SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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dell’8ª Armata, né Neil Ritchie, il suo successore, si dimostrarono all’altezza del compito. Ma il suo errore più imperdonabile fu quello di non essere un diplomatico, di avere fatto alle pressioni di Churchill un’opposizione troppo rigida e netta. Uno studioso italiano di storia militare, Lucio Ceva, Io giudica così: «Pur tatticamente inferiore a Rommel, Auchinleck valeva più dei suoi subordinati. Non legato, come la maggior parte di essi, all’esperienza del fronte occidentale 1914-18, in India e in Mesopotamia aveva forse acquistato una maggiore sensibilità alla guerra di movimento. Sarebbe stato, anzi fu, benché per brevi periodi, un ottimo comandante d’armata. Ma troppo spesso il suo senso di responsabilità globale lo tenne lontano dalla battaglia». In conclusione: «Fu soprattutto un gran gentiluomo, com’è dimostrato dalla difesa degli inferiori della quale si era fatto una religione (anche se poi dovette “silurarne” ben due) e dai dignitoso silenzio con cui accettò la sfortuna e l’ingratitudine». Vincenzo Mantovani Von Thoma, il carrista «d’oro» dell’Afrikakorps Il generale Wilhelm von Thoma, un cinquantacinquenne bavarese, di ascetica magrezza e grandissime capacità di lavoro, aveva partecipato alla guerra prima come comandante di una brigata corazzata in Polonia e poi gli era stata affidata una divisione e un corpo corazzato nella campagna di Russia fra il 1941 e il 1942. La sua specialità erano i carri armati e, come lui stesso confesserà al critico militare inglese sir Basil Liddell Hart, aveva partecipato personalmente a 24 combattimenti ai carri in Polonia, Francia, Russia e Africa, senza contare quelli avvenuti in Spagna dov’era stato inviato nel 1936. Mandato in Africa da Hitler, nel 1940, per accertare quali fossero le necessità di aiuto militare dell’armata di Graziani, von Thoma tornò in Cirenaica nei settembre 1942 quale effettivo comandante dell’Afrikakorps. «Quando ebbi l’ordine di sostituire Rommel che era malato di itterizia – raccontò nel dopoguerra – risposi che non volevo assumere la carica. Ma mi fu risposto con un messaggio nel quale si diceva che il Führer in persona insisteva perché andassi: era un suo ordine e così non c’era più nulla da fare. Arrivai in Africa attorno al 20 settembre 1942 e passai qualche giorno a discutere la situazione con Rommel, il quale andò poi a fare la sua cura a Wiener Neustadt, presso Vienna. Quindici giorni dopo arrivò il generale Stumme, con l’incarico di assumere il comando su tutto il teatro africano. Questo significava che io avevo soltanto il comando delle nostre truppe al fronte dinanzi alla posizione di El-Alamein, ciò che limitava i miei poteri per quanto riguardava il miglioramento dell’organizzazione logistica. Poco dopo Stumme morì per attacco cardiaco. Tutto questo rese più ardui i preparativi per far fronte all’imminente offensiva britannica». Tornato Rommel sul campo di battaglia, von Thoma riprese il comando dei panzer e fu lui il primo a rendersi conto che non sarebbe stato possibile ricacciare gli inglesi da El- Alamein. Il 2 novembre, nel primissimo pomeriggio, lo disse per telefono a Rommel il quale gli comunicò che l’ordine di Hitler era resistere ad ogni costo. «Lei deve combattere fino all’ultimo». Von Thoma, ritenendo che nulla sarebbe valse a convincere Rommel, decise di uscire personalmente in perlustrazione col proprio carro armato: prese il pastrano e la piccola sacca di tela che faceva parte dell’equipaggiamento dei generali tedeschi e partì col suo aiutante di campo, Hartdegen, che si portò dietro una radio trasmittente. Qualche tempo dopo Hartdegen rientrò al comando e disse al generale Bayerlein: «Il generale non ha più bisogno di me e dice che ormai la radio è inutile. Tutti i nostri carri sono stati distrutti».
Bayerlein, preoccupato, corse ad una piccola autoblindo e si lanciò sulle tracce di von Thoma. Ben presto si trovò in mezzo alla mischia: era il 10° Ussari di Montgomery che si stava battendo sulla strada per Tel El-Mampsra. «Non c’era più anima viva. – racconterà in seguito Bayerlein – In mezzo a quei grandinare di proiettili, mi scaraventai in una buca. Di là, a duecento metri di distanza, scorsi un uomo in piedi accanto ad un carro armato in fiamme, apparentemente invulnerabile all’intenso fuoco che si incrociava attorno a lui. Era il generale von Thoma. Gli Sherman inglesi si avvicinavano. Von Thoma stava lì, rigido e immobile come una statua di sale, stringendo in mano la sua sacca di tela e il pastrano» Nello stesso istante uno squadrone di Crusader, agli ordini del maggiore R.M. Milbanke, comparve sulla cresta di una duna. Il carro-osservatorio dell’11° Ussari scorse l’alta figura dell’ufficiale accanto al panzer in fiamme: dalle mostrine che gli luccicavano sulle spalle e sul colletto e dal mastodontico binocolo che portava appeso al collo si capiva che doveva essere un personaggio importante. Il capitano inglese Grant Washington Singer, che comandava una pattuglia e che sarebbe morto l’indomani in combattimento, accorse col suo veicolo Dingo e il generale, vedendolo, salutò e si consegnò all’ufficiale, dicendo in un inglese stentato: «Sono il generale von Thoma». Quella sera stessa von Thoma cenò con Montgomery. Giuseppe Mayda Manfred, il figlio di Rommel Manfred Rommel è sindaco di Stoccarda. Mi riceve nel suo ufficio, al Palazzo municipale: una grande sala arredata con gusto moderno. è stato eletto coi voti dei cristianodemocratici, forse, non lo nasconde, il nome che porta lo ha aiutato. «Chiamarsi Rommel le è pesato qualche volta?». «Certo, è stato anche un impegno». «Come giudica la figura di suo padre?». «Positivamente. L’ho sempre considerato un modello». «La Germania ha sentito ciò che è accaduto come una colpa?». «I tedeschi respingono l’accusa. Ma aggiungo che certamente sanno quale sfortuna sarebbe stata se il nazionalsocialismo avesse vinto». «Rommel sapeva dell’esistenza dei campi di concentramento?». «Sì, dall’inizio del 1944». «Sua madre mi disse che il maresciallo raccontava sempre del grande fascino del Führer. In che cosa consisteva?». «Sì, Herr Hitler sapeva presentarsi molto bene. E sapeva colpire i suoi ospiti, è accaduto a molti. Ovviamente alcuni fin dall’inizio lo hanno rifiutato, per cui non sentivano affatto questa suggestione. Ma che fosse un tipo che esercitava una certa influenza sugli altri è indiscutibile, altrimenti la sua quasi incredibile carriera non sarebbe stata possibile». «Qual è la sua opinione su Hitler?». «Herr Hitler è stato il fautore di un’antimorale. Il signor Hitler sosteneva che la volontà della Provvidenza, ovvero la volontà del Signore, era che il più forte avesse ragione, quindi poteva disporre come voleva del più debole. È esattamente il contrario dell’insegnamento cristiano e anche della regola socialista». «Per gli italiani Rommel è soprattutto un simbolo: El-Alamein. Come considerava suo padre questa impresa?». «L’ha valutata come il punto di svolta, come una delle fasi decisive della lotta: dopo si convinse che un successo delle armate dell’Asse non sarebbe più stato possibile».
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Ma il suo errore più imperdonabile fu quello di non essere un diplomatico, di avere fatto<br />
alle pressioni di Churchill un’opposizione troppo rigida e netta. Uno studioso italiano di<br />
storia militare, Lucio Ceva, Io giudica così: «Pur tatticamente inferiore a Rommel,<br />
Auchinleck valeva più dei suoi subordinati. Non legato, come la maggior parte di essi,<br />
all’esperienza del fronte occidentale 1914-18, in India e in Mesopotamia aveva forse<br />
acquistato una maggiore sensibilità alla guerra di movimento. Sarebbe stato, anzi fu,<br />
benché per brevi periodi, un ottimo comandante d’armata. Ma troppo spesso il suo<br />
senso di responsabilità globale lo tenne lontano dalla battaglia». In conclusione: «Fu<br />
soprattutto un gran gentiluomo, com’è dimostrato dalla difesa degli inferiori della quale<br />
si era fatto una religione (anche se poi dovette “silurarne” ben due) e dai dignitoso<br />
silenzio con cui accettò la sfortuna e l’ingratitudine».<br />
Vincenzo Mantovani<br />
Von Thoma, il carrista «d’oro» dell’Afrikakorps<br />
Il generale Wilhelm von Thoma, un cinquantacinquenne bavarese, di ascetica magrezza<br />
e grandissime capacità di lavoro, aveva partecipato alla guerra prima come comandante<br />
di una brigata corazzata in Polonia e poi gli era stata affidata una divisione e un corpo<br />
corazzato nella campagna di Russia fra il 1941 e il 1942.<br />
La sua specialità erano i carri armati e, come lui stesso confesserà al critico militare<br />
inglese sir Basil Liddell Hart, aveva partecipato personalmente a 24 combattimenti ai<br />
carri in Polonia, Francia, Russia e Africa, senza contare quelli avvenuti in Spagna<br />
dov’era stato inviato nel 1936. Mandato in Africa da Hitler, nel 1940, per accertare quali<br />
fossero le necessità di aiuto militare dell’armata di Graziani, von Thoma tornò in<br />
Cirenaica nei settembre 1942 quale effettivo comandante dell’Afrikakorps.<br />
«Quando ebbi l’ordine di sostituire Rommel che era malato di itterizia – raccontò nel<br />
dopoguerra – risposi che non volevo assumere la carica. Ma mi fu risposto con un<br />
messaggio nel quale si diceva che il Führer in persona insisteva perché andassi: era un<br />
suo ordine e così non c’era più nulla da fare. Arrivai in Africa attorno al 20 settembre<br />
1942 e passai qualche giorno a discutere la situazione con Rommel, il quale andò poi a<br />
fare la sua cura a Wiener Neustadt, presso Vienna. Quindici giorni dopo arrivò il<br />
generale Stumme, con l’incarico di assumere il comando su tutto il teatro africano.<br />
Questo significava che io avevo soltanto il comando delle nostre truppe al fronte dinanzi<br />
alla posizione di El-Alamein, ciò che limitava i miei poteri per quanto riguardava il<br />
miglioramento dell’organizzazione logistica. Poco dopo Stumme morì per attacco<br />
cardiaco. Tutto questo rese più ardui i preparativi per far fronte all’imminente offensiva<br />
britannica».<br />
Tornato Rommel sul campo di battaglia, von Thoma riprese il comando dei panzer e fu<br />
lui il primo a rendersi conto che non sarebbe stato possibile ricacciare gli inglesi da El-<br />
Alamein. Il 2 novembre, nel primissimo pomeriggio, lo disse per telefono a Rommel il<br />
quale gli comunicò che l’ordine di Hitler era resistere ad ogni costo. «Lei deve<br />
combattere fino all’ultimo».<br />
Von Thoma, ritenendo che nulla sarebbe valse a convincere Rommel, decise di uscire<br />
personalmente in perlustrazione col proprio carro armato: prese il pastrano e la piccola<br />
sacca di tela che faceva parte dell’equipaggiamento dei generali tedeschi e partì col suo<br />
aiutante di campo, Hartdegen, che si portò dietro una radio trasmittente. Qualche<br />
tempo dopo Hartdegen rientrò al comando e disse al generale Bayerlein: «Il generale<br />
non ha più bisogno di me e dice che ormai la radio è inutile. Tutti i nostri carri sono stati<br />
distrutti».