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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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ore del pomeriggio, cominciano a muoversi i «camion della morte». I condannati<br />

arrivano alle cave verso le 15; tutta la zona è stata bloccata e nessuno può avvicinarsi.<br />

Tuttavia, non visto dai tedeschi, un guardiano di maiali, Nicola D’Annibale,<br />

quarantacinquenne, intuisce che qualcosa di inconsueto e di grave sta succedendo ed<br />

appostato ad una ottantina di metri, sopra le catacombe di Santa Domitilla, riesce ad<br />

assistere all’intera operazione.<br />

Ai prigionieri che giungono per primi al labirinto delle gallerie sulla via Ardeatina viene<br />

intimato di scendere a due per due e un grande semicerchio di vittime si ammassa<br />

attorno all’unico sacerdote, don Pappagallo. Vedendo i tedeschi con i mitragliatori<br />

imbracciati, il luogo deserto e l’imboccatura buia delle cave – l’intero scenario del<br />

terrore – gli ostaggi comprendono di colpo la tremenda verità che già a tratti si era<br />

affacciata alle loro menti quando i nazisti erano andati a prelevarli, e si stringono<br />

attorno al prete con un grido unanime: «Padre, benediteci!». Don Pappagallo, uomo<br />

robusto e vigoroso, si libera dai lacci che lo stringono ai polsi legandolo ad uno degli<br />

ostaggi, Joseph Raider, tedesco e disertore, alza le braccia al cielo e prega, impartendo<br />

a tutti l’assoluzione. Raider intanto ne approfitta per sottrarsi alle guardie e tentare di<br />

fuggire, ma verrà subito dopo ripreso, identificato e riportato nelle celle di via Tasso.<br />

Sono le 16.30; le esecuzioni cominciano. I prigionieri sono sullo spiazzo, qualcuno<br />

passeggia, stordito dal sole della campagna romana, e c’è chi si mette a cantare un<br />

vecchio inno: «Si scopron le tombe / si levano i morti… ». Kappler ha disposto che<br />

l’esecuzione avvenga a gruppi di cinque. I primi cinque entrano nelle grotte con le mani<br />

legate dietro il dorso (è stato l’ufficiale Schutz ad impartire l’ordine) e appaiono calmi<br />

forse perché gli è stato detto che andranno a lavorare per sgombrare macerie. Ma gli<br />

altri, le centinaia che si ammassano sul piazzale davanti alle cave nell’attesa di varcarne<br />

la soglia, quelli certamente capiscono, intuiscono, odono spari e grida: e sono lasciati là,<br />

ad aspettare per ore, con lo sgomento di quella morte spietata che sta per ghermirli,<br />

con le sentinelle inflessibili che li circondano (più tardi, al processo, il Sonderführer<br />

Wilhelm Koffler dirà che Kappler trascorse il tempo dell’attesa, fino alle 20, tanto durò la<br />

strage, chiacchierando sul piazzale con le vittime nell’attesa di essere abbattute).<br />

Una volta entrati i cinque vengono fatti inginocchiare a terra. Un sottufficiale delle SS<br />

regge una fiaccola, altre SS puntano le armi alla nuca e fanno partire i colpi, un<br />

sergente della sanità si china per constatare se la morte è stata istantanea. Uno dopo<br />

l’altro i nuovi cinque venuti debbono inginocchiarsi sui corpi degli uccisi, cadono a<br />

ridosso uno degli altri. Kappler avverte gli ufficiali che debbono sparare anch’essi, per<br />

dare l’esempio. Lui stesso si affianca al terzo plotone, si mette in linea, colpisce alla<br />

nuca un condannato. Più tardi si rimetterà in fila e ucciderà una seconda volta. Dirà il<br />

maggiore Domizlaff al processo: «Sparai due volte, la terza non avrei potuto anche se<br />

mi fosse costato la vita. Mia moglie è morta pazza». Ma un tenente, l’Obersturmführer<br />

SS Wetjen – uno degli ufficiali più giovani – rifiuta di sparare. Kappler, che è ritornato<br />

momentaneamente a via Tasso, ne viene subito informato e corre alle Fosse Ardeatine.<br />

A Wetjen chiede perché non ha sparato e l’ufficiale gli risponde che sente<br />

«ripugnanza». Kappler allora gli spiega tutte le ragioni per cui deve eseguire gli ordini<br />

«da buon soldato». «Avete ragione», risponde l’ufficiale insubordinato, «ma non è<br />

facile». «Vi sentireste meglio se io fossi al vostro fianco mentre sparate?», gli chiede<br />

gentilmente Kappler. Wetjen risponde affermativamente. «Gli passai un braccio attorno<br />

alla vita», riferirà Kappler al processo del 1948, «e ci recammo insieme nelle cave».<br />

Wetjen e Kappler, fianco a fianco, uccidono il loro uomo.<br />

Man mano i condannati entrano nelle cave, il capitano Erich Priebke spunta i loro nomi<br />

dall’elenco. Quando la prima galleria è colma, si passa a fucilare nella seconda, ma tutti<br />

gli ordini di Kappler per dare una certa sistematicità alle esecuzioni e inserirle in un

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