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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Colpevole, ma quanto?<br />

Nel dopoguerra quello di Kappler è diventato uno dei casi<br />

più inquietanti di crimini di guerra<br />

Sul problema della responsabilità di un militare nell’esecuzione di un ordine, anche<br />

efferato (Kappler e la strage delle Ardeatine) vi è stato un acceso dibattito fra storici e<br />

intellettuali. Lo riassume Guido Gerosa ne Il caso Kappler, Sonzogno, Milano 1977.<br />

Il caso Kappler ha presentato dei complessi risvolti morali e giuridici, e probabilmente<br />

per questo ha appassionato tanto. Ci sono almeno due grandissimi problemi coinvolti<br />

nella vicenda del colonnello delle SS: quello della responsabilità individuale, connesso<br />

all’altro, se il militare deve sempre accettare ed eseguire gli ordini, anche quando<br />

palesemente ingiusti; e il secondo, del pentimento, dell’espiazione e del perdono dopo<br />

tanti anni. Vediamo il primo.<br />

Vi è una serie di studiosi e di storici che tende a minimizzare la colpa di Kappler: tra<br />

essi spicca, per la sua figura di indiscusso antifascista e per la sua autorità di studioso<br />

della Resistenza, Giorgio Bocca. Abbiamo già incontrato la sua tesi: Kappler non era il<br />

potere nazista a Roma, c’erano una trentina di personaggi grandi e piccoli che lo<br />

sovrastavano nell’organigramma del controllo della città aperta, e persino nell’episodio<br />

specifico della reazione all’attentato di via Rasella e della rappresaglia egli si attenne ad<br />

una serie di ordini che gli venivano lungo la catena gerarchica del comando, da Hitler in<br />

giù. Sicché Kappler, conclude Bocca, fu prevalentemente il capro espiatorio della<br />

situazione: mentre i suoi superiori e comandanti se la cavarono con pochi anni di<br />

carcere o addirittura, come Wolff e Dollmann, la fecero franca fin dall’inizio, grazie<br />

all’abilità con cui avevano saputo intavolare il negoziato con gli Alleati, Kappler<br />

interpretò per sempre la figura del Grande Colpevole. Ebbe delle colpe Kappler?<br />

Sicuramente, e grandissime, dice Bocca; ma le ha anche scontate con ventotto anni di<br />

prigione.<br />

La tesi non è del tutto convincente. Se vogliamo rimanere all’esame dei soli fatti, è vero<br />

che Kurt Maeltzer, il generale alcolizzato, alla vista dei cadaveri dei soldati della Bozen<br />

voleva far saltare in aria l’intero quartiere di via Rasella, e che Kappler con la sua<br />

freddezza di animale poliziesco lo dissuase. Ed è verissimo che gli ordini seguirono una<br />

strettissima catena gerarchica, passarono da Hitler a Kesselring, e dal feldmaresciallo a<br />

von Mackensen e a Maeltzer; e è anche vero che il famigerato generale delle SS Harster<br />

dette a Kappler l’autorizzazione ad usare per la rappresaglia gli ebrei che stavano per<br />

essere deportati, e che se si fosse lasciato fare al generale Wolff, il signore della guerra<br />

delle SS in Italia, questo bellissimo uomo che si portava a letto tutte le nobildonne<br />

dell’aristocrazia italiana, avrebbe fatto deportare in Germania un milione di romani, tutti<br />

gli uomini validi dai diciotto ai sessant’anni nella capitale: e che fu forse Kappler a<br />

frenare, non fosse altro per un tardivo sussulto d’inefficienza, questi stermini. Ma è<br />

altrettanto vero, se rimaniamo al puro esame dei fatti, che Kappler si affrettò ad<br />

eseguire la rappresaglia, che la attuò nel modo più violento e feroce, che gonfiò la lista<br />

dei fucilandi in tutti i modi possibili, e che con implacabile testardaggine di burocrate<br />

della morte volle a tutti i costi completare il suo orribile compito nelle 36 ore fissategli.<br />

Se è dato a un militare completare e realizzare nel modo più perverso un ordine iniquo,<br />

questo fece Kappler con inarrivabile puntiglio.<br />

Il professor Elio Toaff, rabbino capo di Roma nel 1977, ha spiegato a Claudio Lazzaro,<br />

giornalista dell’Europeo, che, subito dopo la semiliberazione di Kappler nel novembre<br />

1976, vi fu un immediato rigurgito di antisemitismo e che i negozi degli ebrei, rimasti

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