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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Albert Kesselring, maresciallo fino all’ultimo<br />

Di Kesselring ricordo gli occhi chiari, azzurri, e il sorriso. Sorrideva sempre. Sorrideva<br />

quando, ai comandi di un Messerschmitt, volava sulle grandi pianure russe o nei cieli<br />

d’Inghilterra; sorrideva ispezionando i cannoni sul ponte di Anzio; sorrideva nel campo<br />

di concentramento austriaco dov’era rinchiuso, condannato in attesa dell’esecuzione;<br />

sorrideva dicendomi: «Sono molto malato» e si toccava il petto.<br />

Passeggiavamo, in una tiepida giornata di autunno, tra i fiori un po’ spenti di un<br />

tranquillo, ordinato giardino; il tempo della guerra era lontano. «Che ne pensa, signor<br />

maresciallo, di Hitler?», chiedevo.<br />

«Una grande, una magica personalità», rispondeva sorridendo.<br />

«Che ne pensa, signor maresciallo, di Mussolini?».<br />

«Una grande mente politica» e mi fissava senza ironia.<br />

«Che ne dice dell’Italia?», insistevo.<br />

«Ho ancora molta simpatia per il vostro popolo; Hitler mi diceva sempre, mi scusi, ma è<br />

la verità, che ero troppo onesto per gli italiani; non vi voleva troppo bene, ecco tutto».<br />

«Le piacerebbe ritornare una volta dalle nostre parti?».<br />

«Amo la vostra terra, la bellezza della natura, i monumenti, Roma, Firenze, Venezia… ».<br />

«Anche Venezia?», dicevo io. «Dovrebbe avere di questa città cattiva memoria».<br />

«Per la sentenza? Una sentenza ingiusta, un grave errore giudiziario».<br />

Solo allora, ricordando quei giudici, il motoscafo che, sotto scorta, lo conduceva in tribunale,<br />

faceva freddo, spesso pioveva, ricordando la voce monotona del magistrato che<br />

leggeva: «Il maresciallo Albert Kesselring, colpevole di crimini contro l’umanità, è<br />

condannato a morte», il sorriso del vecchio soldato diventò una specie di smorfia,<br />

scoprii che uno degli occhi chiari, azzurri, era più piccolo, più freddo.<br />

«Che cosa ne pensa degli americani?», insistevo.<br />

«Quando cominciarono la guerra non valevano niente, poi si erano fatti. All’inizio era<br />

come prendersela con dei ragazzini». Sorrideva.<br />

«Io sono un maresciallo tedesco». diceva spesso Kesselring, e raddrizzava il gambo di<br />

un crisantemo, o toccava una foglia, e mi spiegava, sorridendo, che un maresciallo<br />

tedesco tale rimane, bis zum letzten Tag, fino all’ultimo giorno: perché un maresciallo<br />

tedesco non può avere dubbi, Disziplin, disciplina e dovere, non può avere pentimenti,<br />

paure, non può conoscere le nostre debolezze, le umane debolezze; deve sorridere<br />

anche sotto le bordate degli incrociatori, anche quando gli dicono: «La forca ti aspetta».<br />

«Signor maresciallo, che ne pensa di Marzabotto?», dissi ad un tratto, e c’era in me<br />

imbarazzo, direi quasi vergogna.<br />

«Una operazione bellica», rispose tranquillo.<br />

«Mille morti», diss, «sono tanti, anche donne e bambini, soprattutto donne e bambini».<br />

«Sotto le bombe degli anglo-americani sono cadute anche tante donne tedesche e<br />

anche tanti bambini tedeschi. Chi va all’assalto ha il dovere di vincere; dispiace se<br />

anche gli innocenti pagano».<br />

«E dei delitti del Führer, che ne dice?»<br />

«Non tutte le colpe furono sue, era circondato da cattivi consiglieri».<br />

«Andavate d’accordo?».<br />

«Io sono bavarese e lui aveva vissuto a lungo dalle mie parti. Ci capivamo, perché al<br />

momento opportuno, anch’io sapevo battere i pugni».<br />

Noi passeggiavamo, e la guerra sembrava tanto lontana, il maresciallo aveva l’aria<br />

serena di un funzionario in pensione, di un professore in pensione, educato,<br />

compostamente vestito, conversatore non privo di garbo, ospite pieno di attenzioni:

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