SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Fuga da Königstein Arrivano i giorni (maggio 1940) del blitz tedesco e a Giraud è affidato il compito di soccorrere il Belgio e l’Olanda, investiti dall’offensiva hitleriana. La sua missione però fallisce perché tardivamente ordinata e perché ormai la Francia respira l’aria della disfatta. Giraud non si dà per vinto e resiste ancora, sostituendo il generale Corap al comando della 9ª Armata nel settore fortificato di Meubege. Ma nulla riesce ad arrestare l’irruzione delle truppe corazzate tedesche e anche Giraud deve capitolare. Il 19 maggio del 1940, per la seconda volta, cade prigioniero nelle mani dei tedeschi. Per due anni passa da una prigione all’altra sempre meditando, malgrado l’età avanzata per un certo tipo di imprese, l’evasione. Finalmente ci riesce il 17 aprile del 1942, calandosi con una lunga fune dalla fortezza di Königstein e facendo perdere le sue tracce. Giraud fortunosamente riesce a raggiungere la Francia di Pétain; ma tanto grande e calorosa era stata l’accoglienza ai tempi della prima evasione, tanto ora è fredda, quasi ostile, quella del regime collaborazionista, che non vuole «avere grane» con Berlino. Pétain cerca di convincerlo a consegnarsi ai tedeschi, ma Giraud rifiuta e il governo di Vichy gli consiglia allora di ritirarsi in campagna, presso Lione. Da questo momento comincia il «corteggiamento» degli americani (ma pure gli inglesi lo vorrebbero schierato con la causa alleata a capo dei francesi liberi, perché anche Churchill ha verso de Gaulle più o meno la stessa insofferenza di Roosevelt). Un po’ le lusinghe degli Alleati, un po’ lo spirito di avventura che anima da sempre questo militare dallo spirito indomito, ma soprattutto l’imperativo di «fare qualcosa» per riscattare la Francia dalla vergogna del collaborazionismo, convincono Giraud ad accettare le proposte. Nottetempo, si imbarca su un sommergibile britannico avvicinatosi alle coste della Provenza e viene portato a Gibilterra. Corteggiato dagli Alleati, contrastato da de Gaulle Qui incontra il generale Eisenhower e ha la prima grossa delusione, frutto in gran parte della sua ingenuità. Ha creduto di capire che gli Alleati gli avrebbero affidato il comando generale dell’Operazione Torch, e ora si vede offrire soltanto il comando delle truppe francesi. In più apprende che non è l’unico alto ufficiale francese «corteggiato» dagli Alleati. C’è anche l’ammiraglio Darlan, che in Algeria si è attribuita la veste di unico rappresentante degli interessi francesi, fidando anche sul lungo rapporto con l’uomo di fiducia di Roosevelt presso Vichy, l’ambasciatore Murphy. Darlan è l’uomo del voltafaccia, già elemento di fiducia dei nazisti, ora passato alla causa anti-tedesca con una disinvoltura che a Giraud ripugna. E d’altronde Darlan lo ripaga con lo stesso disprezzo, ritenendolo un militare miope, privo di qualsiasi capacità politica. E su quest’ultimo punto Darlan ha ragione, come ha ragione de Gaulle quando cerca in tutti i modi di contrastare l’ascesa di Giraud, che sarebbe diventato una piccola pedina nella più ampia strategia anglo-americana. L’assassinio di Darlan ad opera di un giovane monarco-gollista in qualche modo risolve una parte dei contrasti tra francesi. Giraud accusa de Gaulle, a torto, di essere l’ispiratore dell’attentato e fa eseguire, in poche ore, la sentenza di morte nei confronti dell’uccisore di Darlan. Ora, con la morte dell’ammiraglio è infatti diventato l’Alto Commissario per l’Africa, fiduciario degli Alleati. Intanto però cresce l’importanza di de Gaulle e Roosevelt, alla conferenza di Casablanca, tenta di avvicinare i due. La stretta di mano tra Giraud e de Gaulle è però soltanto formale. In realtà un abisso li separa perché tutti e due aspirano a rappresentare in esclusiva la Francia Libera. Una certa «coabitazione» forzata tra de Gaulle e Giraud dura fino all’ottobre del 1943, alla presidenza del Comitato di Liberazione Nazionale. Poi de Gaulle prevale e allontana

il rivale da un posto di responsabilità politica che francamente Giraud non è in grado di occupare, per la sua totale mancanza, appunto, di senso politico. Giraud rimane comandante delle truppe francesi in Nord Africa, poi dirige le operazioni per la liberazione della Corsica, ma nel maggio del 1944 non ha più alcun incarico, è tagliato fuori dalla corsa finale su Parigi. Ormai vincitore, de Gaulle gli offre la carica di ispettore generale dell’esercito; ma il vecchio militare, a suo modo di vedere, troppe volte umiliato, rifiuta e si ritira dalla carriera. Dopo la guerra parteciperà per qualche tempo alla vita politica, sarà anche eletto alla Costituente; ma è un personaggio ormai definitivamente sbiadito. Muore nel 1949. Gianfranco Romanello Robert Daniel Murphy, un americano in Europa Se Algeri nel 1942 è diventata – alla vigilia dell’Operazione Torch – il paradiso delle congiure franco-anglo-americane, il diplomatico statunitense Robert Daniel Murphy, nato a Milwaukee (Wisconsin) nel 1894, e inviato speciale del presidente Roosevelt, ne è ben presto il personaggio più notevole, una specie di dio bonario, conrtese ed estremamente efficace. D’origine irlandese e di famiglia modesta, Murphy – c he aveva cominciato la propria carriera come oscuro funzionario, fra il 1917 e il 1919, al consolato USA di Berna – fu descritto da Kenneth Pendar, uno dei suoi vice consoli, con queste parole: «… Un uomo alto, snello, ben costruito ma un po’ sgraziato. Dimostrava, nel 1942, un po’ meno dei suoi anni che dovevano essere sulla cinquantina. Era sempre rasato di fresco e aveva la pelle particolarmente bianca degli irlandesi, i capelli biondi e gli occhi azzurri molto chiari. Nel carattere non aveva nulla dell’individuo rigido descritto dalla stampa. Era dotato di una gaiezza che induceva gli altri all’allegria e aveva una enorme capacità d’amicizia, affetti che erano fin troppo facili e calorosi. Per tendenza naturale, voleva avere di tutti l’opinione migliore Attorno al 1920, dopo avere trascorso un paio d’anni nella sua famiglia (il padre era un ferroviere delle linee locali sul lago Michigan), Murphy ottiene prima il posto di vice console a Zurigo e poi a Monaco di Baviera: accade nel 1923 e può così assistere al fallito putsch di Hitler. Promosso console e trasferito a Siviglia nel 1925, viene poco dopo richiamato in patria dove trascorre quattro anni al dipartimento di stato. Fautore dello sbarco alleato in Nord Africa È questa, per Murphy, una tappa decisiva. La sua gentilezza naturale, la sua elegante conversazione, il suo sorriso ma, soprattutto, il suo gusto per gli affari politici lo avvicinano ben presto a William Bullitt, ambasciatore americano in Francia. Nel luglioagosto del fatale 1940 Murphy viene nominato incaricato di affari presso il governo di Vichy. È – come ricordano i suoi colleghi dell’epoca – violentemente antinazista un po’ per motivi ideologici e un po’ anche per ragioni personali. Comunque, dal momento dell’armistizio di Compiègne, Murphy diviene – per la diplomazia USA – l’uomo indispensabile perché considerato il perfetto conoscitore dei francesi e della Francia (delle due parti), specialmente per via della sua religione, quella cattolica, da lui professata apertamente e con grande fervore. Nel 1940-1941 Murphy visita l’Africa francese del Nord che, per i progetti americani (e specialmente per quelli personali di Roosevelt) è una base strategica di prim’ordine, e firma degli accordi col generale Weygand grazie ai quali gli USA invieranno degli aiuti all’Algeria, al Marocco e

il rivale da un posto di responsabilità politica che francamente Giraud non è in grado di<br />

occupare, per la sua totale mancanza, appunto, di senso politico. Giraud rimane<br />

comandante delle truppe francesi in Nord Africa, poi dirige le operazioni per la<br />

liberazione della Corsica, ma nel maggio del 1944 non ha più alcun incarico, è tagliato<br />

fuori dalla corsa finale su Parigi.<br />

Ormai vincitore, de Gaulle gli offre la carica di ispettore generale dell’esercito; ma il<br />

vecchio militare, a suo modo di vedere, troppe volte umiliato, rifiuta e si ritira dalla<br />

carriera.<br />

Dopo la guerra parteciperà per qualche tempo alla vita politica, sarà anche eletto alla<br />

Costituente; ma è un personaggio ormai definitivamente sbiadito. Muore nel 1949.<br />

Gianfranco Romanello<br />

Robert Daniel Murphy, un americano in Europa<br />

Se Algeri nel 1942 è diventata – alla vigilia dell’Operazione Torch – il paradiso delle<br />

congiure franco-anglo-americane, il diplomatico statunitense Robert Daniel Murphy,<br />

nato a Milwaukee (Wisconsin) nel 1894, e inviato speciale del presidente Roosevelt, ne<br />

è ben presto il personaggio più notevole, una specie di dio bonario, conrtese ed<br />

estremamente efficace.<br />

D’origine irlandese e di famiglia modesta, Murphy – c he aveva cominciato la propria<br />

carriera come oscuro funzionario, fra il 1917 e il 1919, al consolato USA di Berna – fu<br />

descritto da Kenneth Pendar, uno dei suoi vice consoli, con queste parole: «… Un uomo<br />

alto, snello, ben costruito ma un po’ sgraziato. Dimostrava, nel 1942, un po’ meno dei<br />

suoi anni che dovevano essere sulla cinquantina. Era sempre rasato di fresco e aveva la<br />

pelle particolarmente bianca degli irlandesi, i capelli biondi e gli occhi azzurri molto<br />

chiari. Nel carattere non aveva nulla dell’individuo rigido descritto dalla stampa. Era<br />

dotato di una gaiezza che induceva gli altri all’allegria e aveva una enorme capacità<br />

d’amicizia, affetti che erano fin troppo facili e calorosi. Per tendenza naturale, voleva<br />

avere di tutti l’opinione migliore<br />

Attorno al 1920, dopo avere trascorso un paio d’anni nella sua famiglia (il padre era un<br />

ferroviere delle linee locali sul lago Michigan), Murphy ottiene prima il posto di vice<br />

console a Zurigo e poi a Monaco di Baviera: accade nel 1923 e può così assistere al<br />

fallito putsch di Hitler. Promosso console e trasferito a Siviglia nel 1925, viene poco<br />

dopo richiamato in patria dove trascorre quattro anni al dipartimento di stato.<br />

Fautore dello sbarco alleato in Nord Africa<br />

È questa, per Murphy, una tappa decisiva. La sua gentilezza naturale, la sua elegante<br />

conversazione, il suo sorriso ma, soprattutto, il suo gusto per gli affari politici lo<br />

avvicinano ben presto a William Bullitt, ambasciatore americano in Francia. Nel luglioagosto<br />

del fatale 1940 Murphy viene nominato incaricato di affari presso il governo di<br />

Vichy. È – come ricordano i suoi colleghi dell’epoca – violentemente antinazista un po’<br />

per motivi ideologici e un po’ anche per ragioni personali.<br />

Comunque, dal momento dell’armistizio di Compiègne, Murphy diviene – per la<br />

diplomazia USA – l’uomo indispensabile perché considerato il perfetto conoscitore dei<br />

francesi e della Francia (delle due parti), specialmente per via della sua religione, quella<br />

cattolica, da lui professata apertamente e con grande fervore. Nel 1940-1941 Murphy<br />

visita l’Africa francese del Nord che, per i progetti americani (e specialmente per quelli<br />

personali di Roosevelt) è una base strategica di prim’ordine, e firma degli accordi col<br />

generale Weygand grazie ai quali gli USA invieranno degli aiuti all’Algeria, al Marocco e

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