SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

giudicare e misurare le responsabilità: una tremenda nemesi storica chiudeva nella stessa zona di morte le vittime, i giudici, gli esecutori». Proseguo narrando l’illuminazione della grazia in quella notte resa gelida dallo spettro della morte. Mussolini, sorpreso dalla spiritualità di quella vicenda di cui conosce solo l’epilogo, si raccoglie in se stesso: le pieghe del volto si spianano, le braccia conserte sul tavolo si slegano in un abbandono trepido. Quando tocco l’argomento della discussione accesasi tra Ciano e De Bono sulla grazia negata mi interrompe: «Io non ho ricevuto alcuna domanda di grazia!». Lo dice con un tono debole, tormentato, senza lasciare il tempo ad una domanda che mi viene spontanea: cosa avrebbe fatto o potuto fare se la richiesta di grazia fosse giunta al suo tavolo? Prosegue, come cercando pietà: «Nell’orribile notte prima dell’esecuzione, ogni volta che accendevo la luce nella mia stanza, scoprivo l’attrazione irresistibile della rivoltella sul mio tavolino da notte… ». Io penso e dico che le preghiere degli Scalzi in quella notte aiutarono anche lui a salvarsi dall’abisso. Un altro silenzio, poi Mussolini esclama: «È grande Iddio. La sua grazia avvolge anche la nostra follia. Come siamo piccoli noi… ». Una nuova pausa e io vedo le sue mani che tremano. Una nuova domanda: «Le parole di perdono di Ciano erano anche per me?». «È evidente», rispondo. «Quelle parole suggellarono la discussione sul supposto rigetto della domanda di grazia». «Non credevo», è il commento di Mussolini, «che mio genero fosse così riflessivo. Quella sua frase: “Siamo tutti travolti dallo stesso naufragio”, mi dice che la sventura maturò il suo pensiero». Narro poi estesamente i particolari della fucilazione. Il duce non interrompe mai il mio racconto. Quando faccio per licenziarmi alza una mano per trattenermi ancora. «In quella notte», dice, «ero in attesa incosciente di eventi che dovevano emergere, non sapevo bene da quali altezze o da quali abissi, per fermare la corsa del destino. Quando mi annunciarono il fatto compiuto divagai in discorsi vuoti per spiegare a me stesso la mia tragedia. Ma poi, appena rimasi solo, mi prese un pianto irrefrenabile sulle vittime, su me stesso, su tutti». E io gli dico che il pianto, prerogativa dei bimbi e delle donne, nell’uomo maturo è espressione di profondità abissali. «Quel pianto», gli dico, «segnò l’inizio di una preghiera di riconciliazione con voi stesso e con Dio. Fu una distillazione di tutta una vita sulle pupille che videro troppo… ». Così ci lasciammo. La spia degli Scalzi Una giovane donna affiliata alle SS tedesche, Felicitas Beetz, passa i suoi pomeriggi nella cella di Ciano nell’intento di farsi consegnare i suoi diari Mario Pellegrinotti, uomo sensibile e perspicace, dotato di grande umanità, nel 1944 era sottufficiale degli agenti di custodia del carcere degli Scalzi, a Verona. Per questo suo incarico entrò in intimità con gli imputati. Dalle sue esperienze di allora e dai ricordi è nato un libr o, Sono stato il carceriere di Ciano, Editrice Cavour, Milano 1975, dal quale stralciamo questo passo. La mattina del 16 novembre si verificò agli «Scalzi» un altro grande colpo di scena: mentre Ciano si trovava negli uffici della direzione, per essere interrogato dal

procuratore della repubblica, dottor Prospero, ma su fatti non inerenti al voto in Gran Consiglio, fece la sua improvvisa apparizione nella sezione speciale una giovane e graziosa donna. Di statura piuttosto bassa, snella e ben proporzionata, castana di capelli, il volto delicato e malinconico, i denti bianchissimi. Vestiva con una certa eleganza. La accompagnava il comandante del carcere, il quale mi avvertì che quella misteriosa dama era permanentemente autorizzata ad entrare nella sezione speciale e a conferire con Ciano. Quindi me l’affidò perché l’accompagnassi nella cella del prigioniero. Lo feci ancora sbalordito. Ella mi ringraziò con molta effusione ed in corretto italiano. Ma si capiva che era tedesca. Quando fui avvisato che il conte stava rientrando dall’interrogatorio, andai ad attenderlo all’ingresso della sezione. Come mi fu vicino, gli dissi sottovoce, in modo da non farmi sentire dal sottufficiale tedesco che lo accompagnava: «Eh, ora anche le belle donne vengono a farci visita… ». Ciano, visibilmente sorpreso mi domandò: «Chi è? Chi è?». «Non ho la più pallida idea di chi possa essere», risposi. «Immagino comunque che si tratti di “merce” tedesca». Seguito da me, il prigioniero si diresse verso la sua cella quasi di corsa. Giunto davanti alla porta, guardò attraverso lo spioncino e mi sussurrò: «Attenzione, è una spia!». Poi entrò. Colei che attendeva si alzò, e si salutarono come due vecchie conoscenze. Al termine di quella singolare visita, protrattasi per oltre un’ora, Ciano mi confidò subito che la donna era affiliata alle SS tedesche, che si faceva chiamare con il falso nome di Felicitas Beetz, che era maritata ad un ufficiale dell’Aviazione germanica, e che lui l’aveva conosciuta durante il suo recente soggiorno forzato nei pressi di Monaco di Baviera. Completò: «I tedeschi stanno facendo da tempo una caccia spietata al mio importantissimo diario. Hanno un bel cercarlo: è in un luogo sicuro e non lo troveranno mai. Ora mi hanno messo alle costole la Beetz perché mi carpisca qualche indicazione che serva a rintracciarlo. Illusi!». «Vedremo», dissi io, «se una donnetta tedesca, riuscirà a mettere nel sacco il ministro degli Esteri italiano». «E che ministro!», esclamò lui. «Ragione di più», proseguii, «per non lasciarsi ingannare come quando le promisero che lo avrebbero condotto in Spagna». «Le assicuro, Pellegrinotti, che questa volta non ci casco. Stia in guardia, perché, come vede, la diplomazia teutonica ha, in questa particolarissima circostanza, sfoderato un’arma quanto mai insidiosa rappresentata dalla Beetz, la quale, pur non essendo un’appariscente bellezza nordica, è tuttavia una bella donnina». «Sì, questo è vero, ma il trucco è così vecchio, ed io non sono certo un barbagianni», concluse egli ridendo. Si seppe poi che nelle famigerate SS quella donna rivestiva il grado di maggiore e che Felicitas era il soprannome affibbiatole da un colonnello a causa della giovialità del suo carattere. La Beetz, che vive ora a Berlino, rimasta vedova nel 1945, si risposò poco dopo con un ufficiale americano dal quale ha divorziato. A partire dal 16 novembre 1943 e fino all’11 gennaio 1944, eccetto un periodo di due settimane, durante il quale fu in Germania, Felicitas Beetz trascorse tutti i pomeriggi nella cella ventisette, accanto a Ciano. Anche con lei, egli manifestava apertamente i suoi sentimenti anti-tedeschi, le parlava male di Mussolini, definendolo ambizioso e incapace, lasciandosi andare a lunghi e concitati sfoghi. Dal canto suo, in contatto anche con Edda tramite un intermediario di fiducia, la Beetz poteva informare il prigioniero delle novità concernenti i figli e la moglie. Ella parlava correttamente l’italiano, pur stentando talvolta a trovare la parola adatta. E quando le capitava di fare errori di pronuncia, si correggeva prontamente. Mentre c’era essa, non mi recavo mai nella cella di Ciano, se non per necessità di servizio. Una volta, che fui invitato a trattenermi in loro compagnia, ricordo che il discorso cadde sull’andamento delle

procuratore della repubblica, dottor Prospero, ma su fatti non inerenti al voto in Gran<br />

Consiglio, fece la sua improvvisa apparizione nella sezione speciale una giovane e<br />

graziosa donna. Di statura piuttosto bassa, snella e ben proporzionata, castana di<br />

capelli, il volto delicato e malinconico, i denti bianchissimi. Vestiva con una certa<br />

eleganza. La accompagnava il comandante del carcere, il quale mi avvertì che quella<br />

misteriosa dama era permanentemente autorizzata ad entrare nella sezione speciale e a<br />

conferire con Ciano. Quindi me l’affidò perché l’accompagnassi nella cella del<br />

prigioniero. Lo feci ancora sbalordito. Ella mi ringraziò con molta effusione ed in corretto<br />

italiano. Ma si capiva che era tedesca.<br />

Quando fui avvisato che il conte stava rientrando dall’interrogatorio, andai ad attenderlo<br />

all’ingresso della sezione. Come mi fu vicino, gli dissi sottovoce, in modo da non farmi<br />

sentire dal sottufficiale tedesco che lo accompagnava: «Eh, ora anche le belle donne<br />

vengono a farci visita… ».<br />

Ciano, visibilmente sorpreso mi domandò: «Chi è? Chi è?».<br />

«Non ho la più pallida idea di chi possa essere», risposi. «Immagino comunque che si<br />

tratti di “merce” tedesca».<br />

Seguito da me, il prigioniero si diresse verso la sua cella quasi di corsa. Giunto davanti<br />

alla porta, guardò attraverso lo spioncino e mi sussurrò: «Attenzione, è una spia!». Poi<br />

entrò. Colei che attendeva si alzò, e si salutarono come due vecchie conoscenze.<br />

Al termine di quella singolare visita, protrattasi per oltre un’ora, Ciano mi confidò subito<br />

che la donna era affiliata alle SS tedesche, che si faceva chiamare con il falso nome di<br />

Felicitas Beetz, che era maritata ad un ufficiale dell’Aviazione germanica, e che lui<br />

l’aveva conosciuta durante il suo recente soggiorno forzato nei pressi di Monaco di<br />

Baviera. Completò: «I tedeschi stanno facendo da tempo una caccia spietata al mio<br />

importantissimo diario. Hanno un bel cercarlo: è in un luogo sicuro e non lo troveranno<br />

mai. Ora mi hanno messo alle costole la Beetz perché mi carpisca qualche indicazione<br />

che serva a rintracciarlo. Illusi!».<br />

«Vedremo», dissi io, «se una donnetta tedesca, riuscirà a mettere nel sacco il ministro<br />

degli Esteri italiano». «E che ministro!», esclamò lui. «Ragione di più», proseguii, «per<br />

non lasciarsi ingannare come quando le promisero che lo avrebbero condotto in<br />

Spagna». «Le assicuro, Pellegrinotti, che questa volta non ci casco. Stia in guardia,<br />

perché, come vede, la diplomazia teutonica ha, in questa particolarissima circostanza,<br />

sfoderato un’arma quanto mai insidiosa rappresentata dalla Beetz, la quale, pur non<br />

essendo un’appariscente bellezza nordica, è tuttavia una bella donnina». «Sì, questo è<br />

vero, ma il trucco è così vecchio, ed io non sono certo un barbagianni», concluse egli<br />

ridendo. Si seppe poi che nelle famigerate SS quella donna rivestiva il grado di<br />

maggiore e che Felicitas era il soprannome affibbiatole da un colonnello a causa della<br />

giovialità del suo carattere. La Beetz, che vive ora a Berlino, rimasta vedova nel 1945, si<br />

risposò poco dopo con un ufficiale americano dal quale ha divorziato.<br />

A partire dal 16 novembre 1943 e fino all’11 gennaio 1944, eccetto un periodo di due<br />

settimane, durante il quale fu in Germania, Felicitas Beetz trascorse tutti i pomeriggi<br />

nella cella ventisette, accanto a Ciano. Anche con lei, egli manifestava apertamente i<br />

suoi sentimenti anti-tedeschi, le parlava male di Mussolini, definendolo ambizioso e<br />

incapace, lasciandosi andare a lunghi e concitati sfoghi. Dal canto suo, in contatto<br />

anche con Edda tramite un intermediario di fiducia, la Beetz poteva informare il<br />

prigioniero delle novità concernenti i figli e la moglie. Ella parlava correttamente<br />

l’italiano, pur stentando talvolta a trovare la parola adatta. E quando le capitava di fare<br />

errori di pronuncia, si correggeva prontamente. Mentre c’era essa, non mi recavo mai<br />

nella cella di Ciano, se non per necessità di servizio. Una volta, che fui invitato a<br />

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