SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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non è Rommel ma il generale Ludwig Crüwell, venuto in ottobre ad assumere il comando dell’Afrikakorps (agli ordini di Rommel che invece comanda l’intero Panzergruppe Afrika costituitosi il 15 agosto). La «domenica dei morti», contestando gli ordini di Rommel e spesso agendo in modo indipendente, Crüwell annienta i resti della 7ª Divisione corazzata britannica, già duramente provata negli scontri dei due giorni precedenti, e liquida gran parte della 1ª Divisione sudafricana costringendo il generale Norrie, comandante del 30° Corpo d’armata, a ritirarsi dopo avere perduto due terzi dei suoi mezzi. La sconfitta britannica non segna però la fine dell’offensiva. Tutt’altro. Ancora per dieci giorni inglesi e tedeschi, sporchi, affamati e a corto di benzina, sempre più stanchi e disorientati, si inseguono e si affrontano, infliggendosi reciprocamente gravi perdite, nell’ampio quadrilatero tra Ed Duda, Bir el-Gobi, Bir Sheferzen e Bardia. La notte del 24 novembre agli inglesi basterebbe un colpo di fortuna per catturare l’intero comando del Panzergruppe Afrika. Spintosi oltre la frontiera tra Libia ed Egitto, il Mammouth di Rommel non è riuscito a ritrovare il varco nei reticolati attraverso il quale fare ritorno in Libia. Così dieci ufficiali, tra cui Crüwell e lo stesso Rommel, hanno dovuto passare la notte in territorio egiziano, battendo i denti per il freddo, a due passi dal quartier generale avanzato del comando supremo britannico. Ma all’alba Rommel, assistito ancora una volta dalla sua buona stella, ha riacceso il motore e, pilotando personalmente il suo Mammouth, è riuscito a trovare la breccia e a tornare alla base. La confusione è al colmo, non soltanto sul campo di battaglia ma anche negli alti comandi. Gli ufficiali di Rommel, non riuscendo a rintracciare il comandante in capo nei momenti in cui ci sarebbe più bisogno di lui (e Rommel, si sa, ama scorrazzare un po’ alla cieca nel deserto, perdendo i contatti col suo Stato Maggiore più spesso di quanto sarebbe consigliabile), manovrano l’Afrikakorps ignorando le sue direttive. Dall’altra parte Auchinleck, insoddisfatto di come sono state condotte le operazioni dal generale Alan Cunningham, che a suo avviso «ha ormai cominciato a orientarsi verso la difensiva», prima interviene personalmente nel deserto ordinandogli di «continuare l’offensiva contro il nemico», poi lo sostituisce col generale Neil Ritchie, suo sottocapo di Stato Maggiore. Superata la grave crisi prodotta dalla scorribanda di Rommel nelle retrovie dell’esercito inglese, la bilancia comincia a pendere dalla parte di quest’ultimo. Sidi Rezegh viene riconquistata. Poco dopo ha luogo il ricongiungimento con la guarnigione assediata. Il 30 novembre, con gli auguri per il proprio sessantasettesimo compleanno, Churchill riceve dal Nord Africa un messaggio che lo riempie di gioia: «Il corridoio per Tobruk è libero e sicuro». Il 3 dicembre, dopo un ultimo colpo di coda, Rommel si decide. Bisogna abbandonare tutto il terreno a est di Tobruk. Egli ha avuto, finora, quasi 500 morti, 1700 feriti, un migliaio di dispersi. Ha perduto 16 comandanti di unità, 142 carri e un’enorme quantità di materiale. Non ha visto, nelle sue folli corse attraverso il deserto, i grandi depositi di materiale costruiti dagli inglesi a un palmo dal suo naso prima che iniziasse l’offensiva. «Gott in Himmel!» dirà dopo la guerra uno dei suoi ufficiali: «Se avessimo saputo di quei depositi, avremmo vinto la battaglia!». Un risultato, però, è riuscito ad ottenerlo. Ha impedito al nemico di raggiungere l’obiettivo principale dell’Operazione Crusader, che era quello di impegnarlo in una guerra di logoramento per distruggere le sue forze corazzate. La «volpe» si ritira
A far crollare definitivamente le sue speranze è un ufficiale italiano, il tenente colonnello Giuseppe Montezemolo, che la sera del 5 dicembre arriva con un messaggio del comando supremo. Questo messaggio dice che per almeno un mese sarà impossibile fargli giungere rifornimenti o rinforzi via mare. In tali condizioni la ritirata diventa inevitabile. Con pochissimi carri ancora in efficienza e i depositi di munizioni in via di esaurimento, Rommel avanza la proposta di evacuare l’intera Cirenaica. Bastico si oppone, e l’ufficiale ha uno scatto di nervi. La colpa della sconfitta, prorompe, è dei generali italiani, che non hanno mai voluto collaborare lealmente con lui. Si mettano il cuore in pace, al comando supremo: Rommel non soltanto ha deciso di ritirare le proprie divisioni fino a Tripoli ma addirittura, per non cadere prigioniero degli inglesi, di farsi internare nella neutrale Tunisia. È soltanto uno sfogo, si capisce. La ritirata di Rommel si arresterà ben prima di Tripoli. Per tutto il mese di dicembre le forze dell’Asse ripiegano sotto la pioggia attraverso la Cirenaica. Camion e carri s’impantanano nel fango. Carburante e munizioni scarseggiano. Di giorno gli aerei nemici attaccano le colonne con le mitragliatrici e con le bombe. Un alto ufficiale della Luftwaffe, il generale Hoffmann von Waldau, annota il 20 dicembre nel suo diario che Rommel «ha deciso a favore di un’ulteriore ritirata, precisamente fino ad Agedabia. Impossibile giudicare se ha torto o ragione. È tutta questione di rifornimenti. Stiamo perdendo molto materiale, soprattutto aerei da trasporto: nella sola giornata di ieri, ben venti Junkers!». Lo stesso giorno il nuovo comandante della 90ª Divisione leggera riassume così la situazione: «Nessuno sa indicare una via di scampo. Gli inglesi ci sono enormemente superiori di numero. Il mistero è perché ci seguono con tanta lentezza. Più e più volte ci hanno dato modo di sfuggire all’accerchiamento. C’è un’unica spiegazione: hanno un sacrosanto timore del generale Rommel e della sua capacità di agire di sorpresa. Ecco il motivo per cui ci tallonano con tanta esitazione». Veramente c’è anche un’altra ragione. Più l’8ª Armata si allontana dal Cairo, più le sue linee di rifornimento si allungano e si assottigliano, stiracchiandosi come vecchi elastici. Il deserto riconferma la sua legge paradossale: chi avanza troppo in fretta si trova ben presto a mal partito; chi arretra si rafforza e si sente più sicuro. Prima che l’anno finisca El-Gazala, Derna e Bengasi cadono l’una dopo l’altra nelle mani degli inglesi. Ai primi di gennaio tutte le forze dell’Asse sono schierate sulla linea di Mersa Brega, alla frontiera con la Tripolitania. La lunga ritirata, che Rommel è riuscito a portare a termine senza subire gravi perdite, non ha intaccato la fiducia di Hitler nel suo ufficiale prediletto. «So di poter contare sul mio Panzergruppe anche in vista del nuovo anno», dice il suo messaggio di Capodanno. Gli auguri del Führer sono sempre bene accetti, ma contano meno delle bombe di Kesselring. Questi, da qualche settimana, sta rovesciando dalle basi siciliane una tempesta di fuoco su Malta. Gli U-Boote di Dönitz incrociano nel Mediterraneo tenendo a bada i resti della flotta britannica. L’alleggerimento in mare e in cielo finisce quasi per normalizzare la situazione dei trasporti e dei rifornimenti tedeschi proprio nel momento in cui gli inglesi incontrano le massime difficoltà logistiche. L’8ª Armata, ricorderà Alan Moorehead, «era come una pianta sana che non ha acqua a sufficienza». Mentre Rommel di giorno in giorno vede aumentare le proprie forze, le lunghe carovane con i rifornimenti per gli inglesi sprofondano fino ai mozzi delle ruote nel rosso fango libico. Il capolavoro di Rommel
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comando dell’Afrikakorps (agli ordini di Rommel che invece comanda l’intero<br />
Panzergruppe Afrika costituitosi il 15 agosto). La «domenica dei morti», contestando gli<br />
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7ª Divisione corazzata britannica, già duramente provata negli scontri dei due giorni<br />
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Norrie, comandante del 30° Corpo d’armata, a ritirarsi dopo avere perduto due terzi dei<br />
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La sconfitta britannica non segna però la fine dell’offensiva. Tutt’altro. Ancora per dieci<br />
giorni inglesi e tedeschi, sporchi, affamati e a corto di benzina, sempre più stanchi e<br />
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novembre agli inglesi basterebbe un colpo di fortuna per catturare l’intero comando del<br />
Panzergruppe Afrika. Spintosi oltre la frontiera tra Libia ed Egitto, il Mammouth di<br />
Rommel non è riuscito a ritrovare il varco nei reticolati attraverso il quale fare ritorno in<br />
Libia. Così dieci ufficiali, tra cui Crüwell e lo stesso Rommel, hanno dovuto passare la<br />
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generale avanzato del comando supremo britannico. Ma all’alba Rommel, assistito<br />
ancora una volta dalla sua buona stella, ha riacceso il motore e, pilotando<br />
personalmente il suo Mammouth, è riuscito a trovare la breccia e a tornare alla base.<br />
La confusione è al colmo, non soltanto sul campo di battaglia ma anche negli alti<br />
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momenti in cui ci sarebbe più bisogno di lui (e Rommel, si sa, ama scorrazzare un po’<br />
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sarebbe consigliabile), manovrano l’Afrikakorps ignorando le sue direttive. Dall’altra<br />
parte Auchinleck, insoddisfatto di come sono state condotte le operazioni dal generale<br />
Alan Cunningham, che a suo avviso «ha ormai cominciato a orientarsi verso la<br />
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l’offensiva contro il nemico», poi lo sostituisce col generale Neil Ritchie, suo sottocapo di<br />
Stato Maggiore. Superata la grave crisi prodotta dalla scorribanda di Rommel nelle<br />
retrovie dell’esercito inglese, la bilancia comincia a pendere dalla parte di quest’ultimo.<br />
Sidi Rezegh viene riconquistata. Poco dopo ha luogo il ricongiungimento con la<br />
guarnigione assediata. Il 30 novembre, con gli auguri per il proprio sessantasettesimo<br />
compleanno, Churchill riceve dal Nord Africa un messaggio che lo riempie di gioia: «Il<br />
corridoio per Tobruk è libero e sicuro».<br />
Il 3 dicembre, dopo un ultimo colpo di coda, Rommel si decide. Bisogna abbandonare<br />
tutto il terreno a est di Tobruk. Egli ha avuto, finora, quasi 500 morti, 1700 feriti, un<br />
migliaio di dispersi. Ha perduto 16 comandanti di unità, 142 carri e un’enorme quantità<br />
di materiale. Non ha visto, nelle sue folli corse attraverso il deserto, i grandi depositi di<br />
materiale costruiti dagli inglesi a un palmo dal suo naso prima che iniziasse l’offensiva.<br />
«Gott in Himmel!» dirà dopo la guerra uno dei suoi ufficiali: «Se avessimo saputo di<br />
quei depositi, avremmo vinto la battaglia!». Un risultato, però, è riuscito ad ottenerlo.<br />
Ha impedito al nemico di raggiungere l’obiettivo principale dell’Operazione Crusader,<br />
che era quello di impegnarlo in una guerra di logoramento per distruggere le sue forze<br />
corazzate.<br />
La «volpe» si ritira