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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Kappler può invocare l’obbedienza agli ordini ricevuti, poiché «chi include nelle liste di<br />

morte un quindicenne e altri quattro innocenti che non avevano raggiunto i diciotto anni<br />

è un infanticida e non è un soldato».<br />

Le richieste dell’accusa vengono accolte e Kappler viene condannato all’ergastolo il 20<br />

luglio 1948; lo ha giudicato a norma della legge italiana l’autorità giudiziaria militare<br />

italiana, in armonia con la dichiarazione firmata da Roosevelt, Churchill e Stalin e<br />

pubblicata a Mosca il 1° novembre 1943, per cui gli ufficiali, i soldati e i membri del<br />

partito nazista responsabili delle atrocità e dei massacri dovevano essere rinviati ai Paesi<br />

nei quali avevano compiuto i loro delitti. Nello stesso anno ha inizio al tribunale civile di<br />

Roma una causa di risarcimento danni promossa dai familiari di alcune delle vittime<br />

delle Ardeatine contro gli autori materiali dell’attentato di via Rasella e contro taluni<br />

componenti del CLN che hanno diretto la Resistenza romana.<br />

Gli imputati Rosario Bentivegna, Franco Calamandrei, Carlo Salinari, Sandro Pertini,<br />

Giorgio Amendola, Carla Capponi e Riccardo Bauer vengono difesi da Ugo e Achille<br />

Battaglia. Saverio Castellett, Sinibaldo Tino, Domenico Rizzo, Fausto Gullo, Federico<br />

Comandini, Paolo Greco, Arturo Carlo Jemolo, Giulio Buriaii d’Arezzo e Dante Livio<br />

Bianco. Questi, con Jemolo, fu il vero protagonista della complessa vicenda giudiziaria,<br />

conclusasi con la vittoria della difesa in tribunale, in appello e in Cassazione.<br />

Jemolo non ha timore di esordire con la denuncia del movente politico della causa.<br />

Poiché non è pensabile che essa sia stata intentata per ragioni economiche, poiché gli<br />

imputati sono tutti onoratamente poveri, egli osserva che «quando si fanno cause per<br />

ragioni non economiche, le si fa o per salvaguardare la propria buona fama o per ledere<br />

quella altrui. E poiché la buona fama degli attori non è mai stata messa in discussione,<br />

è chiaro che scopo dell’azione intrapresa non può essere che quello di ledere la fama<br />

dei convenuti, di ottenere attraverso la sentenza una sanzione d’indegnità morale ai loro<br />

danni».<br />

Sulla sua scia Dante Livio Bianco dimostra che l’attentato di via Rasella è un atto di<br />

guerra compiuta da organi dello Stato italiano, per i quali non esiste proponibilità di<br />

azione giudiziaria per l’inesistenza del diritto. Conclude che, di conseguenza, «la causa è<br />

risalta: ed è risolta, si badi, non solo sul terreno giuridico, ma anche su quello morale e<br />

politico, sul quale gli attori hanno tutta l’aria di volerla trascinare… ».<br />

Anche i partigiani sotto accusa<br />

Stendendo le memorie difensionali, Dante Livio Bianco, nato partigiano e giurista,<br />

avverte «sempre più cocente il disagio che nasce dalla constatazione di sopravvivere in<br />

una società che è la diretta negazione degli ideali per i quali i suoi compagni sono caduti<br />

ed egli stesso ha combattuto. Lo iato tra ciò che avrebbe voluto fosse e ciò che è gli<br />

suggerisce l’impossibilità di far rivivere la stagione del partigianato, la quale appartiene<br />

ormai alla storiografia e sempre più pare perdere della propria efficacia sulla vita del<br />

Paese. Se la battaglia, per ora, è perduta, chi la riprenderà?».<br />

Ma questa volta i giudici fanno veramente giustizia. Il tribunale, infatti, respinge le<br />

richieste degli attori, con sentenza 26 maggio – 9 giugno 1950, riconosce che<br />

«l’attentato commesso dai partigiani il 23 marzo 1944 fu un legittimo atto di guerra»,<br />

per cui «né gli esecutori né gli organizzatori possono rispondere civilmente dell’eccidio<br />

disposto a titolo di rappresaglia dal comando germanico».<br />

La prima sezione della Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 5 maggio 1954,<br />

conferma il giudizio del tribunale: «L’attentato compiuto il 23 marzo 1944 in via Rasella<br />

contro un reparto di militari germanici ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra,<br />

essendosi verificato durante l’occupazione della città ed essendosi risolto in prevalente<br />

se non esclusivo danno delle forze armate germaniche. I competenti organi dello Stato

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