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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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preciso quadro operativo falliscono. Rapidamente, sotto l’incalzare del tempo, le SS<br />

scoprono un agghiacciante metodo per risolvere il problema di accatastare i cadaveri nel<br />

più limitato spazio possibile: obbligano le loro vittime, ancora in vita, a salire sul<br />

mucchio dei compagni morti. E sui cadaveri dei compagni trucidati, dei padri o dei figli,<br />

essi si inginocchiano presentando la nuca ai colpi dei carnefici. È ben vero che Kappler,<br />

al processo, smentirà questo aspetto particolarmente orribile della strage, ma le<br />

autopsie condotte dal professor Attilio Ascarelli, che ad esse poi dedicò un libro, Le<br />

Fosse Ardeatine, Canesi editore, Bologna 1965, riveleranno che i bossoli esplosi dai fucili<br />

e dai mitragliatori tedeschi furono rinvenuti fra i vari strati di cadaveri, e indicano con<br />

precisione dove le pallottole erano state dirette; che i corpi accatastati avevano ancora<br />

le ginocchia piegate, cioè nella posizione immutata in cui erano stati fucilati e, se<br />

fossero stati rimossi, non sarebbero stati certamente trovati in quell’atteggiamento.<br />

In preda all’alcol, poi, le SS non si controllano più e fino a quattro pallottole vengono<br />

scaricate nel cranio di una sola vittima, alcune teste sono letteralmente staccate dal<br />

busto: quando i cadaveri verranno esumati (è sempre la relazione scientifica del<br />

professor Ascarelli dell’Università di Roma a parlare) se ne troveranno trentanove<br />

decapitati. Inoltre parecchie SS dopo qualche ora non mirano più bene: le loro pallottole<br />

non attraversano il cervello ma soltanto il viso; accade anche – riferisce l’autopsia – che<br />

i proiettili non producano ferite mortali, uscendo dal lato anteriore del collo senza avere<br />

colpito alcun organo vitale. Parecchie vittime, quindi, non muoiono istantaneamente ma<br />

giacciono prive di sensi, agonizzando nell’ammasso dei cadaveri. Un soldato tedesco,<br />

del quale è forse il caso di ricordare il nome – il Sonderführer SS Günther Amon – non<br />

c’è la fa a partecipare al massacro e, appena entrato nelle cave col suo plotone di<br />

esecuzione, vedendo alla luce delle torce i cumuli di uomini uccisi, cade privo di sensi:<br />

«Rimasi inorridito dallo spettacolo», dirà al processo del 1948. «Uno dei miei camerati<br />

prese il mio posto e sparò per me».<br />

La strage ha termine esattamente alle 20 e, quindi, l’ordine di Hitler è stato eseguito in<br />

tempo. Il coprifuoco (fissate alle 19) è già cominciato da un’ora ma, attorno alle<br />

tragiche cave, malgrado la zona sia spopolata, c’è movimento di persone e di curiosi<br />

che hanno intuito parte di quanto è avvenuto. Fra loro c’è una coppia di fidanzati, un<br />

frate slesiano, di nome Szenik, che fa la guida alle catacombe di San Callisto, e un<br />

sacerdote romano, don Nicola Cammarota che, rientrando dalla campagna, ode le voci<br />

di alcuni ostaggi. Subito dopo i genieri tedeschi cominciano ad ostruire l’entrata delle<br />

Fosse Ardeatine mentre vengono minati i due tunnel intersecantisi in cui si trovano i<br />

cadaveri dei fucilati. Anche le gallerie di accesso sono minate e i genieri lanciano tubi di<br />

gelatina nel cumulo delle salme. Un’ora più tardi i frati delle vicine catacombe sentono<br />

due potenti esplosioni e sotto la valanga di terriccio sono sepolte (ma solo<br />

temporaneamente perché già il 30 marzo, malgrado le ostruzioni dei tedeschi, un<br />

gruppo di ragazzi, giocando, scoprirà i corpi delle vittime e avvertirà tre sacerdoti della<br />

zona, don Valentini, don Giorgi e don Perinella) trecentotrentacinque vittime: sono<br />

uomini di 75 anni e ragazzi di 14, non tutti italiani (perché vi sono anche un belga, un<br />

francese, tre tedeschi, un ungherese, un libico, tre russi, un turco) e tutti delle più<br />

diverse professioni: contadini, tipografi, ufficiali delle tre armi, agenti di polizia,<br />

ambulanti, architetti, farmacisti, commessi, carabinieri, impiegati, macellai, musicisti,<br />

professori, proprietari terrieri, commercianti, bottegai, autisti, domestici, medici,<br />

studenti.<br />

Nessuno ancora, a Roma, sa dell’avvenuto massacro. I partigiani di via Rasella, riuniti<br />

nella cantina di via Marco Aurelio dov’è stata preparata la bomba al tritolo, discutono<br />

delle voci che circolano in città e «si diceva», racconterà Carla Capponi, che i tedeschi<br />

erano infuriati, che il comando tedesco era esasperato dai continui attacchi partigiani».

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