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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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[…] trasformismo senza decoro personale e senza intransigenza». Rieletto deputato nel<br />

1924, direttore dell’Epoca nel 1925, il 6 novembre 1926 Bottai viene nominato<br />

sottosegretario del nuovo Ministero delle corporazioni, di cui tre anni dopo sarà ministro<br />

titolare. La defenestrazione avviene nel 1932.<br />

Volontario nella guerra di Etiopia, Bottai è il primo governatore civile di Addis Abeba.<br />

Tornato in Italia, alla fine del 1936 viene nominato ministro dell’Educazione nazionale.<br />

Dopo avere dato il suo nome alla «carta del lavoro», prepara ora una «carta della<br />

scuola» destinata a riformare la legislazione scolastica italiana. Favorevole alla politica<br />

razziale, nel 1938 è tra i primi a introdurre la discriminazione contro professori e<br />

studenti ebrei. Nel 1940 fonda un’altra rivista, Prima o, t alla quale collaboreranno<br />

studiosi e intellettuali antifascisti. Sarà il suo alibi.<br />

Piano piano, però, la sua grande fiducia in Mussolini si è dissolta. Quegli occhi<br />

«magnetici» non lo incantano più. «Non è volitivo, è un velleitario», dice amaramente di<br />

lui. La notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 Bottai l’esitante si decide: con Grandi, Federzoni<br />

e gli altri congiurati, vota apertamente contro il duce. «Non è più questione di “tradire”<br />

o di “non tradire”», spiegherà, «ma di avere il coraggio di confessare il tradimento da<br />

lui [Mussolini] compiuto giorno per giorno dalle prime decisioni a questo crollo morale.<br />

Non un’idea, non un fatto, un istituto, una legge, cui egli abbia tenuto fede. Tutto fu da<br />

lui guastato, distorto, corrotto, sulla scia di un empirismo presuntuoso eppure accorto,<br />

fondato sul disprezzo degli uomini e dei loro ideali».<br />

Clandestino nella Legione Straniera<br />

Giusto. Ma Bottai dov’era? Cos’ha fatto per cambiare le cose, oltre ad abbandonarsi ai<br />

suoi sarcasmi? Condannato a morte in contumacia dal tribunale di Verona, il nuovo<br />

nemico di Mussolini lascia clandestinamente l’Italia e si arruola nella Legione Straniera.<br />

A quasi cinquant’anni, sotto falso nome, combatte la quarta guerra della sua vita,<br />

affrontando i tedeschi nelle foreste dell’Alsazia. Condannato all’ergastolo dall’alta corte<br />

di giustizia dopo la liberazione, amnistiato alla fine del 1947, torna in Italia l’anno<br />

seguente. Ritiratosi dalla vita politica, passa gli ultimi dieci anni della sua vita immerso<br />

nello studio di problemi politici e sindacali. Muore nel 1959.<br />

Chi lo incontra, qualche anno prima, lo trova «ancora snello e nero di capelli, un po’<br />

ingrigito sulle tempie», vestito con un abito «piuttosto modesto e vecchio». E triste,<br />

«irrimediabilmente malinconico», come coloro che contemplano il fallimento della<br />

propria esistenza.<br />

Vincenzo Mantovani<br />

Ciano mi perdonò?<br />

«Com’è andata la tragedia di Castelvecchio?»; il duce se lo fa raccontare da<br />

monsignor Chiot che ha assistito i condannati a morte<br />

Monsignor Giuseppe Chiot, veneto, morto ottantunenne a Verona il 16 marzo 1960, fu<br />

cappellano del carcere degli Scalzi e in tale veste trascorse con Ciano e gli altri<br />

condannati a morte le ultime ore prima dell’esecuzione. Il memoriale di don Chiot è<br />

notissimo ma questo è il racconto del sacerdote nella parte che riguarda Mussolini e il<br />

suo desiderio di conoscere con precisione come era stato fucilato il genero.<br />

Un biglietto del prefetto di Verona, Cosmin: «Il duce l’aspetta subito a Gardone. Ci sarà<br />

una macchina ad attenderla oggi alle 16 in piazza Dante». Il viaggio verso Gardone, tra

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