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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Documenti e testimonianze<br />

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo<br />

È mezzogiorno del 24 settembre 1943: tre signori si incontrano a Roma, a Ponte Milvio.<br />

Vestono abiti borghesi, ma si vede lontano un miglio che sono dei militari. I tre signori<br />

sono il colonnello del Genio in servizio di S.M. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo,<br />

il tenente colonnello di fanteria (pure in servizio di S.M.) Giorgio Ercolani e il maggiore<br />

di cavalleria Vincenzo Fornaro. I tre convengono sull’opportunità di dedicarsi alla lotta<br />

clandestina nel settore che ritengono – a ragione – di immediata e concreta utilità:<br />

quello delle informazioni. La proposta è del colonnello Montezemolo, che ha avuto<br />

modo, nei due mesi precedenti, di vivere la drammatica esperienza dell’armistizio in<br />

posti d’osservazione eccezionali: interprete al convegno di Feltre tra Mussolini e Hitler,<br />

poi come capo di gabinetto di Badoglio, poi come comandante del Genio nel corpo<br />

d’armata motorizzato del generale Carboni. Montezemolo si è reso conto che lo sfascio<br />

totale delle forze armate non consente di sperare in una partecipazione italiana a breve<br />

termine alla guerra contro i tedeschi e che l’organizzazione della guerriglia partigiana<br />

(l’unica possibile) richiede tempi abbastanza lunghi.<br />

Nasce così, sul finire di quel settembre eccezionalmente caldo, il «Centro R». Dopo la<br />

morte del suo fondatore, diventerà «Gruppo Montezemolo» e s’inserirà perfettamente e<br />

disciplinatamente nella struttura del Corpo Volontari della Libertà. Del gruppo e della<br />

sua azione il capo del servizio informazioni del CVL, Enzo Boeri, scriverà poi: «Diede al<br />

servizio l’apporto più sostanziale, più costante e più decisivo». E, del suo fondatore,<br />

Parri scriverà: «Montezemolo è una figura di soldato nel senso più grande della parola».<br />

La sua breve epopea finisce alle Fosse Ardeatine<br />

Giuseppe Montezemolo era nato nel 1901: aveva dunque 42 anni, all’epoca dei fatti che<br />

narriamo. A 17 anni si era arruolato volontario negli alpini ed era stato promosso<br />

caporale per merito di guerra; era rimasto sempre molto orgoglioso di quell’umile<br />

grado, conquistato sul campo. Finita la guerra, aveva frequentato l’Accademia militare<br />

ed era diventato sottotenente in servizio effettivo: non più degli alpini, ma nel Genio,<br />

perché nel frattempo si era laureato in ingegneria. Oggi i tempi sono cambiati e le<br />

carriere dei militari sono diventate più rapide; ma negli anni Quaranta un colonnello di<br />

42 anni era una rarità. Per questo – forse – su Montezemolo i giudizi furono o entusiasti<br />

o acidi. Cavallero (che tutto era, tranne che stupido) lo apprezzava moltissimo; Carboni,<br />

pur con qualche riserva, lo giudicava indiscutibilmente un «cavallo di razza». Lo ebbero<br />

in antipatia, invece, il capo di S.M. Ambrosio e lo stesso Badoglio (che pure lo aveva<br />

voluto accanto a sé), probabilmente perché influenzato dal nipote, colonnello<br />

Valenzano. Lo definivano «intrigante» mentre invece era intraprendente, una qualità<br />

negativa agli occhi della vecchia casta generalizia. E poi, sembra che non fosse<br />

massone.<br />

Era alto, piuttosto asciutto, con la faccia scavata, robustissimo: a letto c’era stato una<br />

volta sola, per una brutta caduta da cavallo. Entrato nella clandestinità con il nome di<br />

battaglia di «Giacomo Cateratto», si fece crescere un paio di baffi rossicci e inforcò<br />

occhiali cerchiati d’oro, precauzione un po’ ingenua perché c’era un particolare che<br />

rendeva Montezemolo inconfondibile: le orecchie a sventola. Un’amica gli aveva

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