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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Una catena di processi per la tragedia del 23 marzo 1944<br />

Enzo Biagi<br />

Il 17 febbraio 1947 il feldmaresciallo Albert Kesselring - ex comandante supremo delle<br />

forze tedesche in Italia fra il 1943 e il 1945 – viene processato a Venezia da un<br />

tribunale militare inglese imputato di due capi d’accusa, uno dei quali afferma che egli è<br />

«implicata nell’uccisione per motivi di rappresaglia di 335 cittadini italiani avvenuta nel<br />

marzo 1944 a Roma». I giudici ritengono Kesselring colpevole infliggendogli la pena di<br />

morte. La condanna viene poi commutata in ergastolo e, nel 1953, con un<br />

provvedimento di clemenza, l’accusato tornerà libero.<br />

Nel processo contro Kesselring, Herbert Kappler viene interrogato quale testimone<br />

dell’accusa. Egli descrive come sono avvenute le esecuzioni: «Gli ordini», dice, «non<br />

ammettevano che su ogni vittima potesse essere sparato più di un colpo. I prigionieri<br />

avevano i gomiti legati dietro la schiena». Nell’aula del tribunale, a questo punto,<br />

risuona una voce: «Vigliacco!» e, poco dopo, un’altra voce scandisce: «Dio ti fulmini,<br />

boia!».<br />

Kappler, pallidissima nel suo abito borghese, diritto sull’attenti davanti ai giudici,<br />

prosegue affermando che, quello di via Rasella, non è stata il primo attentato avvenuto<br />

a Roma: al marzo 1944 si erano già avuti quindici mortali precedenti. Poi torna a<br />

spiegare, con minuzia e freddezza, come sono stati soppressi gli ostaggi. Ma quando si<br />

addentra nei dettagli del colpo alla nuca, dalle file del pubblico si ode una esclamazione<br />

romanesca che il presidente del tribunale non ha il coraggio di reprimere: «Te possino<br />

ammazzà!»<br />

«La colonna tedesca costituiva un obiettivo militare»<br />

Interrogato come testimone, il gappista Rosario Bentivegna spiega il carattere<br />

dell’attentato. «Il nostra gruppo ebbe l’ordine dalla giunta militare che faceva capo al<br />

CLN di attaccare il plotone di poliziotti, del quale ci fu indicato l’itinerario. Noi<br />

constatammo che la colonna si componeva di 170 uomini perfettamente armati, i quali,<br />

provenienti da piazzale Flaminio, salivano lungo via Rasella dalla parte del tunnel. Alle<br />

14 io, vestito da spazzino, portai un carrettino (in cui erano dodici chili di tritolo,<br />

compresso in una cassetta di acciaio, e sei chili di tritolo sciolto misto a spezzoni di<br />

ferro) fino all’altezza di Palazzo Tittoni. La colonna apparve alle 15.45. Franco<br />

Calamandrei mi dette il segnale: io accesi la miccia e quindi mi tolsi il cappello che agitai<br />

per far comprendere che tutto andava bene. Quindi mi allontanai in direzione di via<br />

Quattro Fontane. L’esplosione avvenne quando avevo appena girato l’angolo».<br />

Alle domande del presidente, Bentivegna risponde che non fu chiesta dai tedeschi la<br />

presentazione degli attentatori: «Se ci fosse stata richiesta mi sarei presentato»,<br />

afferma. «La colonna tedesca costituiva un obiettivo militare. I tedeschi avevano firmato<br />

un armistizio e lo ruppero. Invasero Roma che pertanto divenne obiettivo per i<br />

bombardamenti alleati. Facevano arresti e rastrellamenti. Erano soldati tedeschi: ho<br />

avuto ordine di attaccarli e li ho attaccati».<br />

Il Pubblico Ministero chiede per Kappler l’ergastolo per omicidio continuato con<br />

l’aggravante della premeditazione. «Si è parlato della pena di morte… ma essa è stata<br />

abolita dalla nostra Costituzione», dice. L’accusatore precisa che, per le Fosse<br />

Ardeatine, non è possibile parlare di rappresaglia legittima contro la popolazione di un<br />

territorio occupato, alla quale avrebbe potuto essere applicata soltanto una sanzione<br />

collettiva. L’uccisione di innocenti non può in nessuna ipotesi essere consentita, né

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