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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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di luglio». È il 13 ottobre e sei giorni più tardi Ciano, scortato dalle SS e dall’interprete<br />

tedesca signora Felicitas Burkhardt – nota come Frau Beetz – è condotto a Verona in<br />

aereo e rinchiuso agli Scalzi, l’antico convento dei frati Carmelitani il cui chiosco è stato<br />

trasformato in un carcere: «Ahi, puzzo di morto», mormora entrando nella cella 27, al<br />

secondo piano.<br />

Il 4 novembre lo raggiungono Marinelli, Gottardi, Cianetti e Pareschi. Sono preoccupati<br />

ma fiduciosi «nella giustizia di Mussolini». De Bono, ancora a Cassano d’Adda, appare<br />

ottimista. Al giudice istruttore Vincenzo Cersosimo dichiara che gli basta citare un solo<br />

testimone, il duce, e quando sa che fra gli imputati c’è anche Ciano, confida sorridendo<br />

al proprio difensore, avvocato Marrosu: «Allora, a noi non succederà niente… ».<br />

La realtà è ben diversa. I nuovi fascisti reclamano implacabilmente la testa di Ciano,<br />

l’uomo che «ha avuto tutto dal regime e che il regime ha tradito». Quando l’EIAR, il 23<br />

ottobre, trasmette la cronaca dell’assemblea del fascio di Roma i radioascoltatori odono<br />

più volte il grido di «A morte Ciano!»; quando a metà novembre si inaugura a Verona il<br />

primo (e ultimo) congresso del PFR, il rappresentante di Firenze sollecita il processo a<br />

Ciano perché, dice, «temo un tentativo, più o meno aperto, di liberare l’accusato»;<br />

quando il congresso approva la creazione del Tribunale Speciale straordinario – che in<br />

effetti è già stato costituito – Pavolini annuncia ai delegati che «l’unica pena prevista, a<br />

termini di legge, contro coloro che siano colpevoli di tradimento, è la morte».<br />

L’aula di Castelvecchio<br />

Così, in una cupa giornata di un inverno mitissimo, la mattina di sabato 8 gennaio 1944,<br />

un quarto d’ora dopo le 9, si apre il processo a Castelvecchio. La grande sala dei<br />

concerti è parata con funebri drappi neri e sul fondo, sopra il tavolo del Tribunale,<br />

campeggia in rosso un gigantesco fascio della Prima Repubblica francese. I giudici –<br />

presieduti dall’avvocato Aldo Vecchini – sono il sindacalista Celso Riva, il medico Franz<br />

Pagliani, gli ufficiali della milizia Giovanni Riggio, Renzo Montagna, Vito Casalinovo,<br />

Domenico Mittica e Otello Gaddi e lo squadrista Enrico Vezzalini.<br />

Sotto l’abito borghese indossano la camicia nera. L’avvocato Andrea Fortunato, ex<br />

insegnante di materie giuridiche a Novara e mutilato del braccio destro, rappresenta<br />

l’accusa. Tutti gli imputati hanno un difensore di fiducia, eccetto Ciano che è patrocinato<br />

d’ufficio dall’avvocato Tommasini: i legali che ha interpellato, Perego e Padovani, hanno<br />

declinato l’incarico.<br />

Il presidente Vecchini legge il capo d’imputazione che addebita i delitti di «tradimento e<br />

aiuto al nemico» e forse nessuno degli accusati si rende conto, almeno durante la prima<br />

udienza, che tutto è già previsto e deciso, dalla durata del dibattimento alla sentenza:<br />

secondo un telegramma inviato a Ribbentrop dall’ambasciatore in Italia Rahn il 28<br />

dicembre, Pavolini, segretario generale del PFR, ha espresso il convincimento che il<br />

processo si concluderà in tre giorni, con una sentenza di morte e l’esecuzione<br />

immediata.<br />

Non c’è molto pubblico nella sala di Castelvecchio ma gruppi di bravacci, in divisa o in<br />

camicia nera, rumoreggiano al di là delle transenne ogni volta che uno degli imputati<br />

parla. I tedeschi sono presenti soltanto con tre ufficiali e Frau Beetz, incaricata da<br />

Himmler di entrare in possesso degli scottanti Diari scritti da Ciano e poi nascosti: il<br />

Führer ha infatti stabilito che «il processo sia esclusivamente materia di competenza del<br />

duce e che da parte nostra non si eserciti nessuna pressione in favore di una<br />

condanna».

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