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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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diventò diverso per me. Questa sì, fu come una rivelazione. Ancora oggi ho davanti agli<br />

occhi quella coppia, evidentemente coniugi, che a braccetto mi venne incontro sul<br />

marciapiede della Budapesterstrasse. Decentemente vestiti, lui con un soprabito nero a<br />

doppio petto e lei con uno marrone, con passo tranquillo ma non lento, sicuri di sé,<br />

dignitosi ma non provocanti, con la testa alta mi passarono vicini. Io non ero in divisa, e<br />

non portavo distintivo alcuno, essi non mi guardarono, ma io non riuscivo più a<br />

cancellare dalla mia mente l’immagine di quelle due persone e mi vergognavo. Mi sono<br />

sentito piccolo, piccolo, quasi come un verme, di fronte a loro che con tale dignità<br />

sopportavano quella vera discriminazione imposta dalla mia gente. La guerra, quella<br />

cosiddetta “totale”, quello stupido e orrendo fenomeno che spero sia, nel creato<br />

universale, limitato alla cosiddetta umanità di questo pianeta, ha fatto e continua a fare<br />

strage, non solo di uomini “in armi”, ma anche di vecchi, di donne, di madri e delle loro<br />

creature in fasce e in grembo.<br />

Io cerco, forse per istinto di conservazione, di non tenere vivi nella mia memoria certi<br />

ricordi. No, non soltanto quello del fatto in cui, nel più disgraziato, nel più vergognoso e<br />

nel più orribile giorno della mia vita, io ebbi parte attiva. Ma anche tutte le altre vicende<br />

vissute personalmente, o imparate dai racconti dei superstiti che, per esempio, hanno<br />

visto i loro cari bruciare vivi. E in parte riesco anche a non tenerli troppo accesi, certi<br />

pensieri, certi episodi che, a mio parere, non sono che frutto di incomprensione, di<br />

invidie, di intolleranza ed infine conseguenze di quell’odio che spesso ad arte viene<br />

inculcato nei cervelli delle masse, pressappoco come faceva Pavlov con i suoi cani dai<br />

riflessi condizionati. Ma quella coppia, quell’incontro fuggevole e casuale della<br />

Budapesterstrasse di Berlino, io lo voglio tenere presente nella mia memoria».<br />

(Da una deposizione di Herbert Kappler, anno 1947.<br />

«Mi trovai costretto ad includere nella lista cinquantasette ebrei. Per ogni ebreo che non<br />

avessi compreso nell’elenco avrei dovuto prendere gente la cui colpevolezza non avrei<br />

potuto dimostrare. oppure ricorrere ai centodieci uomini rastrellati in via Rasella. Si<br />

trattava insomma di provocare il minor male possibile. dato che gli ebrei erano<br />

considerati nostri nemici… Tutti gli ebrei a nostra disposizione avrebbero dovuto essere<br />

deportati in Germania»)<br />

Dico: «Una volta il presidente Heuss mi spiegò che i tedeschi riconoscevano un solo<br />

buon esempio: Schweitzer. C’è qualcuno dei suoi compatrioti che lei ammira?».<br />

«Sono d’accordo col giudizio di Heuss, ma non vedo una figura che vorrei imitare».<br />

«E in che cosa consisteva, signor Kappler, il fascino di Hitler, la sua capacità di<br />

suggestionare?».<br />

«Aveva qualcosa di sinistro e di buono. La definirei, oggi, un’attrazione quasi<br />

demoniaca. Faccio adesso un tentativo per rendermene conto, ma non riesco proprio a<br />

dire in che cosa consisteva questa influenza. L’ho visto diverse volte, ma non gli ho mai<br />

parlato a quattr’occhi».<br />

«E quale parte le toccò nella liberazione di Mussolini al Gran Sasso?».<br />

«Fui io, con pochi uomini, che condussi l’indagine per stabilire dove lo avevano<br />

nascosto, in collaborazione con Skorzeny, il soldato di ventura che era indispensabile<br />

per condurre l’impresa al successo».<br />

«Ci sono trentasei ore della sua vita che hanno deciso tutto».<br />

«Non voglio parlarne. C’è ormai un distacco nel mio intimo. È un fatto che ha segnato la<br />

mia esistenza. Non auguro al peggiore nemico, al nemico più odiato, di trovarsi in quelle<br />

circostanze, nella mia situazione. Ma io so davvero che cosa è l’odio? Se è vero che ch<br />

non sa odiare non è in grado di amare, forse in me non c’è neppure una grande<br />

capacità di affetti. Ma come si può misurare la possibilità di bene?».<br />

(Deposizione di Herbert Kappler sull’attentato di via Rasella.

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