SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Capitolo settantacinquesimo Lo sbarco di Anzio Il 14 dicembre 1943 un aereo militare atterra alla periferia di Termoli per sbarcare un importante passeggero. Si tratta del generale Alan Brooke, capo dello stato maggiore generale imperiale britannico, che dopo essersi sgranchito le gambe viene caricato da un Fieseler Storch in attesa sulla pista. Il decollo avviene poco dopo. Per qualche tempo il piccolo velivolo, catturato ai tedeschi in Jugoslavia, si addentra nella valle del Sangro, sfiorando le cime degli alberi e abbassandosi sulle acque del fiume per consentire ai passeggeri di osservarne i difficili guadi. Poi, alla fine della ricognizione, lo Storch inverte la rotta e torna indietro, atterrando su una pista vicino alla foce. Qui lo aspetta l’automobile scoperta di Montgomery, che accoglie l’ufficiale per una seconda ricognizione lungo il Sangro. Il giro in macchina dei due generali si conclude in una radura a sud del fiume, dove si trova il comando dell’8ª Armata. La conversazione, iniziatasi durante la ricognizione, prosegue davanti ad una tazza di tè bollente. La giornata è stata pesante e quella sera Brooke va a letto presto. Ma prima di addormentarsi, nella baracca che gli hanno assegnato, trova il tempo di stendere questi appunti: «Monty mi è sembrato particolarmente stanco, e ha un gran bisogno di riposo e di un cambiamento. Ho capito che, secondo lui, Clark non sta guidando bene la 5ª Armata e Alex non sfrutta a dovere la situazione. Poco prima di cena mi ha invitato nella sua tenda e mi ha chiesto che importanza attribuiamo ad una rapida occupazione di Roma, perché lui ha poche speranze di potervi arrivare prima di marzo. […] Sinceramente sono alquanto scoraggiato da quello che ho sentito e visto oggi… ». Il giorno seguente, 15 dicembre, Brooke visita altri comandi. L’atmosfera che vi trova non gli piace. «Da ciò che ho visto durante il giorno», scriverà nel suo diario quella sera, «direi che la nostra offensiva qui si è impantanata e che non riusciremo a fare progressi finché il terreno non si sarà asciugato […]. Ho l’impressione che Monty sia stanco e che Alex non si sia completamente rimesso dall’itterizia. L’offensiva ristagna e prima che me ne vada bisogna fare assolutamente qualcosa». La mattina del 16 dicembre Brooke lascia Vasto per Napoli in aereo. Poco dopo le dieci è già sulle banchine del porto, ad ispezionare i lavori in corso per sgomberarlo dei numerosi relitti prodotti dalle demolizioni dei tedeschi in ritirata. A pranzo è ospite di Clark, il comandante della 5ª Armata. «Ho parlato a lungo con lui dell’offensiva sul suo fronte», scriverà nel suo diario quella sera, «e da quanto ho sentito le prospettive per il futuro non sono molto allegre. Mi sembra che i suoi piani strategici non prevedano altro che piccoli attacchi isolati e niente, purtroppo, di abbastanza concreto». L’ispezione a quel settore del fronte ha luogo il giorno dopo. «Quel giorno, per me, fu prezioso», scriverà Brooke dopo la guerra, «perché ricevetti personalmente un preciso rapporto sui combattimenti in corso. Potei farmi un quadro particolareggiato del genere di operazioni che erano necessarie e di conseguenza, quando tornai a Londra, riuscii ad avere un’idea molto più chiara del campo di battaglia. Dalla cima del Monte Camino vidi distintamente Montecassino e la campagna circostante e parlai a lungo con Alex dell’osso duro che avremmo trovato lì». Il fronte è a un paio d’ore da Napoli

L’uomo che nei suoi scritti Brooke chiama familiarmente «Alex» era il generale Harold Alexander, comandante del 15° Gruppo di armate (e dall’inizio dell’anno seguente comandante in capo delle forze armate – degli Alleati e italiane cobelligeranti – in Italia). Il 15° Gruppo era costituito da due armate: l’8ª Armata britannica, agli ordini del generale Bernard Montgomery, e la 5ª Armata anglo-americana, agli ordini del generale Mark Clark. L’8ª Armata, sbarcata sulla punta dello stivale all’inizio di settembre senza incontrare alcuna resistenza, aveva proseguito il suo cammino lungo l’Adriatico e, dopo essersi impadronita dei porti di Taranto e Bari, si era spinta in poco più di un mese, senza troppa fatica, fino a Foggia, Termoli e Vasto. L’occupazione degli aeroporti della ex Regia Aeronautica intorno a Foggia aveva dato all’aviazione alleata le basi necessarie per effettuare massicci bombardamenti sulla Germania (dagli stessi aeroporti gli sparuti reparti dell’Aeronautica co-belligerante iniziavano ad operare intanto sui Balcani, in appoggio ai partigiani). Nello stesso tempo la 5ª Armata, uscita con gravi perdite dalla brutta avventura di Salerno, aveva occupato Napoli, attraversato faticosamente il Volturno e raggiunto il Garigliano. Qui la sua marcia si era interrotta, bloccata dalle postazioni difensive approntate dai tedeschi lungo la cosiddetta Linea Gustav. «L’avanzata dell’8ª, più rapida, potrebbe paragonarsi ad una serie di violenti colpi di pugnale», ha scritto Fred Majdalany, lo storico di Cassino; «La 5ª invece si comportava come un toro, ansante ma ancora in forze, che sferri un attacco dopo l’altro a testa bassa sotto una continua pioggia di banderillas». Le battaglie sul fronte italiano si somigliavano tutte. I tedeschi tenevano la posizione finché era possibile, poi ripiegavano di qualche chilometro sino alla posizione successiva, distruggendo strade e ponti e minando ogni metro di terreno. Gli anglo-americani aspettavano il tramonto, col favore delle tenebre guadavano un fiume o un ruscello, andavano coraggiosamente all’assalto delle alture sulla riva opposta e all’alba vi si trinceravano, in attesa che i genieri al loro seguito riparassero i danni e spianassero la strada ai carri armati. Questo il copione di tutte le battaglie combattute in Italia fino ai primi di novembre, quando il tempo, già brutto, peggiora. «In tutto questo periodo il fronte fu ad un paio d’ore di macchina da Napoli», ricorda Alan Moorehead, che segue l’avanzata come corrispondente di guerra. «I generali avevano installato il comando nell’immensa reggia di Caserta e un po’ più in là c’erano i tedeschi. Fiori, donne e canti a Napoli. Uomini allo stremo delle forze sul Garigliano. Il contrasto era semplicemente assurdo. E ora, a renderlo ancora più stridente, giunse l’inverno con la pioggia e il gelo. Metà delle moderne complicate attrezzature belliche divennero inutili: tutto il peso della battaglia ricadde sulla fanteria, sugli uomini che strisciavano nel fango». In queste condizioni né la 5ª né l’8ª Armata potevano proseguire. Per tutta la lunghezza del fronte, da una costa all’altra, si era ormai arrivati ad un punto morto. Tornando a Cartagine, da dove era partito per la sua ricognizione sul fronte italiano, Brooke ha il piacere di trovarvi un Churchill in discrete condizioni fisiche. Le cure e i farmaci «miracolosi» del dottor Moran hanno debellato in pochi giorni la polmonite dalla quale il primo ministro britannico era stato colpito il 13 dicembre. La febbre è passata ma il cuore è ancora debole. Brooke sostiene, nelle sue memorie, di non avere fatto parola dell’impressione sfavorevole destata in lui dal viaggio in Italia per non allarmare l’anziano convalescente. Qualcosa, tuttavia, deve lasciarsi sfuggire, perché Churchill entra subito in azione. La prima sfuriata è per i capi di stato maggiore inglesi: «Non c’è dubbio che il completo ristagno delle operazioni sul fronte italiano sta diventando scandaloso. Il capo dello stato maggiore generale imperiale durante la sua visita ha confermato le mie previsioni più pessimistiche. Il fatto di avere completamente trascurato le operazioni anfibie lungo la costa adriatica e di non essere riusciti ad

Capitolo settantacinquesimo<br />

Lo sbarco di Anzio<br />

Il 14 dicembre 1943 un aereo militare atterra alla periferia di Termoli per sbarcare un<br />

importante passeggero. Si tratta del generale Alan Brooke, capo dello stato maggiore<br />

generale imperiale britannico, che dopo essersi sgranchito le gambe viene caricato da<br />

un Fieseler Storch in attesa sulla pista. Il decollo avviene poco dopo. Per qualche tempo<br />

il piccolo velivolo, catturato ai tedeschi in Jugoslavia, si addentra nella valle del Sangro,<br />

sfiorando le cime degli alberi e abbassandosi sulle acque del fiume per consentire ai<br />

passeggeri di osservarne i difficili guadi. Poi, alla fine della ricognizione, lo Storch<br />

inverte la rotta e torna indietro, atterrando su una pista vicino alla foce. Qui lo aspetta<br />

l’automobile scoperta di Montgomery, che accoglie l’ufficiale per una seconda<br />

ricognizione lungo il Sangro. Il giro in macchina dei due generali si conclude in una<br />

radura a sud del fiume, dove si trova il comando dell’8ª Armata. La conversazione,<br />

iniziatasi durante la ricognizione, prosegue davanti ad una tazza di tè bollente. La<br />

giornata è stata pesante e quella sera Brooke va a letto presto. Ma prima di<br />

addormentarsi, nella baracca che gli hanno assegnato, trova il tempo di stendere questi<br />

appunti: «Monty mi è sembrato particolarmente stanco, e ha un gran bisogno di riposo<br />

e di un cambiamento. Ho capito che, secondo lui, Clark non sta guidando bene la 5ª<br />

Armata e Alex non sfrutta a dovere la situazione. Poco prima di cena mi ha invitato nella<br />

sua tenda e mi ha chiesto che importanza attribuiamo ad una rapida occupazione di<br />

Roma, perché lui ha poche speranze di potervi arrivare prima di marzo. […]<br />

Sinceramente sono alquanto scoraggiato da quello che ho sentito e visto oggi… ».<br />

Il giorno seguente, 15 dicembre, Brooke visita altri comandi. L’atmosfera che vi trova<br />

non gli piace. «Da ciò che ho visto durante il giorno», scriverà nel suo diario quella sera,<br />

«direi che la nostra offensiva qui si è impantanata e che non riusciremo a fare progressi<br />

finché il terreno non si sarà asciugato […]. Ho l’impressione che Monty sia stanco e che<br />

Alex non si sia completamente rimesso dall’itterizia. L’offensiva ristagna e prima che me<br />

ne vada bisogna fare assolutamente qualcosa».<br />

La mattina del 16 dicembre Brooke lascia Vasto per Napoli in aereo. Poco dopo le dieci<br />

è già sulle banchine del porto, ad ispezionare i lavori in corso per sgomberarlo dei<br />

numerosi relitti prodotti dalle demolizioni dei tedeschi in ritirata. A pranzo è ospite di<br />

Clark, il comandante della 5ª Armata. «Ho parlato a lungo con lui dell’offensiva sul suo<br />

fronte», scriverà nel suo diario quella sera, «e da quanto ho sentito le prospettive per il<br />

futuro non sono molto allegre. Mi sembra che i suoi piani strategici non prevedano altro<br />

che piccoli attacchi isolati e niente, purtroppo, di abbastanza concreto». L’ispezione a<br />

quel settore del fronte ha luogo il giorno dopo. «Quel giorno, per me, fu prezioso»,<br />

scriverà Brooke dopo la guerra, «perché ricevetti personalmente un preciso rapporto sui<br />

combattimenti in corso. Potei farmi un quadro particolareggiato del genere di operazioni<br />

che erano necessarie e di conseguenza, quando tornai a Londra, riuscii ad avere un’idea<br />

molto più chiara del campo di battaglia. Dalla cima del Monte Camino vidi distintamente<br />

Montecassino e la campagna circostante e parlai a lungo con Alex dell’osso duro che<br />

avremmo trovato lì».<br />

Il fronte è a un paio d’ore da Napoli

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