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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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debitamente al generale Wolff, capo delle SS in Italia, con una regolare denuncia, ma<br />

nessun procedimento verrà avviato contro Dobbrick: egli rimarrà al comando del 3°<br />

Battaglione «Bozen» che, più tardi, si ritirerà nell’Italia del Nord proseguendo le<br />

operazioni contro i partigiani. Impaziente e profondamente irritato, Maeltzer telefona al<br />

quartier generale della 14ª Armata e parla col capo di Stato Maggiore di von<br />

Mackensen, colonnello Wolfgang Hauser, chiedendogli un reparto di soldati per<br />

compiere l’esecuzione. Ma Hauser ha motivi più fondati di Dobbrick per rifiutare: «È la<br />

polizia che è stata colpita», risponde al generale, «ed è la polizia che deve fare le<br />

rappresaglie». Lo Stadtkommandant, allora, abbassa il microfono, ripete ai suoi ufficiali<br />

quanto Hauser gli ha detto e, rivolgendosi a Kappler, gli dice: «Dunque, tocca a voi».<br />

Dopo una breve esitazione, l’ufficiale della Gestapo accetta e, tornato al proprio ufficio<br />

di via Tasso 155, interpella il generale SS Wilhelm Harster, capo del servizio sicurezza<br />

(SD) in Italia, a puri fini procedurali. Il superiore lo rimanda al codice degli ostaggi e alle<br />

sue norme: scegliere i fucilandi possibilmente fra persone «degne di morte»<br />

(Toteskandidaten) perché la rappresaglia colpisca il nemico mentre diffonde il terrore;<br />

tenere segreto il luogo delle sepolture; agire nel più breve tempo possibile.<br />

La notte di Kappler<br />

Alle 21, finita la telefonata con Harster, Kappler si chiude nel proprio ufficio di via Tasso<br />

e si mette a preparare l’elenco delle vittime da immolare. Il problema è difficile. Il<br />

numero dei tedeschi morti è già salito da 26 a 32 (e diventerà 33). «Per poter<br />

mantenere la proporzione», racconterà più tardi Kappler, «occorrevano 320<br />

Toteskandidaten. Giunse il momento in cui compresi che neppure se avessi fucilato tutti<br />

gli ebrei che si trovavano nelle celle della Gestapo avrei raggiunto il numero<br />

necessario». La questione della scelta non lo turba, lo impensierisce soltanto la penuria<br />

della gente da uccidere. «Debbo riconoscere», dirà al processo, «che non ordinai di<br />

escludere i minorenni». I minorenni, in questo momento, sono soltanto un fastidioso<br />

cavillo. Così manderà a morte, senza tremare, un bambino di quattordici anni, uno di<br />

quindici, due ragazzi di diciassette. Kappler lavora tutta la notte, fa gli straordinari della<br />

morte. E in quelle ore il console Möllhausen lo va a trovare. «Non ho bisogno di<br />

spiegare», gli dice il diplomatico, «quanto sia lontano da me il pensiero di favorire o<br />

aiutare il nemico. Siamo in guerra, e non lo dimentico. Ma quello che sta per succedere<br />

oltrepassa patria e guerra». «Tutti coloro che verranno designati», replica Kappler,<br />

«saranno o già dei condannati a morte o colpevoli al punto di essere dei<br />

Toteskandidaten». «Senta, Kappler», gli dice ancora Möllhausen, «se fossi al suo posto<br />

la mia coscienza tremerebbe. Non so come agirei, ma di sicuro sentirei di essere alla<br />

svolta decisiva della mia vita. Kappler, pensi che un giorno anche lei sarà chiamato a<br />

rendere conto al tribunale di Dio». «Möllhausen, io le prometto solo quello che posso,<br />

ed è questo: per ognuno dei nomi che sto scrivendo, ci penserò tre volte».<br />

Ma al mattino, quando si accorge che il numero delle vittime non si raggiungerà in<br />

nessuna maniera, l’ufficiale della Gestapo decide di chiedere aiuto alla polizia fascista.<br />

Non gli viene neppure in mente di rivolgere un appello alla popolazione romana perché i<br />

protagonisti dell’attentato si consegnino. Non gli viene in mente nulla; dirà poi che<br />

«ormai la ruota girava da sola». È l’alba di venerdì 24 gennaio quando Kappler esce da<br />

via Tasso e va dal questore Caruso a domandargli cinquanta arrestati da uccidere.<br />

Narrerà Caruso, nel processo nel quale verrà condannato a morte, che egli si rivolse al<br />

ministro degli Interni della RSI, Buffarini Guidi, per sapere che cosa doveva fare. Il

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