ritrarti come un<br />
polpo in tana e aspettare che passasse la tempesta.<br />
Insomma era una senza più fascino né mercato.<br />
Però lui una così non l’aveva mai nemmeno sfiorata.<br />
“Ciao, io sono Claudio” e le tese la mano come se avesse<br />
preso la rincorsa. Aveva impostato la voce, non pensava<br />
di fare colpo ma almeno di rendere la vita difficile a<br />
quella stronza. “piacere Emanuela”, rispose lei<br />
allungandogli da seduta una mano mezza moscia.<br />
“Senti Claudio”, disse ricomponendosi da una posizione<br />
stravaccata e giungendo le mani come fosse in preghiera,<br />
Claudio si fece attento, lei prese una lunghissima pausa<br />
come se cercasse il modo giusto per dire qualcosa. La<br />
pausa continuò, lui era tesissimo, valutava le ipotesi più<br />
disparate (e se mi confessa che è stata sempre<br />
innamorata di me? Davanti a zio Titino e a quella merda<br />
della moglie? No è impossibile e poi non si è nemmeno<br />
alzata per darmi la mano).<br />
9
In tutta questa pausa infinita Emanuela sembrava non<br />
curarsi minimamente della presenza di zio Titino e<br />
consorte appollaiati ad osservare la scena a meno di<br />
mezzo metro da loro con un sorriso da ebeti.<br />
Claudio si guardò alle spalle e vide i due coniugi in piedi,<br />
in attesa della prossima battuta, sporgersi come da un<br />
immaginaria balconata. La tensione gli deformava la<br />
percezione visiva con un leggero effetto grandangolare,<br />
gli sembrava di essere in un film di Kubrick. Poi<br />
improvvisamente i due vecchiastri si dileguarono dopo<br />
aver proferito una considerazione imbarazzante sui<br />
giovani e sull’amore.<br />
Emanuela continuava a rimanere con lo sguardo fisso ad<br />
un’altezza imprecisata come se attendesse una qualche<br />
forma di ispirazione.<br />
Claudio ruppe il silenzio: “Ma come lo conosci a zio<br />
Tit...”, “senti”, lo interruppe lei, “mica c’hai la<br />
macchina?”<br />
“No, perchè?” rispose Claudio d’istinto.<br />
“Nemmeno qualcuno che te la presta o la può prestare a<br />
me?”<br />
“No”, fece lui, “al momen…”, “vabbè” disse lei, non fa<br />
niente, alziamoci, vieni”, e si avviò fuori dallo<br />
stabilimento.<br />
Lui la seguì senza neanche accennare a rendersi conto di<br />
conto di cosa stesse succedendo, la raggiunse quasi di<br />
corsa, lei aveva già messo mano al cellulare e stava<br />
smanettando nervosamente.<br />
“Claudio hai credito sul cellulare?”<br />
“No, non ho il cellulare…appres…”, lei non fini<br />
nemmeno di ascoltare la risposta, premette un tasto,<br />
portò il cellulare all’orecchio ascoltò i primi due squilli e<br />
poi riattaccò. Seguì un minuto di silenzio glaciale con<br />
Claudio che cominciò a guardare il retro di un edicola in<br />
attesa di ordini, poi la stronza ripeté l’operazione,<br />
chiamata , due squilli, riattaccò e finalmente dopo altri<br />
30 secondi il cellulare della stronza squillò.<br />
“Uè”, fece lei , “ci possiamo vedere tra mezz’ora al bar<br />
di Canale, hai capito qual è? , si ha detto che li porta,<br />
Monica dobbiamo andarla a prendere, no ha detto che per<br />
i volantini se la vede lei….senti io per i corsi gia sto che<br />
non ti dico…eh sono 15, comunque mo sto con una<br />
persona, ci vediamo li, cià.”<br />
Claudio cominciò a scartare l’ipotesi che ella volesse<br />
confessargli il suo amore e continuò a guardare le riviste<br />
esposte sul retro dell’edicola. “Senti Carlo, scusami ma<br />
10
sai com’è”, “certo, certo”fece lui, senza sapere a che<br />
cazzo si riferisse.<br />
“Tu lavori”, le chiese lei a bruciapelo, lui lavorava come<br />
commesso part time in un negozio di videogiochi e<br />
modellismo alle dipendenze di un mezzo ricchione di 20<br />
anni viziatissimo e ricco, pieno di commessi che<br />
cambiava in continuazione, trattava una merda e che<br />
retribuiva con una mezza miseria di stipendio al nero e<br />
in ritardo, “più o meno” rispose, “perché?’” .<br />
“La nostra azienda…” esordì lei, quindi seguì un<br />
discorso probabilmente imparato a memoria del quale lui<br />
perse quasi subito il filo e alla fine del quale si ritrovò<br />
un biglietto in mano simile ad un menu di nozze che con<br />
aria esclusiva lo invitava ad un business planning party<br />
che si sarebbe tenuto sulla terrazza dell’hotel Raimo il<br />
giorno dopo alle ore 19.<br />
“Carlo ci terrei molto che tu ci verresti”, gli disse lei<br />
testualmente guardandolo negli occhi e stringendogli una<br />
mano, anzi un polso.<br />
Lui non tentò nemmeno di correggerla né sul nome e<br />
tantomeno sul verbo, tanto all’Hotel Raimo non ci<br />
sarebbe andato. Quella era un’adescatrice per corsi truffa,<br />
era già capitato ad un suo amico, ti promettevano un<br />
lavoro e poi ti obbligavano ad acquistare roba o ti<br />
iscrivevano ad un costosissimo corso di preparazione<br />
professionale che non serviva e non valeva un cazzo.<br />
Insomma, era stupido e credulone ma fino ad un certo<br />
punto.<br />
In questo caso però sarebbe stato irremovibile: non ci<br />
sarebbe andato!<br />
La decisione era stata presa!<br />
Il guaio ,pero,’ era che anche il destino aveva preso la sua<br />
decisione al riguardo e, purtroppo per lui, era esattamente<br />
opposta.<br />
“E bravo Claudietto!!!, Emanuela eh? Hai capito!”<br />
La voce e la violenta pacca sulla spalla che lo fecero<br />
sobbalzare dal nulla erano opera di Franco, uno schifo<br />
d’uomo, talmente brutto ed incapace che, dopo aver<br />
preso atto in tenera che tali qualità negative lo avrebbero<br />
accompagnato per sempre, aveva rinunciato ad avere una<br />
vita propria e si dedicava con inesauribile energia a<br />
rendere un po' peggiore quella degli altri.<br />
Essendo però un incapace, non era in grado di nuocere<br />
più di tanto a chicchessia Riusciva comunque ad<br />
infastidire il prossimo e talvolta, in maniera fortuita,<br />
addirittura a rovinargli qualcosa. Franco si fingeva<br />
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grande amico di tutti e mostrava un’apparente<br />
disponibilità.<br />
Era prodigo di consigli ed informazioni non richieste,<br />
ovviamente erano cose inverosimili ed unicamente tese a<br />
farti sentire una merda, ma a volte alcuni ci cascavano e<br />
le prendevano per buone. Claudio, per esempio.<br />
“Uè Franco”, Claudio esordi subito con una<br />
giustificazione balbettata, “no…chi Emanuela..ma<br />
figurati, no..la conosco cosi…”.<br />
Franco il maligno inquadrò subito la situazione e partì<br />
lancia in resta: “Non mi dire che ancora non te la sei<br />
data?” e accompagnò quel “data” con un gesto osceno<br />
inequivocabile, “Oh Claudiè tu la sai la storia delle foto e<br />
del filmino su internet, no?” .<br />
“Quale storia”, chiese Claudio e fu la sua fine.<br />
Si ritrovò, senza sapere come, un’ora dopo a casa di<br />
Franco ad esaminare foto e un filmino scaricato da<br />
internet dove non si vedeva e non si capiva un emerito<br />
cazzo.<br />
C’era una tipa che avrebbe potuto essere chiunque, o<br />
qualunque cosa, che gemeva inquadrata non si capiva<br />
bene dove. Questo per dieci secondi, poi si vedeva un’<br />
inquadratura di un capocchione di cazzo sgocciolante<br />
quindi il filmino terminava.<br />
“Hai capito a Emanuela”, fece Franco con un tono da<br />
pornodivo consumato, “è ninfomane! Il tipo che se l’è<br />
chiavata nel filmino lo conosco, è uno che l’ha beccata in<br />
pullman, l’ha seguita, se l’è portata in un garage e se l’è<br />
chiavata. Ed è pure uno brutto, chiatto.”<br />
Ovviamente il racconto di Franco non era altro che una<br />
sua fantasia erotica sputtanatissima nella quale lui era il<br />
protagonista, ma era un racconto così assurdo che<br />
Claudio lo prese per vero.<br />
Essendosi instaurato un clima di complicità Claudio<br />
commise un errore madornale: confidò a Franco<br />
dell’invito all’hotel Raimo che Emanuela gli aveva<br />
lasciato.<br />
“Ho capito, è tutto chiaro” fece Franco impostando una<br />
recitazione decente, “l’hotel, lo conosco, fanno scambi di<br />
coppie, orge etc… Hai capito che culo che hai, in che ti<br />
ha messo in mezzo la puttanona??”.<br />
“Ma a me sembrava più una di quelle cose di lavoro dove<br />
vogliono appiopparti corsi”, tento di ribattere Claudio,<br />
“All’hotel Raimo? Claudiè? Ma hai capito di che albergo<br />
stai parlando?” . Lui nonne aveva la minima idea, come<br />
Franco del resto, ma cominciò a fantasticare di orge alla<br />
12
Eyes Wide Shut, e vuoi vedere che zio Titino niente,<br />
niente…bah, tutto poteva essere ma non era ancora del<br />
tutto convinto.<br />
Poi Franco pronunciò la formula magica in grado di<br />
convincere tutti i nullafacenti che non hanno né da<br />
perdere né da scegliere: “E vacci Claudiè, che ti costa,<br />
tanto che cazzo tieni da fare”.<br />
Questa semplice frase apparentemente amichevole, ma<br />
nella sua chiosa di una cattiveria sopraffina, gli instillò<br />
un senso di colpa che poteva essere rimosso solo<br />
prendendo parte al business meeting plan o come cazzo<br />
si chiamava e qualunque cosa fosse o significasse.<br />
13
CAP.III<br />
Il brindisi<br />
“Mo ti sei messo a lavorare eh? E bravo! Che? Mo non<br />
sei più comunista eh?”<br />
“Ma che centra comunista”, tentò di ribattere Sergio, ma<br />
subito lo incalzò un altro : “Che centra? Ma lo sai la<br />
Sparviero di chi è, è di Marotta, ò consigliere… che roba<br />
è Alfrè? Alleanza Nazionale, Forza Italia?”<br />
Alfredo annuì con la testa anche se non sapeva<br />
nemmeno se tale Marotta esistesse o meno.<br />
Quello che aveva appena parlato era Giacomo, 47 anni<br />
circa, informatissimo su tutto, non laureato, il cui unico<br />
scopo nella vita era di fare l’errata corrige umano davanti<br />
al bar con dei disgraziati pari suoi.<br />
“Sergiolì”, intervenne un nano magro alle sue spalle,<br />
“stai a sentire a mmè, mandali affanculo tu a loro, prima<br />
che ti mandano affanculo loro a te”.<br />
Era domenica mattina e “Sergiolino” stava subendo un<br />
vero e proprio processo politico/esistenziale davanti al<br />
bar. Giudici accusa e giurati ovviamente i suoi più cari<br />
amici, cari perchè unici, che non gli avevano perdonato<br />
quel cambio di passo sociale nei loro riguardi.<br />
Ora sapeva cosa gli sarebbe accaduto, l’avrebbero<br />
isolato, sparlato, diffamato, sputtanato, tutto tranne che<br />
invidiato, perchè anche le ultime merde della società<br />
avevano intimamente compreso che chi lavora oggi è uno<br />
sfigato.<br />
Un tempo anche tra loro trovare un lavoro era<br />
considerata una fortuna, o meglio, una cosa da invidiare.<br />
Poi un giorno avevano visto un loro amico,<br />
invidiatissimo, che insegnava italiano in un istituto<br />
tecnico, essere accostato da una macchina che costava<br />
quanto due suoi stipendi annuali. Dalla macchina era<br />
uscita una voce da cavernicolo viziato: ”Prufessò!”, poi<br />
era spuntato dal finestrino un braccio con una<br />
bomboletta, una nuvola di schiuma, una risata collettiva e<br />
la macchina era ripartita sgommando.<br />
Il loro amico si era tolto gli occhiali e aveva iniziato una<br />
mortificante operazione di pulizia e aveva abbozzato una<br />
14
giustifica con un sorriso imbarazzato: “no…sono alunni<br />
miei…che cape di merda che tengono”.<br />
Nessuno di loro era stato in grado di dire niente ma tutti<br />
istantaneamente avevano rimosso l’invidia che nutrivano<br />
nei suoi riguardi e l’avevano sostituita con una sorta di<br />
compassione acida.<br />
“Mo non mi dire che stasera non ti vieni a vedere<br />
nemmeno gli Enoch”, lo ammoni severo Giacomo.<br />
“ E chi cazzo sono gli Enoch?”, ribatté Sergio d’istinto,<br />
“Chi sono?”, qui Giacomo fece una pausa, si sistemò gli<br />
occhiali, fece un sorriso di commiserazione e poi attaccò<br />
con tono ironico: “niente, e chi devono essere…., hanno<br />
solo anticipato i Genesis di quasi 10 anni e i Pink Floyd<br />
si sono ispirati a loro, anzi diciamo che li hanno<br />
scopiazziati in lungo e in largo e non lo dico io lo<br />
ammette lo stesso Nick Mason. Melody Maker definì<br />
Gerardo De Tommaso, il tastierista cantante,“the Italian<br />
Syd Barrett”, ti ho detto tutto”.<br />
Ci fu un attimo di pausa, tutti guardarono Sergiolino che<br />
con un filo di voce pronunciò una frase di cui si capì solo<br />
“alzare, dovere, presto, lavorare”.<br />
Lo lasciarono solo col conto di due bitter e due caffé da<br />
pagare.<br />
CAP.III (bis)<br />
Alvi Wharol<br />
“Madò c’e ancora gente che va appresso al progréssive,<br />
bah!”<br />
Chi aveva pronunciato questa frase, non raccolta né<br />
ascoltata da nessuno, accompagnandola con un teatrale<br />
gesto di disgusto da dandy condominiale, era tale<br />
Domenico, un finto giovane che ogni mattina indossava<br />
una personalità diversa cosi come uno può indossare un<br />
vestito diverso. Nel suo caso erano tutti vestiti da 30 euro<br />
(scarpe comprese) così come le sue personalità.<br />
Domenico aveva il dono di passare inosservato, il suo era<br />
quasi un superpotere.<br />
La cosa bella era che anziché sfruttarlo per fare, ad<br />
esempio, il corriere per la malavita, cercava, al contrario,<br />
di farsi notare a tutti i costi.<br />
Purtroppo gli unici che talvolta lo avevano notato erano i<br />
giovinastri dei quartieri popolari i quali, essendo figli del<br />
loro tempo, avevano come modello di riferimento l’uomo<br />
15
vincente, un superuomo, non alla Nietzsche ma alla<br />
Scarface.<br />
Ovvio che la cosa che istintivamente odiavano di più era<br />
il fallito atteggiato, soprattutto se andava in giro in<br />
filovia o, peggio ancora, a piedi come appunto nel caso<br />
di Domenico ed perdippiù abbigliato anche alla David<br />
Bowie con tanto di ciuffo viola, occhiale dei marocchini<br />
e, cosa gravissima, un cellulare vecchio, uno di quelli che<br />
non valeva la pena nemmeno rubare, uno di quelli<br />
dismessi che i giovinastri abbandonavano in qualche<br />
angolo della casa e che i fratellini piccoli recuperavano<br />
per giocarci.<br />
I giovinastri rallentarono col motorino color squalo, uno<br />
era vestito tipo rapper, con una tuta in acetato da arresti<br />
domiciliari , l’altro invece era un simil Costantino con<br />
gilet con collo di pelliccia e una faccia che avrebbe<br />
dovuto essere lampadata e che invece era bianca e tesa<br />
come quella di un predatore cimiteriale.<br />
Avevano degli occhiali scuri ed enormi che li facevano<br />
somigliare agli alieni di Roswell.<br />
Lo inquadrarono quasi subito, diedero una scorsa veloce<br />
ai suoi vestiti cercando nel loro archivio mentale di<br />
inquadrare a cosa corrispondesse uno che si vestiva così.<br />
Purtroppo per Domenico nel loro archivio mentale alla B<br />
non c’era nessun Bowie ma al massimo Bobo Vieri e lui<br />
non gli somigliava affatto. Domenico inquadrò subito il<br />
pericolo e per darsi un tono tirò fuori il cellulare<br />
cominciando una specie di pantomima di conversazione<br />
manageriale come per dire: sono troppo preso dagli affari<br />
per occuparmi anche dei pericoli del mondo reale.<br />
Fu quello il suo errore.<br />
Il balordo che guidava inquadrò subito marca e modello<br />
del cellulare, capì che non c’era niente da rapinare e che<br />
quello era un pezzente senza una lira che si atteggiava<br />
pure.<br />
La punizione scattò automatica.<br />
“Uè, fece il primo giovinastro all’indirizzo di Domenico,<br />
“Uè mongoloide!”, ribadì urlando. Domenico tento di<br />
bluffare portandosi il cellulare all’orecchio come se non<br />
sentisse bene e facendo un cenno da segretaria ai due<br />
come per dire : “giusto un attimo di pazienza e il dottor<br />
Tronchetti Provera sarà da voi”.<br />
Il simil Costantino, con una precisione da circo, gli<br />
lanciò un mozzicone di sigaretta acceso tra l’occhio e gli<br />
occhiali, Domenico urlò e si portò le mani agli occhi.<br />
16
Il mozzicone gli ricadde in una specie di panciotto e<br />
cominciò a bruciacchiargli la camicia arabescata.<br />
Domenico cominciò a saltellare alla cieca cercando di<br />
domare quel penoso inizio di incendio.<br />
Intanto il giovinastro pilota rimise in moto il mezzo, era<br />
indeciso se investirlo, o dargli un cazzottone in faccia,<br />
poi ebbe un lampo di ispirazione, gli strappò il cellulare<br />
da mano e riparti a velocità folle, urlandogli qualcosa<br />
sulla sua condizione economica e scagliò il telefonino<br />
contro la fiancata di un palazzo.<br />
L’apparecchio esplose come fosse stato di vetro.<br />
Non lo soccorse nessuno, tranne i due giovinastri<br />
nessuno sembrava essersi accorto di lui.<br />
Per fortuna riuscì a recuperare la scheda e la batteria che<br />
,non si sa mai, poteva sempre servire.<br />
Qualche ora dopo aver rimosso il trauma e avendo<br />
constatato l’impossibilità di procurarsi un nuovo<br />
cellulare in tempi brevi, acquistò una scheda telefonica.<br />
Aveva un appuntamento in serata con tale Marisa<br />
conosciuta ad una mostra-mercato equo solidale.<br />
Se Marisa fosse stata un prodotto sarebbe stato un<br />
prodotto equo-solidale, tipo quella cioccolata che non sa<br />
di un cazzo, con un vago aroma di mangime per<br />
pappagalli ed un odore speziato.<br />
Marisa invece odorava di maglioni ammuffiti e di capelli<br />
unti, ma era quanto di meglio Domenico potesse<br />
permettersi in quel periodo.<br />
Come tutte le donne di questo tipo era presuntuosa in<br />
maniera sconsiderata ed era inoltre molto permalosa e<br />
molto tirchia.<br />
Marisa odiava la bellezza in qualsiasi forma e di riflesso<br />
odiava qualsiasi cosa che potesse dare allegria.<br />
Pertanto, tutti i suoi gusti, dalla cucina, alla musica, al<br />
cinema, erano tarati sull’aberrante.<br />
Ascoltava, e obbligava i suoi spasimanti ad ascoltare, cd<br />
di free jazz disconosciuti dagli stessi autori. Mangiava<br />
piatti che definiva “etnici” realizzati perlopiù con verdure<br />
locali semiammuffite e salsine orientali scadute. Il tutto<br />
era accompagnato da un vino di merda travasato da<br />
bidoni di plastica bianca definito da lei “vino genuino del<br />
mio paese” che, mischiato ai “piatti etnici,” ti faceva<br />
istantaneamente puzzare l’alito come il maglione di<br />
Marisa.<br />
Ovviamente come tutte le brutte trasandate aveva uno<br />
stuolo di gente appresso che immaginava che fosse facile<br />
chiavarsela.<br />
17
In parte era vero.<br />
Marisa aveva decine di amanti suddivisi più per fasce<br />
d’età che per fasce di reddito.<br />
C’era una fascia di 40/50enni composta da pittori, poeti,<br />
fotografi etc…ed altri dediti ad attività non redditizie che<br />
bazzicavano gli assessorati locali per mendicare una<br />
vetrinetta annuale in una manifestazione contro una<br />
guerra, un alluvione o qualche altra sciagura planetaria.<br />
Poi c’erano i 30enni suddivisi tra fuorisede, fuoricorso,<br />
musicisti etnici e coltivatori di hashish, ed infine c’era<br />
una fascia esigua di giovanissimi sconvolti o ubriachi,<br />
concupiti al volo in occasioni mondane tipo falò e<br />
concerti all’aperto.<br />
Chiudeva l’harem qualche extracomunitario.<br />
Domenico si era messo in fila ed era venuto anche il suo<br />
turno, non di fottersela ma di corteggiarla. Marisa gli<br />
aveva concesso un: ” richiamami che ti faccio sapere”,<br />
era un occasione unica e doveva giocarsela per bene.<br />
Infilò la scheda nel telefono pubblico, erano le 15 e<br />
qualcosa e compose il numero del cellulare di Marisa.<br />
Dalle 15 alle 17 il cellulare non era raggiungibile, dalle<br />
17 alle 18.30 non agganciava inspiegabilmente nemmeno<br />
la linea, alle 19 abbondanti il telefono suonava ma<br />
Marisa, da vera diva, non rispondeva poiché non<br />
compariva l’identificativo di chiamata.<br />
Domenico ci mise circa mezz’ora per realizzare che le<br />
cabine telefoniche non danno l’identificativo di chiamata<br />
e ce ne mise un’altra mezza per realizzare qual era la<br />
politica adottata da Marisa al riguardo.<br />
Poi ebbe un lampo di genio: il cineforum, forse lei era lì.<br />
Cominciò a correre dopo aver dimenticato di ritirare la<br />
scheda inutilizzata.<br />
Correva, sudava, ansimava per, cosa tremenda, una che<br />
nemmeno gli piaceva.<br />
Se ne chiese anche il perchè, ma non gli venne in mente<br />
niente.<br />
Il perchè, invece, era dato dal fatto che Domenico era<br />
uno di quelli che si sarebbero innamorati di una<br />
qualunque donna con dei tratti somatici appena regolari,<br />
ma questa risposta, per uno che ambiva ad essere l’Oscar<br />
Wilde etero della sua epoca, non era accettabile.<br />
Giunse nella piazzetta antistante al cineforum, Marisa era<br />
seduta su un muretto con altre due arpie e si passavano<br />
un birra da 3/4 di una marca sconosciuta.<br />
Domenico la salutò trafelato, Marisa si accorse di lui solo<br />
quando lo ebbe a 30 centimetri di distanza.<br />
18
Il film era già iniziato, Marisa aveva sperato sino<br />
all’ultimo momento di incontrare qualcuno per<br />
scroccargli il biglietto d’ingresso. All’apparire di<br />
Domenico ebbe una nuova idea.<br />
“Madonna, ho una fame, ci compriamo qualcosa?”, e,<br />
dicendo questo, scese dal muretto, si mise sottobraccio a<br />
Domenico e, con fare fidanzatesco, comincio a<br />
trascinarlo verso una rosticceria.<br />
19
CAP.IV<br />
Professionalità<br />
“Eccolo là, il nostro rubacuori, il nostro don Giovanni<br />
Casanuova!”, questa citazione erudita di zio Titino<br />
accolse il rientro di Claudio in casa.<br />
“Casanuova!”, gli fece eco la moglie batrace.<br />
Erano già tutti a tavola.<br />
La cena fu un martirio di luoghi comuni, proverbi del<br />
genere “al cuor non si comanda”, sorrisini complici e<br />
risate da malati di mente.<br />
“Claudio”, disse zio Titino fissandolo con degli occhi da<br />
faina, “quella è una ragazza in gamba, stalle appresso,<br />
che tiene bei progetti per te”. Quella frase enigmatica gli<br />
gelò le speranze, forse era solo una venditrice di corsi ma<br />
ormai il virus del dubbio gli rodeva l’anima, Franco il<br />
pallista maligno aveva vinto, era solo una questione di<br />
tempo.<br />
Il giorno seguente si svegliò nel panico.<br />
Non si erano nemmeno scambiati i numeri di cellulare<br />
quindi doveva basarsi unicamente sulle poche indicazioni<br />
riportate nell’invito.<br />
Non si sentiva benissimo, aveva un po’ di diarrea,<br />
doveva essere stata quella merda di dolce alle noci opera<br />
di zio Titino e consorte.<br />
Aveva la pressione bassa.<br />
Era una giornata caldo umida, pioveva a chiazze e dove<br />
non pioveva c’era un sole che ti spaccava il culo.<br />
Claudio rovistò in una cassettiera gigante, trovò lo<br />
stradario provinciale sotto degli addobbi natalizi.<br />
Cominciò una lunga operazione di intelligence tra pagine<br />
gialle, stradario Michelin e Guida Tuttocittà: alla fine si<br />
arrese e telefonò all’hotel Raimo.<br />
“Hotel Raimo?....si, cioè un’informazione…dove<br />
siete….no ho capito ma mi può dare un riferimento<br />
meglio…si, si, no non lo so dov’è, si, si”.<br />
La reception dell’hotel lo trattò da deficiente, ci mancò<br />
poco che cominciassero a sfotterlo in maniera palese.<br />
Si era fatto un idea più o meno vaga di dove poteva<br />
essere l’hotel, aveva quasi pensato di chiamare Franco<br />
per chiederglielo ma aveva il terrore inconscio di<br />
smascherarlo come bugiardo.<br />
20
“Vabbè”, pensò, ” prendo la macchina e poi si vede”. La<br />
macchina in quel preciso istante si trovava a circa 150<br />
km. di distanza diretta verso un santuario collinare di una<br />
madonna locale e baldanzosamente guidata da zio Titino.<br />
“Potevi dircelo che ti serviva la macchina” lo ammonì<br />
sua madre dal cellulare, lui non replicò niente e si diresse<br />
all’ufficio dei bus.<br />
Comprò un biglietto che copriva tutta la provincia per 24<br />
ore, poi si diresse alla pensilina dei bus dove<br />
campeggiava una cartina gigantesca con orari e percorsi<br />
di tutte le linee.<br />
Una “crew”di bombolettari composta da figli dei più<br />
facoltosi professionisti cittadini aveva inchiavicato la<br />
cartina con scritte e simboli appartenenti ad una cultura<br />
underground distante circa 8000 km da loro. Non si<br />
vedeva più un cazzo.<br />
Tornò nell’ufficio dei bus, chiese informazioni a dei tipi<br />
vestiti da autisti, questi si consultarono per un paio di<br />
minuti circa poi emisero il verdetto: “dovete prendere il<br />
24, scendere prima dell’autostrada e poi vi conviene<br />
farvela a piedi per la via che scende, saranno un 800<br />
metri”.<br />
Claudio seguì le istruzioni scrupolosamente.<br />
Prese il 24 e aspettò nervosamente la fermata prima<br />
dell’autostrada. Le mani gli sudavano, si accorse di aver<br />
ridotto l’invito all’hotel a guisa di uno strofinaccio da<br />
cesso, lo piego in 4 e se lo infilò in una tasca della<br />
giacca.<br />
Scese.<br />
La fermata prima dell’autostrada era nel bel mezzo del<br />
nulla.<br />
In lontananza, a circa 500 metri, si intravedeva un bivio,<br />
doveva esser quella la strada che scendeva.<br />
Claudio giunse al bivio sudacchiato, faceva un caldo<br />
inspiegabile per quell’ora e quel mese. Erano le 18.30,<br />
aveva un’ora abbondante, non c’era da preoccuparsi o<br />
così pensava.<br />
Quello che non sapeva, però, è che il dipendente della<br />
compagnia di bus che gli aveva dato l’indicazione o<br />
doveva essere un avatar di Franco, incarnatosi per<br />
l’occasione, o doveva aver preso come riferimento<br />
qualche sistema di coordinate spaziali che comprendesse<br />
dei tunnel spazio temporali perchè dal bivio al quale<br />
Claudio si trovava fino all’ingresso dell’hotel Raimo<br />
mancavano la bellezza di 6635 metri.<br />
21
Claudio giunse sulla terrazza dell’hotel Raimo alle 20.20.<br />
Sembrava un ubriaco che era stato licenziato in tronco.<br />
Aveva perso l’invito ma nessuno sembrò fregarsene.<br />
Non c’era alcun controllo all’ingresso, giusto una freccia<br />
gialla con un logo aziendale che indirizzava gli invitati<br />
verso la terrazza dell’hotel.<br />
Claudio seguì la freccia e si trovò al cospetto di un buffet<br />
intatto con degli addobbi tristissimi in plastica che<br />
riproducevano chincaglierie di lusso.<br />
C’erano di una trentina di disoccupati, a disagio in<br />
giacche e cravatte prestate, che pascolavano<br />
nervosamente a testa bassa. Sembrava una tonnara nelle<br />
fase che precede la mattanza.<br />
Emanuela comparve dal nulla reggendo un microfono da<br />
karaoke collegato ad un amplificatore da karaoke.<br />
Memore di quando presentava tornei per bambini negli<br />
stabilimenti balneari si lanciò in un discorso di<br />
benvenuto ampiamente collaudato.<br />
Claudio capì immediatamente che la possibilità che<br />
quella serata finisse in un orgia era seconda solo ad un<br />
invasione aliena che avesse come epicentro la terrazza di<br />
quell’hotel.<br />
Emanuela lasciò subito la parola a tale Massimo che<br />
sembrava il fratello fascista di Di Canio.<br />
Massimo attaccò uno discorso finto-improvvisato<br />
imparato a memoria a prezzo di chissà quali sacrifici<br />
mentali durante il quale si presentò attribuendosi una<br />
qualifica di tipo manageriale lunghissima e in inglese.<br />
Più che un manager aziendale ti dava l’idea di uno di<br />
quelli “italiano seconda lingua” che potevano passare<br />
dalla cortesia commerciale ad una testata sul setto nasale<br />
in meno di mezzo secondo.<br />
Claudio fece l’unica cosa sensata della giornata: girò sui<br />
tacchi e imboccò l’uscita.<br />
Forse era ancora in tempo per beccare il 24 che tornava<br />
in città.<br />
22
CAP.V<br />
Curriculums<br />
La fotocopiatrice sembrava guardarlo, aveva un pannello<br />
di controllo che sembrava il polsino di Predator, bello,<br />
fluorescente e totalmente incomprensibile.<br />
Sergio, la scrutò per buoni 5 minuti finché a 5 metri di<br />
distanza si materializzò la segretaria serpe che,<br />
vedendolo in difficoltà, cominciò a fissarlo immobile,<br />
con una perfidia glaciale.<br />
Sergio andò in paranoia e si sentì in dovere di fare<br />
qualcosa.<br />
Cominciò a premere dei simboli luminosi a caso.<br />
Non successe niente.<br />
Cercò allora di sollevare di forza il pannello superiore<br />
dell’apparecchio, ma era impossibile.<br />
Cercò un pulsante che lo sollevasse, non ce n’erano.<br />
Dopo due minuti esatti il dirigente che aveva incaricato<br />
Sergio di fotocopiargli in A3 la pagina 47 si affacciò<br />
sulla soglia del suo ufficio urlando: “ALLORA?!, ‘STA<br />
CAZZO DI FOTOCOPIA, DEVO CHIAMARE UNA<br />
DITTA APPOSITA?”<br />
Fu a quel punto che la serpe si mosse.<br />
Rapida e meccanica sfilò la rivista dalle mani di Sergio e<br />
in meno di 30 secondi ottenne una fotocopia A3 a colori<br />
di pagina 47.<br />
Sergio, si chiese come avesse fatto a indovinare la pagina<br />
e il formato, lei lo dribblò e consegno la fotocopia<br />
personalmente nelle mani del direttore accompagnando il<br />
gesto con un sorriso da contabile di lager.<br />
Sergio rientrò imbarazzato nel ufficio del dirigente che<br />
non lo degnò di uno sguardo. “Vada da Myriam e mi<br />
prenda un caffé, NON NEL BICCHIERINO DI<br />
PLASTICA, VOGLIO BERE UN CAZZO DI CAFFÈ<br />
IN UNA TAZZINA DI CE-RA-MI-CA, CRISTO DI<br />
UN DIO!”<br />
Sergio uscì dalla stanza senza avere la minima idea di chi<br />
cazzo fosse Myriam, poteva essere anche il nome di un<br />
bar.<br />
23
Myriam si trovava due piani più sotto, tra l’individuarla,<br />
recuperare una tazzina di ceramica e preparare il caffé<br />
passò mezz’ora.<br />
Sergio si chiese perchè il tempo lo odiasse così tanto.<br />
Quando rientrò nella stanza/ufficio del dirigente per<br />
portarglielo, il caffé era appena tiepido, il che, dopo il<br />
bicchierino di plastica, era la cosa che faceva incazzare di<br />
più il dirigente in questione.<br />
Era ormai il suo quinto giorno alla Sparviero e non<br />
aveva ancora capito che cazzo di lavoro facesse o cosa si<br />
aspettassero da lui.<br />
Aveva collezionato una serie ininterrotta di cazziate e di<br />
brutte figure, “forse è normale all’inizio” ,pensò, “finché<br />
non ingrano”, gli sfuggiva però cosa mai dovesse<br />
ingranare.<br />
La segretaria rettile gli spuntò alle spalle mentre il<br />
dirigente si accingeva a cazziarlo di nuovo.<br />
“L’ingegnere lo vuole in amministrazione” sibilò, “A<br />
chi?” rispose il dirigente visibilmente alterato, la<br />
segretaria gli indicò Sergio con la testa, “e portatelo va<br />
che è meglio”.<br />
Sergio aveva perso anche l’onore dell’ordine diretto.<br />
La seguì con la dignità di un cavia umana, ormai era<br />
troppo tardi per recuperare.<br />
L’ingegnere lo attendeva col suo curriculum in mano,<br />
Sergio capì subito cosa stava per accadere, pensò persino<br />
di scappare.<br />
Sergio era in grado di accendere un personal computer,<br />
fare clic sull’icona di explorer, connettersi a internet,<br />
controllare la posta e scrivere un curriculum guidato con<br />
Microsoft Word.<br />
Forte di queste conoscenze, e su consiglio di un amico<br />
fidato, aveva dichiarato di conoscere ed utilizzare a<br />
livello professionale: Microsoft Excel, Power Point,<br />
Linux, Unix, Java e Visual Basic (qualunque cosa<br />
fossero).<br />
“Sergiolì tu scrivi così, è una formalità lo fanno tutti,<br />
nessuno se ne fotte se è vero o meno, loro lo sanno che tu<br />
non li sai usare, ma devi far vedere che lo scrivi, hai<br />
capito?” .<br />
A lui sembrava un ragionamento senza capo né coda,<br />
soprattutto perchè veniva da un disoccupato che non<br />
aveva mai messo piede in un’azienda in vita sua, ma<br />
decise di seguire il consiglio perchè lo faceva sentire<br />
molto rampante e spregiudicato, in linea, una volta tanto,<br />
con lo spirito dei tempi.<br />
24
L’ingegnere era un maniaco dell’informatica con seri<br />
problemi di eiaculazione precoce.<br />
L’unica sua vera soddisfazione era poter dimostrare<br />
l’incompetenza e l’ignoranza altrui nell’utilizzo di<br />
funzioni particolari di applicativi software o di comandi<br />
dei sistemi operativi.<br />
Quando gli portarono Sergio, al quale il giorno prima<br />
aveva inutilmente affidato una serie di mansioni da<br />
svolgere su Excel, tremava quasi per l’eccitazione.<br />
Rispedirono Sergio all’agenzia interinale ,dalla quale lo<br />
avevano raccattato per imperscrutabili motivi,<br />
accompagnandolo con una sorta di foglio di via dal<br />
mondo del lavoro occidentale.<br />
Quando la madre se lo ritrovò in casa già alle 18 di<br />
quello stesso giorno, non disse niente e gli voltò le<br />
spalle:”stasera qui non si mangia, vedi dove devi andare”<br />
e sbattette la porta della cucina-lavanderia.<br />
La buona notizia, però, era che quella sera stessa ci<br />
sarebbe stato un concerto di gruppi locali ai giardinetti<br />
più l’esibizione di una band di Genova (la cosa era<br />
sottolineata sul manifesto con molta enfasi) che era la<br />
vera attrazione della serata.<br />
Sergio scese subito di casa senza nemmeno cambiarsi<br />
d’abito, ora doveva riconciliarsi con gli amici:<br />
innanzitutto con Giacomo.<br />
“Signora c’e Giacomo, sono Sergio”, al citofono rispose<br />
una voce d’oltretomba: “noooh Giacumino ha scces, o,<br />
concert’” e qui l’anziana madre ebbe un mezzo enfisema<br />
polmonare.<br />
Sandro non salutò nemmeno e si diresse dritto ai<br />
giardinetti.<br />
Giacomo era già li che si stava facendo autografare una<br />
locandina da un morto di fame seduto in un furgone. “Uè<br />
Sergio e che fai qua?”, Sergio raccontò una mezza verità,<br />
infarcita di cose e frasi che gli sarebbe piaciuto aver detto<br />
e fatto.<br />
Giacomo non sembrò interessarsene più di tanto.<br />
“Sergiolì stasera ci sono gli Zoso te ne rendi conto! Sono<br />
di Genova!” . Sergio colse solo il fatto che Giacomo lo<br />
aveva chiamato Sergiolino, il che significava che era<br />
stato reintegrato nel branco, ma chi fossero gli Zoso e<br />
perchè essere di Genova fosse un titolo di merito per lui<br />
rimaneva un mistero.<br />
“È considerata la migliore cover band degli Zeppelin e<br />
non lo pensa solo il sottoscritto ma anche …” Giacomo<br />
25
tenne una lectio magistralis su un gruppo conosciuto solo<br />
da lui e dagli amici intimi dei membri del gruppo.<br />
Sergio si chiedeva spesso dove Giacomo prendesse tutte<br />
quelle informazioni visto che non aveva soldi nè per<br />
libri, né per riviste e tantomeno per un collegamento<br />
internet.<br />
La risposta era semplice: Giacomo bazzicava, anzi<br />
viveva nelle emeroteche, biblioteche e uffici<br />
Informagiovani del Comune.<br />
Aveva decine di tessere di associazioni culturali ,<br />
scroccava internet dall’Informagiovani (riservato ai<br />
minori di 35 anni) e raccattava riviste invendute dalle<br />
edicole o fanzine gratuite dai negozi di dischi e di<br />
fumetti.<br />
Era un pezzentone senza vergogna.<br />
Una sera erano miracolosamente usciti in comitiva con<br />
delle ragazze. Mentre passeggiavano Giacomo aveva<br />
avvistato un vecchio pc, abbandonato vicino ad un<br />
cassonetto dell’immondizia e si era fiondato subito ad<br />
agguantarlo come se temesse che qualcuno del gruppo<br />
potesse precederlo. Le ragazze lo avevano guardato<br />
allibite e lo stupore si era trasformato in disgusto quando<br />
lo videro letteralmente scomparire nel cassonetto<br />
dell’immondizia e riemergere brandendo una stampante<br />
ad aghi praticamente inutilizzabile. Ora stava<br />
sproloquiando sugli Zoso di cui aveva avuto notizia<br />
tramite una newsletter di sfigati che si scambiavano<br />
informazioni su emuli rionali di gruppi morti e sepolti.<br />
La cosa sorprendente di Giacomo era che, nonostante la<br />
sua apparente erudizione enciclopedica, non capiva un<br />
emerito cazzo di musica.<br />
Aveva un orecchio da somaro col cimurro e non avrebbe<br />
distinto una scala maggiore dall’antifurto di un motorino<br />
nemmeno sotto tortura. Era patologicamente incapace di<br />
riconoscere il talento ma elargiva patenti di genialità o<br />
stroncature feroci in base a dei suoi codici<br />
imperscrutabili.<br />
Giacomo era convinto che il mondo brulicasse di geni<br />
sconosciuti e che invece quelli riconosciuti erano stati<br />
solo più fortunati o inclini “a vendersi”.<br />
Spesso adduceva il suo caso come esempio, anche se non<br />
aveva mai specificato in quale campo l’umanità avrebbe<br />
dovuto riconoscere la sua genialità.<br />
Gli Zoso erano un gruppo sui 30 anni, avevano scoperto i<br />
Led Zeppelin negli anni 90 e avevano scelto di creare una<br />
26
tribute band dedicata agli “Zep” perchè le altre band<br />
famose se le erano già accaparrate altri.<br />
Più che la passione per i led Zeppelin l’unica cosa che<br />
accomunava i membri della band e che suonavano tutti<br />
maluccio.<br />
Il batterista era fissato con la fusion ma essendo<br />
fisiologicamente incapace di suonare un tempo dispari<br />
aveva accettato la prima e unica proposta di ingaggio in<br />
un gruppo. Il cantante aveva una voce acuta ma era<br />
stonato e urlava come un femminiello isterico credendo<br />
che bastasse questo per emulare Robert Plant. Il bassista<br />
proveniva da un giro oscuro di matrimoni e compleanni e<br />
non sapeva nemmeno chi cazzo fosse John Paul Jones.<br />
E infine la perla: il chitarrista, un energumeno basso col<br />
fisico da babbuino con le mani corte e tozze,<br />
completamente privo di talento ma dotato di una volontà<br />
che rasentava il fanatismo.<br />
Aveva acquistato tutti gli spartiti dei Led Zeppelin e si<br />
era imbarcato nell’impresa titanica di emulare Jimmy<br />
Page nota per nota.<br />
Sui riff e sugli accompagnamenti faceva quasi cagare ma<br />
riusciva più o meno a dare l’idea di quale pezzo stessero<br />
eseguendo. La vera tragedia, però, erano gli assoli.<br />
Riusciva a memorizzarne giusto un paio di battute poi, in<br />
quel cervello da primate, avveniva un crollo, una sorta di<br />
collasso motorio che sfociava in un fraseggio squadrato<br />
,logorroico e banale, infarcito di imprecisioni e stonature.<br />
Eppure quel gruppo resisteva incredibilmente da oltre un<br />
quinquennio ed erano capaci di affrontare un viaggio di<br />
oltre 1000km tra andata e ritorno per 30 euro a testa.<br />
Gli Zoso attaccarono alle 22 in punto.<br />
La loro esibizione era stata preceduta da ben tre gruppi.<br />
Il primo era un gruppo pop formato da ragazzini con<br />
degli strumenti da paura che dovevano aver dissanguato<br />
la busta paga dei genitori.<br />
Il cantante era il più bello del gruppo, somigliava<br />
vagamente a Brad Pitt solo che era alto quanto la tazza<br />
del cesso. Aveva ad una sola mano un guanto di lana con<br />
le dita tagliate e cantava in italiano con un accento<br />
inglese una nenia incomprensibile di cui si capiva solo<br />
“la mmia aanimaaaaaa” e poi niente più.<br />
Il secondo gruppo erano in tre vestiti alla Eminem, uno ai<br />
piatti e gli altri due ai microfoni, purtroppo non<br />
funzionava niente, persero mezz’ora ad armeggiare coi<br />
cavi e a parlottare coi tecnici, poi si scusarono,<br />
salutarono e se ne andarono.<br />
27
Il terzo ed ultimo gruppo erano sui 55 anni, erano venuti<br />
al concerto coi figli grandi e le mogli che li sfottevano<br />
mentre li applaudivano.<br />
Suonarono tre pezzi: uno degli America, uno di<br />
Springsteen e uno di Battisti, cantato per l’occasione<br />
dalla figlia del tastierista.<br />
L’esibizione si spense nel silenzio, molti cominciarono<br />
ad andarsene.<br />
Passò una mezz’ora abbondante prima che un<br />
improvvisato presentatore annunciasse alla piazzetta<br />
sfollata: “a voi da GENOVA, gli ZOX”.<br />
Giacomo aveva quasi la faccia sul palco e fece un cenno<br />
di ok al chitarrista-autista-fruttivendolo che gli aveva<br />
autografato la locandina.<br />
Il gruppo attaccò una versione interminabile di un pezzo<br />
già di per se lunghissimo. Più che un concerto sembrava<br />
un sound check.<br />
Tra Giacomo, Sergio, qualche sfaccendato da bar, un<br />
rumeno ubriachissimo e dei ragazzini che impennavano<br />
con le bici da cross ci saranno state scarse 10 persone.<br />
Giacomo lo definì il miglior concerto degli ultimi 10<br />
anni dopo quello delle Orme ad Albanella.<br />
28
CAP. VI<br />
Billionaire<br />
“Prendiamo pure due birre, ti do i soldi dopo”, Marisa si<br />
infilò in una fiaschetteria senza aspettare nemmeno la<br />
risposta.<br />
Era un locale che puzzava di sughero marcio e di pisciata<br />
di gatto. Marisa solitamente vi acquistava birre<br />
misconosciute che pagava con monetine da 10 e 5<br />
centesimi. Quando ordinò 6 Nastro Azzurro da ¾ il<br />
proprietario ebbe un attimo di titubanza, poi Domenico si<br />
affacciò sulla soglia della bettola e al proprietario fu tutto<br />
chiaro, “sono giusto 15 euri signorina” e le porse una<br />
busta di plastica anonima con le birre sgocciolanti.<br />
Domenico, tirò fuori gli ultimi 20 euro dalla tasca con<br />
una mano mentre con l’altra cercava di tenere in<br />
equilibrio un enorme guantierone incartato della<br />
rosticceria. Quando non si trattava di soldi suoi Marisa<br />
era una cliente a dir poco brillante.<br />
Domenico non immaginava che fosse possibile spendere<br />
25 euro per due persone in una rosticceria di merda come<br />
quella.<br />
Marisa si era fatta confezionare una guantiera con<br />
imbastitura incrociata che aveva riempito di una varietà<br />
di schifezze bisunte al cui solo odore il colon di un<br />
organismo normale reagiva con una leggera fitta<br />
preventiva.<br />
Più che intontito, per essersi fatto spolpare quasi<br />
cinquanta euro da una cessa tirchia, Domenico era<br />
scientificamente incuriosito dal futuro immediato.<br />
Si chiedeva, infatti, dove e come Marisa avrebbe<br />
divorato tutto quel ben di Dio.<br />
“Andiamo a casa mia”, fu la risposta della donzella dai<br />
capelli sporchi.<br />
“Casa” era una parola grossa, si trattava di una mansarda<br />
che divideva con una studentessa e altri due balordi che<br />
si definivano rispettivamente: istruttore di capoeira e<br />
artista di strada.<br />
Mentre salivano le scale Marisa trovò il tempo di litigare<br />
con una condomina dei piani sottostanti e di scroccare<br />
una sigaretta a Domenico.<br />
Entrarono in casa di Marisa nel buio più pesto.<br />
29
C’era una puzza indefinibile che virava dalla merda al<br />
cous-cous con un retrogusto di calze sporche.<br />
Sistemarono guantiera e birre su un tavolaccio da presepe<br />
con un centrino arabo nel mezzo, quindi Marisa fece gli<br />
onori di casa, cioè si tolse le scarpe e si chiuse nel cesso.<br />
Domenico sperò che si stesse dando una rassettata ed una<br />
sciacquata dalle ascelle alla zona genitale perchè aveva<br />
percepito un odore di sudore costipato che non<br />
prometteva nulla di buono.<br />
Si sentì invece, in un silenzio imbarazzante, un rumore di<br />
sifone sfiatato, era Marisa che pisciava.<br />
Il rumore terminò e si aprì quasi immediatamente la porta<br />
del bagno.<br />
Domenico calcolò che non doveva avere avuto nemmeno<br />
il tempo di pulirsi con la carta igienica e cominciò a<br />
rabbrividire.<br />
“Tu hai fame?” gli disse sistemandosi la zip dei jeans,<br />
Domenico fece una smorfia di indifferenza, “vabbè”,<br />
disse Marisa “allora aspettiamo i ragazzi”.<br />
Alla parola “ragazzi” Domenico sentì il sacchetto delle<br />
palle diventargli di ghiaccio.<br />
I ragazzi arrivarono dopo un’ora, erano in tre:<br />
l’insegnante di capoeira, uno con una custodia di uno<br />
strumento che non sapeva suonare e la di lui ragazza: una<br />
specie di spettro coi capelli rossi che sembrava uscita da<br />
un centro di prima accoglienza.<br />
Tranne lo spettro che non mangiava, non parlava e non<br />
dava segni di vita intelligente, i ragazzi si spazzolarono<br />
birre e panzarotti vari nel giro di pochi minuti.<br />
Domenico riuscì a rimediare mezzo bicchiere di plastica<br />
di Nastro Azzurro.<br />
“Mo che finisci la birra , non lo buttare”, lo redarguì<br />
Marisa, quel bicchiere era parte del suo servizio di calici<br />
per 6 persone.<br />
Scolate le birre e divorati i fritti si passò alle droghe.<br />
Il maestro di capoeira tirò fuori un pezzetto di fumo, una<br />
pallottolina color merda, grande quanto un cece e avvolta<br />
nel domopak.<br />
Prepararono un paio di canne con le ultime sigarette di<br />
Domenico mentre il musicista con custodia tirò fuori un<br />
cd autoprodotto e automasterizzato e ne avviò la<br />
riproduzione con lo stereo autovox di Casa Marisa.<br />
Il lettore cd tossicchiò un paio di volte, poi si bloccò, poi<br />
si sbloccò quindi iniziò la lettura del disco.<br />
La musica era di un genere che comprendeva un po’ di<br />
tutto, i componenti del gruppo avevano deciso di puntare<br />
30
contemporaneamente su più generi in attesa di avere<br />
indicazioni più precise da un eventuale pubblico.<br />
Domenico finse di interessarsi alla cosa per dare una<br />
parvenza di senso a quella serata storta:”È il tuo<br />
gruppo?”domandò al semi-musicista, “diciamo di si”,<br />
rispose il tizio con un po’ di esitazione.<br />
Si chiamava Marco e quel Cd era di un gruppo col quale<br />
lui collaborava senza avere un ruolo ben definito.<br />
In realtà Marco aveva un computer ed un mixer<br />
acquistati su istigazione del cantante del gruppo, tale<br />
Nicola detto Nico un compendio vivente di stronzaggine<br />
autoesaltativa.<br />
“Anche io mi occupo di musica, o meglio, di<br />
management di gruppi”, bluffò Domenico. Marco gli<br />
credette subito e lo guardò con speranzosa ammirazione,<br />
Domenicò recepì quello sguardo come una proposta<br />
d’investitura manageriale e fu la sua fine.<br />
31
CAP. VII<br />
Onlus<br />
“Oggi ci occupiamo degli Zoso, la storica tribute band<br />
genovese che prende il suo nome dal celeberrimo<br />
simbolo…”, così iniziava la recensione che Giacomo<br />
stava redigendo alle 13,45 sul computer di Sergio, il<br />
quale, immobile alle sue spalle, attendeva nervoso la<br />
cazziata della mamma, che, dato l’orario, si profilava<br />
come inevitabile.<br />
La porta dell’improvvisata redazione giornalistica si<br />
spalancò: “È pronto, io mi sto mettendo a tavola!” esordì<br />
la madre in tono polemico.<br />
“Signora buongiorno”, rispose Giacomo senza staccare<br />
gli occhi dal monitor e senza dare il minimo segno di<br />
aver recepito l’atmosfera.<br />
Così come Devil era senza paura, Giacomo era senza<br />
vergogna.<br />
Continuò indisturbato a redarre la sua recensione in un<br />
clima che per chiunque altro sarebbe risultato<br />
insopportabile.<br />
Ogni mese Giacomo inviava delle recensioni alle e-mail<br />
della redazioni di riviste come Buscadero o Mucchio<br />
Selvaggio.<br />
Si trattava ovviamente di iniziative unilaterali che non<br />
avevano mai trovato alcun cenno di riscontro da parte dei<br />
destinatari, ma Giacomo millantava conoscenze ed<br />
entrature nelle loro redazioni e chiamava per nome<br />
direttori e collaboratori principali.<br />
Giacomo era il tipo che vagava nelle librerie per vedere<br />
se avessero pubblicato qualcosa di suo anche se non<br />
aveva mai sottoscritto alcun contratto editoriale, né<br />
ricevuto proposte in tal senso.<br />
Le commesse di Feltrinelli e Mondatori lo conoscevano e<br />
lo odiavano, erano sicure che a volte rubasse qualcosa ed<br />
aspettavano l’occasione buona per incastrarlo.<br />
A volte lo seguivano sperando di innervosirlo ed indurlo<br />
ad andarsene ma Giacomo capovolgeva la situazione ed<br />
interpretava quei pedinamenti come delle avances<br />
galanti, infatti dopo qualche minuto erano le commesse a<br />
battere in ritirata incalzate viscidamente da quel quasi<br />
50enne pessimo esempio di umanità.<br />
Giacomo terminò di scrivere la sua recensione alle 14.35.<br />
32
Alle 14.15 Sergio si era seduto a tavola con la madre ed<br />
aveva iniziato a pranzare.<br />
Giacomo si presentò in cucina mentre madre e figlio<br />
erano intenti a dividersi delle cotolette di pollo: “che si<br />
mangia di buono?’” disse sfregandosi le mani con un<br />
invadente atteggiamento confidenziale, Sergio gli<br />
preparò un mezzo panino con una mezza cotoletta di<br />
pollo sotto lo sguardo allibito di sua madre.<br />
Per disinnescare la genitrice che stava lì lì per esplodere<br />
Sergio annunziò di avere un appuntamento alle 16 per<br />
“una cosa di lavoro”.<br />
“Signò e che lavoratore che è vostro figlio! Sempre a<br />
pensare al lavoro eh?” esclamò Giacomo ironico<br />
cercando la complicità della madre di Sergio.<br />
“Faresti bene a pensarci pure tu, che con l’età che tieni<br />
dovresti stare quasi in pensione”, rispose stizzita la<br />
signora.<br />
Sergio si surgelò per l’imbarazzo attendendo la reazione<br />
ancora più stizzita di Giacomo,il quale, invece, giammai<br />
sarebbe entrato in polemica con coloro ai quali aveva da<br />
poter scroccare . Il pezzentone sorrise, si strofinò di<br />
nuovo le mani e rivolto alla signora che lo aveva appena<br />
offeso le chiese sorridendo: “un bel caffettuccio e vi<br />
tolgo il disturbo?”<br />
33
CAP. VIII<br />
Le regole dell’attrazione<br />
Lo squillo aspro della suoneria monofonica del cellulare<br />
squartò il silenzio casalingo della notte.<br />
Claudio rispose stravolto dal sonno: “Phronth?”,<br />
“Claudiè, ti ho disturbato? Sono io, Franco, che stavi<br />
facendo, ho interrotto qualcosa…eh? Eh? E che ci<br />
tieni!”<br />
Franco aveva preparato questa telefonata con una<br />
perfidia diabolica, aveva atteso che Claudio dormisse<br />
profondamente per obbligarlo al resoconto di una<br />
sconfitta in un momento in cui era più vulnerabile del<br />
solito.<br />
“Uè Franco, no sto dormendo veramen..”,<br />
“se, se, dormendo…”, lo incalzò la serpe, “e con chi?<br />
Eh..ehe..ehe”, per un momento Claudio pensò di avere un<br />
incubo, perché sentì la risata di Franco sdoppiarsi e<br />
materializzarsi alle sue spalle, si girò d’istinto e per poco<br />
non svenne per lo spavento.<br />
Di fianco al suo letto si stagliava zio Titino che<br />
ridacchiava all’unisono con Franco.<br />
Claudio lo riconobbe nella penombra, sembrava una<br />
creatura di un quadro di Fussli. Quella vecchia poiana<br />
aveva sentito il trillo di un cellulare e si era avventato<br />
dal suo letto alla sorgente sonora con la velocità di un<br />
rapace notturno.<br />
“Tu sei un fetentone”, sussurrò all’indirizzo di Claudio,<br />
stretto oramai tra due fuochi.<br />
La mattina dopo zio Titino gli intossicò la colazione<br />
raccontando a tutta la famiglia le prodezze inesistenti di<br />
“Claudio Don Giovanni Casanuova” importunato in<br />
piena notte dalle sue spasimanti.<br />
Claudio scese per strada senza avere una meta, non tornò<br />
a pranzo, mangiò in un Mc Donald, poi passeggiò fino al<br />
tramonto.<br />
Era una bellissima giornata di fine estate, il mare era così<br />
bello da sembrare importato, il cielo aveva dei colori con<br />
delle sfumature incredibili, c’era nell’aria un odore di<br />
spiagge pulite, l’aria era fresca e leggera e lui era solo<br />
come un cane.<br />
Emanuela era andata per sempre, ancora prima di<br />
iniziare.<br />
34
Certo non c’era da rimpiangerla, era una venditrice di<br />
bidoni ma era comunque la cosa più interessante che gli<br />
fosse capitata negli ultimi 9 mesi, o forse 10, o forse 12.<br />
Il guaio era che dopo di lei sarebbe trascorsa un’altra<br />
infinità di tempo prima del prossimo nulla di fatto.<br />
Per il momento aveva solo due certezze: l’autunno<br />
incombente e zio Titino, tanto valeva arrendersi subito e<br />
si avviò verso casa.<br />
Il destino odia darci delle certezze, così ,solo quando<br />
siamo intimamente convinti di come andranno le cose<br />
esso si diverte a sorprenderci, a volte anche<br />
positivamente, riservandosi in seguito di farcela pagare.<br />
E fu proprio una sorpresa quella che colse il<br />
rassegnatissimo Claudio non appena che ebbe varcata la<br />
soglia di casa.<br />
“Eccolo qua a Claudietto, meno male che sei arrivato,<br />
vedi che bella ragazza che ti stava aspettando!”.<br />
Claudio era senza parole, per la seconda volta nell’arco<br />
di 24 ore zio Titino gli aveva arruffianato una ragazza.<br />
Si trattava di tale MariaGrazia, detta Grazia, detta<br />
Graziella da zio Titino.<br />
Effettivamente a prima vista Graziella poteva dare<br />
un’idea di bellezza, aveva gli occhi a mandorla e le<br />
labbra grandi, l’unico problema però è che aveva un viso<br />
leggermente asimmetrico quindi talvolta, per strani<br />
giochi prospettici, assumeva dei tratti somatici cangianti<br />
che variavano da una Scarlet Johanson dei poveri ad una<br />
creatura da incubo degna di un videogioco horror.<br />
Claudio vide il lato Scarlet Johanson e se ne<br />
innamoracchiò quasi subito.<br />
“Anche tu vendi corsi o che cosa”, le chiese subito per<br />
rompere il ghiaccio e scovare l’eventuale fregatura che si<br />
celava sotto la crosta. “Che cosa?” fece lei,<br />
“niente,niente”, intervenne zio Titino, “Claudio, questa è<br />
una brava ragazza, figlia di una mia carissima amica e<br />
tiene bisogno di un amico, un amico vero, che la vuole<br />
bene veramente, un bravo ragazzo come a te”.<br />
Scarlett Johanson abbasso gli occhi e lo guardò un po'<br />
imbarazzata annuendo impercettibilmente come per dire<br />
“si, è così, è vero, ho bisogno di qualcuno che mi voglia<br />
bene davvero”.<br />
Ci fu qualcosa di percettibile di molto romantico e molto<br />
tenero nell’aria, era quasi palpabile, come una<br />
comunione di anime che si sono cercate a lungo ed infine<br />
si incontrano.<br />
35
Claudio la guardò di nuovo, “forse quest’anno si chiava”<br />
pensò e le sorrise.<br />
In realtà Graziella era un caso senza speranza.<br />
Aveva avuto tutte le malattie pscicofisiche che possono<br />
attecchire su una zitella occidentale di 28 anni. Era stata<br />
anoressica, bulimica, aveva tentato il suicidio,<br />
l’omicidio, si era drogata, intossicata, alcolizzata, era<br />
stata in una setta satanica, in un tempio buddista, coi<br />
neonazisti, si era tatuata, aveva fatto lo scambio di<br />
coppie, orgia due uomini e una donna, due donne e un<br />
uomo, tre donne senza uomini, aveva abortito, era<br />
scappata di casa con uno sposato, aveva fatto l’attrice di<br />
teatro, si era iscritta in palestra, si era presentata al<br />
comune con una lista civica ed era in cura da tre medici:<br />
uno con laurea e altri due con diplomi di specializzazione<br />
rispettivamente in bioenergia ed in terapia del corpo<br />
astrale.<br />
I genitori l’avevano portata anche da un esorcista con<br />
delega papale ma la figlia era rimasta più stronza di<br />
prima.<br />
A questo punto la madre e il padre disperati la andavano<br />
piazzando un po’ in giro a chiunque capitava pensando<br />
che, a quel punto, qualunque carta potesse essere quella<br />
buona.<br />
Trascorsero una mezz’ora in camera di Claudio.<br />
Lui le mostrò tutti i libri che non aveva mai letto<br />
commentandoglieli ad intuito poi passarono ad esaminare<br />
la sua collezione di cd masterizzati.<br />
Graziella cominciava ad annoiarsi.<br />
Per recuperare la situazione Claudio propose di scendere<br />
a fare quattro passi, “si, ma a piedi”, propose lei, Claudio<br />
accettò volentieri.<br />
Franco lo incrociarono dopo circa 800 metri.<br />
Si aggirava come uno di quei cani che brancolano i<br />
cassonetti dell’immondizia. Li bloccò subito: “uè<br />
Claudiè ti devo parlare, scusaci un momento” disse<br />
rivolgendosi a Graziella senza nemmeno presentarsi.<br />
Era una sua tattica istintiva e collaudata, quando<br />
incontrava uno con una ragazza (magari nuova) usava<br />
questo espediente e lo trascinava sottobraccio iniziando<br />
un discorso fitto e inconsistente. A volte poteva accadere<br />
che la ragazza si spazientisse e se ne andasse, in qual<br />
caso la missione poteva dirsi compiuta con successo.<br />
Claudio si divincolò infastidito, Franco capì che doveva<br />
cambiare tattica, si voltò verso un chiosco e cominciò a<br />
36
chiamare degli amici, “oh avete visto chi ci sta?,<br />
Claudietto!”.<br />
Non appena ebbero intravisto una sagoma femminile,<br />
“gli amici” cominciarono ad avvicinarsi lentamente ma<br />
inesorabilmente come gli zombi del film di Romero.<br />
Fecero subito capannello intorno a Claudio e Graziella la<br />
quale, nel frattempo, aveva iniziato una conversazione<br />
fitta fitta addirittura con Franco.<br />
Claudio cercò di riprendere le redini della situazione ma<br />
era circondato dagli amici zombi i quali fingevano di<br />
interessarsi a lui incalzandolo con domande inutili.<br />
Il capannello non sembrava scemare.<br />
Graziella si voltò un attimo verso di lui e gli disse:”è<br />
simpatico Franco, eh?” .<br />
Claudio comincio ad avvertire uno strano stato di<br />
dissociazione che durò una quantità di minuti<br />
imprecisati. Gli sembrava di galleggiare in un acquario di<br />
irrealtà.<br />
All’improvviso vide Graziella-Scarlet-Johanson prendere<br />
Franco sotto braccio ed avviarsi verso i giardinetti, “noi<br />
ci andiamo a fare un giro ragazzi” fece lei dandogli un<br />
occhiata di sfuggita, Claudio si sentì avvampare di<br />
un’umiliante gelosia soprattutto perchè causata da un<br />
uomo che aveva il sex appeal di un malato di lebbra.<br />
Cominciarono ad alterarglisi le percezioni come quando<br />
aveva la febbre oltre i 38.<br />
I suoni diventavano ora attutiti ora incredibilmente<br />
limpidi, le voci sembravano provenirgli dal retro di un<br />
impianto stereo molto distante e su tutta la realtà visibile<br />
Dio aveva applicato un immenso filtro cromatico simile a<br />
quelli che utilizzano i fotografi quando vogliono ottenere<br />
un effetto psichedelico.<br />
Cominciò a vagare seguito da un codazzo di zombi.<br />
sembravano il serpente umano del capodanno cinese.<br />
Improvvisamente il serpente si arrestò e tutti gli zombi<br />
ammutolirono: di fronte a loro Franco e Graziella-<br />
Scarlet-Johanson si stavano sbaciucchiando.<br />
37
CAP. VIII<br />
Demoni<br />
“MA ALLORA SEI STRONZO!!!!”, colei che aveva<br />
appena proferito questa offesa gratuita ed immotivata<br />
all’indirizzo di un incolpevole laureato in informatica col<br />
massimo dei voti (e che aveva quasi il doppio dei suoi<br />
anni) era tale Attilia.<br />
Attilia, alias Taty, (alias Attila secondo il nonno, l’unico<br />
che ci aveva preso in pieno) non aveva nemmeno 20<br />
anni.<br />
Non era viziata, era oltre: era posseduta.<br />
Ore ed ore di spot, televisione, film, GigaByte di<br />
informazioni, trailer, marche, marchi, manga, suonerie,<br />
immagini, dvd, loghi, chat, sms, mms e di un numero<br />
indefinibile di dati immateriale che correvano e<br />
rimbalzavano da un angolo all’altro del globo alla<br />
velocità della luce lungo le nuove rotte tracciate dal<br />
consumo totale e globale, si erano materializzate<br />
incarnandosi ed impossessandosi di queste giovani<br />
vestali contemporanee.<br />
Taty, e altre come lei, erano le incarnazioni viventi dei<br />
nuovi demoni. Demoni che avevano scalzato i vecchi<br />
Pazuzu e Belial rendendoli inattuali, demoni dai nomi<br />
bisillabi che non li nascondevano in oscuri grimori ma<br />
che li dichiaravano apertamente sostituendoli a quelli<br />
dati loro dalle proprie madri, demoni inesorcizzabili<br />
perche’ nessuno ne aveva intuito l’esistenza.<br />
Questi nuovi demoni, infatti, non vomitavano bava<br />
verde o chiodi, al massimo vomitavano cheesburgers o<br />
long drinks, non parlavano sanscrito ma curiosi gerghi<br />
sgrammaticati che variavano da un anno all’altro, e non<br />
avevano bisogno di forze sovrannaturali per spostare,<br />
spaccare o distruggere oggetti grossi e pesanti, bastava la<br />
normale forza di una biondina tinta di 45 chili<br />
neopatentata per sfracellare un’Audi 6 nuova in mille<br />
pezzi.<br />
Erano demoni irrequieti, infondati ed insensati che nella<br />
logica infondata ed insensata del consumismo<br />
occidentale si mimetizzavano alla perfezione.<br />
38
Non avrebbero ispirato alcun film horror, la realtà era il<br />
loro palcoscenico d’orrore ed i genitori erano i loro<br />
spettatori impotenti e terrorizzati.<br />
Il padre di Taty era un pezzo medio nella politica e<br />
nell’università’ locale, considerato uno stimato<br />
intellettuale progressista, da giovane era stato un leader<br />
del movimento studentesco.<br />
Aveva sposato una brillante e capace dottoressa, primaria<br />
ospedaliera, ed aveva avuto quest’unica figlia inviatagli<br />
dalle tenebre forse per compensare, con un po’ di<br />
sciagura, una vita lastricata di successi.<br />
Taty era stata fatta “diplomare” dal padre ricorrendo a<br />
mezzi così biechi da far vergognare persino un politico<br />
navigato come lui, dopodichè la piccina era stata iscritta<br />
ad una facoltà della quale, dopo quasi due anni, l’unica<br />
cosa che conosceva e frequentava era il bar: punto di<br />
raccordo e base organizzativa per gli altri demoni suoi<br />
consimili.<br />
Il padre faceva salti mortali per convincerla almeno a<br />
salvare le apparenze e a presentarsi fisicamente agli<br />
appelli degli esami, ma era del tutto inutile.<br />
Taty non disubbidiva nemmeno, semplicemente non lo<br />
degnava della benché minima considerazione.<br />
In uno sconsiderato eccesso di fiducia il padre le aveva<br />
affidato la direzione di un portale su Internet finanziato<br />
dall’ateneo cittadino con una somma spropositata.<br />
Taty aveva accettato l’incarico con la sobrietà mentale di<br />
Ludovico II di Baviera ed aveva preteso un ufficio in<br />
pieno centro con vista sulle boutique.<br />
Era un ufficio di sette stanze + servizi arredato Ikea con<br />
dei computer inutilmente potenti e ancora più inutilmente<br />
iperaccessoriati.<br />
La gestione e la realizzazione del portale Internet erano<br />
stati affidati ad una società esterna che agiva per i cazzi<br />
suoi e che stava facendo un lavoro discreto finché Taty,<br />
con un democratico spirito organizzativo degno di<br />
Caligola, si era messa di mezzo e aveva decretato che il<br />
portale informativo che stavano realizzando era: ”o’<br />
cess!” e che non si capiva “popo niente!”<br />
Taty era alta più o meno quanto paperino, bionda tinta,<br />
sguardo da cartone animato, era perennemente preda di<br />
desideri tanto infantili quanto compulsivi che le<br />
scatenavano degli sbalzi d’umore incontrollabili.<br />
Aveva l’intelligenza di un bambino di 6 anni e si<br />
percepiva come una sorta di fatina dolce, sensibile e<br />
39
sbarazzina, una di quelle che popolano i manga<br />
giapponesi.<br />
Essendo irrimediabilmente tarata su un senso estetico di<br />
tipo consumistico/puerile aveva preteso che grafica e<br />
contenuti del portale informatico venissero rimodellati<br />
sui canoni di Hello Kitty e di altre cagate per minorati a<br />
base di cuoricini, stelline e icone animate lampeggianti<br />
coi nomi delle sue più care amiche.<br />
Nel giro di qualche settimana aveva ridotto il portale<br />
internet ad un insensatezza semantica con blog e foto di<br />
cuccioli e bellimbusti sparse un po’ dappertutto.<br />
Sergio fu assunto, senza colloquio, nell’agenzia di Taty<br />
in un momento di basso impero.<br />
Taty aveva riempito l’ufficio di amiche e amici con<br />
licenza perenne di cazzeggio.<br />
Il padre, preoccupato di uno scandalo imminente, aveva<br />
cercato di salvare le apparenze assumendo un impiegato<br />
di paglia pescato dalle liste di collocamento<br />
dell’Informagiovani.<br />
Sergio era stato assunto perché aveva consegnato un<br />
curriculum nel quale dichiarava di essere un esperto di<br />
reti informatiche, firewalls, protocolli di trasmissione,<br />
sicurezza, tcp/ip e di qualsiasi cazzo di cosa fossero o<br />
significassero quelle cose lì.<br />
Giunse nell’ufficio in un clima surreale, non lo accolse<br />
nessuno.<br />
La porta era socchiusa, c’era un silenzio rotto solo dal<br />
ticchettare dei tasti in ogni stanza.<br />
I demoni erano impegnati a chattare con degli adepti e<br />
non lo degnarono di uno sguardo.<br />
Le luci erano basse e soffuse, c’erano carte gettate per<br />
terra, miste a custodie spaccate di dvd, miste a scatoline<br />
di polistirolo vuote della McDonald.<br />
Taty capo demone era a bocca semispalancata di fronte<br />
ad un Lcd gigante, ipnotizzata dal secondo quadro di un<br />
gioco ebete. Stava cercando di far completare ad una<br />
sorta di gattino antropomorfo un percorso a ostacoli in<br />
una specie di paesaggio demenziale color rosa-fucsia.<br />
Una serie di melodiche nenie e cicalini elettronici<br />
provenienti da ogni stanza si intrecciavano nell’aria<br />
generando un contrappunto sconclusionato.<br />
L’ufficio sembrava una sorta di trasposizione<br />
adolescenziale del villaggio di Kurz nella jungla di<br />
Apocalypse now.<br />
I demoni tiravano avanti in questo stato fino alle prime<br />
tenebre, poi capitava che qualcuna di loro gettasse un<br />
40
occhiata fuori dalla finestra ed urlasse come un allarme<br />
stridulo, qualcosa del tipo tipo: ”TATY CORRI<br />
C’E’MIRKO!” e in un attimo il branco di demoni<br />
abbandonava tutto e, come uno stormo di pipistrelle,<br />
calava sulle vie del centro.<br />
I demoni vivevano per soddisfare degli entusiasmi<br />
compulsivi e, ad ogni nuova compulsione,<br />
abbandonavano la precedente al proprio destino.<br />
L’ultima in ordine temporale rispondeva al nome di<br />
Mirko, un deficiente lampadato rampollo di una stirpe di<br />
grossisti, molto conteso dalle varie Taty della città.<br />
In suo onore erano stati sfregiati, con gigantesche scritte<br />
spray, le mura di vari edifici cittadini, alcuni anche di<br />
importanza storica.<br />
Le scritte, pur essendo opera di mani diverse, erano tutte<br />
penosamente simili: MIRKO IO E TE TRE METRI<br />
SOPRA IL CIELO!!!<br />
I demoni infatti mancavano completamente di fantasia e<br />
anche quella frase beota, che per loro rappresentava la<br />
più grande realizzazione poetica dell’umanità’, era stata<br />
coniata da un tizio, semi calvo, più anziano dei loro<br />
genitori.<br />
Ovviamente i demoni non si sporcavano le mani con lo<br />
spray ma si limitavano a dirigere i lavori.<br />
Il lavoro sporco, e penalmente rilevante, veniva compiuto<br />
da dei disgraziati tuttofare, segretamente innamorati di<br />
loro ma fisicamente o caratterialmente sfigati.<br />
I demoni, anziché farli a pezzi, li impiegavano a guisa di<br />
schiavi nubiani affidandogli gli incarichi più noiosi,<br />
faticosi o umilianti.<br />
I “nubiani” potevano essere svegliati a qualunque ora<br />
della notte e dovevano rendersi immediatamente<br />
disponibili per compiti quali: accompagnare, venire a<br />
prendere, portare e aspettare, aspettare, portare senza<br />
aspettare, portare e forse aspettare, forse aspettare,<br />
scrivere con lo spray, bucare ruote, prestare soldi,<br />
invitare, pagare, procurare biglietti, fare la fila, fare<br />
riassunti, portare ambasciate, farsi picchiare, picchiare (o<br />
almeno cercare di), provocare, farsi provocare,<br />
organizzare, presentare, installare, aggiustare, imparare,<br />
imparare e spiegare, imparare e spiegare a uno che<br />
doveva spiegare, spiegare senza annoiare, portare a<br />
pisciare cani, rianimare criceti, fare da cavie per cibi,<br />
droghe, piercing, tatuaggi, masterizzare…insomma tutto<br />
tranne che chiavare.<br />
41
Nei primi giorni Sergio si aggirava nell’ufficio vuoto con<br />
timida circospezione poi, via, via questo sentimento fu<br />
rimpiazzato dalla strafottenza più totale.<br />
Si impadronì di una postazione e passava delle ore a<br />
navigare in internet, a scaricare musica o a stampare ebook<br />
sugli argomenti più bizzarri.<br />
Ogni tanto qualcuna delle fedelissime di Taty lo<br />
interpellava per i motivi più disparati.<br />
Alcune erano sull’orlo delle lacrime se gli si bloccava il<br />
giochino o se non riuscivano a visualizzare un allegato<br />
sull’e-mail, Sergio si era guadagnato il loro rispetto<br />
risolvendo più di una volta dei problemi di una banalità<br />
elementare, cosi ora i demoni lo consideravano una sorta<br />
di genio informatico, “un super scienziato” come lo<br />
aveva definito una tale MuMy, ( Dio solo sa quale fosse<br />
il suo nome di battesimo originario).<br />
L’ufficio odorava di dolciastro dovuto ad una mistura di<br />
profumini, sigarette e sudore di ragazzine.<br />
Se non fosse stato per il fumo sarebbe stato un odore<br />
identico a quello degli asili .<br />
La donna delle pulizie era solita raccattare cornicioni di<br />
pizza o caramelle gommose nei posti più impensati, a<br />
volte doveva tamponare delle macchie immense frutto di<br />
qualche frappé rovesciato per intero o di qualche yogurt<br />
dietetico al lampone spiaccicato su una parete come un<br />
quadro di Pollock.<br />
Tutto sommato sia a lei che a Sergio gli era andata bene,<br />
il loro datore di lavoro non aveva mai alcuna rimostranza<br />
da fare.<br />
Spesso Sergio non si presentava nemmeno o<br />
abbandonava l’ufficio e scendeva giù ai tavolini del<br />
sottostante bar.<br />
Col passare dei giorni le ragazze si facevano vedere<br />
sempre più di rado.<br />
Ogni tanto comparivano per battere una tesina a qualche<br />
Saby o Pupy che doveva essere interrogata.<br />
Anche la mania dei blog le aveva stufate e, dopo averne<br />
aperti una ventina, li avevano abbandonati tutti al loro<br />
destino virtuale: invecchiare intatti, senza un filo di<br />
polvere.<br />
42
CAP IX<br />
Sfitness<br />
La nuova vecchiaia non era fatta di rughe, di crepe o di<br />
polvere, la nuova vera vecchiaia era l’inattualità’.<br />
La vecchiaia classica era un canone estetico non più<br />
ammesso ne’ tollerato.<br />
Oggi potevi crepare di infarto senza avere un filo di<br />
grasso superfluo o spaccarti le anche osteoporotiche<br />
mentre facevi snowboard.<br />
Insomma si moriva anche a 60 anni ma si moriva in<br />
perfetta forma.<br />
Nonostante ciò Domenico guardava con preoccupazione<br />
quel gruppo di befane over 50 esagitarsi al ritmo di una<br />
musica che marciava sui 160 battiti al minuto.<br />
Si trattava dell’inaugurazione dell’ennesimo fallimento<br />
annunciato, uno di quelle iniziative imprenditoriali sulle<br />
quali uno avrebbe dovuto apporre una targhetta adesiva<br />
raffigurante delle banconote di grosso taglio con la<br />
scritta: noi non possiamo entrare!<br />
A differenza dell’ufficio di Taty, che era uno sperpero<br />
finanziato dalla comunità, questo era uno sperpero di<br />
denaro privato. Domenico, che dalla sera a casa di<br />
Marisa aveva indossato la personalità del manager di<br />
gruppi, era stato invitato a partecipare con il gruppo<br />
(l’unico), di cui curava il managment.<br />
L’ingaggio per la serata era avvenuto fortuitamente<br />
tramite un amico di una befana che aveva bisogno di<br />
“una situazione live da abbinare ad un resident dj per<br />
l’inaugurazione di una…diciamo agenzia di eventi cioè<br />
un office in progress, una situazione creativa di<br />
installazioni e percorsi artistici che però funge anche<br />
da promotore di contenuti per strategie di<br />
comunicazione e di mercato”.<br />
Domenico aveva mentalmente tradotto il tutto in termini<br />
comprensibili: si trattava di andare a suonare in un<br />
ufficio di fancazzisti che da lì a 6 mesi avrebbe chiuso e<br />
che comunque non gli avrebbero dato una lira.<br />
Accettò subito.<br />
L’agenzia, o qualunque cosa fosse, era un ex garage<br />
ristrutturato male da un architetto amico fraterno della<br />
befana che, come ogni amico fraterno, aveva preteso di<br />
essere pagato sull’unghia e, ovviamente, le aveva fatto un<br />
insindacabile lavoro da cani.<br />
43
C’era un umidità da galera veneziana e le stampe sui<br />
muri, opere in serie di illustri esponenti dell’arte<br />
contemporanea rionale, presto si sarebbero riempite di<br />
bozzi come dolci lievitati.<br />
L’ingresso era una porta a vetro serigrafata con logo della<br />
ditta, opera di un altro genio/amico fraterno, con doghe<br />
nere in metallo che ne delimitavano i bordi.<br />
Luci e suppellettili degli interni portavano la firma, anzi<br />
la zampa, di un ricchione che, come lui stesso amava<br />
millantare, “lavorava soprattutto a New York”.<br />
Non si vedeva un cazzo ed i mobili erano quasi<br />
volutamente inutilizzabili.<br />
Nel mezzo della sala campeggiava una pedana rialzata<br />
delimitata da luci tubolari che ingabbiavano una<br />
scrivania di plastica trasparente , al centro della quale si<br />
ergeva un Machintosh trasparente molto suggestivo (e<br />
fuori commercio da circa due anni).<br />
Seguiva quindi un angolo bancone a forma di serpe sul<br />
quale erano sistemati depliant, riviste di arte, riviste di<br />
cultura underground (che costavano il doppio di Capital)<br />
e un Photo-Book sulla cultura dell’estremo tipo tatuaggi<br />
sulle palle etc… Insomma la befana si era quasi ritagliata<br />
un angolo di Berlino nella sua città.<br />
Peccato però per quella pescheria giusto di fronte di<br />
fronte e per quel magazzino del fruttivendolo giusto<br />
affianco...<br />
“Che genere fate?”, chiese una cara amica della befana<br />
rivolta a Domenico, questi ebbe un attimo di<br />
smarrimento dovuto non tanto alla domanda ma<br />
all’aspetto della tipa in questione. Era vestita come Cat<br />
Woman ma con la faccia di Bette Davis in “Ballata<br />
macabra”, aveva il pancino di fuori come una sedicenne<br />
solo che il suo era secco e rugoso come la mummia di<br />
Similaun.<br />
Domenico stava per darle del voi ma si contenne:<br />
”mmma… diciamo che non sapremmo definirlo, perché<br />
diciamo che in effetti siamo unici, qualcuno ci paragona<br />
ai Radiohead, ma il nostro discorso e’ molto più ampio”.<br />
La vecchia annuì e rilanciò: “ho l’ultimo dei Radiohead,<br />
non male…non male”.<br />
Era un discorso tra idioti fatto non di risposte ma di<br />
rimandi.<br />
La porta a vetri serigrafati, si aprì, con un leggero striscìo<br />
(era leggermente fuori squadra) e fece il suo ingresso<br />
Nicola detto Nico.<br />
Domenico tirò un sospiro di sollievo.<br />
44
Nico era il cantante leader del gruppo il cui nome non era<br />
ancora definito, stavano sfogliando ancora i vocabolari di<br />
greco in cerca di qualcosa che fosse abbastanza<br />
incomprensibile.<br />
La biondastra che lo seguiva a ruota era la sua ragazza.<br />
Era la figlia unica di un avvocato in pensione (al quale<br />
aveva causato già un paio di infarti) aveva la fama di<br />
essere una piena di soldi, in realtà era una ceto medio in<br />
via di decadenza, con una casa in città e un rudere al<br />
paese.<br />
Nico la spacciava come un’esponente di antiche<br />
aristocrazie terriere discendente da principi-alchimisti e<br />
dotata di poteri paranormali.<br />
La principessa in questione si chiamava Ernestina, come<br />
la nonna, e l’unico potere paranormale di cui era dotata<br />
consisteva nel riuscire a passare da una calma catatonica<br />
a degli scatti d’ira imbarazzanti causati quasi sempre<br />
dalla gelosia morbosa che nutriva nei riguardi di Nico,<br />
percepito da lei come un incrocio tra Matt Dillon e<br />
Benicio del Toro, ma che agli occhi di chiunque altro<br />
sarebbe apparso come Mino Reitano truccato da dark.<br />
Nico era uno scontemporaneo, uno di quelli in ritardo coi<br />
trend internazionali di circa dieci anni.<br />
In realtà Nico, che si definiva “prigioniero di un<br />
provincialismo soffocante in una nazione di merda”, era<br />
italiano fin dentro al midollo.<br />
Come tutti gli italiani d.o.c. temeva più di ogni cosa le<br />
novità ed i cambiamenti che riusciva ad accettare solo<br />
con estrema cautela ed esasperante lentezza.<br />
Quando finalmente decideva di abbracciare qualcosa di<br />
nuovo con convinzione e farsene promotore la cosa era<br />
già bella e finita, dappertutto, tranne che nella sua<br />
cerchia.<br />
Recentemente aveva scoperto i loops di batteria ed aveva<br />
cominciato ad accarezzare l’idea di aprire un sito internet<br />
a nome del suo gruppo, anche se non aveva ancora ben<br />
chiaro come funzionasse la cosa.<br />
Questa faccenda dei loops e delle batterie campionate<br />
non era stata accettata con entusiasmo da Enzo ,il loro<br />
batterista, un energumeno che continuava a sperare di<br />
poter convertire il gruppo al genere “Pino Daniele”.<br />
Nico lo trattava con disprezzo e senza saperlo aveva<br />
innescato in quella mente semplice e violenta un<br />
meccanismo a tempo di cui prima o poi ne avrebbe<br />
subito le conseguenze. Il gruppo comprendeva anche un<br />
tizio con basco, mosca al mento e occhiali alla Spike Lee<br />
45
munito di una chitarra sette corde collegata ad una serie<br />
di pedalini infernali sui quali non aveva nessun controllo<br />
e che spesso causavano dei feedback ingestibili.<br />
Infine alle tastiere, o meglio alla tastiera, Marco, il<br />
mecenate del gruppo che non sapeva suonare<br />
assolutamente nulla che fosse preposto ad emettere note.<br />
Lo avevano piazzato vicino a una sorta di campionatore<br />
coi tasti e doveva premere un pulsante di start, poi la<br />
macchina avrebbe fatto il resto. Enzo il batterista,<br />
comprendendo di essere sempre più estromesso da quella<br />
ventata di tecnologia, aveva trattato col resto del gruppo<br />
affinché gli fosse consentito di montare almeno una<br />
coppia di rototom trasparenti giusto per non rimanere<br />
impalato a guardare gli altri che “suonavano”.<br />
“ E vabbè ”, aveva sentenziato Nico con sufficienza<br />
magnanima, “se proprio ti devi fare ‘ste masturbazioni<br />
mentali…”.<br />
Enzo non aveva decifrato l’offesa insita nel messaggio e<br />
l’aveva interpretato come un sì, ma dentro di lui un<br />
meccanismo ad orologeria continuava imperterrito il suo<br />
conto alla rovescia.<br />
Resident Dj era un ragazzo sui 25 coi tratti sudamericani,<br />
(forse era proprio sudamericano) che da circa un ora<br />
stava martellando l’aria del garage, e le coronarie delle<br />
befane, con una musica per impasticcati.<br />
Impasticcati però lì non ce n’erano<br />
Gli avventori: ricchioni, befane, sedicenti giornalisti,<br />
sedicenti attori, scrittori, poeti, pittori, webmasters,<br />
assistenti di assistenti e semplici scrocconi si erano<br />
avventati su di un misero buffet di rustici mignon,<br />
noccioline, patatini e triangolini di salumi, spazzolandolo<br />
all’osso.<br />
Avevano fatto fuori 4 litri di coca cola, 4 di aranciata,<br />
due bottiglie di minerale naturale e si erano gettati sui<br />
cartoni da 9 bottiglie ciascuno di vino bianco. Era un<br />
vino di merda da un paio di euro a bottiglia, dava subito<br />
alla testa ma non ti rendeva allegro, rimanevi lucido e<br />
intontito: l’anticamera della paranoia.<br />
Intanto, due piani più sopra, causa baccano da<br />
inaugurazione, al suocero del titolare del magazzino di<br />
frutta adiacente all’office in progress stavano già<br />
iniziando lentamente ma inesorabilmente a girare le<br />
palle.<br />
Tuttavia erano le 22,15 ed era ancora troppo presto per<br />
cominciare a sclerare.<br />
46
Le befane tracannavano vino bianco a tutto spiano e<br />
continuavano ad agitarsi come disgraziate, cominciavano<br />
a sudare e a puzzare di cosmetici marci.<br />
La principessa Ernestina le osservava disgustate,<br />
soprattutto una, un zoccolone vecchio mezza leopardata,<br />
capelli biondo ucraina, push up e collo tartarugato, la<br />
quale aveva osato chiedere al suo Nico: ”Tu sei il<br />
cantante eh? Quando suonate?”.<br />
Alle 22.30 in punto il Dj stoppò la musica, Nico si tolse<br />
lo spolverino e si avviò verso il microfono godendosi<br />
l’attenzione generale con ogni fibra del corpo.<br />
Si era vestito come Mino Reitano ad Hallowen.<br />
Afferrò il microfono appoggiato su una sedia ( l’asta non<br />
c’era doveva portarla il batterista ma si era dimenticato) e<br />
diede una specie di urlo modulato che doveva essere il<br />
segnale di Start.<br />
Purtroppo il microfono era spento e la scena si trasformò<br />
in un involontario siparietto comico, alcuni<br />
ridacchiarono.<br />
“Vai Nico”, urlò il puttanone leopardato.<br />
La principessa Ernestina cominciò a vibrare come un<br />
diapason umano.<br />
Il resto del gruppo presse posizione, Marco accese il<br />
mixer… e scoppiò l’inferno.<br />
Un fischio infernale, noto alla scienza come effetto<br />
Larsen, squarciò il garage.<br />
Tutti presenti di sesso maschile bestemmiarono i santi<br />
più disparati, le donne si limitarono a qualche “che<br />
cazzo”.<br />
Rispensero il mixer, controllarono i collegamenti,<br />
abbassarono tutti volumi degli strumenti e degli effetti,<br />
quindi riaccesero il mixer, alzarono i volumi e non si<br />
senti un emerito cazzo di niente per circa mezz’ora.<br />
Gli ospiti iniziarono a spazientirsi, alcuni cominciarono a<br />
gironzolare in cerca di residui di noccioline o rustici<br />
smozzicati.<br />
C’era anche Giacomo, che si era intrufolato<br />
accreditandosi come “giornalista del Manifesto”.<br />
Aveva una busta in mano nella quale aveva infilato un<br />
numero imprecisato di depliant e una bottiglia di vino<br />
bianco non aperta. Stava esaminando con attenzione un<br />
cd omaggio con custodia spaccata, uscito in allegato con<br />
una rivista di auto, ed era indeciso se infilarselo nella<br />
busta o meno.<br />
Alle 23.02 si udì un gorgoglio incomprensibile uscire<br />
dall’impianto, era la voce di Nico che iniziò la sua<br />
47
performance recitando una cagata scritta a 4 mani con la<br />
principessa Ernestina, e tradotta da quest’ultima in un<br />
inglese altamente improbabile.<br />
Se quel gorgoglio effettato con echi, e riverberi digitali<br />
fosse stato comprensibile il pubblico avrebbe potuto<br />
sentirlo declamare il seguente testo: “I am a computer, a<br />
computer virus, the virus that gos in your brain, virus<br />
of informatic brain”.<br />
Ernestina lo guardava ammirata ed annuiva.<br />
Quella dei virus informatici era una scoperta recente per<br />
Nico e consorte.<br />
Era un concetto che li affascinava: il virus che creato su<br />
un computer poteva infettare il cervello di un essere<br />
umano e distruggerlo! Ovviamente questo e’ quello che<br />
loro pensavano che fosse un virus informatico e quando<br />
qualcuno gli aveva fatto notare che le cose non stavano<br />
proprio così, avevano ribattuto che invece un loro amico<br />
,”un genio dei computer”, glielo aveva confermato<br />
rivelandogli che anche lui era in grado di fare una cosa<br />
del genere e che addirittura il Pentagono lo aveva<br />
contattato per creare un virus informatico per uccidere i<br />
membri di Al Qaeda via computer: ma lui si era rifiutato!<br />
Nico e consorte raccontavano queste cose con un tono da<br />
spie braccate, dando lunghe tirate alle sigarette.<br />
Non si capì bene se il primo interminabile pezzo era<br />
finito ed era iniziato il secondo o se si trattava ancora del<br />
primo pezzo perché, sin dall’inizio della performance,<br />
Enzo, il batterista, aveva attaccato un assolo di rototom<br />
alla Tullio De Piscopo e stava seguendo un sua jam<br />
session immaginaria incurante della realtà circostante.<br />
Nico lo guardò con disgusto e attaccò quello che avrebbe<br />
dovuto essere il testo del secondo pezzo. Purtroppo il<br />
chitarrista ebbe una crisi di protagonismo e, cercando di<br />
strafare, cominciò a smanettare i potenziometri del delay<br />
senza alcun criterio innescando un effetto di feedback<br />
che in pochi secondi sovrastò tutto e tutti.<br />
Marco andò nel panico e, per la seconda volta nella<br />
serata, fu costretto a spegnere bruscamente il mixer.<br />
Le casse scopparono come un pop corn gigante e calò un<br />
silenzio immediato ed irreale.<br />
Era quasi mezzanotte e dal balcone di due piani più sopra<br />
si cominciavano ad udire le urla bestemmiate del suocero<br />
del fruttivendolo il quale, in fatto di musica, doveva<br />
avere gusti molto distanti dal teknopunk amatoriale.<br />
“Bravo Nico!”, urlò il puttanone leopardato sempre più<br />
avvinazzata” nel silenzio generale.<br />
48
“E MO’ M’ STAI SCASSANN’ O’ CAZZ!”: la<br />
principessa Ernestina aveva esaurito la sua dose di<br />
diplomazia.<br />
Cercò di avventarsi sul puttanone biondo, Nico la placcò<br />
al volo.<br />
Furono 5 minuti molto brutti ed imbarazzanti nei quali la<br />
principessa diede fondo ad un repertorio dialettale<br />
insospettabile per una nobildonna del suo rango.<br />
Il DJ ne approfittò per staccare i cavi agli strumenti del<br />
gruppo e riattaccare i suoi, in pochi secondi il garage fu<br />
nuovamente inondato da un ritmo infernale.<br />
Il suocero del fruttivendolo, che aveva interpretato quel<br />
silenzio momentaneo come una resa, alla ripresa del<br />
frastuono compose il numero dei vigili ed andò a<br />
svegliare il figlio, una specie di pitecantropo che dormiva<br />
in un ripostiglio adattato a camera da letto.<br />
Le befane ripresero a bere e danzare, una di loro, tale<br />
Tina, sui 54 anni, barcollò, sbiancò, sbandò e rovinò su<br />
un tavolino di plastica, frocissimo, a forma di luna.<br />
Il DJ fu costretto di nuovo a fermare la musica.<br />
Si fece un capannello di gente intorno alla vecchia<br />
sbronza e cominciò un consulto medico collettivo basato<br />
su conoscenze di medicina amatoriali.<br />
Chiamare l’ambulanza sembrava esagerato così<br />
telefonarono al figlio dicendogli di venirsela a<br />
recuperare. Molti ospiti cominciarono a sfollare, Enzo il<br />
batterista cominciò a smontare i rototom per caricarli in<br />
macchina. Uscì fuori dal garage reggendo l’asta di<br />
supporto in una mano e il set di rototom nell’altra, vide<br />
un paio di persone allontanarsi di scatto da lui mentre<br />
uno gli urlò qualcosa tipo: ”attent’..” e poi fu inondato da<br />
5 litri di acqua sporca.<br />
Bagnare i rototom a Enzo era, dopo fottergli la ragazza,<br />
la cosa peggiore che uno potesse fargli in questa vita e su<br />
questo pianeta.<br />
Enzo sollevò la testa e vide un vecchio al secondo piano<br />
bestemmiargli contro mentre riponeva un secchio vuoto,<br />
coadiuvato dal figlio in pigiama e ancora mezzo<br />
rincoglionito dal sonno. Stranamente Enzo sembrò non<br />
reagire, si diresse alla macchina e cominciò ad asciugare<br />
i rototom con meticolosità.<br />
Nel frattempo giunse una Smart che inchiodò i freni<br />
davanti all’ingresso del locale. Ne scese un tizio sui 20<br />
anni, fisico da calciatore, cervello da calciatore, capelli<br />
cortissimi, lampadatissimo, maglietta rosa aderente con<br />
49
collo a V, catenazzone al collo, parasole, occhiali a<br />
mascherone, jeans e stivali.<br />
Entrò nell’”office in progress” bestemmiando e<br />
travolgendo tutte le suppellettili che incrociava.<br />
Le checche presenti ebbero un fremito, alcune se ne<br />
innamorarono al volo. Era venuto a recuperare la mamma<br />
ubriaca che lo aveva costretto ad abbandonare<br />
momentaneamente la sua bella, tale Noemi, lasciata<br />
incustodita su uno sgabello della rosticceria “il<br />
Pellicano”.<br />
Si caricò la mamma in macchina come un cervo morto e<br />
partì sgommando tra la delusione delle vecchie e dei<br />
froci che vedevano sfuggirsi l’unico vero uomo della<br />
serata.<br />
L’altro vero uomo, o meglio ominide, della serata<br />
sistemò i rototom con cura nel bagagliaio dell’Alfa e poi<br />
si guardò intorno alla ricerca di qualcosa, la individuò<br />
quasi subito.<br />
Era un ciottolo bianco sui due chili, probabilmente<br />
doveva servire a qualcosa, visto che era stato sistemato<br />
nell’angolo basso di un portone.<br />
Enzo lo afferrò e guardò il balcone dal quale era partita la<br />
secchiata, fece un breve calcolo mentale di fisica<br />
intuitiva e si diresse verso quello che aveva stabilito<br />
essere il punto migliore per il lancio.<br />
Il vetro del balcone esplose mentre suocero del<br />
fruttivendolo e figlio pitecantropo stavano rientrando<br />
dentro.<br />
Quello che si scatenò subito dopo si protrasse fino alle 2<br />
di notte circa e fu solo grazie alla presenza di vigili e<br />
poliziotti se non ci scappò anche il morto.<br />
50
CAP. X<br />
Spaziotempo<br />
Franco era ad un bivio, da una parte c’era l’occasione di<br />
un amore unico, inaspettato, immeritato, non più<br />
sperato, con le fattezze e le grazie di una giovane donna<br />
di nome Grazia che somigliava vagamente a Scarlet<br />
Johanson e dall’altra c’era la possibilità di dare un<br />
dispiacere ad un amico.<br />
Franco fece la sua scelta senza esitazioni: “Claudiè ma lo<br />
sai che quella Graziella è proprio ‘na grande zoccola,<br />
mamma mia che puttana, ne ho viste di bucchinare in<br />
vita mia, ma una magnacazzi zucasburro come quella<br />
mai e poi mai, ma dove l’hai trovata? Meno male che<br />
avevo un preservativo appresso, eh la c’è da rischiare<br />
minimo minimo l’aids”.<br />
Claudio, all’altro capo del telefono, era vetrificato.<br />
Aveva un crampo allo stomaco e sentiva i peli tendersi<br />
come fili di rame.<br />
Naturalmente Franco stava bluffando, tuttavia l’ultima<br />
cosa che Claudio aveva visto erano Franco e Graziella<br />
Scarlet Johanson allontanarsi, lingua in bocca e mano<br />
nella mano, quindi tutto poteva essere stato.<br />
Nella realtà reale, invece, Graziella aveva salutato Franco<br />
poco dopo senza nemmeno chiedergli il cellulare. Si era<br />
congedata con un ”sei stato molto dolce, ci vediamo” e<br />
poi era scomparsa.<br />
Era lì che Franco si era trovato al bivio tra il seguirla o<br />
correre a casa, attendere un tempo strategico, calcolare il<br />
rientro di un Claudio demoralizzato e telefonarlo per<br />
dargli la mazzata finale.<br />
“Hai capito?”, ribadì Franco, “Claudiè, pronto…pronto ,<br />
oh mi senti?”, temeva fosse svenuto, “Si, si “, rispose<br />
Claudio recuperando un filo di voce da sotto al macigno<br />
che gli schiacciava il plesso solare. “Scusami Frà, ti<br />
chiamo dopo, stavo facendo ‘na cosa”, e riattaccò mentre<br />
Franco continuava imperterrito a vomitargli particolari<br />
scabrosi.<br />
“Lo so io che tieni da fare: fetentone!”, zio Titino gli era<br />
comparso alle spalle come un poltergeist.<br />
Claudio pensò di colpirlo con una testata sul naso ma<br />
aveva paura che zio Titino si smaterializzasse e rivelasse<br />
la sua vera natura demoniaca.<br />
51
Una voce dalla sala da pranzo annunciò che la cena era in<br />
tavola, e che la consorte batrace aveva preparato una<br />
specialità.<br />
Man mano che si avvicinavano alla tavola Claudio<br />
percepiva un odore dolciastro sempre più forte e<br />
nauseante.<br />
“Claudiè, adesso assaggi una cosa che non la trovi da<br />
nessuna parte, queste sono specialità che in Italia se le<br />
sognano”. Zio Titino aveva ragione perchè quella che<br />
scoperchiò era una specialità probabilmente in voga a<br />
Innsmouth o in qualche altra città da incubo uscita dalla<br />
penna di uno scrittore visionario: era una specie di<br />
enorme Totano rosaceo lungo circa un metro, adagiato in<br />
un intruglio cremoso/brodoso ed imbottito con del<br />
passato di verdura e della frutta secca. Emanava un odore<br />
nauseante come di neonato morto.<br />
“La porzione più grande tocca a questo fetentone ehheh<br />
ehhe, che deve recuperare le fatiche d’amore ehheheh”,<br />
zio Titino trascinò tutti in una risata isterica, solo<br />
Claudio non rideva e guardava tutti con preoccupazione.<br />
Forse non se ne era mai accorto ed era cresciuto in una<br />
famiglia di psicopatici come quelle che si vedono negli<br />
horror americani, forse lo avrebbero ucciso, o forse prima<br />
o poi sarebbe impazzito anche lui…”speriamo presto”<br />
sperò.<br />
Claudio trascorse una notte fastidiosa, dormì poco e<br />
male.<br />
Si alzò per non pisciare nulla almeno 5 volte, mise un<br />
dvd masterizzato nel lettore, c’erano una decina di<br />
puntate di un telefilm anni 70, una serie considerata “un<br />
cult” ma che a lui sembrò una stronzata senza infamia e<br />
senza lode.<br />
Si addormentò alla fine del 4 episodio, la mamma lo<br />
svegliò che era mezzogiorno passato: “Claudio, c’è una<br />
tua amica al telefono” e gli allungò il cordless.<br />
Claudio rispose senza aver nemmeno capito cosa gli<br />
avesse detto la madre “Pphonto, chi e?’” disse<br />
continuando a dormire, “ciao Claudio, sono Grazia, stavi<br />
dormendo? Ti ho disturbato?” .<br />
Claudio spalancò gli occhi e si ricompose come se lei in<br />
quel momento potesse vederlo, “ciao Grazia, nooo<br />
figurati”.<br />
“Senti Claudio volevo invitarti stasera, sempre se ti<br />
va,…se volevamo vederci insomma, se ti fa piacere”,<br />
“certo, certo, va benissimo Grazia, e dove ?”, “senti<br />
52
possiamo vederci a “Le Terrazze”, ok? Verso le otto, le<br />
nove va bene?”<br />
“Ok , va bene”<br />
In verità avrebbe voluto obiettare che tra le otto e le nove<br />
c’erano 60 minuti di differenza ma non voleva dare l’idea<br />
di essere uno con l’ansia di perdere l’appuntamento<br />
(anche se fino a quel momento non è che avesse dato<br />
l’idea di essere un duro).<br />
La telefonata si concluse lasciandolo pieno di dubbi che<br />
lo avrebbero tormentato per il resto della giornata, ma<br />
ora innanzitutto doveva organizzarsi.<br />
Nemmeno finì di pensarlo che la madre inferse subito un<br />
duro colpo ai suoi progetti organizzativi: “Claudio io e<br />
papà scendiamo, ti ho lasciato tutto pronto in cucina, lo<br />
devi solo riscaldare, veniamo stasera sul tardi”.<br />
“Che cosa?”, fece Claudio, cominciando a temere di<br />
essere senza macchina, “andiamo con zio Titino al paese,<br />
ci portiamo la macchina, ciao Claudiè” e sentì il rumore<br />
inconfondibile della porta blindata che si chiudeva.<br />
Claudio, cominciò a pensare.<br />
Pensava come il capo degli X-Men, fece una mappa<br />
mentale della città, localizzò “Le Terrazze”, tracciò tutti i<br />
percorsi noti dei bus cittadini, scorse un elenco di amici<br />
con macchine, motorini, biciclette, calcolò addirittura di<br />
partire dopo pranzo per giungere in tempo e alla fine<br />
cominciò a disperare.<br />
“Le Terrazze” era un locale per cachieri, carissimo e a<br />
20 Km dalla città.<br />
Lo conoscevano tutti perchè esisteva da un infinità di<br />
tempo, aveva resistito a tutte le mode passeggere forte<br />
del fatto di essere un locale con dei prezzi<br />
ingiustificatamente alti.<br />
Frequentarlo era quasi una prova iniziatica per gli<br />
aspiranti benestanti, era un tempio pagano all’invidia<br />
economica paesana, un arena di cimento per il classismo<br />
di provincia.<br />
Il locale sorgeva quasi in collina al termine di una strada<br />
ripida e tortuosa come quella che conduceva al castello di<br />
Dracula.<br />
Per Claudio il primo problema era poterlo raggiungere, il<br />
secondo era poterselo permettere.<br />
Claudio era sicuro, anzi sicurissimo, di avere una<br />
banconota da 100 euro nello scrigno ex portacaramelle<br />
che teneva sulla scrivania. Lo scrigno però era vuoto in<br />
maniera inequivocabile. C’era solo all’interno un elastico<br />
giallo e due viti minuscole che avevano fatto parte di un<br />
53
qualcosa, ma di banconote da 100 euro nessuna traccia.<br />
Claudio, fece tutte le ipotesi possibili, era giunto perfino<br />
alla conclusione che gliele avesse rubate zio Titino,<br />
quando ebbe un flashback e ricordò di averle prestate a<br />
sua madre due giorni prima la quale doveva fare la spesa<br />
e non aveva tempo per passare dal bancomat.<br />
Aveva 15 euro e qualche spicciolo, non poteva affrontare<br />
una serata a “Le Terrazze” con quella miseria. Cominciò<br />
a rovistare la casa negli angoli più remoti, guardò anche<br />
nei bagagli di zio Titino e consorte. Nemmeno un euro!<br />
Recuperò una ventina di centesimi tra cucina e bagno e<br />
poi niente più.<br />
Rimase mezzo digiuno fino alle 16 ,indeciso sul da farsi,<br />
poi, come spinto da una forza misteriosa, si vestì di tutto<br />
punto e scese di casa senza avere un piano.<br />
Comprò un biglietto per il pullman col quale avrebbe<br />
potuto girare la regione in lungo e in largo per 4 ore e che<br />
lo lasciò con una somma residua di 10 euro e zero<br />
centesimi.<br />
Si avviò ad una fermata lontanissima, ci giunse<br />
sudacchiato, ebbe l’impressione che gli puzzassero le<br />
scarpe.<br />
Per un ora non passò nessun pullman utile, poi ne arrivò<br />
uno che non era proprio perfetto ma che comunque era la<br />
cosa che lo avrebbe lasciato più vicino a “Le Terrazze”.<br />
Salì sul pullman insieme ad una zingara con un due<br />
bambini al seguito e ad un vecchio che sputava e<br />
bestemmiava.<br />
Il pullman lo lasciò dopo un viaggio interminabile in un<br />
punto che distava all’incirca 5 Km. dall’inizio della<br />
collina in cima alla quale sorgeva il locale.<br />
Claudio osservò la strada da percorrere per giungere ai<br />
piedi della collina agognata, sembrava pericolosa, non<br />
era ancora buio ma il rischio di essere travolti da un SUV<br />
o da un camionista distratto era alto, senza contare le<br />
macchine che sfrecciavano rare ma a velocità folli.<br />
Camminava e sudava, non aveva mangiato né bevuto<br />
quasi un cazzo per tutta la giornata.<br />
La sua riserva di potassio e magnesio terminò quasi<br />
subito in quel Sahara asfaltato.<br />
Cominciò a canticchiare nervosamente, aveva paura di<br />
sentirsi male.<br />
Per un attimo si chiese se valesse la pena affrontare tutto<br />
questo per una che l’aveva preso in bocca addirittura a<br />
Franco.<br />
E se era malata?<br />
54
E se era una di quelle untrici che diffondono l’aids?<br />
Ormai era troppo tardi per chiederselo, era una sfida, una<br />
sfida di qualche tipo che lui aveva accettato.<br />
Giunse ai piedi della collina a sole già tramontato.<br />
Attaccò il primo tornante e subito si rese conto di non<br />
potercela fare, non poteva tornare indietro, pensò che<br />
sarebbe stato peggio.<br />
Aveva più probabilità di sopravvivere se fosse arrivato a<br />
“Le Terrazze” e poi quella che stava percorrendo era una<br />
strada obbligata. Forse Grazia sarebbe arrivata nel<br />
frattempo e lo avrebbe raccattato lungo la strada.<br />
Decise di proseguire e di fare l’autostop ai veicoli di<br />
passaggio.<br />
Non passò nessuno, era sudato fracido, aveva perso il<br />
conto delle ore, dei chilometri e dello scopo di quel<br />
viaggio.<br />
Lo raccolse un vecchio con un trerruote diretto a “Le<br />
Terrazze” per consegnare dei formaggi.<br />
Claudio scese dal trerruote sudato fradicio mentre il<br />
vecchio aveva iniziato ad litigare col parcheggiatore del<br />
locale. Alcuni clienti (tra cui Grazia) si affacciarono da<br />
una terrazza sovrastante il parcheggio attirati dalle urla e<br />
dalle bestemmie del vecchio.<br />
Grazia vide Claudio scendere dal trerruote, accorgersi di<br />
lei e salutarla. Gli amici di lei cominciarono a chiederle<br />
spiegazioni.<br />
“Ciao Grazia,” esordì Claudio, “non ti dico che mi è<br />
successo”.<br />
Grazia non gli rispose nemmeno, aveva già sbalzato di<br />
personalità per ben due volte nel corso della stessa<br />
giornata: ora era sull’isterico/visionario.<br />
La tensione le acuiva l’asimmetria del volto e una<br />
combinazione casuale ma infelice di luci le conferì un<br />
espressione aberrata degna di un ritratto di Bacon.<br />
Claudio l’osservava con terrore, gli sembrò di trovarsi al<br />
cospetto di una creatura da incubo uscita da una<br />
schermata di Silent Hill.<br />
“Signore qui in sala c’è l’obbligo di consumazione”,<br />
Claudio sbandò a quell’ingiunzione del cameriere e senza<br />
nemmeno rendersene conto ordinò qualcosa.<br />
Gli portarono un bicchiere da cocktail riempito da<br />
qualcosa cosa che sapeva di bagnoschiuma con una<br />
foglia di menta galleggiante. Claudio lo tracannò prima e<br />
poi ne chiese il prezzo: gli mancavano otto euro!<br />
Il cameriere lo mise alla porta dopo avergli sequestrato<br />
la banconota da dieci euro.<br />
55
Claudio fu quasi contento di essersene uscito da<br />
quell’incubo imbarazzante (anche se in quel modo) e si<br />
avviò baldanzoso lungo la via del ritorno.<br />
“ Scendere è facile, mica è come salire” pensò, anche se<br />
oramai era già buio e man mano che si allontanava dal<br />
locale la luce diventava sempre più debole.<br />
Dopo i primi due tornanti non si vedeva più un cazzo e<br />
cominciò a preoccuparsi.<br />
In un attimo Claudio comprese che stava per attenderlo il<br />
quarto d’ora più brutto della sua vita, una cosa che fino a<br />
quel momento aveva visto accadere solo in film come<br />
Jurassic Park 2 , o forse era il 3, non ricordava.<br />
Senti prima un fruscio nell’erba circostante, poi un altro,<br />
poi un altro ancora più definito, uno scalpitio di unghie e<br />
zampe ed un ringhio inconfondibile: i cani!<br />
56
CAP XI<br />
L’amore ai tempi della chat<br />
Il Tatyufficio si spalancò con strepiti, urla e pianti.<br />
Sergio lasciò la postazione e corse verso l’ingresso.<br />
Pensava fosse scoppiato un incendio o qualcosa del<br />
genere.<br />
Taty urlava come un uccello preistorico, gli altri demoni<br />
facevano lo stesso, nessuna cercava di calmare nessuna.<br />
In un eccesso di protagonismo Taty sfasciò un computer<br />
da 2000 euro alto quasi quanto lei.<br />
Sergio era allibito ed inerme, cominciò a temere per la<br />
sua incolumità.<br />
Una dei demoni, che aveva un nome tipo Kali o Shiva o<br />
qualcosa del genere, gli si gettò al collo piangendo e<br />
biascicando frasi incomprensibili. Puzzava di sudore<br />
infantile e di pastelli colorati.<br />
Tra le lacrime, le urla e le frasi smozzicate Sergio riuscì<br />
ad individuarne la causa: Mirko era morto!<br />
Il bellissimo, bonissimo e contesissimo Mirko si era un<br />
po’ spalmato e un po’ fuso tra le lamiere di un auto non<br />
omologata per il volo a bassa quota.<br />
Mirko aveva cercato di replicare su un viadotto una<br />
manovra che sulla Playstation gli riusciva abbastanza<br />
facilmente e adesso Gesù (o chi per lui) gli stava<br />
spiegando dove aveva sbagliato.<br />
I genitori inconsolabili accolsero la notizia con la<br />
sobrietà tipica dei cafoni arricchiti.<br />
Organizzarono un funerale degno di un boss<br />
Colombiano, tappezzarono la città di gigantografie a<br />
colori con foto del figlio a porto Cervo in tenuta da<br />
Windsurf, gli fecero intitolare un centro sportivo, un<br />
torneo di calcetto ed un associazione culturale.<br />
La madre rilasciò interviste a quattro quotidiani, tre<br />
televisioni libere locali ed un tg regionale, riuscirono<br />
anche ad avere una diretta con un programma televisivo<br />
nazionale, uno di quelli della fascia pomeridiana dove i<br />
parenti si vanno a vendere le disgrazie in diretta.<br />
Furono intervistati da una bucchinara con la faccia molto<br />
compenetrata nelle disgrazie altrui e, durante l’intervista,<br />
il padre lanciò accuse durissime alle autorità cittadine e<br />
al corpo docente scolastico che “avrebbero dovuto<br />
vigilare” e che erano a suo dire ”i veri assassini di mio<br />
57
figlio!”. Ovviamente tralasciò particolari come il fatto<br />
che fossero le tre di notte quando l’incidente era<br />
avvenuto e che suo figlio, neopatentato, guidava una<br />
Porsche Cayman regalatagli da lui qualche giorno prima.<br />
Mirko lasciò un vuoto incolmabile nel cuore di Taty,<br />
vuoto che durò quasi una settimana, finché non adocchiò<br />
Ciro, un aiuto carrozziere sottoproletario con qualche<br />
piccolo precedente penale per furto e rissa (definito<br />
“toooppo dolce” da tutti i demoni all’unanimità). Biondo,<br />
scocche rosse, labbroni, occhi azzurri e sguardo da<br />
cucciolone abbandonato era conosciuto nel suo quartiere<br />
come “Ciro a’mmerda”, uno che per soldi si vendeva gli<br />
amici ai nemici ed entrambi alla polizia.<br />
Le preziose suppellettili di casa Taty avrebbero presto<br />
fatto la sua conoscenza.<br />
Nel mese che seguì Ciro le fece sparire un portatile<br />
dall’ufficio, una Smart, due cellulari con videocamera,<br />
600 euro in contanti, un quadro a olio del ‘700<br />
napoletano, uno Schifano, un lettore cd portatile, una<br />
pelliccia, una X-box, uno swatch da collezione, un rolex<br />
e una manciata di gioielli vari.<br />
Quando uno schiavo nubiano di Taty, tale Gianguido,<br />
laureando in ingegneria chimica col massimo dei voti, le<br />
fece rispettosamente notare che forse c’era un legame tra<br />
Ciro e quell’impennata statistica di furti inspiegabili fu<br />
colpito da un ceffone in pieno volto e subì una vera e<br />
propria aggressione collettiva da parte dell’indignato<br />
branco di demoni: ”NON TI PERMETTERE POPO<br />
MANCO DI PENSARLE QUESTE COSE! E CHI<br />
ME LO DICE CHE NON SEI STATO POPO TU?!<br />
AH?!”<br />
In ogni caso l’ingresso di Ciro in quella cerchia di papere<br />
baccanti segnò l’epilogo del Tatyufficio.<br />
Sergio era diventato ormai una figura mistica, passava<br />
intere giornate in un ufficio disfatto, consultava siti di<br />
ufo, di scommesse, di beppegrilli, di teocon.<br />
Internet era molto cambiato negli ultimi anni, era<br />
diventato una specie di surrogato di fama per quelli che<br />
non ce l’avevano fatta a diventare veramente famosi in<br />
qualsiasi campo per qualsiasi cosa.<br />
I famigerati 15 minuti di notorietà,’ a cui ciascuno<br />
avrebbe dovuto avere diritto secondo Andy Warhol,<br />
erano stati sostituiti da 15 mega di notorietà che ciascuno<br />
si accaparrava nel Web. Era tutto un brulicare di blog che<br />
spaziavano dai diari delle compulsioni di Taty a dei<br />
proclami di guerra teocon infarciti da bannerini tipo: ”io<br />
58
sto con Oriana” o “io sto con Israele”. Spesso c’era anche<br />
la foto formato tessera del “crociato” in questione, la<br />
stessa che era stata inviata alle selezioni del grande<br />
fratello, al casting delle ”Iene”, ad una quantità<br />
imprecisata di festival per nuove voci, volti etc… Era<br />
come se tutto si fosse trasformato in un gigantesco<br />
ufficio di collocamento e quelle grida che si levavano<br />
contro l’Islam, Prodi, la C.I.A., Di Pietro, Hamas, la<br />
Juve, i froci, il Papa, gli embrioni, gli ogm, le toghe rosse<br />
erano perlopiù grida di disperazione di chi non voleva<br />
morire senza essere invidiato. Tuttavia quello che<br />
sfuggiva agli umani sgomitanti era il fatto (parafrasando<br />
una legge di Murphy) che la felicità sul pianeta terra è<br />
una costante e che la popolazione è in continuo aumento.<br />
Alla fine Sergio fece l’unica cosa che fa un impiegato<br />
immotivato, con un lavoro infondato e che dispone di un<br />
pc collegato in rete sul posto di lavoro: si mise a chattare.<br />
Per accedere alla chat dovevi scaricare un programmino<br />
che per essere utilizzato richiedeva un nome utente e<br />
password che potevano essere ottenuti compilando un<br />
formulario lungo come un 740 nel quale, in teoria, avresti<br />
dovuto rivelare a degli estranei tutti i cazzi tuoi.<br />
Sergio mentì su tutto tranne che sul sesso, dichiarò di<br />
essere maschio, etero ed alla ricerca di una partner.<br />
Dopo una procedura snervante fatta di email di<br />
conferma, di link da ciccare e password da inserire, si<br />
avviava un programma dalla grafica adolescenziale che<br />
faceva dei suoni cretini ogni volta che veniva eseguita<br />
un’operazione.<br />
Sergio disattivò gli effetti sonori ed intraprese una ricerca<br />
tematica-geografica di possibili interlocutrici. Cercò<br />
innanzitutto di chattare con donne comprese in una fascia<br />
di età che andava dai 18 ai 25 anni, ma non ci fu verso.<br />
Gli risposero solo un paio di simil-Taty.<br />
Una lo giudicò troppo vecchio e l’altra scriveva come un<br />
codice fiscale, Sergio la mandò affanculo.<br />
Per i primi due giorni non riuscì a mantenere una<br />
conversazione oltre i 2 minuti, poi, un pomeriggio in cui<br />
cominciava quasi a disperare, agganciò MataHari76 e<br />
sentì che quello era l’inizio di qualcosa.<br />
Dietro quell’intrigante nickname si celava una trentenne<br />
insignificante che rispondeva al nome reale di<br />
Mariarosaria.<br />
Faceva la segretaria nell’azienda del padre, aveva una<br />
laurea inutilizzata ed inutilizzabile che l’aveva resa una<br />
disoccupata incollocabile.<br />
59
Il padre l’aveva messa a rispondere al telefono e a<br />
cazzeggiare al computer con Word processor ed e-mail<br />
dell’azienda, a fine mese le passava una paghetta e così<br />
la illudeva di aver trovato un lavoro e l’indipendenza.<br />
Mariarosaria aveva l’aspetto che avrebbe avuto un brodo<br />
d’ospedale o una pasta al burro acquosa se fossero state<br />
persone. Era una donna completamente scialba con un<br />
retrogusto malaticcio che sapeva di vix-vaporub e di<br />
influenze stagionali.<br />
Sergio riuscì a prendere un appuntamento con lei nella<br />
vita reale dopo un paio di sedute di chat.<br />
Mariarosaria abitava in un paese vicino, non molto<br />
distante dalla città, “ti raggiungo io”, disse lei, ed<br />
optarono per un bar vicino la stazione.<br />
Quando Sergio se la trovò davanti la prima cosa che si<br />
chiese era perchè avesse scelto “MataHari” come<br />
nickname.<br />
Trovò che “Anna Frank” sarebbe stato molto più<br />
appropriato.<br />
Nella sessione di chat che aveva preceduto il loro primo<br />
incontro, lei lo aveva avvertito: “non aspettarti chissà<br />
che”, ma Sergio si era convinto che lei si schermisse e<br />
volesse giocare al ribasso per poi sorprenderlo<br />
piacevolmente.<br />
Insomma: una che si era scelta come pseudonimo<br />
“MataHari” doveva pur aver qualcosa…<br />
Mariarosaria le allungò una mano bianca, fredda e<br />
viscida da malata di nervi.<br />
Sergio le sorrise con lo stesso sorriso che dovevano aver<br />
avuto i soldati americani coi reclusi di Auschwitz che<br />
avevano appena liberato.<br />
Si sedettero ai tavolini del bar.<br />
Venne una cameriera a prendere le ordinazioni, non era<br />
nemmeno carina, anzi, ma se gliela avessero scambiata<br />
con Mariarosaria Sergio avrebbe fatto i salti di gioia.<br />
Ordinarono un paio di stronzate con gli ombrellini e la<br />
panna.<br />
Sergio guardava quella faccia di saponetta guasta<br />
cercando di scovare almeno un pregio, ma non gli<br />
suscitava niente di niente.<br />
Mariarosaria Frank gli raccontò la storia della sua vita<br />
universitaria fatta di aneddoti noiosissimi sui guasti della<br />
burocrazia universitaria e sulla mancanza di riconoscenza<br />
delle colleghe di facoltà, quindi passò a descrivergli nel<br />
dettaglio tipologia e modalità di partecipazione a<br />
concorsi e corsi di specializzazione.<br />
60
Quando attaccò il capitolo sulla colite da stress Sergio<br />
staccò completamente il cervello e cominciò ad assistere<br />
ad una proiezione mentale a base di immagini casuali e<br />
ricordi insensati.<br />
Si congedarono dopo una noiosissima passeggiata.<br />
Cominciò a piovigginare, il cielo si era ammantato di<br />
grigio e l’aria puzzava di umido.<br />
Sergio era stato volutamente noioso e aveva infarcito le<br />
sue poche uscite con osservazioni tra l’insipido e il<br />
deficiente, sperava così che quella tattica suicida fosse un<br />
modo gentile per dirle: “ok ci abbiamo provato ma non è<br />
il caso né di rivederci, né di risentirci mai più né in<br />
questa vita, né su questo pianeta e né in questo universo”.<br />
Evitò anche di accompagnare Mariarosaria alla<br />
macchina e si congedò bruscamente adducendo un<br />
impegno di cui si era improvvisamente ricordato.<br />
Mariarosaria si ritrovò sola come uno spaventapasseri<br />
abbandonato nel traffico.<br />
“Secondo me l’ha capita”, pensò Sergio mentre si<br />
allontanava a passo svelto con un leggero scrupolo di<br />
coscienza da maleducazione.<br />
Quella sera stessa, alle 21.45 il suo cellulare gli annunciò<br />
la ricezione di un sms, era di Mariarosaria: “io sono stata<br />
molto bene con te e credo anche tu, un bacio!<br />
M.Rosaria”. Non aveva assimilato ancora l’infondatezza<br />
di quel messaggio che un urlo da Pterodattilo femmina<br />
misto a un rombo di marmitta spaccata gli gelò il<br />
sangue:”SEEEEGGGGGIIOOOOOOOOOO,<br />
CCIAAAAAAOOOOOO”<br />
Era Taty, senza casco, avvinghiata ad un energumeno<br />
biondo con labbroni e occhi azzurri, anche lui senza<br />
casco, che impennava con una moto truccata.<br />
Il tesorino aveva visto Sergio e lo aveva salutato con la<br />
sua abituale grazia.<br />
Mariarosaria era la seconda di tre figli.<br />
Aveva una sorella più grande, quasi identica a lei ma con<br />
una quinta abbondante di reggiseno che le aveva forse<br />
evitato di morire zitella, ed un fratello di qualche anno<br />
più piccolo, senza velleità universitarie, diplomato e<br />
molto attaccato ai soldi. Lavoratore instancabile era il<br />
braccio destro del padre ed il sicuro erede dell’azienda<br />
famigliare.<br />
L’azienda era qualcosa di così grigio e triste che<br />
nemmeno la camorra, o chi per essa, gli avrebbe chiesto<br />
il pizzo per paura che gli portasse sfiga.<br />
61
Si occupavano di materiali per imballaggio e il massimo<br />
della mondanità che si concedevano era il far stampare<br />
degli anonimi calendari da muro, tipo quelli che regalano<br />
le macellerie, con l’intestazione della ditta.<br />
Una volta avevano addirittura commissionato un<br />
centinaio di penne a sfera con relativa intestazione, gialle<br />
con cappuccio nero, ma quello era stato un colpo di testa.<br />
Mariarosaria invece aveva suggerito la creazione di un<br />
sito internet per l’azienda, con tanto di e-mail.<br />
Il padre non aveva capito a che cazzo servisse e cosa<br />
fosse una cosa del genere ma aveva accettato più che<br />
altro per evitare un’eventuale figura di merda con la<br />
concorrenza locale.<br />
Mariarosaria era stata fidanzata per quasi un anno col<br />
figlio di un tizio che aveva rapporti di affari con suo<br />
padre ed era stata sverginata dal padre di questi una<br />
domenica sera in macchina. Il figlio non si era sentito<br />
bene e il padre si era offerto per riaccompagnarla a casa.<br />
La cosa si era ripetuta un paio di volte, poi il tizio aveva<br />
lasciato decadere la cosa e Mariarosaria non se l’era<br />
sentita di richiamarlo. Il figlio nel frattempo si era iscritto<br />
ad un università per figli di arricchiti molto distante e<br />
molto prestigiosa e aveva lasciato Mariarosaria via<br />
telefono. Per consolarsi lei aveva iniziato a scrivere<br />
poesie e contemporaneamente a prepararsi per<br />
partecipare ai concorsi pubblici più disparati.<br />
Era stato proprio ad un concorso per impiegati con la<br />
terza media che aveva conosciuto Sandro, un balordo che<br />
l’aveva iniziata al mondo dell’informatica fotografandole<br />
il culo con una webcam ed impostando tale immagine<br />
come sfondo del desktop del computer aziendale del<br />
padre di lei.<br />
Mariarosaria era andata in paranoia e aveva passato quasi<br />
una nottata per scoprire come eliminare un’immagine di<br />
sfondo dal desktop di Windows, ma almeno aveva fatto<br />
un po’ di pratica col computer.<br />
L’incontro con Sergio era la cosa più vicina ad una<br />
relazione normale che le fosse capitata nel corso della<br />
vita e aveva deciso di non lasciarselo sfuggire<br />
Era sicura di piacergli, aveva solo paura che lui potesse<br />
essere intimidito dalla sua femminilità e ritrarsi o<br />
addirittura fuggire non credendosi all’altezza.<br />
Naturalmente questi pensieri non erano farina del suo<br />
sacco, né poggiavano su alcun elemento oggettivamente<br />
reale, erano piuttosto nozioni sparse che Mariarosaria<br />
carpiva da rubriche e articoli di settimanali di moda che<br />
62
erano le sue uniche letture (oltre agli interessantissimi<br />
bignami dedicati al diritto amministrativo, alla<br />
legislazione degli enti pubblici, alla biblioteconomia e ai<br />
test attitudinali).<br />
Mariarosaria aveva capito che i veri problemi che<br />
determinavano l’orientamento politico della nazione non<br />
erano quelli riportati sulle prime pagine dei giornali ma<br />
quelli riportati nelle ultime, tipo “la posta del cuore”,<br />
“ditelo a Donna Elisa”, “l’avvocato risponde”, “lo<br />
psicologo consiglia”, etc…<br />
Che poi la gente si accapigliasse sui talebani o sui<br />
partigiani non erano cazzi che influivano nella sua realtà<br />
più di questioni come l’esistenza degli u.f.o. o del mostro<br />
di Loch Ness. Probabilmente prima o poi ci sarebbe stato<br />
il primo attentato terroristico nucleare della storia e<br />
qualche milione di persone se la sarebbe presa nel culo,<br />
ma per gli altri quasi 5 miliardi di sopravvissuti tutto<br />
sarebbe continuato come prima e in più ci sarebbe stata<br />
una pacchia di telegiornali, servizi speciali, dirette di<br />
Emilio Fede, edizioni straordinarie, film , videogiochi,<br />
edizioni straordinarie e moviole del famoso monumento<br />
che si sgretola o dell’inestimabile museo che se ne va<br />
affanculo per sempre: altro che i mondiali!<br />
In un interessantissima lettera inviata ad una rubrica<br />
tenuta dalla moglie cornuta di uno famoso,<br />
“l’opinionista” suggeriva alla racchia che le aveva scritto<br />
,per chiederle come tenersi stretto uno che andava in giro<br />
fottendosi le badanti, di “non essere aggressiva” ma di<br />
conquistare il suo lui “prendendolo per gola” con<br />
qualche delizioso pranzetto o magari di “sorprenderlo<br />
con un regalo inaspettato”.<br />
L’arguta opinionista argomentava, infatti, che gli uomini<br />
andavano con le strafighe dell’est o con le brasiliane “per<br />
esorcizzare il senso di inferiorità che avvertivano nei<br />
confronti delle italiane, sempre più indipendenti,<br />
spregiudicate, aggressive e sessualmente esigenti,<br />
bisognava quindi rassicurarli come dei cuccioli<br />
impauriti, conquistandosi la loro fiducia con qualche<br />
gesto d’affetto, magari un regalo, chessò una<br />
sciocchezza, un orologio, un cellulare…”<br />
E per pura combinazione a piè di pagina di questo<br />
mirabile saggio di psicoanalisi campeggiava proprio<br />
un’esclusiva offerta di lancio di un nuovo elegante<br />
telefonino, una specie di portasigarette da mafioso anni<br />
’50, il cui design era stato curato in esclusiva dal noto<br />
63
artista (noto al grande pubblico soprattutto in qualità di<br />
ricchione).<br />
A Mariagrazia la spesa non proprio modica di 399 euro<br />
sembrò una cifra accettabile per un regalo di classe che<br />
suggellasse l’amore. Inoltre, nel loro breve incontro,<br />
aveva notato che il cellulare di Sergio aveva il coperchio<br />
del vano batteria attaccato con del nastro adesivo.<br />
Si diresse sicura e baldanzosa nel negozio di telefonia<br />
più chic del paese domandandosi chissà con quale regalo<br />
Sergio le avrebbe ricambiato il pensiero.<br />
Quando che Sergio ebbe scartato la confezione regalo del<br />
Centro Telefonia Di Mauro assunse l’espressione che di<br />
solito assumono i disoccupati quando la loro ragazza gli<br />
comunica sorridendo di essere incinta.<br />
Mariarosaria era riuscito ad individuare il bar sotto il<br />
Tatyufficio dove Sergio poltriva a pomeriggi interi.<br />
Quando la vide sbandò, non avrebbe dovuto essere così<br />
prodigo di particolari sul genere e sull’ubicazione del suo<br />
lavoro, ma non voleva fare la figura del disoccupato e ora<br />
se ne stava pentendo.<br />
Le donne interessate sono dei segugi infallibili.<br />
Se l’amministrazione Bush avesse voluto davvero<br />
scovare Bin Laden non avrebbe dovuto fare altro che<br />
seguire una sua spasimante non ricambiata.<br />
Sergio era ammutolito, non riusciva a dire niente,<br />
rigirava quella pacchianata tecnologica tra le mani senza<br />
capire nemmeno come si aprisse.<br />
Non c’era un cazzo di pulsante, una sporgenza minima,<br />
niente!<br />
Era come cercare di aprire con le mani una cozza cruda.<br />
“Uaaa, toppa bello! Questo è quello come lo tiene Ciro”,<br />
era Taty, comparsa alle sue spalle dal nulla e che in una<br />
frazione di secondo gli sfilò il cellulare dalle mani, lo<br />
aprì e cominciò a smanettare funzioni con una semplicità<br />
innaturale.<br />
Taty e gli altri demoni si erano trovate a passare di lì per<br />
puro caso e subito individuarono ed accerchiarono la<br />
coppia di neofidanzati.<br />
“Ma lei è la tua ragazza?” , disse Taty rivolgendosi a<br />
Sergio ed indicando con un dito Mariarosaria, “uà che<br />
cesso”, commentò nemmeno tanto a bassa voce Saby<br />
senza attendere la risposta di Sergio.<br />
“SABY, ma sei scema?!”, la redarguì Taty mettendosi<br />
però a ridere.<br />
Mariarosaria teneva lo sguardo basso e fece un sorriso di<br />
circostanza.<br />
64
Sergio era ancora sotto choc per il regalo ed incapace di<br />
trovare un’interpretazione plausibile della realtà.<br />
Taty premette qualcosa che emise un accordo e che fece<br />
richiudere il cellulare come un’ ostrica, lo restituì a<br />
Sergio e si dileguò col resto del branco.<br />
Quando Sergio si riprese gli furono chiare due cose: la<br />
prima è che aveva perso per sempre il rispetto dei<br />
demoni (il che voleva dire la fine della tranquillità sul<br />
lavoro, o addirittura la fine del lavoro) e la seconda era<br />
che, suo malgrado, Mariarosaria se lo era fidanzato.<br />
Cominciò una delle passeggiate più penose nella storia<br />
dei rapporti umani eterosessuali con Mariarosaria che<br />
cercava di prendergli la mano e lui che faceva dei<br />
movimenti quasi pianistici per sfuggirle.<br />
Alla fine lei gli agganciò un gomito col braccio e reclinò<br />
la testa sulla sua spalla.<br />
Sergio pensò che peggio di cosi non potesse andare ma<br />
si sbagliava: inspiegabilmente, ad un orario insolito, in<br />
un luogo insolito, in una formazione insolita Sergio si<br />
imbatté nella sua comitiva al completo capitanata da<br />
Giacomo che stava conducendo tutti al teatro tenda con<br />
un anticipo immotivato.<br />
“Sergiolì”, esordì Giacomo trionfante, “siamo tutti pronti<br />
per gli “Ars Longa”, tu pure stai andando li eh?”, Sergio<br />
fece l’errore di rispondere: “eh chi so’ gli Ars Longa?”<br />
Giacomo lo guardò schifato, sbuffò allargò le braccia e<br />
rivolgendosi non più a lui ma a Mariarosaria come per<br />
cercare supporto alla sua indignazione attaccò: “Eh, e chi<br />
devono essere, sono semplicemente considerati la<br />
migliore tribute band nazionale, se non e-u-r-o-p-e-a, dei<br />
Nice, e questo non lo pensa soltanto il sottoscritto ma<br />
anche Gianbattista Ferraro il direttore della maggiore<br />
rivista europea dedicata al progressive”.<br />
Mariarosaria guardò Sergio con uno sguardo di<br />
ammonimento materno, “Sergio e andiamoci pure noi,<br />
scusa” e guardò Giacomo come a dire “lo scusi signor<br />
maestro, sa come sono questi ragazzi, vanno<br />
incoraggiati”.<br />
Giacomo annuì e rimise in marcia quella tristissima<br />
comitiva coi due nuove adepti riprendendo la conferenza<br />
sulla tribute band da dove l’aveva interrotta.<br />
Il resto della comitiva, il cui livello di esperienze sessuali<br />
collettivamente non raggiungeva la penetrazione,<br />
osservavano timidamente, ma insistentemente,<br />
65
Mariarosaria, che più che invidia sembrava suscitare in<br />
loro curiosità.<br />
Giunsero al teatro tenda che, tranne per qualche tecnico<br />
ed uomo di fatica, era praticamente deserto.<br />
Giacomo annusò un chiosco lurido che vendeva salsicce<br />
fetenti a 300 metri di distanza e cominciò ad agitarsi in<br />
attesa di un’occasione di scrocco.<br />
Non conosceva nessuno degli avventori che sostavano<br />
nei pressi del chiosco e stava quasi pensando di<br />
avvicinarsi a degli sconosciuti per chiedere se gli<br />
facessero dare un morso al panino, quando ebbe un’idea<br />
brillante: “Ragazzi io vado al chiosco a prendere<br />
qualcosa, voi che volete”, era una tattica penosa e<br />
nessuno dei suoi amici ci sarebbe cascato…tranne<br />
Mariarosaria.<br />
“Signorina lei che prende?”<br />
“Niente grazie”,<br />
“una cosa da bere almeno?, un’aranciata?”,<br />
“Va bene”, rispose ingenuamente Mariarosaria alla quale<br />
sembrava brutto rifiutare.<br />
“Vabbè allora vado io, l’unica cosa ragà datemi i soldi<br />
prima che sono sceso senza portafogli ho i soldi giusto<br />
per prendermi un panino”.<br />
Nessuno tirò fuori un soldo perchè nessuno aveva chiesto<br />
di prendergli niente.<br />
Mariarosaria tirò fuori cinque euro dalla borsa, “Sergiolì<br />
e che fai pagare la tua ragazza?”, disse la merda umana,<br />
Sergio si infilò una mano in tasca e cacciò una banconota<br />
da 5, Giacomo gliel’afferrò al volo, poi, prima che<br />
Mariarosaria la riponesse, afferrò anche la banconota di<br />
lei.<br />
“Prendo un attimo pure questa così compro le sigarette<br />
per tutti quanti” e sparì in direzione del chiosco<br />
scomparendo per il resto della serata.<br />
L’infelice comitiva orfana di Giacomo si accomodò nel<br />
teatro tenda deserto due ore prima dell’inizio del<br />
concerto.<br />
Gli argomenti di conversazione toccarono marginalmente<br />
la musica poi si cominciò a parlare di politica, di scienza<br />
e di come la tecnologia aveva rovinato tutto: il cibo, il<br />
cinema, la musica.<br />
Uno di loro, particolarmente ferrato sull’economia dei<br />
Soviet, attaccò una filippica sulla gente che gira nelle<br />
città intasate dal traffico coi fuoristrada e su “quei<br />
coglioni che spendono centinaia di euro per un cellulare<br />
66
che dopo un mese è gia fuori moda e non vale più<br />
niente”.<br />
Sergio rabbrividì, anche perchè era perfettamente<br />
d’accordo e inoltre gli era venuto in mente che la<br />
macchina di Mariarosaria era una Toyota grande quanto<br />
la cucina del tizio che parlava.<br />
Il concerto si aprì con un gruppo di spalla composto da<br />
due tipi, erano anche loro una tribute band ma non si<br />
capiva bene di quale band.<br />
Erano un maschio ed una femmina, rispettivamente<br />
chitarrista e cantante. Erano vestiti come i pastori del<br />
presepe vivente ed eseguivano delle nenie spappolapalle<br />
intervallate da dei brani strumentali infarciti di stecche.<br />
A Sergio sembrò di riconoscere uno di quei motivi, gli<br />
sembrava che fosse la musica di uno spot di un<br />
formaggino o qualcosa del genere.<br />
L’applauso più deciso lo ebbero quando se ne andarono.<br />
Subito subentrò un tizio che attendeva spazientito al lato<br />
del palco ed annunciò l’ingresso degli “Ars Longa”.<br />
Arrivarono tre tizi di età indefinibile, uno era vestito<br />
normalmente, un altro aveva una tuta e un altro aveva dei<br />
capelli da paggetto e una camicia con dei frattali colorati.<br />
Avevano un carisma da pensionati e trasmettevano<br />
un’energia analoga.<br />
Il pubblico applaudì i primi due pezzi.<br />
Il terzo si protrasse troppo a lungo, il pubblico rimase<br />
polemicamente silenzioso alla fine del pezzo.<br />
Per recuperare la situazione il batterista attaccò un<br />
assolo poco collaudato durante il quale si tolse la<br />
maglietta e la lanciò verso il pubblico, nessuno<br />
ovviamente la raccolse anche perchè lo spazio che li<br />
separava dai posti a sedere era rimasto deserto sin<br />
dall’inizio del concerto. La maglietta rimase lì per terra<br />
come a sottolineare quel vuoto e probabilmente sarebbe<br />
rimasta lì per sempre se da un angolo del tendone non<br />
fosse spuntato Giacomo che, con la velocità e le<br />
movenze di un ratto umano, recuperò l’indumento e poi<br />
sparì nuovamente nel nulla.<br />
La comitiva di Sergio si sciolse a mezzanotte passata.<br />
Sergio aveva sperato fino all’ultimo che qualcuno di loro<br />
cercasse di soffiargli la ragazza ma nessuno di loro le<br />
aveva rivolto nemmeno la parola.<br />
Camminarono verso la macchina di lei con Sergio che<br />
pensava ad un modo per evitare di essere baciato.<br />
67
“Ti è piaciuto il telefono?”, fece lei per rompere un<br />
silenzio imbarazzante, “si, si”, fece Sergio, “ma non<br />
dovevi”.<br />
“E perchè no”, disse lei fermandosi di scatto e<br />
gettandogli le mani al collo, “è bello fare una gesto<br />
spontaneo per una persona a cui ci tieni di sentirci<br />
veramente”.<br />
Sergio stava cercando di decodificare che cazzo avesse<br />
voluto dire quando si trovò tra le labbra una lingua che<br />
sapeva di filetto di platessa bollito, lei le sussurrò in un<br />
orecchio: ”perchè non andiamo da me, non c’è nessuno”.<br />
Sergio senti il suo cazzo che gli diceva: “arrangiati tu, io<br />
scappo!”.<br />
68
CAP XII<br />
Area 51<br />
Nico aveva avuto un idea geniale, aveva trovato un nome<br />
per il gruppo che riuniva tutto: la tecnologia, il mistero,<br />
la modernità, l’esoterismo, l’esclusività…altro che il<br />
vocabolario di greco.<br />
Era un nome, o meglio una sigla, semplice ed incisiva ed<br />
indicava uno dei segreti meglio custoditi nella storia<br />
dell’umanità (almeno fino a quel momento) ma ora il<br />
segreto era stato svelato da un suo amico che ne era<br />
venuto a conoscenza attraverso dei canali segretissimi e<br />
privilegiati che aveva su Internet.<br />
L’amico non si fidava di nessuno, ne aveva parlato solo<br />
con Nico e la principessa consorte raccomandandogli di<br />
non “sputtanare la cosa in giro perchè poteva essere<br />
rischioso”, ma Nico ed Ernestina avevano deciso di<br />
rischiare e di rompere quella congiura del silenzio<br />
utilizzando addirittura quella sigla super segreta come<br />
nome del loro gruppo: AREA 51!<br />
Telefonarono a Domenico entusiasti per comunicargli<br />
quella decisione così azzardata.<br />
Domenico, che pure non era una cima, avrebbe voluto<br />
obbiettare che quello dell’Area 51 era un segreto quanto<br />
l’omosessualità di George Michael e che era addirittura<br />
possibile visualizzarla anche con la mappa di Google, ma<br />
non se la sentì di rovinargli la trovata e poi doveva<br />
comunicargli che il gruppo aveva incredibilmente avuto<br />
un nuovo ingaggio per la domenica seguente.<br />
Dovevano suonare ad una sagra gastronomica di paese<br />
che era stata funambolicamente abbinata ad una<br />
“rassegna di gruppi di nuove tendenze”.<br />
Nemmeno questa volta li avrebbero pagati ma i musicisti<br />
avrebbero avuto dei buoni-sagra per gustare gratis<br />
braciole di capra e vino rosso paesano.<br />
La principessa Ernestina domandò a Domenico se, in<br />
qualità di manager, li avesse iscritti alla S.I.A.E. o se<br />
aveva fatto qualcosa per depositare i loro diritti d’autore<br />
presso un notaio. Ovviamente Ernestina non sapeva<br />
nemmeno lei di cosa stava parlando, aveva solo<br />
orecchiato qualcosa da qualcuno e aveva finito di<br />
confondersi le idee chiedendo lumi al padre ex-avvocato.<br />
69
Domenico fu preso in contropiede ma per non darlo a<br />
vedere rispose deciso: “Nessun problema, me ne occupo<br />
domattina”.<br />
Intanto gli organizzatori della rassegna volevano una foto<br />
del gruppo con biografia artistica dei singoli membri e<br />
relativa demo audio o video della band.<br />
Non che queste cose venissero visionate o vagliate da<br />
qualcuno per davvero ma niente era peggio come<br />
l’affidare una rassegna artistica a gente che non contava<br />
niente e che voleva disperatamente rifarsi su qualcuno.<br />
Il direttore artistico della rassegna, tale Ferdinando, era<br />
una nullità burocratica col baffetto alla D’Alema, uno di<br />
quelli “lei non sa chi avrei voluto essere io” che si<br />
autocollocava nell’aria riformista Ds.<br />
La realtà però lo aveva collocato in un paesello di collina<br />
alle dipendenze di sottodipendenti Ds che gli<br />
elemosinavano incarichi infimi.<br />
Ferdinando occupava il gradino più basso di<br />
un’immaginaria enorme piramide il cui vertice non era<br />
rappresentato nemmeno da D’Alema ma tuttalpiù da un<br />
Velardi.<br />
Quando poteva Ferdinando assumeva un atteggiamento<br />
alla D’Alema e, con voce alla D’Alema, cercava di<br />
trasmettere un senso di inadeguatezza in qualche povero<br />
disgraziato tipo Domenico.<br />
“Guardi, peggio per lei, se non mi porta entro<br />
dopodomani il materiale devo cassssare il gruppo dal<br />
programma della rassegna”, cosi parlò Ferdinando con<br />
voce sgradevolmente nasale.<br />
Domenico fece presente la cosa a Nico e consorte e li<br />
pregò anche di avvertire il resto del gruppo.<br />
“No veditela tu, io sto incasinatissimo con la testa” gli<br />
rispose Nico mentre Ernestina annuiva compenetrata.<br />
Domenico riuscì miracolosamente a concordare un<br />
appuntamento con tutto il gruppo per mezzogiorno nel<br />
bar più bohemienne della città.<br />
Aveva assolutamente bisogno del materiale richiesto per<br />
partecipare, bastava che mancasse una virgola e<br />
Ferdinando D’Alema li avrebbe cassssati.<br />
Il giorno dopo Domenico, con una valigetta praticamente<br />
vuota ed un look misto tra Elvis Costello ed uno<br />
sguattero Tecnocasa, si aggirava nel cuore affaristico<br />
commerciale della città soffermandosi sulle enormi<br />
targhe in ottone di studi notarili ed avvocati.<br />
Voleva chiedere lumi a qualcuno riguardo qualcosa che<br />
nemmeno lui sapeva bene cosa avrebbe dovuto essere ma<br />
70
che probabilmente doveva riguardare cose tipo diritti<br />
d’autore, gruppi, S.I.A.E…insomma quelle cose lì.<br />
Il bello è che fu proprio questo che disse testualmente ad<br />
un avvocato il quale lo guardò allibito anche perchè si<br />
chiedeva chi l’avesse fatto entrare.<br />
La segretaria si giustificò dicendo che le era sembrato<br />
una persona normale.<br />
Domenico spaccò il minuto e a mezzogiorno in punto era<br />
davanti al Bar Aurora, caffetteria con sala da the dal<br />
1952.<br />
Era un bar che puzzava di chiuso frequentato soprattutto<br />
da professori ed assistenti universitari invidiosi e che non<br />
contavano un cazzo.<br />
Nico aveva preteso che si incontrassero lì per darsi un<br />
tono, Enzo il batterista aveva bestemmiato tutti santi per<br />
trovare un parcheggio, mentre Marco era già lì dalle<br />
11,30 con la ragazza/spettro dai capelli rossi che<br />
sorseggiava un the senza zucchero.<br />
Di Nico e consorte però non v’era traccia.<br />
Marco ed Enzo avevano portato i rispettivi curriculum<br />
con foto e un cd masterizzato contenente due pezzi<br />
registrati male. Enzo aveva allegato una foto tessera fatta<br />
alle macchinette della stazione, sembrava uno scafista.<br />
La vera perla era il curriculum artistico che aveva<br />
allegato sembrava una domanda d’assunzione in nero<br />
scritta da un extracomunitario.<br />
La foto di Marco era invece sull’artistico con effetto<br />
viraggio seppia, il curriculum era completamente<br />
inconsistente, si era attribuito qualifiche quali “keyboard<br />
programmer per noti gruppi nazionali ed internazionali”<br />
ed altre collaborazioni inesistenti con gruppi altrettanto<br />
inesistenti, ma comunque era meglio di niente.<br />
Il chitarrista invece aveva mandato a dire tramite Marco<br />
che lui lasciava il gruppo per seguire la sua vera<br />
vocazione: il cinema!<br />
Nico arrivò alle 13.15.<br />
“Uè Nicò, l’appuntamento era a mezzogiorno”, gli fece<br />
notare Enzo che aveva lasciato la macchina in doppia<br />
fila.<br />
“Per piacere, vatti a pigliare ‘na camomilla, vai, và” fu la<br />
risposta sguaiata di Nico.<br />
Il conto alla rovescia del meccanismo attivatosi già da<br />
tempo nella testa di Enzo accellerò sensibilmente.<br />
Nico non aveva portato un foto, aveva portato un ritratto<br />
eseguito dalla principessa Ernestina mentre era “in<br />
trance”.<br />
71
Come curriculum aveva allegato invece un testo<br />
scopiazzato dai Doors da mostrare come credenziale.<br />
Domenico raccattò il tutto e si avviò preoccupato<br />
all’ufficio di Ferdinando D’Alema, prima però passò per<br />
casa dove scrisse a mano un finto curriculum di Nico e<br />
recuperò una sua foto stile Matrix da spacciare per foto<br />
di Nico nel caso in cui D’Alema non avesse accettato il<br />
ritratto eseguito dalla principessa in trance.<br />
Domenico giunse nell’ufficio di D’Alema dopo una<br />
mezza giornata di viaggio, Ferdinando non stava facendo<br />
un cazzo di niente e lo fece aspettare mezz’ora senza<br />
motivo.<br />
“Ha portato i documenti?”, esordì impostando una voce<br />
stizzosa senza nemmeno rispondere al “dottore<br />
buongiorno” generosamente rivoltogli da Domenico.<br />
Ferdinando non era dottore aveva un diploma tecnico e<br />
non sapeva se quel titolo che gli era stato<br />
spontaneamente attribuito da Domenico fosse un modo<br />
sottile di prenderlo per il culo.<br />
“Manca la foto del gruppo”, puntualizzò acido.<br />
Domenico balbettò qualcosa di indefinito, non sapeva<br />
che dire: “io avevo capito che lei aveva bisogno delle<br />
foto dei singoli componenti, veramen…” , “eh aveva<br />
capito male”, lo interruppe il simil leader Ds<br />
“Io parlo italiano e credo di parlarlo anche piuttosto<br />
bene” e dicendo questo chiuse gli occhi e inarcò le ciglia<br />
scuotendo la testa in un gesto di diniego, in quel<br />
momento immaginava di essere a Porta a Porta col<br />
massimo dello share.<br />
Domenico guardava quella curiosa imitazione<br />
dell’imitazione che la Guzzanti faceva di D’Alema e<br />
cominciò a capire che con uno così non c’era verso di<br />
spuntarla.<br />
Il gruppo fu comunque autorizzato a partecipare alla<br />
rassegna in quanto i gruppi presenti erano due ed uno era<br />
anche in forse, come in forse era la rassegna stessa.<br />
Ferdinando ovviamente si guardò bene dal dirlo e finse di<br />
compiere un magnanimo strappo alle regole solo dopo<br />
aver mortificato inutilmente Domenico per un ulteriore<br />
quarto d’ora.<br />
Il giorno dopo potè dare l’annuncio trionfale a tutti i<br />
membri del gruppo comunicandogli che gli organizzatori<br />
avevano ascoltato il cd ed erano rimasti entusiasti e che il<br />
gruppo era stato inserito ufficialmente nel programma<br />
della sagra.<br />
72
Nico “si riservò” di partecipare, “dipende dall’impianto”,<br />
disse con un tono da artista di lungo corso, “se fa schifo<br />
io sul palco non ci salgo, non mi voglio sputtanare”.<br />
Domenico si augurò che Nico stesse recitando perchè da<br />
come aveva inquadrato la situazione nell’ufficio di<br />
Ferdinando era poco probabile che l’organizzazione<br />
disponesse di un impianto.<br />
Pensò di fugare, o confermare, i suoi dubbi e telefonò<br />
alla segreteria del comitato organizzativo della<br />
sagra/rassegna. Gli rispose Ferdinando in persona che in<br />
quel momento stava immaginando di essere a cena nella<br />
villa di Arcore: “certo che no, gli strumenti ve li dovete<br />
portare voi, ci mancherebbe altro, adesso mi metto a<br />
pensare pure a come amplificare tamburi e trombette...”.<br />
Questa fu la garbata risposta che Domenico ricevette<br />
riguardo alla disponibilità di un impianto.<br />
Inoltre c’era un altro problema: Enzo, che aveva appena<br />
scoperto di essere stato lasciato dalla fidanzata.<br />
Domenico si auguro subito che preso dallo sconforto<br />
abbandonasse il gruppo.<br />
Enzo, invece, aveva reagito nella maniera opposta.<br />
Per una sorta di logica malata pensava di poter riscattare<br />
l’amore perduto con una suonata magistrale di cui si<br />
sarebbe parlato a lungo e che lo averebbe rivalutato agli<br />
occhi della sua amata.<br />
Così stavolta aveva deciso di fare le cose in grande e di<br />
presentarsi al concerto con il suo set di batteria completo.<br />
Enzo faceva un lavoro umile ma redditizio.<br />
Viveva con i genitori, gente di paese molto parsimoniosa<br />
che si facevano il cibo in casa importando la materia<br />
prima dal paese. Enzo, dunque, non spendeva nulla né in<br />
vitto né in alloggio. Il vestiario gli veniva fornito dalla<br />
madre, grande frequentatrici delle bancarelle d’occasioni<br />
nei mercatini rionali, la macchina era una storica Alfa<br />
che aveva da una vita e che gli andava più che bene e i<br />
soldi guadagnati li spendeva concedendosi qualche caffé<br />
o qualche pizza il sabato con la ragazza. Ma il grosso dei<br />
suoi risparmi lo dilapidava in un’unica ossessione: la<br />
batteria.<br />
Enzo possedeva una batteria enorme, era un condominio<br />
di percussioni.<br />
Se un extraterrestre fosse atterrato sul nostro pianeta ed<br />
avesse visto la batteria di Enzo nonne avrebbe mai<br />
dedotto che gli esseri umani hanno soltanto due braccia e<br />
due gambe.<br />
73
Parte della batteria era costituita da un modello di punta<br />
degli anni ’80 autografato da un tizio che sembrava un<br />
parrucchiere per pornodive.<br />
Enzo aveva aggiunto un infinita, di piatti, percussioni,<br />
timbales, chincaglierie ritmiche, campanacci, un gong, un<br />
timpano da orchestra, una cassa aggiuntiva con doppio<br />
pedale, tom trasparenti, altri in legni esotici, campane<br />
tubolari, congas e tutto quello il negozio di strumenti<br />
locale riusciva ad appioppargli ad ogni nuovo stipendio.<br />
Enzo aveva espresso l’intenzione a Domenico di<br />
presentarsi al concerto con il suo set completo, che a sua<br />
volta aveva cercato di mediare la faccenda con Nico il<br />
quale aveva stroncato la mediazione con un: ”non<br />
cominciamo co’ ‘ste paranoie jazzistiche, anzi digli ad<br />
Enzo che si stesse proprio a casa o che si comprasse un<br />
campionatore, perchè io in mente ho il futuro, non il<br />
passato, il passato è out, capitò Domè ? è out!”, e mentre<br />
declamava questo manifesto futurista, con un tono di<br />
voce impostato per nascondere la cadenza paesana, la<br />
principessa Ernestina annuiva estasiata.<br />
L’ultima disperata telefonata Domenico la riservò a<br />
Marco, forse lui avrebbe potuto metterci una pezza<br />
almeno per quanto riguardava la faccenda dell’impianto.<br />
Marco non capì nemmeno di cosa stessero parlando,<br />
aveva capito un amplificatore per stereo o qualcosa del<br />
genere e pensò che si riferissero a quello: “si mi sembra<br />
che ce l’ho, lo porto io”.<br />
Domenico si sentì felice per circa due minuti, poi gli<br />
passò.<br />
Per il concerto si diedero l’appuntamento a mezzogiorno<br />
nella piazza del paese, ognuno ci sarebbe arrivato per<br />
cazzi suoi con grande spirito di gruppo.<br />
Domenico fu l’unico puntuale, cercò subito Ferdinando,<br />
senza trovarne traccia.<br />
Chiese in giro, non lo conosceva nessuno, domandò in un<br />
bar: “È ‘nu scem” commentò un giovinastro che stava<br />
armeggiando con un videopoker.<br />
Domenico aspettò in piazza con un leggero inizio di<br />
paranoia, era tutto deserto, il paese sembrava morto.<br />
C’era un unico manifesto senza data che annunciava una<br />
sagra, della rassegna musicale non faceva alcun cenno.<br />
Tommaso aveva finito di pranzare a mezzogiorno e<br />
mezzo quindi aveva girato a vuoto in casa per 10 minuti.<br />
Era sceso in giardino, aveva guardato senza motivo il<br />
cane, poi le galline e infine si era diretto verso la piazza<br />
del paese.<br />
74
Per una strana coincidenza si era vestito col vestito<br />
elegante del padre morto, tranne le scarpe che erano delle<br />
Nike comprate l’anno prima di contrabbando da un<br />
venditore itinerante con furgoncino.<br />
In paese Tommaso era conosciuto con un nomignolo<br />
descrittivo tipo quelli che usavano gli indiani per<br />
sintetizzare l’essenza di una persona. Il nomignolo che<br />
gli era stato affibbiato indicava nel dialetto locale un<br />
fannullone disadattato, patologicamente bugiardo con<br />
personalità dissociata.<br />
Domenico se lo vide venire incontro e, con l’arguzia<br />
tipica che lo contraddistingueva, lo inquadrò subito:<br />
vestito classico, scarpe da ginnastica, un tipo originale!<br />
Pensò che sicuramente doveva essere il discografico di<br />
cui avevano millantato gli organizzatori della<br />
sagra/rassegna.<br />
Infatti, nel suo primo incontro con Domenico,<br />
Ferdinando gli aveva rivelato “in via del tutto<br />
confidenziale” che era prevista la presenza “ufficiosa ma<br />
non ufficiale” di un “talent scout di una grossa casa<br />
discografica, una major!”.<br />
“Forse ha già sentito parlare di noi, perciò è qui ”, pensò<br />
Domenico andando incontro al fannullone svitato.<br />
“Salve, possiamo darci del tu, io sono<br />
Domenico…diciamo il manager degli Area 51, possiamo<br />
dire di essere colleghi eh? Ehheheh”.<br />
Tommaso, che non cercava altro che uno spunto, sorrise<br />
a sua volta e gli allungò una mano: “si, si, i colleghi<br />
ehehheh”.<br />
Domenico interpretò quella risposta ebete come una<br />
conferma alle sue speranze, era solo un po’ preoccupato<br />
per il gruppo che ancora non si vedeva.<br />
Ci sono due tipi di pazzi: quelli che si vede e quelli che<br />
non si vede, a Tommaso non si vedeva, anche perchè<br />
parlava poco, molto poco.<br />
Si limitava a riflettere a voce le imbeccate involontarie<br />
dell’interlocutore, elaborandole via via ed infarcendole<br />
di balle.<br />
Tommaso si presentò come Tommy, disse che lavorava a<br />
Milano (senza specificare in quale settore) e che<br />
conosceva bene Vasco Rossi.<br />
Domenico stava per entrare nello specifico quando senti<br />
una strombazzata di clacson e uno che gli faceva un<br />
cenno di saluto da un furgone bianco enorme: era Enzo<br />
con la batteria al completo.<br />
75
Ci furono i saluti di circostanza, poi Domenico presentò<br />
Tommy ad Enzo: ” è un discografico di Milano, è qui per<br />
il concerto”.<br />
Enzo gli strinse la mano con convinzione e cominciarono<br />
a parlare di musica e di musicisti.<br />
Enzo gli chiese se conoscesse Tullio De Piscopo,<br />
Tommy confermò sorridendo.<br />
Cominciarono a passeggiare per la piazza del paese,<br />
passeggiarono per oltre un ora senza incontrare<br />
praticamente nessuno.<br />
Alle 13.30 lo stomaco di Enzo cominciò a fare dei<br />
rumori tipo una radio ad onde medie.<br />
Domenico cercò una cabina a gettoni e provò a<br />
telefonare all’ufficio di Ferdinando, ubicato in una<br />
frazione vicina a qualche chilometro di distanza, ma non<br />
ottenne nessuna risposta.<br />
Enzo lo guardò preoccupato, “niente, niente “, lo<br />
rassicurò Domenico, “è ‘na cosa mia”.<br />
“È na femmina eh?”, ribatté Enzo sconsolato, “Domè<br />
lasciale perdere, so tutte zoccole!”, e sospirò<br />
amareggiato.<br />
Enzo cercava di distrarsi ma non ci riusciva<br />
completamente.<br />
Serena, la sua ex ragazza, maestra d’asilo piuttosto<br />
corpulenta, lo aveva lasciato con la motivazione di avere<br />
altre ambizioni ed altri progetti quindi si era data alla<br />
macchia.<br />
Enzo sapeva quali erano questi altri progetti, erano le<br />
corna, le famigerate corna belle e buone.<br />
Qualcuno se l’era lavorata ben bene, magari uno stronzo<br />
come a Nico che chissà che cazzo di chiacchiere<br />
intellettuali le aveva messo in testa e mo se la stava<br />
fottendo alla faccia sua.<br />
Ma ora c’era il concerto, il primo della sua vita, poteva<br />
essere un’occasione di riscatto e lui non voleva rovinarla.<br />
Però intanto gli era venuta fame, una cazzo di fame che<br />
non ci vedeva.<br />
“Domè ma non dovevamo mangiare qui? La braciola, la<br />
capra, ma addò stanno?” .<br />
Domenico gli fece cenno di attendere accompagnandolo<br />
il gesto con un occhiolino rassicurante.<br />
Enzo cominciò a spazientirsi.<br />
Erano passate le due del pomeriggio, non si vedeva<br />
nessuno dell’organizzazione, né della rassegna, né della<br />
sagra.<br />
76
“È strano”, commentò Domenico, “dovrebbero essere gia<br />
qui, avevamo concordato anche il pranzo”, ma nemmeno<br />
lui credeva alla stronzata che stava dicendo. Giocò una<br />
carta disperata, chiese a Tommy se avesse il numero di<br />
cellulare di Ferdinando o di qualcuno<br />
dell’organizzazione e sennò sarebbe andato direttamente<br />
all’ufficio di questi per informarsi.<br />
Se avesse fatto questo Domenico avrebbe limitato i danni<br />
della tragedia ma Tommy, con un autentico guizzo da<br />
fuoriclasse, tirò fuori un cellulare e finse di telefonare a<br />
degli organizzatori inesistenti.<br />
“Stanno venendo”, disse rivolto a Domenico, “ma dove<br />
stavano”, gli domandò quest’ultimo ingenuamente, “ a<br />
Roma”, rispose prontissimo Tommy che doveva avere<br />
una fissazione per i capoluoghi di regione.<br />
Intanto né Nico e né Marco avevano dato notizie.<br />
Ad Enzo la cosa non dispiaceva, anzi.<br />
Già immaginava di tenere un concerto solista a base di<br />
batteria e percussioni come aveva visto fare ad un tizio in<br />
uno stand di batterie Yamaha ad una fiera nazionale di<br />
strumenti musicali.<br />
In fondo ad un vialone del paese vi era un gazebo da<br />
orchestra abbandonato, Domenico azzardò: “mi sa che è<br />
là che dobbiamo suonare” e guardò Tommy che<br />
confermò immediatamente.<br />
Per tenere buono Enzo che scalpitava per la fame<br />
Domenico disse: “dobbiamo sistemare gli strumenti là”,<br />
ed indicò il gazebo, “forse ci conviene cominciare a<br />
montarli”.<br />
Enzo guardò la struttura semifatiscente e annuì , poi<br />
rivolto a Domenico quasi con tono di minaccia disse: “<br />
Si, ma prima aggia magnà!”.<br />
Alle 15 in punto Enzo, Domenico e Tommy vagavano in<br />
quel villaggio dei dannati in cerca di un ristorante, di una<br />
bettola o almeno di una salumeria.<br />
Entrarono in una specie di vinaio con un arredamento di<br />
altri tempi e chiesero di mangiare.<br />
Si accomodarono in uno squallore irreale in tre ad un<br />
tavolinetto che conteneva due persone a stento.<br />
“Questi sono i posti dove si mangia meglio, la vera<br />
cucina paesana…”, disse Domenico per infondere un po’<br />
di ottimismo in quell’ atmosfera da sfacelo.<br />
Un vecchio gli portò un piatto misto composto da<br />
qualche fetta di galbanino e un misto di salumi<br />
provenienti da qualche discount cittadino, una bottiglia di<br />
vino acido e un paio di arance.<br />
77
In qualità di manager del gruppo il conto toccò a<br />
Domenico: venti euro.<br />
Quando uscirono dalla bettola cominciò<br />
improvvisamente a piovere, prima lentamente, poi come<br />
in un film di Frankenstein.<br />
Ripararono sotto l’arcata di un palazzo che puzzava di<br />
merda di porco e, ipnotizzati dallo scrosciare incessante,<br />
persero la cognizione del tempo.<br />
Quando spiovve era quasi il tramonto, si riportarono<br />
verso la piazzetta del paese.<br />
Nico li stava aspettando polemico, era arrivato da un<br />
paio di minuti: “ma dove cazzo stavate, io me ne stavo<br />
già andando”.<br />
Enzo non gli rispose nemmeno e si avviò al furgone.<br />
Salì, lo mise in moto e parcheggiò vicino al gazebo.<br />
Domenico presentò il discografico Tommy a Nico, il<br />
quale, con l’atteggiamento per nulla intimorito da<br />
rockstar abituata a fronteggiare i pescecani delle<br />
multinazionali, gli chiese: “Per chi lavori?”<br />
“Canale 5” , ribatté a volo il pazzo.<br />
“Aeeehhh Berlusconi…”, fece Nico con un espressione<br />
semi disgustata, “vabbè …ne possiamo parlare, a<br />
proposito Domè l’impianto?”.<br />
Domenico non sapeva che cazzo dire e disse l’unica cosa<br />
che gli venne in mente: “lo doveva portare Marco”,<br />
“Marco?”, fece Nico, “e dove lo prendeva Marco<br />
l’impianto, e chi glielo portava babbo natale o la befana o<br />
la fata turchina? ”<br />
Nico non si limitava mai ad una semplice constatazione<br />
polemica, doveva sempre aggiungervi uno strascico<br />
offensivo ed esasperante.<br />
Proprio in quel momento giunse la macchina di Marco<br />
con fidanzata/spettro al seguito.<br />
Era una macchina troppo piccola per contenere un<br />
impianto insieme al resto degli strumenti, Domenico fece<br />
subito questa constatazione e cominciò a provare una<br />
sensazione che non sentiva dai tempi della scuola quando<br />
i professori lo beccavano impreparato.<br />
Dopo i saluti e le presentazioni di rito affrontarono la<br />
questione dell’impianto: “l’ho portato” annunciò Marco<br />
trionfante e tirò fuori da portabagaglio della macchina un<br />
comunissimo amplificatore per impianto stereo con due<br />
casse da 20W.<br />
“Ho portato anche questo”, aggiunse alla platea allibita e<br />
tirò fuori un amplificatore con ingresso microfonico e<br />
lettore cd incorporato per karaoke.<br />
78
Nico non trovava le parole per offendere, rimase muto<br />
per circa 30 secondi, poi con un atteggiamento<br />
divistico/stizzito alla David Bowie durante il periodo<br />
Glam ingiunse a Domenico di farlo parlare<br />
immediatamente con gli organizzatori.<br />
“Stanno arrivando”, cercò di rassicurarlo Domenico,<br />
“stanno arrivando, calmati, hanno parlato con Tommy”,<br />
Nico guardò Tommy che aveva lo stesso sorriso ebete da<br />
quando glielo avevano presentato.<br />
“Dove sono gli organizzatori, dove cazzo stanno tutti? Io<br />
qui non vedo nessuno!” ribadì Nico rivolgendosi a<br />
Tommy il quale, senza scomporsi né smettere di<br />
sorridere, gli chiese di rimando: “oh, mica tieni ‘na<br />
sigaretta?”.<br />
Domenico guardò Tommy con occhi nuovi e solo in quel<br />
momento ebbe una triste intuizione su tutta la faccenda,<br />
intuizione che gli fu confermata in maniera casuale da un<br />
giovinastro del luogo che proprio in quel momento<br />
passava di lì su un motorino. Non appena avvistò<br />
Tommaso il giovinastro inchiodò il mezzo e gli urlò<br />
qualcosa in dialetto stretto, una sorta di nomignolo che<br />
Domenico non riuscì a decifrare ma che su Tommaso<br />
ebbe un effetto simile all’esecuzione di un comando di<br />
avvio di un programma.<br />
Tommaso cominciò ad urlare e a scagliare tutto quello<br />
che riusciva a raccogliere da terra all’indirizzo del<br />
giovinastro, urlando imprecazioni in un dialetto<br />
strettissimo, il giovinastro dal canto suo se la rideva e<br />
cominciò ad effettuare dei giri larghissimi intorno a<br />
Tommaso, sempre più esagitato, alla fine impennò e si<br />
diresse verso un’uscita del paese con Tommaso che lo<br />
rincorreva schiumando.<br />
Domenico era pietrificato per l’imbarazzo, doveva<br />
risolvere da solo quella situazione, “Marco mi<br />
accompagni un attimino all’ufficio degli organizzatori<br />
qui vicino, così vediamo di risolvere ‘sto casino una<br />
volta per tutte?”.<br />
Marco annuì e salì in macchina, fece scendere lo spettro<br />
da i capelli rossi, che in tutto ciò non aveva fatto una<br />
piega, e la lasciò assieme a Nico, allo stereo e al<br />
Karaoke.<br />
“”Ragà torniamo subito”, fece Domenico e si diressero<br />
verso un ufficio vuoto distante qualche chilometro.<br />
Nico sbuffò, risbuffò, si girò ed inquadrò qualcosa in<br />
lontananza. Era un gazebo e c’era uno che stava<br />
scaricando e montando un set di batteria come non si<br />
79
vedeva dalla tournee del 1977 degli Emerson, Lake and<br />
Palmer.<br />
Nico riconobbe Enzo e fece il più grande errore di una<br />
giornata errata, andò a comunicargli di persona che non<br />
era più il batterista degli Area 51 e che poteva rimettere<br />
le sue bagattelle in macchina e andarsene perchè lì non<br />
avrebbe suonato.<br />
“Cioè se ti devi fare ‘ste masturbazioni mentale, fattele<br />
per i cazzi tuoi, tu stai male, te ne rendi conto, noi<br />
facciamo un discorso nuovo e tu vieni qua co’ ‘sti<br />
baldacchini, i gongs, i bonghetti, cioè tu sta male fratè sei<br />
out, out! Fatti meno masturbazioni mentali e non sono<br />
mentali pure manuali”, e accompagnò quest’osservazione<br />
di alta psicanalisi mimando un pugnettone, “meno seghe<br />
fratè, meno seghe e vedi che la prossima volta la tua<br />
ragazza non ti molla!”.<br />
Detto questo Nico fece il secondo gravissimo errore, cioè<br />
gli girò le spalle e cominciò ad incamminarsi verso la<br />
piazza del paese.<br />
Gli stava squillando il videofonino appena regalatogli<br />
dalla principessa Ernestina, la quale lo stava chiamando<br />
per dirgli che lei sarebbe stata pronta verso le 20 e di<br />
mandare qualcuno a prenderla, come si conveniva alla<br />
donna di una star.<br />
Enzo appoggiò una coppia di tom in bubinga sul<br />
pavimento del gazebo e scese la scaletta di legno con una<br />
calma apparente, il meccanismo attivato<br />
inconsapevolmente da Nico nel suo cervello aveva<br />
compiuto il suo conto alla rovescia.<br />
“Amò mi vedi?”, gli videochiese la principessa<br />
Ernestina giocherellando con un lenzuolo (si era<br />
svegliata da un quarto d’ora), “certo che ti vedo piccola e<br />
tu mi vedi?”, “si, anche io Nick, stasera canterai per<br />
me?”<br />
Nico afferrò il telefonino come fosse stato un microfono,<br />
lo sistemò un po’ più in alto all’altezza degli occhi e con<br />
delle movenza alla Jim Morrison versione super Alvi<br />
attaccò il suo nuovo hit: “Looking into my eyes, I can<br />
feel the future of a love whi..”<br />
La principessa Ernestina vide la faccia di Nico<br />
scomparire dall’inquadratura unitamente ad un rumore<br />
sordo ed alla comparsa di una mano da energumeno che<br />
si abbatté da tergo sulla zona orecchio-mandibola del suo<br />
diletto. Il videofonino rotolò per terra continuando ad<br />
inquadrare uno spicchio di aiuola di paese mentre l’audio<br />
80
trasmetteva la diretta di un pestaggio feroce ed<br />
unilaterale.<br />
“NICO, NICO, NICOOOOOO”, si sgolava la<br />
principessa impotente, mentre continuava a ricevere la<br />
diretta audio di pugni, calci, schiaffoni, bestemmie e<br />
insulti e infine anche il rumore di una conclusiva ed<br />
umiliante sputazzata in faccia.<br />
“Aiut’, aaiut….aiutathem”, era Nico singhiozzante,<br />
rannicchiato per terra che ingoiava muco e sangue mentre<br />
gli veniva da vomitare.<br />
Lo spettro dai capelli rossi aveva osservato tutta la scena<br />
senza battere ciglio, in piedi, immobile, vicino<br />
all’apparecchio del karaoke.<br />
81
CAP XIII<br />
Quarto potere<br />
Claudio non ricordava chi era lo stronzo che una volta<br />
aveva detto che se dei cani vogliono morderti devi<br />
rimanere immobile e non mostrare alcun segno di<br />
nervosismo.<br />
Il primo bastardo lo aveva morsicato al polpaccio due<br />
volte, a quel punto aveva iniziato a correre e ad urlare<br />
come una di quelle tipe che vengono scannate nei film di<br />
Dario Argento, solo che lo scenario era molto meno<br />
suggestivo e molto più ripido.<br />
Claudio cadde quasi subito in maniera ridicola e<br />
cominciò a rotolare circondato da un branco di bastardini<br />
di media taglia che abbaiavano e smozzicavano<br />
qualunque arto avessero a tiro, poi ci fu un bagliore, una<br />
frenata e un botto.<br />
Era stato semi-investito da un fuoristrada bianco, che<br />
sembrava un gigantesco orso polare, guidato dal re<br />
cittadino della pasta fresca.<br />
Si era strappato la maglietta e bucato il pantalone,<br />
Sanguinava dalle braccia dal polpaccio e forse si era<br />
anche un po’ pisciato addosso.<br />
Il re della pasta fresca lo recuperò a bordo di quello<br />
shuttle a 4 ruote e lo riportò al locale dal quale era stato<br />
appena cacciato.<br />
Fu medicato dallo stesso cameriere che lo aveva messo<br />
alla porta, mentre il re della pasta fresca si vantava con<br />
una piccola folla di clienti curiosi raccontando di come lo<br />
avesse strappato da morte sicura da un branco di pitbull<br />
feroci che volevano sbranarlo.<br />
Era presente un giornalista locale con fotografo al<br />
seguito, venuto ad immortalare la vincitrice di un torneo<br />
di burraco che si stava svolgendo nel locale.<br />
Al giornalista venne un’ ispirazione improvvisa e in men<br />
che non si dica Claudio diventò la notizia del giorno<br />
nella prima pagina di un quotidiano cittadino di bassa<br />
tacca.<br />
Lo fotografarono sudato, sporco e graffiato vicino al re<br />
della pasta fresca.<br />
Grazia lo guardava schifata e a chi le chiedeva se lo<br />
conoscesse rispondeva con lo sguardo assente di sì,<br />
aggiungendo che si trattava di un ragazzo con dei<br />
82
problemi psichici e che si trovava lì perchè erano mesi<br />
che la seguiva e la perseguitava e una volta aveva cercato<br />
addirittura di violentarla.<br />
Al giornalista non sfuggì una virgola di quelle ghiotte<br />
rivelazioni e pubblicò il tutto con sobrietà e scrupolosa<br />
verifica delle fonti: “Il re della pasta fresca salva un<br />
maniaco dai pitbull che usava per violentare le sue<br />
vittime”, seguiva una foto di Claudio in primo piano, con<br />
un espressione stravolta ma riconoscibilissimo, affiancata<br />
ad una foto del re della pasta fresca di dieci anni più<br />
giovane e da un’ulteriore foto della “perseguitata” con<br />
tanto di intervista.<br />
Claudio rientrò a casa a notte inoltrata, cercando di non<br />
svegliare nessuno.<br />
Nel buio silenzioso della notte, mentre attraversava il<br />
corridoio sentì una voce sgradevolmente nota rompere il<br />
silenzio: ”È tornato Casanuova, buona notte, Don<br />
Giovanni ehhehehhe”.<br />
Claudio raggiunse la sua stanza distrutto coi gomiti e<br />
polpaccio in fiamme, dovette addormentarsi a pancia<br />
sotto e senza lenzuola.<br />
Un ginocchio ancora sanguinava.<br />
Fu svegliato il giorno dopo da zio Titino che su<br />
indicazione di Franco, che aveva telefonato a casa di<br />
Claudio da un bar alle 8 di mattina, era corso a comprare<br />
il quotidiano locale con la foto di “Claudio S. il<br />
maniaco”.<br />
“Claudio ma che hai combinato”, esordì Zio Titino con<br />
uno sguardo vitreo da toporagno, “lo sai che le donne<br />
non si picchiano nemmeno con un fiore!”.<br />
Claudio pensò che stesse sognando, arrivò la madre che<br />
gli passò il cordless disgustata: “Rispondi! È Franco!”.<br />
“Claudio, Claudiè, ma che hai fatto?! Mannaggia a te,<br />
mannaggia, addirittura con i cani?! Ma come ti piacciono<br />
‘ste cose? Comunque Claudiè io ti sono amico e per me<br />
non c’è problema ma è meglio che non scendi e che non<br />
ti fai vedere in giro perchè qua l’hanno presa male, ( e<br />
qui Franco, da attore consumato abbassò il tono di voce)<br />
pare che ‘sta Grazia fosse fidanzata con un mezzo<br />
camorrista e mo dicono che questo ti va cercando e che<br />
ha detto che se ti trova prima della polizia…vabbè<br />
Claudiè hai capito…stammi bene è meglio che non sto<br />
troppo al telefono, ciao cià”.<br />
Claudio avrebbe voluto avere una macchina del tempo,<br />
tornare al giorno prima dell’arrivo di zio Titino a casa<br />
83
sua, fare la valigia e andarsene in vacanza da qualche<br />
parte, qualunque parte.<br />
Rimpiangeva quei giorni di noia che lo avevano<br />
accompagnato per anni e che forse non sarebbero mai più<br />
tornati.<br />
Passò la giornata chiuso in camera a leggere e rileggere<br />
quegli articoli demenziali e a dare spiegazioni che<br />
apparivano ancora più incredibili della versione riportata<br />
dal giornale.<br />
“Se ti arrestano io non ti pago l’avvocato”, concluse la<br />
madre prima di lasciarlo solo.<br />
Claudio guardò il cielo fuori dal balcone.<br />
C’era un tramonto bellissimo ma ormai tutto sembrava<br />
una gigantesca trappola mortale e forse la prossima volta<br />
non si sarebbe salvato.<br />
Qualche tempo prima aveva letto di una sindrome che<br />
colpiva alcuni adolescenti giapponesi che<br />
,improvvisamente, decidevano di chiudersi nella loro<br />
stanza e di non uscirne più. I genitori per nutrirli gli<br />
passavano il cibo con dei vassoi portavivande attraverso<br />
apposite fessure ricavate nelle porte.<br />
Al momento gli era sembrato un comportamento assurdo<br />
ma ora lo stava rivalutando, forse quei ragazzi non<br />
avevano tutti i torti.<br />
84
CAP XIV<br />
Cany&Porcy<br />
Fu un altro quotidiano, ma un po’ più serio di quello che<br />
aveva sbattuto “Claudio il maniaco” in prima pagina, a<br />
comunicare a Sergio che non aveva più un lavoro. Sergio<br />
era finito ai margini di uno scandalo cittadino che aveva<br />
come oggetto il Tatyufficio.<br />
Lo scandalo veniva denominato, a seconda delle testate,<br />
Internettopoli, Golden Web o Figliopoli, come<br />
velenosamente aveva insinuato il cronista più arguto e<br />
meglio informato.<br />
Il padre di Taty era ad un passo dalla galera, i vertici<br />
universitari erano nella bufera.<br />
Le correnti politiche avverse gridavano allo scandalo “di<br />
questi baroni che dissanguavano gli studenti e<br />
distraevano fondi che venivano sperperati in iniziative<br />
fantoccio create unicamente per trovare una collocazione<br />
nepotistica”.<br />
Gli unici ai quali la faccenda sembrava interessare meno<br />
di zero erano proprio gli studenti e, ovviamente, Taty la<br />
quale nessun pubblico ministero della repubblica italiana<br />
avrebbe mai giudicato capace di intendere e di volere.<br />
Secondo il giornale Sergio figurava nell’organigramma<br />
societario come consulente esperto di reti dallo stipendio<br />
d’oro, Saby (una paperiforme con tatuaggio di Snoopy)<br />
come esperta di e-commerce e Ciro a’mmerda (che in<br />
quel preciso istante stava cercando di capire a che cazzo<br />
servisse il router che aveva appena rubato) come addetto<br />
al customer care service.<br />
Sergio tornò a casa di nuovo nelle vesti di disoccupato.<br />
La mamma lo avvertì che lo aveva telefonato una certa<br />
Mariarosaria da una certa azienda, Sergio bluffò e per<br />
prendere tempo con la madre disse che era una cosa di<br />
lavoro. La madre ribatté allora di tenere acceso il<br />
cellulare visto che la tipa le aveva detto che sul cellulare<br />
Sergio risultava non raggiungibile.<br />
“E vedi di fartelo dare ‘sto lavoro” chiosò la madre.<br />
Sergio pensò che forse la mamma gli aveva<br />
involontariamente suggerito come utilizzare l’inutile<br />
Mariarosaria.<br />
La richiamò sul telefono dell’azienda per risparmiare sul<br />
cellulare, gli rispose proprio lei.<br />
85
Sergio recitò la parte del preoccupato nervoso finché lei<br />
non abboccò e gli chiese che cosa avesse, “niente, ho<br />
perso il lavoro, ma figurati, non mi va di parlarne, non<br />
voglio romperti le palle”.<br />
A Mariarosaria quell’imbeccata di disgrazia non sembrò<br />
vera.<br />
Gli fece la cronistoria di un lavoro perso da una sua<br />
carissima amica che durò circa un’ora, Sergio entrò in<br />
una fase di ipnosi indotta, si riprese quando sentì il<br />
campanello di casa, “scusa, ma devo andare ad aprire”.<br />
Prima di congedarsi Mariarosaria lo invitò ad una festa di<br />
laurea della cugina e gli disse di non preoccuparsi per il<br />
lavoro perchè lei avrebbe chiesto in giro e sicuramente<br />
gli avrebbe fatto sapere qualcosa.<br />
Da come aveva inquadrato Mariarosaria e parenti,<br />
Sergio aveva capito che erano dei ricchi sfigati, cioè<br />
quelli che, anche se sono ricchi, sanno comunque di<br />
assegno posdatato.<br />
In effetti Mariarosaria e famiglia facevano parte di una<br />
parentela di sfigati benestanti sui quali i soldi non<br />
facevano figura. Se si fossero messi alla guida di una<br />
Ferrari, il rosso della carrozzeria avrebbe cominciato a<br />
sbiadire, le curve della carrozzeria a squadrarsi e in breve<br />
anche una F40 nuova di zecca ti avrebbe fatto l’effetto di<br />
un’ Alfasud non lavata.<br />
Intanto avrebbe dovuto ricambiare il regalo ma non<br />
sapeva né con cosa né con quali mezzi, visto che dal<br />
Tatyufficio non aveva visto nemmeno un accenno di<br />
stipendio.<br />
Se la cavò con un tappetino del Mouse fregato al<br />
Tatyufficio ancora imballato, con Homer e Marge<br />
Simpson che si baciavano.<br />
Per quanto riguardava il regalo da fare alla cugina di<br />
Mariarosaria pensò che non era tenuto perchè a questa<br />
chi cazzo la conosceva e poi era stato invitato mica aveva<br />
chiesto lui di andarci e poi…figurati se arrivato lì gli<br />
avrebbero chiesto il regalo.<br />
Gli invitati alla festa di laurea di Mina (Gelsomina?,<br />
Guglielmina? Boh?) dovevano sfilare in una sorta di<br />
processione uno alla volta lungo un percorso obbligato al<br />
termine del quale giungevano al cospetto di una<br />
cafonazza grassoccia con una specie di zucchero filato<br />
rosso sangue al posto dei capelli e con un vestito nero<br />
brillantinato da baldracca da circo.<br />
Gli invitati dovevano quindi stringere la mano, farle gli<br />
auguri, baciarla sulla guancia e consegnarle l’invito e il<br />
86
egalo che lei riponeva, dopo averne valutato la<br />
consistenza, su un lunghissimo tavolo laterale messo lì<br />
apposta.<br />
Questa cerimonia di buon gusto aveva luogo<br />
nell’ingresso dell’hotel-ristorante-salone-per-sponsalicomunioni-battesimi-feste-di-laurea<br />
“il Giglio”, che<br />
cambiava gestione ogni volta che ammazzavano o<br />
arrestavano il proprietario del momento.<br />
Era un locale per taccagni che volevano il lusso ma che<br />
non intendevano pagarlo l’unica cosa che ti garantivano e<br />
che probabilmente non saresti finito in ospedale per<br />
intossicazione alimentare, ma sulla qualità della materia<br />
prima non potevi pretendere più di tanto.<br />
L’arredamento del locale era frutto della sovrapposizione<br />
di vari stili dovuti alle varie gestioni, nel complesso era<br />
fermo ad un estetica metà annì80, un po’ come gli<br />
invitati alla festa di laurea.<br />
Quella di Mina, così come quella di Mariarosaria erano<br />
la prima generazione di laureati di un ceppo famigliare<br />
dove l’analfabetismo aveva regnato indisturbato dall’età<br />
del bronzo fino ai loro nonni.<br />
I loro genitori “avevano fatto i soldi” solo che erano stati<br />
troppo presi dal lavoro per potersi affrancare socialmente<br />
non solo negli estratti conto ma anche nell’aspetto.<br />
Avevano un’idea del benessere e dell’eleganza basata<br />
probabilmente su film vecchi di 20 anni trasmessi dalle<br />
tv locali di cui erano rimasti spettatori affezionatissimi ed<br />
avevano ancora il videoregistratore con le videocassette<br />
che andavano da “Totò truffa” a “Il ciclone”.<br />
Sergio si trovò posizionato in fila all’ingresso davanti a<br />
Mariarosaria e quando giunse a mani vuote al cospetto<br />
della neodottressa, le strinse la mano, le fece tanti auguri<br />
e stop. Ci fu un momento di empasse, risolto<br />
brillantemente da Mariagrazia che si gettò in avanti con<br />
un pacco contenete Dio solo sa cosa: ”Mina questo è da<br />
parte mia e di Sergio…lui è Sergio…il mio …rh’gazzo”,<br />
osò Mariagrazia affievolendo la voce, Sergio sperò di<br />
non aver capito bene e dribblata la dottoressa entrò nella<br />
sala.<br />
C’era un ambiente da strozzini in decadenza, tavoli<br />
addobbati, vecchie che già avevano preso posto e<br />
bambini che le facevano disperare.<br />
C’erano cugine venute dal paese vestite con una sobrietà<br />
da viados e con relative mamme che le aizzavano a<br />
mettersi in mostra.<br />
87
I maschi avevano le facce appese e parlavano tra di loro<br />
di forniture e pagamenti, i più allegri si sfottevano<br />
reciprocamente sulle squadre del cuore.<br />
Poi c’era anche qualche pompato male che, su un fisico<br />
geneticamente sgraziato e sproporzionato, aveva<br />
ipertrofizzato coppie di muscoli a sprazzi.<br />
Indossavano delle magliette aderentissime e, nonostante<br />
la temperatura fosse tutt’altro che mite, erano a maniche<br />
corte.<br />
Stavano seduti in disparte, serissimi, depilatissimi e<br />
lampadati male, sembravano lessati nell’acqua bollente.<br />
Uno di loro aveva un tatuaggio fatto da poco, tutto gonfio<br />
ed unto di vaselina, fingeva indifferenza ma si capiva che<br />
soffriva di un bruciore cane.<br />
Sergio e Mariarosaria si accomodarono ad un tavolo con<br />
una vecchia decrepita, un vecchio con la faccia da<br />
ubriacone, un tipo giovane che sembrava un<br />
rappresentante di bare e una che doveva esserne la sorella<br />
brutta e pallida con delle venuzze bluastre che le<br />
guarnivano palpebre e occhiaie.<br />
Si chiamava qualcosa tipo Sardina o Sartira, Sergio non<br />
lo riuscì a decifrare, ed era la cugina preferita di<br />
Mariarosaria infatti attaccarono subito una conversazione<br />
fitta scambiandosi esperienze di disgrazie che andavano<br />
dal campo amministrativo/burocratico a quello<br />
medico/sanitario.<br />
All’improvviso Sergio ebbe un flash percettivo che lo<br />
fece sobbalzare, guardò meglio e sentì il sacchetto delle<br />
palle raggrinzirglisi per l’imbarazzo: a qualche tavolo di<br />
distanza da lui c’era la segretaria serpe della Sparviero<br />
che lo fulminò con uno sguardo beffardo.<br />
Sergio cercò di convincersi che non gliene fregava<br />
niente, ma non gli riuscì, cominciò ad avvertire un<br />
curioso senso di paranoia che gli provocava una<br />
sensazione di straniamento.<br />
Rispondeva in ritardo o in maniera sconclusionata alle<br />
domande di rito che gli rivolgevano, Mariarosaria lo<br />
guardò preoccupato:”Ma ti senti bene?”, lui fece cenno di<br />
sì e tracannò un bicchiere di spumantino.<br />
Cercò di concentrarsi su qualcosa, prima giocherellò con<br />
dei grissini poi cominciò a scorrere il menù, lo lesse più<br />
volte, era un delirio:<br />
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Antipasto della costa in salsa fumè<br />
Cocktail delle isole<br />
Stuzzichini fantasia mondiale 2006<br />
Trofie tartufi e salmone<br />
Linguettine al cacao con anima di seppia<br />
Vitello azzurro in crema di emozioni<br />
Trionfo di mare con guazzetto di perle<br />
Insalata normanna<br />
Antichi sapori<br />
Torta Sharm el Sheik<br />
Champagne Prada<br />
Sergio fissava i riflessi dei calice da aperitivo svuotato<br />
pensando a quando era stato felice senza sapere di<br />
esserlo, pensava al Tatyufficio e a quella banda di papere<br />
invasate che, tutto sommato, ti mettevano di buonumore.<br />
Sergio non poteva saperlo ma in quel momento Taty era<br />
in viaggio per Sharm el Sheik, quella vera non quella<br />
millantata nel Menu.<br />
Il padre l’aveva tolta da mezzo in attesa che si<br />
calmassero le acque e lei, probabilmente, non si era<br />
nemmeno accorta di essere stata imbarcata.<br />
In questo momento stava sorvolando la Sicilia in<br />
compagnia di Nuit ed Hadit e stavano facendo passare un<br />
brutto quarto d’ora a qualche hostess o ai loro vicini di<br />
posto.<br />
Sergio sobbalzò allo scoppiare di un fragoroso applauso,<br />
erano arrivati Marta & Tony, rispettivamente cantante e<br />
tastierista: lo squallore fatto musica.<br />
Tony caricò una base sulla tastiera e cominciò a fingere<br />
di suonare, Marta, quasi quarant’anni con un figlio a<br />
carico, attaccò una versione di “Senza Fine” con dei<br />
suoni orrendi di orchestra sintetica che fece aumentare di<br />
ben due tacche il livello dello squallore generale.<br />
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La cantante somigliava in modo impressionante alla<br />
festeggiata, Sergio pensava che fossero la stessa persona,<br />
si accorse dell’equivoco solo quando la neolaureata si<br />
avvicinò alla cantante per una richiesta.<br />
Marta si consultò con Tony che armeggiò un poco sul<br />
pannello della tastiera e poi partì la base di un pezzo di<br />
Vasco Rossi, “questa canzone la conosco” disse<br />
Mariarosaria rivolgendosi a Sergio, “è molto bella la<br />
conosci?”<br />
Sergio la conosceva e gli sembrava una cagata ma per<br />
non polemizzare le fece segno di no, “sentila, sentila,<br />
soprattutto il testo è bellissimo” disse Mariarosaria e<br />
cominciò a canticchiarlo all’unisono con Marta.<br />
Più la cena andava avanti, più aumentava il tasso alcolico<br />
nel sangue degli ospiti e più venivano fuori le radici di<br />
ciascuno.<br />
La cantante fiutò l’atmosfera da sagra e si lanciò in un<br />
medley di tarantelle che culminò in un gigantesco trenino<br />
danzante al quale fu costretto a partecipare anche Sergio<br />
che incrociò più di una volta lo sguardo sarcastico della<br />
segretaria serpe che, naturalmente, era rimasta seduta.<br />
Dopo il trenino fu la volta dei lenti, la dottoressa Mina<br />
aprì le danze col fidanzato (uno brizzolato col doppio<br />
della sua età che andava a puttane in Romania).<br />
A Sergio toccò ballare avvinghiato da Mariarosaria un<br />
pezzo di Giorgia che diceva “io ci metterò/ tutta l’anima<br />
che ho…” mentre Mariarosaria, che puzzava di profumo<br />
abbinato male, lo guardava languida.<br />
In quel momento Sergio decise definitivamente di<br />
rinunciare alla possibilità di un eventuale lavoro e di<br />
mollare Mariarosaria e tutta quella vagonata di<br />
Buddenbrock con partita i.v.a. seduta stante.<br />
Poi si ricordò che però erano andati lì con il fuoristrada<br />
di Mariarosaria, quindi continuò a ballare.<br />
Le danze furono interrotte da un discorso al microfono di<br />
Mina che si prese incredibilmente sul serio e nel finale<br />
cominciò addirittura a piangere.<br />
Quella di piangere a sproposito fu l’unica cosa che diede<br />
a quella festa un tocco televisivo di contemporaneità.<br />
I festeggiamenti terminarono dopo la mezzanotte, Sergio<br />
finse un malore da vino bianco per evitare che a quella<br />
sogliola racchia e arrapata di Mariarosaria venisse in<br />
mente di prendere qualche iniziativa e si fece<br />
accompagnare subito a casa.<br />
La mattina dopo Sergio evitò accuratamente di accendere<br />
il cellulare e passò gran parte della giornata fuori casa.<br />
90
Quello che ignorava, però, era che Mariarosaria, non<br />
riuscendo a raggiungerlo sul cellulare, lo aveva<br />
telefonato più di una volta a casa ed aveva imbastito un<br />
inaspettata conversazione amichevole con sua madre<br />
durante la quale, oltre ad averle rivelato di essere in<br />
pratica la sua nuova nuora, voleva altresì comunicarle di<br />
aver trovato un ottima opportunità di lavoro a Sergiolino.<br />
Certo, si trattava solo di un colloquio ma c’erano delle<br />
ottime possibilità perchè suo padre era molto<br />
ammanicato con questa ditta e aveva già fatto assumere<br />
più di una persona.<br />
“Sono sicura che come conosceranno Sergio rimarranno<br />
entusiasti”, cinguettò in risposta la madre alla quale tanta<br />
fortuna non pareva vera.<br />
“Sergio gli saprà dimostrare subito quello che vale, li<br />
farà rimanere a bocca aperta”.<br />
L’unico a rimanere a bocca aperta, invece, fu Sergio il<br />
quale, rientrato in casa, su ingiunzione improrogabile<br />
della madre, fu costretto a richiamare alle 22.30<br />
Mariarosaria addirittura sul numero di casa.<br />
Rispose proprio lei al primo squillo e raggiante<br />
comunicò a Sergio che gli aveva fissato un colloquio di<br />
lavoro con una ditta che stava molto “ammanicata” con<br />
suo padre: la SPARVIERO –serramenti e infissi in P.V.C<br />
Sergio, che non aveva detto nulla alla madre sui veri<br />
motivi del licenziamento della SPARVIERO ma che le<br />
aveva raccontato una balla inverosimile a base di<br />
contratto scaduto, lavori a progetto ed emendamenti della<br />
finanziaria, non riuscì ad opporre alcuna difesa né alcuna<br />
scusa plausibile e all’alba di due giorni dopo si ritrovò a<br />
rivivere lo stesso ciclico incubo autostradale di qualche<br />
tempo prima.<br />
Guidava teso, sudacchiava e pensava.<br />
Migliaia di pensieri gli si accavallavano, tutti di merda.<br />
Lo avrebbero riconosciuto?<br />
Questo era certo!<br />
E cosa avrebbero fatto?<br />
Avrebbero avvertito Mariarosaria?<br />
La madre?<br />
Lo avrebbero rispedito indietro direttamente?<br />
Lo avrebbero fatto umiliare dalla segretaria serpe?<br />
Avrebbero raccontato l’aneddoto per anni<br />
sghignazzando?<br />
In effetti era una situazione da barzelletta e se non<br />
fossero stati cazzi suoi ne avrebbe anche riso.<br />
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Chiunque ne avrebbe riso, tranne la madre di Sergio.<br />
Mentre pensava sfaceli, adocchiò ad una cinquantina di<br />
metri un’uscita laterale con l’insegna della Sparviero e<br />
quando che la ebbe a pochi metri di distanza ingranò la<br />
marcia superiore e, accelerando, tirò dritto verso il nulla.<br />
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