SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

effettuarne con successo su quella tirrenica ha avuto conseguenze disastrose. Nessuno dei mezzi da sbarco che si trovano nel Mediterraneo è stato minimamente impiegato [in operazioni anfibie] negli ultimi tre mesi […]. Ci sono pochi esempi, persino in questa guerra, di un impiego altrettanto inefficiente di forze così preziose». Churchill vuole uno sbarco vicino a Roma Con la sua solita, brutale irruenza, Churchill ha messo il dito sulla piaga. Se in Italia non si riesce ad avanzare è perché non si ricorre ad operazioni anfibie lungo le sue coste. Eisenhower aveva fatto la stessa osservazione, e si era anche sforzato di trovare la maniera di superare l’impasse. Uno sbarco di truppe a sud del Tevere, come quello da lui auspicato, poteva avere due importanti conseguenze: l’interruzione dei rifornimenti alla Linea Gustav, con la probabile caduta del fronte, e la rapida conquista di Roma. Due obiettivi tutt’altro che disprezzabili. Data la natura geografica dell’Italia, le operazioni anfibie erano quelle che i tedeschi temevano di più. «Uno sbarco dal cielo su Roma e uno sbarco dal mare lì vicino, anziché a Salerno, ci avrebbero automaticamente costretto a sgomberare tutte le regioni meridionali». Questo il pensiero di Kesselring, secondo il suo capo di stato maggiore, il generale Westphal. «Se le forze impiegate per lo sbarco a Salerno fossero state usate invece a Civitavecchia», ribadirà quest’ultimo dopo la guerra parlando con Liddell Hart, «i risultati sarebbero stati molto più decisivi. Se gli Alleati avessero compiuto un’operazione simile, Roma sarebbe caduta nelle loro mani in pochissimi giorni. Si sapeva bene che nella capitale c’erano solo due divisioni tedesche e che non ci sarebbe stato possibile trasportarvene delle altre abbastanza in fretta per riuscire a difenderla. Uno sbarco combinato dal mare e dal cielo, effettuato in collegamento con le cinque divisioni italiane di stanza a Roma, avrebbe portato all’occupazione della capitale in settantadue ore». Nemmeno la sconfitta ha tolto ai generali tedeschi la voglia d’insegnare ai vincitori come si fa la guerra. Ma non si può negare un fondamento alle critiche di Westphal sul modo in cui l’8ª Armata venne su per la penisola, occupando passo passo tutta la Calabria, che non presentava alcun interesse strategico, e lasciandosi sfuggire l’occasione di vibrare un colpo decisivo nel tacco dello stivale e sulla costa adriatica, che erano esposti ad ogni attacco. «L’8ª Armata britannica», nota ancora il capo di stato maggiore di Kesselring, «avrebbe dovuto sbarcare in forze nei pressi di Taranto, dov’era dislocata una sola divisione di paracadutisti (con appena tre batterie di artiglieria divisionale!). Meglio ancora sarebbe stato compiere lo sbarco nel tratto Pescara-Ancona, se un’organizzazione di rifornimenti d’emergenza avesse potuto ovviare all’ostacolo rappresentato dalla mancanza di attrezzature portuali. Dal settore di Roma non avremmo potuto distaccare forze per la difesa di quel tratto di costa perché non ne avevamo abbastanza. Nemmeno dalla pianura padana sarebbe stato possibile fare affluire forze considerevoli nella zona». Ma torniamo ai fulmini di Churchill e allo stallo sul fronte italiano alla fine del 1943. L’appello del primo ministro ai suoi capi di stato maggiore sfonda una porta aperta. Anche loro la pensano così: la situazione può essere sbloccata usando i mezzi anfibi «per colpire il fianco nemico e spianare la via ad una rapida avanzata su Roma». Eisenhower, come s’è detto, è favorevole ad uno sbarco. Ma a causa degli impegni presi dagli Alleati per l’Operazione Overlord (l’apertura del secondo fronte in Normandia), i mezzi anfibi disponibili in gennaio saranno appena sufficienti al trasporto di una

divisione. «Il punto debole del suo piano», fanno notare al primo ministro i capi di stato maggiore inglesi, «sta nel fatto che un attacco alla costa di tali proporzioni non potrà avere luogo finché la 5ª Armata non sarà giunta ad una distanza tale da poter appoggiare le unità impegnate nella testa di sbarco. Se però si potesse aumentare il numero dei mezzi da sbarco, si potrebbe sbarcare un corpo di spedizione più numeroso senza dover attendere che il grosso delle truppe sia in grado di fornire un aiuto immediato». La raccomandazione degli inglesi è dunque che si trovino assolutamente i mezzi anfibi necessari per il trasporto di almeno due divisioni. Il peso di «Overlord» sulla campagna d’Italia La carenza di mezzi anfibi nasce dalle divergenze politiche e strategiche che fin da Casablanca hanno cominciato ad affiorare tra gli Alleati. Churchill, come scrive sinteticamente Guido Gigli, «intendeva utilizzare i più di dieci mesi “vuoti” fra la caduta della Tunisia e lo sbarco in Normandia per impegnare quante più truppe fosse possibile in Italia e in Balcania, al fine di evitare l’insediamento della Russia nell’Europa centrale». Roosevelt, invece, «si opponeva ad un simile disegno», non soltanto «per non dispiacere a Mosca», ma anche perché temeva che le iniziative del suo grande amico e alleato potessero trascinare l’America in un’avventura balcanica per lui molto pericolosa sul piano elettorale. Dal punto di vista militare, precisa Majdalany, «il dissenso consisteva sostanzialmente in questo: mentre Churchill riteneva che, a parte ogni altro vantaggio, la campagna diversiva in Italia fosse un preliminare strategico essenziale al colpo decisivo, Roosevelt e Marshall sostenevano che tale impegno avrebbe indebolito lo sforzo finale». Lo sforzo finale era rappresentato dall’Operazione Overlord, in programma per la primavera del 1944. Ma quell’attacco in grande stile al baluardo settentrionale della «Fortezza Europa» avrebbe richiesto il concentramento di tutti gli uomini e di tutti i materiali disponibili, tra i quali, appunto, i mezzi da sbarco. È così che l’Operazione Overlord, alla quale gli Alleati hanno concordemente deciso di accordare la precedenza assoluta, si trasformerà in una palla al piede della campagna d’Italia, una palla ancora più pesante di quella, già quasi intrasportabile, costituita dall’impervia geografia della penisola. Se dal punto di vista strategico Churchill poteva anche avere ragione nel definire l’Italia «il basso ventre dell’Asse», dal punto di vista tattico non c’era dubbio che essa somigliasse assai più ad una corazza o, come scrive Majdalany, a «un dorso ossuto, squamoso e con la pelle dura». «Gli americani», commenta lo storico inglese, «finirono per accettare la campagna, ma solo su una base di compromesso. Si rifiutarono di appoggiarla con tutto il loro peso, considerandola come un fronte secondario. Ne conseguì che la campagna, la più ardua di tutte per le difficoltà naturali, fu condotta, per così dire, con le mani legate dietro la schiena». Natale 1943. I canadesi dell’8ª Armata lo passano a Ortona, combattendo casa per casa contro i paracadutisti tedeschi una delle più dure battaglie della guerra. Sarà l’ultima offensiva di Montgomery prima che il popolare condottiero ceda il comando al generale Leese e torni in Gran Bretagna per mettersi alla testa delle forze terrestri destinate allo sbarco in Normandia. Gli americani, gli inglesi e i francesi della 5ª Armata fanno Natale davanti a Cassino, sfiniti dalla difficile conquista delle ultime colline antistanti le fortificazioni della munitissima Linea Gustav. Il 18 dicembre il loro comandante si è reso conto che le sue colonne stanno avanzando troppo lentamente per poter sperare di appoggiare lo sbarco di Anzio e ha raccomandato ad Alexander di annullarlo. Il generale von Senger, che comanda in quel momento le forze tedesche nel settore di Cassino,

divisione. «Il punto debole del suo piano», fanno notare al primo ministro i capi di stato<br />

maggiore inglesi, «sta nel fatto che un attacco alla costa di tali proporzioni non potrà<br />

avere luogo finché la 5ª Armata non sarà giunta ad una distanza tale da poter<br />

appoggiare le unità impegnate nella testa di sbarco. Se però si potesse aumentare il<br />

numero dei mezzi da sbarco, si potrebbe sbarcare un corpo di spedizione più numeroso<br />

senza dover attendere che il grosso delle truppe sia in grado di fornire un aiuto<br />

immediato». La raccomandazione degli inglesi è dunque che si trovino assolutamente i<br />

mezzi anfibi necessari per il trasporto di almeno due divisioni.<br />

Il peso di «Overlord» sulla campagna d’Italia<br />

La carenza di mezzi anfibi nasce dalle divergenze politiche e strategiche che fin da<br />

Casablanca hanno cominciato ad affiorare tra gli Alleati. Churchill, come scrive<br />

sinteticamente Guido Gigli, «intendeva utilizzare i più di dieci mesi “vuoti” fra la caduta<br />

della Tunisia e lo sbarco in Normandia per impegnare quante più truppe fosse possibile<br />

in Italia e in Balcania, al fine di evitare l’insediamento della Russia nell’Europa centrale».<br />

Roosevelt, invece, «si opponeva ad un simile disegno», non soltanto «per non<br />

dispiacere a Mosca», ma anche perché temeva che le iniziative del suo grande amico e<br />

alleato potessero trascinare l’America in un’avventura balcanica per lui molto pericolosa<br />

sul piano elettorale. Dal punto di vista militare, precisa Majdalany, «il dissenso<br />

consisteva sostanzialmente in questo: mentre Churchill riteneva che, a parte ogni altro<br />

vantaggio, la campagna diversiva in Italia fosse un preliminare strategico essenziale al<br />

colpo decisivo, Roosevelt e Marshall sostenevano che tale impegno avrebbe indebolito<br />

lo sforzo finale». Lo sforzo finale era rappresentato dall’Operazione Overlord, in<br />

programma per la primavera del 1944. Ma quell’attacco in grande stile al baluardo<br />

settentrionale della «Fortezza Europa» avrebbe richiesto il concentramento di tutti gli<br />

uomini e di tutti i materiali disponibili, tra i quali, appunto, i mezzi da sbarco.<br />

È così che l’Operazione Overlord, alla quale gli Alleati hanno concordemente deciso di<br />

accordare la precedenza assoluta, si trasformerà in una palla al piede della campagna<br />

d’Italia, una palla ancora più pesante di quella, già quasi intrasportabile, costituita<br />

dall’impervia geografia della penisola. Se dal punto di vista strategico Churchill poteva<br />

anche avere ragione nel definire l’Italia «il basso ventre dell’Asse», dal punto di vista<br />

tattico non c’era dubbio che essa somigliasse assai più ad una corazza o, come scrive<br />

Majdalany, a «un dorso ossuto, squamoso e con la pelle dura». «Gli americani»,<br />

commenta lo storico inglese, «finirono per accettare la campagna, ma solo su una base<br />

di compromesso. Si rifiutarono di appoggiarla con tutto il loro peso, considerandola<br />

come un fronte secondario. Ne conseguì che la campagna, la più ardua di tutte per le<br />

difficoltà naturali, fu condotta, per così dire, con le mani legate dietro la schiena».<br />

Natale 1943. I canadesi dell’8ª Armata lo passano a Ortona, combattendo casa per casa<br />

contro i paracadutisti tedeschi una delle più dure battaglie della guerra. Sarà l’ultima<br />

offensiva di Montgomery prima che il popolare condottiero ceda il comando al generale<br />

Leese e torni in Gran Bretagna per mettersi alla testa delle forze terrestri destinate allo<br />

sbarco in Normandia. Gli americani, gli inglesi e i francesi della 5ª Armata fanno Natale<br />

davanti a Cassino, sfiniti dalla difficile conquista delle ultime colline antistanti le<br />

fortificazioni della munitissima Linea Gustav. Il 18 dicembre il loro comandante si è reso<br />

conto che le sue colonne stanno avanzando troppo lentamente per poter sperare di<br />

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