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Oplepo: scrittura à contrainte e letteratura potenziale - Paolo Albani

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Nel gioco avviene, dunque, una specie di sospensione del giudizio<br />

“normale” a favore di una “normalit<strong>à</strong> altra” 139 . Si tratta di una capacit<strong>à</strong><br />

visionaria che avvicina molto il gioco alla creativit<strong>à</strong> artistica e che è<br />

sufficiente, come suggerisce Lotman, a decretare il valore gnoseologico<br />

della pratica ludica, soprattutto se legata all’arte 140 .<br />

In un interessante volume intitolato Scrittori giocatori, Stefano<br />

Bartezzaghi compie un viaggio attraverso la biografia e l’opera di alcuni tra<br />

i più affermati autori della <strong>letteratura</strong> italiana e internazionale (da Dante, in<br />

cui la poesia e il gioco linguistico spesso coincidono, a John Cage con i suoi<br />

mesostici, i limerick di Dossena, gli enigmi nella Recherche di Proust, e poi<br />

ancora Nabokov, Gadda, Queneau, Calvino, Celati, Roland Barthes,<br />

Arbasino ed molti altri) puntando la sua attenzione alla dimensione del<br />

gioco sempre presente e inestricabilmente legata al fenomeno della <strong>scrittura</strong>,<br />

dell’arte e della creativit<strong>à</strong>. Il gioco può essere, infatti, un argomento della<br />

<strong>letteratura</strong>, ma più spesso è un modo per intenderla, è un’impostazione<br />

mentale, è un vero e proprio modus operandi. L’invito di Bartezzaghi, a sua<br />

volta scrittore e enigmista, è quello di «cercare il gioco anche dove nessuna<br />

139 È interessante e qui appena confermata l’idea espressa da Stefano Bartezzaghi in<br />

Scrittori giocatori: il gioco instaura un rapporto totalmente diverso tra normalit<strong>à</strong> e nonnormalit<strong>à</strong>,<br />

infatti «il gioco è quella cosa che mette le altre tra virgolette» (STEFANO<br />

BARTEZZAGHI, Scrittori giocatori, Torino, Einaudi, 2010, p. VIII). L’idea di legare l’attivit<strong>à</strong><br />

ludica all’invenzione letteraria è espressa anche da <strong>Paolo</strong> Canettieri nel saggio Il gioco delle<br />

forme nella lirica dei trovatori (Roma, Bagatto Libri, 1996) in cui è esplorata l’ipotesi<br />

secondo la quale l’invenzione della sestina da parte di Arnaut Daniel sia legata alla<br />

propensione del trovatore provenzale per il gioco di carte e dadi.<br />

140 Lotman, in particolare, suggerendo l’idea che il gioco, così come l’arte, presuppone la<br />

costruzione di un modello di realt<strong>à</strong>, si pone in maniera polemica verso i detrattori del<br />

“gioco artistico”: «Il timore di molti studiosi di estetica di occuparsi di problemi del gioco<br />

(per evitare l’accusa di kantismo) e il loro profondo convincimento che ogni confronto di<br />

gioco e realt<strong>à</strong> conduca alla predica dell’«arte pura», alla negazione del legame tra la<br />

creazione artistica e la vita sociale, riflette una profonda disinformazione sui problemi di<br />

scienze affini (psicologia, pedagogia)» (JURIJ M. LOTMAN, La struttura del testo poetico,<br />

cit., pp. 80-81).<br />

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