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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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C’è solo una croce con le date 1891-1944 e due rose che tremano al vento gelido che<br />

viene dall’Est.<br />

Montgomery: il rullo compressore<br />

«Bernard Montgomery, come lo vedemmo per la prima volta quando arrivò nei deserto,<br />

era un uomo piccolo e magro, con un viso affilato e nervoso, una specie di asceta che<br />

non beveva né fumava. Era uno studioso di cose militari, che aveva rinunciato a quasi<br />

tutte le normali distrazioni che la vita può offrire e poteva perciò contare su una riserva<br />

di energie intatte, parte delle quali andava ad alimentare una fede religiosa in se stesso<br />

e nel suo Dio, e parte era profusa in una spietata determinazione di dare battaglia.<br />

Come tutti i missionari era un entusiasta, e provava un ansia quasi messianica di<br />

convertire gli altri e dimostrare loro che le sue dottrine erano giuste. Era un uomo<br />

insolito, e i rapporti con lui non erano facili».<br />

Questa descrizione di Montgomery è dovuta alla penna di AIan Moorehead, l’australiano<br />

che nell’estate del 1942 batté in lungo e in largo i deserti del Nord Africa come<br />

corrispondente di guerra. La nomina di Montgomery e la sua collocazione alla testa<br />

dell’8ª Armata significano, secondo lui, una «centralizzazione del comando» in contrasto<br />

con i metodi, più democratici e alla mano ma anche meno efficaci, dei suoi<br />

predecessori. Questi, nota Moorehead, avevano accettato l’esercito così com’era.<br />

Montgomery no. Montgomery «era un seguace della chirurgia, non della medicina», e<br />

quando si accorgeva che qualcosa non andava poneva mano al bisturi. L’arte della<br />

guerra consisteva, per lui, in «uno schema e una serie di numeri»: tanti camion, tante<br />

munizioni, tanti cannoni, tanti carri armati, tanti fusti di benzina. «Ciò non significa»,<br />

precisa ancora Moorehead, «che egli trascurasse l’elemento umano; semplicemente<br />

credeva che un sistema adatto e dei buoni comandanti potessero galvanizzare le<br />

truppe, traendone riserve di energia mai sfruttate prima». Quest’uomo severo e<br />

permaloso, dotato di quello che oggi tutti chiamerebbero un fortissimo «carisma» e<br />

pieno di una sconfinata fiducia in se stesso, «moriva dalla voglia di mettere in pratica le<br />

sue idee». E Churchill gliene diede la possibilità.<br />

Il suo nome è rimasto indissolubilmente legato a due cose: un cappotto e una battaglia.<br />

Il cappotto si distingueva dagli altri perché era munito di un cappuccio, utile in caso di<br />

pioggia o di neve, e per il modo in cui Io si abbottonava, con un sistema di funicelle e<br />

cilindretti di legno. La battaglia è quella che, dopo la guerra, gli fece concedere dal<br />

proprio sovrano il titolo un po’ buffo di visconte di El-Alamein. Ma sulla parte sostenuta<br />

da Montgomery nella seconda battaglia di El-Alamein, oltre che nel resto della<br />

campagna d’Africa, non sono mai mancate le polemiche tra gli storici, in parte<br />

alimentate dalle stesse «provocazioni» del suo vincitore. Col passare degli anni, col<br />

placarsi delle passioni politiche, con l’approfondirsi delle ricerche e col rasserenarsi degli<br />

spiriti la leggenda del popolare «Monty» ha subito un ridimensionamento. Il mito si è<br />

appannato. L’eroe ha perso un po’ del suo smalto e in primo piano è ritornato l’uomo.<br />

L’8 agosto 1942, quando il generale Montgomery, per la morte improvvisa di Gott viene<br />

sottratto all’operazione Torch (nell’ambito della quale avrebbe dovuto collaborare con<br />

Eisenhower allo sbarco americano nel Nord Africa) e messo frettolosamente alla testa<br />

dell’8ª Armata rimasta all’improvviso senza comandante, la situazione inglese in Egitto<br />

è, si, critica, ma non disperata.<br />

Arriva al Cairo come «missionario» dell’8ª Armata

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