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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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imbo di dodici mesi, Bruno Farber, destinato come tutti gli altri alle camere a gas<br />

assieme ai suoi genitori, Davide ed Ester Farber, di 32 e 27 anni.<br />

Trieste come Auschwitz<br />

Alla Risiera di Trieste si ripetono le stesse atrocità dei lager tedeschi<br />

Ecco le testimonianze rese da alcuni sopravvissuti allo sterminio nella Risiera, e<br />

pubblicate in La Risiera di San Sabba, di Ferruccio Fölkel Mondadori 1979).<br />

Antonietta Carretta nata a Lignano, abitante a Genova:<br />

Mi misero in un grande camerone dove c’erano tante piccole celle. In una di queste<br />

rimasi per oltre un mese senza lavarmi, pettinarmi e altre cose assolutamente<br />

necessarie in modo particolare per una donna. Non solo d’igiene non si poteva parlare,<br />

ma neanche della più elementare forma di pulizia. Il mangiare ce lo portavano dal<br />

Coroneo. Nelle celle queste distribuzioni venivano fatte dai mongoli. Le condizioni<br />

psichiche e morali erano tremende. Ero in un continuo stato di terrore di essere<br />

ammazzata da un momento all’altro. Dopo circa dieci giorni portarono vicino alla mia<br />

cella una signora ebrea di nome Olga che abitava a Servola. La notte stessa l’hanno<br />

ammazzata. Quando vennero a prenderla, la poveretta piangeva e supplicava; le SS<br />

rispondevano con la massima brutalità. Così accadeva tutte le notti. Le celle di giorno si<br />

riempivano e di notte si svuotavano. Prima di essere bruciati li ammazzavano con un<br />

colpo d’arma da fuoco, perché sentivo gli spari, oppure con un colpo di mazza. Il forno<br />

crematorio era lì vicino, a pochi metri di distanza dalle nostre celle… Per non far sentire<br />

i colpi d’arma da fuoco, mettevano in moto dei motori di camion, o facevano suonare<br />

musiche allegre.<br />

Testimonianza raccolta da Giovanni Postogna<br />

Ante Peloza di Vele Mune (Istria):<br />

Io ero nella cella n. 8, solo, nel buio. Mi mancava l’aria. Solo nel soffitto c’era un piccolo<br />

foro per l’aria e la luce. Ci passavano il cibo attraverso la finestrella della porta, che<br />

altrimenti restava sempre chiusa. Nella cella c’erano molti ratti. Di pomeriggio e di sera<br />

sentivo quasi in continuazione le urla della gente e delle grida in croato, sloveno e<br />

italiano. Per il cortile andava su e giù un carro armato oppure un’autoblindata e faceva<br />

un grande rumore sì da coprire le grida alla libertà e le urla sconvolgenti. Allora<br />

sapevamo che i nostri compagni venivano trascinati in crematorio. Quando faceva<br />

scirocco e non c’era vento, il fumo fetido entrava anche nelle celle. C’era un tale tanfo<br />

di carne umana bruciata che quasi non si poteva respirare e sconvolgeva lo stomaco.<br />

Testimonianza raccolta da Albin Bubnič<br />

Carlo Skrinjar di Trieste:<br />

Le urla delle donne e degli uomini duravano anche tre o quattro ore. Finiva un urlo e<br />

poco dopo ne cominciava un altro. Molte notti andarono avanti così. Vicino a me, in<br />

cella, c’era un giovane di diciott’anni dai capelli ricciuti. Non ricordo il suo nome. Per lo<br />

spavento imbiancò in tre giorni. Dalla mattina alla sera tarda si sentivano aprire e<br />

chiudere i cancelli. Chi guardava da qualche spioncino avvertiva: «È arrivato un<br />

autocarro… ». Verso le otto di sera c’era un periodo di silenzio, poi cominciavano le<br />

urla. Noi eravamo convinti che stessero trascinando i condannati dal cortile verso la<br />

zona del forno. Si sentiva la guardia che veniva a tirare fuori la gente dalle celle, e la<br />

gente che urlava finché la voce spariva nel nulla. Il giovane dai capelli ricci tremava e

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