SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Dal 12 al 21 gennaio 1942 le truppe di Rommel rimangono appostate lungo la linea El- Agheiba-Marada, un varco di un’ottantina di chilometri tra il Mediterraneo e il cosiddetto «mare di sabbia» libico. Ben protetto da una serie di campi minati e di sbarramenti di filo spinato che persuadono Auchinleck a rinviare ogni offensiva, Rommel si prepara al contrattacco. Dall’Italia gli arrivano in gran copia carri armati, uomini e cannoni. Le sue posizioni distano da Tripoli due giorni di autocarro, mentre per raggiungere le linee britanniche i rifornimenti impiegano anche due settimane. Churchill ha compreso che il grosso delle forze nemiche è riuscito a porsi in salvo e si rammarica apertamente per il mezzo fiasco dell’Operazione Crusader, ma ai dubbi del Primo Ministro, Auchinleck oppone un incrollabile ottimismo. La resa dei tedeschi che ancora resistevano a Bardia, Sollum e Halfaya dà agli inglesi l’illusione di potere affrettare l’arrivo dei rifornimenti e riprendere l’avanzata fino a Tripoli. I capi dell’armata del deserto hanno sottovalutato le capacità di ripresa del nemico, o sopravvalutato le sue perdite, perché quando Rommel sferra l’offensiva nessuno, tra gli inglesi, se l’aspetta. Sorpreso dalla contemporanea avanzata di tre colonne corazzate nemiche, Ritchie è costretto a ritirarsi precipitosamente. Churchill, da Londra, segue gli avvenimenti col cuore in gola. Dopo la guerra scriverà: «Rommel si era rivelato ancora una volta un maestro di tattica nel deserto e, superando in astuzia i nostri comandanti, aveva riconquistato la maggior parte debba Cirenaica. Il ripiegamento di quasi 500 chilometri fece crollare le nostre speranze e ci costò la perdita di Bengasi e di tutti i depositi che il generale Auchinleck era andato costituendo in previsione della sua offensiva di metà febbraio». Osserva Auchinleck dal canto suo: «Si deve ammettere che il nemico ha conseguito un successo al di là delle previsioni sue e mie, e che la sua tattica è stata abile e audace». In una ventina di giorni i tedeschi riconquistano due terzi della Cirenaica, fermandosi sulla linea Ain el-Gazala-Bir Hacheim. Qui, come scrive Churchill, «inseguiti e inseguitori tirarono il fiato e si guardarono in faccia fino alla fine di maggio». Commenta Alan Moorehead: «Questa fu la triste fine della campagna invernale che avrebbe dovuto portarci a Tripoli». Il bilancio alleato non poteva dirsi totalmente negativo, perché Tobruk era stata liberata e l’Asse aveva subito gravi perdite in uomini e materiale, ma l’esito della battaglia lasciava la bocca amara, perché «non si poteva fare a meno di concludere che in campo aperto l’esercito dell’Asse si era dimostrato migliore di quello inglese». Il successo tattico di Rommel, inatteso secondo Warlimont, provoca, com’è accaduto l’anno prima, una svolta improvvisa nella strategia tedesca. Mentre Churchill, convinto che Malta stia per cadere, incita Auchinleck a passare all’offensiva, prendendosela con la sua «prudenza di scozzese», il comando supremo tedesco decide che l’isola va spazzata via. L’idea che Malta sia la chiave del settore è entrata finalmente nella testa dei tedeschi. Hitler autorizza la partecipazione di forze tedesche all’offensiva. Sotto sotto, spera di non dovere intervenire: forse basteranno i bombardamenti della Luftwaffe a provocare la capitolazione dell’isola. Il 22 aprile tutto sembra deciso. «Il duce», scrive Ciano nel suo Diario, «m’informa che il maresciallo Kesselring, di ritorno dalla Germania, ha portato l’assenso di Hitler per l’operazione di sbarco a Malta». L’isola continua ad essere «massacrata dai bombardamenti aerei» ma, secondo Cavallero, l’operazione resta «un osso duro». Alla fine di aprile Hitler e Mussolini s’incontrano a Berchtesgaden. Il primo, ritenendo l’Egitto maturo per una rivoluzione, vorrebbe riprendere l’offensiva nel Nord Africa per impadronirsi di tutto il Medio Oriente. Secondo il duce, invece, bisogna dare la precedenza a Malta, dalla conquista della quale dipenderebbe la successiva condotta della guerra nel Mediterraneo. Si arriva ad un compromesso. Le forze dell’Asse in

Cirenaica attaccheranno alla fine di maggio, prenderanno Tobruk, ma non oltrepasseranno la frontiera con l’Egitto. Poi, in giugno o in luglio, si passerà alla realizzazione dell’Operazione Herkules, cioè alla conquista di Malta. Queste decisioni scontentano tutti: gli italiani, che volevano sospendere le operazioni nel Nord Africa per dedicare i prossimi tre mesi alba preparazione dello sbarco sull’isola; Kesselring, che si vede costretto a interrompere l’offensiva scatenata dal cielo contro Malta (con ottimi risultati, dal suo punto di vista); Rommel, che quando ordina di riprendere l’avanzata sa già di non potere uscire dalla Libia. «In definitiva», ha scritto Arthur Bryant, «tutto dipendeva dall’offensiva che Auchinleck avrebbe dovuto sferrare nel deserto libico. Se non si riconquistavano Bengasi e gli aeroporti della Cirenaica non era più possibile rifornire Malta, e se Malta cessava di resistere e non si riprendevano gli attacchi aeronavali contro le linee di rifornimento di Rommel, anche l’Egitto sarebbe stato in pericolo». Infuriato dall’ennesima manovra dilatoria di Auchinleck, Churchill gli ordina tassativamente di attaccare, pena la rimozione dal comando: «Siamo decisi a impedire che Malta cada senza che prima tutto il vostro esercito abbia combattuto strenuamente per la sua difesa. La fine di tale fortezza implicherebbe la resa di oltre trentamila uomini, tra soldati e avieri, e la perdita di parecchie centinaia di cannoni. Il suo possesso offrirebbe al nemico un ponte sgombro e sicuro per le comunicazioni con l’Africa, con tutte le conseguenze che ne derivano». Prima che il generale si decida a obbedire passano altri nove giorni. E quando questo avviene è troppo tardi. La notte tra il 26 e il 27 maggio Rommel attacca. Gli inglesi oppongono un’accanita resistenza e l’andamento della battaglia rimane incerto fino al 4 giugno, quando l’iniziativa passa definitivamente ai tedeschi. Alla caduta di Bir Hacheim, valorosamente difesa dai «francesi liberi» fin quasi alla metà di giugno, seguono aspri combattimenti intorno al caposaldo di Knightsbridge tenuto dagli inglesi. Il 21 giugno, domenica, Churchill si trova nello studio del presidente Roosevelt, seduto davanti alla sua scrivania, quando il generale Marshall entra nella stanza con un foglietto di carta rosa. Il presidente degli Stati Uniti lo prende, lo legge, lo porge all’ospite senza una parola. È un telegramma e dice: «Tobruk si è arresa. Venticinquemila uomini sono caduti prigionieri». Mussolini vola in Libia La rovina di Tobruk è la salvezza di Malta. Entusiasmato dal successo di Rommel, Hitler butta alle ortiche i piani precedenti e si affanna a convincere l’alleato che bisogna sfruttare fino in fondo la grande vittoria nel Nord Africa. L’8ª Armata britannica è «praticamente annientata», e il «più rapido e integrale sfruttamento di questa favorevole congiuntura impone alle forze dell’Asse l’immediato inseguimento […] fino al completo annientamento delle truppe britanniche». Mussolini, che di fronte ai dubbi e alle catastrofiche previsioni di alcuni dei suoi generali, stava già rimuginando l’idea di un rinvio dell’Operazione Herkules, non tarda a lasciarsi convincere. Mentre Rommel, promosso feldmaresciallo, riprende la corsa verso il delta del Nilo, il duce sembra avere un solo rammarico: che la vittoria appaia «più tedesca che italiana». E quando Auchinleck, che ha preso personalmente il comando dell’8ª Armata, subisce una nuova sconfitta a Marsa Matruh, Mussolini rompe gli indugi. C’è il rischio che i tedeschi arrivino al Cairo senza di lui e si prendano la sua parte di gloria. Il 29 giugno, pregustando

Cirenaica attaccheranno alla fine di maggio, prenderanno Tobruk, ma non<br />

oltrepasseranno la frontiera con l’Egitto. Poi, in giugno o in luglio, si passerà alla<br />

realizzazione dell’Operazione Herkules, cioè alla conquista di Malta. Queste decisioni<br />

scontentano tutti: gli italiani, che volevano sospendere le operazioni nel Nord Africa per<br />

dedicare i prossimi tre mesi alba preparazione dello sbarco sull’isola; Kesselring, che si<br />

vede costretto a interrompere l’offensiva scatenata dal cielo contro Malta (con ottimi<br />

risultati, dal suo punto di vista); Rommel, che quando ordina di riprendere l’avanzata sa<br />

già di non potere uscire dalla Libia.<br />

«In definitiva», ha scritto Arthur Bryant, «tutto dipendeva dall’offensiva che Auchinleck<br />

avrebbe dovuto sferrare nel deserto libico. Se non si riconquistavano Bengasi e gli<br />

aeroporti della Cirenaica non era più possibile rifornire Malta, e se Malta cessava di<br />

resistere e non si riprendevano gli attacchi aeronavali contro le linee di rifornimento di<br />

Rommel, anche l’Egitto sarebbe stato in pericolo».<br />

Infuriato dall’ennesima manovra dilatoria di Auchinleck, Churchill gli ordina<br />

tassativamente di attaccare, pena la rimozione dal comando: «Siamo decisi a impedire<br />

che Malta cada senza che prima tutto il vostro esercito abbia combattuto strenuamente<br />

per la sua difesa. La fine di tale fortezza implicherebbe la resa di oltre trentamila<br />

uomini, tra soldati e avieri, e la perdita di parecchie centinaia di cannoni. Il suo<br />

possesso offrirebbe al nemico un ponte sgombro e sicuro per le comunicazioni con<br />

l’Africa, con tutte le conseguenze che ne derivano».<br />

Prima che il generale si decida a obbedire passano altri nove giorni. E quando questo<br />

avviene è troppo tardi. La notte tra il 26 e il 27 maggio Rommel attacca. Gli inglesi<br />

oppongono un’accanita resistenza e l’andamento della battaglia rimane incerto fino al 4<br />

giugno, quando l’iniziativa passa definitivamente ai tedeschi. Alla caduta di Bir Hacheim,<br />

valorosamente difesa dai «francesi liberi» fin quasi alla metà di giugno, seguono aspri<br />

combattimenti intorno al caposaldo di Knightsbridge tenuto dagli inglesi. Il 21 giugno,<br />

domenica, Churchill si trova nello studio del presidente Roosevelt, seduto davanti alla<br />

sua scrivania, quando il generale Marshall entra nella stanza con un foglietto di carta<br />

rosa. Il presidente degli Stati Uniti lo prende, lo legge, lo porge all’ospite senza una<br />

parola. È un telegramma e dice: «Tobruk si è arresa. Venticinquemila uomini sono<br />

caduti prigionieri».<br />

Mussolini vola in Libia<br />

La rovina di Tobruk è la salvezza di Malta. Entusiasmato dal successo di Rommel, Hitler<br />

butta alle ortiche i piani precedenti e si affanna a convincere l’alleato che bisogna<br />

sfruttare fino in fondo la grande vittoria nel Nord Africa. L’8ª Armata britannica è<br />

«praticamente annientata», e il «più rapido e integrale sfruttamento di questa favorevole<br />

congiuntura impone alle forze dell’Asse l’immediato inseguimento […] fino al<br />

completo annientamento delle truppe britanniche». Mussolini, che di fronte ai dubbi e<br />

alle catastrofiche previsioni di alcuni dei suoi generali, stava già rimuginando l’idea di un<br />

rinvio dell’Operazione Herkules, non tarda a lasciarsi convincere. Mentre Rommel,<br />

promosso feldmaresciallo, riprende la corsa verso il delta del Nilo, il duce sembra avere<br />

un solo rammarico: che la vittoria appaia «più tedesca che italiana». E quando<br />

Auchinleck, che ha preso personalmente il comando dell’8ª Armata, subisce una nuova<br />

sconfitta a Marsa Matruh, Mussolini rompe gli indugi. C’è il rischio che i tedeschi arrivino<br />

al Cairo senza di lui e si prendano la sua parte di gloria. Il 29 giugno, pregustando

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