SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

20.05.2013 Views

Però il cuneo che le forze corazzate britanniche hanno conficcato nelle difese italotedesche della parte settentrionale del fronte è talmente minaccioso che – come aveva pronosticato Montgomery – i comandanti tedeschi e italiani, durante tutta la giornata di sabato 24, scaraventano in campo (con parecchia confusione) i loro carri armati per impedire l’espandersi della puntata britannica. È a questo punto che gli inglesi fanno scendere in campo le proprie forze corazzate finora attestate in buone posizioni difensive infliggendo ai tedeschi pesanti perdite: a sera solo un quarto dei panzer è in grado di combattere. L’indomani, fin dall’alba, Montgomery tenta di trasformare la penetrazione in un vero e proprio sfondamento ma le forze dell’Asse sistemano attorno agli inglesi un robusto anello di cannoni anticarro. Questo è forse il momento peggiore per Montgomery durante tutta la fase conclusiva della battaglia: i suoi uomini si rendono conto di essere tenuti sotto controllo dai tedeschi e che i loro sforzi ininterrotti non possono durare più a lungo. Montgomery vana allora un’operazione – denominata «Supercharge», sovraccarico – che consiste soprattutto nel fare accorrere sul luogo della battaglia la 7ª Divisione corazzata con i suoi 800 carri. A questa marea corazzata Rommel non può opporre che 140 panzer italiani e tedeschi: tra questi carri vengono sistemati tutti i cannoni controcarro di cui le forze dell’Asse possono disporre e che vanno dai pezzi contraerei da 90 e da 88 millimetri agli ormai quasi inutili cannoni da 47. La 9ª Brigata corazzata inglese guida l’ondata dei carri e soffre perdite ingentissime: quasi l’80% dei propri veicoli corazzati. Ma riesce a sconvolgere lo schieramento difensivo, travolgendo le postazioni dei temuti 88 mm tedeschi ed aprendo la strada alla 1ª Divisione corazzata per dilagare dietro lo schieramento nemico. «Ormai ho ben poche speranze» scrive Rommel alla moglie il 29 ottobre. Ma neppure per Montgomery è facile vincere la resistenza tedesca. Un nuovo attacco lanciato il 2 novembre è costretto a rallentare dai campi minati e quando sorge il giorno la Brigata corazzata di punta si trova dinanzi alla Pista di Rahman (e non al di là come prevedeva il piano inglese) protetta da un robusto schieramento di cannoni controcarro tedeschi. Lanciata all’attacco del nemico, la brigata britannica, prima di sera, perde tre quanti dei suoi carri: con grande valore gli inglesi riescono a mantenere la breccia aperta ma appena le altre brigate vi si precipitano sono bloccate poco al di là della pista dal fuoco dell’artiglieria semovente avversaria. In queste ore di tensione – mentre a Londra un Churchill impaziente e nervoso dice fra sé e sé che «forse ho sbagliato tutto e Monty è battuto» – il miracolo è già avvenuto: malgrado la forza disperata con la quale si batte, l’Afrikakorps è rimasta con soli 30 carri efficienti mentre gli inglesi ne hanno più di 600 con una superiorità quindi di 20 a 1. La notte stessa Rommel ha già deciso di ripiegare. Il 4 novembre Montgomery ha vinto la battaglia. Le sue forze hanno perduto più della metà dei carri e delle riserve fatte affluire; ora possono contare soltanto su 580 veicoli corazzati. All’Afrikakorps sono rimasti una dozzina di panzer e agli italiani forse una ottantina: privi di munizioni, spesso danneggiati, con gli equipaggi feriti, questi mezzi ripiegano verso la Cirenaica insieme ai superstiti reparti della fanteria tedesca che si sono accaparrati quasi tutti i veicoli disponibili per la ritirata. È il principio della fine della guerra, anche se il conflitto si protrarrà ancora per due anni e mezzo prima del crollo finale della Germania in Europa. Giuseppe Mayda Eroismo italiano a El-Alamein e a Bir el-Gobi

Di guardia alla candida torre-ossario di El-Alamein che raccoglie i resti di 4600 soldati e marinai italiani e alla lunga fila di lapidi con i nomi dei caduti («Sergente maggiore Biagioli Carlo», «Soldato Bigi Pietro», «Soldato Biselli Celeste», «Soldato Boero Giuseppe»… ) c’è ancona oggi il carro armato dell’allora capitano Costanzo Preve, comandante del 12° Battaglione carri della Divisione Littorio. Di qui il deserto si alza verso una piccola e tozza altura, dominata dai resti del fortino di Quota 33 che segna la posizione da cui, il 10 luglio 1942, spararono per l’ultima volta i cannoni italiani. A poca distanza sorge il cimitero di guerra inglese con le tombe allineate e migliaia dilapidi che recano una terribile scritta: «A soldier of the 1939-45 war – Known unto God», «lo conosce solo Dio». E sulla collina vicina c’è il terzo cimitero, quello dell’Afrikakorps, massiccio e cupo, una fortezza di granito che accoglie 4200 salme: lo adornano statue e disegni, un obelisco sorretto da quattro aquile, un toro, tre uccelli del deserto, tre madri, l’agnello di Dio. Più in là, nel deserto, c’è un cippo con una lapide candida. Nell’angolo superiore sinistro si scorge l’emblema dei bersaglieri e, sotto una scritta, una data e una indicazione. «Mancò la fortuna, non il valore 10 luglio 1942. Alessandria, 111 km». Combattimenti a 47 gradi all’ombra Qui il 24 ottobre 1942 il 13° Corpo d’armata inglese (tre divisioni, 800 cannoni e 400 carri) venne ricacciato, o contenuto, sulle posizioni del Deir el-Munassib e dell’Himeimat dai fanti della «Pavia» dai carristi dell’«Ariete» e dai paracadutisti della «Folgore». In quei duri combattimenti vennero distrutti un centinaio di carri armati, caddero i fratelli Marescotti e Costantino Ruspoli; i paracadutisti della «Folgore» compirono imprese eccezionali attaccando i carri avversari con bombe a mano, bottiglie incendiarie, mine magnetiche. L’11 novembre 1942, a battaglia conclusa, così la BBC parlerà di loro: «I resti della divisione italiana Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane». La «Folgore» fu infatti chiamata – durante la battaglia di El-Alamein – a presidiare un fronte, nella zona sud, lungo quindici chilometri con due gruppi di artiglieria controcarro, in tutto cinquemila uomini (ridotti poi di un migliaio dalle febbri malariche). Una regione desolata, fatta di sabbia, pietre e roccia, fu il teatro della battaglia: la temperatura, che si aggirava fra i 37° e i 47° all’ombra, scendeva di notte a circa 20°. Al momento dell’offensiva furono 15.000-20.000 inglesi, appoggiati da un migliaio di cannoni e da trecento carri, a scatenarsi contro i «folgorini». Il primo attacco venne respinto dal Raggruppamento Ruspoli e dal 5° Battaglione del maggiore Izzo. L’indomani il nemico tornò, preceduto da un violentissimo bombardamento. Lo scontro durò sette ore e gli italiani furono costretti a ripiegare di poche centinaia di metri. Nelle ore che seguirono quasi tutto il fronte italo-tedesco cedette; rimase praticamente intatto quello tenuto dalla «Folgore». Alle 14 del giorno 25 ottobre si scatenò un altro attacco britannico ma i «folgorini» della 12ª Compagnia del 4° Battaglione ricacciarono l’avversario in contrattacchi all’arma bianca: i britannici, che avevano perduto il giorno prima 31 carri armati, ne lasciarono sul terreno altri 22. Il 26 ottobre l’artiglieria inglese bombardò ininterrottamente il settore della «Folgore». La lotta si prolungò poi per tutta la notte e all’alba, ancora una volta, il 4° Battaglione dei «folgorini» dovette retrocedere ma anche gli inglesi del generale Horrocks si arrestarono: nello scontro i paracadutisti italiani avevano distrutto 151 carri. Lo stesso accadde ancora il giorno dopo e, come scriverà Paolo Caccia Dominioni, «l’offensiva tentata dal nemico era in sostanza fallita dopo sei giorni di accaniti e inutili attacchi. Gli inglesi avevano lasciato sul terreno più di seicento caduti e 197 prigionieri, fra cui 23 ufficiali. Le perdite della «Folgore» ,secondo le cifre pervenute nei primi giorni, e

Però il cuneo che le forze corazzate britanniche hanno conficcato nelle difese italotedesche<br />

della parte settentrionale del fronte è talmente minaccioso che – come aveva<br />

pronosticato Montgomery – i comandanti tedeschi e italiani, durante tutta la giornata di<br />

sabato 24, scaraventano in campo (con parecchia confusione) i loro carri armati per<br />

impedire l’espandersi della puntata britannica. È a questo punto che gli inglesi fanno<br />

scendere in campo le proprie forze corazzate finora attestate in buone posizioni<br />

difensive infliggendo ai tedeschi pesanti perdite: a sera solo un quarto dei panzer è in<br />

grado di combattere.<br />

L’indomani, fin dall’alba, Montgomery tenta di trasformare la penetrazione in un vero e<br />

proprio sfondamento ma le forze dell’Asse sistemano attorno agli inglesi un robusto<br />

anello di cannoni anticarro. Questo è forse il momento peggiore per Montgomery<br />

durante tutta la fase conclusiva della battaglia: i suoi uomini si rendono conto di essere<br />

tenuti sotto controllo dai tedeschi e che i loro sforzi ininterrotti non possono durare più<br />

a lungo. Montgomery vana allora un’operazione – denominata «Supercharge»,<br />

sovraccarico – che consiste soprattutto nel fare accorrere sul luogo della battaglia la 7ª<br />

Divisione corazzata con i suoi 800 carri. A questa marea corazzata Rommel non può<br />

opporre che 140 panzer italiani e tedeschi: tra questi carri vengono sistemati tutti i<br />

cannoni controcarro di cui le forze dell’Asse possono disporre e che vanno dai pezzi<br />

contraerei da 90 e da 88 millimetri agli ormai quasi inutili cannoni da 47.<br />

La 9ª Brigata corazzata inglese guida l’ondata dei carri e soffre perdite ingentissime:<br />

quasi l’80% dei propri veicoli corazzati. Ma riesce a sconvolgere lo schieramento<br />

difensivo, travolgendo le postazioni dei temuti 88 mm tedeschi ed aprendo la strada alla<br />

1ª Divisione corazzata per dilagare dietro lo schieramento nemico. «Ormai ho ben<br />

poche speranze» scrive Rommel alla moglie il 29 ottobre.<br />

Ma neppure per Montgomery è facile vincere la resistenza tedesca. Un nuovo attacco<br />

lanciato il 2 novembre è costretto a rallentare dai campi minati e quando sorge il giorno<br />

la Brigata corazzata di punta si trova dinanzi alla Pista di Rahman (e non al di là come<br />

prevedeva il piano inglese) protetta da un robusto schieramento di cannoni controcarro<br />

tedeschi. Lanciata all’attacco del nemico, la brigata britannica, prima di sera, perde tre<br />

quanti dei suoi carri: con grande valore gli inglesi riescono a mantenere la breccia<br />

aperta ma appena le altre brigate vi si precipitano sono bloccate poco al di là della pista<br />

dal fuoco dell’artiglieria semovente avversaria.<br />

In queste ore di tensione – mentre a Londra un Churchill impaziente e nervoso dice fra<br />

sé e sé che «forse ho sbagliato tutto e Monty è battuto» – il miracolo è già avvenuto:<br />

malgrado la forza disperata con la quale si batte, l’Afrikakorps è rimasta con soli 30 carri<br />

efficienti mentre gli inglesi ne hanno più di 600 con una superiorità quindi di 20 a 1. La<br />

notte stessa Rommel ha già deciso di ripiegare.<br />

Il 4 novembre Montgomery ha vinto la battaglia. Le sue forze hanno perduto più della<br />

metà dei carri e delle riserve fatte affluire; ora possono contare soltanto su 580 veicoli<br />

corazzati. All’Afrikakorps sono rimasti una dozzina di panzer e agli italiani forse una<br />

ottantina: privi di munizioni, spesso danneggiati, con gli equipaggi feriti, questi mezzi<br />

ripiegano verso la Cirenaica insieme ai superstiti reparti della fanteria tedesca che si<br />

sono accaparrati quasi tutti i veicoli disponibili per la ritirata. È il principio della fine della<br />

guerra, anche se il conflitto si protrarrà ancora per due anni e mezzo prima del crollo<br />

finale della Germania in Europa.<br />

Giuseppe Mayda<br />

Eroismo italiano a El-Alamein e a Bir el-Gobi

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!