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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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L’avvocato Perani, patrono di Gottardi, solleva una fondatissima eccezione di<br />

incompetenza del Tribunale Speciale straordinario a giudicare (poiché i reati di<br />

«tradimento e aiuto al nemico» sono specifici del tribunale militare), ma «l’atmosfera di<br />

terrore che domina la sala» è tale che egli non ha il coraggio di leggerla fino in fondo. Il<br />

p.g. Fortunato lo rimbecca aspramente: «Da questo banco parte un monito per la<br />

difesa: che sia all’altezza dell’ora. Non è sollevando questioni pregiudiziali che si discute<br />

un processo di importanza storica come questo!».<br />

Il Tribunale respinge l’eccezione, rifiuta i testimoni citati dalla difesa, ammette quelli<br />

dell’accusa (Suardo, Scorza, Galbiati) e le rogatorie di Farinacci, Biggini e Buffarini Guidi<br />

e chiama il primo imputato, De Bono. Il vecchio maresciallo, barbetta bianca a punta,<br />

cappotto blu e sciarpa grigia al collo, respinge gli addebiti: «Non ho mai pensato che il<br />

duce dovesse lasciare il suo posto come capo del governo: la mia devozione a Mussolini<br />

era infinita».<br />

Pareschi e Gottardi ribadiscono la loro estraneità al colpo di stato. Marinelli, malato e<br />

sgomento, dice che, della riunione del Gran Consiglio, non ha capito nulla perché<br />

soffriva di sordità: «… l’unica frase che afferrai fu quella che il re aveva stima e simpatia<br />

per Mussolini».<br />

Per ultimo è chiamato Ciano che si rivolge ai giudici col saluto fascista. Ma prima del suo<br />

interrogatorio il presidente dà lettura del memoriale che il 4 dicembre 1943 l’ex ministro<br />

degli Esteri ha inviato al tribunale destinato a giudicarlo. Eccolo: «A partire dal giorno 8<br />

febbraio, e cioè quando lasciai il ministero degli Affari Esteri per l’ambasciata presso la<br />

Santa Sede, la mia attività politica subì un forte rallentamento. I miei rapporti con gli<br />

ambienti militari erano limitati alla conoscenza personale dei generali Ambrosio, Roatta,<br />

Sorice ecc. Ma, specialmente dopo la nomina alla Santa Sede, credo di avere parlato<br />

una o due volte con Ambrosio, mai con gli altri. Non vedo Badoglio dal novembre 1940.<br />

Fino all’epoca della campagna etiopica le mie relazioni con Badoglio erano tese. Con<br />

Casa Reale ho avuto occasione di frequenti contatti finché fui ministro degli Esteri.<br />

Passato alla Santa Sede ebbi sempre minore opportunità di incontrare il re. Tranne la<br />

visita di congedo, vidi il re una volta sola a Livorno, dopo un bombardamento aereo.<br />

Acquarone lo incontrai a qualche pranzo diplomatico, ma non ebbi mai con lui<br />

conversazioni politiche di qualche rilievo. Il giorno 10 luglio 1943 mi recai a Livorno<br />

dove si trovava la mia famiglia, con intenzione di rimanervi un paio di settimane,<br />

sennonché il giorno giovedì 15 il consigliere d’ambasciata d’Ajeta mi telefonò che ero<br />

stato cercato dalla segreteria del Duce. Naturalmente feci immediato ritorno alla<br />

capitale. Ma il giorno dopo mi ammalai sì che fui nell’impossibilità di recarmi a Palazzo<br />

Venezia. Ebbi con De Cesare una telefonata in cui mi disse fra l’altro: “Il Duce è di<br />

cattivo umore per quello che è successo”. “Cosa è successo?”. “Alcuni camerati non si<br />

stanno comportando come si deve. Ieri ha avuto una riunione della quale si è<br />

dispiaciuto”.<br />

Nel pomeriggio ricevetti una visita di Bottai e da lui seppi di una riunione tenuta da<br />

alcuni camerati al partito e che poi si era conclusa con una visita al Duce a Palazzo<br />

Venezia, durante la quale si era parlato molto apertamente sulla situazione e si era<br />

richiesta la riunione del Gran Consiglio.<br />

Non ritenni verosimile la cosa e lo feci presente. Se vi era un momento poco indicato,<br />

nello smarrimento e nel disagio che facevano seguito all’avanzata inglese in Sicilia, per<br />

riunire un organo che da oltre tre anni non funzionava, era proprio quello. Il primo<br />

commento in Italia e fuori sarebbe stato che l’Italia cercava una qualsiasi via d’uscita<br />

dalla situazione nella quale era venuta a trovarsi. Ma le mie previsioni erano errate. Il<br />

venerdì mattina ricevetti una telefonata da Scorza. Lo incontrai nel suo ufficio alle<br />

12.30. Lo trovai piuttosto preoccupato e depresso. Giudicava la situazione grave;

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