SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

non hanno ravvisato alcun carattere illecito nell’attentato di via Rasella ma, anzi, hanno ritenuto gli autori degni del pubblica riconoscimento, che trae seco la concessione di decorazione al valore; la Stato ha completamente identificato le formazioni volontarie come propri organi, ha accettato gli atti di guerra da esse compiuti, ha assunto a suo carico e nei limiti consentiti dalle leggi le loro conseguenze. Non vi sono quindi rei da una parte, ma combattenti; non semplici vittime di un’azione dannosa dall’altra, ma martiri caduti per la Patria». Questa incresciosa vertenza giudiziaria ha trovato la sua definitiva conclusione nella sentenza emanata dalla Corte di Cassazione l’11 maggio 1957, e pubblicata il 2 agosto successivo. La sentenza ha ribadito il carattere di legittima azione di guerra dell’attentato di via Rasella, contro la tesi dei difensori dei ricorrenti, i quali sostenevano che non si era trattato di azione di guerra in quanto Roma era città aperta. È risultato provato dinanzi all’autorità giudiziaria che la formula della «città aperta» era stata fittizia: la dichiarazione che Roma era città aperta, fatta dal governo italiano il 21 luglio 1943, non fu mai accettata dagli anglo-americani, né Roma venne mai rispettata come città aperta da parte della Germania che disconosceva il legittimo governo italiano. Giuseppe Mayda Due parole per ricordare Sono le stesse vittime delle Fosse Ardeatine a consegnare alla storia le testimonianze di una grande tragedia Sono poche le ultime lettere lasciate dalle vittime delle Fosse Ardeatine: in realtà, nelle tasche di parecchie furono rinvenute tracce di messaggi alle famiglie e agli amici. Purtroppo, tutto quanto era stato scritto ad inchiostro venne cancellato con la decomposizione del corpo e si salvarono solo le poche note scritte a matita. Uno degli uccisi aveva scritto ai genitori: Se è destino che noi non dobbiamo più rivederci, ricordatevi che avete avuto un figlio che ha dato volentieri la vita per il suo paese, guardando i suoi carnefici negli occhi. In una tasca del diciottenne Orlando Orlandi Posti si trovò un pezzo di carta dove erano tracciate delle linee e segnati dei numeri. Si trattava di un gioco tracciato a matita non finito, quello della «battaglia navale». Il giovane, arrestato dalla Gestapo mentre conversava con sua madre, affidò le sue ultime parole ad una lettera fatta uscire nascostamente da via Tasso: Signore Iddio, fa che finiscano presto le sofferenze umane che tutto il mondo sta attraversando, fa che tutti tornino alle loro case e così torni la pace in ogni famiglia e tutto torni allo stato normale. Il generale di brigata aerea Sabato Martelli Castaldi, 47 anni, arrestato dai tedeschi per sabotaggio, trucidato nella rappresaglia delle Ardeatine, poi decorato di medaglia d’oro al valor militare, lasciò sul muro della sua cella in via Tasso quest’ultimo messaggio: Quando il tuo corpo / non sarà più il tuo / spirito sarà ancora più / vivo nel ricordo di / chi resta – Fa che / possa essere sempre / di esempio. In un biglietto inviato clandestinamente alla moglie diceva:

La mia camera è di m. 1,30 per 2,60. Siamo in due, non vi è altra luce che quella riflessa da una lampadina del corridoio antistante, accesa tutto il giorno. Il fisico comincia ad andare veramente giù e questa settimana di denutrizione ha dato il colpo di grazia. Il trattamento fattomi non è stato davvero da “gentleman”. Definito “delinquente” sono stato minacciato di fucilazione e percosso, come del resto è abitudine di questa casa: botte a volontà. Il 4 marzo 1944, dal carcere, il generale inviava la sua ultima lettera alla famiglia: I giorni passano, e, oggi il 47°, credevo proprio che fosse quello buono, e invece ancora non ci siamo. Per conto mio non ci faccio caso e sono molto tranquillo e sereno, tengo su gli umori di 35 ospiti di sole quattro camere con barzellette, pernacchioni (scusa la parola ma è quella che è) e buon umore. Unisco una piantina di qui per ogni evenienza e perché, a mezzo del latore, quest’altra settimana me la rimandi completata. Penso la sera in cui mi dettero 24 nerbate sotto la pianta dei piedi nonché varie scudisciate in parti molli, e cazzotti di vario genere. Io non ho dato loro la soddisfazione di un lamento, solo alla 24ª nerbata risposi con un pernacchione che fece restare i tre manigoldi come tre autentici fessi. (Quel pernacchione della 24ª frustata fu un poema! Via Tasso ne tremò ed al fustigatore cadde di mano il nerbo. Che risate! Mi costò tuttavia una scarica ritardata di cazzotti). Quello che più pesa qui è la mancanza di aria. Io mangio molto poco altrimenti farei male e perderei la lucidità di mente e di spirito che invece qui occorre avere in ogni istante. Parole poco chiare Le versioni contrastanti e inesatte dell’attentato in via Rasella rese dal regime Questo documento fu rinvenuto a Roma, dagli Alleati, negli uffici del ministero della Cultura Popolare. Si tratta di una serie di appunti su una conferenza stampa tenuta (certamente dopo il 15 aprile 1944) al quartier generale tedesco di corso Italia. Vi parteciparono giornalisti dei quotidiani della capitale, dell’agenzia di stampa Stefani e dell’EIAR e un rappresentante del ministero della Cultura Popolare, il professor Consiglio. Questi, finita la riunione, dettò il testo che pubblichiamo. È interessante osservare che fra le varie inesattezze, anche gravi (si attribuisce l’esecuzione della strage al colonnello Dollmann) vi sono anche vere e proprie rivelazioni. Si fa ad esempio il nome esatto dell’autore dell’attentato, Rosario Bentivegna, e il suo nome di batt aglia, «Paolo». Il fatto è che, a metà di quell’aprile, il gappista Guglielmo Blasi che aveva preso parte all’azione di via Rasella era stato catturato dalla banda Koch e aveva tradito i compagni rivelando ciò che sapeva: furono così arrestati, fra gli altri, Carlo Salmari e Franco Calamandrei. Al quartiere generale del Comando tedesco si è tenuta una riunione alla quale sono stati invitati i direttori dei giornali quotidiani e dei rappresentanti della Stefani e della EIAR. Il Professor Consiglio rappresentava il Ministro. Il generale Maeltzer, dopo avere brevementre salutato la Stampa, segnalò l’opportunità di tali riunioni, osservando che per il futuro avrebbero avuto un carattere periodico, nell’intento di stabilire regolari controlli e scambio di vedute. Allora il Colonnello… (tedesco) prese la parola e, riferendosi alla situazione di Roma, alla fine fece una relazione dei particolari riguardanti il massacro di Via Rasella.

non hanno ravvisato alcun carattere illecito nell’attentato di via Rasella ma, anzi, hanno<br />

ritenuto gli autori degni del pubblica riconoscimento, che trae seco la concessione di<br />

decorazione al valore; la Stato ha completamente identificato le formazioni volontarie<br />

come propri organi, ha accettato gli atti di guerra da esse compiuti, ha assunto a suo<br />

carico e nei limiti consentiti dalle leggi le loro conseguenze. Non vi sono quindi rei da<br />

una parte, ma combattenti; non semplici vittime di un’azione dannosa dall’altra, ma<br />

martiri caduti per la Patria».<br />

Questa incresciosa vertenza giudiziaria ha trovato la sua definitiva conclusione nella<br />

sentenza emanata dalla Corte di Cassazione l’11 maggio 1957, e pubblicata il 2 agosto<br />

successivo. La sentenza ha ribadito il carattere di legittima azione di guerra<br />

dell’attentato di via Rasella, contro la tesi dei difensori dei ricorrenti, i quali sostenevano<br />

che non si era trattato di azione di guerra in quanto Roma era città aperta.<br />

È risultato provato dinanzi all’autorità giudiziaria che la formula della «città aperta» era<br />

stata fittizia: la dichiarazione che Roma era città aperta, fatta dal governo italiano il 21<br />

luglio 1943, non fu mai accettata dagli anglo-americani, né Roma venne mai rispettata<br />

come città aperta da parte della Germania che disconosceva il legittimo governo<br />

italiano.<br />

Giuseppe Mayda<br />

Due parole per ricordare<br />

Sono le stesse vittime delle Fosse Ardeatine a consegnare alla storia<br />

le testimonianze di una grande tragedia<br />

Sono poche le ultime lettere lasciate dalle vittime delle Fosse Ardeatine: in realtà, nelle<br />

tasche di parecchie furono rinvenute tracce di messaggi alle famiglie e agli amici.<br />

Purtroppo, tutto quanto era stato scritto ad inchiostro venne cancellato con la<br />

decomposizione del corpo e si salvarono solo le poche note scritte a matita.<br />

Uno degli uccisi aveva scritto ai genitori:<br />

Se è destino che noi non dobbiamo più rivederci, ricordatevi che avete avuto un figlio<br />

che ha dato volentieri la vita per il suo paese, guardando i suoi carnefici negli occhi.<br />

In una tasca del diciottenne Orlando Orlandi Posti si trovò un pezzo di carta dove erano<br />

tracciate delle linee e segnati dei numeri. Si trattava di un gioco tracciato a matita non<br />

finito, quello della «battaglia navale». Il giovane, arrestato dalla Gestapo mentre<br />

conversava con sua madre, affidò le sue ultime parole ad una lettera fatta uscire<br />

nascostamente da via Tasso:<br />

Signore Iddio, fa che finiscano presto le sofferenze umane che tutto il mondo sta<br />

attraversando, fa che tutti tornino alle loro case e così torni la pace in ogni famiglia e<br />

tutto torni allo stato normale.<br />

Il generale di brigata aerea Sabato Martelli Castaldi, 47 anni, arrestato dai tedeschi per<br />

sabotaggio, trucidato nella rappresaglia delle Ardeatine, poi decorato di medaglia d’oro<br />

al valor militare, lasciò sul muro della sua cella in via Tasso quest’ultimo messaggio:<br />

Quando il tuo corpo / non sarà più il tuo / spirito sarà ancora più / vivo nel ricordo di /<br />

chi resta – Fa che / possa essere sempre / di esempio.<br />

In un biglietto inviato clandestinamente alla moglie diceva:

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